Tesi: Sicurezza collettiva. Il ruolo della NATO nell

Università degli Studi di Cagliari
Facoltà di Scienze Politiche
Laurea Specialistica in Relazioni Internazionali
Classe 60/S
SICUREZZA COLLETTIVA
IL RUOLO DELLA NATO
NELL’ATTUALE SCENARIO INTERNAZIONALE
Relatore
Prof.ssa Liliana Saiu
Tesi di Laurea di
Luigi Sollai
Anno Accademico 2006-2007
Indice
Introduzione
p. I
PARTE I
INTRODUZIONE STORICA
Capitolo Primo
LA STORIA
1.1 Una riflessione sui rapporti transatlantici
1.2 L’America guarda all’esterno
1.3 La proposta Vandenberg
p. 1
p. 4
p. 5
Capitolo Secondo
LA PRIMA FASE
2.1 La firma del Patto
2.2 Il Patto e il casus foederis
2.3 Muta il clima
2.4 Nasce la NATO
2.5 Il problema del riarmo tedesco
2.6 Riduzione delle spese per la difesa
2.7 Gli anni Cinquanta
2.8 L’epoca di De Gaulle
2.9 Il Rapporto Harmel
2.10 Un’ulteriore svolta
2.11 L’epoca Nixon
2.12 Nuove crisi
2.13 La fine della prima fase
p. 7
p. 7
p. 9
p. 11
p. 12
p. 14
p. 15
p. 16
p. 19
p. 21
p. 23
p. 25
p. 27
PARTE II
LA NATO E LA SICUREZZA COLLETTIVA
Capitolo Terzo
Capitolo Quarto
LA «SECONDA» NATO NEGLI ANNI NOVANTA
3.1 L’inizio della seconda fase
3.2 Il Vertice di Roma e il Concetto
Strategico del 1991
3.3 Altri elementi della nuova fase
3.4 La crisi nei Balcani
3.5 In preparazione all’allargamento dell’Alleanza
p. 29
p. 30
p. 33
p. 34
p. 37
IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NATO
4.1 Il Vertice di Washington del 1999
p. 43
4.2 La Dichiarazione di Washington
p. 46
4.3 Il Concetto Strategico del 1999
p. 47
Capitolo Quinto
LE NUOVE SFIDE
5.1 L’11 settembre 2001 e l’articolo 5 del Patto
5.2 Le conseguenze e la lotta
al terrorismo internazionale
p. 51
p. 54
Capitolo Sesto
IL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE
6.1 Il Vertice di Praga e l’allargamento
6.2 Le divisioni provocate dalla seconda guerra in Iraq
6.3 Il Vertice di Istanbul e la coesione ritrovata
6.4 Il Vertice di Riga e la Direttiva Politica
Capitolo Settimo
IL DIBATTITO SUL SIGNIFICATO ATTUALE DELLA NATO
7.1 Il futuro dell’Alleanza
p. 73
7.2 Un ruolo più politico
p. 76
7.3 La morte della NATO
p. 81
7.4 L’influenza della politica estera americana
p. 83
7.5 La “NATO globale”: favorevoli e contrari
p. 86
7.6 Il ruolo attuale
p. 88
7.7 Le ipotesi sulla NATO del futuro
p. 93
7.8 Il Vertice di Bucarest
p. 97
p. 57
p. 62
p. 65
p. 67
PARTE III
CASI DI STUDIO
Capitolo Ottavo
Capitolo Nono
LA COOPERAZIONE ALLA DIFESA –
IL RUOLO DELL’ITALIA NELLA NATO
8.1
Siamo una media potenza
8.2
Che NATO ci conviene
8.3
Quale ruolo per l’Italia
8.4
Un italiano alla Presidenza del Comitato Militare
8.5
Il contributo italiano in cifre
p. 101
p. 102
p. 105
p. 108
p. 109
I RAPPORTI NATO-RUSSIA
9.1
Evoluzione dei rapporti
9.2
L’Atto Fondatore
9.3
Dieci anni di partenariato
9.4
Una nuova qualità nelle relazioni
9.5
Il Trattato CFE
9.6
La difesa antimissile
9.7
Tensione nei rapporti
9.8
La Russia ha un nuovo Presidente
p. 113
p. 113
p. 115
p. 118
p. 122
p. 124
p. 128
p. 134
Conclusioni
p. 137
Appendice
p. 141
Bibliografia
p. 143
Introduzione
La presente ricerca si occupa del ruolo che attualmente riveste la NATO nello scenario
internazionale. L’idea nasce dalle continue trasformazioni che l’Organizzazione ha
vissuto a partire dalla Guerra Fredda e dal tentativo di adattarsi ad un contesto diverso
da quello in cui ha avuto origine, generato dalla scomparsa dell’avversario principale,
l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia. Il dibattito circa la prospettiva di un futuro per
l’Alleanza Atlantica in un sistema che muta velocemente è al centro di questo lavoro.
In particolare, ci si interroga sul modo in cui la NATO ha affrontato il periodo postGuerra Fredda, a partire dagli anni Novanta, e che ruolo abbia avuto nella
stabilizzazione dei Balcani, attraverso le prime azioni di combattimento alleate in
un’area non direttamente coperta dal Patto. Analizzando il documento prodotto al
Vertice di Washington che celebrava i cinquant’anni dell’Alleanza, si è cercato di capire
se l’Organizzazione sia riuscita a cucirsi addosso un nuovo ruolo. L’11 settembre 2001
e l’intervento unilaterale americano nelle prime fasi della guerra al terrorismo
internazionale hanno modificato anche la vita della NATO. Si è cercato di capire come
abbia reagito l’Organizzazione a questo drammatico evento e se sia riuscita a trovare
posto nel mutato scenario internazionale. È stato analizzato poi il processo di
trasformazione che la NATO ha portato avanti con maggiore forza attraverso una serie
di Vertici, a partire da quello di Praga, cercando di evidenziare gli obiettivi decisi di
volta in volta. È stata trattata la crisi sulla questione irachena del 2003 che ha prodotto
una spaccatura nell’Alleanza e ci si è domandati quali conseguenze da essa siano
scaturite. Dunque, in merito al dibattito sul significato attuale della NATO, si è tentato
di esporre le diverse prospettive in termini di una maggiore o minore politicizzazione e
riguardo alle ipotesi sugli assetti futuri dell’Organizzazione, cercando di comprendere le
tendenze attuali circa le prospettive di evoluzione dell’Alleanza.
La ricerca si è basata su fonti documentarie relative alle dichiarazioni ed agli interventi,
soprattutto, dei diversi Segretari Generali della NATO, tratte principalmente dal sito
ufficiale dell’Organizzazione. In merito si è ritenuto particolarmente utile l’impiego di
questa fonte estremamente ampia ed aggiornata, tramite cui si può accedere anche alle
pubblicazioni delle varie Divisioni della NATO; ad esempio, la NATO Public
Diplomacy Division produce presentazioni e approfondimenti come “La NATO nel XXI
secolo”. Sono state utilizzate le Dichiarazioni dei Vertici dei Capi di Stato e di Governo
della NATO più significativi, dai quali sono state tratte le informazioni relative agli
indirizzi e i compiti che l’Organizzazione di volta in volta si è data. Di notevole
interesse è risultato essere il sito ufficiale del Cremlino, da cui sono state tratte le
dichiarazioni del Presidente russo citate in particolare nel caso di studio relativo al
rapporto NATO-Russia. Importante è stata la consultazione della Rivista di Studi
Politici Internazionali per quanto riguarda alcune Dichiarazioni, Comunicati e articoli
relativi ai periodi più addietro. Importante l’utilizzo della rivista Affari Esteri, da cui
sono stati tratti numerosi articoli, alcuni piuttosto recenti e di grande interesse, tra cui
diversi articoli di Maurizio Moreno1, utilizzati anche nell’analisi del processo di
trasformazione dell’Alleanza, e di Piero Sinatti2, di cui ci si è serviti in riferimento al
rapporto NATO-Russia. Nell’ambito della ricerca sono stati di grande utilità i siti
ufficiali del Comitato Atlantico Italiano e della Rappresentanza Permanente d’Italia
presso il Consiglio Atlantico, dai quali si possono ricavare articoli, notizie, studi,
interventi e documenti sugli argomenti principali, ad esempio, “Balcani”,
“Mediterraneo”, “Terrorismo”, in relazione alla NATO. Dal sito ufficiale del Senato
1
2
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, Affari Esteri, a. XXXVIII, n. 150, (2006)
Piero Sinatti, La Russia e i rapporti Est-Ovest, Affari Esteri, a. XXXIX, n. 155 (2007)
I
della Repubblica sono stati utilizzati due dossier, particolarmente rilevante l’ultimo,
pubblicato lo scorso marzo, di Alessandro Marrone3, molto utile ed aggiornato. Per
quanto concerne la storiografia, interessante è sta l’opera di Massimo De Leonardis4
che, tuttavia, risente del fatto che dal momento della sua pubblicazione (2001), molti
fatti sono accaduti e la trasformazione dell’Alleanza ha proceduto in diversi settori.
Altrettanto vale per l’opera di Giovagnoli e Tosi5, la quale da ampio spazio al rapporto
atlantico dell’Italia. Per quanto riguarda la manualistica sulla NATO si è notata
un’ampia disponibilità di argomenti fra le pubblicazioni estere, tuttavia, non sempre
prontamente accessibili. Tra le riviste utilizzate, alcune già citate, emerge la Rivista
della NATO, sia nella sua versione in inglese, più aggiornata, che in quella in italiano.
Numerosi articoli sono stati utilizzati in questa ricerca, per l’ampiezza degli argomenti
che essi trattano e per l’autorevolezza di alcuni autori. Molto spesso, infatti, si tratta di
persone di grande esperienza, piuttosto che studiosi, oppure, esponenti della struttura
dell’Alleanza. Non è stata riscontrata eccessiva faziosità, considerando che la rivista è
una fonte di divulgazione delle informazioni della NATO. Ad esempio, si è lasciato
spesso spazio ad interviste o articoli dei leaders politici dei vari Paesi che hanno
rapporti con l’Alleanza, e si pubblicano dibattiti con posizioni contrastanti, come quello
sul tema di una maggiore politicizzazione della NATO6.
La presente Tesi è strutturata in tre Parti. La prima è stata elaborata per dare un
fondamento storico delle vicende che hanno determinato la nascita dell’Alleanza
Atlantica. Sono state ripercorse le tappe fondamentali del rapporto alleato e gli eventi
che hanno caratterizzato il periodo della Guerra Fredda. Questa prima parte si conclude
con la riunificazione della Germania e i fatti a cavallo tra il 1989-1990. La seconda
Parte costituisce il cuore della Tesi. Vengono ripercorsi gli anni Novanta in chiave
alleata, ponendo particolare attenzione sugli appuntamenti più importanti per la NATO,
come il Vertice di Roma del 1991 e l’approvazione del Concetto Strategico, fino al
cinquantesimo anniversario dell’Alleanza, con il Vertice di Washington del 1999 e il
nuovo Concetto Strategico. È stato poi analizzato il punto di svolta costituito
dall’attacco terroristico avvenuto negli Stati Uniti nel settembre 2001, e le relative
conseguenze sul piano dell’attivazione del casus foederis del Patto e dell’inizio di un
processo di trasformazione e di adattamento necessario per far sì che la NATO potesse
rimanere vitale e credibile. Nel Capitolo Settimo si è affrontato il dibattito relativo al
significato attuale della NATO, cercando di dare spazio alle diverse posizioni e ipotesi
sulla NATO del futuro. È stato possibile accennare soltanto in prospettiva i temi che
verranno trattati al Vertice di Bucarest, del 3-4 aprile 2008, a causa di una non
corrispondenza con i tempi di stampa di questo lavoro. Sono state, tuttavia, utilizzate
varie fonti, ritenute autorevoli, tramite le quali è stato presentato l’argomento. La Terza
Parte è costituita dallo studio di due casi. Si è scelto di analizzare il ruolo dell’Italia
nella cooperazione alla difesa all’interno della NATO come esempio di Paese membro e
pienamente inserito nel processo di pianificazione e decisione alleato, ponendo
l’attenzione sull’interesse italiano nei confronti dell’Organizzazione e sulla portata del
suo contributo. Il secondo caso di studio è relativo alla Russia, nell’ambito delle
relazioni con la NATO, scelto come esempio di partner dell’Alleanza, particolarmente
attuale per quanto riguarda la questione dello scudo antimissili statunitense e le
implicazioni nei rapporti con i Paesi della NATO o con quei Paesi che hanno
3
Alessandro Marrone, La Nato verso il vertice di Bucarest, Dossier XV Legislatura, n. 88, marzo 2008,
www.senato.it/documenti/repository/lavori/affariinternazionali/approfondimenti/88%20per%20sito.pdf
4
Massimo De Leonardis, a cura di, La nuova Nato: i membri, le strutture, i compiti, il Mulino, Bologna,
2001
5
Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, Un ponte sull’Atlantico, Guerini e Associati, Milano, 2003
6
Espen Barth Eide e Frédéric Bozo, La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più politico?, Rivista della
NATO, primavera 2005, www.nato.int/docu/review/2005/issue1/italian/debate_pr.html
II
manifestato di volervi aderire. Inoltre, è stato considerato che si tratta di un partenariato
estremamente delicato e suggestivo, soprattutto in vista di possibili cambiamenti degli
equilibri strategici in Eurasia, con importanti potenzialità rispetto al dialogo tra gli
alleati ed un soggetto internazionale sempre più importante, potenza nucleare ed
energetica, concorrente rispetto all’Occidente anche dal punto di vista ideologico, ad
esempio, con il concetto di “democrazia sovrana” approvato dal Cremlino. Attraverso
questi due esempi, si è voluto osservare l’orizzonte delle possibilità nelle relazioni in
ambito NATO, cercando di capire quale apporto la NATO offre alle relazioni
internazionali.
Questo lavoro è stato reso possibile grazie al contributo ottenuto in forma di borsa di
studio erogata dall’Ente Regionale per il diritto allo Studio Universitario e dalla
Regione Autonoma della Sardegna, in favore di giovani che svolgano Tesi di Laurea sui
problemi della cooperazione internazionale per l’Anno Accademico 2006/2007. Tramite
la borsa è stato possibile effettuare un breve periodo di ricerca all’estero presso la NATO
Library, all’interno della sede del Quartier Generale della NATO a Bruxelles.
Un’esperienza davvero utile ai fini di questo lavoro, considerato anche che, per ragioni
di sicurezza e di copyright, molte sono state le limitazioni al prelievo del materiale
pubblicato, o all’utilizzo di strumenti informatici esterni alla Biblioteca, mentre è
generalmente libera la consultazione in loco. Si vuole sottolineare, tuttavia, la
disponibilità della Signorina Jeanine Willo, Library Assistant presso la Biblioteca.
Proficua è stata la consultazione della documentazione e delle pubblicazioni disponibili
presso la Biblioteque Royale di Bruxelles, molto ben fornita. Di grande interesse e di
notevole utilità è stata altresì la visita presso la Biblioteca del Centro Alti Studi per la
Difesa (CASD), sita presso Palazzo Salviati a Roma, dotata di pubblicazioni
specialistiche, per la quale si deve sottolineare la disponibilità degli addetti.
III
IV
PARTE I
INTRODUZIONE STORICA
Capitolo Primo
LA STORIA
1.1
UNA RIFLESSIONE SUI RAPPORTI TRANSATLANTICI
Il dibattito sul ruolo attuale della NATO ha proposto una nuova riflessione sulla
parabola storica che generalmente ricostruiva le vicende di questa organizzazione.
Nel loro lavoro, Giovagnoli e Tosi hanno analizzato il rapporto transatlantico. Per i
primi quarant’anni, affermano, è stato dominante il quadro della Guerra Fredda. Il
sopravvivere dell’Organizzazione a questa fase bipolare ha messo in luce l’esistenza di
elementi di continuità che esistevano prima del 1949 e dopo il 1989. La
reinterpretazione, sostengono, deve trovare le sue radici nel periodo precedente e, pur
non sottovalutando la fase suddetta, spingersi oltre. Il principale elemento di continuità,
affermano gli autori, è il rapporto tra gli Stati Uniti e i Paesi europei, che precede
l’Alleanza Atlantica. Dalla prima guerra mondiale in poi, passando per l’alleanza
antihitleriana, il rapporto fra le due sponde è andato rafforzandosi, con un andamento
altalenante, per ritornare ad essere rilevante dopo il 1989. Al di là del giudizio sul tipo
di rapporto (imperialismo americano, interruzione forzata dei rapporti fra l’Europa
Occidentale e l’Europa Orientale, oppure, necessità di condivisione degli interessi
europei con quelli atlantici in funzione anticomunista, etc…), le vicende del periodo
1949-1989, sono una fase di una storia più lunga. Le fluttuazioni del rapporto euroamericano sono esistite anche precedentemente al crollo del muro di Berlino e alla
scomparsa della minaccia sovietica ma lo scontro ideologico metteva in ombra le
divergenze. Queste ultime, emerse puntualmente nel periodo successivo, hanno le loro
radici ben prima. 7
Hegemons rise and fall. Wars are often the result of this process of rise and fall; the wars in
turn to speed up the process enormously. When a new victorious hegemon then emerges, other
Great Powers often balance against it; another war may follow and the cycle starts over again.8
Secondo G. Lundestad, alcuni fattori sono particolarmente importanti per spiegare lo
squilibrio egemonico a favore degli Stati Uniti nel XX e XXI secolo. Primo, la forza
schiacciante degli Stati Uniti raggiunta durante la storia; secondo, la forte divisione dei
potenziali concorrenti degli Stati Uniti; terzo, la posizione geografica degli USA;
quarto, lo squilibrio è influenzato dalla percezione dell’egemonia americana che hanno
le altre potenze; infine, potrebbe essere troppo presto per giudicare effetti di lungo
periodo sul sistema internazionale del post-Guerra Fredda.9 Per l’autore è importante
capire come gli USA siano stati “invitati” nel contesto europeo. Secondo questa tesi,
durante la prima guerra mondiale sia la Gran Bretagna che la Germania erano interessati
agli ideali di pace americani. E alla fine della guerra, la Germania, perdente, chiese al
Presidente W. Wilson di negoziare l’armistizio che avrebbe portato al trattato di pace
7
Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, Un ponte sull’Atlantico, Guerini e Associati, Milano, 2003, pp. 9-10.
Geir Lundestad, «Empire» by Invitation. The United States and Western Europe: Past, Present and
Future, in Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, “Un ponte sull’Atlantico”, cit., p. 21.
9
Ivi, pp. 21-26.
8
1
sulla base dei “14 punti”. L’iniziativa di pace fece degli USA l’arbitro fra le parti in
guerra. Questo ruolo piacque anche alla Francia del Primo Ministro George Clemenceau
che adottò la proposta, del marzo 1919, che il Primo Ministro britannico Lloyd George
fece a Wilson, degli anglo-americani come garanti contro la Germania in caso di una
sua aggressione alla Francia. Questo “invito” agli USA non trovò realizzazione a causa
della mancata ratifica al Senato statunitense. Il trattato franco-americano giunse nei tardi
anni Venti con il Patto Briand-Kellogg, una denuncia multilaterale della guerra in
generale. Ma anche la Gran Bretagna era fortemente interessata all’impegno
statunitense in Europa, anche dal punto di vista economico (la trasformazione
dell’economia di guerra), con la creazione di consigli inter-Alleati che si sarebbero
occupati della fornitura di armi, materie prime, etc., in vista della trasformazione in
agenzie della ricostruzione. Ma come tutte le altre ipotesi di invito esplicito agli
americani di giocare un ruolo politico-militare ed economico in Europa, scrive l’autore,
fu respinta. Questo non significò un totale isolamento dell’America dall’Europa, essa fu
invece un importante attore economico, con investimenti che raddoppiarono nel periodo
1919-1929. La maggior parte degli europei aveva delle riserve circa il ruolo e
l’influenza degli Stati Uniti. Quest’ultimi si trovarono nel 1945 ad avere il ruolo di
super-potenza come mai fino ad allora. La forza economica, il suo messaggio popolare
nel mondo, la superiorità militare, scrive l’autore, permisero di portare avanti con
successo i propri interessi. Sebbene i critici sostengano che la politica estera americana
fosse condotta esclusivamente attraverso il perseguimento dei propri interessi,
Lundestad sostiene che questa affermazione ovvia debba essere completata dagli
“inviti” europei ai quali l’America rispose affermativamente, diversamente da quanto
aveva fatto precedentemente. Anche perché, gli “inviti” del post-seconda guerra
mondiale erano molto più insistenti, con il supporto dell’opinione della popolazione
coinvolta. Nel secondo dopoguerra gli USA erano l’unica principale fonte di credito e
gli stati europei occidentali necessitavano dell’assistenza economica che poteva derivare
dal governo americano. Anche alcuni stati dell’Europa centrale e orientale erano
interessati a quei fondi, ma l’influenza sovietica non permise la loro partecipazione al
Piano Marshall. Sia la Gran Bretagna che la Francia volevano che gli Stati Uniti
stabilizzassero la loro presenza in Europa, come affermava il Generale Charles de
Gaulle in una nota dell’aprile 1945. Sul piano militare, il Segretario agli Esteri
britannico Ernest Bevin, alla fine del 1947 – inizi 1948, condusse una campagna per
inserire gli USA in un sistema di sicurezza Atlantico, allora ancora sostenuto dai
tedeschi e progressivamente dai belgi. Anche i francesi erano interessati, e nel dicembre
del 1947, dopo alcuni sforzi per stabilire dei contatti, il Ministro degli Affari Esteri
Atlantici Georges Bidault chiese agli americani di concludere un accordo militare
segreto con la Francia in difesa dell’Europa occidentale. Il 4 marzo 1948, Bidault
domandò a Washington
“to strengthen in the political field, and as soon as possible in the military one, the
collaboration between the old and the new worlds, both so jointly responsible for the
preservation of the only valuable civilization”. 10
Il punto di vista britannico era maggiormente concentrato verso una più ampia struttura
atlantica, mentre Parigi era interessata ad un’assistenza militare diretta alla Francia. Il
risultato fu il medesimo, afferma Lundestad, ovvero, la richiesta di un maggiore
coinvolgimento in Europa, anche sul piano militare. Nei negoziati che portarono alla
creazione della NATO, gli europei volevano che l’assistenza americana operasse nella
maniera più automatica possibile. E dopo la nascita dell’Organizzazione, gli europei
vollero che gli Stati Uniti rinforzassero le proprie truppe in Europa e si creasse una
struttura di comando integrato. Sebbene non si possa negare che gli “inviti” europei non
10
2
Ivi, p. 35.
abbiano costretto gli Stati Uniti ad agire in un certo modo, afferma l’autore, certamente
si può affermare che la costituzione della NATO sarebbe quantomeno stata ritardata se
non vi fosse stata la forte richiesta di un coinvolgimento statunitense in Europa da parte
degli stessi europei. Gli appelli europei non erano da soli in grado di determinare un
mutamento negli interessi e negli atteggiamenti statunitensi ma hanno probabilmente
velocizzato un processo a cui gli americani erano già interessati. 11
Riferendosi alle origini dell’Alleanza, Pietro Quadroni scrisse:
le origini sono appunto nel blocco di Berlino: a quel momento la situazione militare sul
continente europeo era la seguente: da parte russa 27 divisioni in pieno assetto di guerra,
stanziate in Germania o nei Paesi satelliti […]. Da parte alleata, se si tiene conto delle divisioni
aventi un valore militare effettivo comparabile a quello delle divisioni russe, un divisione e
12
mezza.
Quadroni sostiene che Bidault e Bevin, ovvero la Francia e la Gran Bretagna,
supplicarono l’America di garantire l’integrità della frontiera nazionale: «ho letto con i
miei occhi le lettere dirette a Washington da Londra e Parigi e quando dico supplicato
dico il minimo che si può dire». Queste città, prosegue, hanno pregato gli Stati Uniti di
assumersi l’incarico di difenderle da un eventuale attacco sovietico, una volta constatata
l’incapacità delle proprie forze, anche congiunte. L’America, dunque, accettò ma con
l’accordo che la difesa sarebbe stata in collaborazione, nei limiti delle capacità di
ciascuno. E l’impegno europeo, scriveva Quadroni, è stato inferiore alle proprie
possibilità. Pertanto, ritornando sul senso delle origini dell’Alleanza, Quadroni scrive:
«non è un’alleanza nel senso stretto della parola; si potrebbe forse meglio definirla un
trattato di protezione cooperativa liberamente richiesto e liberamente accettato».13
Anche Ennio di Nolfo mette in discussione i tradizionali schemi interpretativi basati
sulla subordinazione dell’Europa agli Stati Uniti. Non parla di un “impero su invito”
come Lundestad ma, in un’ottica di lungo periodo, sottolinea la necessità degli USA di
tutelare il proprio predominio economico, anche con un legame politico con l’Europa
Occidentale che affermasse le regole della democrazia e dell’economia di mercato. Lo
storico mette in evidenza come, ipotizzando di costruire un diagramma della presenza
americana sull’Europa, occorra separare l’aspetto economico da quello politico. La
presenza economica ha un andamento lineare crescente dal 1989, mentre quella politica
ha un andamento variabile, a partire dal 1905 (Trattato di Portsmouth, conflitto russogiapponese, che gli USA contribuiscono a risolvere). A partire dalla prima guerra
mondiale, la dominazione degli Stati Uniti sull’Europa crebbe, scrive Di Nolfo, mentre
il periodo della Guerra Fredda rappresentò un’accelerazione di un processo già in atto.
Sul piano politico, in un’Europa distrutta dalla guerra, la costituzione del Patto
Atlantico, su “invito” europeo, e della NATO, frutto della volontà americana,
rappresentano un episodio circoscritto quanto importante di una storia lunga già quasi
un secolo. La data di riferimento dell’analisi storico-politica del fenomeno è il 1941, con
la legge “Affitti e Prestiti” e i suoi postulati di liberismo commerciale, che indica il
fondamento dell’azione americana per sostituire il dominio degli USA a quello degli
imperi tradizionali. Il biennio 1946-47 indica la svolta preparatoria e preliminare
rispetto alla nascita della NATO, sul piano politico-diplomatico. Di Nolfo fa risalire
quest’ultimo piano al 1945, quando il Ministro degli Esteri sovietico V. Molotov illustrò
ufficialmente una richiesta di prestito all’Unione Sovietica. Si creava una situazione di
possibile collaborazione ma diffidente, soprattutto, quando si apprese che le truppe
americane sarebbero rimaste in Europa dopo la guerra ben più dei due anni promessi da
11
Ivi, pp. 26-36.
Pietro Quadroni, Le alleanze nel passato e nel presente: il Patto Atlantico, Rivista di Studi Politici e
Internazionali, a. XXVI (1959), p. 18.
13
Ivi, pp. 18-21.
12
3
Roosevelt. Stalin comprese che dietro la rinnovata proposta, stavolta americana, in un
periodo in cui la discussione fra gli alleati di guerra era accesa ma non conflittuale (20
settembre 1945), c’era un «rischio strategico». Ovvero, modificare la situazione
dell’accordo anglo-sovietico elaborato a Mosca da Churchill e Stalin (1944) del
condominio anglo-sovietico sull’Europa postbellica, per creare un nuovo equilibrio
garantito dalla presenza militare americana per il successivo quarto di secolo. Stalin
intendeva controllare l’Europa postbellica con una partecipazione britannica blanda. Di
Nolfo vede in questo momento di percezione di Stalin, il punto di rottura, ufficialmente
segnato con il discorso del febbraio del 1946 sull’inevitabilità della guerra tra sistema
capitalistico e sistema socialista. Gli Stati Uniti si rendono sempre più conto della
necessità di una dominanza anche politica sull’Europa non occupata da truppe
sovietiche, senza bisogno di “invito”. 14
1.2
L’AMERICA GUARDA ALL’ESTERNO
In un articolo che analizza la Guerra Fredda, Brzezinski scriveva che tra il 1945-1947
gli USA e l’URSS non avevano ancora «una politica ben definita e sostenuta da un
saldo supporto interno». Cioè, scrive, vi erano scontri all’interno. Tuttavia, «il contesto
internazionale in cui l’emergente ostilità si andava cristallizzando trovava l’America in
vantaggio palese». L’URSS, affermava Brzezinski, usciva dalla guerra con un prestigio
accresciuto e con dei partiti comunisti influenti e asserviti, ad esempio, in Francia e in
Italia. Ma a un livello di posizionamento nel mondo «era tuttavia assai inferiore a quella
degli Stati Uniti». L’America aveva una forte presenza nell’Occidente, e in Africa e
Medio Oriente il controllo era in mano ai suoi alleati. Anche in Oriente «il Giappone era
soggetto all’esclusiva occupazione americana». Inoltre, gli USA avevano incrementato
il proprio prodotto nazionale lordo, mentre l’URSS aveva avuto grandi sofferenze dalla
guerra. A livello politico, dunque, gli USA erano avvantaggiati ma sul piano militare la
questione era più incerta. La smobilitazione sovietica, scrive Brzezinski, a contrario di
quella americana, fu attuata segretamente per ragioni politiche. Questo portò alla
sovrastima della forza militare sovietica che condusse al mantenimento della distanza in
quel periodo.15
L’espressione della coscienza del compito che gli Stati Uniti dovevano assumersi nel
mondo emerge nel discorso del Presidente Truman del 6 marzo 1947, il quale affermava
che di fronte ad un futuro incerto, in cui le economie erano state sconvolte dalla guerra e
regnava l’incertezza, gli Stati Uniti avrebbero dovuto, volenti oppure no, data la
possibilità di condizionare le relazioni economiche future, assumere una leadership
mondiale. Di Nolfo afferma che oltre al fatto di essere già presenti sul territorio, gli
americani avevano ben chiaro come il ruolo di guida sarebbe stato il logico passo
successivo verso la loro “dominazione” nell’area non sotto influenza sovietica, senza
che fossero necessari “inviti” europei. Il Piano Marshall (enunciato il 5 giugno 1947)
attuato nella primavera del 1948, fu il risultato della campagna americana a
dimostrazione della necessità di intervenire in Europa per favorire la ripresa economica.
Questo, andava a vantaggio in primis degli interessi americani rispetto al nuovo ruolo
degli Stati Uniti nel Mondo. Il Piano Marshall, scrive Di Nolfo, era la precondizione per
la rinascita di un sistema di scambi internazionali efficace ed efficiente, non basato su
donazioni e prestiti ma su scambi effettivi. La ricostruzione europea era il presupposto
di questo scambio, perciò essa era, ad un tempo, lo strumento per favorire l’uscita
dell’Europa dalla crisi postbellica ma anche per consentire agli Stati Uniti che la loro
14
Ennio Di Nolfo, Europa e Stati Uniti tra il 1945 e il 1989, in Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, “Un
ponte sull’Atlantico”, cit., pp. 49-57.
15
Zbigniev Brzezinski, Come fu giocata la guerra fredda, Affari Esteri, a. IV, n. 16 (1972), pp. 7-9.
4
supremazia non si esercitasse verso un continente pauperizzato bensì verso un partner
effettivamente capace di percepire le condizioni del multilateralismo.16
Fra il 1948-1952 le posizioni fra Unione Sovietica e Stati Uniti si cristallizzarono. Gli
USA avevano assunto la responsabilità degli impegni inglesi in Grecia e Turchia e si
erano messi alla guida della formulazione della strategia dell’Occidente, scrive
Brzezinski. Attraverso il “contenimento” si doveva bloccare l’espansione sovietica con
mezzi militari e politici, ciò avrebbe dovuto produrre una rottura del sistema sovietico. I
sovietici, da parte loro, accelerarono la subordinazione dell’Europa Orientale. 17
In un suo articolo, Stanley R. Sloan, direttore della Atlantic Community Initiative, scrive
che nel 1947, quando fallirono i negoziati quadrilaterali sul futuro della Germania, tra
Francia, URSS, Regno Unito e USA, il Ministro degli Esteri britannico, E. Bevin,
universalmente riconosciuto come il padre del Trattato di Washington e il promotore di
ciò che divenne l’articolo 5, si convinse che le potenze occidentali si sarebbero dovute
organizzare per difendersi dalla ambizioni di Stalin. Inizialmente, il Presidente
americano Truman e il Segretario di Stato Marshall non erano convinti di dover
partecipare ad un’alleanza in difesa dell’Europa e sapevano che il Congresso con molta
probabilità non avrebbe approvato nessun trattato di questo genere.18
Intanto, il 17 marzo 1948 venne conclusa l’Alleanza di Bruxelles fra Regno Unito,
Francia e Benelux. La tensione fra il blocco occidentale e quello sovietico era cresciuta
e le Nazioni Unite non erano riuscite a realizzare il sistema di sicurezza collettiva
previsto. Tuttavia, i membri del patto non avevano una sufficiente dotazione di mezzi e
con il blocco di Berlino, l’aggravarsi della situazione internazionale portò gli Stati Uniti
a vagliare l’ipotesi di un sistema difensivo più vasto in cui essi fossero dei partecipanti
diretti.19 Infatti, scrive Stanley R. Sloan, soltanto cinque giorni dopo la firma del Patto
di Bruxelles alcuni alti funzionari canadesi, inglesi e americani cominciarono a riunirsi
segretamente al Pentagono. Stavolta furono i funzionari americani a preparare un
progetto di trattato. Il 24 marzo presentarono un memorandum che sosteneva l’idea di
un patto di sicurezza per l’area nord atlantica, che considererebbe un attacco ai membri
del Trattato di Bruxelles come un attacco contro gli USA, in conformità all’art. 51 della
Carta dell’ONU. Occorreva trovare il consenso in Congresso, nel quale contemporaneamente agli incontri segreti erano stati stabiliti alcuni importanti contatti.20
1.3
LA PROPOSTA VANDENBERG
La politica volta ad evitare di stringere “alleanze vincolanti” con le potenze europee
aveva portato alla mancata adesione degli USA al Patto di Bruxelles, nonostante che
Truman avesse espresso il proprio favore al Patto stesso. Ma i governi europei
occidentali avevano bisogno dell’impegno formale militare statunitense a difesa
dell’Europa dal comunismo, senza il quale non ci sarebbe stato un effetto deterrente.
Bernard L. Montgomery, comandante supremo delle forze del Patto di Bruxelles,
lamentava l’impossibilità di competere con la forza militare sovietica. Truman, da parte
sua si domandava se fosse realmente necessario un’adesione formale ad un’alleanza
militare in tempo di pace. Il Congresso, nonostante gli ostacoli politici, fu suscettibile
alle argomentazioni del Senatore Vandenberg che sottolineavano le naturali affinità e i
comuni interessi strategici tra i due continenti, accettando l’idea che la prima linea per
la difesa della democrazia non era l’Oceano Atlantico ma il fiume Elba che divideva le
16
Ennio Di Nolfo, Europa e Stati Uniti tra il 1945 e il 1989, cit., pp. 58-59.
Zbigniev Brzezinski, Come fu giocata la guerra fredda, cit., pp. 9-10.
18
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, Rivista della NATO, estate 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue2/italian/art4.html
19
Ennio Di Nolfo, Europa e Stati Uniti tra il 1945 e il 1989, cit., pp. 54-57.
20
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, cit.
17
5
due Germanie. 21 L’11 giugno 1948, su proposta del Senatore Vandenberg, il Senato
americano votò una risoluzione che, attuando un svolta rivoluzionaria nel quadro della
politica estera americana tradizionalmente legata al principio del “no entangling
alliances”, la tradizionale posizione americana nei confronti dei vincoli di alleanza con
Paesi stranieri, auspicava, fin dal tempo di pace, l’associazione degli Stati Uniti alle
intese collettive basate sul principio dell’autodifesa e del reciproco aiuto.22
La Risoluzione Vandenberg tende a sottolineare che l’intera materia resta soggetta ai
principi della Carta dell’ONU e che gli Stati Uniti devono riaffermare l’uso delle
Nazioni Unite per perseguire la politica di pace e sicurezza internazionale, in modo che
le forze armate vengano usate solo per interesse comune. Inoltre, il Presidente dovrà
essere informato sugli obiettivi che il Senato intende perseguire, nel rispetto della Carta
ONU, ad esempio, il progressivo sviluppo di accordi regionali e collettivi di difesa
individuale o collettiva, nel rispetto della Carta ONU; oppure, associazione degli Stati
Uniti, in base al processo costituzionale, con quegli accordi regionali e collettivi basati
su un meccanismo continuo di aiuto automatico e di mutuo intervento, e che riguardano
la propria sicurezza nazionale. 23
Le parole del Senatore Vandenberg influenzarono le votazioni e ottennero il rispetto
nazionale e internazionale per il suo approccio, da uomo di stato ma non di parte, nella
costruzione del consenso.24
La crisi di Berlino rese evidente l’importanza della leadership americana mentre il
Piano Marshall era minacciato dal clima di insicurezza. Dunque, occorreva
un’assistenza militare a supporto degli aiuti economici. Tutto il 1948 impegnò i governi
europei occidentali in discussioni volte a definire la natura dell’impegno americano e
l’area di protezione che, su suggerimento britannico, fu allargata al Canada, alla
Scandinavia e al Mediterraneo settentrionale, oltre che comprendere, naturalmente, gli
Stati Uniti e i Paesi del Patto di Bruxelles. Per poter essere meglio accettata dai
parlamenti dei possibili stati membri, l’accento veniva posto sull’aspetto difensivo
collettivo dell’alleanza. 25
I governi europei occidentali premevano sulla firma di un trattato che contenesse lo
stesso impegno di difesa collettiva che era presente nel Trattato di Bruxelles,
impegnando il Canada e gli Stati Uniti in maniera automatica in caso di attacco contro
uno qualsiasi dei membri del patto. Tuttavia, gli USA sapevano che il Congresso non
avrebbe approvato questo tipo di impegno e optarono per un testo simile al Trattato di
Rio, che prevedeva l’assistenza in caso di attacco ma non prevedeva esplicitamente
l’azione armata. Ma questo tipo di impegno non avrebbe risposto alle esigenze degli
europei. 26
21
Smith Joseph, La guerra fredda, il Mulino, Bologna, 2000, pp. 45-47.
Cassoni Giuseppe, L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Dott. A. Giuffrè Editore,
Milano, 1967, p. 1.
23
The Vandenberg Resolution, Senate Resolution 239, 80th Congress, 2nd Session, llth June 1948,
www.nato.int/archives/1st5years/appendices/3.htm
24
Arthur Vandenberg Dies, www.senate.gov/pagelayout/history/one_item_and_teasers/1941.htm
25
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., p. 47.
26
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, cit.
22
6
Capitolo Secondo
LA PRIMA FASE
2.1
LA FIRMA DEL PATTO
Secondo De Leonardis, l’Alleanza Atlantica nacque dal timore della minaccia
ideologica, politica e militare del comunismo internazionale e dell’Unione Sovietica,
dopo un processo che ha portato alla sostituzione della Gran Bretagna da parte degli
Stati Uniti.27 Il clima di tensione dovuto al blocco di Berlino accompagnò la
negoziazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, o Patto Atlantico (luglio 1948 –
marzo 1949). Essa seguiva agli incontri preliminari tra Stati Uniti, Gran Bretagna e
Canada che, in riferimento alla situazione militare in Europa, avevano deciso per la
costruzione di un’alleanza allargata rispetto a quella già esistente, ovvero, al Patto di
Bruxelles. Il contenuto del Patto fu reso noto prima della firma, in modo da rassicurare
l’opinione pubblica e agevolarne la ratifica. Il Trattato fu firmato a Washington il 4
aprile 1949 da USA, Canada, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo,
Portogallo, Italia, Norvegia, Islanda e Danimarca, ed entrò in vigore il 24 agosto. A
parte i membri del Patto di Bruxelles, USA e Canada, gli altri stati furono coinvolti
marginalmente nelle negoziazioni e l’Italia non ebbe modo di esprimere ufficialmente il
proprio parere. I punti da discutere erano molto importanti. Ad esempio, si dovevano
decidere i criteri per poter far parte dell’alleanza, ovvero essere Paesi che
condividessero istituzioni e valori politici, per poter perseguire l’obiettivo di
fronteggiare un certo tipo di organizzazione politica e dell’economia. Inoltre, si doveva
discutere la collocazione geografica dei Paesi strategici per l’alleanza e definire il casus
foederis. Sul tema Italia, Gran Bretagna e Francia avevano atteggiamenti opposti. La
prima voleva escludere l’Italia a causa della sua instabilità politica in modo da avere
un’alleanza maggiormente atlantica e rappresentare il partner privilegiato con gli Stati
Uniti. La Francia, invece, voleva includere l’Italia in modo che l’area di difesa si
estendesse fino alle colonie francesi sulle sponde mediterranee dell’Africa. Gli USA
accolsero la tesi francese proprio perché preoccupati dell’instabilità politica italiana e
convinti del valore strategico del nostro Paese nel Mediterraneo. Sul casus foederis,
Canada e Stati Uniti erano contrapposti alla visione dei Paesi europei capeggiati dalla
Gran Bretagna. Quest’ultimi volevano un impegno vincolante che garantisse
un’assistenza militare automatica. Dall’altra parte si voleva, invece, una maggiore
libertà di scelta. I negoziati e la mediazione di Bevin condussero alla garanzia contenuta
nell’art. 5.28
2.2
IL PATTO E IL CASUS FOEDERIS
La struttura del Patto Atlantico è costituita da un preambolo e da 14 articoli. Nel
preambolo si sottolinea il carattere difensivo del Patto e la compatibilità con i principi
della Carta ONU. Si fa riferimento alla ferma volontà di salvaguardare il patrimonio
ideale comune: democrazia, libertà individuali e prevalenza del diritto. Nell’Articolo 1
ci si impegna a risolvere le dispute internazionali con mezzi pacifici e ad astenersi
dall’uso della forza. Nell’Articolo 2 si sottolinea che l’Alleanza non è esclusivamente
determinata da esigenze militari ma guarda alla collaborazione nel campo economico e
27
Massimo De Leonardis, La sicurezza dell’Europa e i rapporti con gli Stati Uniti dal Patto di Bruxelles
alla Identità Europea di Sicurezza e Difesa, in De Leonardis Massimo, a cura di, “La nuova Nato: i
membri, le strutture, i compiti”, il Mulino, Bologna, 2001, p. 41.
28
Giuseppe Cassoni, L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, cit., pp. 23-27.
7
sociale. Gli Articoli 3, 4 e 5 precisano gli obiettivi militari del trattato, quali la reciproca
assistenza, la collaborazione continua ed effettiva, l’obbligo di consultazione tra le parti,
l’impegno delle parti in caso di attacco armato. Nascono diversi problemi dal punto di
vista giuridico, ad esempio, su quali siano le fattispecie di attacco armato, oppure, quale
sia la zona per cui vale l’obbligo di assistenza reciproca, oppure ancora, il dibattito sulla
conformità del Patto Atlantico alla lettera e allo spirito della Carta di San Francisco. 29
Il testo dell’Articolo 5 presenta ambiguità e compromessi, scrive Sloan, nel tentativo di
rassicurare gli europei e di essere politicamente accettabile negli Stati Uniti. L’impegno
che ne scaturisce è in un certo senso condizionato. Tuttavia, numerosi oppositori del
trattato negli Stati Uniti, tra cui i Senatori Forrest Donnell e Robert Taft, sottolineavano
che in caso di attacco sovietico gli USA avrebbero dovuto ottemperare all’obbligo di
azione del Trattato, nonostante tutte le clausole, l’America sarebbe entrata in una guerra
prima ancora che il Congresso la dichiarasse o meno. Sloan scrive che in effetti,
considerando la condizione dei Paesi europei nel 1949, riferendosi all’articolo 5, si
poteva parlare di un «audace inganno».30
Naturalmente, la conclusione del Patto generò delle critiche. Ad esempio, in Francia e in
Italia fu forte l’opposizione comunista. Il Segretario Generale dell’ONU, Tygve Lie,
sottolineò i pericoli della creazione di alleanze regionali a scapito della sicurezza
collettiva che l’ONU doveva assicurare. L’Unione Sovietica sostenne la natura
aggressiva del Patto e la sua funzione antisovietica, che ledeva gli accordi assunti
precedentemente. Gli alleati occidentali però sostennero lo scopo difensivo del Patto,
contro le aggressioni armate in generale, e il rispetto dei vincoli imposti dalla Carta
dell’ONU. Inoltre,
essi concordano di difendersi collettivamente tramite misure rispondenti a quattro esigenze
fondamentali: preparare le risorse per resistere a un attacco armato, che essi manterranno e
accresceranno da soli o assistendosi a vicenda; assicurare la comunicazione reciproca necessaria
per affrontare i momenti di crisi, tramite l’impegno a consultarsi ogniqualvolta uno di loro
riterrà che “l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti sarà
minacciata”; approntare le misure necessarie per organizzare la difesa e applicare il Patto;
fissare le condizioni della reciproca assistenza. 31
Quest’ultimo aspetto impone un’attenta lettura dell’Art. 5: Le parti convengono che un
attacco armato contro una o più di esse […] sarà considerato un attacco diretto contro tutte le
parti e, di conseguenza, convengono che se tale attacco dovesse verificarsi ognuna di esse,
nell’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall’art. 51 della
Carta delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo
immediatamente, in modo individuale o di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà
32
necessaria, ivi compreso l’impiego della forza, per ristabilire e mantenere la sicurezza.
Questo articolo deve essere letto insieme all’Articolo 11, il quale prevede che
l’applicazione del trattato debba avvenire in conformità con i «rispettivi processi
costituzionali». In questo modo il Congresso degli Stati Uniti può avere l’ultima parola
nel dichiarare lo stato di guerra. 33 In particolare, l’Art. 5 rappresenta il «casus foederis
meno vincolante della storia diplomatica dell’età contemporanea», infatti, non pone un
limite circa le potenze contro le quali il Patto è stato pensato, evitando di circoscrivere
l’azione dell’Alleanza nei confronti della sola Unione Sovietica. Si volle cercare di
connotare l’Alleanza pienamente nel quadro di un “accordo regionale” ai sensi della
Carta ONU, con l’ulteriore vantaggio di limitare gli impegni internazionali assunti,
circoscrivendoli alla “regione atlantica settentrionale” (Art. 6, Patto Atlantico), sia negli
29
Ivi, pp. 2-15.
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, cit.
31
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., p. 48.
32
www.nato.int/docu/other/it/treaty-it.htm
33
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., p. 48.
30
8
interessi degli Stati Uniti, che in quelli delle potenze minori, le quali non volevano
assumere impegni troppo distanti dalle proprie basi nazionali. 34
Durante la Guerra Fredda si discusse su quale fosse l’applicazione ottimale
dell’Articolo 5. Gli USA avrebbero voluto fornire una potenza aerea e forze terrestri
supplementari a sostengo delle forze europee sul campo. Mentre gli europei volevano
che le forze statunitensi fossero dislocate in prima linea affinché si coinvolgessero
direttamente e immediatamente gli interessi americani in caso di uno scontro. Le risorse
necessarie a mettere in pratica le richieste americane non furono mai fornite dagli
europei e quando gli Stati Uniti ebbero ormai dislocato ingenti forze, convenzionali e
armi nucleari, sul campo, scrive Sloan, l’articolo 5 divenne più credibile. 35
Proprio il fatto che il casus foederis del Patto fosse stato costruito in ragione
dell’Articolo 51 della Carta dell’ONU, fece sì che la NATO non avesse un nemico
circoscritto e un casus belli definito, ma fosse un’alleanza regionale di difesa
potenzialmente aperta a qualsiasi alleato in risposta a qualsiasi tipo di aggressione
armata. Essa nasceva, afferma De Leonardis, già con le caratteristiche di
un’organizzazione di sicurezza. 36
Il trattato fu ratificato dal Senato americano nel luglio del 1949 con 82 voti a favore (13
contrari). Il dibattito aveva mostrato come l’Alleanza fosse concepita dagli americani
come una «sferzata di energia psicologica a un’Europa occidentale politicamente
terrorizzata ed economicamente depressa». Inizialmente la NATO poté sviluppare una
strategia poco dispendiosa basata sul concetto, “lo scudo e la spada”, grazie al venir
meno del blocco di Berlino e, dunque, di un imminente invasione sovietica. L’Europa
avrebbe fornito le forze terrestri convenzionali (lo scudo) mentre il Comando aereo
strategico americano avrebbe fornito le armi atomiche (la spada). L’arma atomica
doveva rappresentare un deterrente e probabilmente non si sarebbe mai arrivati ad usarla
realmente; inoltre, essa rimaneva sotto l’indipendente controllo statunitense. Due
divisioni americane sarebbero rimaste in Germania, mentre ci si aspettava che gli
europei si sarebbero assunti il ruolo principale nella propria difesa, dando luogo ad un
impegno per gli Stati Uniti dal costo relativamente basso. 37
Sebbene inizialmente il Patto Atlantico parve essere molto vicino alle alleanze difensive
tradizionali, esso ha prodotto un’evoluzione, l’Organizzazione permanente, con lo scopo
di coordinare l’aspetto militare dei membri a partire dal tempo di pace ma anche
istituire una collaborazione in campi diversi.38
L’Alleanza Atlantica in tre o quattro anni si trasformò in Organizzazione dell’Alleanza
Atlantica: per motivi di efficienza, di distribuzione di compiti, di assunzione di impegni, di
integrazione stabile delle forze degli alleati; ma anche in obbedienza ad una tendenza alla
formazione di organizzazioni internazionali settoriali che la creazione delle Nazioni Unite e
l’impronta che esse avevano dato alla vita internazionale sollecitava.39
2.3
MUTA IL CLIMA
Gli eventi successivi mutarono il contesto in cui era inserito l’impegno americano.
Nell’agosto del 1949 si scoprì l’esito positivo del test atomico condotto dai sovietici che
sorprese gli esperti militari statunitensi, i quali non avevano previsto uno sviluppo
simile per i successivi vent’anni. Inoltre, la Cina fu conquistata dall’esercito popolare di
34
Ottavio Barié, La Nato durante e dopo la guerra fredda, in De Leonardis Massimo, a cura di, “La
nuova Nato”, cit., p. 34.
35
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, cit.
36
Massimo De Leonardis, La sicurezza dell’Europa e i rapporti con gli Stati Uniti, cit., p. 54.
37
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., p. 49.
38
Giuseppe Cassoni, L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, cit., p. 15.
39
Ottavio Barié, La Nato durante e dopo la guerra fredda, cit., p. 35.
9
liberazione comunista. Il Nsc-68 ( il rapporto segreto del National Security Council),
completato nell’aprile 1950, sosteneva che il potenziale bellico americano era
inadeguato a impedire l’esecuzione del disegno di dominio mondiale che si riteneva
l’Unione Sovietica stesse ancora perseguendo. La conclusione era che gli USA
dovevano compiere uno sforzo di riarmo come se ci si trovasse in periodo di aperto
conflitto. Le prevedibili resistenze da parte del Congresso furono superate dallo scoppio
della guerra di Corea (giugno 1950), che confermava il rapporto. In seguito Acheson,
Segretario di Stato, affermò «arrivò la Corea e ci salvò».40
I Ministri degli Esteri degli allora 12 Paesi del Patto, durante la IV Sessione del
Consiglio Atlantico tenutosi a Londra nel maggio del 1950, discussero sul fondamento
della loro associazione e sugli obiettivi da realizzare. Essi riaffermarono l’adesione dei
propri Governi ai principi della Carta delle Nazioni Unite e la convinzione che l’azione
comune, attraverso il Patto Atlantico, «costituisce parte integrante degli sforzi che tute
le nazioni libere stanno compiendo per assicurare le condizioni della pace mondiale e
del benessere dell’umanità». La libertà è il fondamento delle istituzioni, affermano i
Ministri nel comunicato, e deve essere difesa da minacce di «aggressione o di
sovvertimento, diretta o indiretta». Affinché l’individuo possa beneficiare del progresso
economico e sociale, è necessaria la pace. Tuttavia, dicono, esistono nazioni che non
vogliono «collaborare in condizioni di eguaglianza e di reciproco rispetto», quindi,
occorre organizzare una difesa militare a protezione della libertà. Questi obiettivi
potranno essere raggiunti attraverso un piano coordinato e l’unificazione degli sforzi.
Pertanto, affermano i Ministri, il Consiglio ha adottato alcune misure che permettono di
migliorare il funzionamento dell’organo direttivo (il Consiglio stesso) e che possano
portare ad ottenere adeguate forze miliari. Si riafferma la necessità di una reciproca
assistenza ed un utilizzo economico ed efficiente delle risorse dell’Alleanza.41
In riferimento alla guerra di Corea, Brzezinski scriveva:
una misura più decisa delle inclinazioni sul piano internazionale fu fornita dal voto che, nel
febbraio 1951, condannava l’intervento cinese nella guerra di Corea. Il voto pro-americano fu di
47 a sette con dieci astensioni. India e Birmania si unirono alla Russia nell’opposizione alle
risoluzioni, mentre si astennero Egitto, Indonesia, Pakistan, Arabia Saudita, Svezia, Siria,
Yemen, Yugoslavia, Algeria e Afghanistan. L’arco meridionale dell’Eurasia cominciava dunque
42
a distanziarsi da una netta identificazione con gli Stati Uniti.
A partire dalla guerra di Corea le spese militari di USA e URSS crebbero. Il rapporto
militare mutò fortemente, scrive Brzezinski, in seguito allo sviluppo della bomba
atomica da parte dei sovietici, prima di quanto fosse stato pianificato dagli americani.
Già nel 1951 l’URSS disponeva di uno stock di bombe atomiche pari a un decimo di
quello degli Stati Uniti. 43
Il passaggio fondamentale che condusse all’istituzione della NATO fu, dunque, la
conseguenza ad un evento esterno: la guerra di Corea. Gli Stati Uniti avevano un
tradizionale interesse di politica estera in Asia e nel Pacifico, dove non era valsa la
politica isolazionista. Tuttavia, anziché perdere interesse per l’Europa, in quel momento
gli USA pensarono che se le forze comuniste avessero vinto nella penisola coreana,
sarebbe stato il preludio ad un attacco della Germania dell’Est verso la Germania
dell’Ovest. Questo significò un ulteriore convincimento e impegno nella NATO e in
40
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., p. 50.
Comunicato conclusivo della quarta sessione del Consiglio Atlantico, svoltosi a Londra, 15-18 maggio
1950, Rivista di Studi Politici Internazionali, a. XVII, n. 2, (1950), pp. 319-320.
42
Zbigniev Brzezinski, Come fu giocata la guerra fredda, cit., p. 10.
43
Ivi, p. 11.
41
10
Europa e la necessità di riformare l’organizzazione. «La guerra di Corea trasformò
l’alleanza in una genuina organizzazione militare».44
Il Consiglio dell’Alleanza, che si era periodicamente riunito dal settembre 1949,
focalizzò le discussioni sul problema della difesa dell’area NATO in caso di aggressione
simile ai fatti dell’Estremo Oriente. Questo «fece fare un balzo in avanti al processo di
“sveltimento e razionalizzazione” della NATO», fino al Consiglio Atlantico di Lisbona
(febbraio 1952), che tra le altre cose determinò l’inclusione di Grecia e Turchia, quindi
del Mediterraneo orientale, nell’area NATO. 45
2.4
NASCE LA NATO
L’evoluzione della situazione internazionale provocava nuove tensioni. Nell’estate del
1949 l’Unione Sovietica aveva posto fine al monopolio atomico americano, in autunno
era stata proclamata la Repubblica Popolare in Cina e nel giugno del 1950 il 38°
parallelo era stato oltrepassato dalle truppe comuniste nordcoreane che invasero la
Corea del Sud. Si temeva, in seguito a questa situazione, che il prossimo teatro di crisi
sarebbe stata la Germania. Occorreva uno sforzo ulteriore che portasse
dall’enunciazione dei principi alla costruzione di una struttura militare effettiva. Gli
USA, in quanto unica potenza in grado di farlo, avrebbero dovuto concretizzare
militarmente l’impegno politico assunto. Fu abbandonata la politica di contenimento
politico dell’URSS, vennero incrementate le spese per la difesa e si diede corpo al piano
di assistenza militare per gli europei attraverso i fondi del Piano Marshall che
progressivamente si liberavano grazie alla ripresa economica. Inoltre, furono
incrementati i contingenti militari presenti in Europa da mettere al servizio delle
strutture che ancora dovevano essere create per organizzare la difesa. Durante il 1950
vennero creati gli organismi previsti dal Patto: l’organo esecutivo e gli organi sussidiari
dell’Alleanza. La forza militare che integrava le divisioni dei diversi membri venne
strutturata e sottoposta al comando unitario, con a capo il Generale Dwight Eisenhower.
Entro il 1951, veniva istituita l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord
(NATO). 46
La NATO è stata prima di tutto uno strumento per vincere la paura, all’interno di un
clima esemplificato dalle parole del Ministro degli Esteri belga Paul-Henri Spaak dirette
alla delegazione sovietica all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: «Sapete quale è
la base della nostra politica? È la paura, la paura di voi, la paura del vostro sistema di
governo, la paura della vostra politica».47 L’intersezione fra la politica di potenza e la
trasformazione in senso bipolare del sistema internazionale ha generato lo strumento col
quale gli Stati Uniti sono intervenuti per colmare il vuoto di potere in Europa. La
NATO ha così strutturato sul piano militare il blocco occidentale, «in tal modo, ha
anche smorzato la paura che era così spesso ricorsa nel discorso di Paul-Henri Spaak di
fronte alle Nazioni Unite».48
I Paesi NATO avevano a disposizione 14 divisioni in Europa, mentre si stimava che i
sovietici ne possedessero 125. Questo squilibrio di forze convenzionali fra Est ed Ovest,
unitamente allo «spirito di crociata insito nell’Nsc-68» e allo spettro di un attacco
comunista analogo all’invasione della Corea del Sud, portò all’improcrastinabilità di un
rafforzamento delle forze convenzionali della NATO. All’interno dell’Alleanza, però, i
governi europei non erano disposti a riamarsi in tempo di pace col rischio di provocare
44
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, The evolution of an alliance, Praeger Publisher,
Westport, 2004, pp. 9-10.
45
Ottavio Barié, La Nato durante e dopo la guerra fredda, cit., p. 35.
46
Marco Clementi, La Nato, il Mulino, Bologna, 2002, pp. 27-29.
47
Ivi, p. 9.
48
Ivi, p. 32.
11
un probabile slittamento della ripresa economica. Inoltre, temevano che questo
atteggiamento avrebbe allarmato i sovietici spingendoli ad agire preventivamente. Tutti
i membri della NATO avevano promesso sostegno al riequilibrio della disparità fra le
forze convenzionali tra l’est e l’ovest. George Kennan volle mettere in guardia gli
europei contro il pericolo di una preoccupazione generale per le questioni militari, a
discapito della ripresa economica e della necessità di ricercare una soluzione pacifica
alle difficoltà dell’Europa, preannunciando ciò che avvenne quando l’accelerazione
della corsa al riarmo ebbe come risultato l’intensificazione della Guerra Fredda.49
2.5
IL PROBLEMA DEL RIARMO TEDESCO
Gli Stati Uniti furono portati a cambiare il proprio atteggiamento, impegnandosi
direttamente e più intensamente. Assunsero il comando militare centrale delle forze di
terra della NATO, il Generale Eisenhower fu nominato Comandante Supremo Alleato
per l’Europa e fu promesso l’invio di altre truppe. Egli guidò le forze rappresentanti tutti
gli Stati membri secondo una strategia periferica che mirava a difendere l’Europa fino
all’estremo limite orientale consentito. Dunque, questo poneva il problema della
Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest), che gli USA avevano voluto come
cuscinetto contro l’espansione sovietica, inclusa nei piani difensivi della NATO ma che,
non essendone membro, non partecipava alla propria difesa. La creazione della NATO
aveva portato alla cristallizzazione della questione tedesca. Gli USA attuavano una
politica di “doppio contenimento”. «Secondo una battuta del tempo, la NATO era stata
creata per tenere giù i tedeschi, dentro gli americani e fuori i russi».50
Scrive Helga Haftendorn, Professore emerito presso la Free University di Berlino, sia la
NATO che la Repubblica federale di Germania sono state create nel 1949 e sono un
frutto della Guerra Fredda. Tuttavia, all’epoca le reazioni che avrebbe scatenato
l’adesione della Germania occidentale alla NATO escludevano da sé questa ipotesi.
Dopo la guerra di Corea, che accrebbe la possibilità di un attacco sovietico all’occidente, fu creata l’organizzazione integrata di difesa, la NATO. Fu richiesto, quindi, agli
Alti commissari alleati, in rappresentanza delle Tre Potenze occidentali in Germania, di
consultarsi con la Repubblica Federale per la creazione di unità combattenti tedesche. 51
La Francia era terrorizzata dal riarmo tedesco a causa della guerra e dell’occupazione e
stentava ad ammettere la necessità delle forze tedesca per una difesa in Europa.
Tuttavia, temeva un attacco comunista ad occidente e sapeva che gli USA avrebbero
autorizzato, prima o poi, il riarmo tedesco. In seguito all’invasione comunista in Corea
del Nord, la questione non fu più differibile e il timore di un prossimo attacco sovietico
rese maggiormente evidente la debolezza del dispositivo dell’Alleanza in Europa. L’11
Agosto 1950, Winston Churchill, parlando all’Assemblea Consultiva del Consiglio
d’Europa, propose la creazione di un esercito europeo a cui partecipasse la Germania.
L’Assemblea approvò il progetto suggerendo la creazione di un esercito europeo posto
sotto l’autorità di un Ministero della Difesa comune e soggetto ad un appropriato
controllo democratico. La proposta piacque anche al Cancelliere Adenauer. 52
Nonostante il pericolo del riarmo tedesco preoccupasse i francesi, un primo segno di
riavvicinamento franco-tedesco fu l’inclusione della RFT nella Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio (CECA) nel 1951. L'
avvicinamento franco-tedesco avvenne in
un clima internazionale critico. Per risolvere la controversia, a fronte dei timori e delle
49
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., pp. 50-52.
Ivi, p. 52.
51
Helga Haftendorn, 50 anni fa la Germania aderiva alla NATO, Rivista della NATO, estate 2005,
www.nato.int/docu/review/2005/issue2/italian/history.html
52
Roberto Bendini, La Comunità europea di difesa, l’esercito che non si fece mai, 25 novembre 2005,
www.paginedidifesa.it/2005/bendini_051125.html
50
12
resistenze francesi in merito, in campo italiano, Alcide de Gasperi e Carlo Sforza
elaborarono l’ipotesi di un esercito europeo integrato. Su questa linea si muoveva anche
il piano del Segretario di Stato degli Stati Uniti Acheson, che prevedeva una forza
integrata di difesa composta dai paesi NATO con l’utilizzo di unità tedesche. 53
La Francia si rese conto dell’inevitabilità del riarmo tedesco e, su suggerimento di Jean
Monnet, proposero un Piano Schuman ampliato, per integrare la Germania all’europa. Il
progetto venne presentato all’Assemblea Nazionale francese il 24 ottobre 1950 dal
Presidente del Consiglio francese, René Pleven, da cui il piano prese il nome. Nel suo
discorso Pleven precisò che non si trattava di costituire una coalizione di vecchio tipo
ma un vero e proprio esercito europeo, composto da soldati di varie nazioni europee
riunite sotto un’autorità europea unica, politica e militare. Al piano aderirono il Belgio,
la Germania, l’Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. 54
La Francia, con il Piano Pleven, propose l’istituzione della CED, Comunità Europea di
Difesa. La CED, composta da divisioni europee, sarebbe stata posta sotto il controllo di
un Ministro della Difesa europeo, affiancato da organi collegiali simili a quelli pensati
per la CECA. La Germania avrebbe partecipato al contingente militare europeo senza
disporre però di un proprio esercito nazionale.55 Dopo lunghi mesi di discussioni, il
trattato istitutivo della CED venne firmato a Parigi il 27 maggio 1952. La Germania fu
il primo Paese a ratificare il trattato il 15 maggio 1953. Anche i Paesi Bassi, il Belgio ed
il Lussemburgo ratificarono abbastanza agevolmente il trattato tra il luglio 1953 e
l’aprile 1954. In Italia, a causa della forte opposizione comunista. In Francia le cose non
andarono come previsto. Infatti le mutate circostanze politiche nazionali e
internazionali, la fine della guerra di Corea e la morte di Stalin avevano reso la
questione della difesa europea meno urgente e meno popolare. Fu così che il 30 agosto
1954, il trattato venne definitivamente respinto dall’Assemblea Nazionale. Una delle
principali ragioni che indussero i deputati francesi a respingere il trattato CED (ovvero
il riarmo tedesco) fu vanificata dalla decisione americana quasi immediatamente
successiva di autorizzare la ricostituzione dell’esercito tedesco in ambito NATO, senza
condizionarlo ad alcun ulteriore controllo a livello europeo.56
Questo evento fu importante per la riabilitazione del Paese e per il suo successivo ruolo
nella difesa dell’Europa occidentale nella Guerra Fredda. I membri della NATO erano
interessati alla proposta francese di creazione di un esercito comune europeo, ma tale
progetto necessitava di tempi lunghi. Gli ambienti militari americani e tedeschi
preferivano la Germania nella NATO, mentre i Primi Ministri Churchill e Pleven
puntavano sull’esercito europeo. Si arrivò a optare sia per una soluzione NATO che per
una soluzione CED, senza determinare quale avesse la priorità. Il periodo d’impasse
terminò grazie alle assicurazioni di Londra e alle garanzie americane nei confronti della
Francia. Il governo tedesco ottenne, infine, l’ingresso nella NATO. La Germania
Occidentale divenne il 15° membro dell’Alleanza il 6 maggio 1955.57
2.6
RIDUZIONE DELLE SPESE PER LA DIFESA
La campagna elettorale presidenziale di Eisenhower puntò sulla percezione del
comunismo come male da estirpare, contribuendo decisamente alla sua elezione nel
novembre 1952. Ciò portò alla nomina a Segretario di Stato di John Dulles, che era stato
molto aggressivo durante la fase elettorale ma molto più prudente in seguito.
53
Contributo dell'
Italia nel processo di integrazione europea dal 1941 ad oggi, 1941 – 1950,
ec.europa.eu/italia/news/225931.html
54
Roberto Bendini, La Comunità europea di difesa, cit.
55
Contributo dell'
Italia nel processo di integrazione europea dal 1941 ad oggi, 1941 – 1950, cit.
56
Roberto Bendini, La Comunità europea di difesa, cit.
57
Helga Haftendorn, 50 anni fa la Germania aderiva alla NATO, cit.
13
Eisenhower voleva «realizzare una potente macchina militare restando nei limiti di uno
sforzo sopportabile» per l’economia statunitense. Veniva abbandonata la politica di
massiccio riarmo avviata da Truman, che avrebbe dissanguato l’economia americana, e
varato il «New Look»: una riduzione significativa delle costose forze convenzionali,
puntando sull’importanza strategica delle forze aeree. Questa strategia preoccupò
l’Europa occidentale, che temeva un ritorno all’isolazionismo ma Eisenhower rassicurò
gli alleati affermando che la NATO rimaneva la chiave della difesa americana. 58
L’esito negativo della CED fu parallelo alla riduzione delle spese per la difesa nei Paesi
della NATO. Inoltre, si allontanava lo spettro di un imminente invasione sovietica e le
problematiche economiche diventavano primarie. Alla riunione della NATO di Lisbona
(febbraio 1952) era stato fissato l’obiettivo di incrementare le forze convenzionali.
Questo però era avvenuto in un momento in cui USA e Gran Bretagna avevano delle
difficoltà a gestire in bilancio ulteriori sacrifici economici, mentre la Francia era
impegnata in Indocina e in Nord Africa. 59
Le forze terrestri della NATO erano chiaramente inadeguate a fronteggiare un attacco
sovietico, potendo solo sperare di rallentarlo fino all’intervento aereo americano. Si
delineava la strategia della «massiccia rappresaglia», proposta da Dulles, che puntava
sulla tecnologia e su un’energica risposta mirata, scartando la non probabile possibilità
di difendere un confine troppo vasto. Furono impiegate armi nucleari a bassa resa
nell’immediata zona di “battaglia” per riequilibrare, dal punto di vista tecnologico, uno
squilibrio numerico. La minaccia dell’olocausto nucleare costituì un deterrente contro
l’invasione sovietica dell’Europa occidentale.60
Il New Look poneva le armi nucleari al centro della strategia di difesa collettiva, anche
in situazioni di pericolo non estremo. La nuova strategia della rappresaglia massiccia,
che prevedeva una risposta ad un attacco sovietico attraverso un massiccio
bombardamento atomico, rappresentò nel breve periodo una pianificazione della difesa
collettiva che rispondeva alle scelte americane e non invisa alla Gran Bretagna, la quale
nel 1952 era diventata il secondo Paese nuclearizzato dell’Alleanza. Nel lungo periodo,
influenzò, destabilizzando, i rapporti fra le due sponde dell’Atlantico perché erano di
fatto gli USA a fornire le armi atomiche, subordinando la sicurezza degli europei alle
valutazioni circa il momento dell’eventuale azione degli Stati Uniti. 61
2.7
GLI ANNI CINQUANTA
Il Patto Atlantico e la nascita della NATO erano visti, dagli analisti moscoviti, come la
sottomissione dei Paesi europei alla strategia degli USA di contrapposizione globale
all’Unione Sovietica. L’inserimento della RFT nella NATO per i sovietici significava la
rinascita del militarismo tedesco e la sua inclusione nella strategia antisovietica del
Patto Atlantico. 62
La NATO in Europa rappresentava una minaccia geopolitica, anche perché una Germania
occidentale ricostituita nel suo potenziale economico e militare poteva diventare la base di
lancio di un’aggressione angloamericana. Era la questione tedesca il fattore chiave con cui da
Mosca si guardava all’Europa negli anni della guerra fredda.63
Stalin considerava il Patto nordatlantico come uno strumento intimidatorio nei confronti
degli Stati che non accettavano di obbedire al raggruppamento anglo-americano nella
58
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., pp. 53-55.
Marco Clementi, La Nato, cit., p. 36.
60
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., pp. 56-58.
61
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 36-37.
62
Roccucci Adriano, L’Europa vista da Mosca – tra ideologia comunista ed eredità imperiale, in
Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, “Un ponte sull’Atlantico”, cit., pp. 74-75.
63
Ibidem.
59
14
loro aspirazione di dominio del mondo. L’Armata Rossa fu portata da 2,8 milioni nel
1948 a 5 milioni di unità nel 1953 e i programmi di ricerca ebbero maggiori risorse, ciò
permise lo sviluppo della bomba atomica e della bomba a idrogeno. La possibilità di
includere la Germania Occidentale nella NATO e del suo riarmo fu un elemento di
propaganda che permise di giustificare i nuovi sacrifici richiesti. Gli stati al di là della
c.d. “cortina di ferro” erano sotto il controllo politico, economico e militare sovietico,
alla cui obbedienza pensava l’Armata Rossa. Sotto l’aspetto militare, quest’ultima aveva
il controllo delle strutture militari di tutti questi Paesi. Nel 1949 era stato costituito il
Consiglio di Mutua Assistenza Economica (COMECON) come alternativa al Piano
Marshall, che imponeva dei controlli economici. L’alleanza militare nota come Patto di
Varsavia fu annunciata pubblicamente soltanto nel maggio 1955.64
La morte di Stalin (1953) aveva dato modo di sperare ad un allentamento della tensione.
Proposte giunsero da parte sovietica, ma nell’incontro di Ginevra del 1955 si arrivò alla
sola conclusione della mancanza di un accordo. Il periodo sovietico con Chruš ëv
segnò un cambiamento da una mentalità difensiva dell’era staliniana a una più
aggressiva e provocatoria. Il lancio dello Sputnik (1957) segnò un forte colpo
psicologico e inaugurò l’era dei missili balistici intercontinentali (Icbm). Chruš ëv
vantava la superiorità del sistema e del modello di vita comunista, smentita nei fatti a
Berlino, dove era evidente la prosperità economica crescente della parte occidentale,
contrapposta a un’economia stagnante in quella orientale. 65
Le criticità esistenti nella NATO, all’epoca dello Sputnik e della improvvisa
controversia per le armi alla Turchia, sono state generate ancor prima dal costo della
difesa, dal progresso nucleare e da altri sviluppi tecnici. Pertanto, Stephen Coulter, in un
suo articolo dell’epoca, si chiede a cosa potesse servire la NATO. Istituita come «scudo
difensivo comune» da contrapporre alla minaccia sovietica, come «forza difensiva
integrata», mise in secondo piano l’aspetto politico in rapporto all’apparato militare.
Emerge un problema ricorrente: «mentre i successi globali della NATO nei suoi scopi
iniziali sono fuori discussione», scrive Coulter, «gli elementi basilari del problema sono
cambiati. Il bisogno di una NATO non è più indiscutibilmente chiaro poiché l’Europa
Occidentale è andata perdendo il senso della paura». Questo atteggiamento rifletteva il
nuovo clima, quello in cui la Russia e l’Occidente avevano parallelamente sviluppato
armi nucleari e missili. Coulter afferma che lo scenario della deterrenza comporta una
non-azione per paura delle conseguenze possibili. La NATO, per essere pronta ad una
guerra totale, avrebbe dovuto approntare «accordi di lunga mano per consentire ai
governi un controllo delle rispettive nazioni sotto gli attacchi nucleari, un grande
decentramento di tutte le attività, l’evacuazione in massa dei civili, l’immagazzinamento
di viveri e di medicinali, tutte cose queste dalle quali dipende la sopravvivenza».
Quindi, si lamentava l’assenza di disposizioni di emergenza in caso di guerra nucleare e
il fatto che il Consiglio Ministeriale della NATO, che controllava i comandi, non
avrebbe avuto modo di assumere decisioni immediate e unanimi in caso si verificasse
tale emergenza. Coulter, riporta le parole del Segretario Generale della NATO Spaak,
che aveva affermato che la responsabilità della NATO deve essere vista come una
politica estera comune per tutto l’Occidente.66
Fino al 1957 gli Stati Uniti venivano considerati invulnerabili ad un potenziale attacco
sovietico. Ciò permise anche agli alleati NATO di preoccuparsi di ottenere una migliore
prosperità economica, sentendosi protetti dal loro sistema di sicurezza, accettando anche
un loro ruolo inferiore nell’Organizzazione rispetto al controllo statunitense. Come
dimostra anche la nomina dei Comandanti Supremi Alleati, tutti americani, mentre agli
64
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., pp. 52-53.
Ivi, pp. 58-61.
66
Stephen Coulter, Prospettive future della NATO, Rivista di Studi Politici e Internazionali, a. XXIV
(1957), pp. 629-631.
65
15
europei spettava il ruolo di Segretario Generale, in un sistema in cui la figura militare è
superiore rispetto a quella civile. «La concessione europea della superiorità americana è
stato lo schema degli anni Cinquanta». 67
Verso la fine del 1957, scrive Brzezinski, la frase di Mao Tse-Tung pronunciata al
Cremlino, «il vento dell’Est prevale sul vento dell’Ovest», segnò l’inizio di una fase più
aggressiva dell’Unione Sovietica «condotta avanti in un clima internazionale che, per la
prima volta dopo la seconda guerra mondiale, stava diventando nettamente meno
favorevole agli Stati Uniti».68
I primi dieci anni avevano fatto del Trattato dell’Atlantico del Nord un elemento
strutturale e permanente della politica mondiale. Lo si afferma nella Dichiarazione del
Comitato Politico Atlantico del Congresso Atlantico, riunitosi appunto sul tema de “I
primi dieci anni”. Non esprime solamente una risposta al bisogno di protezione, si
sostiene, ma una unione di popoli che hanno la stessa concezione dell’uomo nella
società e che abbracciano le libertà democratiche. Nel rapporto del Comitato Politico
Atlantico si dichiara che la volontà di fare fronte ai pericoli per la sopravvivenza è fuori
di discussione ma occorre andare oltre allo stadio, in quel momento, attuale, oltre
l’alleanza per creare una vera comunità, trasferendo ad un’autorità comune quelle
competenze nazionali che non si è più in grado di assicurare singolarmente. Di fronte
alle sfide internazionali ed economiche il Comitato auspica delle istituzioni per
l’approntamento di una politica unica.69
2.8
L’EPOCA DI DE GAULLE
La figura del Generale de Gaulle, in qualità di Presidente della V Repubblica francese,
emerse come principale antagonista della supremazia americana nella NATO. Egli pose
dei dubbi circa la credibilità degli Stati Uniti, in particolare, rispetto all’ipotesi se essi
avrebbero avuto lo stesso atteggiamento nel caso di un attacco a New York rispetto ad
un attacco a Parigi. Con de Gaulle la Francia assunse la leadership in Europa che era
stata degli Stati Uniti nella NATO della prima decade, scrive Kaplan. Il Generale
vedeva nelle due superpotenze atomiche più somiglianze rispetto alle differenze,
soprattutto, quanto ad interesse sul continente europeo, in considerazione del fatto che
non credeva più attuale l’espansionismo sovietico del periodo precedente. Tuttavia, il
suo principale obiettivo era quello di fare della Francia, che si poneva alla guida
dell’Europa, lo strumento di mediazione fra le due superpotenze. Le potenze europee
erano scettiche sul ruolo di Parigi nella nuova Europa. Tuttavia, de Gaulle cercò di
creare un triumvirato fra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti che gestisse gli affari della
NATO, probabilmente cercando di correggere il c.d. “metodo NATO” di ottenimento
del consenso nelle decisioni che poggiava troppo sulla volontà dei membri minori.
Nonostante il suo sistema avrebbe potuto risolvere dei problemi di efficienza, Gran
Bretagna e Stati Uniti rigettarono la proposta perché avrebbe distorto la natura
dell’Alleanza. Questo rafforzò l’idea di de Gaulle circa il fatto che la NATO fosse sotto
tutela anglo-americana e che la Francia non avrebbe mai avuto una parità decisionale.
Seguì, infatti, il rifiuto all’ingresso britannico nella CEE (1962), in quanto il Generale
era convinto che la Gran Bretagna fosse il “cavallo di Troia” degli USA per i loro
progetti sull’ordine europeo. Fallito il tentativo di riorganizzare la NATO secondo il
proprio progetto, de Gaulle accelerò lo sviluppo dell’indipendenza nucleare. Il
Segretario della Difesa Robert McNamara criticò, al Consiglio Nord Atlantico di Atene
(maggio 1962), la pretesa britannica e francese di ottenere un proprio potenziale
67
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 29-30.
Zbigniev Brzezinski, Come fu giocata la guerra fredda, cit., pp. 16-17.
69
Dichiarazione del Comitato Politico Atlantico del Congresso Atlantico, riunitosi a Londra, 5-10 giugno
1959, Rivista di Studi Politici Internazionali, a. XXVI (1959), pp. 456-458.
68
16
nucleare. Per gli americani nessun altro membro della NATO aveva necessità di una tale
dotazione, considerando sufficiente l’arsenale statunitense. Ma la Francia voleva sentirsi
sicura di incutere nei sovietici, potenziali aggressori, il giusto senso della deterrenza che
l’arma nucleare può determinare. Inoltre, vedeva nelle obiezioni americane un tentativo
di bloccare l’emersione della Francia nella NATO e nella leadership europea. Dunque,
l’indipendenza francese dagli USA era legata al raggiungimento di una propria capacità
nucleare, al di fuori del comando integrato della NATO. 70
Pietro Quadroni scrisse un articolo in cui sosteneva che alle origini dell’Alleanza vi
fosse la “supplica” di Francia e Gran Bretagna agli Stati Uniti affinché le difendessero.
Si ritiene interessante confrontare il contesto appena descritto con le parole dell’autore,
scritte qualche anno prima:
ci sono state delle epoche in cui la possibilità di cambiare alleanze, di tradire se si vuole
adoperare un termine più crudo, era parte integrante del sistema: e cambiare alleanze non
71
significava affatto dover cambiare di civiltà, di religione, di sistema di vita. Oggi non è così.
Scrive l’autore che il «satellismo» nei confronti dell’America, l’essere sotto la sua
leadership, permetteva di vivere la nostra civiltà di democrazia, libertà e rispetto dei
valori umani, laddove, invece, divenendo «satelliti della Russia» avrebbe comportato
modificare radicalmente il proprio sistema di vita. 72
Intanto, nel 1961 John. F. Kennedy aveva assunto la presidenza degli USA e chiesto al
Congresso di aumentare ulteriormente la spesa per la difesa. A Vienna si tenne
l’incontro con Chruš ëv, da cui la frase di Kennedy: «sarà un inverno freddo». Il
Presidente annunciò di voler aumentare le forze di terra della NATO. Gli eventi
portarono, nell’agosto 1961, alla barriera di filo spinato che poi divenne il muro di
Berlino. Gli USA recuperarono e superarono il gap militare, in realtà sopravvalutato,
rispetto ai sovietici. La crisi dei missili di Cuba (1962) mise il mondo sull’orlo del
disastro nucleare. La creazione del «filo rosso» tra il Cremlino e la Casa Bianca, diede
però nuove speranze al dialogo, allentando la minaccia della guerra. Gli alleati europei
avevano visto crescere la propria dipendenza dal deterrente dell’arsenale nucleare
americano man mano che si sviluppava quello sovietico. Questo fatto aveva determinato
una crescente insicurezza, che aveva portato de Gaulle ad assumere una posizione
indipendente e sostenere che gli USA erano inaffidabili, riferendosi proprio all’esempio
della crisi cubana, laddove gli americani avrebbero rischiato di scatenare una guerra
nucleare senza consultare gli alleati della NATO. 73
Brzezinski scriveva in un suo articolo, «l’ideologia della globalità americana fu
tratteggiata nell’indirizzo inaugurale di John Kennedy; la preponderanza americana fu
messa in luce drammaticamente dalla ritirata sovietica nel confronto di Cuba del 1962»,
anche se, continua, fu sotto la presidenza di L. Johnson che si ritrova il più alto grado
della progressiva espansione postbellica della presenza americana nel mondo. 74
Pare importante sottolineare l’importanza del ruolo della Germania nella storia della
NATO, quale «punto di riferimento obbligato nel cuore dell’Europa». L’obiettivo
dell’Alleanza è stato sin dall’inizio «Sicurezza per la Germania, sicurezza dalla
Germania». Voluta nel 1949, scrive Ferraris in un saggio, per gestire la divisione
europea e la situazione della Guerra Fredda, la NATO costituisce un paradosso:
«un’alleanza senza la Germania per difendere la Germania». Il risultato della seconda
guerra mondiale fu la «distruzione del centro geopolitico europeo quale forza politica
determinante e il trasferimento della funzione di garanzia dell’equilibrio europeo alle
70
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 29-32.
Pietro Quadroni, Le alleanze nel passato e nel presente, cit., p. 23.
72
Ibidem.
73
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., pp. 61-68.
74
Zbigniev Brzezinski, Come fu giocata la guerra fredda, cit., pp. 20-21.
71
17
due potenze alle ali, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica», tanto ché, seppure non
programmata, tale divisione produceva stabilità. La Germania rappresentava una
situazione di fatto, ovvero, la divisione fra alleanze militari contrapposte, sancita dalla
divisione della stessa, nel 1961, con l’erezione del muro di Berlino. Quest’ultimo, però,
costituì la prova dell’esistenza di due entità, attraverso la quale la Repubblica Federale
Tedesca poteva chiedere un trattamento al pari degli altri membri europei. Il riarmo
tedesco, in funzione antisovietica, diveniva la «la punta di lancia» della NATO nei
confronti dell’altro blocco. Il peso tedesco ha dunque avuto un andamento crescente. In
seguito anche a causa della posizione degli altri alleati: l’uscita della Francia dalla
struttura militare e, successivamente, il progressivo ritiro dall’Europa delle capacità
militari di teatro (non di volontà politica) degli USA, etc. 75
La Dichiarazione di Parigi, del gennaio 1962, si concentrò sul tema della “civilizzazione
atlantica”. Nel Preambolo i delegati ne sottolineano l’importanza, grazie ai principi
superiori come la supremazia del diritto, il rispetto della persona umana, la giustizia
sociale e il dovere della generosità. Questo permette, si afferma, ai popoli
dell’Occidente di formare una Comunità culturale e morale. La Comunità Atlantica
deve essere estesa al campo politico, militare, economico, sociale, morale e culturale. A
questo scopo, tra le altre misure, la Convenzione raccomanda un rafforzamento della
NATO e un ampliamento delle sue competenze. Inoltre, il Consiglio dell’Atlantico del
Nord avrebbe dovuto considerare una questione urgente, l’elaborazione di una politica
della NATO, con un accordo comune, nella materia delle armi nucleari. Si auspicava,
infine, che il NAC accogliesse con favore la creazione, lo sviluppo e l’espressione
futura delle istituzioni europee.76
La nascita della CEE (Trattati di Roma, 1957), la crescita economica e la stabilità
politica dei Paesi europei, avevano fatto sorgere un nuovo senso di identità comune, di
prestigio e influenza degli europei. Nonostante l’antiamericanismo degli anni Sessanta,
nessun governo europeo aveva seguito l’esempio di de Gaulle di ritirare le proprie forze
dalla NATO. L’Alleanza era ancora considerata fondamentale per la sicurezza europea,
tuttavia, si volevano anche migliorare i rapporti con i Paesi del blocco comunista.
Questo comportamento sorprese i funzionari americani, abituati alla posizione di
predominio nella NATO. Gli europei consideravano la guerra fredda in declino, o
meglio, secondo la visione di de Gaulle, il punto focale si era trasferito dall’Europa
all’Asia. 77
Il 10 marzo 1966, in un promemoria indirizzato alle altre 14 nazioni della NATO, il
governo francese aveva manifestato l'
intenzione di ritirare il personale francese dal
Quartier Generale militare integrato della NATO, di non lasciare più le forze francesi
sotto comando internazionale e di richiedere l’allontanamento dal territorio francese dei
Quartier Generali della NATO, delle unità alleate, e delle altre installazioni e basi che
non fossero sotto l’autorità francese. La Francia, non metteva in discussione il Trattato
di Washington e credeva che l’Alleanza Atlantica dovesse continuare ad esistere.78
L’uscita dall’Organizzazione (ma non dall’Alleanza) della Francia nel 1966, che portò
lo spostamento della sede da Parigi a Bruxelles, fece pensare alla crisi della NATO.
Tuttavia, pur senza che le forze francesi fossero integrate nella NATO, la Francia
rimase un alleato nell’ipotesi di difesa dell’Europa. 79
75
Luigi Vittorio Ferraris, La resistibile ascesa della Germania nella NATO, in De Leonardis Massimo, a
cura di, “La nuova Nato”, cit., pp. 121-127.
76
Convention Atlantique des Nations de l’OTAN, Parigi, 8-20 gennaio 1962, Rivista di Studi Politici e
Internazionali, Firenze, a. XXIX (1962), pp. 128-129.
77
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., pp. 61-68.
78
François Le Blévennec, Il grande trasferimento, Rivista della Nato, Estate 2007,
www.nato.int/docu/review/2007/issue2/italian/history.html#header.
79
Ottavio Barié, La Nato durante e dopo la guerra fredda, cit., p. 36.
18
L’idea di un’Europa Gaullista non aveva allettato i membri minori della NATO e
nemmeno la Germania (nonostante il trattato franco-tedesco di cooperazione del 1963).
In definitiva, la NATO ottenne maggiore libertà in seguito all’uscita della Francia dalle
sue strutture militari e gli USA si liberarono dell’ostruzionismo francese nel Comitato
di Pianificazione della Difesa, essendo essa spesso di parere contrario all’opinione della
maggioranza dei membri. 80
Nel discorso del Segretario Generale della NATO, Manlio Brosio, alla Conferenza dei
Parlamentari dell’Alleanza nel 1965, riferendosi in particolare alla presenza di Sua
Santità Papa Paolo VI, «in missione di pace e di buona volontà», egli affermava che
anche la NATO serviva la causa della pace e della difesa di una civiltà fondata sugli
ideali e le aspirazioni di cui il Santo Padre era il simbolo e l’incarnazione stessa. Nel
mondo imperfetto occorre, affermava Brosio, anche il coraggio di far fronte con
fermezza alle difficoltà e ai pericoli. In Occidente, proseguiva, tutti i Governi sono
d’accordo sulla necessità dell’Alleanza, la quale deve evolvere così come è evoluto il
mondo a partire dal 1949. Nascono divergenze sul modo di intendere questa evoluzione,
ma sui fini, sul punto centrale, occorre essere d’accordo. La minaccia militare ha trovato
un equilibrio di forze, diceva Brosio, tuttavia, le minacce politiche continuano. Dunque,
occorre mantenere l’equilibrio militare che previene l’aggressione e preservare l’unità
d’azione politica tra i Paesi europei e tra l’Europa, gli USA e il Canada. In caso
contrario, affermava, l’URSS troverà il punto debole che gli permetterà di dividerci e di
controllarci.81
2.9
IL RAPPORTO HARMEL
Lawrence Kaplan in un’analisi del Rapporto Harmel, per il quarantennale del Rapporto
stesso, afferma che dopo l’impatto sulla struttura dell’Organizzazione creato dalla
Guerra di Corea e l’implosione dell’Unione Sovietica, con il precedente crollo del muro
di Berlino, un terzo cambiamento importante per quanto riguarda gli effetti sul rapporto
tra gli alleati è stato il Rapporto del 1967.
L’iniziativa di Harmel ha rappresentato l’influenza dei membri più piccoli dell’Alleanza sulle
potenze più grandi, specie sulla superpotenza, gli Stati Uniti. L’aver recepito da parte della
NATO il messaggio contenuto in quel Rapporto, ha fatto sì che venissero respinte le pressioni
centrifughe che avrebbero potuto condurre alla dissoluzione dell’Alleanza. Inoltre, ciò ha posto
82
la NATO su una rotta che ha infine portato alla fine della Guerra Fredda.
Il Ministro degli Esteri belga ha rappresentato, dice Kaplan, la voce delle nazioni più
piccole le quali chiedevano che la distensione fosse inserita, al pari della difesa, fra le
più importanti funzioni dell’Alleanza. I lavori preparatori furono condivisi fra quattro
sottogruppi attraverso la collaborazione tra potenze grandi e piccole, determinando quel
cambiamento già richiesto nel Rapporto del Comitato dei Tre Saggi del 1956, sul tema
della collaborazione non militare nella NATO, poi ignorata anche a causa della sconfitta
anglo-francese di Suez. Nel caso del Rapporto Harmel alcuni elementi giocarono,
invece, a favore. Ad esempio, la percezione dell’inizio di una nuova fase della Guerra
fredda, dopo la crisi di Cuba (1962) e la crisi di Berlino (1964). La sensazione era di
una fase di normali, seppure antagonistiche, relazioni fra la NATO e l’URSS. Il ritiro
della Francia di de Gaulle pose una sfida all’Alleanza che, secondo il Rapporto, poteva
sviluppare forme credibili di ampliamento dei contatti politici ed economici con il
blocco di Varsavia. Il terzo aspetto a favore, scrive Kaplan, fu l’impatto della guerra del
80
Kaplan Lawrence S., NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., p. 34.
Conferenza dei Parlamentari dell’Alleanza Atlantica, New York, 4-9 ottobre 1965, Rivista di Studi
Politici Internazionali, Firenze, a. XXXII (1965), pp. 591-607.
82
Lawerence S. Kaplan, Il 40° anniversario del Rapporto Harmel, Rivista della NATO, primavera 2007,
www.nato.int/docu/review/2007/issue1/italian/history.html
81
19
Vietnam sul ruolo degli USA nella NATO. Dopo un iniziale sostegno, tutti gli alleati
divennero forti oppositori della guerra, sia per quanto riguardava i danni ai civili che per
il fatto che venivano sottratte risorse alla difesa dell’Europa. La pressione in favore
della distensione fatta dal Rapporto si incontrò con le necessità statunitensi e generò i
suoi effetti fino alla metà degli anni Settanta, quando riprese la corsa agli armamenti.
Tuttavia, afferma Kaplan, il Rapporto ispirò gli atteggiamenti successivi.83
Il Rapporto Harmel, allegato al Comunicato finale della sessione ministeriale del
Consiglio Atlantico del 14 dicembre 1967, si occupò di stabilire i principi dei futuri
compiti dell’Alleanza e fu richiesto, su iniziativa del Ministro degli Affari Esteri del
Belgio, dai Governi dei Paesi allora membri (15) dell’Alleanza. Il rapporto, al punto 3,
afferma che l’Alleanza «è un’organizzazione dinamica e vigorosa che va continuamente
adeguandosi alle mutevoli situazioni» e che i nuovi compiti possono rientrare nei
termini del Trattato attraverso procedure che hanno dimostrato già la propria validità.
Segue una breve disamina della situazione dell’epoca. Al successivo punto 5, si
indicano due funzioni principali dell’Alleanza: «la prima funzione è di mantenere un
potenziale militare adeguato e una solidarietà politica per scoraggiare l’aggressione e
altre forme di pressione e per difendere il territorio dei Paesi membri qualora si
verificasse un’aggressione»; la seconda funzione è «quella di proseguire la ricerca di un
progresso verso un sistema più stabile di rapporti in cui i problemi politici fondamentali
possano trovare soluzione». Si scrive che per poter allentare la tensione è necessaria la
difesa collettiva come fattore di stabilizzazione nella politica mondiale. Si fa poi
riferimento, al punto 6, alla comunanza di interessi e ideali e all’importanza della
solidarietà per stabilizzare l’area atlantica. Tuttavia, al punto seguente, essendo gli stati
sovrani, si dice, «l’Alleanza offre un foro efficace e funge da stanza di compensazione»,
cosicché, «ognuno degli alleati può decidere la propria politica alla luce di una
conoscenza approfondita dei problemi e degli obiettivi degli altri». Si auspica, quindi, il
miglioramento della pratica delle consultazioni e dei rapporti con l’Unione Sovietica e i
Paesi dell’Europa orientale. Occorre uno sforzo da parte di tutti e la soluzione della
questione tedesca «centro delle attuali tensioni» (punto 8 e 11). L’intento politico
dell’Alleanza è la realizzazione di un ordine pacifico in Europa (punto 9), tuttavia, il
Mediterraneo «implica speciali problemi», soprattutto, nel fianco sud-orientale,
«tenendo presente che l’attuale crisi nel Medio Oriente rientra tra le competenze
dell’ONU» (punto 14), e che la zona del Patto non può essere considerata isolatamente.
Per quanto riguarda questi temi, gli alleati possono discutere su base volontaria (punto
15).84
L’uscita della Francia dalla NATO mise in crisi la collaborazione atlantica ma permise
di «completare la svolta dell’amministrazione Kennedy»: la strategia di difesa secondo
la dottrina della “risposta flessibile”, annunciata dal Segretario di Stato Robert
McNamara nel maggio 1962, approvata nel 1967 come Concezione Strategica della
NATO, consistente in una risposta graduata in base al tipo e all’intensità dell’attacco
sovietico. Tale dottrina fu applicata fino alla fine della guerra fredda. Infatti, la dottrina
della “rappresaglia massiccia” veniva sempre più criticata, sia per i possibili effetti di
cui era ormai informata l’opinione pubblica, sia per la reazione violenta che poteva
scatenare. Questo implicava che gli europei si dotassero delle risorse necessarie per
rispondere, ad ogni livello, in caso di attacco sovietico e porre termine alle ostilità nel
minore tempo possibile. Una guerra nucleare limitata che però aveva come campo di
battaglia prevedibile il suolo europeo. 85
83
Ibidem.
Rapporto sui futuri compiti dell’Alleanza (Rapporto Harmel), Allegato al Comunicato finale della
sessione ministeriale del Consiglio Atlantico del 14 dicembre 1967,
www.comitatoatlantico.it/articolo/89/harmel_report, pp. 410-412.
85
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 39-43.
84
20
La “risposta flessibile” non soddisfò mai del tutto né gli Stati Uniti né gli alleati
europei, scrive Sloan, determinando anni di dibattiti in seno all’Alleanza relativi alla
ripartizione degli oneri sul dispiegamento dei nuovi sistemi nucleari. 86
Kennedy e, il successore, Lyndon Johnson spinsero gli europei a concentrare i loro
sforzi sulla creazione di forze convenzionali autonome, perché essi «si accontentavano
di ripararsi sotto l’ombrello nucleare americano e facevano troppo poco per proteggere
se stessi».87
La guerra del Vietnam fu, per molti critici americani della NATO, un punto di rottura
con gli alleati europei. Sebbene sino al 1964 la maggioranza degli alleati considerasse il
supporto americano al Vietnam confacente gli interessi della NATO, successivamente,
essi espressero crescente disapprovazione. 88
2.10 UN’ULTERIORE SVOLTA
In seguito allo «choc Cecoslovacco» si tenne la riunione del Consiglio Atlantico di
Bruxelles del 14-16 novembre 1968. Nel suo articolo, Francesco Gozzano scrive che i
commentatori la indicarono come una «svolta storica» perché permise di interrompere il
processo di disgregazione e di ribadire con determinazione all’Unione Sovietica che i
Paesi membri non avrebbero accettato senza reazioni il fatto compiuto dell’invasione
della Cecoslovacchia (agosto 1968) che provocava un’alterazione dello status quo in
Europa. Veniva condannata la «teoria Breznev» sul diritto di intervento, la cui
continuazione, si diceva, avrebbe provocato gravi conseguenze. Scrive l’autore, che si
creavano le condizioni per sancire «ufficialmente una battuta d’arresto nella politica di
distensione». Soltanto il giugno precedente, a Reykjavik, e l’anno prima, a Bruxelles,
era stata costatata l’irreversibilità del processo distensivo che portava al ripudio ufficiale
della dottrina della rappresaglia massiccia e all’iniziativa per una riduzione bilanciata
delle forze degli opposti schieramenti. L’invasione della Cecoslovacchia ruppe, scrive
Gozzano, questo «disarmo psicologico», dimostrando anche l’alto grado di mobilità e
preparazione tecnico-logistica delle forze armate sovietiche e dei Paesi del Patto di
Varsavia che avevano partecipato all’azione. Inoltre, aveva provocato l’avvicinamento
«ai confini dell’area protetta della NATO di un considerevole numero di divisioni
sovietiche che alteravano a svantaggio dell’Occidente la situazione militare
preesistente». Un ulteriore punto di tensione veniva creato, a causa dell’incremento
della flotta sovietica, nel Mediterraneo, ovvero nel fianco meridionale dell’Alleanza
«considerato l’anello più debole della catena difensiva dell’Occidente». Si poteva
aggirare da Sud il dispositivo strategico della NATO. La riunione di Bruxelles fu
importante anche per altre questioni. Si discusse l’uso delle diverse tipologie d’arma
(convenzionale o tattico-nucleare) e della necessità di migliorare la qualità delle forze
della NATO. Inoltre, si parlò di «zona grigia» e, in seguito al discorso del Segretario di
Stato americano Dean Rusk al Consiglio Atlantico, ci si cominciava a domandare se la
NATO avesse esteso la propria garanzia e protezione a Paesi al di fuori dell’area
geografica coperta dal Patto o ai limiti di essa. 89
Nacque un nuovo organismo per la gestione delle armi nucleari degli alleati: il Gruppo
di pianificazione nucleare (Npg), col quale sanare almeno certi aspetti della crisi.
Durante tutti gli anni Sessanta, la NATO aveva accresciuto la propria dotazione tattica e
convenzionale. Tuttavia, lo squilibrio rimaneva a favore del Patto di Varsavia. La
presenza militare sovietica era aumentata in seguito all’invasione della Cecoslovacchia
e la guerra nel Vietnam sottraeva truppe statunitensi dal territorio europeo. Inoltre, i
86
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, cit.
Joseph Smith, La guerra fredda, cit., p. 69.
88
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 44-50.
89
Francesco Gozzano, La NATO dopo Bruxelles, Affari Esteri, a. I, n. 1 (1969), pp. 91-95.
87
21
Paesi europei non si impegnavano quanto promesso nell’aumento delle spese militari.
Essi erano preoccupati che il loro maggiore impegno nella spesa per le forze
convenzionali avrebbe determinato una minore propensione degli USA ad utilizzare il
deterrente nucleare. Proprio la debolezza nel settore convenzionale rappresentava per
l’Alleanza un limite per l’applicazione della “risposta flessibile”. Il clima era
nuovamente mutato. Iniziava la “coesistenza pacifica” fra Stati Uniti e URSS, alla
ricerca di regole che permettessero una stabilizzazione dell’arena internazionale. Ciò fu
dovuto, da una parte, agli sviluppi della corsa alle armi nucleari. Dopo un nuovo
vantaggio statunitense, i sovietici li sopravanzarono dando inizio a “l’età dell’oro della
deterrenza”. Questo significava che entrambe le parti erano in condizione di reciproca
vulnerabilità, spingendole verso la cooperazione. D’altra parte, nella Germania
Occidentale, Willy Brandt, perseguì l’Ostpolitik: una politica estera che vedeva nel
miglioramento dei rapporti con la sorella orientale e l’URSS la via più diretta per
scongiurare il pericolo di una guerra sul proprio suolo. Il riconoscimento della
Repubblica Democratica Tedesca allentò le tensioni e sancì la divisione diplomatica del
Paese. 90
In un articolo, posteriore all’invasione sovietica della Cecoslovacchia, Gozzano
scriveva:
l’unico fatto nuovo registratosi in questi ultimi tempi, caratterizzati dall’apparente staticità della
politica occidentale, può essere considerato la Ostpolitik della Repubblica federale tedesca la
quale, portando avanti spregiudicatamente e disinvoltamente una politica nazionale di spinta
verso l’Est nel quadro della distensione concepita non in senso statico bensì dinamico, ha
provocato una falla nel monolitismo comunista, obbligando Mosca ad intervenire brutalmente
91
con mezzi militari e non soltanto politici per evitare una disgregazione del proprio sistema.
Quindi, prosegue l’articolo, l’intervento in Cecoslovacchia ha avuto un carattere
conservatore volto a mantenere lo status quo minacciato. Pertanto, la dottrina sovietica
di intervento chiariva che non sarebbero stati tollerati tentativi volti ad alterare il proprio
sistema di alleanze. Continua Gozzano, per tali motivi alla riunione di Bruxelles del
novembre 1968 si affermò l’importanza di evitare azioni autonome e di perseguire
quella politica che riscuote l’adesione di tutti o della grande maggioranza degli Stati
membri, «in ultima analisi la politica che trova il consenso degli Stati Uniti».92
Brzezinski, in un articolo dell’epoca, si dichiarava ottimista circa il ruolo dell’America
nel mondo. Esso, scriveva, era un Paese ricco che stava affrontando delle trasformazioni
interne e tuttavia era un Paese in grado di affrontare la sfida di entrare in una nuova
epoca e costruire una nuova società. Questo Paese, affermava Brzezinski, suscitava
invidia e diventava il centro dell’attenzione mondiale: «l’influenza dell’America,
indipendentemente dagli obiettivi particolari della sua politica estera in ogni dato
momento va nel senso del cambiamento. […] È questa America innovatrice e in
trasformazione che dovrà reagire alle crisi internazionali sempre più gravi», e pone
l’esempio del crescente abisso fra Paesi sviluppati e sottosviluppati. Le minacce alla
stabilità internazionale, scriveva, derivano dalla delusione e dall’odio crescente dei
popoli diseredati verso i popoli ricchi. Occorrerà, afferma, «creare una comunità di
Paesi sviluppati cui dovrebbero fare parte gli stati atlantici, gli stati comunisti europei
più progrediti (inclusa l’Unione Sovietica) e il Giappone». In un tale contesto,
Brzezinski formula delle raccomandazioni, tra le quali afferma essere essenziale un
nuovo impulso all’unità occidentale, attraverso nuova vitalità per la NATO e un peso
90
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 43-45.
Francesco Gozzano, La NATO dopo Bruxelles, cit., p. 98.
92
Ivi, pp. 98-99.
91
22
maggiore per l’Europa «e forse con la nomina di un comandante militare europeo», oltre
ad iniziative nel campo dell’istruzione, della tecnologia e della scienza. 93
2.11 L’EPOCA NIXON
La “distensione” significò, tra la fine degli anni Sessanta e metà anni Settanta, il ritorno
alla normalità a cui aspiravano gli europei ma anche il riconoscimento della parità
strategica fra le due superpotenze. Significava la parità fra la NATO e il Patto di
Varsavia, l’inizio delle relazioni fra le parti. È stato anche il momento di un maggior
peso dell’Europa nella NATO, gli europei cercavano di imporre la propria visione della
NATO, una fase in cui gli Stati Uniti soffrivano della pressione dell’opinione pubblica
sulla guerra in Vietnam. Soprattutto quando, morto de Gaulle nel 1970, il governo che
gli successe si mostrò più aperto all’ingresso della Gran Bretagna nella CEE. Così
come, afferma Kaplan, i britannici del governo conservatore del Primo Ministro E.
Heath erano più interessati all’Europa che ai rapporti transatlantici, non significando
però che non vi fossero stretti rapporti fra i governi. L’Amministrazione Nixon cercò il
modo di stringere nuovi legami forti con gli europei. Nella sua Dottrina, che prevedeva
la vietnamizzazione della guerra, uno dei maggiori elementi chiave era il ruolo della
NATO. Kissinger, dal 1969 consigliere del Presidente, da tempo si era impegnato nelle
problematiche europee. Nel 1965 fu pubblicato The Troubled Partnership, nel quale
considera fondamentale, per il successo dell’Alleanza, un rapporto genuino con
l’Europa. Sottolinea l’importanza dell’unità europea quale prerequisito per il
funzionamento della NATO e raccomanda agli Stati Uniti la promozione di legami con
l’Europa per i propri stessi interessi nazionali. La Dottrina Nixon segna anche la fine
della diversione di risorse e energie americane dallo scenario europeo e sancisce
l’identificazione della NATO come priorità nella politica estera statunitense. 94
Tuttavia, afferma Kaplan, gli europei non davano troppo credito a Nixon e Kissinger,
forse perché diffidavano della reale agenda della Dottrina Nixon. Gli americani
conclusero lo Strategic Arms Limitation Talks (SALT), a dispetto dell’indicazione della
NATO in Europa quale elemento primario delle relazioni estere americane, facendo
temere l’inizio di relazioni bilaterali statunitensi e sovietiche esterne all’Organizzazione.
Per Kissinger era evidente che occorreva rinsaldare i legami all’interno della NATO,
tanto quanto instaurarne di nuovi con i sovietici. Nel 1973, il 25 aprile, al Waldorf
Astoria, egli proclamò “l’Anno dell’Europa”, sottolineando l’intenzione degli Stati
Uniti di rinforzare l’Alleanza Atlantica. Quello fu il tentativo di realizzare ciò in cui la
Dottrina Nixon aveva fallito, cioè dare prova della devozione dell’America per i suoi
alleati europei. Ma fu condannato al fallimento a causa della reazione europea in seguito
all’affare Watergate. Di fatto, lo stesso tono arrogante del discorso di Kissinger
alimentò la sfiducia degli europei, come «l’osservazione che “[t]he United States has
global interests and resposibilities. Our European allies have regional interests”».
Inoltre, le stesse pretese europee non volevano che gli Stati Uniti diminuissero il loro
contributo militare alla difesa dell’Europa. 95
Nixon e Kissinger volevano ripristinare la potenza americana al di sopra di tutti, scrive
G. Vedovato, fondatore e Direttore della Rivista di Studi Politici e Internazionali,
inaugurando al contempo un equilibrio multipolare che riducesse l’impegno americano
diretto, portando l’URSS a «trasformare la “distensione” leninista in coesistenza
autentica e […] collaborazione internazionale». Il difetto di tale politica, scrive
Vedovato nella sua analisi dell’epoca, è quello di ignorare troppo spesso la NATO,
93
Zbigniew Brzezinski, L’America e la riconciliazione Est e Ovest, Affari Esteri, a. I, n. 1 (1969), pp. 720.
94
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 57-62.
95
Ivi, pp. 65-69.
23
perché tale politica era necessariamente di carattere globale e non regionale. Questa
politica è stata sfruttata da Mosca per aggirare le zone di delimitazione atlantica, con lo
scopo di far prevalere la potenza russa in zone determinanti per la sicurezza della
NATO:
I tre piloni di tale penetrazione erano: l’alimentazione del conflitto arabo-istraeliano, sia pure
entro i limiti dettati dall’esigenza di evitare un urto aperto con gli Stati Uniti; la radicalizzazione
politica irachena; la presenza nel Corno d’Africa e sulla sponda opposta dello stretto di Bab el
Mandeb. La tensione permanente e la imposizione dell’influenza prevalente di Mosca erano gli
96
obiettivi del Cremlino.
Nella sua analisi Vedovato affermava di concordare con il Presidente Carter quando
dichiarava che la NATO avrebbe dovuto avere compiti allargati. Occorre, dichiara, una
politica estera ad ampio raggio, non per conquistare, ma per contenere i sovietici e
impostare proficui rapporti con gli Stati in via di sviluppo. Più spazio all’impegno
multilaterale e politico atlantico, afferma, al posto dell’impegno unilaterale americano.97
La guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973 fu un altro momento di frizione. Gli alleati
europei abbracciarono la causa araba, perfino la risposta egiziana alle forze israeliane
nel Sinai. Dunque, quando fu evidente la volontà americana di aiutare gli israeliani, gli
alleati NATO non permisero di utilizzare i propri territori e spazzi aerei. Naturalmente,
non c’era nessun obbligo per gli alleati, tuttavia, questa risposta aveva un chiaro
significato nei confronti dell’ostilità europea al ruolo politico ed economico che
l’America aveva nell’area. Certamente, c’erano relazioni speciali da parte di alcuni
membri della NATO con i Paesi arabi (Francia con Algeria, Italia con la Libia, Grecia
con l’Egitto). Paesi che erano molto più legati al petrolio del Medio Oriente di quanto
non fossero gli stessi americani in quel momento, i quali sottovalutarono questo aspetto.
Gli alleati vedevano nell’aiuto americano ad Israele il tipico atteggiamento di scarsa
considerazione per gli interessi europei. Gli americani si risentirono del comportamento
degli alleati europei e il Congresso varò una legge che riduceva le forze statunitensi in
Europa. Sebbene in corrispondenza del XXV anniversario l’Alleanza attraversasse un
momento di crisi molto forte, la NATO sopravvisse. Perfino allo scoppio della violenza
fra due membri, nel 1974, per la questione di Cipro (vs Turchia).98
96
Giuseppe Vedovato, Alla NATO nuovi compiti, Rivista di Studi Politici Internazionali, a. XLIV (1977),
pp. 287-288.
97
Ibidem.
98
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 69-75.
24
2.12 NUOVE CRISI
Alla fine degli anni Settanta ci fu una ennesima crisi. I sovietici avevano deciso di
ammodernare la propria dotazione missilistica a gittata intermedia, soprattutto per avere
maggiore forza negoziale durante i nuovi colloqui con gli Stati Uniti per la limitazione
delle armi strategiche. La reazione politica fu durissima. Tuttavia la mossa sovietica non
creava nuovi pericoli reali per l’Europa. Infatti, la NATO aveva tacitamente accettato
l’esistenza di 700 missili a raggio intermedio in Asia e nell’URSS occidentale. I
sovietici aumentavano la qualità ma non la quantità del loro arsenale nucleare. Gli
europei erano preoccupati che le reciproche concessioni fra le superpotenze lasciassero
scoperta l’Europa. Dal novembre del 1976, il nuovo Presidente USA era il democratico
Jimmy Carter, molto sensibile all’esigenza di rassicurare i partner europei. Si giunse ad
un compromesso che fu sancito, nel 1979, dai Ministri degli Esteri e della Difesa dei
Paesi NATO, un “doppio binario” che rinsaldasse la compattezza atlantica e calmasse le
proteste dei pacifisti. Ma il “doppio binario” trovò un difficile processo di adozione, ad
esempio, in Italia con il primo Governo Cossiga che dovette vincere le resistenze del
PSI, a causa dell’invasione sovietica dell’Afghanistan avvenuta due giorni dopo la
decisione della NATO. Tuttavia, l’Alleanza aveva inferto un colpo politico importante
all’URSS, generando un clima di fiducia fra gli europei, prodotto dalla disponibilità
americana a fornire una credibile assistenza nucleare. 99
Afferma Ezio Bonsignore, in un articolo che raffronta la situazione sul dibattito attorno
allo “scudo spaziale” oggi, rispetto a quella di trent’anni prima:
All’epoca, la cosiddetta decisione Nato del ‘doppio binario’ (spiegare i missili Pershing 2 e
Glcm, ma allo stesso tempo continuare le trattative con l’Urss per quello che sarebbe poi
diventato il trattato Inf) suscitò un profondissimo, ampio e talvolta violento dibattito, che scosse
dalle fondamenta l’intera società dei paesi europei coinvolti.100
La riunione dei Ministri della Difesa a Bruxelles, nel maggio 1980, considerò i problemi
più gravi a cui l’Alleanza doveva far fronte in quel momento: l’invasione sovietica
dell’Afghanistan e le sue implicazioni per la stabilità dell’Asia sudoccidentale. I
Ministri esprimevano preoccupazione per il fatto che l’URSS, per la prima volta dalla
fine della guerra, avesse usato la propria forza militare per imporre la propria volontà a
un Paese non-allineato del Terzo Mondo «e in un modo che ha avuto ripercussioni sulla
situazione strategica generale». Nel Comunicato si auspicava che l’URSS ripristinasse
le condizioni per migliori rapporti fra l’Est e l’Ovest, dichiarandosi disposti a proseguire
la strada del controllo degli armamenti, il sostegno del Trattato SALT-2, augurando una
pronta ratifica dello stesso. Data l’importanza della stabilità in quelle regioni a livello di
sicurezza e di fornitura di materie prime, i Ministri le consideravano «indispensabili»
per i membri della NATO.101
Durante gli anni Ottanta la NATO ottenne un ulteriore rafforzamento. Nell’ottobre 1980
rientrava nell’Organizzazione la Grecia, la quale vi era uscita nel 1974 a causa della
mancata azione dell’Alleanza di fronte all’invasione turca di Cipro. La Spagna ritornava
alla democrazia nel 1982 e aderiva alla NATO, sebbene, a causa di una forte pressione
dell’opinione pubblica pacifista e antinuclearista, rimanesse estranea alla struttura
militare integrata. Questi elementi positivi si contrapponevano all’elezione di Ronald
Reagan (novembre 1980) e alla sua politica estera, basata su un riarmo a tutto campo e
su nuovi accordi con i sovietici. 102
99
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 44-48.
Ezio Bonsignore, Usa-Russia, dopo 30 anni un’altra crisi Euromissili, 26 aprile 2007,
www.paginedidifesa.it/2007/bonsignore_070426.html
101
Comunicato sui lavori della riunione dei Ministri della Difesa della NATO, svoltasi a Bruxelles il 1314 maggio 1980, Rivista di Studi Politici Internazionali, a. XLVII (1980), pp. 435-436.
102
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 48-50.
100
25
Mentre la visione di Carter era stata quella di un mondo libero attraverso la fine della
Guerra Fredda, nel quale il Nord utilizzasse le proprie risorse per sviluppare le politiche
e le economie del Sud, Reagan, scrive Kaplan, vedeva un mondo diviso fra buoni e
cattivi, dove i cattivi erano i sovietici. Reagan non esitava nel prendere decisioni
importanti, anche delegando rilevanti questioni al suo staff. Il Presidente voleva
ripristinare la supremazia americana rispetto ai sovietici e la preminenza nell’Alleanza.
Reagan ottenne maggiore credito rispetto all’amministrazione precedente, soprattutto,
strinse uno dei legami più forti nella storia della NATO, quello con Margaret Thatcher.
Durante la crisi delle Falkland gli Stati Uniti si trovarono a decidere fra la Dottrina
Monroe (nessuna influenza o controllo europeo nell’emisfero occidentale) e la lealtà
nella NATO. Fu un duro dilemma per gli Stati Uniti, da una parte i legami con
l’America Latina, dall’altra il rischio di una crisi dell’Alleanza Atlantica. Prevalsero i
legami con la Gran Bretagna. Naturalmente l’area geografica delle Falkland era esterna
ai limiti di intervento dell’Alleanza Atlantica, tuttavia, gli alleati si unirono agli
americani nell’aiuto alla Gran Bretagna. Gli alleati avrebbero potuto lamentare l’utilizzo
delle risorse della NATO, nella forma di forze navali britanniche, in una questione di
interesse nazionale. Ma non lo fecero, dimostrando la solidità dell’Alleanza. 103
Fu sviluppato un nuovo sistema d’arma, lo Strategic Defence Initiative (SDI) che portò
subito l’URSS a denunciare la violazione dell’accordo Antiballistic missile (ABM) del
1972, col quale le superpotenze avevano deciso di non sviluppare simili sistemi
difensivi per non alterare gli equilibri di reciproca vulnerabilità. Lo “scudo spaziale”
poneva un ombrello nucleare sul territorio americano e lasciava scoperti gli europei, che
si irrigidirono per il disimpegno americano dell’Europa. Per la NATO questo fu un
colpo durissimo. 104 Le preoccupazioni degli europei riguardavano sia l’aspetto non
secondario dell’incapacità delle industrie europee del settore della difesa di competere
con la controparte, sia il fatto che tale strategia avrebbe portato i sovietici ad impegnarsi
ulteriormente in una nuova corsa agli armamenti. Soprattutto, lo SDI minava la
credibilità di una risposta nucleare della NATO e, in definitiva, creava instabilità.
Questa strategia poneva le redini della risposta militare sempre più in mano agli Stati
Uniti. 105
L’Iniziativa di Difesa Strategica degli Stati Uniti, scriveva Vincenzo Tornetta in un
articolo del 1985, «popolarmente nota come “guerre spaziali” ovvero “scudo spaziale” –
fa emergere con evidenza potenziali e rilevanti implicazioni per la strategia
dell’Alleanza Atlantica». Tornetta analizza le due dottrine strategiche che la NATO ha
avuto dalla sua creazione, entrambe fondate sulla deterrenza nucleare ma adattate
all’evoluzione degli squilibri di forza. Fino al 1967, la direttiva strategica era stata la
“rappresaglia massiccia”, fondata sul monopolio americano dell’arma nucleare e sul
massiccio ricorso della ritorsione nucleare. La fine del monopolio produsse “soglie”
d’azione, cioè stadi operativi, e l’ipotesi di una guerra “limitata”, che vista da parte
europea significava «limitata all’Europa, ma non per questo meno distruttiva». La
successiva dottrina strategica della “risposta flessibile e difesa avanzata” era costruita
sul principio di una difesa avanzata dell’Europa e sulla costituzione di un Gruppo di
Pianificazione Nucleare dell’Alleanza, «quali indicazioni di una garanzia e come
impegno comune e coordinato». Il raggiungimento di una sostanziale parità strategica
comportò delle riconsiderazioni della dottrina: minore affidamento sull’arma nucleare
tattica e maggiore enfasi alle forze convenzionali in Europa. Scriveva Tornetta che in
seguito alla decisione del dicembre del 1981, di un ulteriore ritiro di mille testate in
aggiunta a quelle già ritirate man mano che venivano sostituite con gli “euromissili”, si
può prevedere un dimezzamento delle testate nucleari tattiche sul suolo europeo, di pari
103
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 87-91.
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 48-50.
105
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 94-96.
104
26
passo col rafforzamento delle forze convenzionali. Tornetta riporta la prudenza allora
dimostrata dall’allora Segretario Generale della NATO, Lord Carrington, e dall’allora
Comandante Supremo Alleato, Generale Rogers, circa l’applicabilità dello SDI, in
considerazione di un miglioramento della sicurezza ovvero di un effetto destabilizzante.
Le critiche dei sovietici, riferisce Tornetta, consideravano lo SDI come “sistemi spaziali
d’attacco” tendenti a dare agli Stati Uniti una “capacità di primo colpo” attraverso una
combinazione di sistemi offensivi e difensivi (lo scudo e la spada). Essendo
un’operazione costosa e destabilizzante, i sovietici annunciavano che avrebbero risposto
attraverso adeguate misure difensive, meno costose, volte a neutralizzare lo SDI. 106
La tattica di Reagan prevedeva di porre l’Unione Sovietica di fronte alla scelta di
rischiare il collasso economico attraverso le spese militari, non più sostenibili, oppure,
ammettere l’inferiorità tecnologica e porsi in una posizione di debolezza nei negoziati
che Reagan manteneva comunque aperti. Intanto, gli europei potevano essere
abbandonati a se stessi, anche perché riuniti nella CEE erano dei competitori economici
degli USA e stringevano rapporti di collaborazione commerciale con l’URSS.
Soprattutto quest’ultimo aspetto allontanava il crollo dei sovietici e disturbava la
strategia di Reagan. 107
2.13 LA FINE DELLA PRIMA FASE
Di fronte al collasso, l’URSS di Mikhail Gorbaciov negoziò la riduzione delle armi
nucleari e convenzionali, cercando risorse da investire in settori produttivi. Nel 1987,
Helmut Kohl, cancelliere tedesco si dichiarò disponibile a rinunciare agli euromissili, in
cambio gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica dovevano però distruggere tutti i missili a
medio e corto raggio presenti in Europa. Ci fu subito l’accordo con Gorbaciov, il quale,
un anno dopo, dicembre 1988, dichiarò unilateralmente di voler ritirare le truppe
sovietiche dai Paesi del Patto di Varsavia. Nel novembre del 1989 cadde il muro di
Berlino e la catena di eventi che si produsse fu travolgente. Gorbaciov e Georg Bush
posero le basi del primo degli Strategic Arms Reduction talks (START I) nel giugno
1990, prevedendo la riduzione delle proprie forze nucleari strategiche del 50%.
Nell’ottobre del 1990 giunse la riunificazione della Germania. La svolta democratica dei
Paesi dell’Europa centrale e orientale mise in discussione gli accordi costruiti
dall’Unione Sovietica dal dopoguerra. Nel marzo del 1991, Gorbaciov dovette prendere
atto che il Patto di Varsavia non esisteva più.108
La Dichiarazione sulla strategia politica dell’Alleanza, al Vertice di Bruxelles del
maggio 1989, si apriva con le felicitazioni per i quarant’anni dell’Alleanza e
sottolineava che era stato ottenuto il più lungo periodo di pace e di prosperità della
storia dei Paesi membri. Questo risultato fu reso possibile, è scritto, grazie ad una
associazione fondata su valori comuni, interessi durevoli ed un unico disegno. L’epoca
di forti cambiamenti, si dice nella Dichiarazione, mostra come i regimi oppressivi non
siano capaci di rispondere alle aspirazioni dei propri cittadini. Fra gli obiettivi a lungo
termine, l’Alleanza indicava la prevenzione di ogni forma di guerra e intimidazione in
Europa e nell’America del Nord, attraverso la costruzione di un mondo in cui le forze
armate si occupino di garantire l’indipendenza e l’integrità territoriale dei Paesi, senza
che nessun governo possa pensare di commettere atti di aggressione. Inoltre, si
intendeva stabilire un nuovo tipo di relazioni fra l’Est e l’Ovest, basati sulla
106
Vincenzo Tornetta, Lo “scudo spaziale” e la strategia atlantica, Rivista di Studi Politici
Internazionali, a. LII (1985), p. 520.
107
Marco Clementi, La Nato, cit., p. 50.
108
Ivi, pp. 50-51.
27
cooperazione e la fiducia, in cui fossero garantiti i diritti dell’uomo e le libertà
politiche.109
Con la riunificazione della Germania e l’accordo di smilitarizzazione sovietica della exRDT, nel quarantunesimo anniversario della NATO terminava di fatto la Guerra Fredda.
Gli alleati avevano molti punti di frizione ma avevano dimostrato, pur mantenendo le
proprie differenze, di ricondurli all’interno degli affari della “famiglia NATO”. 110
109
Vertice della NATO a Bruxelles – Déclaration sur la stratégie politique dell’Alliance, X Vertice dei
Capi di Stato e di Governo dei sedici Paesi membrei della NATO, 29-30 maggio 1989, Rivista di Studi
Politici Internazionali, a. LVI (1989), pp. 387-388.
110
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., p. 108.
28
PARTE II
LA NATO E LA SICUREZZA COLLETTIVA
Capitolo Terzo
LA «SECONDA» NATO NEGLI ANNI NOVANTA
3.1
L’INIZIO DELLA SECONDA FASE
Nella seconda fase della storia della NATO, con il crollo del muro di Berlino e un
diverso sistema dovuto alla fine del mondo bipolare, nacque il problema di disegnare un
nuovo sistema internazionale di sicurezza. La NATO sentì il bisogno di dimostrare il
proprio dinamismo e nel Consiglio Atlantico di Londra (luglio 1990), si rivolse ai
vecchi avversari della guerra fredda, i Paesi dell’Est, tendendo una mano amica a
dimostrazione di un nuovo ruolo dell’Alleanza. Si diede così spazio a un collegamento
diplomatico che fu l’inizio del lungo processo di apertura verso i Paesi dell’Est. 111
Il Consiglio riunito a livello di Capi di Stato e di Governo approvò la London
Declaration in cui veniva affermata la volontà di trasformare la NATO. Nella
Dichiarazione venne rimarcato il nuovo contesto di libertà a seguito del progressivo
crollo delle mura che avevano diviso i popoli, i quali hanno scelto la libertà economica,
la pace ed un’Europa unita. La NATO, si afferma, ha dimostrato di essere l’Alleanza
difensiva che ha ottenuto maggiore successo nella storia ed il suo ruolo è stato
fondamentale per ottenere questo nuovo clima. Tuttavia, nessuno può sentirsi sicuro nei
confronti del futuro. Pertanto, al paragrafo 5, viene riaffermato il compito difensivo
dell’Alleanza e si dichiara che in nessuna circostanza l’Alleanza sarà la prima ad usare
la forza. Al paragrafo successivo viene proposto un accordo con i Paesi del Patto di
Varsavia nel quale dichiarare che non si è più avversari. Dopo aver affermato la volontà
di rivedere i piani per la difesa e il controllo delle armi, si afferma l’intenzione di
preparare una nuova strategia militare alleata che rifletta la minore rilevanza delle armi
nucleari (punto 20). Inoltre, si auspica una maggiore importanza della CSCE come
forum in cui possano discutere europei e americani.112
Il Vertice di Londra fu anche alla base della dichiarazione del Presidente sovietico
Gorbaciov, che affermava di accettare la partecipazione della Germania unificata
all’Alleanza Atlantica. Si giunse poi alla Dichiarazione Congiunta di non aggressione
fra la NATO e il Patto di Varsavia. I sovietici consideravano entrambe le organizzazioni
elementi del passato e proponevano un nuovo sistema di sicurezza pan-europeo, che
interessò alcuni Paesi dell’Europa centrorientale, soprattutto, la Repubblica Federale
Ceca e Slovacca (CSFR). Ma durante il suo ultimo anno di vita, le azioni dell’URSS,
come la pressione sui Paesi Baltici, il rifiuto di riconoscere il ruolo della CSCE,
pressioni su Ungheria e Romania, spinsero il Presidente della CSFR, Vaclav Havel, e il
111
Carla Meneguzzi Rostagni, L’allargamento della Nato: il caso ungherese, in Giovagnoli A. e Tosi L.,
a cura di, “Un ponte sull’Atlantico”, cit., pp. 308-309.
112
Declaration on a transformed North Atlantic Alliance issued by the Heads of State and Government
participating in the meeting of the North Atlantic Council (``The London Declaration'
'
), 6 luglio 1990,
www.nato.int/docu/basictxt/b900706a.htm
29
Primo Ministro dell’Ungheria, Antall, verso la NATO, considerata un partner
affidabile. 113
Sergio Romano ha scritto che all’inizio degli anni Novanta in molti pensarono di dover
allentare il vincolo con gli Stati Uniti e di riesaminare la questione dell’integrazione
militare europea interrottasi con il fallimento della CED. Ma ci si scontrò con degli
ostacoli, rappresentati dal fatto che mentre in genere tutti erano disposti a riconoscere la
leadership americana, nessun Paese europeo avrebbe accettato quella di un altro Paese
europeo. Ad esempio, Germania ed Italia sarebbero stati dipendenti dalla forza nucleare
di Francia e Regno Unito. Gli stessi Stati Uniti non erano intenzionati ad abbandonare la
loro funzione di leadership, dunque, non avrebbero avuto interesse a smantellare la
NATO o ridurne l’importanza, perché questo avrebbe significato, scrive Romano,
distruggere le strutture politiche e organizzative che permettono agli Stati Uniti di
mantenere questa funzione.114
Riferendosi alle conseguenze della «vittoria ideologica, geopolitica ed economica
dell’Occidente», Carlo Jean, ha scritto che il nuovo concetto di sicurezza per
l’Occidente consiste nello
stabilizzare tale situazione e nel consolidarla, estendendo al resto del mondo un’organizzazione
politico-economica simile alla sua. […] Gli Stati non combattono per valori, ma per interessi.
115
Combattono per i valori soltanto quando essi sono funzionali ai loro interessi.
L’idea di porre fine all’esperienza dell’Alleanza non fu avvertita dai Paesi occidentali, i
quali, però, ebbero l’esigenza di riformarla per gestire un nuovo scenario internazionale
caratterizzato da nuove sfide. Queste ultime, erano già ben conosciute nel 1991, ed
emersero al Vertice NATO di Roma.116
3.2
IL VERTICE DI ROMA E IL CONCETTO STRATEGICO DEL 1991
A Roma la NATO adottò un nuovo Concetto Strategico, che ampliava il campo della
sicurezza. Esso considerava il dialogo con l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Europa
centrale e orientale, la cooperazione con tutti gli Stati europei sulla base della Carta di
Parigi per una Nuova Europa della CSCE117, la difesa collettiva. Questi erano i tre
pilastri del nuovo approccio della NATO alla sicurezza. 118
Il Concetto Strategico del 1991 fu il primo ad essere reso pubblico. Il documento
rappresenta la direttiva al più alto livello sui mezzi politici e militari da utilizzare per
perseguire gli obiettivi dell’Alleanza. Inizialmente era conosciuta come “Il Concetto
strategico per la difesa dell’area nord atlantica”, elaborato tra la fine del 1949 e l’aprile
del 1950, riguardava la strategia per le operazioni su vasta scala per la difesa del
territorio. A metà degli anni Cinquanta fu sviluppata la strategia della “risposta
massiccia”. Fino al 1967 ci furono delle discussioni vertenti sulla possibilità di sostituire
113
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato: passato, presente e futuro, in De Leonardis Massimo, a
cura di, “La nuova Nato”, cit., p. 162.
114
Sergio Romano, Qualche considerazione sull’allargamento della NATO, Affari Esteri, a. XXIX, n.
116 (1997), p. 714.
115
Carlo Jean, La rivoluzione geopolitica del dopo Guerra Fredda, Affari Esteri, a. XXIX, n. 113 (1997),
pp. 121-122.
116
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 88-89.
117
CSCE: durante il periodo di distensione dei primi anni ‘70, fu creata la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa
(CSCE), che doveva fungere da foro multilaterale per il dialogo e i negoziati tra Est e Ovest. Dopo oltre due anni di riunioni a
Helsinki e a Ginevra, la CSCE raggiunse un accordo sull’Atto finale di Helsinki, firmato l’1 agosto 1975 da 35 Stati. L’Atto finale
ha stabilito i principi fondamentali che regolano la condotta degli Stati nei confronti dei loro cittadini e fra di loro. Dopo la fine della
guerra fredda la CSCE ha fornito assistenza agli Stati post-comunisti nella transizione verso la democrazia e l’economia di mercato
e, successivamente, ha contribuito agli sforzi di tutti gli Stati partecipanti nel far fronte alle nuove minacce e alle nuove sfide alla
sicurezza. Fonte: www.osce.org/publications/sg/2006/04/18784_591_it.pdf
118
30
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato, cit., pp. 162-163.
tale strategia, come infine avvenne, con quella della “risposta flessibile”. Queste
strategie costituivano dei documenti classificati, che fornivano direttive e punti di
riferimento per le attività di pianificazione militare. I dettagli non erano a disposizione
dell’opinione pubblica, sebbene l’elemento principale fosse noto, erano indirizzati ai
governi, perché la loro efficacia dipendeva dalla segretezza in un contesto di Guerra
Fredda. La pubblicazione del Rapporto Harmel attribuì alla difesa e al dialogo la
funzione di pilastri nella strategia dell’Alleanza in materia di sicurezza. Intervenuta la
fine della Guerra Fredda e mutata la situazione politica e militare, nacque il nuovo
Concetto Strategico, completato nel novembre 1991. Era differente dai precedenti e
puntava sulla cooperazione con gli ex-avversari, invece del confronto. Lo scopo
fondamentale restava la sicurezza dei membri ma guardava ad una più ampia sicurezza
in Europa. Fu diffuso come documento accessibile e aperto alla discussione
dell’opinione pubblica. 119
Gli aspetti più innovativi della strategia dell’Alleanza erano rappresentati dalla
costituzione di forze multilaterali, caratterizzate da un’elevata mobilità e flessibilità.
Questo miglioramento della qualità compensava la riduzione delle dimensioni delle
forze. Il Consigliere Diplomatico del Ministro della Difesa, Paolo Foresti, scriveva:
l’Alleanza, mentre riduce il suo apparato militare, si ripropone – oltre che a salvaguardia della
sicurezza, della sovranità e dell’integrità territoriale dei suoi membri – come strumento politicomilitare di dissuasione; e soprattutto, con l’accentuazione degli elementi di integrazione e di
multinazionalità, come antidoto alla rinazionalizzazione delle difese.120
Lamberto Dini, in un suo articolo che commentava quello che sarebbe divenuto il
successivo “Nuovo” Concetto Strategico, adottato a Washington nel 1999, ha scritto:
invero, già con il concetto strategico del 1991, l’Alleanza aveva compiuto un’altra rilevante
trasformazione. Crollato il muro di Berlino e scomparso il nemico ad Est, essa riconosceva
l’esigenza di stare in guardia rispetto a nuove e diversificate minacce per la sicurezza e la
stabilità, per la difesa, del vecchio continente. Nuove minacce […] che avrebbero richiesto un
diverso concetto di difesa rispetto a quello statico e basata sulla semplice deterrenza proprio
della guerra fredda.121
L’Alleanza ha permesso di garantire lo spazio di libertà e indipendenza per il quale era
stata costituita, definito come “l’ossigeno della prosperità” che ha consentito la
cooperazione e l’integrazione economica europea. Tuttavia, anche se la fine della
Guerra Fredda poteva aver eliminato la minaccia di un’invasione militare, in alcune
regioni d’Europa era aumentata l’instabilità. Ciò condusse i Paesi membri della NATO
a considerare ancora attuale il proprio impegno di difesa collettiva e cooperazione,
come migliore garanzia per la propria sicurezza.122
La fine della Guerra Fredda, dunque, ha determinato il passaggio ad una nuova fase per
la NATO. Sebbene non espressamente dichiarato, l’Alleanza era sorta nella prospettiva
della difesa dall’Unione Sovietica, pertanto, i fatti storici che condussero alla scomparsa
di questo soggetto internazionale avrebbero dovuto comportare anche, indirettamente, la
perdita del motivo per cui l’Alleanza era stata concepita e la sua dissoluzione. Tuttavia,
è stato elaborato un nuovo obiettivo. Gli alleati erano riluttanti ad abbandonare
l’esperienza di uno strumento collettivo di difesa basato sul coordinamento e
sull’integrazione di forze armate internazionali. Inoltre, seppure indebolita, la
Federazione Russa nasceva con l’eredità degli armamenti nucleari, così come gli stati
119
Manuale della NATO, NATO Office of Information and Press, Bruxelles, 2001, pp. 45-46.
Paolo Foresti, Lo strumento militare ed i mutati scenari internazionali, Affari Esteri, a. XXIV, n. 94
(1992), p. 310.
121
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington – Rinnovamento e continuità, Affari Esteri, a. XXXI,
n. 123 (1999), p. 487.
122
La NATO nel XXI secolo, NATO Public Diplomacy Division, Bruxelles, 2004, pp. 7-8.
120
31
ex-membri dell’URSS, per cui non si poteva sottovalutare un utilizzo di tali armi sotto
spinte nazionalistiche. Gli Stati Uniti non erano favorevoli a dismettere un’alleanza
nella quale si erano fortemente impegnati e che godeva di un buon grado di
accettabilità. Essa era inoltre un ottimo strumento d’azione per la propria politica estera.
Ma gli stessi membri europei non avevano interesse a sciogliere ciò che li aveva messi
al riparo dai problemi di un sistema di difesa singolo, nazionale. La certezza che dava in
quel momento la NATO era un disincentivo alla sua dismissione. 123
La NATO ha raggiunto il suo scopo di difesa dell’Occidente da un’eventuale
aggressione sovietica in maniera preventiva, ovvero, attraverso la dissuasione. Non era
negli scopi dell’Alleanza l’abbattimento dell’URSS. Successivamente, divenne lo
strumento simbolo del mantenimento dell’equilibrio ottenuto. Si giunse così ad un
ripensamento delle funzioni dell’Alleanza, pur mantenendo immodificati gli articoli del
Trattato Atlantico. 124
Se la NATO fosse rimasta esclusivamente un’organizzazione per la difesa dal pericolo
sovietico, sarebbe presto diventata un’entità obsoleta, sostituita probabilmente da
un’organizzazione più capace di adattarsi al contesto internazionale in evoluzione. Ad
esempio, dalla CSCE nel ruolo di “struttura per l’ottenimento delle riforme e della
stabilità” in Europa. 125
Il Segretario Generale del Comitato Atlantico, Fabrizio W. Luciolli, in un convegno sul
futuro della NATO affermava:
Al vertice dei capi di stato e di governo partecipanti alla riunione del Consiglio Atlantico
tenutosi a Roma il 7-8 novembre 1991, apparve evidente come “Le sfide che fronteggeremo in
questa nuova Europa non possono essere affrontate globalmente da un’unica istituzione, ma
solo in una cornice di istituzioni interdipendenti che riuniscano i paesi d’Europa e dell’America
settentrionale”. Nato, Nazioni Unite (Nu), Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (Osce), Unione europea (Ue), Unione dell’Europa occidentale (Ueo), Consiglio
d’Europa, non rappresentano, pertanto, dati dell’ordinamento internazionale che si escludono a
vicenda, ma si completano e concorrono, in via complementare, a definire un nuovo sistema di
sicurezza secondo un principio di interlocking institutions o “istituzioni interconnesse”. 126
Tale sistema sarebbe necessario per fronteggiare le instabilità e le controversie che
potranno nascere per diverse ragioni, come disparità economiche o nazionalismo
esasperato. La NATO è considerata «cardine e strumento insostituibile per la sicurezza
del continente europeo e più in generale dell’Occidente». Grazie al legame
transatlantico, afferma Luciolli, la NATO è in grado di assicurare una stabilità
complessiva dell’Europa con un raccordo tra difesa euro-atlantica e sicurezza
paneuropea.127
Secondo l’opinione di Federico Romero, la NATO ha svolto per quarant’anni il proprio
ruolo di contenimento e deterrenza sovietica, tuttavia, nell’ottica degli Stati Uniti essa
aveva un’altra funzione, che esisteva già al momento della sua nascita. Inoltre, la
scomparsa dell’URSS avrebbe rafforzato la visione americana che condusse
all’Alleanza. Secondo l’autore, l’interesse americano corrisponderebbe alla «national
security», emerso tra il 1938 e il 1941, dovuto non tanto al pericolo per gli USA
dell’espansionismo aggressivo delle dittature, quanto alla «trasformazione inaccettabile
dello scenario mondiale». In termini geopolitici, il pericolo era dato «dalla potenziale
dominazione delle risorse dell’Eurasia da parte di potenze ostili», che tradotto nel
123
Ottavio Barié, La Nato durante e dopo la guerra fredda, in De Leonardis Massimo, a cura di, La
nuova Nato, cit., pp. 36-38.
124
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 86-87.
125
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., p. 110.
126
Fabrizio W. Luciolli, L’allargamento della Nato: verso una nuova architettura della sicurezza, in “Il
futuro della NATO nel nuovo contesto geopolitico”, Atti del Convegno, Gorizia, 9-11 aprile 1997, p. 14.
127
Ibidem.
32
linguaggio politico diveniva il «progressivo soffocamento della democrazia». Questo
significava la fine del «mondo in cui l’America vede incarnato il proprio futuro: il
mondo dell’interdipendenza, di una condivisa legalità internazionale, del libero accesso
alle risorse e ai mercati, della sovranità democratica come principio universale». La
sicurezza nazionale minacciata è la proiezione dei valori democratici e dei principi
liberisti quale base per una pace sostenibile. Romero afferma:
i destini dell’interdipendenza globale poggiano innanzitutto sulla stabilizzazione pacifica
dell’Europa, e questa a sua volta richiede una forte presenza e leadership americana,
storicamente realizzatasi con gli interventi nelle due guerre mondiali e poi istituzionalizzata
nella NATO.128
Il ruolo degli Stati Uniti rimane preminente, afferma Romero, per la loro imponenza
geopolitica ed economica ma, soprattutto, perché essi vogliono essere una «potenza
europea», per poter essere in grado di stabilizzare l’Europa e le aree attorno ad essa,
addirittura la zona Trans-Caucasica, dove la NATO è l’organismo col quale si
istituzionalizza tale carattere. 129
Si sono volute utilizzare le parole dell’autore perché propongono in maniera autorevole
un aspetto del significato dell’Alleanza nell’ottica statunitense. Ci si pone la domanda,
dunque, se sia possibile ritrovare un comune interesse di “sicurezza internazionale” che
possa giustificare un’alleanza, quale quella Atlantica, che unisce soggetti internazionali
diversi, per sovranità e per obiettivi, ovvero, se sotto il vessillo della “sicurezza
internazionale” si possa ritrovare l’attuale raison d’être dell’Alleanza, nel senso di
plasmare e gestire un certo tipo di equilibrio favorevole agli interessi comuni degli
alleati, giungendo a creare e mantenere quella “stabilità” desiderata.
3.3
ALTRI ELEMENTI DELLA NUOVA FASE
I Paesi occidentali, essendo terminato il timore di un conflitto totale che li annientasse,
individuarono tre fattori di conflitto potenziale. Innanzitutto, occorreva monitorare
l’evoluzione politica della Russia. Sebbene affrontasse a livello economico un momento
drammatico, essa rimaneva un importante attore nello scacchiere euro-asiatico, dotata di
un potenziale bellico micidiale, soprattutto, in caso di involuzione autoritaria ed
espansiva. In secondo luogo, vi erano i problemi dei Paesi dell’ex-blocco sovietico e dei
Balcani, in grado di produrre focolai di tensioni locali che si sarebbero potuti
ripercuotere in tutto il continente. Infine, i problemi legati ad aree anche distanti dalla
zona NATO in grado di costituire instabilità: diffusione di armi nucleari, chimiche e
batteriologiche, soprattutto in Medio Oriente e Asia centrale e orientale; il terrorismo
internazionale di ogni matrice e la connessione con la diffusione dei fondamentalismi; le
minacce all’accesso e all’utilizzo delle risorse, ad esempio, energetiche, indispensabili
per il benessere dei Paesi occidentali. Inoltre, si devono considerare le sfide interne,
quali, i problemi che derivano dai rapporti fra gli alleati e i loro differenti obiettivi.
Dunque, l’Organizzazione è stata considerata come lo strumento per gestire anche i
rapporti e gli interessi degli alleati, in quanto, in un sistema istituzionalizzato tutti
avrebbero potuto trovare protezione dagli interessi degli altri.130
Importante fu anche il rapporto fra la NATO e la Guerra del Golfo del 1991. Fu una
guerra condotta dagli americani e fu un’operazione sotto l’egida dell’ONU. Tuttavia,
solo attraverso la NATO si poteva gestire un’azione militare di successo grazie alle
128
Federico Romero, “Gli Stati Uniti e la Nato dopo il 1989”, in Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, Un
ponte sull’Atlantico, cit., pp. 293-297.
129
Ivi, pp. 298-299.
130
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 89-91.
33
forze accentrate in Europa e agli appoggi nell’area mediorientale. Ma i problemi
riguardavano l’applicazione degli articoli del Patto. L’articolo 5 non poteva essere
richiamato. Si poteva richiamare l’interpretazione dell’articolo 4, circa l’intesa fra tutti i
membri per agire per motivi di sicurezza. C’era poi da considerare i limiti geografici
dell’articolo 6 e l’uso di “operazioni fuori area”. Tuttavia, con il favore del Consiglio di
Sicurezza ONU, dodici dei sedici membri della NATO fornirono aiuti alla coalizione
tramite truppe o aiuti logistici. Si trattava di una guerra in cui la NATO era
“virtualmente” presente e in cui alcuni membri avevano agito efficacemente al di fuori
del controllo della struttura militare alleata. Questa esperienza rafforzò l’Alleanza e il
significato del ruolo che essa avrebbe potuto avere nel futuro. Gli elementi di frizione
nei rapporti fra le due sponde dell’Atlantico sembravano essere spariti dalla sferzata di
energia che la vittoria della coalizione aveva dato. 131
Tuttavia, nella guerra del Golfo Persico del 1991, la NATO attivava per la prima volta
le proprie armi in un conflitto che poteva coinvolgerla, oltre che in senso generale,
attraverso la coordinazione politica e militare, ovvero, rendendo agevole la
collaborazione fra i suoi membri impegnati nel conflitto e disponibile il proprio
apparato logistico e le infrastrutture, la NATO ha avuto anche un ruolo specifico.
L’Organizzazione ha impiegato le proprie risorse per proteggere gli alleati dalla
minaccia esplicita di aggressione ai danni della Turchia e dal rischio di perdere il
controllo dell’ arma petrolifera e delle vie di comunicazione del Mediterraneo. A partire
da questa occasione, la Forza Navale del Mediterraneo divenne permanente. E fu anche
la prima volta in cui l’Organizzazione si impegnava in azioni al di fuori del limite
territoriale dell’Alleanza stessa, pur sempre “virtualmente”. Sarà nei Balcani, infatti, che
verranno impiegate effettivamente le forze della NATO.132
3.4
LA CRISI NEI BALCANI
Il crollo della Federazione Jugoslava nel luglio 1991 fu l’occasione per la NATO di
dimostrare le proprie potenzialità in situazioni di crisi. Sarebbe potuta rientrare
l’applicazione dell’articolo 4 del Patto, nel momento in cui la guerra civile avesse
interessato i confini dell’Alleanza (Ungheria e Turchia), oppure, vi fosse stato un flusso
importante di profughi verso l’Europa occidentale. Il leader serbo Slobodan Milosevic
aveva rifiutato di riconoscere la secessione della Croazia dalla Jugoslavia dopo la
dichiarazione di indipendenza della Serbia. Il conflitto in Bosnia-Herzegovina richiamò
l’attenzione internazionale sui crimini e gli orrori commessi, ma era difficile
comprendere chi fosse l’aggressore e chi fosse la vittima e questo contribuì a far esitare
l’intervento della NATO. Anche i croati erano vittime dell’aggressione Jugoslava, ma le
loro intenzioni erano sospette, avendo dei piani per annettere la Bosnia-Herzegovina.
Nel 1992, però, una forte minoranza serba occupò i territori nei quali vi erano
popolazioni mussulmane, con l’intenzione di costruire una Grande Serbia. Gli Stati
Uniti dichiararono di non avere interessi nella zona e speravano che gli europei
dimostrassero la loro capacità di intervento autonomo nello spirito del Vertice di
Maastricht. Le Nazioni Unite non erano pronte ad entrare nel conflitto e tentavano la
mediazione. Gli USA furono gradualmente inseriti nella guerra con la nuova presidenza
di Bill Clinton, dapprima con azioni di trasporto di derrate alimentari. Le Nazioni Unite
non riscuotevano successo nella loro opera di mediazione, portando l’allora Segretario
Generale B. Boutros-Ghali a cercare un sempre maggiore coinvolgimento della NATO.
131
132
34
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 110-112.
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 102-103.
Nel 1993 le Nazioni Unite richiesero la collaborazione della NATO, ottenendo l’uso
delle sue infrastrutture. 133
A partire dal 10 agosto 1993, la NATO intervenne militarmente in Jugoslavia, per conto
dell’ONU, su proposta americana. L’obiettivo era porre fine all’assedio di Sarajevo. Il 9
febbraio del 1994 venne dato l’ultimatum ai serbi. Il 28 febbraio, il 10-11 aprile, il 5
agosto, il 22 settembre, il 21 e il 23 novembre del 1994 e il 25-26 maggio del 1995
furono eseguite delle azioni limitate nei confronti di obiettivi serbi. A quel punto vi
erano 22 mila Caschi Blu dell’ONU presenti in Bosnia. I Serbi prelevarono tra essi degli
ostaggi e le televisioni li mostrarono incatenati agli obiettivi serbi suscettibili di essere
attaccati dalla NATO. Gli attacchi aerei della NATO non furono determinanti e i serbi
lentamente procedettero allo «strangolamento delle sacche mussulmane» e alla presa di
Srebrenizza, l’11 luglio 1995. Dieci giorni dopo, a Londra, Stati Uniti, Regno Unito e
Francia decisero di eliminare la procedura d’autorizzazione delle Nazioni Unite per ogni
singola operazione d’attacco. In risposta al massacro al mercato di Sarajevo, alle ore
2.30 del 29 settembre, iniziò l’azione risolutiva della NATO.134
L’attacco aereo da parte della NATO, durato 22 giorni, condusse i combattenti al tavolo
delle negoziazioni. Ci fu l’aiuto da parte dei croati che occuparono un’ampia zona del
territorio serbo-bosniaco. Gli accordi di Dayton furono più che altro frutto del lavoro
del vice-Segretario di Stato statunitense Richard C. Holbrooke. Fu poi stabilita la
Implamentation Force (IFOR) e la Bosnia fu divisa in tre zone, sotto responsabilità
americana, britannica e francese. Anche la Germania e altri membri minori della NATO
erano presenti, come Belgio Spagna, e l’Italia che fu utilizzata come importante
appoggio logistico. Nelle operazioni militari successive agli accordi di Dayton molti
Paesi, che facevano parte della Partnership for Peace, lavorarono sotto il comando
NATO. Importante fu anche il contributo della Russia, tradizionale alleata della Serbia,
che tuttavia, nonostante l’autonomia, lavorò sotto il comando della NATO nel settore a
guida americana. 135
«Si potrebbe dire che la Bosnia ha salvato la NATO», fu l’osservazione
dell’Ambasciatore USA alla NATO, R. E. Hunter, che sottolineava come gli alleati
fossero riusciti a impiegare l’Alleanza in uno scenario diverso da quello per il quale era
stata progettata e il ruolo determinante degli Stati Uniti.
La Bosnia ha dimostrato l’importanza della NATO; la rinnovata importanza della leadership
americana; la disponibilità a condividere le responsabilità con gli alleati; la base morale e
politica intrinseca della sicurezza; e il valore costante del mutuato e sottinteso motto della
NATO – uno per tutti e tutti per uno. 136
L’Ambasciatore sottolineava quanto fosse stato pericoloso quel momento per le sorti
dell’Alleanza, per la coesione dei membri e per il lavoro svolto fino ad allora con la
Russia. Scriveva:
nessun’altra questione nella storia della NATO ha lacerato la coesione degli alleati più di questa
– e il caso della Bosnia ha quasi distrutto l’Alleanza. […] e l’impasse relativamente alla Bosnia
rischiava di minare addirittura il lavoro comune svolto al fine di costruire il futuro della NATO
in Europa centrale e con la Russia.137
133
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 116-121.
Giuseppe G. Nastri, Quattro anni di guerra nell’ex Jugoslavia, Rivista di Studi Politici Internazionali,
a. LXIII (1996), pp. 208-209.
135
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 116-121. Clementi Marco, La Nato,
cit., pp. 103-104.
136
Robert E. Hunter, Alla ricerca di uno scopo – e del successo – in Bosnia, in “Il 50° anniversario della
NATO”, U.S. Foreign Policy Agenda, USIA Electronic Journals, Volume 4, N. 1, marzo 1999, traduzione
italiana a cura dell’Ambasciata Americana – Roma -, p. 34.
137
Ivi, p. 35.
134
35
La fase di stallo nei rapporti transatlantici fu interrotta, scrive Romano, dai fatti della
Jugoslavia, nel 1995. La crisi in Bosnia dimostrò che l’Europa era militarmente
impotente e che i problemi di sicurezza sul Continente potevano essere affrontati
soltanto attraverso la guida politico-militare degli Stati Uniti. 138
Nella crisi del Kosovo la collaborazione istituzionale fra l’ONU e la NATO venne
meno. Nel 1996, le tensioni fra il governo serbo e gli indipendentisti albanesi
scatenarono la guerra civile. L’ONU intervenne con due Risoluzioni nel 1998. La prima
condannava le violenze e poneva l’embargo sulla fornitura di armi alla Serbia. La
seconda raccomandava la cessazione delle violenze serbe contro la popolazione civile
kosovara. Subito dopo, la NATO approvò l’Activation Order, che autorizzava attacchi
aerei contro la Serbia in caso essa non avesse rispettato le decisioni dell’ONU nei
successivi quattro giorni. 139 La crisi fu congelata con l’ingresso di due mila osservatori
dell’OSCE140.
Milosevic era determinato a sopprimere le aspirazioni autonomistiche degli albanesi del
Kosovo. La Serbia violava ripetutamente gli accordi sul ritiro delle truppe. La NATO
era coinvolta nella zona e offrì una mediazione, a Rambouillet, nel marzo 1999, fra i
serbi e l’Armata di Liberazione del Kosovo (KLA). L’accordo non venne raggiunto.
Milosevic persisteva nella “pulizia etnica”. Gli Stati Uniti e il Consiglio Nord Atlantico
erano convinti che con un attacco aereo avrebbero sconfitto Milosevic in una settimana.
Invece, fu intensificata la pulizia etnica. Su pressione di Stati Uniti, Gran Bretagna e
Francia, senza una delega formale dell’ONU, il 24 marzo 1999, la forza aerea della
NATO attaccò la Serbia, con un’offensiva che durò 78 giorni. Durante il conflitto si rese
sempre più evidente, da parte del SACEUR General Clark, che era indispensabile
l’utilizzo delle forze di terra. Ma il Presidente statunitense Clinton e il Segretario
Generale ONU Solana non furono d’accordo, stabilendo che l’offensiva sarebbe rimasta
solamente aerea. Nonostante ciò, il 9 giugno la Serbia accettò di ritirare le proprie
truppe dal Kosovo cedendo alla pressione militare. Le conseguenze sull’Alleanza
producevano, da una parte, un ottimo esempio di collaborazione fra gli alleati che
avevano offerto contributi diversi, dall’altra, il profondo ritardo degli alleati europei
rispetto agli americani nella ricerca e tecnologia militare. Gli Stati Uniti avevano offerto
l’80% dello sforzo militare e furono determinanti nella decisione di iniziare il conflitto e
nella sua conduzione. La partecipazione nella Forza di Occupazione Alleata in Kosovo
(KFOR) fu uno strumento di riscatto per gli alleati europei. La crisi del Kosovo fu
determinante nella decisione del raggiungimento di una autonoma capacità d’azione da
parte dell’UE, sebbene «senza pregiudizio per le azioni della NATO». Nacque, però, la
questione della duplicazione delle forze militari. La supremazia militare americana non
servì nel momento della gestione della fase post-conflitto. Sia nella SFOR (la Forza di
Stabilizzazione che sostituì l’IFOR dopo le regolari elezioni del settembre 1996) in
Bosnia, che nel KFOR in Kosovo, le truppe europee erano di maggior peso. Dunque, si
determinò una situazione di condivisione delle responsabilità e di cooperazione fra l’UE
e la NATO. 141
I motivi che condussero alla guerra sono oggetto di dibattito, tuttavia, pare opportuno
segnalare, oltre l’interesse umanitario, l’esistenza di interessi legati al controllo dei
“corridoi” petroliferi che collegano il Caucaso e il Mar Caspio all’Europa meridionale,
138
139
140
Sergio Romano, Qualche considerazione sull’allargamento della NATO, cit., p. 715.
Marco Clementi, La Nato, cit. pp. 104-105.
OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa): l’OSCE, un’organizzazione regionale basata su una serie
di valori ai sensi dello Statuto delle Nazioni Unite, svolge un ruolo guida nel promuovere la sicurezza e la democratizzazione tra gli
Stati della regione euroatlantica ed eurasiatica. In particolare, l’Organizzazione contribuisce al preallarme, alla prevenzione dei
conflitti, alla gestione delle crisi e alla ricostruzione post-conflittuale. Le origini dell’OSCE risalgono al periodo di distensione dei
primi anni ‘70, quando fu creata la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). Fonte:
www.osce.org/publications/sg/2006/04/18784_591_it.pdf
141
Lawrence S. Kaplan, NATO DIVIDED NATO UNITE, cit., pp. 125-130. Marco Clementi, La Nato,
cit., pp. 104-106.
36
oppure, elementi di competizione fra Europa e USA o le mire egemoniche statunitensi
in Eurasia. Tuttavia, l’elemento reale è che la prima guerra nella storia della NATO
segnò un nuovo momento di cesura col passato e di riflessione sul futuro
dell’Alleanza.142
3.5
IN PREPARAZIONE ALL’ALLARGAMENTO DELL’ALLEANZA
Gli anni Novanta sono stati un periodo denso di mutamenti. La Germania si stava
avviando progressivamente ad entrare unita nella NATO e i Paesi dell’Europa orientale
erano sempre più scettici sulla permanenza del Patto di Varsavia. Quando all’inizio del
1991 l’URSS sciolse formalmente il Patto si produsse un vuoto di sicurezza nell’area
centrale e orientale europea e ulteriori preoccupazioni emersero, pochi mesi più tardi,
quando l’Unione Sovietica implose. I Paesi dell’Europa orientale cercarono di
ricostruire la propria sovranità e i propri interessi. La NATO, da parte sua, colse i
segnali che giungevano da quell’area e, nonostante che percepisse che l’ipotesi di una
allargamento ad Est avrebbe provocato tensioni a Mosca, fu organizzata a Praga (aprile
1991) la Conferenza sull’avvenire della sicurezza europea. Il punto fermo che scaturì fu
l’indivisibilità della sicurezza europea e l’urgenza della soluzione della questione
dell’area centrale e orientale europea, sulla base di un sistema di sicurezza che
interessasse l’intero continente, inclusa l’Unione Sovietica, e che fosse inserito nel
vincolo di collaborazione transatlantica con Stati Uniti e Canada. Lo smembramento
dell’URSS fu l’occasione per la NATO di invitare i Paesi orientali e i tre Stati baltici a
partecipare ad un contesto consultivo istituzionalizzato. Attraverso riunioni periodiche
presso la sede della NATO, contestualmente alle sessioni del Consiglio Atlantico, fu
inaugurato a Bruxelles (20 dicembre 1991) il North Atlantic Cooperation Council
(NACC). Il NACC rappresentava una prima risposta ai Paesi dell’Est e alla costruzione
di un nuovo ordine di sicurezza europeo, nel mantenimento della pace, nel
rafforzamento della stabilità e della sicurezza, della fiducia. 143 Il NACC si occupava di
peacekeeping, pianificazione della difesa e della strategia, conversione dell’industria
della difesa, informazione, affari scientifici e ambientali, piani civili di emergenza e
coordinamento aerospaziale, e altri argomenti. 144
I Paesi dell’Europa centro-orientale avrebbero voluto passare immediatamente alla fase
di adesione vera e propria per poter risolvere i problemi di sicurezza, attrarre
investimenti e partecipare alla UE. Nel 1993 c’erano gli elementi per un’evoluzione nei
rapporti dell’area. Tuttavia, in ambito NATO si confrontavano opinioni diverse. Il
Comandante in capo delle forze atlantiche in Europa (SACEUR), Shalikashivili,
riteneva fosse prematuro un allargamento della NATO che avrebbe provocato tensioni
con la Russia. Ugualmente, nell’Amministrazione Clinton si tentennava fra due opzioni:
un allargamento rapido della NATO che sfruttasse l’incertezza russa, oppure, la
creazione di un “secondo cerchio”, ovvero una struttura militare meno rigida, da
aggiungere al nucleo esistente. La stessa Russia di El’cin non manifestava una posizione
univoca, preferendo puntare sulla CSCE. In Europa, persa la fiducia nel ruolo della
CSCE, prevalse il favore all’allargamento, sul motto «out of area, out of business». Su
queste basi, nacque la proposta di Partnership for Peace (PfP), formulata dal Segretario
alla Difesa statunitense, Les Aspin, in occasione della riunione dei Ministri della Difesa
della NATO a Travemünde (ottobre 1993), in Germania. Secondo questa formula, non
si davano alle nuove democrazie dell’Est le garanzie dell’articolo 5 del Patto, ma
piuttosto simili all’articolo 4. Inoltre, partecipare alla PfP non significava
142
Marco Clementi, La Nato, cit., p. 106.
C. Meneguzzi Rostagni, L’allargamento della Nato, cit., pp. 310-312.
144
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato, cit., p. 163.
143
37
necessariamente divenire membro NATO in futuro. I Ministri degli Esteri della NATO
decisero di prendere in seria considerazione la proposta statunitense, pur considerando i
tempi non del tutto maturi. Durante il Vertice NATO a Bruxelles, del 10-11 gennaio
1994, fu adottato il testo che formalizzava la proposta di partecipare ad un programma
di partenariato e a elaborare nuove relazioni di sicurezza tra l’Alleanza e i suoi soci per
la pace. Il 12 gennaio 1994, a Praga, il Presidente Clinton incontrò i Presidenti di
Polonia, Ungheria, Repubbliche Ceca e Slovacca, che aderirono alla PfP. La Russia si
mostrò più fredda e cauta, ma per quei Paesi la Pfp rappresentava una fase intermedia
per poi ottenere la membership; infatti, firmarono già nei primi mesi del 1994 i
documenti di presentazione. 145
La partecipazione alla PfP ha contribuito alla preparazione dei militari dei Paesi
partners nelle operazioni di peacekeeping in Bosnia e, nel 1997, in Albania (intervento
sotto egida italiana). Essa ha rappresentato, dunque, un elemento importante nel
processo di allargamento della NATO, sebbene inizialmente si temesse che lo avrebbe
condotto in fase di stallo e che i partners sarebbero stati consumatori più che produttori
di sicurezza.146
Nel 1994, il Presidente Clinton ebbe un ruolo importante nel premere sul “quando” e
non sul “se” ci sarebbe stato l’allargamento. Questo portò il NAC a dichiarare nel
dicembre dello stesso anno: «Noi attendiamo e vogliamo dare il benvenuto
all’allargamento della NATO». 147
L’Ambasciatore USA presso la NATO in quel periodo ha scritto:
L’agenda era pronta: era centrata sul tentativo di guardare a Est della NATO per comprendere
tutte le nazioni e tutti i popoli nella speranza di garantire la sicurezza e la pace in tutto il
continente. “L’allargamento” della NATO costituiva sì il fulcro, ma tutte le altre nazioni
avevano come scopo quello di assicurare che l’esito finale di questo lavoro sarebbe stato un
contributo positivo alla sicurezza globale dell’Europa.148
Nel 1995 fu affidato al Comitato Politico della NATO uno Studio sugli effetti di un
allargamento dell’Alleanza ad Est, in riferimento al processo decisionale ma anche alla
stessa stabilità dell’Europa. Questo atto portò la Russia a decidere di non entrare nella
PfP. Tuttavia, si tenevano continue consultazioni per individuare una relazione speciale
NATO-Russia che concedesse «una voce non un veto». Lo Studio fissò le condizioni
base per l’acquisizione della membership: i nuovi Stati dovevano garantire sistemi
democratici, abbandonare ambizioni sui territori confinanti, risolvere eventuali dispute
sui diritti delle minoranze, riformare le forze armate stabilendo un controllo
democratico sulle stesse. 149
Lo Studio si riferiva al “come”, cioè i criteri di ingresso suddetti, e al “perché” fosse
necessario l’allargamento: con la fine della Guerra Fredda e con la scomparsa del Patto
di Varsavia si presentava un’occasione unica, oltre che una necessità, di accrescere la
sicurezza nell’intera area euro-atlantica senza che si formassero nuove linee di
divisione. Pertanto, lo Studio concludeva che l’allargamento dell’Alleanza avrebbe
generato una maggiore stabilità e sicurezza per gli alleati attraverso l’espansione dei
valori ma anche la promozione dei rapporti di buon vicinato. 150
Lo Studio fu reso necessario dalle numerose incognite che comportava l’espansione
dell’Alleanza. Nell’intervento del Professor Gori U., al VII Convegno Internazionale,
sul tema del futuro della NATO, tenutosi a Gorizia il 9-11 aprile 1997, vi sono numerosi
spunti e interrogativi sul significato dell’allargamento dell’Alleanza. Egli affermava che
145
C. Meneguzzi Rostagni, L’allargamento della Nato, cit., pp. 312-317.
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato, cit., pp. 163-164.
147
Sten Rynning, NATO Renewed, Palgrave Macmillan, New York, 2005, p. 59.
148
Robert E. Hunter, Alla ricerca di uno scopo – e del successo – in Bosnia, cit., p. 34.
149
C. Meneguzzi Rostagni, L’allargamento della Nato, cit., pp. 317-318.
150
NATO Handbook, NATO Public Diplomacy Division, Bruxelles, 2006, pp. 185-186.
146
38
la stabilità riguarda il mantenimento degli equilibri formatisi, i quali dipendono da
valutazioni che possono anche essere viziate da percezioni errate. L’importanza di tali
percezioni riflette quella di alcuni interrogativi:
Se la Russia, condizionata da secoli dal complesso dell’accerchiamento, reagisse male, il
sistema non diventerebbe più pericoloso? […] Ma si intravede anche un altro problema:
l’allargamento non rischia di diluire la coesione dei paesi attualmente membri della Nato e di
rendere più difficili le decisioni? Ancora, l’allargamento sarà funzionale alla Nato intesa come
braccio operativo regionale delle Nazioni Unite in base allo statuto di queste ultime? […] Ma
c’è anche un’altra perplessità, solo che si pensi alla Nato come a un’alleanza che deve garantire
la sicurezza di ciascuno dei suoi membri. Le minacce alla sicurezza, infatti, sono di tipo
profondamente diverso. Gli strumenti della Nato, che erano appropriati in un’epoca di confronto
totale, si rivelano inadeguati di fronte alle nuove minacce. Ma se devono mutare gli strumenti,
anche la Nato rischia di veder mutata radicalmente la propria fisionomia. […] dalla teoria delle
relazioni internazionali e dalla conoscenza dei fatti risulta che le alleanze, di solito muoiono
quando mutano le percezioni sulle minacce esistenti, mentre durano solo con una leadership
egemonica. Forse l’allargamento […] potrà avere un senso politico, ideologico e strumentale per
gli interessi degli Usa o della Germania ma la Nato rischia di diventare un organismo che è
difficile prefigurare. Certo, con riferimento al paradigma realista delle relazioni internazionali è
legittimo affermare che l’allargamento è un modo per mantenere in piedi nel frattempo
un’alleanza militare, in vista di eventuali pericoli che possono derivare da un gigante ancora
malato ma formidabile dal punto di vista degli armamenti, soprattutto nucleari. […] Ma ne
esiste un altro [motivo], a mio avviso, ed è la volontà statunitense di mantenere una presa
sull’Europa per evitare che da una Nato inventata per avere “gli americani dentro, i russi fuori e
la Germania giù” non si passi a una situazione che abbia “gli americani fuori, i russi dentro e la
Germania sopra”. 151
Lo stesso Professore avverte di avere volontariamente fatto alcune provocazioni,
tuttavia, pare essere utile rimarcare la possibilità di analizzare il tema sotto molteplici
punti di vista.
In merito alla questione, Carlo Jean ha scritto: «L’espansione della NATO verso Est – o,
come è divenuto di moda affermare, il ricongiungimento all’Occidente dei Paesi dell’Europa
Centro-Orientale – è soltanto un elemento delle trasformazioni geostrategiche, che stanno
avvenendo in Europa». Esso è parte di un mosaico di problemi in cui bisogna tener conto
delle correlazioni e delle interdipendenze. Emerge il problema dei nuovi rapporti fra
USA ed Europa, in un contesto in cui «la partnership transatlantica sarà basata più sui
rapporti degli Stati Uniti con i singoli Stati europei, anziché con l’Unione Europea. […]
L’eventuale scomparsa della NATO lascerebbe l’Occidente frammentato, scoordinato e
conflittuale». Inoltre, il mantenimento dello status quo «marginalizzerebbe l’Alleanza»
facendola divenire «irrilevante, soprattutto nelle percezioni del Congresso e
dell’opinione pubblica americana». Per cui, affermava Jean, gli equilibri interni europei
vengono garantiti dalla presenza americana, che toglie alla Russia l’ipotesi di ripensare
all’impero sul continente, ma che ha tuttavia interesse alla stabilità della Russia, in
quanto utile alleata in Asia.152
Al Vertice di Madrid, del luglio 1997, si decise di concedere la piena appartenenza alla
NATO a Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, invitando ufficialmente questi paesi a
iniziare i colloqui per l’adesione formale, concretizzatasi il 12 marzo 1999 in occasione
del cinquantenario della NATO a Washington.153
Prevalse la posizione statunitense di un allargamento a tre nuovi membri, contro la
proposta italiana e francese di un allargamento a cinque.154
151
Umberto Gori, L’allargamento della Nato: verso una nuova architettura della sicurezza, in “Il futuro
della NATO nel nuovo contesto geopolitico”, cit., p. 13.
152
Carlo Jean, L’estensione della NATO, Affari Esteri, a. XXIX, n. 115 (1997), pp. 473-475.
153
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 99-100.
154
Sten Rynning, NATO Renewed, cit., p. 59.
39
Al paragrafo 5 del documento finale si dichiarava che, come affermato al precedente
incontro di Bruxelles, si attendeva di dare il benvenuto ai nuovi membri, come parte di
un processo di evoluzione che considerava gli sviluppi politici e della sicurezza
nell’intera Europa. Il tempo per una nuova fase veniva considerato maturo. Inoltre, si
sottolineava che lo Studio sull’allargamento aveva sostenuto che quest’ultimo avrebbe
prodotto una maggiore efficacia militare. Il dialogo con i dodici Paesi che avevano fatto
richiesta di entrare nell’Alleanza rappresentava la base per il processo di acquisizione
della membership. Al paragrafo successivo si dichiara che con il Vertice di Madrid si
invitano Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria ad iniziare le discussioni per l’ingresso
nella NATO e si auspica che questo possa divenire effettivo a Washington, nel 1999.155
Tra gli interessi dei Paesi dell’Europa centrorientale emergeva la possibilità di essere
coinvolti nel sistema economico e politico occidentale, ovvero, essi guardavano allo
sviluppo, alla stabilità interna ed esterna, e vedevano in questa soluzione il modo di
proteggersi da un eventuale nuovo interesse-dominio russo. 156
In merito, AntonGiulio de Robertis ha scritto:
il trionfo del modello politico occidentale ha indotto i nuovi dirigenti politici di tutti i Paesi
dell’Europa Centrale ed Orientale a guardare con grande interesse alle forme di cooperazione
esistenti fra i Paesi occidentali e alle organizzazioni occidentali attraverso cui esse si
concretizzano.157
I futuri partner furono inseriti in una serie di dialoghi che li rendesse consapevoli su che
cosa comportasse la membership e, da parte della NATO, per comprendere quali apporti
essi avrebbero dato. Gli Stati Uniti promossero anche iniziative bilaterali e multilaterali
per preparare i Paesi aspiranti a diventare membri della NATO, come la Partnership
strategica USA-Romania, o gli Incontri dei Ministri della Difesa e l’Iniziativa di
Cooperazione dell’Europa Sud-Orientale. Fu ben accolta la proposta della Bulgaria per
una Iniziativa del Mar Nero all’interno dell’Euro-Atlantic Partnership Council e la
costruzione di un battaglione di peacekeeping romeno-ungherese. Con favore venne
considerata anche l’iniziativa italiana per la creazione di una brigata congiunta con la
Slovenia e l’Ungheria. 158
La base giuridica dell’allargamento è l’articolo 10 del Patto di Washington, che
afferma: Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro
Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire
alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale.159
Il Vertice di Madrid fu decisivo anche per un’altra questione, oltre all’allargamento.
Infatti, non meno significativo è stato il processo di adattamento interno della NATO e
il processo di definizione di nuovi ruoli e missioni. Si giunse ad un accordo per una
nuova struttura di comando e la riduzione del numero dei Comandi Regionali in Europa
a due e del totale dei quartier generali (da 65 a 20). Si è poi deciso per l’aggiornamento
del Concetto Strategico dell’Alleanza. Fu proposta la creazione di una Identità Europea
di Sicurezza e di Difesa (ESDI) interna all’Alleanza, tramite il rafforzamento della
cooperazione fra la NATO e l’UEO e attraverso un meccanismo che rendesse
disponibili le strutture dell’Alleanza per missioni sotto l’egida UEO, le Combined Joint
Task Forces (CJTF). 160
155
Madrid Declaration on Euro-Atlantic Security and Cooperation, Issued by the Heads of State and
Government, Madrid, 8 luglio 1997, Press Release M-1 (97)81, www.nato.int/docu/pr/1997/p97081e.htm
156
Marco Clementi, La Nato, cit., p. 97.
157
AntonGiulio de’Robertis, L’ampliamento della NATO e l’Europa, Affari Esteri, a. XXIX, n. 114
(1997), p. 295.
158
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato, cit., pp. 171-172.
159
Trattato Nord Atlantico, Washington DC, 4 aprile 1949,
www.comitatoatlantico.it/FILE_ARTICOLI/82_Trattato.pdf
160
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato, cit., 2001, p. 181.
40
Rispetto al periodo della Guerra Fredda, secondo Carlo Jean, le crisi successive non
aumentavano la coesione delle alleanze, avendo, invece, un «effetto divisivo». Infatti, le
istituzioni di sicurezza collettiva nate in quel periodo trovavano delle difficoltà ad
adattarsi alle nuove esigenze. La NATO, con alcune difficoltà, scriveva Jean, lo stava
facendo, attraverso un riposizionamento nel mercato della sicurezza. Aveva cambiato il
suo prodotto, non solo dissuasione e difesa diretta, ma anche peacekeeping, peaceenforcing, etc…, e stava estendendo il mercato attraverso l’allargamento ai Paesi
dell’Europa centrorientale. Inoltre, stava adeguando la propria struttura interna. 161
Sergio Romano, in merito all’atteggiamento della Russia in questo periodo, ha scritto
che Eltsin intendeva perseguire la politica modernizzatrice che aveva caratterizzato i
periodi migliori della sua leadership. Per fare ciò, egli aveva bisogno della
collaborazione dell’Occidente, pertanto, non si oppose all’allargamento annunciato dalla
NATO, negoziandolo con delle concessioni: la partecipazione al vertice dei Paesi
maggiormente industrializzati e la creazione di un organo permanente di contatto fra la
Russia e la NATO. Tuttavia, aggiungeva:
nessuno può essere certo che le esigenze di Eltsin saranno condivise dai suoi successori e che
altri uomini politici russi, domani, non alzeranno la bandiera del nazionalismo offeso e umiliato.
L’allargamento della NATO depone in Europa i semi di nuove tensioni e contrasti.162
Anche Carlo Jean affermava che la Russia riteneva accettabile l’estensione della NATO
ad Est, cercando di ottenere le massime compensazioni possibili, anche grazie
all’arsenale nucleare ereditato dall’URSS.163
Il processo di allargamento ha trovato anche delle opposizioni e degli ostacoli. In
primis, i Paesi europei sottolineavano i problemi derivanti dall’intersecarsi di tale
processo con l’allargamento dell’UE. Inoltre, accettando membri politicamente instabili
si correva il rischio di trovarsi dentro conflitti non facilmente gestibili. La Russia ha
cercato di ostacolare il processo di collaborazione politico-militare, nella logica dei
propri interessi, perché si sarebbe ritrovata «a poca distanza da Mosca le armi nucleari e
convenzionali della NATO», trasformandosi in «un’isola del continente europeo».164
AntonGiulio de’Robertis ha affermato che l’ampliamento della NATO avrebbe
comportato complessi problemi di omogeneizzazione degli apparati militari e di
standardizzazione dei sistemi d’arma che utilizzavano i futuri nuovi membri. Inoltre, si
sarebbe provocata un’ulteriore alterazione degli equilibri esistenti in Europa. 165
Gli Stati Uniti erano consapevoli dell’opposizione all’allargamento della NATO in
alcuni settori della società russa, tuttavia, esso rimaneva un imperativo. Come il
Segretario di Stato Albright ha dichiarato in un’audizione di fronte al Senato
nell’autunno 1997:
“L’opposizione della Russia all’allargamento della NATO è un fatto reale. Ma dobbiamo
guardare ad essa per ciò che è: un risultato di vecchie percezioni errate circa la NATO e di
vecchi modi di pensare riguardo ai sui ex-satelliti dell’Europa Centrale. Invece di cambiare le
nostre politiche per renderle più adeguate alle paure anacronistiche della Russia, dobbiamo
incoraggiare le più moderne aspirazioni della Russia. Questo significa che dovremo rimanere il
più risoluto sostenitore della Russia ogni volta che questa cerca di definire la propria grandezza
integrandosi nelle istituzioni internazionali basate sulla legalità, aprendo i suoi mercati e
partecipando costruttivamente agli affari internazionali […]. Ma quando alcuni leaders russi
suggeriscono che una NATO ampliata sarebbe una minaccia, dobbiamo affermare con
161
Carlo Jean, La rivoluzione geopolitica del dopo Guerra Fredda, cit., p. 125.
Sergio Romano, Qualche considerazione sull’allargamento della NATO, cit., pp. 719-720.
163
Carlo Jean, La rivoluzione geopolitica del dopo Guerra Fredda, cit., p. 119.
164
Marco Clementi, La Nato, cit., p. 98.
165
AntonGiulio de’Robertis, L’ampliamento della NATO e l’Europa, cit., p. 295.
162
41
franchezza che questo è falso e dobbiamo basare le nostre politiche su ciò che sappiamo essere
vero”. 166
La possibilità di un allargamento dell’Alleanza era stata prevista fin dall’inizio e la
NATO stessa è il risultato di una sorta di “allargamento” dal Patto di Bruxelles al
Trattato di Washington del 1949. Prima del 1999 c’erano stati altri tre round di
allargamento: Grecia e Turchia (18 febbraio 1952), Germania occidentale (6 maggio
1955) e Spagna (30 maggio 1982). Il primo allargamento era stato dettato da esigenze di
sicurezza, ovvero, dalle minacce sovietiche su quegli Stati; in particolare, il pericolo di
un potenziale avanzamento sovietico in Medio Oriente. L’integrazione della Germania
occidentale aveva riguardato il problema del suo riarmo. Dopo il fallimento della CED e
l’ipotesi dell’UEO, la NATO fu individuata come il quadro entro il quale permettere il
riarmo tedesco all’interno di una rete di limitazioni. L’ingresso della Spagna aveva
significato il riconoscimento di una compiuta transizione alla democrazia, dopo il
periodo della dittatura di Franco (sebbene, già dal 1953, esistesse un accordo di
cooperazione militare bilaterale con gli Stati Uniti), ma con un governo socialista. Fu
dopo il 1984 che la Spagna assunse un atteggiamento a sostegno dell’appartenenza alla
NATO. 167
La questione dell’allargamento dell’Alleanza costituiva un elemento cruciale
nell’essenza stessa della NATO. Il nuovo sistema internazionale era caratterizzato dalla
presenza di elementi interdipendenti, con capacità di mutamento sempre più rapida,
quali la globalizzazione, le «interdipendenze sistemiche» con effetti non sempre voluti,
il decadimento dell’autorità, il risveglio dei particolarismi. Questo imponeva lo sviluppo
di un più sofisticato sistema di intelligence (concetto diverso da spionaggio) e una
strategia di sicurezza che diventasse globale. Afferma il Professor Umberto Gori:
In questo contesto, alla NATO concepita come comunità di valori con finalità difensive viene a
mancare il nemico (e Gorbaciov si vantava di tale “scherzo mancino” giocato all’Alleanza
Atlantica). A seguito di questi mutamenti si è passati da una politica di containment a una di
allargamento. Così come la prima, anche la seconda mira a essere una politica di lungo periodo
e di largo respiro. L’Alleanza, quale sistema di coesione, è rimasta in piedi.168
166
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato, cit., pp. 172-173.
Ivi, pp. 159-161.
168
Umberto Gori, L’allargamento della Nato, cit., p. 12.
167
42
Capitolo Quarto
IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NATO
4.1
IL VERTICE DI WASHINGTON DEL 1999
Javier Solana, Segretario Generale della NATO e Presidente del Consiglio Nord
Atlantico, analizzando il contesto di sicurezza euro-atlantico in prossimità del Vertice di
Washington, sottolineava il cambiamento «per lo più in meglio» della sicurezza
europea. Nonostante la transizione democratica particolarmente pacifica dei Paesi
dell’Europa Centrale e Orientale, continuavano ad esistere sfide alla sicurezza derivanti,
ad esempio, dal verificarsi di conflitti etnici e tra minoranze, da flussi di rifugiati e da
sistematiche violazioni dei diritti umani, oltre che dalla proliferazione delle armi di
distruzione di massa. Tuttavia, scriveva Solana, dal 1991 la NATO si è andata
adeguando a far fronte alle nuove sfide. A Washington, il cambiamento più
sorprendente per il Segretario Generale sarebbe stato il numero delle bandiere che vi
avrebbero partecipato. Con le nuove adesioni si dimostrerà, affermava Solana, che non
vi sono più linee divisorie e che «la porta per aderire alla NATO rimarrà aperta ai Paesi
in grado e che vogliono contribuire alla sicurezza degli alleati». Solana annunciava,
quindi, che sarebbe stato presentato un pacchetto di misure destinate a rendere i Paesi
partner più vicini all’Alleanza e che sarebbero stati rafforzati i rapporti con i Paesi non
membri in tutta la regione euro-atlantica, per arrivare ad estendere la fiducia e la
speranza nella regione attraverso i lavori del Consiglio di Partenariato Euro-atlantico.
Inoltre, dato l’ampio successo del PfP, sarebbe stato rafforzato questo strumento che ha
contribuito alla ristrutturazione delle forze armate dei partner aiutandoli a collocarle
nelle moderne società democratiche.169
In un articolo sul Vertice NATO di Washington, Lamberto Dini scriveva che l’Alleanza
Atlantica prese forma da due epigoni rivoluzionari della seconda guerra mondiale. Il
primo riguardava gli Stati Uniti e consisteva in una svolta storica per la loro politica
estera. Il secondo, si riferiva all’Europa, nell’intento di creare un’aggregazione anche
politico-militare. Pertanto, secondo Dini, lungo questi due binari, legame transatlantico
e progressiva integrazione europea, l’Alleanza Atlantica si è via via organizzata e
costantemente aggiornata nel corso dei suoi cinquant’anni di vita. Tali percorsi
sarebbero la faccia della stessa medaglia: «la realizzazione di un sistema euro-atlantico
per la difesa dalla minaccia sovietica».170
Una valutazione autorevole sui primi cinquant’anni dell’Alleanza pare possa essere
tratta dal discorso dell’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton. Dalle sue parole
si ricavano degli elementi chiave. Ad esempio, come l’importanza del sentirsi sicuri sul
proprio suolo sia legata alla difesa dei propri interessi, valori e «amici», un impegno
considerato di importanza vitale soprattutto in Europa. Affermava Clinton:
Nel celebrare il cinquantesimo anniversario dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico
ricordiamo il successo conseguito dall’Alleanza nell’opera svolta negli ultimi cinque decenni di
difesa della libertà e del mantenimento della pace. Noi Americani abbiamo imparato, anche se
ad un caro prezzo nel corso di questo secolo che, se vogliamo sentirci sicuri in casa nostra,
dobbiamo difendere i nostri interessi, i nostri ideali, ed i nostri amici in tutto il mondo. Tale
impegno si è rivelato essere di vitale importanza soprattutto in Europa, dove durante questo
169
Javier Solana, Il vertice di Washington: la NATO entra con decisione nel XXI secolo, Rivista della
NATO, primavera 1999, pp. 3-4.
170
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington, cit., p. 484.
43
secolo abbiamo combattuto e vinto due guerre mondiali e la guerra fredda. Nessun’altra
istituzione più della NATO ha saputo far proprio questo impegno. 171
Clinton pone poi l’attenzione sul percorso futuro del partenariato e sull’obiettivo di
creare un’Alleanza flessibile, che sappia cogliere l’ampia gamma di sfide agli interessi
comuni.
Lo scopo della NATO resta immutato. La sua missione è quella di difendere la sicurezza, la
prosperità e i valori democratici dei suoi membri. È però cambiato il contesto nel quale la
NATO è chiamata a svolgere tale missione. […] La NATO di ieri difendeva i nostri confini
contro l’aggressione militare. La NATO di domani dovrà continuare a salvaguardare la nostra
sicurezza comune, affrontando nel contempo nuove minacce che non riconoscono alcun confine
172
– la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la violenza etnica, i conflitti regionali.
Obiettivo principale per Clinton era la stabilità in Europa e la costruzione di «un ancora
più saldo partenariato transatlantico». Grazie alla NATO, affermava, le generazioni
successive avrebbero goduto degli sforzi iniziati cinquant’anni prima per «difendere la
libertà, mantenere la pace e la stabilità, e favorire un clima nel quale possa crescere la
prosperità».173
Nella dichiarazione d’apertura del Vertice, il Segretario Generale ricorda come
cinquant’anni prima l’America del Nord e l’Europa diedero inizio ad un progetto
visionario: una comunità atlantica di nazioni. Per tutto quel tempo essa aveva
provveduto alla sicurezza dei suoi membri. Tuttavia, non ci si era occupati soltanto di
difesa. Secondo Solana, l’Alleanza ha promosso la pace in tutta la regione euro-atlantica
e ha teso una mano amica a molte nazioni. Nemici del passato sono diventati amici e,
alcuni, partners e tra loro, alcuni, sono diventati membri. L’Alleanza non si era fermata
a proclamare valori ma aveva dimostrato di essere pronta a difenderli nel caso fossero
stati minacciati. I padri fondatori, ha affermato il Segretario Generale, sarebbero fieri di
ciò che è stato fatto. L’Alleanza continuava a dimostrare che i valori avevano un
significato e la NATO restava una comunità in grado di far fronte ai cambiamenti.174
L’allora Direttrice dell’Aspen Institute di Berlino scriveva, in quel momento storico, in
riferimento al Vertice di Washington del 1999:
Alla fine, sarà comunque rilasciata una dichiarazione di fine vertice accuratamente soppesata e
che richiamerà tutte le problematiche chiave, riassumerà un mese di negoziato, di manovre e di
tutto quel gioco di strategie che caratterizza il meglio della politica della NATO. Molti tra
coloro che sono cinici, e tra coloro che sono critici nei confronti della NATO giungeranno ad
un’identica conclusione: niente di veramente nuovo, non granché come cruciale passo in avanti
nel prossimo secolo. 175
Riferendosi ad un «copione NATO che il tempo ha consolidato», in realtà la Direttrice
voleva sottolineare come le critiche sarebbero piovute in ogni caso, sostenendo, infatti:
«Avranno torto. La storia della NATO continua a dimostrare quanto speciale sia
quest’organizzazione nella storia delle organizzazioni internazionali». Non venivano notati,
quindi, i «sostanziali cambiamenti […] come gli adeguamenti faticosamente realizzati per
aderire a quelle che sono le nuove missioni e le nuove esigenze della sicurezza transatlantica e
della collegialità nel processo decisionale». A partire dalla lezione della Bosnia, l’Alleanza
è mutata in sequenza sempre più rapida attraverso la decisione del suo allargamento e la
ristrutturazione del comando militare, il potenziamento della PfP e di un nuovo canale
171
Discorso del Presidente William J. Clinton, in “Il 50° anniversario della NATO”, cit., p. 3.
Ibidem.
173
Ibidem.
174
Javier Solana, Opening Statement, Washington, 23 aprile 1999, NATO Speeches,
www.nato.int/docu/speech/sp1999.htm
175
McArdle Kelleher C., La NATO ha cinquant’anni: sfide future e funzioni storiche, in “Il 50°
anniversario della NATO”, cit., p. 23.
172
44
con la Russia e l’Ucraina. A partire dall’ingresso della Spagna nel 1982 furono fissate le
linee direttrici per le nuove candidature e furono fissati i limiti di natura politica,
militare e di sicurezza per l’ammissione (pratiche democratiche, pendenze e
controversie politiche o diplomatiche risolte). L’incertezza sui limiti geografici in cui la
NATO doveva agire era un argomento attualissimo nel 1999, e la Bosnia e il Kosovo
rappresentavano eccezioni «in materia di portata geografica degli interessi comuni della
NATO e della sua volontà di scendere in campo con le proprie forze di difesa». Nei suoi
primi cinquant’anni l’Alleanza si era trovata in uno stato di «permanente cambiamento
strutturale»: lo sviluppo di una struttura permanente di comando militare, la creazione di
meccanismi per la pianificazione congiunta e la condivisione della leadership.
Fondamentale fu la creazione dell’Assemblea Nord-Atlantica, una specie di
“Parlamento”, dovuta ai malcontenti interni circa il deficit democratico nell’Alleanza, e
oltre alla PfP, la creazione dei meccanismi per la discussione, come il Consiglio
congiunto permanente con la Russia, la Commissione con l’Ucraina, l’evoluzione della
figura del Segretario Generale e delle strutture militari. 176
Sul piano dell’adattamento interno, annunciava Solana, col Vertice verrà completato
l’adeguamento della struttura di comando, più snella e flessibile, e verranno accresciute
la mobilità, la capacità di approvvigionamento e l’interoperabilità delle forze
dell’Alleanza. Dato il contesto europeo molto diverso dal decennio precedente, non
sarebbe stato più necessario mantenere una struttura di forze e di quartier generali
massiccia e statica. Le sfide potevano giungere da diverse direzioni e aver luogo oltre i
confini dell’Alleanza. Riferendosi al rapporto NATO-Russia, grazie a questo nuovo
rapporto, affermava, è fortemente migliorata la sicurezza nella regione euro-atlantica.
Attraverso il Consiglio Congiunto Permanente gli alleati e la Russia si possono
scambiare i propri punti di vista sulle questioni relative alla sicurezza, ad esempio, sulle
questioni della Bosnia e del Kosovo.177
Al cinquantenario dell’Alleanza aveva inizio, «sulla scorta dell’esperienza fatta in
Kosovo, e sotto la spinta del Presidente Clinton», la trasformazione dell’Alleanza da
strumento puramente difensivo a mezzo di stabilizzazione in aree non previste
originariamente dal Trattato, «su mandato delle Nazioni Unite ma, eventualmente,
anche senza alcuna copertura legittimatrice: la cosiddetta “Nato globale”». Questo
aspetto veniva concretizzato nel “Nuovissimo” Concetto Strategico che fu adottato
nell’occasione del Vertice, laddove si dava forte enfasi al carattere multidimensionale
delle nuove sfide e ai nuovi scenari di crisi e instabilità in zone periferiche rispetto ai
limiti di intervento dell’Alleanza.178
Dunque, di fronte al Vertice di Washington le domande che ci si poneva erano: siamo di
fronte alla fine di una fase di trasformazione, oppure, ad una fase intermedia? La NATO
saprà adeguarsi all’emergere dell’ESDI (Identità Europea di Sicurezza e di Difesa)?
Quale sarà la direzione del cambiamento delle forze militari, dell’interazione fra esperti
civili e militari, della tecnologia e della formazione? Dove porterà la politica di apertura
della NATO? Di che genere saranno le nuove missioni della NATO? 179
Con il Vertice di Washington, scriveva il Segretario Generale della NATO, si segnerà
una tappa importante nell’evoluzione dell’Alleanza. Dopo quarant’anni di difesa
collettiva, la nuova NATO sarebbe diventata
176
Ivi, pp. 23-25.
Javier Solana, Il vertice di Washington, cit., pp. 4-5.
178
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, Rubettino Editore, CeMiSS-Roma, Soveria
Mannelli, 2004, p. 26.
179
McArdle Kelleher C., La NATO ha cinquant’anni, cit., pp. 26-28.
177
45
un’Alleanza impegnata a rafforzare la stabilità e la sicurezza nell’intera area euro-atlantica, e
che ha la volontà di farlo attraverso nuovi meccanismi, nuovi partenariati e nuove missioni, ben
oltre il XXI secolo.180
4.2
LA DICHIARAZIONE DI WASHINGTON
Con la Dichiarazione di Washington del 1999 si portava a compimento il processo
cominciato agli inizi degli anni Novanta. Erano in fase di avanzata elaborazione le
candidature di Slovenia e Romania, mentre, quelle di Estonia, Lettonia, Lituania,
Bulgaria, Slovacchia, Macedonia e Albania giacevano in esame. Il processo di
allargamento era notevole dal punto di vista dell’estensione geografica e del numero di
Paesi coinvolti. Gli interessi occidentali all’allargamento vertevano sulla costruzione di
un assetto geopolitico stabile e ordinato, in quanto, attraverso l’adesione alla NATO, si
produce un’omogeneizzazione degli assetti dei nuovi membri ai Paesi occidentali
(soprattutto democrazia e libero mercato, ma anche trasparenza e meccanismi di
controllo). Inoltre, si costruiva una zona cuscinetto fra l’Europa occidentale e la Russia,
attuando un processo di contenimento geopolitico della Russia, e si riduceva la zona di
influenza dell’ex-nemico. Gli Stati Uniti erano interessati a controllare l’evoluzione del
continente per tutelare i propri interessi. Erano poi indispensabili nuovi punti
d’appoggio militare per le missioni operative, «fuori area», che caratterizzano l’aspetto
operativo della nuova Alleanza.181
Nel primo punto della Dichiarazione di Washington si sottolinea che notevoli
cambiamenti sono avvenuti ma che «i valori che condividiamo e gli interessi comuni in
materia di sicurezza restano invariati». I Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri
vogliono ribadire l’importanza degli obiettivi dell’Alleanza e l’importanza dello
strumento della fiducia e della cooperazione che si è sviluppata lungo i cinquant’anni
della stessa: «la difesa collettiva resta lo scopo fondamentale della NATO». Si conferma
l’impegno nel promuovere la pace, la stabilità e la libertà (punto 2). Nel documento
viene espressa la necessità di ribadire l’appartenenza alle finalità e ai principi della
Carta dell’ONU e del «desiderio di vivere in pace con tutte le nazioni, e di comporre
qualsiasi contrasto internazionale con mezzi pacifici» (punto 4). 182
Il cambiamento più importante che registra la Direttrice dell’Aspen Institute di Berlino
sul tema, si è avuto nella formazione di una cultura-mentalità comune all’interno
dell’Alleanza. Ovvero, portare i membri al
raggiungimento di un consenso politico che sia sostenuto da una cultura civile e politica sempre
più convergente e la realizzazione di un linguaggio coordinato per il negoziato e la risoluzione
delle controversie. […] In seno all’Alleanza, quasi a tutti i livelli esistono oggi misure di fiducia
ed interdipendenza che trascendono i modelli standard teorici delle relazioni internazionali.183
Riferendosi ai destini «inseparabili» dell’America del Nord e dell’Europa, al punto 9
della Dichiarazione, si afferma che l’azione congiunta permette la salvaguardia della
libertà e della sicurezza e rafforza la stabilità «in modo più efficiente di quanto ciascuno
di noi potrebbe fare operando da solo».184
Il Vertice di Washington, scriveva Dini, avrebbe dovuto rappresentare il momento
celebrativo dell’Alleanza nei suoi primi cinquant’anni e delineare il futuro attraverso il
180
Javier Solana, Il vertice di Washington, cit., p. 6.
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 96-97.
182
La NATO e la Dichiarazione di Washington, Dichiarazione firmata dai Capi di Stato e di Governo
presenti alla riunione del Consiglio dell’Atlantico del Nord, tenutasi a Washington nei giorni 23 e 24
aprile 1999, Affari Esteri, a. XXXI, n. 123, (1999), p. 453.
183
McArdle Kelleher C., La NATO ha cinquant’anni, cit., pp. 25-26.
184
La NATO e la Dichiarazione di Washington, cit., p. 455.
181
46
nuovo Concetto Strategico. Ma il programma del Vertice subì delle modifiche a causa
della crisi in Kosovo, ridimensionando il carattere celebrativo del Vertice e dando
«ampio spazio agli aspetti politici e operativi che vedono l’Alleanza impegnata nei
Balcani». Al Vertice ci fu un forte interesse per il Sud-Est europeo, venne avviata
un’iniziativa con l’obiettivo dell’integrazione dei Paesi dell’area che prevedeva
l’impegno dell’Alleanza per la sicurezza e la stabilità della regione, la cooperazione con
le altre organizzazioni internazionali che vi operavano, soprattutto con l’Unione
Europea.185
Sul tema dell’allargamento, la NATO, si afferma nella Dichiarazione, «è aperta ad
accogliere nuovi membri, e ad essere da questi rafforzata, e capace di lavorare
congiuntamente con altre istituzioni, partners e Paesi del Dialogo Mediterraneo» con il
fine di aumentare la stabilità e la sicurezza nell’area euro-atlantica (punto 5). Ancora al
punto 8, è scritto:
la nostra Alleanza resta aperta a tutte quelle democrazie europee che, indipendentemente da
criteri geografici, siano disposte a, ed in grado di, far fronte alle responsabilità poste
dall’appartenenza dell’Alleanza stessa, e la cui inclusione potrebbe contribuire al potenziamento
globale della sicurezza e della stabilità in Europa. La NATO rappresenta un pilastro essenziale
di una comunità più ampia fatta di responsabilità e di valori condivisi.186
Il Presidente Clinton, nel suo discorso sul cinquantenario dell’Alleanza, metteva
l’accento sull’interesse della NATO alla cooperazione con gli Stati che condividevano
gli stessi valori dell’Alleanza e sulla disponibilità ad includere chi, avendo i requisiti,
voglia entrarvi:
nell’aprile del 1999, i leader dei Paesi europei e del Canada ci raggiungeranno qui a
Washington per dare il benvenuto a tre nuove democrazie – Polonia, Ungheria e Repubblica
Ceca – mentre si uniranno a noi nella nostra missione di guidare l’Alleanza nel XXI secolo. Le
porte della NATO rimarranno aperte a tutti coloro che vorranno e sapranno assumersi le
responsabilità degli Stati membri, e continueremo a lavorare affinché si rafforzi il nostro
partenariato con gli altri stati.187
È stata spinta ulteriormente la politica della “porta aperta” attraverso l’approvazione del
Piano d’azione per i candidati (MAP), ovvero, un percorso che mira al raggiungimento
degli standard NATO. Tuttavia, si era tenuto a differenziare gli aspiranti, laddove
Romania e Slovenia mantennero «una loro specificità distinta da quelle dei Paesi
Baltici». Inoltre, grande attenzione era stata data alla ripresa della collaborazione
NATO-Russia.188
4.3
IL CONCETTO STRATEGICO DEL 1999
Nella dichiarazione del Segretario Generale della NATO durante i lavori del Vertice,
Solana ricordava l’importanza dell’approvazione del Piano di azione per l’associazione
nell’Alleanza e il rafforzamento delle relazioni con la Russia. Inoltre, grande
importanza rivestiva la discussione sull’ESDI a dimostrazione che, attraverso la NATO,
l’Alleanza intende costruire un forte pilastro europeo di sicurezza, basato sulle decisioni
prese a Berlino nel 1996. Allo stesso tempo, l’Iniziativa sulle Capacità di Difesa veniva
indicata come essenziale per mantenere una credibilità nelle capacità militari e per una
loro migliore applicabilità nelle future operazioni della NATO. Infine, Solana
sottolineava che il futuro dell’Europa del Sud era considerato una questione chiave del
185
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington, cit., p. 485.
La NATO e la Dichiarazione di Washington, cit., p. 454.
187
Discorso del Presidente William J. Clinton, in “Il 50° anniversario della NATO”, cit., p. 3.
188
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington, cit., p. 490.
186
47
summit e cruciale per l’integrazione della regione. Solana affermava anche che
l’attenzione in quel momento era per la crisi del Kosovo. Ma riguardo al futuro
dell’Alleanza erano state prese durante il summit importanti decisioni, ad esempio,
l’approvazione del Nuovo Concetto Strategico che indica la strada per far fronte alle
sfide future e rappresenta il punto di transizione dalla difesa collettiva alla sicurezza in
Europa. Allo stesso modo mette in grado l’Alleanza di agire attraverso operazioni nonarticolo 5 di supporto alla pace.189
In un suo articolo sul Vertice di Washington, anche Lamberto Dini ribadisce che
attraverso il Nuovo Concetto Strategico la NATO aveva acquisito, a fianco della difesa
collettiva, una dimensione di sicurezza collettiva. Il Trattato di Washington, essendo
uno strumento estremamente flessibile non aveva avuto bisogno di essere emendato per
dare effetto all’aggiornamento delle strategie e degli strumenti, creati per lo scopo
originario e fondamentale della difesa dei membri. Pertanto, scrive Dini, che il nuovo
concetto strategico, approvato a Washington, non è altro che l’ultimo sforzo di
aggiornamento compiuto dall’Alleanza per adeguare la sua fondamentale funzione di
difesa collettiva al nuovo scenario internazionale di sicurezza. Si tratta di un concetto di
difesa avanzato e dinamico, ovvero di sicurezza collettiva, che metta la NATO in grado
di far fronte, da sola o con i suoi partners, alla gestione delle crisi che minano la
stabilità dell’area euro-atlantica. E aggiunge: «il nuovo concetto strategico formalizza,
così, quelle funzioni che – di fatto – la NATO aveva iniziato a esercitare sin dal 1995 in
Bosnia-Erzegovina con l’operazione IFOR/SFOR».190
Fu a partire dal 1997 che si era ritenuto necessario aggiornare il Concetto, sempre sulla
base dell’impegno dell’Alleanza alla difesa collettiva e al legame transatlantico.
L’approvazione doveva avvenire per consenso da parte di tutti i membri e, data la
previsione dell’adesione della Repubblica Ceca, della Polonia e dell’Ungheria, anche i
rappresentanti di questi Stati parteciparono alle discussioni. Al Vertice di Washington
gli alleati approvarono il documento che costituiva la base della strategia futura
dell’Alleanza nei confronti delle sfide future e dello sviluppo politico e militare
attraverso piani dettagliati. Nel documento, dunque, vengono descritti lo scopo e i
compiti dell’Alleanza e le prospettive strategiche aggiornate al mutevole contesto.191
Nell’Introduzione del Nuovo Concetto Strategico, al punto 2, si fa riferimento proprio ai
grandi mutamenti intervenuti fino ad allora, i cui effetti in parte erano stati già assunti
nel Concetto Strategico del 1991. Si afferma che la NATO continua a svolgere un ruolo
centrale (punto 3) nella ricerca di nuove forme di cooperazione nella regione euroatlantica, per favorire un’ampia stabilità. Si fa quindi riferimento agli sforzi per «porre
fine alle immense sofferenze umane provocate dal conflitto nei Balcani». Si evidenzia il
fatto che l’Alleanza ha dovuto adattare il suo approccio ai problemi della sicurezza, un
adattamento anche nelle strutture e nelle procedure. Al successivo punto: «l’Alleanza si
trova a svolgere un ruolo insostituibile per consolidare e mantenere i positivi
cambiamenti del recente passato, e per affrontare le sfide alla sicurezza, presenti e
future», in uno scenario in evoluzione continua e imprevedibile. Inoltre, si conferma
l’importanza del legame transatlantico per ottenere l’equilibrio «che permetta agli alleati
europei di assumere una maggiore responsabilità».192
Con il Vertice di Washington sono stati fatti importanti progressi in tema di ESDI, «è
stato, infatti, riconosciuto il principio di un rapporto diretto da sviluppare tra la NATO e
189
Javier Solana, Statement, Washington, 24 aprile 1999, NATO Speeches,
www.nato.int/docu/speech/sp1999.htm
190
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington, cit., pp. 486-487.
191
Manuale della NATO, cit., p. 45.
192
Il Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica, approvato dai Capi di Stato e di Governo, alla riunione
del Consiglio dell’Atlantico del Nord, tenutasi a Washington il 23-24 aprile 1999, Affari Esteri, a. XXXI,
n. 123 (1999), pp. 456-457.
48
l’Unione Europea, sulla base dei meccanismi già esistenti tra l’Alleanza e l’UEO. E ciò
al fine di sviluppare una capacità di difesa autonoma, che eviti duplicazioni non
necessarie», attraverso il coinvolgimento degli alleati non membri dell’UE, e che
permetta a quest’ultima di accedere agli assets e alle capacità dell’Alleanza per
operazioni in cui la NATO non è impegnata a livello militare.193
Anche nella Dichiarazione di Washington si fa riferimento con favore al potenziamento
delle capacità di difesa europea, con l’obiettivo di giungere ad un’azione congiunta
efficace e per migliorare il partenariato transatlantico (punto 6). 194
La Parte I del Concetto è intitolata “Obiettivo e compiti dell’Alleanza”. L’obiettivo
fondamentale rimane la salvaguardia della libertà e della sicurezza dei membri
«attraverso strumenti politici e militari». Tuttavia, per realizzare questo obiettivo, che
può essere compromesso dai conflitti che minacciano la regione euro-atlantica,
l’Alleanza deve occuparsi della pace e stabilità in questa regione (punto 6).195
Nel Concetto si conferma il compito essenziale e durevole di salvaguardare la libertà e
la sicurezza dei membri dell’Alleanza e vengono confermati i valori a cui essa si ispira:
democrazia, diritti umani, stato di diritto. Si riafferma anche l’impegno per la difesa
comune e per la pace e la stabilità nella più vasta area euro-atlantica. 196
Al punto 10 vengono elencati i «compiti di sicurezza», sia per quanto riguarda la difesa
collettiva sia nella gestione delle crisi e del partenariato:
- sicurezza: creare un contesto basato su istituzioni democratiche in cui le
controversie vengano risolte pacificamente;
- consultazione: in conformità all’art. 4 del Patto, costituire un’istanza
transatlantica per la consultazione dei membri circa i propri interessi vitali;
- deterrenza e difesa: in conformità agli artt. 5 e 6 del Patto, contro qualsiasi
minaccia di aggressione a i membri.
L’Alleanza «assicura», a favore della sicurezza e della stabilità della regione euroatlantica:
- gestione della crisi: in conformità dell’art. 7 del Patto, caso per caso,
l’Alleanza sarà pronta a prevenire i conflitti e a gestire le crisi, «ivi comprese
le operazioni di risposta alle crisi»;
- partenariato: promuovere il partenariato nella regione euro-atlantica «al fine
di accrescere la trasparenza, la fiducia reciproca e la capacità di azione
congiunta con l’Alleanza».197
Il Concetto si occupa di prevedere quali rischi possano determinarsi nel campo della
sicurezza, dato che questo è in continuo cambiamento «generalmente positivo e che
l’Alleanza ha svolto una parte essenziale nel rafforzare la sicurezza euro-atlantica dopo
la fine della guerra fredda». Si considera scomparsa, come nel precedente Concetto del
1991, la possibilità di una guerra generale in Europa. Tuttavia, nuovi rischi e incertezze
possono colpire la regione. 198
Il punto 24 si occupa dei rischi per la sicurezza e riconduce gli attacchi armati contro il
territorio degli alleati agli articoli 5 e 6 del Trattato di Washington. Ma esistono altre
minacce di carattere generale che possono causare problemi di stabilità e sicurezza,
come gli atti di terrorismo, di sabotaggio o di criminalità organizzata, interruzione degli
approvvigionamenti di risorse vitali, movimenti incontrollati di persone a causa di
193
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington, cit., p. 489.
La NATO e la Dichiarazione di Washington, cit., p. 454.
195
Il Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica, cit., pp. 457-458.
196
Manuale della NATO, cit., p. 47.
197
Il Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica, cit., p. 459.
198
Manuale della NATO, cit., p. 47.
194
49
conflitti armati. Tramite l’articolo 4, si afferma, gli alleati possono consultarsi per
coordinare eventualmente i propri sforzi per la risposta a questi rischi.199
Attraverso il nuovo Concetto Strategico vengono introdotte, dunque, le operazioni di
sicurezza collettiva, quelle non articolo 5. Queste ultime pur prese all’unanimità non
determinano una partecipazione automatica dei singoli membri dell’Alleanza. Esse
costituiscono la «spina dorsale della dimensione di sicurezza collettiva della NATO»,
tuttavia è pur sempre necessario il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite circa l’uso della forza e la «flessibilità operativa dell’Alleanza», ovvero, nel caso
in cui il Consiglio sia paralizzato dal “diritto di veto”. 200
Gli elementi essenziali dell’approccio globale sono la salvaguardia del legame
transatlantico, il mantenimento delle capacità militari e lo sviluppo dell’Identità
Europea di Difesa e Sicurezza all’interno dell’Alleanza. Attraverso questo processo gli
alleati contribuiranno in maniera più efficace alle attività dell’Alleanza, al
rafforzamento del partenariato transatlantico e renderanno gli alleati europei capaci di
agire essi stessi, laddove necessario, grazie alle capacità di reazione dell’Alleanza. 201
Nel Concetto si afferma che i membri sentono di beneficiare di un uguale sistema di
sicurezza, nonostante le diverse capacità militari, e che in questo modo si genera
stabilità nella regione euro-atlantica (punto 9). L’impegno dell’Alleanza è anche quello
di ampliare questi benefici ai partners e a coloro che cooperano e dialogano con essa.202
Nella Conclusione del documento, al punto 65, si afferma che dato il contesto
imprevedibile rimane la necessità di una difesa effettiva; dunque, l’Alleanza continuerà
a fare uso di ogni opportunità che possa aiutare a costruire un continente senza
divisioni, attraverso la promozione dell’idea di un’Europa unita e libera. 203
199
The Alliance'
s Strategic Concept, Approved by the Heads of State and Government participating in the
meeting of the North Atlantic Council in Washington D.C. on 23rd and 24th April 1999,
www.comitatoatlantico.it/FILE_ARTICOLI/91_Strategic_Concept.pdf
200
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington, cit., p. 488.
201
Manuale della NATO, cit., p. 49.
202
Il Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica, cit., p. 458.
203
The Alliance'
s Strategic Concept, cit.
50
Capitolo Quinto
LE NUOVE SFIDE
5.1
L’11 SETTEMBRE 2001 E L’ARTICOLO 5 DEL PATTO
L’evoluzione del sistema internazionale e il duro colpo che scosse l’Occidente,
portarono l’Alleanza ad un nuovo ripensamento. L’adattamento incessante della NATO
al verificarsi di mutazioni del clima della sicurezza è l’elemento fondamentale
attraverso il quale cercare di comprendere quale sia il ruolo attuale della NATO e quali
siano le ragioni della sua longevità.
Meno di 24 ore dopo l’attacco dell’11 settembre 2001, la NATO invocava per la prima
volta dalla sua nascita l’art. 5 del Patto di Washington, per il quale l’attacco veniva
considerato diretto contro tutti gli alleati. I partners dell’Alleanza dichiararono il loro
appoggio. Sotto richiesta degli USA, già il 4 ottobre 2001 furono adottate otto misure in
grado di accrescere le capacità di lotta al terrorismo. Da subito furono spediti gli aerei
NATO AWACS (Airborne Warning and Control System) che fino al maggio 2002
pattugliarono lo spazio aereo americano. Inoltre, venne intrapresa l’operazione contro il
terrorismo nel Mediterraneo, Active Endeavour, tuttora operativa. Altre misure
specifiche furono l’ISAF (International Security Assistance Force) in Afghanistan a
partire dal 2003, la creazione del NRF (NATO Response Force) e il lancio del Prague
Capabilities Commitment. Fu anche adottato il Concetto Militare per la Difesa contro il
Terrorismo e il Piano d’Azione della Partnership contro il Terrorismo.204
Già a partire dalla fine della Guerra Fredda era sorta la necessità di un adattamento
dell’Alleanza alle nuove condizioni internazionali, laddove l’obiettivo primario della
NATO rimaneva la difesa degli Alleati e del loro territorio. I drammatici fatti dell’11
settembre 2001 hanno segnato il passo nella vicenda NATO, ponendo l’Alleanza di
fronte alle nuove sfide alla sicurezza collettiva, tra cui la proliferazione delle armi di
distruzione di massa e il terrorismo. 205
L’articolo 5 è alla base del principio fondamentale della NATO. In caso di attacco
armato nei confronti di un alleato, quest’atto di violenza viene considerato un attacco
armato rivolto a tutti gli altri membri. Per cui, ciascuno deve prendere le misure ritenute
necessarie per assistere l’alleato. Questo è il significato del principio di difesa collettiva.
Quando fu presa la decisione che l’attacco doveva essere considerato rientrante sotto la
protezione dell’articolo 5, il Segretario Generale della NATO informò il Segretario
Generale delle Nazioni Unite. Ma al momento dell’avvio dell’operazione militare
statunitense non vi era stata nessuna decisione sull’azione nell’ambito NATO, ovvero
nessuna azione collettiva, solo consultazioni. Gli alleati potevano comunque provvedere
a qualsiasi forma di assistenza, non necessariamente militare.206
Sloan, in un suo articolo sul dibattito intorno all’articolo 5, scriveva che molti
commentatori, tra cui egli stesso, ritenevano già a metà degli anni Novanta che questo
articolo fosse ormai desueto. In riferimento agli attacchi terroristici negli Stati Uniti nel
2001, ha scritto che, sebbene si sia fatto appello all’articolo 5, le attività della NATO
erano ormai ampiamente radicate nell’articolo 4 del Patto, inizialmente inserito a causa
delle preoccupazioni europee su ciò che restava dei loro domini coloniali. L’articolo 4
esorta, afferma Sloan, i firmatari del Trattato a collaborare per difendere i loro interessi
da minacce provenienti da qualsiasi fonte, e da qualsiasi luogo del mondo. Tuttavia,
l’articolo 5 resta ancora il cuore e l’anima dell’Alleanza, rappresentando l’impegno alla
204
NATO Handbook, cit., pp. 167-169.
La NATO (The North Atlantic Treaty Organisation), www.esteri.it/ita/4_28_64_266_184.asp
206
What is Article 5?, NATO Topics, www.nato.int/terrorism/five.htm
205
51
cooperazione e la motivazione alla struttura militare integrata della NATO, senza la
quale l’Alleanza non sarebbe in grado di effettuare le missioni non-articolo 5.207
Il 12 e il 28 settembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò le risoluzioni 1368 e
1373 che consideravano come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale gli atti
di terrorismo internazionale. Si dava l’autorizzazione all’uso di tutte le misure
necessarie a combattere i terroristi e coloro i quali davano loro assistenza.208
Il Consiglio Atlantico, il 12 settembre affermava: «se sarà stabilito che l’attacco sia
stato condotto dall’esterno contro gli Stati Uniti, detto attacco sarà ritenuto quale azione
rientrante nell’Articolo 5 del Trattato di Washington». Nella dichiarazione si fa poi
riferimento al fatto che l’art. 5 fu scritto in base a circostanze diverse dalle condizioni in
cui ora veniva richiamato ma non per questo esso «è meno valido ed essenziale oggi, in
un mondo che deve far fronte al flagello del terrorismo internazionale».209
Nel discorso del 2 ottobre 2001, il Segretario Generale della NATO comunicava che il
Consiglio Nord Atlantico era stato informato sui risultati delle investigazioni compiute
per verificare che l’attacco agli Stati Uniti fosse stato effettivamente un attacco esterno.
La riunione ha trattato anche le informazioni disponibili su Al-Qaeda e Osama Bin
Laden e, affermava Lord Robertson, il loro ruolo nelle azioni individuali corrispondenti
all’attacco è chiaro e convincente. Dunque, l’attacco è provenuto dall’esterno e ciò
implicava l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato di Washington. Lord Robertson,
quindi, rinnovava l’appoggio dei membri della NATO alla campagna degli Stati Uniti
contro il terrorismo.210
In una conferenza stampa del 3 ottobre 2001, ad una domanda al Presidente russo Putin,
che chiedeva se egli fosse stato informato, e quale fosse stata la sua reazione, della
“lista” distribuita dagli Stati Uniti ai membri della NATO nella lotta contro il
terrorismo, Putin rispondeva innanzitutto che l’applicazione dell’articolo 5 pareva
essere una procedura appropriata. Per quanto concerneva la “lista”, il Presidente
affermava che non essendo un membro della NATO egli non l’aveva ricevuta, tuttavia
era a conoscenza del suo contenuto anche grazie ai rapporti bilaterali con gli Stati
Uniti.211
Il Segretario Generale della NATO, il 4 ottobre successivo, annunciava che il Consiglio
Atlantico adottava 8 misure, individuali e collettive, di solidarietà ed assistenza
logistica, su richiesta degli Stati Uniti. Queste misure consistevano nell’incrementare lo
scambio di informazioni e la cooperazione nell’attività di intelligence, sia sul piano
bilaterale che nelle appropriate sedi dell’Alleanza; individualmente o collettivamente e
nei modi ritenuti opportuni, provvedere all’assistenza in favore dell’Alleanza e degli
altri Stati che possano subire minacce terroristiche; intraprendere le misure necessarie a
difesa delle installazioni statunitensi o di altri alleati nei rispettivi territori nazionali;
impiegare alcuni determinati assetti alleati prioritariamente a sostegno delle azioni
contro il terrorismo; dare l’autorizzazione permanente di sorvolo agli aerei militari
statunitensi e di altri alleati sul territorio dei Paesi della NATO, per le missioni aeree
contro il terrorismo; autorizzare l’accesso a porti e aeroporti agli Stati Uniti ed agli
alleati per le missioni contro il terrorismo; l’Alleanza si dichiarava pronta a schierare
elementi delle sue Forze Navali nel Mediterraneo Orientale; ed impiegare i suoi aerei207
Stanley R. Sloan, I negoziati per l’articolo 5, Rivista della NATO, estate 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue2/italian/art4.html
208
Marco Clementi, La Nato, cit., p. 125.
209
La NATO e gli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti, Sintesi ufficiale della Dichiarazione del
Consiglio Atlantico, tenutasi a Bruxelles, il 12 settembre 2001, Affari Esteri, a. XXXIV, n. 133 (2002), p.
34.
210
Statement by NATO Secretary General, Lord Robertson, 2 ottobre 2001,
www.nato.int/docu/speech/2001/s011002a.htm
211
Press Conference after Meeting with NATO Secretary General George Robertson, 3 ottobre 2001,
www.kremlin.ru
52
radar AWACS per le operazioni contro il terrorismo internazionale. Inoltre, si
affermava che la decisione dimostrava l’impegno a sostenere la lotta contro il terrorismo
guidata dagli Stati Uniti.212
Nel momento dell’attacco, l’intero vertice del Comitato Militare della NATO si stava
spostando dall’Italia all’Ungheria. La sorpresa dell’attacco e la distanza dalla sede non
ebbero effetti sulla rapidità della reazione dell’Alleanza. Secondo la logica militare, tutti
sono utili ma nessuno è indispensabile, fu applicata la procedura di emergenza e le
funzioni furono svolte dai vice. Inoltre, il vertice politico si trovava quasi integralmente
in sede. Così gli Ambasciatori, nel loro ruolo di Rappresentanti Nazionali Permanenti in
seno al Consiglio Atlantico, si riunirono con immediatezza, esprimendo solidarietà al
Paese membro attaccato. Il giorno successivo all’attacco, l’evocazione dell’articolo 5
del Patto, rappresentava un atto fortemente politico che dimostrava la solidarietà
comune nell’Alleanza. Tuttavia, esaminando il Trattato, la fattispecie sarebbe potuta
ricadere nell’articolo 4, notoriamente più blando. Anche l’art. 24 del Nuovo Concetto
Strategico del 1999 fa ricadere sotto l’art. 4 i casi in cui si devono fronteggiare i nuovi
rischi emergenti. Posta la condizione agli USA di dimostrare che l’attacco aveva una
matrice estera, con qualche iniziale obiezione, si scelse un atteggiamento dal chiaro
valore politico. Infatti, inizialmente, 18 su 19 membri puntavano sull’azione tramite
l’Alleanza. Tuttavia, fu chiaro che gli USA avevano le capacità di rispondere
militarmente in maniera individuale e scelsero «un’azione a carattere sostanzialmente
nazionale ma che non disdegnò apporti bilaterali specializzati, lasciando nel contempo
spazio a limitate azioni di sostegno affidate alla NATO e configurandosi infine, almeno
per alcuni aspetti, come una coalition of the willings».213
L’attacco alle Torri ha mutato le condizioni dell’azione della NATO. Gli Stati Uniti,
considerando l’attacco un atto contro di essi, hanno implicato l’attivazione del casus
foederis del Patto e gli obblighi per gli alleati. Tuttavia, inizialmente la NATO non fu
coinvolta in Afghanistan e i suoi aerei furono impiegati soltanto sui cieli statunitensi.
L’America volle avere campo libero sul terreno del conflitto, in modo da non dover
ricorrere alla concertazione con gli alleati su ogni decisione. I partecipanti di Enduring
Freedom aderirono infatti attraverso accordi bilaterali. Ciò mise gli Stati Uniti al riparo
dalle procedure di formazione del consenso dell’Alleanza che avrebbero costituito un
pesante vincolo in un momento in cui la tempestività della reazione era fondamentale.
Di fatto, l’11 settembre sembra aver ridotto gli spazi per le mediazioni e aver reso
l’Alleanza uno strumento poco funzionale alla crisi. Rispetto al modello dell’Alleanza,
si preferivano delle coalizioni a geometria variabile, delle coalizioni che vengono
costituite a seconda del contesto in cui devono operare. Inoltre, da parte degli USA, tali
coalizioni erano fortemente subordinabili alle proprie decisioni.214
Gli Stati Uniti avevano già tentato di evitare una gestione multilaterale nella campagna
del Kosovo, secondo quanto affermato dal Comandante in capo delle forze alleate in
Europa nel corso del conflitto, Generale Wesley Clark, il quale rivelò «l’esistenza di
liste di bersagli deliberate dall’Amministrazione americana senza passare attraverso il
meccanismo della consultazione con i rappresentanti degli altri Paesi membri della
Nato».215
212
Statement to the Press by NATO Secretary General, Lord Robertson, on the North Atlantic Council
Decision On Implementation Of Article 5 of the Washington Treaty following the 11 September Attacks
against the United States, 4 ottobre 2001, www.nato.int/docu/speech/2001/s011004b.htm
213
Giuseppe Cucchi, Il ruolo attuale e le prospettive future della NATO in tema di lotta al terrorismo
internazionale, in Andrea de Guttry, a cura di, “Oltre la reazione”, Edizioni ETS, Pisa, 2003, pp. 86-88.
214
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 14-16.
215
Ivi, p. 24.
53
5.2
LE CONSEGUENZE E LA LOTTA AL TERRORISMO INTERNAZIONALE
Gli eventi dell’11 settembre 2001 sono stati sia un «elemento di discontinuità» che un
«catalizzatore di alcune tendenze» già in corso a partire dalla campagna kosovara. La
discontinuità si è realizzata attraverso la «militarizzazione dei concetti di terrorismo
internazionale e di lotta al terrorismo» e nella «sostanziale inversione della prestazione
di garanzia originariamente prevista all’atto di fondazione della NATO». Per quanto
riguarda il primo aspetto, fino ad allora il terrorismo era un fenomeno da combattere
attraverso le forze di polizia interne, con azioni preventive e repressive, e all’uso di
servizi informativi e di sicurezza. Successivamente «il network terroristico
internazionale di matrice islamica è stato di fatto equiparato ad un soggetto di natura
militare, internazionalmente ramificato, […] da affrontare con una vasta operazione di
“bonifica” planetaria». L’uso della forza armata è divenuto “indispensabile” per creare
un sistema di dissuasione. Questo ha reso, però, ulteriormente relativo il concetto di
sovranità e di confine nazionale. Per il secondo aspetto, «l’inversione delle garanzie di
sicurezza deriva invece dal capovolgimento verificatosi tra fronte e retrovie». Ovvero,
l’Alleanza Atlantica è intervenuta in seguito ad un attacco agli USA sebbene il Patto
fosse stato contemplato come strumento di garanzia americana all’Europa. «Le
decisioni assunte dalla NATO nel settembre 2001 hanno fotografato alla perfezione il
significato profondo del cambiamento». Il fatto che l’Organizzazione fosse stata
“tagliata fuori” dalle prime operazioni contro il terrorismo internazionale, tuttavia,
aveva significato «un passo indietro rispetto al ventilato avvento della “NATO globale”,
che avrebbe potuto fare dell’Europa un partner strategico degli Stati Uniti nella
gestione della sicurezza internazionale». I leader europei dovevano negoziare
bilateralmente la partecipazione alle operazioni. Questo dava agli USA un sostegno
politico, ovvero il consenso occidentale, oltre che reparti specializzati, evitando di
internazionalizzare realmente il conflitto.216
La scelta americana, immediatamente successiva all’attacco terroristico del 2001, di
evitare di affrontare la guerra al terrorismo attraverso il sistema decisionale
caratteristico della NATO, quello delle decisioni universalmente condivise, scrive
Cucchi,
trasformava l’Alleanza, che sino ad allora era stata una galassia di rapporti paritari fra una
moltitudine di membri di peso differente, in una unica grande stella di rapporti bilaterali in cui
gli Stati Uniti occupavano il centro, tutti gli altri Paesi alleati la periferia.217
Sotto l’aspetto della catalizzazione di eventi già in atto, ci si riferisce «all’accentuazione
dell’unilateralismo politico-militare americano […e…] al processo di rinazionalizzazione della politica di sicurezza dei principale Paesi europei, che è culminata nella
controversa vicenda dei due vertici informali» del 2001 e del vertice quadrinazionale
(Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo) del 2003. I Paesi europei erano in
disaccordo sulla linea di Enduring Freedom e, poi, dell’intervento in Iraq. Venivano a
scontrarsi visioni diverse del mondo e dei rapporti euro-atlantici. Gli USA avevano un
approccio globale, volto a risolvere il problema dei Failed States, spesso non
conciliabile con gli interessi e le percezioni europee. 218
Nella ricerca del «nuovo ordine mondiale», nel periodo di riposizionamento e
assestamento degli equilibri, si sperimentarono due soluzioni vincenti. Le coalitions of
the willings, attraverso cui costruire alleanze per le specifiche esigenze, non solo militari
ma anche economiche, diplomatiche e politiche. Non più, quindi, adattare ciò di cui si
dispone ma costruire ciò che serve. Mentre, come seconda soluzione vi fu una
utilizzazione della NATO, caratterizzata dalla flessibilità dell’Alleanza, che ha
216
Ivi, pp. 43-46.
Giuseppe Cucchi, La NATO: evoluzioni e prospettive, Oikos, Rivista Militare 3/2006, p. 16.
218
Ivi, pp. 47-49.
217
54
permesso l’adattamento ai nuovi scenari, come risulta dall’approvazione di due Nuovi
Concetti Strategici, il primo nel 1991 a Roma e il secondo a Washington, nel
cinquantenario della NATO. In quest’ultimo, l’art. 24 faceva chiaro riferimento al
terrorismo quale rischio emergente in un mondo in rapido cambiamento. Tuttavia, non
si riuscì a prevedere, afferma Cucchi, il livello dell’impatto dell’irruzione del terrorismo
organizzato sulla scena mondiale, nonché il modo in cui esso sarebbe riuscito a
sconvolgere pressoché istantaneamente i parametri di riferimento del settore di
sicurezza e difesa.219
La lotta al terrorismo internazionale è divenuta una priorità nello scenario internazionale
e presenta alcuni aspetti simili allo scenario della Guerra Fredda:
la lotta al terrorismo, similmente al confronto bipolare, è un conflitto di lungo periodo ad alto
contenuto ideologico che semplifica di molto gli schieramenti internazionali e che ha natura
globale nello spazio e negli strumenti, dovendo giocarsi contemporaneamente sui fronti politico,
militare ed economico. 220
Il “nuovo nemico” deve essere combattuto sia dentro l’area NATO, protetta dall’articolo
5, sia al di fuori di essa, attraverso le operazioni out-of-area. Si determina una
confusione tra queste diverse operazioni, pericolosa nella misura in cui gli interessi
degli alleati che spesso coincidono in buona misura in Europa, al di fuori, come per
l’area del Medio Oriente, si trovano in contrasto. 221
L’11 settembre 2001 ha prodotto anche un evento non ipotizzabile fino a poco tempo
prima. Ovvero, si è creata una sorta di convergenza di interessi fra la NATO e la Russia,
costituita dalla necessità di portare ordine e stabilità ai bordi dell’Eurasia.
Per la Russia, si tratta di contenere spinte centrifughe e il possibile dilagare del
fondamentalismo islamico nelle Repubbliche federate nelle quali siano presenti forti
componenti musulmane. Per l’America, si tratta invece di assicurare le condizioni che
permettono l’ordinato funzionamento dell’economia globale, che è un elemento essenziale della
prosperità economica nazionale.222
Nel discorso del Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush a conclusione dell’anno
di laurea dei cadetti di West Point, il 1° giugno 2002, sottolineava come l’attacco
dell’11 settembre 2001 ricordasse che «il pericolo non è terminato», riferendosi alla
libertà e al positivo esito della Guerra Fredda. L’uso delle armi biologiche e delle nuove
tecnologie missilistiche, affermava, permettono a Stati piccoli e deboli, o a gruppi, di
disporre di una grande potenza offensiva. Introduce, dunque, il mutamento della
strategia:
per buona parte del secolo scorso, la difesa degli Stati Uniti faceva affidamento sulle dottrine di
dissuasione e di contenimento, proprie della guerra fredda. In alcuni casi, quelle strategie
possono risultare ancora valide. Le nuove minacce, però, richiedono anche un diverso modo di
pensare. 223
Il Presidente afferma che non ci si può fidare di «tiranni, che firmano solennemente
trattati di non proliferazione e poi, sistematicamente, non li rispettano». In questo
quadro inseriva la difesa territoriale e lo scudo antimissile, «priorità essenziali per gli
Stati Uniti». E aggiungeva: «tuttavia, la guerra al terrorismo non potrà essere vinta
soltanto difendendosi». In questo discorso, Bush annunciava la “dottrina preventiva”,
quale necessità per la sopravvivenza degli USA: «la nostra sicurezza richiederà che tutti
219
Giuseppe Cucchi, Il ruolo attuale e le prospettive future della NATO in tema di lotta al terrorismo
internazionale, cit., pp. 84-86.
220
Marco Clementi, La Nato, cit., pp. 126-127.
221
Ibidem.
222
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., p. 14.
223
La nuova strategia americana di guerra preventiva, Discorso del Presidente degli Stati Uniti George
W. Bush, tenuto a West Point, il 1° giugno 2002, Affari Esteri, a. XXXIV, n. 136 (2002), p. 678.
55
gli americani siano lungimiranti e risoluti, pronti all’azione preventiva nel momento del
bisogno per difendere la nostra libertà e le nostre vite».224
224
56
Ivi, pp. 678-680.
Capitolo Sesto
IL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE
6.1
IL VERTICE DI PRAGA E L’ALLARGAMENTO
La “trasformazione” ha avuto un momento decisivo col Vertice di Praga del novembre
2002, nel quale la NATO si è dotata delle risorse necessarie per affrontare con
tempestività ed efficienza, anche in aree diverse da quella euro-atlantica, le nuove
minacce di tipo asimmetrico e per gestire con efficacia le operazioni di stabilizzazione
regionale.225
Bush affermava, alcuni mesi prima del Vertice, che la NATO aveva bisogno di nuovi
strumenti e di nuove strategie per affrontare le attuali minacce. Occorreva avere la
volontà di agire contro tutte le sfide che erano in grado di colpire l’Europa anche nel
caso in cui la loro origine fosse lontano da essa. Inoltre, richiamava le responsabilità di
ciascuno ricordando che ogni Paese doveva contribuire militarmente all’Alleanza,
secondo le proprie capacità, sia attraverso scelte difficili sia attraverso lo stanziamento
dei fondi necessari.226
I dubbi di numerosi osservatori internazionali, causati dal ruolo marginale che la NATO
rivestì nel primo periodo successivo all’11 settembre, che ipotizzavano un destino di
«semplice “scatola degli attrezzi”, senza più un ruolo distinto e autonomo», parvero
essere cancellati dal Vertice di Praga, che mostrò «come l’Europa e l’America siano
sulla stessa “lunghezza d’onda” e come intendano proseguire insieme». Questo è ciò
che affermava il vice-Segretario Generale della NATO, l’Ambasciatore Minuto Rizzo,
in un convegno tenutosi presso l’ISPI il 28 novembre 2002. L’Ambasciatore ha elencato
cinque elementi chiave a dimostrazione del nuovo ruolo dell’Alleanza. Innanzitutto,
l’allargamento a nuovi membri permetterebbe di suddividere l’onere della sicurezza fra
più membri, oltre che allargare lo spazio di stabilità. Inoltre, le nuove capacità decise a
Praga permettono agli europei di ridurre quelle difficoltà incontrate nel primo momento
di risposta agli attacchi terroristici, con la proposta americana di creare la NRF, in grado
di intervenire efficacemente e tempestivamente ovunque sia necessario. Terzo punto, la
presentazione di un pacchetto di misure contro il terrorismo. Quarto, le considerazioni
circa le armi di distruzione di massa, con equipaggiamenti tecnologici migliori e
addestramenti specifici, piuttosto che l’organizzazione di riserve di vaccini. Ultimo, la
decisione di rafforzare e portare avanti la partnership con paesi esterni all’Alleanza.227
Così ha affermato l’Ambasciatore Rizzo:
Il summit è stato l’occasione per riaffermare chiaramente il ruolo centrale della NATO nella
sfera della sicurezza, di fronte alle nuove vulnerabilità esemplificate dagli attacchi dell’11
settembre: esso ha dimostrato che USA ed Europa continuano a considerarsi reciprocamente i
partner strategici più importanti; che l’Alleanza è pronta a confrontarsi con le nuove sfide del
terrorismo e della proliferazione delle armi di distruzione di massa e, soprattutto, che sarà in
grado di sviluppare le capacità necessarie per vincere questa lotta globale.228
L’ampliamento delle funzioni, come la lotta al terrorismo, alla proliferazione delle armi
di distruzione di massa, e l’uso del “soft power”, come le attività di ricostruzione postconflitto, avevano spinto a presentare il Vertice di Praga del novembre 2002,
225
La NATO (The North Atlantic Treaty Organisation), www.esteri.it/ita/4_28_64_266_184.asp
George W. Bush, Gli Stati Uniti e l’Europa ancora insieme, Affari Esteri, a. XXXIV, n. 135 (2002), p.
458.
227
Minuto Rizzo, La NATO dopo Praga, ISPI – Relazioni Internazionali, anno XI – n. 13, gennaio/marzo
2003, p. 7.
228
Ivi, p. 8.
226
57
originariamente volto a celebrare l’ultimo round dell’allargamento, come il summit
della trasformazione della NATO.229
In una delle conferenze del programma, dopo aver esaminato i cambiamenti intercorsi a
partire dalla nascita dell’Alleanza, il Segretario Generale ha dichiarato che nei passati
tredici anni, la NATO aveva dimostrato di possedere la forza e la flessibilità per
smentire le critiche e per svolgere i compiti necessari in un ambiente di sicurezza
complesso e pericoloso. L’Alleanza ha dato prova di poter funzionare, quando le
nazioni le forniscono gli strumenti per farlo.230
In un articolo che commentava il Vertice, il Segretario Generale della NATO, ha
affermato che la tenuta di un’organizzazione si valuta nei momenti difficili. Dopo
Praga, ha scritto, c’è stato bisogno di affrontare ampie discussioni sui motivi di
disaccordo causati dagli eventi successivi agli attacchi terroristici. Tuttavia, secondo il
Segretario Generale, l’Alleanza funzionava perché il pluralismo politico era una sua
caratteristica. Tra i risultati del dialogo che è stato ufficializzato a Praga, vi è stata la
definizione del carattere delle nuove minacce e del modo per la NATO e i suoi membri
di farvi fronte. Inoltre, si è «definitivamente seppellito l'
eterno dibattito riguardo a se la
NATO possa o debba agire "fuori area"». Un vasto consenso è stato costruito attorno
alla questione del terrorismo e delle armi di distruzione di massa e un nuovo consenso è
stato raggiunto sulle necessità e le tipologie delle nuove armi necessarie a fronteggiare
le nuove sfide.231
Il Segretario Generale della NATO, Lord Robertson, ha affermato:
Prima dell'
11 settembre, ci si attendeva che il vertice di Praga vertesse soprattutto
sull'
ampliamento della NATO. Di fatto, l'
invito a sette nuovi paesi è rientrato in un programma
di trasformazione assai più vasto. Ma vi è un solido consenso perché l'
ampliamento
dell'
Alleanza rimanga un imperativo strategico, anche dopo che i sette paesi candidati ne
saranno formalmente divenuti membri il prossimo anno. Ciò perché, insieme all'
espansione
dell'
Unione Europea, l'
ampliamento della NATO contribuirà a consolidare l'
Europa quale area
di sicurezza comune. E ciò costituirà un grande passo verso la trasformazione dell'
Europa in un
continente dal quale non scaturiranno più guerre. 232
Nella Dichiarazione, si richiama la vicenda dell’11 settembre 2001 che ha portato
all’applicazione del casus foederis del Patto e all’uso delle misure previste nel Concetto
Strategico per far fronte alle nuove sfide, in merito alla quale a Praga è stato approvato
un pacchetto di misure che permetteranno alla NATO di svolgere l’intera gamma delle
proprie missioni e rispondere collettivamente alle nuove sfide.233
Al paragrafo 4 si sottolinea che la trasformazione e l’adattamento della NATO non
devono essere percepiti come delle minacce da nessun Paese o organizzazione. Essi
dimostrano la determinazione dell’Alleanza verso la protezione della popolazione, dei
territori e delle forze dell’area NATO dagli attacchi armati provenienti dall’esterno. Per
questo motivo, sono necessarie delle forze velocemente impiegabili laddove necessitino,
su decisione del Consiglio Nord Atlantico, da utilizzare in operazioni anche a lunga
distanza e lungo termine. La qualità delle forze è indicata come elemento chiave per la
politica globale dell’Alleanza e per salvaguardare la libertà, la sicurezza, per contribuire
229
Paul Cornish, NATO: the practice and politics of transformation, International Affairs, vol. 80, n. 1
(2004), p. 64.
230
Speech by NATO Secretary General, Lord Robertson, at the Conference of the Aspen Institute Berlin
and the NATO Host Committee for the Prague Summit, Prague, 20 novembre 2002,
www.nato.int/docu/speech/2002/s021120a.htm
231
Lord Robertson, La trasformazione della NATO, Rivista della NATO, primavera 2003,
www.nato.int/docu/review/2003/issue1/italian/art1.html
232
Ibidem.
233
Prague Summit Declaration, Issued by the Heads of State and Government participating in the
meeting of the North Atlantic Council in Prague on 21 November 2002, Press Release (2002)127
www.nato.int/docu/pr/pr2002e.htm
58
alla pace nella regione euro-atlantica. Per tale motivo, fra le decisioni prese per
perseguire questi scopi, è stato stabilito di creare la NATO Response Force (NRF), la
forza di reazione rapida, flessibile, tecnologicamente avanzata, caratterizzata
dall’interoperabilità. Inoltre, è stato deciso di razionalizzare la struttura di comando,
affinché risulti più snella ed efficiente. Vi saranno, dunque, due comandi strategici, uno
operativo ed uno funzionale. Il comando strategico sarà collocato negli Stati Uniti, con
una presenza in Europa, mentre quello operativo sarà collocato in Belgio. 234
Carlo Jean, in merito ha scritto:
Con il Summit di Praga del novembre 2002 e la costituzione di una Forza Europea di Risposta
in ambito Nato – interoperabile con il “sistema dei sistemi” americano – l’Alleanza si è
trasformata di fatto da regionale a globale. Questa è la principale trasformazione intercorsa negli
ultimi tempi, d’importanza maggiore di quella dell’allargamento ad Est. La rilevanza della
Forza di Risposta è però oggi solo potenziale, dato che il suo impiego dipenderà sempre dalle
decisioni contingenti e sovrane degli Stati membri della Nato.235
L’adattamento della NATO costituisce un passaggio vitale per l’Alleanza. Il disordine
internazionale creatosi con la fine del bipolarismo aveva modificato gli elementi per cui
la NATO era stata creata e aveva provocato la «crescita generalizzata della conflittualità
ed imponendo all’Occidente la responsabilità di esportare gradualmente verso Est la
propria sfera di stabilità per evitare di subire gli effetti del caos». L’area geopolitica di
instabilità non era più l’Europa centrale. Si era spostata verso la sua periferia e oltre i
suoi confini. Inoltre, nuove erano anche le sfide che il sistema poneva, a partire dai
conflitti etnico-identitari alla proliferazione delle armi di distruzione di massa.236
Con l’obiettivo di ottenere migliori capacità militari per una guerra moderna in un
contesto ad alto livello di minaccia, è stato deciso di approvare il Prague Capabilities
Commitment (PCC). Insieme al Piano d’Azione Europeo sulle Capacità, dell’Unione
Europea, si sarebbero ottenuti ulteriori risultati, nel rispetto dell’autonomia delle due
organizzazioni e di uno spirito di apertura. Si affermava l’intento di sviluppare il prima
possibile il PCC, sottolineando che, a questo scopo, sarebbe stato necessario un
impegno finanziario aggiuntivo.237
Il PCC è un pacchetto di iniziative basato sull’esperienza delle operazioni allora più
recenti e considera un impegno sempre maggiore delle forze alleate in missioni, oltre
che di mantenimento della pace, di combattimento e di contrasto attivo del terrorismo
internazionale.238
Un’ulteriore decisione ha riguardato l’intenzione di approvare un Concetto militare per
la difesa contro il terrorismo per rafforzare le capacità dell’Alleanza in questo settore.
Inoltre, furono considerate anche le capacità di difesa contro i ciber-attacchi. È stato poi
dato il via ad un nuovo studio di fattibilità sulla Difesa anti-missile in ambito NATO,
sempre tenendo conto del principio dell’indivisibilità della sicurezza degli alleati.239
In seguito all’11 settembre 2001, il terrorismo è divenuto una minaccia internazionale.
La NATO, pertanto, ha coinvolto i Paesi partners e ha stabilito a Praga un Piano
d'
azione del partenariato sul terrorismo. Lord Robertson ha affermato: «Degli sforzi più
vasti per assistere i partner nelle riforme interne e nelle questioni di sicurezza
dovrebbero avere un effetto positivo sulle cause profonde del terrorismo e sulla sua
diffusione in altri paesi». 240
234
Ibidem.
Carlo Jean, Prefazione, in G. Dottori e M. Amorosi, “La NATO dopo l’11 settembre”, cit., p. 8
236
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., p. 21.
237
Prague Summit Declaration, cit.
238
Maurizio Moreno, La trasformazione della NATO, La Comunità Internazionale, 1/2006, p. 4.
239
Prague Summit Declaration, cit.
240
Lord Robertson, La trasformazione della NATO, cit.
235
59
Nella Dichiarazione di Praga vengono richiamate le relazioni con i Paesi dell’EAPC e
del Pfp, con la Russia, con l’Ucraina e la stabilità nel Mediterraneo, come elementi
indispensabili per l’Alleanza; inoltre, si sottolinea la collaborazione con le altre
organizzazioni, tra cui l’ONU, l’UE, e l’OSCE. Si fa riferimento alle operazioni, SFOR,
KFOR e ISAF. Infine, si richiama l’importanza dei valori comuni nella comunità euroatlantica e si dichiara che, avendo difeso per cinquant’anni la sicurezza e la pace in
Europa, la NATO intende svolgere questo ruolo anche in futuro. 241
Commentando il Vertice di Praga, Lord Robertson affermava che la NATO e i suoi
membri dovevano impegnarsi per far fronte ai vari impegni presi, ad esempio, per
quanto riguarda la minaccia del terrorismo e una maggiore cooperazione fra gli alleati,
ma soprattutto, riguardo agli impegni presi da ciascuno singolarmente nel Prague
Capabilities Commitment. Inoltre occorreva sveltire l’accordo con l’UE e coinvolgere
maggiormente le opinioni pubbliche. 242
Nell’intervento di Massimo de Leonardis al convegno del 28 novembre 2002
organizzato dall’ISPI, il Professore sottolineava come la NATO, per poter restare una
forza militare efficace, non dovesse limitarsi ad operazioni di peace-keeping, ma
dovesse essere in grado di affrontare la minaccia più grave, ovvero, il terrorismo
internazionale.
La convivenza tra le sue due anime può avvenire quindi accettando quella che è stata definita
“ambiguità costruttiva”, sacrificando cioè un po’ di coerenza militare a favore dei compiti di
stabilizzazione politica in Europa e consentendo allo stesso tempo agli USA e ad alcuni alleati
di dedicarsi ai pericoli “fuori area”. 243
Ovvero, per de Leonardis la NATO deve essere:
come cornice dalla quale trarre coalitions of the willing, grazie anche alla flessibilità dell’art. 5,
che impegna a una reazione collettiva agli attacchi, ma non impegna a intervenire militarmente.
Sarà quindi un’organizzazione a più “cerchi” e, a seconda delle situazioni, gli USA decideranno
quale cerchio debba essere attivato. 244
L’analisi politica di Alessandro Colombo al medesimo convegno, pur affermando che
Praga ha dato segni di vitalità della NATO, sottolineava l’esistenza di elementi di
tensione. Si riconosceva una forte capacità d’attrazione dell’Alleanza, che aveva
acquisito «una funzione di legittimazione, di riconoscimento dell’avvenuta transizione
democratica e della compiuta normalizzazione economica dei Paesi che entrano a farne
parte», oltre che una «notevole capacità di adattamento in base a un meccanismo di
azione-reazione». Il Vertice ha, però, fatto emergere alcuni problemi, ad esempio, la
“missione” dell’Alleanza, che pareva non essere più il mantenimento dell’integrità
territoriale degli stati membri ma la lotta al terrorismo internazionale. Questo obiettivo
non determinava una comunanza di interessi quale era quella del contenimento
dell’URSS. Inoltre, l’allargamento previsto avrebbe comportato dei problemi relativi ad
una riorganizzazione verso un sistema di sicurezza collettiva, che portava l’Alleanza a
competere con altre organizzazioni già esistenti, come l’OSCE e l’ONU.245
Margherita Boniver, Sottosegretario di Stato, ha affermato:
La NATO – pur conservando la sua funzione irrinunciabile di pilastro della difesa collettiva appare progressivamente destinata ad agire come un’organizzazione di sicurezza con una
proiezione sempre più ampia, in funzione delle minacce da fronteggiare. […]Una grande
Alleanza di riferimento è molto utile a tutti. Se è pur vero che a volte il consenso della Nato
presenta alcune difficoltà (campagna in Kossovo su tutte), è altrettanto inopinabile che poter
241
Prague Summit Declaration, cit.
Lord Robertson, La trasformazione della NATO, cit.
243
La NATO dopo Praga, ISPI – Relazioni Internazionali, anno XI – n. 13, gennaio/marzo 2003, p. 10.
244
Ibidem.
245
Ivi, pp. 10-11.
242
60
contare sulla legittimazione di diciannove (presto ventisei) Paesi è di fondamentale importanza,
superiore a qualsiasi azione unilaterale.246
Il Segretario Generale Lord Robertson, in apertura dell’incontro, sottolineava che quello
di Praga era il summit della trasformazione, attraverso il quale si sarebbe dato il
benvenuto a nuovi membri, si sarebbero stabiliti nuovi obiettivi, sarebbero state
modernizzate le capacità militari e rafforzate le relazioni con gli amici e i partners
dell’area euro-atlantica. In questo modo, affermava, si sarebbe rafforzato il legame
transatlantico sul quale poggia la sicurezza e la difesa dei membri. Inoltre, dato che si
presentavano un insieme di minacce alle società libere, in un nuovo clima di insicurezza
emerso a partire dall’11 settembre 2001, la trasformazione della NATO, per il
Segretario Generale, avrebbe rappresentato la risposta del “cuore” del mondo libero. La
NATO, affermava, è la più ampia coalizione permanente di nazioni democratiche, ecco
perché, oltre a possedere le capacità, attraverso l’espansione si rafforzerebbe la NATO
stessa.247
Il Vertice di Praga ha, infatti, sancito la «vocazione globale» dell’Alleanza, con la
volontà di espandere la stabilità in uno spazio geopolitico più ampio dei confini
originari. Si è aperta la porta a nuovi partners che coprono un’area simbolica compresa
tra il Mar Baltico e il Mar Nero e che un tempo costituiva la “cortina di ferro”.248
I Capi di Stato e di Governo affermavano che la riunione sarebbe servita ad allargare
l’Alleanza e rafforzare ulteriormente la NATO per affrontare le nuove gravi minacce e
le profonde sfide alla sicurezza del XXI secolo. Dopo aver riaffermato i valori comuni
che ispirano l’Alleanza, al paragrafo 2 della Dichiarazione, si invitano Bulgaria,
Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia, ad iniziare i colloqui
d’adesione al fine di entrare nell’Alleanza. Questo, si afferma, comporterà una maggiore
sicurezza per tutti e l’attuazione dell’idea di un’Europa intera e libera, unita nella pace e
da valori comuni. Le “porte” rimarranno aperte a tutte le democrazie europee che
desiderano entrare nell’Alleanza, in conformità all’articolo 10 del Patto di
Washington.249
Per l’Ambasciatore Giuseppe Baldocci, ex-Segretario Generale del Ministero degli
Affari Esteri, il motivo per cui l’Alleanza è sopravvissuta al Patto di Varsavia e si è poi
allargata, risiede nelle caratteristiche stesse del Patto:
un testo breve e trasparente, la cui forza non ha perduto incisività e attualità nei decenni, che
esalta il principio dell’indivisibilità della sicurezza, la difesa collettiva, il radicamento dei valori
comuni e che, con lungimiranza, lascia aperta la porta a futuri allargamenti.250
Per Baldocci, l’allargamento comporta un processo di maturazione in seno all’Alleanza
come nei futuri membri. È un processo delicato che provoca contrasti. Tuttavia, col
tempo le discussioni sull’ingresso dei nuovi membri sono andati riducendosi.
L’allargamento del 1999 riguardava la natura e l’evoluzione dell’Alleanza e ci furono
lunghi dibattiti. Dopo l’11 settembre, le priorità dell’Alleanza e la percezione dei
problemi sono mutati, pertanto, l’allargamento come fatto in sé è dato per acquisito e lo
si inquadra nell’ambito dell’ampliamento dell’area di stabilità. 251
246
Margherita Boniver, Sicurezza e stabilità per la nuova Nato, L’Avanti, Roma, 25 luglio 2003,
www.esteri.it/MAE/IT/Stampa/Sala_Stampa/Interviste/2003/07/Intervista_1
247
Opening Remarks by NATO Secretary General, Lord Robertson Meeting of the North Atlantic Council
at the level of Heads of State and Government, Prague, 21 novembre 2002,
www.nato.int/docu/speech/2002/s021121b.htm
248
Giuseppe Baldocci, La nuova NATO, Affari Esteri, a. XXXVI, n. 141 (2004), p. 113.
249
Prague Summit Declaration, Issued by the Heads of State and Government participating in the
meeting of the North Atlantic Council in Prague on 21 November 2002, Press Release (2002)127
www.nato.int/docu/pr/pr2002e.htm
250
Giuseppe Baldocci, La nuova NATO, cit., p. 115.
251
Ivi, p. 116.
61
In riferimento all’adesione dei sette Stati dell’Europa Centrale ed Orientale, Margherita
Boniver, ha affermato che la loro inclusione:
è destinata a proiettare sicurezza e stabilità in uno spazio geografico esteso e caratterizzato
invece da elevata instabilità, in un arco che dai Balcani e dal Mediterraneo può giungere a
ricomprendere anche il Medio Oriente, l’Iraq, l’Asia Centrale, fino all’Afghanistan. Il processo
di allargamento costituisce dunque una pietra angolare nel nuovo sistema di sicurezza euroatlantico, i cui nuovi compiti sono definiti in relazione sia alle minacce del terrorismo
internazionale, sia alle instabilità regionali, che quelle minacce producono ed alimentano. Il
governo italiano si è costantemente adoperato affinché la nuova fase di allargamento risultasse
equilibrata in termini geostrategici senza trascurare i Paesi dell’Europa del Sud-Est, come la
Bulgaria e la Romania, in grado di fornire un contributo alla stabilizzazione della regione
balcanica. 252
Se per alcuni, con l’allargamento che avrebbe condotto nell’Alleanza Bulgaria,
Romania, Estonia, Lituania, Slovenia e Slovacchia, si sarebbe concluso il lungo periodo
di crisi della NATO, secondo altri osservatori, soprattutto in Europa, questa era la
risposta alla necessità di coprire il vuoto strategico che era stato determinato dal crollo
dell’URSS e del Patto di Varsavia, e forniva delle garanzie ai membri entrati nel 1999
(Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria). 253
In una domanda sul tema dell’allargamento posta al Presidente russo V. Putin in una
conferenza stampa, il 3 ottobre 2001, egli rispondeva in questo modo: immaginiamoci
l’espansione della NATO. Nuovi membri entrano nell’Organizzazione. Chi si sentirà
più sicuro come risultato? Quale Paese europeo sarà più sicuro? La popolazione di quale
Paese si sentirà più sicura? Putin affermava di sperare che la comunità Occidentale
cambiasse indirizzo ed ascoltasse i segnali che i russi inviavano a favore di una stretta
cooperazione con la NATO. Il Segretario Generale Lord Robertson rispose che
l’elemento fondamentale era l’esistenza della partnership con la Russia e che era diritto
di ogni Paese decidere i propri accordi di sicurezza, così come per la Russia. La NATO
non è interessata a creare nuove divisioni nell’area eruo-atlantica, affermava Robertson.
L’interesse era quello di costruire delle relazioni basate sul mutuo rispetto e un
approccio comune ai problemi tra la NATO e la Russia.254
Nel discorso del Presidente degli USA Bush al Bundestag, il 23 maggio 2002, egli ha
affermato che, in merito all’ampliamento della NATO, si sarebbe avuta una maggiore
sicurezza nel continente europeo, soprattutto per quei Paesi che nell’ultimo secolo non
avevano conosciuto né pace né sicurezza. Per Bush bisognava agire con più decisione.
L’impegno degli USA, affermava, è ricondurre tutte le democrazie europee all’interno
delle responsabilità dell’Alleanza: «un’Alleanza più ampia rafforzerà la NATO e
realizzerà gli obiettivi della NATO».255
6.2
LE DIVISIONI PROVOCATE DALLA SECONDA GUERRA IN IRAQ
Il 2003 è stato un anno che ha segnato il cammino della NATO. La guerra in Iraq ha
reso evidenti le divergenze in seno all’Alleanza e l’Amministrazione Bush è stata
accusata di voler trasformare una forte organizzazione di sicurezza in uno strumento
della politica estera degli Stati Uniti. Alcuni hanno accusato Washington di avere
organizzato una cospirazione per dimostrare l’inefficacia della NATO. D’altra parte,
molti osservatori negli USA sono rimasti sorpresi dell’azione della Francia orientata a
252
Margherita Boniver, Sicurezza e stabilità per la nuova Nato, cit.
Paolo Migliavacca, La nuova NATO, gli Stati Uniti, l’Europa e la Russia, Affari Esteri, a. XXXVI, n.
143 (2004), p. 517.
254
Press Conference after Meeting with NATO Secretary General George Robertson, 3 ottobre 2001, cit.
255
George W. Bush, Gli Stati Uniti e l’Europa ancora insieme, cit., p. 455.
253
62
riequilibrare, oppure a contendere, secondo l’autore P. Cornish, la potenza americana.
Questa stessa strategia era stata pensata in ambito occidentale in relazione ad un nemico
o ad una minaccia manifesta, ma non nei confronti degli “amici”. Pertanto, alcuni
nell’Amministrazione Bush hanno creduto che l’obiettivo della Francia fosse quello di
distruggere la NATO, atteggiamento che sarebbe stato confermato dal “mini-summit”
tra Francia, Germania, Belgio e Luxemburgo, del 29 aprile 2003.256
Fino al momento del “mini-summit” di aprile, la NATO aveva compiuto importanti
passi avanti, come l’accordo per l’ingresso di sette nuovi membri e, nel marzo
precedente, la firma degli Accordi Berlin Plus, tramite i quali l’UE ha la possibilità di
accedere alle capacità di pianificazione ed agli assetti della NATO. Operativamente, la
NATO continuava a dare il suo contributo in Afghanistan, tramite basi, diritti di
sorvolo, condivisione delle informazioni e dislocamento di forze speciali da parte di
alcuni membri della NATO europei. Nell’agosto del 2003, inoltre, la NATO prendeva il
comando dell’ISAF. 257
Tom Donnelly, ricercatore presso l'
American Enterprise Institute di Washington, in un
suo articolo, ha scritto che l’impatto maggiore della guerra in Iraq è stato quello subito
dalle istituzioni che hanno contribuito a stabilizzare il mondo durante e dopo la guerra
fredda. La preparazione alla guerra, anche nell’aspetto diplomatico, ha reso evidenti i
divergenti punti di vista politici, soprattutto, tra Francia, Germania, Regno Unito e Stati
Uniti. Ma anche nei confronti dei piccoli Paesi europei. Tuttavia, si è manifestata anche
la grande potenza delle forze multinazionali addestrate secondo gli standard della
NATO e l’inserimento di contingenti specializzati più piccoli della Coalizione, come
quelli di Australia e Polonia, senza che vi fossero intoppi. Si è reso evidente che gli
Stati Uniti avevano bisogno di appoggiarsi alle capacità dei partners per operazioni
materiali e, dunque, emergeva il problema di come adattare la NATO per renderla
idonea alle nuove circostanze strategiche. Ma la questione centrale consisteva nel
valutare se il ruolo dell’Alleanza come “fornitrice di forze” fosse in grado di superare le
più forti divergenze politiche. Queste riguardavano soprattutto l’approccio nei confronti
del mondo islamico e l’uso e delle forze militari. I fatti dopo l’11 settembre hanno
mostrato la scelta dell’America di impegnarsi in una «forma attiva di leadership
mondiale» e di intraprendere «un ambizioso progetto per rimodellare l’ordine politico
del Medio Oriente, cui non potranno rinunciare senza ammettere la loro sconfitta».
Questa è la Dottrina Bush, ovvero la visione americana in questi anni di
Amministrazione del Presidente G. W. Bush. Donnelly sostiene che la velocità del
cambiamento e dell’emergere del sentimento americano per la loro missione aveva
turbato le opinioni pubbliche europee: «la risolutezza e la chiarezza della leadership del
Presidente Bush, così confortante per gli Americani in tempo di crisi, preoccupa molti
Europei». Il punto di vista degli europei, scriveva, era quello di considerare il terrorismo
come un crimine e non un atto di guerra e di agire per la stabilità nel mondo islamico
attraverso la diplomazia. Le preoccupazioni europee si concentravano sul
deterioramento delle relazioni diplomatiche ed economiche in quell’area. Secondo
l’autore molti europei vivevano ancora nel mondo prima dell’11 settembre 2001 e,
dunque, della Dottrina Bush, e puntavano sugli accordi legali o le istituzioni
internazionali, «e rimangono riluttanti a ricorrere all’uso della forza militare, in
particolare nel caso di fini espansionistici, come quelli che ora vengono perseguiti dagli
Stati Uniti in Medio Oriente».258
La seconda guerra del golfo intervenne, dunque, a mutare nuovamente lo scenario,
mettendo in piena luce, secondo Caligaris, le contraddizioni di una NATO ormai
256
Paul Cornish, NATO: the practice and politics of transformation, cit., p. 63.
Ivi, p. 64.
258
Tom Donnelly, Ripensare la NATO, Rivista della NATO, estate 2003,
www.nato.int/docu/review/2003/issue2/italian/art2.html
257
63
superata, il vuoto delle capacità militari dei membri europei e la loro «inesistente»
coesione sul piano politico-strategico. Dall’altra parte, avveniva la dimostrazione delle
capacità americane nella costruzione di coalizioni di «respiro globale» e la proiezione
della forza americana a notevole distanza dal proprio suolo. La NATO, in questa
proiezione di forza, non ebbe alcun ruolo. Il risultato fu l’inizio di Vertici e discussioni
sull’impegno dentro o fuori dalla NATO. 259
Secondo Donnelly, il fatto che il Regno Unito ed altri Paesi guardavano con
circospezione il ruolo di leaders della Francia e della Germania all’interno dell’UE ed
erano disposti ad impegnarsi al fianco degli USA in altre parti del mondo, sarebbe stato
sufficiente, nell’ottica americana, «per fare della NATO un utile strumento per la
gestione politica e la strategia USA». Tuttavia, occorreva una riforma della NATO per
superare la debolezza militare in Europa. Il fenomeno avrebbe le sue radici nel periodo
della guerra fredda: «per gli Stati Uniti e, in minor misura, per il Regno Unito la NATO
costituiva una missione di proiezione di potenza, mentre per l’Europa continentale, e in
special modo per la Germania, si trattava invece di difesa del territorio nazionale». Il
forte divario delle capacità militari fra l’Europa e l’America e le divergenze
geopolitiche sarebbero, dunque, alla base della crisi della NATO, ovvero, di un suo
ruolo attuale. Scrive Donnelly: quale possibile ruolo può svolgere la NATO nel fare ciò
che il Presidente Bush ha definito come la nuova priorità strategica dell’America:
nell’affrontare, cioè, il fondamentalismo islamico? 260
Probabilmente, sostiene Rynning, l’assenza di rischi condivisi, circa la diversa
percezione delle minacce fra gli alleati, porta le alleanze a disgregarsi. Questo potrebbe
aver causato le divisioni interne provocate dalla guerra in Iraq del 2003. Gli Stati Uniti
avrebbero perseguito la politica della “missione che determina la coalizione”
spingendola al punto da arrivare quasi a far rinunciare alla NATO il suo impegno
derivante dall’articolo 4 del Trattato di Washington. La Turchia, all’inizio del 2003,
richiese delle consultazioni in tema di sicurezza. La Francia, il Belgio e la Germania
dubitarono che dietro tale richiesta vi fosse un tentativo americano di sbloccare la
situazione di stallo diplomatico ed ottenere un sostegno internazionale attraverso gli
impegni scaturenti dal Trattato NATO. Questi Paesi si opposero alle consultazioni della
NATO per non pregiudicare le deliberazioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. 261
L’Alleanza, dunque, non era coinvolta nella campagna militare in Iraq. Tuttavia, le
divisioni fra gli alleati generarono una paralisi “virtuale” sulla questione
dell’autorizzazione per la pianificazione della difesa della Turchia, nel caso vi fosse
stato un conflitto con l’Iraq. Ma questo evento non si verificò. La crisi, però, ha fatto
riemergere il dibattito sul futuro della NATO. Soprattutto, la disputa fra la prassi, scrive
Sir Timothy Garden, visiting professor presso il Centre for Defence Studies del King'
s
College di Londra, di dispiegare la NATO in compiti successivi ad un conflitto e
l’impegno dei vertici dell’Alleanza a dotarla delle più moderne capacità per fare la
guerra.262
Lord Robertson, cercando di riportare ad un punto comune il consenso dell’Alleanza, ha
affermato:
L'
11 settembre e l'
Iraq dimostrano che siamo in un periodo di fondamentale transizione. Il
contesto di sicurezza è mutevole, come pure il modo in cui reagiamo ad esso, e l'
uno verso
l'
altro. È cruciale che in un tale periodo di transizione si preservi e si rafforzi ciò che ci ha
portato dove siamo oggi e che ha tanto contribuito alla nostra sicurezza, prosperità e benessere.
259
Luigi Caligaris, La NATO, Ieri, Oggi, Domani, Affari Esteri, a. XXXVI, n. 141 (2004), pp. 776-777.
Tom Donnelly, Ripensare la NATO, cit.
261
Sten Rynning, Una NATO rinnovata, Rivista della NATO, autunno 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue3/italian/art1.html
262
Timothy Garden, Riallacciare i rapporti, Rivista della NATO, estate 2003,
www.nato.int/docu/review/2003/issue2/italian/art1.html
260
64
Si tratta, in poche parole, della nostra comune cultura transatlantica di fiducia, cooperazione e
aiuto reciproco.263
6.3
IL VERTICE DI ISTANBUL E LA COESIONE RITROVATA
Al Vertice di Istanbul, giugno 2004, si rese necessario riaffermare il valore del legame
transatlantico, viste le tensioni scaturite dal conflitto in Iraq. Il documento prodotto, la
Dichiarazione di Istanbul, costituisce un pacchetto di decisioni atte a rilanciare la
dimensione politica dell’Alleanza.264
In un articolo pubblicato dalla Rivista della NATO, sull’interpretazione del Vertice di
Istanbul, Gülnur Aybet, lettore di relazioni internazionali presso la Kent University di
Canterbury, ha sottolineato il processo di trasformazione che ha vissuto l’Alleanza:
Sotto molti aspetti, un filo diretto può essere tracciato tra l'
agenda di Istanbul e le Dichiarazioni
di Londra (1990) e Roma (1991) dell'
Alleanza al termine della Guerra Fredda, in cui i leader
alleati si impegnarono a trasformare l'
Alleanza in un "elemento di cambiamento" e
immaginarono un percorso per la trasformazione della NATO dopo la Guerra Fredda. Negli
anni successivi, l'
Alleanza ha compiuto molti progressi con i vertici di Madrid (1997), di
Washington (1999), di Praga (2002) ed ora di Istanbul (2004): tutte pietre miliari nel suo
processo di adattamento e di trasformazione per affrontare le sfide nel campo della sicurezza del
XXI secolo.265
A pochi mesi di distanza dal Vertice di Praga, che aveva ottenuto importanti traguardi
(nuovi membri, nuove capacità, nuove missioni), la crisi sul conflitto iracheno aveva
procurato non poche preoccupazioni circa la sopravvivenza dell’Alleanza. Le
lacerazioni erano emerse in seguito all’intervento circoscritto di sostegno della NATO
richiesto dalla Turchia, in base all’articolo 4 del Patto Atlantico, in relazione ad un
eventuale peggioramento della crisi irachena. Nonostante ciò, al Vertice di Istanbul si
poteva considerare positivo il bilancio del lavoro fatto a partire dall’incontro di Praga, in
tema di allargamento, di rilancio dei rapporti di partenariato e sul fronte della
trasformazione delle capacità militari. Dunque, il Vertice ha rappresentato un esplicito
messaggio di coesione e credibilità ritrovata, nonché di vitalità dell’Alleanza, alla
comunità internazionale.266
Di nuova dinamicità ha parlato anche Giampaolo Di Paola, allora Capo di Stato
Maggiore della Difesa italiana, riferendosi al Vertice del 2004, dal quale vedeva
emergere una NATO nel ruolo di efficace ed essenziale struttura di riferimento per la
sicurezza degli alleati transatlantici.267
Nel primo paragrafo della Dichiarazione del Vertice è stata ribadita la volontà di attuare
una difesa collettiva dei popoli e dei territori della comunità euro-atlantica legata da una
visione comune espressa nel Trattato di Washington. In merito al Vertice di Praga, si
elogia la trasformazione che, con l’invito all’ingresso dei sette nuovi membri, ha
rappresentato l’allargamento più corposo della storia della NATO. Quindi, in
riferimento alle decisioni del Vertice di Istanbul, si è proceduto a disegnare le linee
guida per la trasformazione, adattando le strutture, le procedure e le capacità
263
Lord Robertson, La trasformazione della NATO, cit.
La NATO (The North Atlantic Treaty Organisation), cit.
265
Gülnur Aybet, Verso un nuovo consenso transatlantico, Rivista della NATO, autunno 2004,
www.nato.int/docu/review/2004/issue3/italian/art1.html
266
Maurizio Moreno, La nuova NATO e il Vertice di Istanbul, Affari Esteri, a. XXXVI, n. 143 (2004), p.
501.
267
Giampaolo Di Paola, La trasformazione della NATO, Affari Esteri, a. XXXVII, n. 145 (2005), p. 45.
264
65
dell’Alleanza, senza che tali atti, si sottolinea, debbano essere considerati minacce per
qualsivoglia Paese o organizzazione.268
In apertura del Vertice, il Segretario Generale, Lord Robertson, sottolineava
l’importanza del fatto che l’incontro vedesse presenti 26 Stati membri, determinati a
difendere i valori dell’Alleanza e trasmetterli alle nuove generazioni. Un impegno a
preservare l’integrità territoriale e la sicurezza l’uno dell’altro. I sette nuovi membri
hanno dimostrato, afferma, di essere pronti a far fronte a questo impegno e possono
contare sulla solidarietà degli altri alleati. Riferendosi alle decisioni precedentemente
prese a Praga per una nuova NATO, il Segretario Generale faceva notare che la nuova
struttura non soltanto aveva preso forma ma aveva anche agito, stabilizzando l’area
balcanica dove era impegnata, facilitando l’integrazione euro-atlantica, e impegnandosi
oltre l’area tradizionale delle operazioni della NATO, assumendo la direzione
dell’ISAF. Questo ha dimostrato, afferma Lord Robertson, il potenziale della NATO nel
proiettare la stabilità ben oltre il suo campo d’azione abituale. Pertanto, le decisioni del
Vertice dovranno servire per assicurare alla nuova NATO gli strumenti per giocare
pienamente il nuovo ruolo, le capacità politiche e militari per gestire al meglio la
sicurezza internazionale. Il logo del Vertice, un ponte, afferma il Segretario Generale,
simboleggia il ruolo della NATO nei passati 55 anni e afferma la volontà di esserlo
altrettanto in futuro, attraverso la costruzione di nuovi ponti nel Mediterraneo e nel
Medio Oriente.269
Nella Dichiarazione sulla Sicurezza, rilasciata alla riunione del Consiglio Nord
Atlantico di Istanbul, dopo aver riaffermato l’impegno per la difesa comune e la ricerca
di una risposta comune alle minacce alla sicurezza, i Capi di Stato e di Governo
dichiarano di esaltare il ruolo fondamentale della NATO nel favorire la diffusione della
libertà in tutta l’Europa, anche in riferimento ai nuovi sette membri dell’Alleanza. La
difesa comune rimane l’obiettivo principale dell’Alleanza ma bisogna considerare che le
minacce sono cambiate e l’area geografica da cui provengono è molto più vasta.
Pertanto, l’Alleanza si sta preparando a far fronte alle nuove sfide dotandosi di nuove
capacità e rafforzando la cooperazione con i partners, adattandosi all’ambiente
strategico in evoluzione. Queste trasformazioni «costituiscono un processo, non un
evento». L’impegno, dunque, è che questo processo sia continuo. 270 Si afferma:
mentre ci confrontiamo con una nuova era di pericoli e speranze, la NATO rimane il nostro
ponte attraverso l’Atlantico, multilaterale e di vitale importanza, naturale complemento, grazie
alle sue capacità militari, di un approccio politico comune. 271
Tra le decisioni del Vertice di Istanbul vi è la volontà di espandere la missione ISAF in
Afghanistan e di terminare l’operazione SFOR in Bosnia Erzegovina, accogliendo
favorevolmente la decisione dell’UE di intervenire con una nuova e distinta missione in
base al capitolo VII della Carta dell’ONU, sulla base degli Accordi di Berlino fra la
NATO e l’UE. Si ribadisce l’importanza della presenza della missione KFOR e il
potenziamento dell’Operazione Active Endevour, nel Mediterraneo, contro il terrorismo.
Inoltre, è stato deciso di offrire assistenza al governo iracheno nell’addestramento delle
sue forze di sicurezza. È stata poi riaffermata l’apertura delle porte a nuovi membri,
incoraggiando l’Albania, la Croazia e la Repubblica ex-jugoslava di Macedonia a
continuare le riforme necessarie al raggiungimento dei criteri di ammissione. Sono state
prese delle misure per rafforzare il Partenariato Euro-Atlantico, soprattutto per quanto
268
Il Vertice NATO di Istanbul, Dichiarazione, 28-29 giugno 2004, Affari Esteri, a. XXXVI, n. 144
(2004), p. 706.
269
Opening Remarks by NATO Secretary General, Jaap de Hoop Scheffer, Meeting of the North Atlantic
Council at the level of Heads of State and Government, Istanbul, 28 giugno 2004,
www.nato.int/docu/speech/2004/s040628a.htm
270
Dichiarazione sulla Sicurezza, 28 giugno 2004, Affari Esteri, a. XXXVI, n. 144 (2004), pp. 731-732.
271
Ivi, p. 732.
66
riguarda le aree strategiche del Caucaso e dell’Asia Centrale, ed è stato potenziato il
Dialogo Mediterraneo, attraverso l’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul, offrendo la
cooperazione dell’Alleanza al c.d. Medio Oriente allargato. 272
Dopo la crisi dell’Alleanza sulla questione irachena, al Vertice di Istanbul il consenso
transatlantico è emerso sull’intento di proiettare stabilità oltre l’area euro-atlantica come
strumento per la sicurezza dei membri della NATO, il che porta ad ampliare gli
orizzonti dell’Alleanza oltre l’Europa, obbligandola a dotarsi delle capacità necessarie
ad affrontare questo tipo di operazioni. 273
Oltre all’obiettivo di dedicare un’attenzione crescente al Caucaso e all’Asia Centrale,
l’interesse è anche quello di condurre all’interno dell’Alleanza i Paesi balcanici del
programma di adesione e all’interno dell’EAPC la Serbia-Montenegro e la BosniaErzegovina. Le vicende balcaniche sono molto interessanti per l’Alleanza e la strategia
che essa ha sviluppato per quest’area prevede una valorizzazione delle sinergie con
l’ONU, l’UE e l’OSCE. 274
Ad Istanbul, dunque, emerge la volontà di proiettare fuori teatro il potenziale
stabilizzatore dell’Alleanza. Secondo Maurizio Moreno, l’allargamento, la
trasformazione e le nuove missioni non rappresentano un tentativo di darsi una nuova
“ragione sociale” ma sono l’espressione di un’esigenza strategica in un mondo in cui
non esistono barriere geografiche da intendere in funzione difensiva. Per tale motivo,
l’esito della missione in Afghanistan darà la misura dell’impegno e della credibilità
della NATO, afferma Moreno, di fronte alle sfide alla sicurezza contemporanee. 275
Carlo Jean ha, invece, affermato:
La NATO si trova oggi nelle condizioni di un’impresa i cui prodotti non trovano più acquirenti
nel suo mercato tradizionale. In tale caso, l’impresa può chiudere o ridimensionarsi, oppure può
cambiare prodotto e mercato. Questa seconda soluzione è stata adottata dalla Nato nel periodo
di transizione tra la Caduta del Muro e gli attentati alle Torri.276
Alla conclusione del Vertice, l’Alleanza ha mostrato di aver compiuto un lavoro
notevole, considerando la rottura della solidarietà politica del periodo precedente alla
campagna irachena. Nonostante il fatto che molte iniziative prese ad Istanbul non siano
misure obbligatorie, l’Alleanza ha presentato «un’agenda ambiziosa per la cooperazione
e l’azione transatlantica», che punta sui nuovi partenariati e sulle operazioni al di fuori
dell’area euro-atlantica. 277
6.4
IL VERTICE DI RIGA E LA DIRETTIVA POLITICA
L’Ambasciatore Maurizio Moreno, Rappresentante Permanente d’Italia presso il
Consiglio Atlantico, riferendosi al significato del Vertice di Riga ha affermato:
quello di Riga è stato in definitiva un Vertice che ha permesso di convogliare il messaggio di
una NATO solidale, rinvigorita e in via di rinnovamento. Un’Alleanza che preserva la propria
coesione, che porta il peso delle proprie responsabilità di fronte alle nuove minacce, che si
impegna attivamente nel processo di trasformazione imposto dai nuovi scenari di sicurezza. 278
Il Vertice sarebbe stato «per alcuni versi interlocutorio» in vista dei successivi, 2008 e
2009, quest’ultimo in occasione del sessantennale dell’Alleanza. L’Ambasciatore non
nasconde che molti interrogativi sono rimasti aperti, alcuni riguardanti la stessa ragion
272
Il Vertice NATO di Istanbul, cit., pp. 707-708.
Gülnur Aybet, Verso un nuovo consenso transatlantico, cit.
274
Maurizio Moreno, La nuova NATO e il Vertice di Istanbul, cit., pp. 502-503.
275
Ivi, p. 505.
276
Carlo Jean, Prefazione, cit., p. 11
277
Gülnur Aybet, Verso un nuovo consenso transatlantico, cit.
278
Maurizio Moreno, La NATO dopo il Vertice di Riga, Affari Esteri, a. XXXIX, n. 153 (2007), p. 114.
273
67
d’essere dell’Alleanza. Ad esempio, la visione di una NATO globale, propria degli Stati
Uniti, contrapposta alla NATO regionale (continentale) più aderente al Trattato e di cui
è sostenitrice la Francia. Oppure, il rapporto fra la dimensione politica e quella militare.
Si è preso coscienza, continua l’Ambasciatore, della necessità di portare avanti «la
legittima aspirazione dell’Unione Europea a proporsi come attore autonomo delle
politiche di difesa e di sicurezza» dalla quale non potrà prescindere lo sviluppo futuro
della NATO.279
Il nuovo Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, alle porte del
Vertice, ha scritto che l’incontro rappresentava gli «sbalorditivi» cambiamenti che
l’Europa aveva vissuto negli ultimi quindici anni. Anche la NATO si è trasformata,
affermava, agendo da catalizzatore di cambiamenti positivi. Questa trasformazione
sarebbe espressa dai Vertici passati, che hanno portato l’Alleanza, dapprima statica, ad
essere un fattore dinamico di cambiamento. Pertanto, il Vertice di Riga porta avanti
un’agenda con diversi obiettivi, in molteplici settori. Tuttavia, afferma il Segretario
Generale, il Vertice si focalizzerà su tre “panieri”: impegno politico, trasformazione
della difesa, ed operazioni. Sul primo “paniere” si concentra l’obiettivo
dell’allargamento, dell’espansione del partenariato ed un programma di formazione. Il
secondo “paniere” punta sull’ammodernamento delle forze. Per poter agire esse devono
essere prontamente impiegabili e in grado di assolvere i compiti che vanno dal conflitto
ad alto livello alla ricostruzione post-bellica. In merito all’ultimo “paniere”, in passato
l’obiettivo principale della NATO era la protezione dei membri da un’invasione
straniera o da un’intimidazione politica, mentre, attualmente le minacce possono
provenire da qualsiasi Paese attraverso sfide che non rientrano tra le soluzioni militari
tradizionali e che non possono essere ben pianificate a tavolino come avveniva, invece,
durante la Guerra Fredda. La difesa a queste minacce, afferma il Segretario Generale, è
la proiezione di stabilità. Nonostante la difesa del territorio rimanga fondamentale,
occorre spingersi anche lontano dai propri confini per fronteggiare i potenziali rischi e
le minacce quando si manifestano, «o ce li ritroveremo sull’uscio di casa». Attraverso il
Vertice di Riga la NATO dimostrerà, afferma Scheffer, che sta affrontando la sfida del
cambiamento. 280 Questa è la logica delle operazioni della NATO:
In un mondo che appare sempre più piccolo ed interdipendente, equiparare la sicurezza alla
sicurezza del territorio di qualcuno è chiaramente una definizione assai limitata di interesse
nazionale. Se deve esserci una parvenza di ordine e sicurezza nel mondo odierno, la comunità
transatlantica deve accettare la responsabilità di agire dove ciò è richiesto allorché si tratta di
prevenire il terrorismo o di fornire aiuti umanitari. È questo modo di intendere la sicurezza che
281
ha ispirato l’evoluzione della NATO dalla fine della Guerra Fredda.
Poco prima del Vertice, Vaira V e-Freiberga, in qualità di Presidente della Lettonia e
ospite del Vertice, dopo aver ricordato come, nel 1991, il periodo successivo all’
indipendenza si presentasse molto incerto e le riforme che, insieme agli altri Paesi
dell’Europa Centrale ed Orientale, il proprio Paese aveva dovuto affrontare, ha
affermato:
Due anni fa, i tre stati baltici e quattro altri Paesi europei hanno raggiunto uno dei loro principali
obiettivi di politica estera, cioè la piena adesione a quella che è l’alleanza di difesa con
maggiore successo al mondo. Date le immense sfide che è stato necessario superare, è assai
gratificante vedere i grandi progressi che questi Paesi hanno compiuto in tempi relativamente
279
Ibidem.
Jaap de Hoop Scheffer, Alcune riflessioni sul Vertice di Riga, inverno 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue4/italian/art1.html
281
Ibidem.
280
68
brevi. L’adesione alla NATO fornisce ora un livello di sicurezza senza precedenti che la
Lettonia e i suoi vicini non avevano mai avuto nel passato.282
Inoltre, il Presidente afferma che Lettonia, Estonia e Lituania hanno collaborato
fortemente con l’Alleanza per cercare di cancellare i legami con la concezione passata
di un mondo diviso. Il Vertice di Riga rappresenterebbe, dunque, l’espressione della
nuova concezione di Europa. Questi tre Paesi hanno lavorato da subito con l’Alleanza
grazie all’adesione al PfP nel 1994, mentre la Lettonia si è impegnata già nel 1996 nel
mantenimento della pace nei Balcani. Il Presidente afferma che la Lettonia crede
fermamente nei valori dell’Alleanza e che essa dovrebbe lasciare le “porte aperte” a
quei Paesi che si sono avviati sulla via della democrazia e inviare segnali chiari ai
leaders di Albania, Croazia e Repubblica ex-jugoslava di Macedonia che chiedono di
entrare nell’Alleanza. Inoltre, dovrebbe incoraggiare Paesi come la Serbia, ma anche la
Georgia e l’Ucraina a compiere ulteriori passi verso le riforme e il partenariato.283
Nella Dichiarazione di Riga viene ribadita l’indivisibilità della sicurezza tra gli alleati e
la solidarietà, quale base per andare incontro alle nuove sfide. Al paragrafo 2 della
Dichiarazione, si richiama l’evoluzione attuale della sicurezza, nella quale minacce
complesse come il terrorismo, con conseguenze sempre più globali e letali, e la
proliferazione delle armi di distruzione di massa o gli “Stati falliti”, creano instabilità.
Questo clima esprime il senso del ruolo della NATO quale foro di consultazioni per la
sicurezza. L’Alleanza, si afferma al paragrafo successivo, è impegnata in sei missioni su
tre regioni geografiche, per creare pace e sicurezza, attraverso una stretta cooperazione
con i partners e altre nazioni. Nei punti dal 4 all’8 viene affrontato il tema
dell’operazione in Afghanistan, esprimendo sostegno al governo afghano e la necessità
dello sviluppo, senza il quale non può esserci sicurezza, e viceversa. La NATO non può
assumersi da sola la responsabilità di questa crisi, si afferma, e auspica l’intervento
dell’Unione Europea e di altre organizzazioni internazionali. Nei punti successivi si
tratta il tema delle missioni in Kosovo e in Darfur. Il punto centrale è il rafforzamento
del contributo dei partners e degli strumenti ad essi collegati, come la NATO Training
Cooperation Initiative, per l’ammodernamento delle strutture di difesa e la formazione
delle forze di sicurezza (punto 12). Vengono poi richiamati i valori comuni e si
ribadisce la forte condanna del terrorismo, nei cui confronti l’Alleanza è fortemente
impegnata, ad esempio nel Mediterraneo con l’Operazione marittima Active Endevour
(punti 20-21). Dato il successo dell’allargamento nel creare una zona di pace e stabilità
in Europa (paragrafo 29), si riafferma che l’Alleanza lascia la “porta aperta” a nuovi
futuri alleati europei in conformità all’art. 10 del Patto. Nei punti seguenti si esprimono
le considerazioni dell’Alleanza circa la situazione in varie parti della regione euroatlantica, come Georgia, Ucraina, Albania, e si riconferma l’importanza fondamentale
della partnership NATO-Russia, come elemento di sicurezza in questa regione (punto
40). Al punto 45 della Dichiarazione di Riga si fa riferimento all’interesse per la NATO
nella protezione dei flussi delle risorse vitali, come le strutture di distribuzione
dell’energia. Pertanto, viene ribadito l’impegno della NATO nella protezione degli
interessi vitali degli alleati anche nel campo della sicurezza energetica.284
In merito a quest’ultimo tema, durante una delle conferenze tenutesi in concomitanza
col Vertice di Riga, il Senatore americano R. Lugar ha espresso l’opinione che la NATO
dovrebbe occuparsi anche di sicurezza nel settore energetico, essendoci poche
differenze, ha affermato, fra la minaccia di interruzione di forniture energetiche e un
blocco militare o azioni di dimostrazione. Daniel S. Hamilton, direttore del Centro per
282
Vaira V e-Freiberga, Riflessioni in vista di Riga, Rivista della NATO, inverno 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue4/italian/art2.html
283
Ibidem.
284
Riga Summit Declaration, emessa dai Capi di Stato e di Governo riuniti presso il Consiglio Nord
Atlantico di Riga il 29 novembre 2006, www.nato.int/docu/pr/2006/index.html
69
le relazioni transatlantiche della John Hopkins University, si spinge fino a considerare
come compito della NATO i piani per la Difesa Civile e aggiunge che, per definire
meglio questo concetto, occorre una collaborazione fra la NATO e l’Unione Europea.285
Nella Comprehensive Political Guidance, la Direttiva Politica approvata al Vertice del
novembre 2006, si conferma l’ampio approccio alla sicurezza dell’Alleanza in
conformità al Concetto Strategico del 1999, confermandone gli obiettivi e la difesa
collettiva come scopo principale (punti 4 e 5). Si esprime la necessità di condividere le
responsabilità e che ogni membro dia il proprio apporto all’Alleanza, come anche il
riconoscimento della supremazia delle decisioni politiche nazionali (punto 8). Le
priorità, affermate al punto 18, riguardano il dispiegamento e il sostegno di forze
congiunte, pronta disponibilità delle forze, la capacità di pianificare in caso di minacce
asimmetriche, informazione superiore, la capacità di progettare insieme gli strumenti
necessari a sostenere una crisi e la sua risoluzione con i migliori effetti, come anche il
coordinamento con gli altri attori. La NATO Response Force è individuata come lo
strumento migliore per supportare l’Alleanza e ottiene la priorità tra le esigenze
operative.286
Nella Direttiva Politica sono indicati, dunque, i futuri impegni dell’Alleanza per i
successivi 10-15 anni, principalmente operazioni fuori area. La NATO si deve preparare
a gestire fino a sei conflitti di medio-bassa intensità e due su vasta scala (contro i tre
precedenti). Ecco la grande importanza, afferma Moreno, del riconoscimento della
piena capacità operativa (full operational capability) della NATO Response Force, in
grado di schierare 25 mila uomini tra i 5 e i 30 giorni, anche in teatri lontani e situazioni
complesse. Inoltre, grande importanza ha la decisione, dice l’Ambasciatore, di mettere a
punto il Sistema NATO di Sorveglianza al Suolo (AGS) e il Progetto per la difesa
missilistica di teatro, oltre alle capacità per contrastare attacchi con armi chimiche,
biologiche, radiologiche e nucleari. Un’altra decisione di importanza strategica ha
riguardato la creazione di un Intelligence Fusion Centre per migliorare i flussi
informativi nel quadro delle operazioni, dato che, afferma Moroni, il flusso di
informazioni è sempre più importante. Dal lato politico, a Riga è stato deciso di
potenziare ulteriormente il meccanismo del partenariato, soprattutto, nell’ottica del
contributo che deriva dai partners alle operazioni NATO. I Paesi del Dialogo
Mediterraneo e dell’Iniziativa di Istanbul sono stati ammessi a beneficiare degli
strumenti di cooperazione riservati ai Paesi EAPC e PfP. Tra i Paesi che possono
contribuire alle operazioni vi sono i c.d. Paesi di contatto (Australia, Corea del Sud,
Giappone e Nuova Zelanda), che hanno mostrato crescente interesse nei confronti della
cooperazione con la NATO. 287
Lo strumento dell’EAPC, in particolare, consente la cooperazione tra i 26 alleati e gli
attuali 23 partner permettendo di ottenere la capacità di agire e operare efficacemente
insieme. Tredici Paesi dei diciotto che partecipano ad operazioni NATO sono partners
EAPC e sono coinvolti nello sviluppo dei Piani operativi (OPLAN) e nel Riesame
periodico della missione (PMR). A partire dal Vertice di Istanbul i Paesi partners sono
stati invitati a individuare obiettivi comuni in riferimento alla NATO e ad attivare un
processo interministeriale per gestire questi obiettivi in modo collegiale. Attraverso il
Vertice di Riga è stato compiuto un ulteriore passo in avanti importante
nell’integrazione dei Paesi dell’Europa sud-orientale: sono nella fase di piena
285
Sergio Romano, La NATO, un’organizzazione in crisi di identità, Affari Esteri, a. XXXIX, n. 153
(2007), pp. 108-109.
286
Comprehensive Political Guidance, direttiva politica adottata dai Capi di Stato e di Governo a Riga, il
29 novembre 2006, www.nato.int/docu/basics.htm
287
Maurizio Moreno, La NATO dopo il Vertice di Riga, cit., pp. 116-118.
70
integrazione nel Consiglio e nel PfP, la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro e la
Serbia.288
Paul Savereux, esperto nella Divisione pianificazione e politica di difesa della NATO,
afferma che lo scopo evidente della Direttiva politica generale (CPG) è condurre allo
sviluppo di capacità maggiormente utilizzabili nelle future operazioni e missioni,
garantendo all’Alleanza di rimanere efficace, credibile e valida nel XXI secolo. Nel
documento vengono descritti i tipi di operazioni che l’Alleanza deve essere in grado di
effettuare e le capacità di cui essa necessita; queste ultime non vengono dettagliate
perché tale aspetto rientra nel processo di pianificazione della NATO. La Direttiva si
concentra sulle capacità, ma non definisce i tipi di navi o di aerei o gli equipaggiamenti
necessari, includendo dottrine, procedure, organizzazioni, addestramento, sostegno ed
interoperabilità collegate. È un documento «realistico» che guarda agli effetti delle
operazioni. L’attuazione della pianificazione risulta difficile, spiega Savereux, perché
viene realizzata attraverso sette “materie fondamentali di pianificazione” (armamenti;
emergenza civile; consultazione, comando e controllo; nucleare; etc…), gestite da
diversi comitati con diverse direttive. Occorreva armonizzare gli interventi. Il
documento si è reso necessario per fornire, dunque, una cornice entro la quale
armonizzare le pianificazioni nazionali della difesa con quella della NATO. La CPG era
stata approvata nel 2005 ma è stata resa pubblica solo col Vertice di Riga, ovvero,
quando i Capi di Stato e di Governo che avevano richiesto il documento lo hanno
approvato. La CPG è subordinata al Concetto Strategico, tuttavia, essa «fornisce
un’unica direttiva generale che si applica a tutta la pianificazione nell’Alleanza relativa
alle capacità».289
Il Vertice di Riga ha determinato un effetto positivo soprattutto per i Balcani. Lo
affermano Amadeo Watkins e Srdjan Gligo jevic, il primo esperto sui Balcani mentre il
secondo si occupa di questioni di sicurezza NATO e UE. I Paesi della regione hanno
istituzionalizzato i rapporti con la NATO, con la completa adesione o attraverso la PfP o
l’EACP. Pertanto, essi dispongono di un foro comune in cui, attraverso la condivisione
dell’obiettivo di integrazione euro-atlantica, possono gestire i contrasti sulla sicurezza.
La situazione è ancora in fase di normalizzazione; infatti, al Vertice di Riga si
affermava che per i Balcani l’integrazione euro-atlantica resta necessaria per la stabilità
a lungo termine nella regione.290
288
Robert F. Simmons Jr, I dieci anni del Consiglio di Partenariato Euro-Atlantico: una riflessione
personale, Rivista della NATO, estate 2007, www. nato.int/docu/review/2007/issue2/italian/art5.html
289
Paul Savereux, La Direttiva Politica Generale: una guida base, Rivista della NATO, primavera 2007,
www.nato.int/docu/review/2007/issue1/italian/art2.html
290
Amadeo Watkins e Srdjan Gligo jevic, La NATO e i Balcani: motivi per una maggiore integrazione,
Rivista della NATO, estate 2007, www.nato.int/docu/review/2007/issue 2/italian/art3.html
71
72
Capitolo Settimo
IL DIBATTITO SUL SIGNIFICATO ATTUALE DELLA NATO
7.1
IL FUTURO DELL’ALLEANZA
Le conseguenze del successo ottenuto nella fase finale della Guerra Fredda hanno
determinato una sorta di vuoto politico, un momento di incertezza a livello di sicurezza
e mutamento dello status quo. Sten Rynning sostiene che questo momento ha prodotto
considerazioni circa la capitalizzazione delle potenzialità del cambiamento e spinto gli
alleati a cercare una nuova concezione dell’Alleanza che ne aumentasse il prestigio e
l’influenza. La ricerca del nuovo assetto produsse, tuttavia, degli scontri: Atlantismo
contro Europeismo, questioni regionali contrapposte ad interessi globali dell’Alleanza,
ruolo politico verso ruolo militare. Tuttavia, tali scontri non generarono dubbi
sull’esistenza dell’Alleanza, ma interrogativi sulla direzione della trasformazione. La
NATO sarebbe rimasta un’alleanza o si sarebbe trasformata in qualcosa d’altro? I
Governi della NATO fallirono, secondo Rynning, nel dare una risposta chiara. L’autore,
quindi, sostiene che la situazione politica, caratterizzata da una miscela di
conservazione e ansietà, portò la NATO ad avere le potenzialità per divenire un idealtipo di organizzazione di “sicurezza-collettiva”, ma gli alleati rimasero legati alla
vecchia struttura dell’Alleanza, che fino ad allora aveva funzionato. I punti di vista
divergevano, innanzitutto, sulla percezione della sicurezza. In caso di minacce residuali
all’esterno, avrebbe avuto senso continuare a stare uniti in una alleanza. Nel caso non
fossero emerse chiare minacce, sarebbe stato preferibile pensare “all’unità” a livello
europeo e trasformare la NATO in una effettiva organizzazione di sicurezza
collettiva.291
Dalla caduta del muro di Berlino gli studiosi si sono chiesti se la fine dell’epoca
bipolare, che aveva in qualche modo bloccato il sistema mondiale, avrebbe prodotto un
ritorno al vecchio sistema multipolare delle shifting alliances, le alleanze instabili,
caratteristiche della storia dell’età moderna. Sebbene vi fossero dei dubbi, il ritorno al
vecchio sistema era improbabile, per de’Robertis, per due fenomeni: la scoperta
dell’arma nucleare, che rimanda alla possibilità di una guerra totale, e l’affermazione di
un nuovo meccanismo di cooperazione internazionale caratterizzato dalla sovranità, che
si riferisce al modus operandi dell’UE. La fine dell’era bipolare avveniva in un contesto
di ampia diffusione della cultura della sicurezza collettiva nell’opinione pubblica e
costituisce «un ulteriore fenomeno che va aggiunto, all’arma nucleare e alla
sovranazionalità, come fattore irreversibilmente innovativo della società internazionale
prebellica».292
La caratteristica principale del sistema internazionale del post-Guerra Fredda sembra
essere l’incertezza. Infatti, se nella fase precedente si aveva la possibilità di individuare
uno scontro fra “amici” e “nemici”, in quella successiva non esiste un soggetto in grado
di esprimere effettivamente un dominio globale. Nemmeno la «superpotenza solitaria»
sarebbe in grado di porre il proprio controllo congiuntamente sull’Europa e l’Asia. Oggi
esistono una molteplicità di potenze, alcune emergenti, con delle relazioni che sfumano
tra la collaborazione e la competizione. Non esistono gerarchie stabili o regole, per cui
diventa incerto stabilire se l’ “amico” di oggi lo sarà anche l’indomani. In questo
scenario agisce il fenomeno chiamato «globalizzazione», la sempre maggiore
291
Rynning Sten, NATO Renewed, cit., p. 21.
Anton Giulio de’Robertis, La NATO nel nuovo scenario internazionale, in De Leonardis Massimo, a
cura di, La nuova Nato, cit., pp. 209-211.
292
73
integrazione commerciale e finanziaria del mondo, le reti di comunicazione, etc., che
aumentano l’imprevedibilità del sistema. Ciò significa che le vicende di uno Stato sono
fortemente connesse con quelle degli altri Stati, creando così interdipendenza a livello
di benessere e di interessi. 293
Il fatto che l’indeterminatezza sia la caratteristica attuale principale nel sistema
internazionale, è sottolineato anche dal Generale Caligaris, soprattutto, se paragonato
alla prevedibilità tipica dello scenario della Guerra Fredda. Per il Generale, Washington
manderebbe avanti molteplici e contraddittorie linee d’azione, senza cercare una
strategia comune. Da parte loro, gli alleati «gareggiano per partecipare come solerti,
modeste e non di rado disunite comparse a una sparpagliata sequenza di eventi dai quali
non vogliono essere esclusi».294
Riferendosi all’espansione dell’Alleanza, a partire dalla fine della guerra fredda, Sergio
Romano, ha affermato che questo fenomeno ha esercitato le funzioni di una rete di
alleanze, quale argine contro la potenza sconfitta. Tuttavia:
Per garantire la sicurezza dei vecchi satelliti, senza irritare inutilmente la Russia, sarebbe stato
possibile trasformare la NATO in una grande organizzazione per la sicurezza collettiva
dell’Europa, “dall’Atlantico agli Urali”. Ma una tale organizzazione avrebbe costretto gli Stati
Uniti ad accettare le regole della interdipendenza e della multilateralità. Gli Stati Uniti volevano
invece che la NATO conservasse, per il giorno in cui avessero desiderato servirsene, le sue
caratteristiche di alleanza politico-militare in cui nulla può essere fatto senza gli Stati Uniti o
contro la loro volontà.295
Il ruolo della NATO venne messo in discussione nel momento in cui pareva fosse stato
superato il motivo stesso della sua esistenza e, nuovamente, quando un deciso
mutamento dell’ambiente internazionale, nel nuovo millennio, pareva decretarne la fine.
Gli interventi militari nel continente europeo, nei Balcani, e l’allargamento
dell’Alleanza ebbero come risultato quello di darle una forte connotazione europea.
Nell’estate del 2001, affermano Dottori e Amorosi, la NATO appariva sempre meno
un’alleanza difensiva, e sempre più un’affollata organizzazione di sicurezza europea
dagli interessi non ben definiti. Questa Alleanza Atlantica «non piaceva alla Casa
Bianca ed al Congresso ben prima del crollo delle Torri newyorkesi». Con i primi passi
dell’operazione unilaterale americana in Afghanistan, l’Alleanza è stata dichiarata
«morta» da osservatori come Charles Krauthammer, mentre Robert Kagan invitava a
non far finta che l’Europa e l’America avessero una comune visione del mondo. La
successiva crisi irachena del 2003, portò l’analista francese Guillaume Parmentier a
parlare di «fine della Nato» e Charles Kupchan ad affermare che «“l’Alleanza Atlantica
giace ora nella breccia di Baghdad”». Queste considerazioni, per Dottori e Amorosi,
rientrano in un quadro logico che considera la NATO una mera alleanza militare che
debba proteggere i confini degli alleati da attacchi esterni. Ma non tengono conto delle
peculiarità dell’Alleanza, che le hanno permesso di superare il periodo post-Guerra
Fredda, tra le quali: le sue collaudate procedure militari e l’esistenza al suo interno di
una struttura militare integrata, la cooperazione tra le forze militari alleate estesa al resto
dell’Europa e alle Nazioni Centro-Asiatiche tramite le iniziative collegate al
Partenariato per la Pace.296
Nel giro di poco più di un decennio, afferma Peter van Ham, direttore del Global
Governance Programme presso l’Istituto olandese per le relazioni internazionali
Clingendael a L’Aia e insegnante presso il College d’Europe a Bruges, la NATO si è
trasformata da organizzazione incentrata sulla difesa collettiva nella forza con maggiore
esperienza al mondo nel mantenimento della pace e nelle operazioni di pace. Dalla
293
Clementi Marco, La Nato, cit., pp. 83-86.
Luigi Caligaris, La NATO, Ieri, Oggi, Domani, cit., p. 770.
295
Sergio Romano, La NATO, un’organizzazione in crisi di identità, cit., pp. 111-112.
296
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 77-80.
294
74
campagna aerea del 1995 in Bosnia Erzegovina, la NATO è passata da operazioni per
imporre la pace a quelle per il mantenimento della pace e per la creazione dello stato.
L’Organizzazione è divenuta sempre più interventista e nei successivi Vertici si è
impegnata fortemente nel rafforzamento delle capacità europee. Ogni progresso della
trasformazione è stato accompagnato dai dibattiti sulle sue funzioni, soprattutto, in
riferimento ai diversi compiti degli americani e degli europei, i quali, dopo che i primi
avevano lasciato il Kosovo, si erano occupati di mantenimento della pace. Il dibattito
sulla divisione dei compiti fu interrotto dall’attacco terroristico del settembre 2001. La
conseguenza fu la nascita di un nuovo paradigma della sicurezza per gli alleati della
NATO, la “guerra globale al terrorismo”. Ma l’Organizzazione entrò in gioco solo nel
2003, assumendo il comando dell’ISAF, la prima missione dell’Alleanza al di fuori
dell’area euro-atlantica. Le successive operazioni, legittimate dall’ONU, ottennero il
sostegno alleato. La campagna in Iraq, tuttavia, determinò nuovi contrasti che minarono
il ruolo della NATO quale piattaforma politica per le sfide nel campo della sicurezza. 297
Lo strappo creato dalla questione irachena, afferma il Segretario Generale della NATO,
è stato reale, ma l’Alleanza lo sta superando. Vi sarebbero forti richieste di
cooperazione transatlantica e che la NATO giochi un ruolo centrale in questo rapporto.
Questo sta avvenendo, secondo Scheffer, perché entrambe le sponde dell’Atlantico si
sarebbero rese conto di avere bisogno l’una dell’altra. Inoltre, la NATO ha dimostrato di
sapere reinventare se stessa. Per il Segretario vi sarebbe un nuovo “atlanticismo
illuminato”. Innanzitutto, afferma, è diventata chiara la necessità che per gestire la
sicurezza occorre proiettare stabilità, dato che la sicurezza di un Paese può dipendere
oggi da ciò che accade all’interno di un altro Paese. Questo è l’esempio
dell’Afghanistan. In secondo luogo, si è resa manifesta la necessità di rispondere alle
minacce dove e quando queste emergono. La NATO sarebbe l’unica organizzazione in
grado di rispondere con adeguate capacità militari a queste minacce, offrendo delle
forze flessibili ed in grado di reagire rapidamente. Ciò comporta una condivisione delle
responsabilità fra gli alleati, anche a livello di contribuzione alle spese, su cui Scheffer
preme fortemente. Inoltre, il nuovo “atlanticismo illuminato” sarebbe sorto grazie
all’interazione fra la NATO e le altre maggiori istituzioni. Ad esempio, in tema di
ricostruzione post-conflitto è necessaria la collaborazione con altri attori, come l’UE,
l’ONU o le ONG. Un ulteriore elemento sarebbe rappresentato dallo sviluppo di un
comune approccio transatlantico sulla questione mediorientale, grazie ad esempio al
meccanismo del Dialogo Mediterraneo e l’impegno nella formazione delle forze
attraverso l’esperienza multinazionale della NATO. Sebbene attualmente la percezione
della NATO in quest’area sia negativa, essa può pur sempre cambiare, afferma Scheffer.
Ancora, un altro elemento, è l’impegno ad espandere la comunità atlantica, dato che
molti Paesi bussano alla porta della NATO. Ogni nazione, ha dichiarato spesso il
Segretario Generale, deve essere in grado di scegliere il proprio allineamento per la
sicurezza. Da ultimo, l’elemento politico. La NATO non deve essere vista soltanto
come un meccanismo che genera forze diverse in base alle missioni. Essa deve essere
un foro per un ampio dibattito strategico. In questo modo si potranno evitare crisi come
quella sull’uso della forza in Iraq, causata da differenti interpretazioni del Trattato. In un
sistema in cui altri attori di sicurezza stanno trovando un proprio ruolo, e in cui altre
parti del mondo, come il “Broader Middle East”, stanno aumentando la propria
rilevanza, lo scontro di idee che si genera, afferma Scheffer, deve far sì che la comunità
atlantica si impegni in un dibattito politico ampio sulle questioni di sicurezza.298
297
Peter van Ham, Le difficoltà aumentano, Rivista della NATO, autunno 2005, www.nato.int
Jaap de Hoop Scheffer, Defense of security and shared values, NATO’S NATION and Partnership for
Peace, 1/2007, pp. 14-19.
298
75
7.2
UN RUOLO PIÚ POLITICO
Strobe Talbott, ex-Vice-Segretario di Stato dell’Amministrazione Clinton, Presidente
del Brookings Institution, in un articolo pubblicato sulla rivista Foreign Affairs, del
2002, sottolineava che la NATO non rappresenta solo un potenziale militare ma anche
una forte influenza politica. La NATO, affermava, potrebbe varcare i confini eurasiatici,
dopo aver varcato quelli europei. Si riporta, quindi, l’esempio del Giappone, che ha
firmato un Patto di Stabilità e contribuisce finanziariamente alla ricostruzione nei
Balcani. Non esiste nessun’altra rete come quella euro-atlantica, afferma Talbott, che si
occupi di rinforzare l’aspetto economico, politico e militare reciproco. La NATO
potrebbe occupare questo vuoto anche al di fuori dei suoi confini. Tuttavia, non
significherebbe affatto che sia desiderabile una NATO globale, che andrebbe a
confondersi con le Nazioni Unite. L’espansione è strategica, dunque, per quanto
riguarda le partnership, ma l’Alleanza dovrebbe rendere più stringenti i canoni per
l’accettazione dei nuovi membri e rimanere più fedele alla connotazione di alleanza
militare.299
La trasformazione militare non è più sufficiente. Le nuove minacce, la comparsa di
nuovi protagonisti nel campo della sicurezza, determinano un’esigenza fondamentale
per la NATO, se vuole continuare a rappresentare «la struttura fondamentale per il
coordinamento transatlantico e per l’azione comune». Questa esigenza riguarda una
trasformazione del dialogo politico all’interno dell’Alleanza, affinché diventi più chiaro
e frequente. Questo è un aspetto fondamentale per il nuovo Segretario Generale
Scheffer. Tra i risultati politici del passato si citano, tra gli altri, il mantenimento dello
status quo politico in Europa nel post-Guerra Fredda, oppure, la deterrenza nei confronti
dell’Unione Sovietica affinché essa non utilizzasse politicamente la propria potenza
militare, o ancora, il fatto che, grazie alla struttura della NATO, è stata facilitata la
riconciliazione politica fra gli ex-avversari. Inoltre, un risultato fondamentale è stato il
consolidarsi dell’Europa attraverso la politica di partenariato. La formula del vecchio
Segretario Generale, Lord Robertson, “capacità, capacità, capacità”, si manifestò
inadeguata a partire dalla controversia sull’Iraq del 2003. Essa non coglieva più la realtà
transatlantica, afferma Rühle, perché non riusciva ad identificare la diversa percezione
della minaccia. Mentre vi era l’accordo sull’azione contro il terrorismo, le modalità non
erano condivise. Non era la mancanza di una potenza militare collettiva, ma le
divergenze sull’uso di questa potenza, che crearono la crisi nell’Alleanza. Ecco perché
divenne fondamentale una prima trasformazione politica della NATO, ovvero, favorire
ciò che Scheffer ha chiamato “cultura del dibattito”, offrendo ai membri un foro per una
discussione strategica più ampia. Si è agito, in passato, sostiene l’autore, in base alle
necessità caso per caso e a decisioni prese su specifiche operazioni o questioni, ad
esempio, la trasformazione militare. Questo avrebbe fatto della NATO un “fornitore di
forze” e non un centro di dialogo sulle prospettive e gli approcci comuni degli alleati su
questioni più vaste. Certi temi considerati come “esclusi”, dovrebbero essere affrontati,
si afferma, come è avvenuto per l’impegno nella missione di mantenimento della pace
dell’Unione Africana in Darfur, o l’assistenza umanitaria alle vittime del terremoto in
Pakistan. Quindi, gli alleati dovrebbero accettare che le discussioni non riguardino
soltanto le questioni militari ma anche argomenti di comune interesse politico.300
Questa trasformazione, verso una NATO più politica, comporta dei rischi. Ad esempio,
si appesantisce l’impegno dell’Alleanza, già fortemente impegnata nelle proprie
esigenze operative quotidiane. Si possono, poi, creare ulteriori divisioni causate da un
299
Strobe Talbott, From Prague do Baghdad: NATO at Risk, Foreign Affairs, November/December 2002,
www.foreignaffairs.org
300
Michael Rühle, Una NATO più politica, Rivista della NATO, inverno 2005,
www.nato.int/docu/review/2005/issue4/italian/analysis.html
76
dibattito maggiore che potrebbe approfondire fratture esistenti, anziché facilitare il
consenso. Tuttavia, per Rühle, non vi sono alternative ad una maggiore politicizzazione
della NATO, se essa intende «plasmare il più vasto contesto strategico, deve proporsi di
andare oltre il mantenimento della sua competenza militare e sviluppare pure una più
forte identità politica».301
La questione di un ruolo più politico per la NATO è stato affrontata anche in un
dibattito, pubblicato sulla Rivista della NATO, fra Espen Barth Eide, Direttore del
Dipartimento di politica internazionale presso il Norwegian Institue of International
Affairs di Oslo, e Frédéric Bozo, Professore all’Università di Nantes e ricercatore
associato specializzato in relazioni transatlantiche presso l’Institut français des relations
internationales di Parigi. Eide, sostenitore della necessità per la NATO di svolgere un
ruolo più politico, afferma che la crisi di identità determinata dai dissensi sulla
legittimità dell’intervento in Iraq e sul ruolo della NATO a protezione della Turchia,
non è stata certamente la prima nella storia della NATO. Inoltre, più che dalla fine della
Guerra Fredda, per Eide, lo scopo della NATO è stato messo maggiormente in
discussione dai fatti del post-11 settembre. La decisione americana basata sulla
“missione che determina la coalizione” «costituiva esattamente l’opposto di ciò che gli
atlantisti europei volevano sentire». Da allora, da entrambe le sponde dell’Atlantico
sembra vi sia stata la volontà di mostrare unità. Per Eide la sfida attuale consiste nel
valutare realisticamente il ruolo dell’Alleanza e nel “ripoliticizzarla”, «piuttosto che
lasciare che si atrofizzi restando per lo più un “contenitore di attrezzi” militari». Sul
primo punto, occorre riconoscere il mutato panorama politico europeo, in cui l’Unione
Europea si presenta come protagonista della sicurezza internazionale, aggiungendo agli
strumenti di “soft power” le capacità militari. I dibattiti transatlantici futuri su molte
questioni fondamentali richiedono «approcci poliedrici», afferma, quindi, dovranno
includere anche l’UE. Pertanto, Eide, riferendosi agli atlantisti, sostiene che «i tentativi
di usare la NATO per limitare le ambizioni politiche dell’Unione Europea sono
condannati a fallire». L’Alleanza resterebbe il foro per coordinare le questioni
strategico-militari sulle sfide alla sicurezza comune tra i due principali pilastri
dell’Occidente, USA e UE.302
Anche per Giampaolo di Paola, l’Unione Europea deve essere considerata sempre più
un attore rilevante nella pianificazione della difesa, sotto un ottica multipolare:
se da un lato la NATO rappresenta l’espressione politico-militare dell’alleanza transatlantica,
dall’altro l’Unione Europea è destinata a divenire attore sempre più importante e rilevante del
nuovo scenario di sicurezza multipolare. Vi è una sostanziale convergenza sulle rispettive
analisi dei rischi e dell’instabilità, anche se non vi è sempre convergenza, quando si passa alla
strategia per la soluzione dei problemi, a causa di una diversa interpretazione dell’uso legittimo
della forza.303
Un ulteriore motivo che spingerebbe ad un ruolo più politico della NATO è determinato
dall’emersione dell’Unione Europea come protagonista militare indipendente. Questo
comporta che le due istituzioni costituiscano un partenariato strategico che eviti rivalità
e competizioni e che consideri tutta la gamma di sfide nel campo della sicurezza. Da un
lato l’UE può usufruire delle capacità militari della NATO, grazie agli Accordi Berlin
Plus, dall’altro, la NATO può contare sulle capacità civili dell’Unione Europea. 304
Occorrerebbe, dunque, una ripoliticizzazione della NATO, affinché essa possa essere un
foro aperto al dialogo sulle questioni principali, per trovare il consenso fra i differenti
301
Ibidem.
Espen Barth Eide e Frédéric Bozo, La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più politico?, Rivista della
NATO, primavera 2005, www.nato.int/docu/review/2005/issue1/italian/debate_pr.html
303
Giampaolo Di Paola, La globalizzazione della sicurezza, l’Europa e la NATO, Affari Esteri, a.
XXXIII, n. 152 (2006), p. 737.
304
Michael Rühle, Una NATO più politica, cit.
302
77
punti di vista. Ma la questione del “dove” e “come” impegnarsi potrebbe generare
contrasti. Quindi, sarebbe necessario trovare un consenso più ampio attraverso una
NATO più politica e una cooperazione maggiore con le altre organizzazioni
internazionali. La sfida della NATO è, dunque, quella di rimanere un protagonista
chiave ed un foro fondamentale nei settori in cui ha mostrato di essere efficace. Per Eide
non c’è nessun nemico comune da sostituire alla minaccia sovietica. Piuttosto,
l’Alleanza rappresenterebbe un’espressione dell’importanza dell’Occidente nella
sicurezza internazionale.305
Per Bozo, che sostiene che non è necessario un ruolo più politico per la NATO,
l’Alleanza soffrirebbe di una grave anemia e si domanda se la politicizzazione sia il
giusto rimedio. Se si guarda al passato, afferma, questa si potrebbe considerare una via
percorribile:
nei momenti cruciali del passato, politicizzare la NATO ha fornito la risposta ad un prolungato
malessere o ad una crisi acuta. Oltre al Rapporto Harmel, si ricorda il Rapporto dei tre saggi in
seguito alla crisi di Suez del 1956. In entrambi i casi, si trattava di rendere la NATO più
“politica”, per sostenerne la legittimità in difficoltà e rafforzare la coesione interna. Più
recentemente, il riuscito rinnovamento della NATO negli anni ’90 si è basato sull’idea che, in
assenza della minaccia sovietica, l’Alleanza dovesse diventare più politica per compensare una
ragion d’essere militare in declino.306
Se si osserva la situazione più da vicino, sostiene l’autore, il futuro della NATO è stato
assicurato solo nel momento in cui gli alleati hanno dimostrato la vitalità dell’Alleanza
come strumento militare, in un contesto strategico che riguarda le operazioni nonarticolo 5, ovvero quelle “fuori area”. Senza questa dimostrazione, afferma Bozo, la
politicizzazione della NATO l’avrebbe trasformata in «un luogo per vacui discorsi». Il
problema centrale consisterebbe nel fatto che la NATO avrebbe perso la sua centralità,
soprattutto militare. Da una parte, gli Stati Uniti non considerano più la NATO come la
principale istituzione per condurre operazioni militari, anche sotto il loro comando,
come dimostrato dall’intervento in Kosovo e dalla campagna afghana del 2001.
Dall’altra parte, gli europei sono sempre più restii a impiegare forze in un contesto
dominato dagli Stati Uniti in cui questi ultimi non impiegano le proprie forze, come
avviene nell’ISAF. Ciò potrebbe spiegare l’interesse europeo a rafforzare l’UE come
prima scelta per le operazioni. 307
Ronald D. Asmus, direttore esecutivo del Centro Transatlantico del German Marshall
Fund degli Stati Uniti a Bruxelles, e autore di un libro sulla storia diplomatica
dell’allargamento della NATO, commentando la trasformazione dell’Organizzazione a
partire dalla Guerra Fredda, ha sostenuto che essa ha prodotto una NATO «più
impegnata che mai, ancora corteggiata in alcuni ambienti, ma che si sente anche
piuttosto emarginata». La tesi di Asmus considera la NATO impegnata al limite della
sopportazione. Soprattutto nelle operazioni “fuori area” si richiederebbero una serie di
impegni maggiori all’Alleanza, ad esempio sul processo di pace in Medio Oriente o un
impegno più ampio nella regione del Mar Nero. La NATO è fortemente richiesta da
molti Paesi balcanici, piuttosto che da Paesi come la Georgia, l’Ucraina, l’Azerbaigian.
Nonostante le sfide delle guerre etniche balcaniche, l’ancoraggio delle democrazie
dell’Europa Centrale ed Orientale e il nuovo rapporto con la Russia, i cambiamenti
affrontati si dimostrarono insufficienti, secondo Asmus, per il nuovo contesto strategico
del post-settembre 2001; la Germania di Schröeder o il Segretario alla Difesa USA
Rumsfeld, in qualche modo hanno declassato l’Alleanza a “cassetta degli attrezzi”. Già
alla fine degli anni Novanta, la maggior parte degli alleati europei, contrariamente alle
305
Espen Barth Eide e Frédéric Bozo, La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più politico?, cit.
Ibidem.
307
Ibidem.
306
78
spinte di Washington, avevano preferito ridurre il ruolo della NATO, limitandolo alla
gestione della sicurezza e alla periferia dell’Europa.308
Le vicende che hanno progressivamente portato al coinvolgimento della NATO in
Bosnia-Herzegovina segnarono il ruolo futuro dell’Alleanza. Una volta dispiegata
l’IFOR, la NATO è divenuta indispensabile nell’architettura della sicurezza europea,
cancellando le ipotesi di dismissione o di riduzione ad attore di secondo piano. Essa fu
indotta a considerare la sicurezza collettiva come nuovo compito principale, attorno al
quale attuare il processo di trasformazione. Insieme al concetto di sicurezza collettiva e
ad ideali di uguaglianza e unità, l’Organizzazione sentì la necessità di rimanere il
«nocciolo duro» nel controllo delle fragili periferie del continente. Ciò fu possibile
anche perché gli alleati atlanticisti (come Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia e
Portogallo) insistevano per questo ruolo, mentre, altri alleati, come la Francia, non
riuscirono a promuovere un progetto alternativo. 309
Quando il Ministro degli Esteri sovietico Shevarnadze parlò di perdita del nemico per la
NATO, molti europei non colsero il problema, afferma il Generale Caligaris, e videro il
taglio dei bilanci della difesa come nuovi fondi da investire per accrescere il profitto e il
benessere. Nel mentre, gli USA chiedevano di condividere maggiormente i costi e i
rischi dell’impegno comune, decidendo successivamente di muoversi per proprio conto
nella programmazione della propria difesa, senza considerare «ciò che voleva fare, o
meglio non fare, l’Europa».310
Dunque, affinché essa potesse rimanere l’alleanza centrale dell’Occidente, la NATO
«doveva ripensare e affrontare le questioni e le sfide strategiche fondamentali del
momento, senza badare da dove provenissero». La decisione degli Stati Uniti di non
impiegare da subito l’Alleanza, anche per compiti minori, in seguito all’invocazione
dell’articolo 5 del Patto di Washington, secondo Asmus, ha determinato un errore, in
seguito corretto dalla stessa Amministrazione Bush. Infatti, si sarebbe potuto «porre
l’Alleanza su una diversa traiettoria e consolidare un condiviso impegno ad affrontare le
sfide poste dal nuovo contesto di sicurezza».311
Per Stefano Silvestri, Presidente dell’Istituto Affari Internazionali, la NATO è stata
colpita da una grave crisi della solidarietà e della coesione politica. Dopo aver
funzionato bene nei Balcani, scrive Silvestri, aver assunto responsabilità collettive in
Afghanistan e aver svolto un ruolo fondamentale di stabilizzazione in Europa, essa «non
ha trovato una sua nuova ragion d’essere sufficientemente forte e convincente da
coagulare il consenso e l’impegno di tutti gli alleati, vecchi e nuovi». La struttura
militare, afferma, ha funzionato bene ma è diventata una sorta di “cassetta degli
attrezzi” da tenere pronta per trarne di volta in volta gli strumenti necessari. Il problema
riguarderebbe il fatto che il Consiglio Atlantico, come anima politica dell’Alleanza,
avrebbe un ruolo marginale a fronte delle decisioni importanti che vengono prese
altrove. La crisi sarebbe, dunque, motivo di malcontento su tutti i fronti, afferma
Silvestri. Gli europei si ritroverebbero di fronte al dilemma di cosa fare da soli e gli
americani sentirebbero di non disporre di una struttura affidabile e credibile. Le
proposte di risoluzione di questa si limiterebbero, secondo Silvestri, a «decisioni
parziali e impegni limitati».312
Bozo sostiene che si deve evitare che la NATO diventi un guscio vuoto, anche perché
gli europei e gli americani hanno bisogno militarmente gli uni degli altri. Pertanto,
308
Ronald D. Asmus, Trasformare politicamente (ancora una volta) la NATO, Rivista della NATO,
estate 2005, www.nato.int/docu/review/2005/issue2/italian/analysis_pr.html
309
Rynning Sten, NATO Renewed, cit., pp. 28-29.
310
Luigi Caligaris, La NATO, Ieri, Oggi, Domani, cit., p. 774.
311
Ronald D. Asmus, Trasformare politicamente (ancora una volta) la NATO, cit.
312
Stefano Silvestri, Alleanza in coma?, 23 novembre 2006,
www.affarinternazionali.it/stampa.asp?ID=374
79
afferma che occorre riconciliare la NATO con la realtà delle relazioni USA-UE. A
questo scopo, politicizzare la NATO non sarebbe la soluzione, a meno che non «si renda
l’Alleanza, ancora una volta, la sede principale per il coordinamento strategico tra
America ed Europa».313
Per non rimanere relegata al ruolo di “fornitore di truppe”, afferma Rühle, la NATO
deve avere voce in capitolo nei processi politici che mirano ad assicurare una pace
autosufficiente. Questo è avvenuto in Kosovo, con la creazione del Gruppo di contatto
Plus sul futuro del Kosovo, in cui la NATO esercita un’influenza politica, oltre al ruolo
tipicamente militare. Una maggiore attenzione all’aspetto politico è necessaria, dunque,
anche in riferimento alle operazioni militari condotte dalla NATO, perché nelle
operazioni a lungo termine vi è una stretta interazione tra protagonisti militari e civili e
fra la NATO e le altre istituzioni internazionali impegnate. Il discorso vale
maggiormente in riferimento al contesto di sicurezza più vasto, attraverso i partenariati
e i contatti con i Paesi del Caucaso e dell’Asia Centrale o del Medio Oriente, in cui una
cooperazione militare tecnica determina delle implicazioni politiche. Ad esempio, il
processo di pace in Medio Oriente è diventato un argomento di discussione nelle
riunioni dei Ministri degli Esteri della NATO. Questo nuovo interesse geopolitico
necessita l’acquisizione di una maggiore competenza regionale, attraverso lo sviluppo
delle professionalità necessarie all’interno dell’Organizzazione e il coinvolgimento di
esperti esterni. 314
I due studiosi, Eide e Bozo, concordano sul fatto che la NATO debba ancora
rappresentare la “pietra angolare” nel legame militare tra Europa e Stati Uniti. Per
ottenere questo risultato, tuttavia, le modalità sono discordanti. Eide punta sulla
ripoliticizzazione, mentre Bozo sulla coordinazione strategica tra le due sponde e sul
fatto che la NATO rappresenti uno strumento per mantenere il collegamento militare tra
l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Eide afferma di non credere che si possa conservare
un “perfetto” legame militare nel tempo senza che vi sia un forte sostegno politico. Il
fatto che vi sia stato un consenso politico generale, determinato dalla minaccia
sovietica, non significa che nella fase attuale si debba dare per scontata una coesione
politica fra Europa e Stati Uniti. Quindi, la NATO avrebbe bisogno di trovare una giusta
risposta alle sfide dell’oggi per essere in grado di sopravvivere. Essa dovrebbe
dimostrare di essere una “coalizione di volontà” e non solo di interesse, tanto più se
questo riguarda solo il leader, afferma Eide. I partners minori delle coalizioni in cui
manca una struttura politica adeguata, potrebbero manifestare il loro dissenso
ritirandosi. Mentre la NATO, attraverso la sua struttura politica, il Segretario Generale e
la struttura civile, potrebbe fornire una direzione politica e collegare il contributo
militare con uno sforzo politico che lo sostiene. 315
«Se si vuole porre fine al declino della NATO, che avrebbe gravissime ripercussioni per
gli europei», afferma Caligaris, occorrerà aprire il dibattito sulla «irrilevanza europea»,
evitando
che decisioni vitali per la sicurezza europea siano sempre più prese da Washington, informando
ex post gli europei, […] tenendo in vita un’alleanza poco più che virtuale nel contesto di un
monopolio americano nella sicurezza internazionale.316
Bozo, da parte sua, ha sostenuto che per ricreare le basi politiche dell’Alleanza si
dovrebbero risolvere due questioni. Innanzitutto, occorrerebbe trovare l’accordo sulle
condizioni d’uso della forza in situazioni diverse dal diritto di autodifesa. Infatti, la crisi
dell’Alleanza sull’azione in Iraq è stata determinata dal disaccordo sulla legittimità313
Espen Barth Eide e Frédéric Bozo, La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più politico?, cit.
Michael Rühle, Una NATO più politica, cit.
315
Espen Barth Eide e Frédéric Bozo, La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più politico?, cit.
316
Luigi Caligaris, La NATO, Ieri, Oggi, Domani, cit., p. 787.
314
80
legalità dell’intervento militare preventivo. La seconda questione, consisterebbe nel
cercare di creare una comune visione dei modi e dei mezzi per espandere la democrazia
e lo stato di diritto. Questo aspetto determinerebbe il ripristino di un senso di finalità
comune fra Europa e Stati Uniti, in seno all’Alleanza. Dato che non può essere ignorata
l’emersione dell’Unione Europea quale soggetto internazionale sempre più coeso, il
rinnovamento dell’Alleanza dovrebbe presupporre l’adattamento della struttura militare
della NATO, ma anche «la creazione di un collegamento strategico diretto tra le sue due
entità principali».317
Allo stesso modo, il rapporto di collaborazione con le Nazioni Unite, già attivo in
diversi settori per quanto concerne la cooperazione pratica, deve essere rafforzato sul
piano delle consultazioni politiche a livello strategico. Questo diventa sempre più
necessario man mano che la NATO assume il ruolo di un importante “esecutore” delle
Nazioni Unite. 318
7.3
LA MORTE DELLA NATO
Sten Rynning, Professore associato presso il Dipartimento di Scienze Politiche della
University of Southern Denmark, ha affermato che a partire dalla Guerra Fredda e,
soprattutto, dopo le divisioni interne provocate dalla guerra in Iraq del 2003, si è
«vaticinata» la fine della NATO. I sostenitori di questa tesi, tuttavia, non concordano
sulle cause della morte. La vicenda del Kosovo avrebbe rappresentato il banco di prova
per la NATO che si presentava come organizzazione di sicurezza collettiva per la
regione europea: «la NATO ha agito senza mandato dell’ONU e ha invocato i valori
universali per legittimare la propria azione». Ma la realtà avrebbe mostrato
l’impreparazione degli alleati a lottare per quei valori e ad adeguare le ambizioni alla
situazione reale:
il punto di partenza non è l’ambizione di agire in modo unitario, ma la necessità di plasmare una
Alleanza che sia si unita, ma che agisca in modo flessibile in coalizioni che vengono ad essere
determinate da interessi e da capacità.319
La tesi di una NATO “moribonda” costituisce una parte del dibattito più ampio delle
relazioni fra Stati Uniti ed Europa sul tema della sicurezza e della difesa. Mentre per
alcuni la NATO stava dando segnali di ripresa già dal Vertice di Praga, proprio mentre
ci si accingeva a decretare l’avvento della fase finale; per altri, l’America si sarebbe
sentita tradita dai suoi alleati europei, finendo per declassare il ruolo
dell’Organizzazione. Paul Cornish afferma che la trasformazione dell’agenda della
NATO, seppure essenziale, non sarà sufficiente ad assicurarle la sopravvivenza.
Occorrerebbe sia una riorganizzazione dell’Alleanza dal basso, che un rinvigorimento
dall’alto, attraverso l’azione dei Governi nelle relazioni sul tema della difesa e della
sicurezza. 320
Harlan Ullman, Senior Advisor al Center for Strategic and International Studies del
Consiglio Atlantico e giornalista per il Washington Times, afferma che, nonostante
molti sostengano che siamo in un periodo in cui le alleanze si stanno sgretolando, non è
ancora arrivato il momento finale per la NATO. In questi sessant’anni, afferma, la
NATO ha superato molti cambiamenti e non è mai stata tanto importante quanto oggi
nel promuovere stabilità e sicurezza. Tuttavia, sostiene, il suo futuro è ancora legato al
risultato in Afghanistan e molte questioni importanti permangono irrisolte dalla Guerra
317
Espen Barth Eide e Frédéric Bozo, La NATO dovrebbe svolgere un ruolo più politico?, cit.
Michael Rühle, Una NATO più politica, cit.
319
Sten Rynning, Una NATO rinnovata, cit.
320
Paul Cornish, NATO: the practice and politics of transformation, cit., pp. 72-73.
318
81
Fredda. Nonostante questo, credere che la NATO abbia terminato il suo tempo sarebbe
un grave errore. 321
La tesi di Sergio Romano è quella della morte della vecchia Alleanza. Lo
dimostrerebbe, afferma, la discussione sul ruolo della NATO in Afghanistan, laddove
una parte dei membri intende combattere i talebani e l’altra parte contribuire alla
ricostruzione politica del Paese. Questa divergenza di opinioni, però, non implicherebbe
affatto che si desidera la dissoluzione dell’Alleanza. Afferma Romano, una tale ipotesi
metterebbe in crisi il rapporto con gli USA. La crisi viene fatta risalire alla guerra del
Kosovo, dove gli Stati Uniti, sopportando il maggior peso del conflitto, «dovettero
sottoporsi alle regole di una direzione collegiale che progettava quotidianamente le
operazioni delle ore successive». Il vertice delle forze armate americane avrebbe
manifestato questo malessere e Bush «raccolse la protesta e ne fece un principio della
propria dottrina militare». I fatti del post-11 settembre 2001 lo dimostrerebbero,
attraverso, la formazione di una «coalizione su misura». Solo alla vigilia della seconda
guerra in Iraq, gli USA coinvolsero la NATO sulla scena internazionale con la richiesta
di garantire la sicurezza della Turchia. Romano spiega che gli Stati Uniti «desideravano
avere dalla NATO la licenza che l’ONU aveva loro rifiutato». Nella seconda fase del
conflitto afghano, quando i talebani erano tornati in campo, «la NATO ridivenne utile»
e si dovette «assumere responsabilità per cui, a quel momento, era moralmente e
materialmente impreparata».322
Il Segretario Generale Scheffer, in un discorso alla Brookings Institution del febbraio
scorso, ha analizzato la situazione dell’impegno della NATO in Afghanistan. Questo
impegno ha costituito, afferma Scheffer, una delle principali lezioni per
l’Organizzazione, sul tema della riforma della pianificazione delle forze e della loro
creazione. L’Afghanistan, ha detto, è diventato un vero catalizzatore per l’evoluzione
della NATO, molto più di ciò che aveva rappresentato l’impegno nei Balcani, negli anni
Novanta.323
Ullman concorda sul fatto che l’Afghanistan determinerà il futuro dell’Alleanza, ma
sostiene che soltanto gli Stati Uniti possiedono la capacità di spingere la NATO ad
affrontare importanti cambiamenti, essenziali per la stabilizzazione del Paese. Tuttavia,
il fallimento della missione non porterebbe alla morte dell’Alleanza ma certamente
minerebbe la sua sopravvivenza.324
Riferendosi alla morte politica dell’Organizzazione, Fabrizio W. Luciolli ha affermato
che la NATO costruita per tenere i “russi fuori e gli americani e i tedeschi dentro” è
sicuramente morta. Occorre liberarsi, afferma, da vecchie logiche di pensiero e
ragionare in termini nuovi. Luciolli porta l’esempio della “Lira” e dell’ “Euro”, laddove
l’Euro è una Valuta nuova che travalica i confini nazionali per essere negoziabile in un
mercato più ampio, globale e che presenta nuove sfide. Riportando l’esempio
all’Alleanza, ragionare in termini di Lire ora che c’è l’Euro, ovvero, “valutare”
l’evoluzione della NATO con una “moneta” ed uno schema superati dalla realtà,
sostiene Luciolli, costituisce un errore.325
Per Ullman è necessario che la NATO stringa ulteriori partnership e accordi con le
organizzazioni internazionali e con le ONG, e le sue forze dovrebbero caratterizzarsi
ulteriormente come forze di spedizione. Sarebbe fondamentale una nuova intesa
transatlantica che tenga conto del ruolo dell’Unione Europea. Ullman sostiene che
321
Harlan Ullman, NATO: Going, going…, The National Interest, Mar./Apr. 2007, p. 52.
Sergio Romano, La NATO, un’organizzazione in crisi di identità, cit., pp. 109-111.
323
Afghanistan and NATO: Forging the 21st Century Alliance, Speech by NATO Secretary general, Jaap
de Hoop Scheffer at Brookings Institution, Washington, D.C., 29 febbraio 2008,
www.nato.int/docu/speech/2008/index.html
324
Harlan Ullman, NATO: Going, going…, cit., p. 56.
325
Elisa Borghi, L’Italia atlantica, Intervista con Fabrizio W. Luciolli, L’opinione, Ministero della
Difesa, 10 marzo 2004, www.comitatoatlantico.it/FILE_ARTICOLI/64_Opinione_040310.pdf
322
82
sarebbe ora di eliminare la “N” dalla NATO, in modo che si arrivi all’Organizzazione
del Trattato Atlantico. Da ultimo, occorrerebbe riformare la struttura e l’organizzazione,
in particolare, sostenere il lavoro dei comitati a Bruxelles. Questo aspetto fa parte del
lavoro di riorganizzazione che sta portando avanti il nuovo Segretario Generale. Tali
passi avanti necessitano di una guida forte che, per Ullman può corrispondere soltanto
alla leadership americana. 326
7.4
L’INFLUENZA DELLA POLITICA ESTERA AMERICANA
Un’interpretazione restrittiva del Trattato di Washington non permetteva di assumere
impegni che fossero esterni all’area NATO, costituita dai confini dei Paesi membri.
Oggi, afferma Peter van Ham, non c’è più alcun dubbio sull’impegno della NATO nelle
missioni “fuori area” e pare che «nessuna sfida nel campo della sicurezza esorbiti dal
suo ambito di competenza». Sembra che dopo l’attivazione dell’articolo 5, la NATO sia
diventata il “Poliziotto occidentale del mondo” (Christopher Coker), ovvero,
un’organizzazione che contribuisce a rendere il mondo sicuro per la democrazia e la
globalizzazione. Ciò emergerebbe dai compiti che essa si assume, tra cui la
democratizzazione del più vasto Medio Oriente, o la pianificazione civile di emergenza.
Questo ampio impegno verso le diverse sfide del contesto strategico in continua
evoluzione, rappresenterebbe lo sforzo dell’Alleanza nel tentare di rimanere valida
rispetto alle priorità della politica estera americana. Tale collegamento avverrebbe
proprio negli USA, ad opera di certi politici e di “chi fa opinione”, i quali collegano
l’importanza strategica della NATO al suo contributo alla politica estera americana.
D’altra parte, gli alleati europei avrebbero compreso che al rifiuto ad un’operazione
“fuori area”, o di assumersi nuovi compiti, corrisponderebbe un rischio sulla rilevanza
dell’Organizzazione per gli USA e, dunque, sul loro impegno. Questo potrebbe
spiegare, afferma van Ham, l’attenzione al Medio Oriente. Diventa ancora più
importante nell’ottica degli alleati minori, che senza la NATO non sono in grado di
determinare un reale impatto sulla politica estera statunitense. Pertanto, «gli europei
hanno bisogno di una NATO che costituisca una piattaforma politica funzionale per
elaborare una strategia occidentale collettiva e coesa». Quindi, sulla base
dell’affermazione del Segretario alla Difesa statunitense Rumsfeld, sul fatto che saranno
le missioni a determinare le coalizioni, gli europei avrebbero compreso che essi sono in
un certo senso “obbligati” ad aderire alla richiesta di nuovi impegni, che eventualmente
avanzeranno gli Stati Uniti. Il problema, dunque, diverrebbe se la NATO è in grado di
soddisfare queste richieste attraverso i mezzi militari e la coesione politica necessari.327
Secondo Asmus gli Stati Uniti vogliono, o necessitano, di un’alleanza strategica per far
fronte alle minacce che possono colpire le due sponde dell’Atlantico. Inoltre, afferma
l’autore, la NATO avrebbe davanti due diverse agende sempre più collegate e che
devono essere poste al centro della seconda trasformazione della NATO (la prima era
quella degli anni Novanta). La prima agenda riguarda la promozione della democrazia e
della stabilità in Eurasia, ad esempio, ancorando all’Europa un’Ucraina democratica.
L’obiettivo finale sarebbe comunque promuovere la democrazia in Russia. La seconda
agenda riguarderebbe la necessità di proiettare stabilità nella regione del Mar Nero,
tenendo conto del più vasto Medio Oriente; «insieme, ciò costituirà la terza grande
ondata di espansione e di integrazione euro-atlantica». Queste agende migliorerebbero
la posizione della NATO come protagonista dell’area del più vasto Medio Oriente,
ovvero, per Asmus, la zona da cui proverranno in futuro le minacce maggiori alle nostre
società. Perciò sarebbe necessaria, innanzitutto, una ulteriore trasformazione politica
326
327
Ibidem.
Peter van Ham, Le difficoltà aumentano, cit.
83
della NATO che porti Stati Uniti ed Europa a convergere verso un nuovo scopo
strategico. Fino a quando non ci sarà unità di intenti, i membri non assumeranno
decisioni difficili, ad esempio, riguardo alla ristrutturazione delle loro forze armate o
alla creazione di nuove capacità. Inoltre, occorre considerare che i problemi affrontati
non sono sempre e soltanto di natura militare. Per tale motivo, la NATO costituirà
sempre, afferma Asmus, una parte della risposta ed uno strumento fra i tanti. 328
Il dialogo strategico all’interno della NATO non dovrebbe fermarsi allo scambio di
punti di vista e di dottrine nazionali nel tentativo di riuscire a coordinarli. Semmai, si
dovrebbe definire una visione atlantica dell’ordine mondiale che sia basata sui
partenariati tra la NATO e le altre democrazie o le maggiori potenze del sistema
internazionale.329
La trasformazione dovrà tener conto di un riequilibrio interno tra il Nord America ed
un’Europa sempre più integrata:
anche se alcuni americani non sono disposti ad ammetterlo, una ragione perché alcuni europei
oggi sono così riluttanti a rivolgersi alla NATO è perché sono convinti che le sue strutture siano
troppo favorevoli agli Stati Uniti e non riflettano sufficientemente la crescente importanza
330
dell’Unione Europea e dei progressi fatti nell’integrazione europea.
Le difficoltà che si riscontrano nel rapporto transatlantico sono spesso ricondotte alla
diversa capacità militare, con un forte gap europeo. In realtà, il problema principale
risalirebbe alle «rispettive culture strategiche e alla percezione delle minacce presenti e
future». Gli USA valutano gli altri attori internazionali sulla base delle capacità militari,
rapportandoli ad essi in quanto principale forza militare. L’Europa si richiama al soft
power, e preferisce condurre le proprie campagne attraverso un impegno di tipo
diplomatico ed economico.331
Renée de Nevers, Assistant Professor of Public Administration alla Maxwell School at
Syracuse University, ha scritto che l’impegno della NATO nelle diverse tipologie di
missioni sembrerebbe aver eliminato ogni dubbio circa il suo futuro. Sebbene l’azione
unilaterale americana, relativa alla prima risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001,
afferma de Nevers, abbia creato una crisi sul ruolo della NATO, il tempo avrebbe
dimostrato che la lotta al terrorismo ha bisogno di coalizioni e, attualmente, la maggior
parte delle missioni della NATO sono rivolte a combattere il terrorismo. Tuttavia, de
Nevers afferma che questa apparente dinamicità nasconde il fatto che il ruolo della
NATO nella lotta al terrorismo attualmente è di livello minore rispetto agli impegni
precedenti, determinando conseguenze a lungo termine sull’unità dell’Alleanza.
Secondo l’autore, la NATO rappresenta l’alleanza principale degli Stati Uniti, dato che i
suoi più stretti alleati ne fanno parte. Ma essa non sarebbe uno strumento della politica
estera americana. La guerra al terrore, afferma l’autore, è una creazione degli Stati
Uniti, tuttavia, la NATO è stata forzata ad adattarsi a questa situazione. Gli USA
considererebbero il terrorismo come la principale minaccia alla sicurezza internazionale,
aspettandosi che gli alleati abbiano la stessa percezione. L’autore sostiene che la NATO
sta giocando un ruolo fondamentalmente di supporto agli sforzi degli USA in questa
guerra, ma non di primo piano. Mentre conduce missioni di difesa nel Mediterraneo e di
combattimento in Afghanistan, molti degli elementi essenziali di questa guerra, come lo
scambio di informazioni, provengono dall’esterno dell’Organizzazione. Secondo
l’autore ci sarebbero tre ragioni che spiegherebbero questo ruolo limitato: mutamenti
negli allineamenti e nella percezione delle minacce causati dai cambiamenti sistemici,
capacità militari limitate della NATO, e la natura stessa della lotta al terrorismo. Ciò che
328
Ronald D. Asmus, Trasformare politicamente (ancora una volta) la NATO, cit.
Sten Rynning, Una NATO rinnovata, cit.
330
Ronald D. Asmus, Trasformare politicamente (ancora una volta) la NATO, cit.
331
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 90-92.
329
84
si domanda de Nevers è se gli Stati Uniti, che hanno bisogno degli alleati, hanno anche
bisogno dell’Alleanza. Essi danno valore alla NATO e si sono impegnati per una sua
espansione. Inoltre, la NATO oggi è più di un’alleanza militare, essendo spesso definita
un’alleanza politico-militare che combina funzioni politiche di guida della politica
estera e di sicurezza dei membri, attraverso un foro per le consultazioni, con funzioni
operative di formazione e sviluppo delle capacità di cooperazione militare. Dunque, de
Nevers osserva, nel caso in cui i membri non indirizzino più all’Alleanza i propri
problemi di sicurezza, l’importanza dell’alleanza militare risulta essere messa in
discussione. 332
Secondo de Nevers, furono gli attacchi terroristici in Arabia Saudita, nel 1996, e in
Kenya e Tanzania, nel 1998, a spingere gli Stati Uniti a far prendere in considerazione
alla NATO la minaccia terroristica. Essa sarebbe così entrata a far parte dell’agenda
della NATO, come emergerebbe dalla inclusione di questa minaccia già nel Concetto
Strategico del 1999, anche se non rappresentava ancora un impegno fondamentale. In
seguito agli attacchi alle Torri del 2001, furono prese otto iniziative, tra cui la
cooperazione nello scambio delle informazioni. Inoltre, al Vertice di Praga del 2002 fu
adottato il Concetto Militare per la Difesa contro il Terrorismo, diventando un elemento
della politica ufficiale della NATO. Questo documento poneva l’accento sulla
deterrenza, la difesa, e l’azione contro gli Stati sostenitori del terrorismo. Tuttavia,
afferma l’autore, le strategie statunitensi volte a combattere il terrorismo sono diverse
dalle strategie della NATO derivate dagli obiettivi stabiliti. L’autore fa riferimento al
National Strategy for Combatting Terrorism, degli Stati Uniti, pubblicato nel settembre
2006, e National Security Strategy (NSS) del marzo 2006. Da questi documenti si può
ricavare la strategia statunitense nella lotta al terrorismo. L’autore pone l’accento sul
fatto che gli Stati Uniti considerano che la lotta sia condotta al di fuori del loro territorio
e anche in maniera preventiva. Invece, le linee guida militari della NATO sarebbero
molto più di carattere difensivo o reattivo. La NATO punta sul ridurre la vulnerabilità e
al miglioramento della capacità di risposta rapida a potenziali attacchi. Dunque, gli
obiettivi sarebbero diversi. Sarebbe soprattutto il procedimento per l’ottenimento del
consenso nella NATO, fortemente istituzionalizzato, a non essere congeniale agli Stati
Uniti nelle azioni multilaterali contro il terrorismo. 333
In conclusione, de Nevers, sostiene che la NATO giochi un importante ruolo di
supporto nella guerra al terrorismo, nel senso che molti alleati sono impegnati negli
sforzi degli Stati Uniti contro il terrorismo, attraverso accordi bilaterali o coalizioni, ma
non attraverso la NATO. I contributi dei membri nella condivisione delle informazioni
sarebbero ampiamente bilaterali e non provenienti da capacità militari alleate ma da
altre agenzie. 334
Tuttavia, gli Stati Uniti non sarebbero interessati ad abbandonare la NATO. Nonostante
essi non utilizzino l’Organizzazione nelle loro azioni, essa rappresenta il luogo
principale per dialogare sui temi di politica estera e di sicurezza con gli alleati più
importanti e raggiungere posizioni comuni. Soltanto attraverso la NATO, gli Stati Uniti
hanno la possibilità di influenzare gli affari di sicurezza europei. Questo spiegherebbe
gli sforzi degli Stati Uniti volti ad espandere l’Alleanza e per l’allargamento delle
questioni di sicurezza da discutere al suo interno. Il compito della NATO sarebbe,
dunque, quello di generare punti di vista comuni riguardo al terrorismo e lo strumento
per convincere gli alleati europei che essi condividono gli stessi obiettivi e le stesse
minacce nella guerra al terrore. Questo sarebbe il motivo per cui gli Stati Uniti danno
ancora valore alla NATO. Un ulteriore ruolo è legato al fatto che sempre più spesso,
332
Renée de Nevers, NATO’s International Security Role in the Terrorist Era, International Security, vol.
31, n. 4 (2007), pp. 34-36.
333
Ivi, pp. 37-39.
334
Ivi, p. 63.
85
nella guerra al terrorismo, sono necessarie misure non militari. Dunque, la NATO può
giocare un importante ruolo diplomatico, ad esempio, si pensi al dialogo con la Russia.
Pertanto, ciò che maggiormente viene messo i discussione è il valore del ruolo militare
della NATO. Ciò spiegherebbe il forte interesse per il risultato dell’operazione in
Afghanistan, come indice delle possibilità dell’Alleanza nel rispondere alle minacce
regionali e globali. 335
7.5
LA “NATO GLOBALE”: FAVOREVOLI E CONTRARI
Ivo Daalder, Senior Fellow al Brookings Institution, e James Goldgeier, Professore di
Scienze Politiche alla George Washington University e Adjunct Senior Fellow al
Council on Foreing Relations, nel loro articolo intitolato Global NATO, affermano che
la NATO è già diventata globale e mira a proiettare la stabilità in diverse parti del
mondo. In questo processo, sta espandendo sia l’aspetto geografico che le sue funzioni.
L’espansione, sarebbe il risultato di una politica globale che ha preso il via a partire
dalla fine della Guerra Fredda. Questo corrisponderebbe al fatto che le minacce che
nascono in un certo luogo possono produrre i loro effetti sulla sicurezza, il benessere e
lo sviluppo di cittadini in qualsiasi parte del mondo. La NATO ha stabilito che il modo
migliore di combattere questo tipo di minacce è quello di agire laddove nascono. Per
fare questo è necessario disporre di uno strumento militare di portata globale. Tra le
organizzazioni multilaterali che si occupano di mantenere la stabilità globale, solamente
la NATO sarebbe in grado di rispondere alle necessità di un tale tipo di strumento
militare. Per gli autori, la NATO deve aprirsi sia verso ulteriori partenariati che alle
nuove democrazie che intendono accettare e contribuire alle responsabilità della NATO.
Soltanto una vera alleanza globale potrebbe occuparsi dei cambiamenti globali
attuali.336
Per Rynning la NATO dovrebbe, invece, resistere alla tentazione di espandere
oltremodo l’Alleanza. Uno dei suoi pilastri consisteva nella condivisione di un sistema
democratico, della storia, della cultura e delle scelte politiche che hanno plasmato la
comunità atlantica. La NATO verrebbe messa in discussione da organizzazioni più
coese, ad esempio, l’Unione Europea. Dunque, allargare eccessivamente la NATO
potrebbe far perdere la percezione di finalità comuni, diventando uno strumento da cui
prelevare coalizioni, al servizio della potenza egemone, gli Stati Uniti. Per Rynning, se
la NATO mantenesse il suo centro nella comunità atlantica riuscirebbe ad ancorare le
coalizioni ad una vera Alleanza. Il Professore, quindi, considera che vi è ancora posto
per alcuni Paesi balcanici, ma escluderebbe un’ammissione dell’Ucraina e della
Georgia, perché si determinerebbe un punto di svolta dal quale la vecchia comunità
atlantica non sarebbe più in grado di controllare la NATO.337
Molti hanno sostenuto, affermano Daalder e Goldgeier, che l’allargamento avrebbe
ridotto la capacità d’azione della NATO. Ma questo non è accaduto, spiegano, perché è
stato sviluppato un processo decisionale che permette di agire mediante consenso, pur
senza accordo, nei casi di particolare emergenza. Ocorrerebbe emendare il Trattato
all’articolo 10, dato che limita l’accesso all’Alleanza ai Paesi europei. L’elemento
discriminante, tuttavia, non dovrebbe essere la geografia ma la condivisone dei valori.
Una NATO allargata otterrebbe un maggiore consenso sul “quando” e sul “come”
agire.338
335
Ivi, pp. 65-66.
Ivo Daalder e James Goldgeier, Global NATO, Foreign Affairs, vol. 85, n. 5 (2006), pp. 105-106.
337
Sten Rynning, Una NATO rinnovata, cit.
338
Ivo Daalder e James Goldgeier, Global NATO, cit., p. 111.
336
86
Rispetto al tema dell’allargamento, il Segretario Generale ha sottolineato la necessità di
rendere chiari i requisiti per accedere al principio della “porta aperta”, soprattutto, ora
che molti Paesi chiedono di entrare nella NATO. Scheffer sostiene che attraverso un
nuovo Concetto Strategico si potranno fornire tali indicazioni. L’allargamento rimane
un parte essenziale della NATO, ha dichiarato, fintanto che l’Europa non sarà unificata
completamente, espandendo così lo spazio democratico europeo.339
Per l’Ambasciatore Moreno, il fatto che ancora diversi Paesi candidati premano per
l’ingresso nell’Alleanza e che i partner mostrino crescente interesse, significa che
«rispetto all’Alleanza Atlantica non esistono in definitiva plausibili alternative».
Tuttavia, afferma, la NATO sta mutando. È diventata un’organizzazione di sicurezza
collettiva e un «polo di aggregazione aperto al dialogo ed alla cooperazione […] e si è
trasformata in un soggetto dinamico capace di proiettare sicurezza anche in diversi
continenti».340
Anche l’Ammiraglio Giampaolo di Paola, in un suo articolo afferma che l’Alleanza
Atlantica resta, sul piano dell’esperienza a livello operativo, «il foro multinazionale più
efficace per l’innovazione concettuale e dottrinale e, di conseguenza, il motore
dell’evoluzione capacitiva», la quale deve essere caratterizzata dall’interoperabilità
attraverso un approccio multinazionale alla sicurezza. La NATO sarebbe l’espressione
politica dell’alleanza transatlantica, mentre l’Unione Europea sta diventando un attore
sempre più rilevante nello scenario di sicurezza internazionale.341
Una NATO allargata non minerebbe le Nazioni Unite o l’Unione Europea, secondo
Daalder e Goldgeier, perché essa è soprattutto un’alleanza militare, e anche in seguito al
più ampio allargamento possibile, non potrebbe mai diventare un’altra ONU. Semmai,
essa diventerebbe un aiuto maggiormente efficace e legittimo per le azioni dell’ONU
contro le minacce alla pace ed alla sicurezza internazionale. Ed in caso di paralisi, come
nel caso del Kosovo nel 1999, potrebbe agire in ogni caso. Pertanto, più essa comprende
le maggiori democrazie del mondo, maggiore è la sua legittimazione. Nel caso dell’UE,
non vi sarebbero le capacità militari per delle operazioni lontane dall’Europa e, inoltre,
gran parte del lavoro di ricostruzione post-conflitto e di polizia, che si vorrebbe
complementare, piuttosto sarebbe di competenza di una NATO globale. 342
Il fatto che l’Unione Europea diventerà sempre più un partner essenziale per la NATO,
lo ha dichiarato anche il Segretario Generale, il quale ha affermato che l’una ha bisogno
dell’altra per rafforzarsi, ma anche che l’impegno nel campo della sicurezza ha bisogno
di più protagonisti e di più istituzioni, oltre che di maggiore comunicazione e
coordinamento. 343
Joseph R. Núñez, del Strategic Studies Institute, U.S. Army War College, ha affermato
che la NATO non è sufficiente. La NATO sarebbe ormai “stanca” di servire per procura
le missioni dell’ONU o di altre organizzazioni regionali. In un futuro in cui ci saranno
presumibilmente sempre più “stati falliti”, i leaders della NATO, secondo l’autore,
dovrebbero chiedersi che cosa stanno preparando le altre organizzazioni per affrontare
le sfide future. Non dovrebbe essere sorprendente il fatto che interventi parziali, come
quello dell’UA in Darfur, falliscano. Oggi occorrerebbero organizzazioni di difesa e
sicurezza regionali permanenti e con più poteri. Secondo Núñez, gli USA e i suoi alleati
dovrebbero creare per lo meno altre sei organizzazioni di sicurezza e difesa regionale
sull’impronta della NATO, per le diverse aree: Nord America, Sud America, Africa,
339
Beyond the Bucharest Summit, Speech by NATO Secretary General, Jaap de Hoop Scheffer, at the
Brussels Forum, 15 marzo 2008, www.nato.int/docu/speech/2008/index.html
340
Maurizio Moreno, La NATO dopo il Vertice di Riga, cit., p. 115.
341
Giampaolo di Paola, La globalizzazione della sicurezza, cit., p. 737.
342
Ivo Daalder e James Goldgeier, Global NATO, cit., p. 113.
343
Julian Lindley-French, Un grande mondo, un grande avvenire, una grande NATO, Rivista della
NATO, inverno 2005, www.nato.int/docu/review/2005/issue4/italian/opinion.html
87
Regione dell’Asia-Pacifico, Asia meridionale e Medio Oriente. L’autore indica anche le
sedi dei rispettivi Quartier Generali: Colorado Springs, Brasilia, Johanesburg, Pechino,
Nuova Delhi e Amman. Le truppe dovrebbero formarsi in tutti gli Stati alleati. Ognuna
di queste organizzazioni dovrebbe avere al suo interno almeno una potenza importante
come membro. Questo muterebbe l’approccio di molti Stati alla sicurezza interna e alla
difesa. Inoltre, data la globalizzazione, come per le relazioni commerciali, anche nel
campo della sicurezza, occorrerebbe che i Paesi siano flessibili e cooperativi. Inoltre,
questo scenario potrebbe essere incentivato dal fatto che l’attuale sistema
internazionale, secondo l’autore, non funzionerebbe correttamente e perché, in questo
modo, un maggior numero di membri otterrebbero una certa importanza.344
Daalder e Goldgeier sostengono che far sì che la NATO diventi globale non riguarda il
fatto di salvarla dall’obsolescenza. Il problema è come la NATO possa affrontare la
richiesta di interessi che vanno oltre la comunità transatlantica e sono, invece, di una
comunità globale di democrazie che dipendono dalla stabilità globale, in quanto, le
minacce globali non possono essere affrontate da un’organizzazione regionale.345
7.6
IL RUOLO ATTUALE
Patrick Stephenson, Professore Associato presso la University of Maryland in Europe,
ha esposto la sua tesi sul significato attuale della NATO. Riferendosi alle manifestazioni
di disappunto che si hanno allorquando le forze di un Paese alleato della NATO
lasciano il territorio di una altro membro (ad esempio, Islanda vs Stati Uniti, maggio
2006), Stephenson afferma che oggi la NATO è come un “impero” che emana un
particolare potere di attrazione. Una sorta di potenza benevola che ha portato
all’allargamento della “scacchiera” della NATO tramite la PfP, piuttosto che il Dialogo
Mediterraneo, o la partecipazione alle missioni in Pakistan e in Sudan, la cooperazione
con Australia, Nuova Zelanda e Giappone in Afghanistan ed Iraq. I confini dei
partenariati della NATO lambiscono la Cina, dato che nell’EAPC vi sono anche la
Repubblica Kirghisa e il Tagikistan, oltre alle trattative per aprire un dialogo proprio
con la Cina. Secondo Stephenson:
sembra che ciò che era in origine un’alleanza politica e militare dei paesi del Nord Atlantico,
rivolta contro una specifica minaccia sovietica, si sia trasformata in una sfilacciata associazione
politico-militare vagamente occidentale, volta niente meno che verso la stessa onnipresente ed
amorfa minaccia di “instabilità”.346
Secondo Stephenson, le attività attuali della NATO rientrerebbero in tre categorie.
Innanzitutto, la gestione delle conseguenze «perduranti» del crollo dell’Unione
Sovietica, attraverso le operazioni di mantenimento della pace nell’Europa sud-orientale
e la valutazione dell’ingresso di ex-repubbliche sovietiche, come l’Ucraina e la Georgia,
o l’istituzione di partenariati con Paesi non interessati alla piena adesione, come il
Kazakistan. La seconda categoria riguarda le attività che rientrano nell’ambito della
guerra al terrorismo attraverso le operazioni della NATO, come Active Endevour e
ISAF. L’ultima categoria riguarda le attività della NATO che dimostrano un “impegno”
nelle regioni considerate importanti per gli interessi degli alleati, attraverso i
meccanismi come il Dialogo Mediterraneo e l’assistenza umanitaria. Queste attività
presentano un elemento comune: «poche di esse erano state previste nelle strategie di
coloro che prendono le decisioni alleate». Per Stephenson, l’Alleanza ha improvvisato
344
Joseph R. Núñez, One NATO Is Not Enough, The New York Times, 27 gennaio 2007,
www.nytimes.com/2007/01/27/opinion/27nunez.html
345
Ivo Daalder e James Goldgeier, Global NATO, cit., p. 113.
346
Patrick Stephenson, Un impero su richiesta, Rivista della NATO, autunno 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue3/italian/special2.html
88
di fronte a situazioni poco, o per nulla, esplorate a livello decisionale alleato. Tale
atteggiamento sarebbe ravvisabile anche in riferimento ai rapporti della NATO con i
Paesi che hanno espresso l’intenzione di diventare membri dell’Alleanza: Albania,
Croazia, Repubblica ex-jugoslava di Macedonia, Georgia ed Ucraina. In questi Paesi, le
élite filo-occidentali starebbero “percuotendo” la porta d’ingresso dell’Alleanza perché
questo li garantirebbe da eventuali mire russe e li avvicinerebbe alla modernità europea.
La divisione tra le élite occidentali è opposta all’unità delle élite del mondo in via di
sviluppo, che vuole accedere alla libertà, alle istituzioni e alle ricchezze tipiche della
vita occidentale e crede che stringere legami con la NATO possa facilitare l’ottenimento
di questi obiettivi. Esse avrebbero, dunque, «invitato la NATO ad estendere il suo
impero soft», caratterizzato, cioè, da requisiti leggeri: valide istituzioni politiche e di
difesa e valide scelte di difesa, senza che sia pretesa alcuna scelta di politica interna,
salvo un impegno nei confronti dei diritti umani e verso l’estradizione dei criminali di
guerra. 347
Il concetto richiamerebbe l’idea di «impero su invito» di Geir Lundestad, di cui si è
parlato nella Parte Prima, secondo il quale i Paesi europei, nel secondo dopoguerra,
hanno richiesto la presenza americana in Europa. Per Stephenson, “l’invito” del mondo
all’Alleanza consisterebbe in una richiesta di un maggiore attivismo della NATO, la
quale esiterebbe, nel momento in cui si tratta di rispondere ad una tale richiesta da parte
della Georgia, piuttosto che dall’Afghanistan o dall’Unione Africana. 348
L’Alleanza, affermano Dottori e Amorosi, espandendosi mira a proiettare stabilità
evitando di importare instabilità. Tuttavia esisterebbe un grosso paradosso costituito dal
fatto che pur proponendosi come agente di stabilità, l’Alleanza tenderebbe a rifiutare di
allargarsi alle zone più bisognose proprio di stabilità (Macedonia, Albania, Bosnia,
Croazia e Federazione Serbo-Montenegrina). Inoltre, i Paesi che guardano alla NATO
sarebbero più interessati al ruolo di difensore all’interno dei confini dei propri membri,
quale era originariamente il ruolo dell’Alleanza, che al nuovo ruolo di agente di
sicurezza. 349
Sembrerebbe, secondo Stephenson, che i confini dell’Alleanza non siano «sospinti
dall’interno verso l’esterno, bensì attirati dall’esterno». Dunque, conclude, «se si tratta
di un impero, allora non è un impero su invito, ma un impero su richiesta».350
Vi è un meccanismo di attrazione delle organizzazioni internazionali presenti, afferma
de’Robertis, che ne condiziona anche l’azione. Entrare in organizzazioni come la
NATO diventa un’aspirazione, non solo per ragioni di garanzia ma anche perché si
ottiene la possibilità di partecipare ad una politica concertata, attraverso la voce del
proprio rappresentante nel Consiglio Atlantico. Questo aspetto diventa ancora più
importante per i membri minori. L’antitesi associazione-esclusione rappresenterebbe un
soft power, laddove, nell’ambito dei comportamenti internazionali, il dissenso non
avrebbe più un valore politico ma verrebbe inteso come illegalità. La NATO, nel suo
nuovo Concetto, individua uno scenario internazionale, definibile soft new world order,
in cui è necessario uno strumento che permetta di reprimere un comportamento
«illegale», una volta che venga accertato un ampio consenso a riguardo. La NATO si
presenta come lo strumento. Bisogna tenere presente, afferma de’Robertis, che essa non
è un’organizzazione universale, e questo pone qualche problema riguardo al concetto
stesso di legalità, essendo strettamente legato a quello di universalità e ampiezza del
consenso. 351
347
Ibidem.
Ibidem.
349
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., p. 31.
350
Patrick Stephenson, Un impero su richiesta, cit.
351
Anton Giulio de’Robertis, La NATO nel nuovo scenario internazionale, cit., pp. 214-216.
348
89
Il Segretario Generale della NATO, Scheffer, ha affermato che la diffusione della
democrazia è un fenomeno inevitabile. Le popolazioni che escono dai regimi autoritari
chiedono libertà e la globalizzazione abbatte le barriere. Tuttavia, vi è anche un risvolto
negativo di questo ultimo fenomeno. Esso diventa un veicolo per i radicalismi, i
fanatismi religiosi e il terrorismo. Mentre da una parte si utilizzano i media per
diffondere la conoscenza, dall’altra essi vengono usati per far conoscere «idee
irrazionali». Anche il flusso finanziario e informatico può essere usato per traffici
criminali. Se si guarda alle immediate vicinanze dell’Europa, afferma Scheffer, non si
può stare tranquilli. Ad esempio, il Medio Oriente resta una regione in transizione, dove
a fianco a progressi nella democrazia o nell’educazione, persistono situazioni precarie
come in Iraq, Iran, e l’irrisolta questione arabo-israeliana. In Africa il percorso è ancora
molto accidentato.352
Secondo De Leonardis la NATO, non più alleanza difensiva, sarebbe diventata una:
organizzazione internazionale estesa, nelle sue diverse articolazioni, su tre continenti, America,
Europa e Asia (senza contare l’iniziativa mediterranea rivolta anche all’Africa settentrionale),
volta a regolare le relazioni interne politiche, sociali ed economiche non solo dei membri a
pieno titolo, ma anche dei partner o comunque dei paesi ai suoi confini e nel vagamente definito
“ambito euroatlantico”, a premiare chi aderisce alla democrazia e a punire chi viola le regole. Il
controllo sugli affari interni dei paesi candidati all’ingresso nella NATO risulta evidente dai
documenti approvati nell’aprile 1999, come il Piano d’azione per l’adesione (MAP). La NATO
vuole essere uno strumento non più solo strategico ma anche morale: naturale espressione di
quel miscuglio di moralità e politica di potenza di cui è intrisa la politica estera americana che
spesso appare agli europei ipocrita e cinica.353
Il momento di entusiasmo derivante dalla conclusione della fase “fredda” durò poco, in
quanto diversi elementi destabilizzanti diedero avvio ad una «nuova fase conflittuale di
natura globale». Il terrorismo è soltanto uno di questi elementi. Le sfide alla sicurezza
internazionale riguardano la proliferazione nucleare (Iran e Corea del Nord), nuove
tensioni nel conflitto israelo-palestinese, l’ascesa del radicalismo islamico. Sebbene
possano apparire questioni isolate, esse sono dinamiche che mettono in crisi gli equilibri
delicati raggiunti nel post-Guerra Fredda. Gli organismi internazionali faticano a far
rispettare le decisioni assunte dalla comunità mondiale. Sul piano della capacità di
persuasione, per Gerardo Cervone, un ruolo più efficace è giocato però dalla NATO,
non tanto perché essa dispone di un deterrente, quale è l’uso della forza militare, ma per
la sua flessibilità. La NATO costituirebbe un centro dove si possono concertare
soluzioni e negoziare posizioni, sia sul piano militare che sul piano politico. L’Alleanza
sarebbe sempre più in grado di reagire prontamente ed efficacemente, sia per questioni
che provengono dall’interno che per quelle che nascono all’esterno, ovvero, da terzi.354
Lindley-French ha scritto che il contesto di sicurezza è dominato dal concetto di
“quadro generale”:
Di questo quadro generale, sfide e minacce, come il terrorismo mondiale, l’Afghanistan e l’Iraq
costituiscono solo dei tasselli, seppur importanti. Infatti, le lezioni tratte dall’affrontare questi
problemi saranno vitali per il successo della futura missione strategica della NATO: la stabilità
strategica.355
L’insicurezza sarebbe determinata, per Lindley-French, dalla rapidità dei cambiamenti,
soprattutto i cambiamenti di potere che non sono né controllati né istituzionalizzati.
352
Jaap de Hoop Scheffer, Defense of security and shared values, NATO’S NATION and Partnership for
Peace, 1/2007, pp. 10-11.
353
Massimo De Leonardis, La NATO ieri e oggi, in Giovagnoli A. e Tosi L., a cura di, “Un ponte
sull’Atlantico”, cit., pp. 374-375.
354
Gerardo Cervone, Le sfide alla sicurezza internazionale e il ruolo della NATO, Rivista Marittima,
novembre 2006, pp. 25-26.
355
Julian Lindley-French, Un grande mondo, un grande avvenire, una grande NATO, cit.
90
Questo genererebbe tensione tra Stati, ma anche tra Stati e protagonisti non statuali.
L’Alleanza Atlantica dovrebbe essere al centro di questo dialogo sulla sicurezza,
tenendo conto che altrettanta importanza rivestirebbe l’Unione Europea. La situazione
in Afghanistan e in Iraq suggerirebbe che sia gli europei che gli americani necessitano
di una istituzione in grado di affrontare politiche di ampia portata. Per il momento,
scrive Lindley-French, l’unica istituzione in grado di colmare il divario tra instabilità e
capacità resta la NATO. Il processo di trasformazione della NATO, tuttavia, non
sarebbe stato in grado di tenere il ritmo del cambiamento dei fenomeni mondiali, tra cui
il boom economico dell’Asia e le insufficienti risorse disponibili per la sicurezza e la
difesa in Europa. La NATO ha la propria base nell’area euro-atlantica ma deve
preoccuparsi di proiettare stabilità al di là dei suoi confini. Dopo la Guerra Fredda, ha
svolto il ruolo di stabilizzatore politico regionale nel contesto di sicurezza europeo. Ora
dovrebbe svolgere questo ruolo nei confronti di un’area più ampia «se vuole affrontare
le esigenze del grande contesto di sicurezza», caratterizzato da interdipendenze globali e
reciproche vulnerabilità. 356
La tesi di Stephenson richiama l’attenzione sul fatto che, ora più che mai, vi è una forte
domanda dei servizi della NATO, «quale dispensatore senza pari di principi liberali e
democratici occidentali attraverso mezzi politici e militari». Mentre prima l’Alleanza si
occupava di difendere i territori e le istituzioni democratiche degli alleati, ora si
occuperebbe di difendere le istituzioni democratiche di possibili membri o partner:
quella che era prima una missione difensiva molto specifica si è trasformata in un progetto per
la tutela euro-atlantica (anche euro-asiatica) dei principi liberali; missione che, per propria
natura deve essere fondamentalmente offensiva. 357
Secondo Di Paola, l’Alleanza Atlantica dovrebbe dare maggiore peso alle opportunità
che verrebbero offerte dall’articolo 4 del Trattato. Essa dovrebbe puntare sul ruolo di
foro di dialogo politico, consultazione e formazione del consenso, per decisioni dal
carattere multilaterale ed espandere la cooperazione con altri attori nell’area asiatica e
transpacifica.
Questo non certamente in base al presupposto di guardare alla NATO come all’attore globale
del futuro, ma nella considerazione che l’Alleanza possa essere chiamata ad intervenire a
sostegno degli interessi collettivi di sicurezza dei Paesi membri, interagendo, se e come
necessario, in coalizioni più allargate. 358
Per Lindley-French occorre dare vita ad un nuovo patto transatlantico fondato sulla
NATO, «che diverrà la pietra angolare della stabilità mondiale. Il rapporto
transatlantico, afferma, è valido soprattutto per la sicurezza su vasta scala: «non vi può
essere nessuna sicurezza sistemica senza che vi sia la sicurezza dell’Asia e non vi sarà
nessuna sicurezza asiatica senza che l’Occidente vi abbia un forte ruolo». L’autore
afferma che ci dovrebbe essere una maggiore corrispondenza tra la pianificazione
strategica e le capacità. 359
Anche Ullman ritiene che occorrerebbe una visione condivisa e un accordo sugli
obiettivi per far fronte alle minacce, ai pericoli e all’incertezze che si incontreranno nel
futuro. Di conseguenza, questo necessiterebbe un rafforzamento delle capacità, delle
strutture di comando e una migliore definizione delle regole di ingaggio, al posto di
impegni non ben definiti. Le questioni principali da considerare riguardano l’irrisolta
questione del modo di sostenere un’alleanza militare nata per affrontare una minaccia
militare che non esiste più. La natura delle minacce è profondamente cambiata, afferma,
con una sorta di mescolanza tra il jihadismo estremista e il concetto di “terrorismo”, che
356
Ibidem.
Patrick Stephenson, Un impero su richiesta, cit.
358
Giampaolo Di Paola, La globalizzazione della sicurezza, l’Europa e la NATO, cit., pp. 736-737.
359
Julian Lindley-French, Un grande mondo, un grande avvenire, una grande NATO, cit.
357
91
individua il centro della minaccia nel mondo arabo-musulmano. Inoltre, sono altamente
prioritarie le questioni legate alla protezione delle risorse energetiche, le infrastrutture e
l’ambiente. Oltre a ciò i membri della NATO hanno messo in discussione la leadership
americana sull’Iraq e sul dopoguerra. 360
L’Asia è diventata una regione molto più importante rispetto al periodo della Guerra
Fredda; ad esempio, la Cina e l’India sono diventati importanti attori geo-economici.
Ancora, molte organizzazioni multilaterali o non governative competono con la NATO
nella risposta alle sfide dello scenario internazionale, in particolare l’Unione Europea.361
Occorre accelerare la trasformazione militare e politica dell’Alleanza, ha dichiarato il
Segretario Generale della NATO, sia attraverso uno sforzo maggiore in Afghanistan che
prendendo una ferma decisione su come difendere i popoli dell’area NATO contro altre
minacce emergenti, come i cyber-attacchi o gli attacchi alle infrastrutture energetiche.
Questi, per Scheffer, sono i casi in cui la NATO potrebbe portare un valore aggiunto.
Ma anche un uso migliore della NATO come foro per il dialogo politico transatlantico,
per la costruzione di ponti con altre istituzioni o Paesi, e per aiutare i Paesi che aspirano
a diventare membri della NATO a raggiungere le loro aspirazioni. Di tutti questi campi,
afferma Scheffer, ci si occuperà nell’incontro di Bucarest, e aggiunge, la leadership
degli Stati Uniti sarà vitale. 362
Al Vertice di Bucarest si parlerà dei maggiori problemi a cui occorre trovare una
risposta. Essi sono relativi al numero delle truppe schierate dai diversi alleati e le regole
del loro impiego. I maggiori contributori, in termini assoluti o percentuali, sono Stati
Uniti, Gran Bretagna, Germania, Italia, Olanda e Canada. Le regole d’ingaggio delle
truppe, i caveat, ad esempio nel caso di Francia, Germania, Italia e Spagna, proibiscono
l’impiego in operazioni di combattimento, oppure, vietano il pattugliamento notturno,
limitando la capacità militare complessiva della NATO e mettendo a rischio il principio
di solidarietà su cui si basa l’Alleanza. Altri problemi riguardano la tattica militare,
criticata dagli alleati europei, che vede gli Stati Uniti utilizzare massicciamente i
bombardamenti aerei, che provocano spesso vittime tra i civili e minano il sostegno
della popolazione afghana nei confronti delle forze alleate. Un ulteriore problema
consiste nei limitati progressi compiuti nella formazione delle forze di sicurezza
afghane e nella ricostruzione materiale ed istituzionale. Mancherebbe una guida politica
che sia in grado di coordinare lo sforzo militare con quello civile, oltre che l’azione dei
vari soggetti internazionali impegnati in Afghanistan.363
La NATO deve diventare maggiormente efficace, secondo il Segretario Generale, e
deve impiegare meglio le proprie risorse nelle priorità. Tuttavia, questo non potrà
accadere senza un impegno maggiore a favore del budget. Inoltre occorre un sistema di
pianificazione della difesa meglio rispondente alle necessità e far sì che gli alleati siano
motivati ad investire le loro capacità nell’Alleanza.364
Secondo de Nevers, le differenze fra le capacità militari degli Stati Uniti e dei suoi
alleati stanno aumentando. Inoltre, l’impegno americano nella NATO non sarebbe
troppo chiaro. Soprattutto nelle campagne che riguardano direttamente la sicurezza
degli Stati Uniti, essi sarebbero reticenti a coinvolgere la NATO, considerando, spesso,
che questo comprometterebbe la missione e la sicurezza stessa delle forze USA. 365
Per Scheffer l’Europa dovrebbe essere maggiormente cosciente dei propri valori e della
propria identità, e sicura nelle proprie capacità di guida nell’affrontare la sfida. Egli
360
Harlan Ullman, NATO: Going, going…, cit., p. 52.
Ivi, p. 53.
362
Afghanistan and NATO: Forging the 21st Century Alliance, cit.
363
Alessandro Marrone, La Nato verso il vertice di Bucarest, Dossier XV Legislatura, n. 88, marzo 2008,
www.senato.it/documenti/repository/lavori/affariinternazionali/approfondimenti/88%20per%20sito.pdf,
pp. 20-21.
364
Beyond the Bucharest Summit, cit.
365
Renée de Nevers, NATO’s International Security Role in the Terrorist Era, cit., p. 57.
361
92
dichiara di credere nei valori di libertà, rispetto dei diritti umani, democrazia e
tolleranza religiosa, e nello strumento per promuoverli e proteggerli, costituito dalla
comunità atlantica. Per il Segretario Generale, ora più che mai, l’Europa e l’America del
Nord si consultano, si coordinano e agiscono insieme. Lo fanno, da una parte, attraverso
il dialogo tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti sulle questioni internazionali più
importanti come, l’ambiente e il commercio. Dall’altra, quando si tratta di sicurezza,
l’Alleanza costituisce, per Scheffer, la scelta più ovvia. In questi casi, infatti, sarebbe
necessaria un’alleanza, anziché due partner che devono negoziare, nella cui struttura
ognuno è parte della pianificazione militare, della costruzione del consenso e
dell’operazione militare. Una struttura, afferma Scheffer, che dia agli Stati Uniti un
ruolo nella sicurezza in Europa, e agli europei accesso, e un certo grado di influenza,
nelle decisioni degli Stati Uniti. Questa struttura è la NATO. Essa ha come obiettivo
centrale il principio della difesa collettiva, ma sta divenendo sempre più, afferma
Scheffer, un’organizzazione che risponde alle minacce globali, formula iniziative
politiche e prende decisioni politico-militari coordinate. 366
7.7
LE IPOTESI SULLA NATO DEL FUTURO
Dottori e Amorosi hanno compiuto uno studio che propone tre ipotesi sul futuro della
NATO. Secondo il loro lavoro, l’Alleanza potrebbe assumere il ruolo di garante della
pace in Europa, divenendone la principale organizzazione di sicurezza, con una
connotazione politica maggiore, dotata di capacità militari, a differenza dell’OSCE;
potrebbe cioè diventare una «NATO regionale». In una tale ipotesi l’allargamento
diventa un elemento essenziale per l’espansione dell’area di stabilità politica
dall’Atlantico agli Urali. Il compito degli Stati Uniti diverrebbe quello di guardiano del
progresso democratico nei nuovi membri, capace di irrogare sanzioni agli inadempienti.
Questo scenario andrebbe incontro agli interessi della Russia, in quanto avrebbe modo
di partecipare e influenzare le decisioni prese nell’Organizzazione ed espandere l’area
di condizionamento di Mosca. La NATO però non risponderebbe più all’esigenza di
sicurezza dei Paesi baltici nei confronti della Russia. Diversa, invece, l’ipotesi per cui la
NATO dovrebbe rafforzare le componenti tecnico-operative, puntando sul ruolo di
«international force provider», nella considerazione che più di questo essa non possa
divenire. L’allargamento avrebbe un effetto marginale. L’Alleanza sarebbe una sorta di
centro di cooperazione militare tra gli alleati senza che sia necessario agire direttamente
come attore, ad esempio, come è avvenuto nei primi periodi della campagna in
Afghanistan. Secondo questa ipotesi si rafforza l’efficacia delle coalizioni a geometria
variabile rese possibili da prolungate esperienze di esercitazioni congiunte e dalla
standardizzazione militare all’interno della NATO. La flessibilità è l’elemento chiave.
Gli alleati possono prendere parte alle operazioni sia parzialmente che pienamente,
oppure anche non parteciparvi. Il rischio è che si venga a creare un disincentivo
all’investimento nelle capacità militari da parte dei partner e dei membri che
amplierebbe il divario di capacità già esistente. Gli europei dovrebbero occuparsi di
post-conflict, ovvero, pacificazione e ricostruzione. Gli Stati Uniti riproporrebbero la
regola delle no entangling alliances (non stringere alleanze vincolanti) risalente al 1801,
avendo «totale libertà di movimento, servendosi della NATO quale mezzo di
legittimazione politica, per poi concordare con i singoli membri, su base bilaterale o
multilaterale, il contributo militare che ciascuno di essi sarebbe in grado di offrire». Per
questa via, la capacità di influenza dipenderebbe dall’apporto militare nelle varie
operazioni. In maniera informale verrebbero modificati i meccanismi decisionali
366
Jaap de Hoop Scheffer, Defense of security and shared values, cit., pp. 12-13.
93
dell’Alleanza. Inoltre, gli americani potrebbero fornire la maggior parte delle forze per
ottenere la legittimazione a decidere per tutti, usando le capacità specializzate, «di
nicchia», dei nuovi membri a loro piacimento. Una prospettiva che presenta il rischio di
mettere in discussione la solidarietà politica dell’Alleanza. 367
Rynning è sostenitore della tesi di una NATO che ha il compito di fornire coalizioni.
Sottolineando il danno creato all’Alleanza dalla crisi sulla questione irachena, l’autore
afferma che essa avrebbe mostrato la «trascurabile importanza che il leader
dell’Alleanza, gli Stati Uniti, attribuiva ai propri alleati». Nonostante la politica di
creare delle coalizioni specifiche sia controversa, Rynning la giudica adatta alla
situazione reale in cui si trova la NATO. L’alternativa, afferma, consisterebbe nel
richiedere l’unità in tutte le missioni, riportando l’Organizzazione indietro agli anni ’90
e scontrandosi con interessi divergenti. La NATO, sostiene, deve essere generatrice di
coalizioni proprio a causa del contesto caratterizzato da minacce asimmetriche ed
imprevedibili a cui deve far fronte e che fanno emergere condizionamenti nazionali. 368
La chiave per far sì che l’Alleanza si occupi di nuovo di creare delle coalizioni risiede in un
sostenuto dialogo strategico che tocchi tutte le questioni attinenti, senza alcuna limitazione
artificiale. Un tale dialogo servirà a chiarire gli interessi strategici e a preparare il processo
decisionale. Aiuterà in particolare gli alleati a dialogare fra loro: gli alleati che sono pronti a dar
vita ad una coalizione che soddisfi i loro percepiti interessi saranno propensi a negoziare per
ottenere il sostegno della NATO in quanto tale, perché sanno che prima o poi ne avranno
bisogno. Gli altri alleati accetteranno di negoziare perché ciò fornirà loro opportunità di
modellare la coalizione pur restandone estranei. In breve, la NATO in quanto alleanza potrà
fungere da generatore di coalizioni, rendendo manifesti gli interessi strategici e fornendo una
cornice per trattare. 369
Tom Donnelly, nel 2003, rispondendo a chi affermava che l’Alleanza fosse solo un
“luogo di vane chiacchiere” scriveva che fino ad allora non vi era mai stato un bisogno
più grande di un foro di discussione tra le due sponde dell’Atlantico. Affermava che
bisogna cambiare il sistema di funzionamento dell’Alleanza, in quanto rappresenta un
sistema negativo, soprattutto, per quanto concerne il procedimento per l’ottenimento del
consenso in una coalizione che si sta espandendo. Il ruolo della NATO, anche per
Donnelly, dovrebbe essere quello di “fornitore di forze” al Comando americano e il
veicolo per la riforma della difesa in Europa. Inoltre la NATO dovrebbe riallinearsi,
scrive, orientandosi a Sud e ad Est per collegarsi maggiormente ai problemi di sicurezza
del Medio Oriente.
L’utilità della NATO in quanto alleanza in grado di combattere una guerra diminuirà
ulteriormente man mano che si amplierà. Le coalizioni più numerose si rivelano sempre più
lente allorché si tratta di prendere delle decisioni in tempo di guerra. Di conseguenza, anche se
la NATO si sforza di rimodellare i propri processi decisionali per divenire una coalizione più
agile, capace di affrontare le sfide alla sicurezza del nostro tempo, il suo immediato futuro in
campo militare sta nel suo ruolo di fornitrice di forze.370
La terza ipotesi del lavoro di Dottori e Amorosi è quella della «NATO globale».
Secondo questa ipotesi, le alleanze ad hoc non sarebbero sufficienti in un sistema quale
quello del post-11 settembre. La NATO diventerebbe il braccio armato della comunità
transatlantica, con la possibilità che l’ONU stessa deleghi all’Alleanza il compito di
gestire la minaccia costituita dal fenomeno del terrorismo internazionale e dalla
proliferazione delle armi di distruzione di massa. Naturalmente, non avrebbe più senso
la distinzione fra operazioni “dentro” e “fuori area”. In questa ipotesi, lo sguardo è
fortemente puntato al Near Abroad russo, al Centro-Asia, che permetterebbe di costruire
367
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 82-86.
Sten Rynning, Una NATO rinnovata, cit.
369
Ibidem.
370
Ton Donnelly, Ripensare la NATO, cit.
368
94
una comune strategia atlantica. L’allargamento diventerebbe un elemento secondario,
mentre primario sarebbe capire se la NATO debba partecipare o meno alla guerra al
terrorismo globale. Questa terza opzione trova su fronti contrapposti la Francia e la
Gran Bretagna. La prima non desidera una NATO che abbia il ruolo di «poliziotto
mondiale», la seconda vorrebbe, invece, una piena globalizzazione dell’Organizzazione,
con piena capacità d’agire in riferimento alla guerra al terrorismo. La Germania, da
parte sua, quando la NATO assunse il comando dell’ISAF nell’agosto del 2003, mostrò
la propria riluttanza a dover impiegare le proprie forze al di fuori dell’area europea. 371
Ivo Daalder e James Goldgeier osservano che se l’interesse dell’Alleanza non è più
esclusivamente la difesa territoriale ma condurre i Paesi che hanno valori e interessi
simili a contrastare i problemi globali, la NATO non avrebbe più bisogno di mantenere
il proprio carattere transatlantico. Altre democrazie sostengono gli stessi valori
dell’Alleanza e hanno molti interessi in comune, tra queste si citano Australia, Brasile,
Giappone, India, Nuova Zelanda, Sud Africa e Corea del Sud. Questi Paesi possono
contribuire agli sforzi della NATO attraverso forze militari o supporto logistico in
risposta alle minacce e alle necessità. Le operazioni della NATO nei Balcani e in
Afghanistan hanno usufruito di importanti contributi da parte di Paesi non membri della
NATO. L’Alleanza sta iniziando a sentire il bisogno di rafforzare e formalizzare i
rapporti con i Paesi al di fuori della comunità transatlantica e lo stesso Segretario
Generale ha suggerito che la NATO diventi sempre più un’alleanza con partners
globali. Questo significherebbe che la NATO riconosce la necessità di divenire sempre
più globale. Tuttavia, secondo gli autori, il partenariato non deve essere inteso come un
punto d’arrivo, essendo ben altra cosa rispetto alla membership, ovvero, al partecipare
alla pianificazione. Esso deve rappresentare uno stadio iniziale, così come è avvenuto
per quei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia che sono passati attraverso la Partnership for
Peace ed ora sono membri dell’Alleanza. Gli autori ritengono che allargare la
membership sia preferibile rispetto alla creazione di coalizioni ad hoc, soprattutto per
quanto concerne l’interoperabilità delle forze degli alleati. 372
Fra coloro i quali si sono impegnati nel delineare le prospettive future della NATO, un
interessante articolo di Stephan De Spiegeleire, Direttore del programma per la
trasformazione della difesa e Rem Korteweg, ricercatore presso il Clingendael Center
for Strategic Studies a L’Aia, propone una sintesi dello studio intitolato Future NATOs,
che ha costituito un elemento utilizzato dall’Agenzia per la consultazione, il comando e
controllo della NATO (NC3A) per aiutare il Comando alleato per la trasformazione
(ACT) ad ipotizzare futuri contesti di sicurezza ed una futura NATO. Le conclusioni del
lavoro sarebbero state utilizzate per la pianificazione a lungo termine dell’Alleanza. Lo
scopo del gruppo di lavoro era quello di delineare una mappa delle incertezze che
circondano la NATO e presentare delle ipotesi sulla NATO del futuro in relazione ai
diversi contesti analizzati. Come prima fase sono state individuate le caratteristiche
principali della NATO che potevano mutare nei successivi vent’anni. Tali caratteristiche
sono: legame transatlantico, leadership USA, area delle operazioni, processo
decisionale, potere verticistico, spettro delle missioni, capacità, natura politica
contrapposta a natura militare, Stati membri. La fase successiva ha individuato i
principali elementi che potevano determinare cambiamenti nelle caratteristiche
evidenziate. Essi sono: volontà USA ad assumere un ruolo di leadership nella NATO,
impatto dell’Unione Europea, percezione della minaccia. Gli elementi individuati sono
esclusivamente endogeni, pertanto, per il futuro dell’Alleanza risultano determinanti gli
sviluppi all’interno di essa, invece che ciò che accade nel contesto di sicurezza. Lo
studio ha poi evidenziato, non specifici scenari, ma l’area dello scenario, all’interno
della quale ha posto cinque “ipotesi tratteggiate” di NATO diverse che potrebbero
371
372
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 87-90.
Ivo Daalder e James Goldgeier, Global NATO, cit., pp. 109-110.
95
essere utilizzate per la pianificazione della difesa. Se si collega una forte leadership
USA nella NATO, con una valida percezione della sicurezza stabilita di comune
accordo ed un’Europa alquanto debole e frammentata, lo scenario ipotizzato è quello di
una NATO quale “valido complesso di strumenti”. Gli Stati europei considerano la
NATO come lo strumento preferito per rafforzare la stabilità globale ma non si è riusciti
ad incrementare le capacità di difesa, dunque, in caso di conflitto “hard”, la capacità di
operare al fianco degli USA è riservata a pochi alleati europei. Tuttavia, gli Stati Uniti
sono interessati alle nicchie di capacità degli europei e considerano la NATO come il
foro preferenziale per gestire questi rapporti. Una seconda ipotesi è quella di una NATO
a “partecipazione condivisa”, che prevede la combinazione di una forte partecipazione
USA nella NATO, di una coesa/forte Europa e di una comune percezione delle minacce.
In questa ipotesi l’Unione Europea ha affrontato un processo che ha ridotto il divario
delle capacità con gli Stati Uniti. La terza ipotesi prevede una combinazione tra tiepida
leadership USA nella NATO, una coesione europea media ed una percezione della
minaccia fortemente diversa. Questa ipotesi è quella di una NATO quale “complesso di
strumenti mal assortito”. Le priorità comuni tendono a divergere e gli europei si
impegnano verso un approccio non militare. Questo sminuisce il ruolo della NATO
nell’arena politica internazionale e anche l’Alleanza risente del dissenso politico. Quarta
ipotesi, una NATO che “ritorna all’ESDI”, vede una combinazione tra un’Europa
completamente coesa, un limitato impegno USA dedicato alla NATO ed una modesta
percezione comune della minaccia. Questa ipotesi prevede un’Alleanza guidata
principalmente dall’Unione Europea, grazie ad una accresciuta unità politica di
quest’ultima. Gli americani sono disinteressati ad utilizzare l’Alleanza anche perché il
divario fra le capacità è aumentato. La paura di rompere il legame transatlantico
mantiene in vita la NATO. Ultima ipotesi, una NATO “ritrovo di vecchi compagni”,
sarebbe determinata da una combinazione tra totale assenza dell’impegno USA dedicato
alla NATO, di un’Europa frammentaria o coesa e di comuni o differenti percezioni della
minaccia. Questa è la visione più pessimistica, dove la NATO non rappresenta più lo
strumento per creare le capacità militari e la standardizzazione. È assente la volontà di
un’azione collettiva e la NATO si riduce ad un foro di discussione politica, «un club di
gentiluomini degli inizi del XIX secolo».373
La NATO del futuro, afferma il Segretario Generale della NATO, dovrà essere
un’Alleanza che risponde prontamente alle minacce e che costituisca uno strumento per
costruire un ambiente strategico favorevole ai propri interessi e valori. Per fare questo è
necessario avere ben chiaro l’ambiente di sicurezza nel quale si dovrà operare e i limiti
che l’Alleanza può raggiungere. Questo ambiente, spiega Scheffer, è caratterizzato dalla
Globalizzazione, dai cambiamenti climatici, con conseguenze collegate al cibo e
all’acqua. Un altro aspetto riguarda la competizione per le risorse energetiche e naturali
che ridefinisce le relazioni fra sicurezza ed economia. Anche la tecnologia informatica
rappresenta un elemento che può creare insicurezza. Le armi di distruzione di massa
ampliano lo spettro del terrorismo. Ecco perché, afferma Scheffer, la difesa collettiva, il
cuore della NATO, rimane un elemento fondamentale.374
Molte di queste sfide non danno luogo ad una classica risposta militare, tuttavia, esse
richiedono l’impegno dell’Alleanza. La sicurezza dei membri non è divisibile e non si
può trovare un accordo comune su certe questioni lasciando che su altre alcuni alleati
debbano rispondere da soli. In queste questioni occorre valutare quale può essere il
contributo della NATO, considerate le attuali capacità, ed è ciò di cui ci si occuperà
nell’incontro di Bucarest. 375
373
Stephan De Spiegeleire e Rem Korteweg, Le possibili NATO del futuro, Rivista della NATO, estate
2006, www.nato.int/docu/review/2006/issue2/italian/military.html
374
Beyond the Bucharest Summit, cit.
375
Ibidem.
96
7.8
IL VERTICE DI BUCAREST
Il Segretario Generale, alla conferenza stampa che seguiva l’incontro dei Ministri degli
Esteri della NATO dello scorso marzo, ha elencato i due temi principali che saranno
trattati nell’incontro: l’allargamento e le operazioni della NATO, in particolar modo,
quelle in Afghanistan e Kosovo. Rispetto al primo tema, posto che non si trattava di un
meeting in cui si sarebbero dovute prendere delle decisioni, ha affermato che l’incontro
è stato utile per preparare il discorso che verrà meglio affrontato al summit di Bucarest.
Il Segretario ha dichiarato che spera di poter dire in quella occasione che la famiglia
della NATO sta continuando a crescere. È stata considerata anche la regione dei Balcani
in generale, pertanto, a Bucarest le discussioni verteranno, oltre che sul Piano di
adesione per i Paesi Balcanici che hanno già fatto progressi in questo senso, anche su
una visione più ampia dell’intera regione. Rispetto all’Ucraina ed alla Georgia, Scheffer
ha affermato che sono state riconosciute le aspirazioni di questi Paesi, ma che non vi è
stata ancora nessuna decisione in proposito. Il Segretario Generale, tuttavia, tiene a
sottolineare il principio della “porta aperta”.376
Alla medesima conferenza stampa, il Segretario di Stato USA, Condoleeza Rice, ha
giudicato l’incontro molto positivo. Tra le altre questioni, sul tema dell’allargamento
della NATO, dati i progressi di Albania, Croazia e Macedonia, la Rice, pur ritenendo
che essi debbano compiere uno scatto finale, riconosce i grandi progressi di questi
Paesi. Ad una domanda più precisa sull’eventuale partecipazione al Piano per la
membership della Georgia e dell’Ucraina, la Rice ha risposto in maniera generica: le
decisioni riguardanti i tre Paesi balcanici, così come quelle su Georgia e Ucraina e su
Montenegro e Bosnia Erzegovina, afferma, verranno prese a Bucarest. 377
La trasformazione della NATO rimarrà un punto centrale nel Vertice di Bucarest. La
NATO deve continuamente adattare le sue strutture e capacità al nuovo contesto di
sicurezza. Non tutte le minacce richiedono una risposta militare, tuttavia, la competenza
militare resta necessaria. Pertanto, sottolinea Scheffer, i membri devono continuare ad
impegnarsi negli investimenti necessari, per costruire delle forze più flessibili e
utilizzabili, con un appropriato equipaggiamento. La NATO deve, quindi, prepararsi ad
affrontare le sfide alla sicurezza emergenti. Il Segretario Generale afferma, dunque, che
è stato deciso di riconsiderare la difesa missilistica e di esaminare il sistema proposto
dagli Stati Uniti per quanto riguarda la Polonia e la Repubblica Ceca, affinché si possa
rendere complementare ai programmi della NATO.378
Il Segretario Generale Scheffer, al Brussel Forum, il 13 marzo scorso, ha sottolineato
che la NATO deve restare al centro degli sforzi degli alleati per rafforzare la
partnership transatlantica, proteggere la sicurezza e sostenere i propri valori. Scheffer
afferma di guardare già oltre il Vertice di Bucarest e sostiene la necessità di affrontare
cambiamenti immediati, senza perdere di vista le questioni fondamentali che riguardano
il futuro dell’Organizzazione. Riafferma la convinzione che si debbano iniziare, al più
presto, i lavori per un nuovo Concetto Strategico, perché, fra le molte ragioni, quello
attuale non tiene contro degli sviluppi del post-11 settembre, della vicenda
dell’Afghanistan e dell’aspetto oscuro della globalizzazione. Questo nuovo documento
sarebbe necessario anche per ragioni diplomatiche, perché farebbe chiarezza su
questioni come “dove siamo” e “dove stiamo andando”, oltre che spiegare il perché la
NATO rimane essenziale per la sicurezza. Un nuovo Concetto Strategico per il 2009
terrebbe conto della nuova amministrazione statunitense che emergerà dalle elezioni
376
Press Conference, by NATO Secretary General, Jaap de Hoop Scheffer, 6 marzo 2008,
www.nato.int/docu/speech/2008/s080306d.html
377
Press Conference, by the US Secretary of State, Condoleezza Rice, at the Foreign Ministers Meeting in
Brussels, 6 marzo 2008, www.nato.int/docu/speech/2008/index.html
378
Jaap de Hoop Scheffer, Bucharest: a milestone in NATO’s transformation, NATO Review, marzo
2008, www.nato.int/docu/review/2008/03/ART3/EN/index.htm
97
presidenziali, agevolando l’impegno degli Stati Uniti nella NATO. Ma soprattutto, esso
è necessario, afferma Scheffer, per rispondere alla domanda “Che tipo di NATO
vogliamo negli anni a venire?”. 379
Sull’argomento, Lindley-French sostiene che il Concetto Strategico dell’Alleanza,
nonostante abbia bisogno di un aggiornamento, contiene gli strumenti necessari per
affrontare la questione della sicurezza su vasta scala. Occorrerebbe, invece,
riposizionare la visione del Concetto, da eurocentrica ad un’ottica mondiale. Tuttavia, la
sua interpretazione, afferma, è un problema politico e non strategico-militare.380
Il Segretario Generale ha ribadito: «Per come stanno le cose adesso, spero e auspico che
i lavori per un nuovo Concetto Strategico inizino al prossimo Summit nel 2009, per il
Sessantesimo anniversario della NATO». Scheffer spera che in una situazione in cui,
oltre ad esserci una nuova amministrazione negli Stati Uniti, vi sia anche un nuovo
approccio della Francia alla NATO ed un processo di integrazione europea più
dinamico, si potrà produrre un documento breve, ma significativo, che segni i parametri
del nuovo Concetto Strategico, che il Segretario Generale vorrebbe chiamare “Carta
Atlantica”. 381
Claudio Bisogniero, Vice-Segretario Generale, ha affermato che l’incontro di Bucarest
servirà per riaffermare quanto le operazioni della NATO siano vitali per la sicurezza,
che la presenza militare in Kosovo continuerà nell’attuale fase critica, che verrà
riaffermata la determinazione a far sì che l’Afghanistan non costituisca più una
minaccia alla sicurezza globale. Tuttavia, al Vertice ci si occuperà di sottolineare la
necessità di un Comprehensive Approach che riguardi la comunità internazionale.
Inoltre, verrà dimostrato che il consolidamento della stabilità e della sicurezza in Europa
resta il compito principale della NATO. Il Vice-Segretario Generale afferma di
auspicare che verranno aperte le porte della NATO a nuovi membri dell’Europa
sudorientale e stretti ulteriori legami con altri Paesi dell’area euro-atlantica. A Bucarest,
afferma Bisogniero, occorrerà dimostrare anche che la partnership con le altre nazioni e
istituzioni è essenziale per il successo della NATO. Infatti, i partners euro-atlantici
della NATO sono stati invitati a partecipare al Vertice. Infine, si dovrà dimostrare che la
NATO è in grado di affrontare l’intera gamma delle nuove sfide.382
Il Segretario Generale ha dichiarato che occorre muoversi diversamente dagli
occasionali meetings. Occorre una cooperazione strutturata a livello strategico con
l’ONU e con l’UE. È necessario coordinarsi maggiormente a livello tattico anche con le
ONG. Ci sono molte distanze fra l’aspetto civile e quello militare nella gestione delle
crisi, dunque, bisogna evitare duplicazioni. Ecco perché un nuovo Concetto Strategico
potrà chiarire il ruolo della NATO in un contesto in cui essa non è più l’unico attore.
L’Alleanza, afferma Scheffer, lavora meglio quando collabora con altri soggetti.
Tuttavia, sottolinea che non intende riferirsi alla NATO come ad un “poliziotto
globale”. Dato che l’Organizzazione vuole essere in grado di agire in qualsiasi contesto
e parte del mondo, è necessaria una rete di partner globali, dunque, occorrono rapporti
più strutturati.383
Alessandro Marrone, assistente alla ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI),
autore di un dossier che analizza le prospettive del Vertice di Bucarest, ha affermato che
l’incontro affronterà temi importanti riguardanti le attività e la natura dell’Alleanza.
Emergerà, soprattutto, la missione in Afghanistan, che sta incontrando difficoltà
379
Beyond the Bucharest Summit, Speech by NATO Secretary General, Jaap de Hoop Scheffer, at the
Brussels Forum, 15 marzo 2008, cit.
380
Julian Lindley-French, Un grande mondo, un grande avvenire, una grande NATO, cit.
381
Beyond the Bucharest Summit, cit.
382
Speech, by NATO Deputy Secretary General, Ambassador Claudio Bisogniero, at the opening of the
NATO multimedia exhibition, National History Museum, Bucharest, 17 marzo 2007,
www.nato.int/docu/speech/2008/s080317a.html
383
Beyond the Bucharest Summit, cit.
98
crescenti e per la quale si impone un duplice problema: una più equilibrata ripartizione
dell’onere militare della missione e un maggiore coordinamento tra gli alleati. «Stati
Uniti, Gran Bretagna e gli altri stati impegnati in azioni di combattimento contro i
talebani stanno esercitando pressioni crescenti sui paesi dell’Europa continentale
affinché aumentino i contingenti schierati in Afghanistan e riducano le limitazioni al
loro impiego». Per quanto concerne le capacità militari, si discuterà sulla possibilità di
una riduzione del ruolo e delle funzioni della Forza di Reazione Rapida (NRF), a causa
delle crescenti difficoltà degli alleati europei che devono far fronte alle medesime
richieste nell’ambito UE. Il Presidente francese Sarkozy ha espresso l’intenzione di
riportare la Francia nel comando integrato NATO, tuttavia, come contropartita ha
chiesto agli Stati Uniti di accettare che l’UE sviluppi capacità di difesa autonome. In
merito al tema dell’allargamento si discuterà dell’opportunità di invitare Albania,
Croazia e Macedonia, Paesi candidati, ad entrare a pieno titolo nell’Alleanza. Un
consenso unanime è stato espresso solo per la Croazia. Manca l’accordo sulla proposta
americana di dare ad Ucraina e Georgia una prospettiva di adesione che per molti alleati
europei pregiudicherebbe le relazioni con la Russia, la quale è fermamente contraria ad
ulteriori espansioni della NATO verso Est. Conseguenze importanti sulle relazioni con
la Russia saranno determinate dalle discussioni sul sistema di difesa anti-missili balistici
statunitense, di cui verrà valutata la compatibilità e l’eventuale complementarietà con un
progetto parallelo della NATO. 384
I temi dell’agenda di Bucarest sono pertanto molti e impegnativi. Ma il vertice potrebbe
concludersi anche senza grandi decisioni. Americani ed europei guardano a quest’appuntamento
da prospettive diverse: il presidente Usa Bush preme con forza perché ne scaturiscano nuovi
impegni e iniziative che possano rilanciare l’alleanza, anche per concludere con un successo
internazionale il suo secondo mandato; molti governi europei preferirebbero invece rimandare
molte questioni in attesa di discuterne con il nuovo presidente americano che sarà eletto a
385
novembre.
Il Segretario Generale ha scritto che il Vertice di Bucarest rappresenta una parte di una
strategia di trasformazione portata avanti attraverso il Vertice di Riga del 2006 e che
terminerà con il Vertice che celebrerà i sessant’anni della NATO nel 2009. Il Vertice di
Bucarest, dunque, non sarà un evento a sé. Esso servirà ad implementare le decisioni di
Riga e a preparare la strada alle decisioni del sessantennale dell’Alleanza. In questo
modo si vuole accelerare la trasformazione dell’Organizzazione: rafforzare le capacità
operative, nuove relazioni con altre nazioni e istituzioni. L’Alleanza diventerà il
maggiore fornitore di sicurezza in un mondo sempre più globalizzato e pericoloso. Il
summit di Bucarest sarà numericamente il più grande che la NATO abbia mai
organizzato. I Capi di Stato e di Governo di 26 Paesi membri, partners da tutto il
mondo, e rappresentanze delle maggiori istituzioni internazionali, afferma Scheffer,
discuteranno di nuove vie per costruire sicurezza. Questo significherebbe che il ruolo
della NATO tenderà ad essere in futuro quello di punto centrale (hub) delle grandi
coalizioni, uno strumento politico-militare flessibile al servizio, non soltanto dei propri
membri, ma anche dell’intera comunità internazionale.386
384
Alessandro Marrone, La Nato verso il vertice di Bucarest, cit., p. 1.
Ivi, pp. 1-2.
386
Jaap de Hoop Scheffer, Bucharest: a milestone in NATO’s transformation, cit.
385
99
100
PARTE III
CASI DI STUDIO
Capitolo Ottavo
LA COOPERAZIONE ALLA DIFESA – IL RUOLO DELL’ITALIA
NELLA NATO
8.1
SIAMO UNA MEDIA POTENZA
Dottori e Amorosi hanno sostenuto che, in un’ottica geopolitica, l’Italia rappresenti una
media potenza. Tale situazione ha avuto come conseguenze il dover sottostare a
limitazioni oggettive delle proprie ambizioni, ad esempio, sul fatto di incidere sugli
equilibri europei o mondiali in maniera maggiormente significativa, oppure, poter
tutelare autonomamente e direttamente i propri interessi globali. Sotto questo aspetto,
l’Italia dipende dai propri alleati, in particolar modo, dagli Stati Uniti. Tuttavia, non si
devono negare gli interessi particolari e l’influenza che l’Italia esercita in particolari
contesti o aree, ad esempio, nei Balcani, in Albania, dove gli orientamenti del Governo
di Roma, scrivono gli autori, hanno un notevole peso specifico. Altre aree in cui
«l’Italia trova un certo ascolto», che si citano, sono la Libia e il Corno d’Africa.387
Allontanandosi dall’area Balcanica, l’Italia perde capacità di risposta alle minacce.
La capacità italiana di tutelare i propri interessi di sicurezza in modo più o meno autonomo
scema, infatti, al crescere della distanza dai confini nazionali. Tende, inoltre, ad essere
inversamente proporzionale alla gravità del pericolo ed al peso che vi giocano i fattori
388
meramente militari.
Per far fronte alle minacce provenienti dai Paesi in cui si stanno sviluppando armi di
distruzione di massa, veicolate con missili a portata sempre più vasta, l’Italia dovrebbe
utilizzare una forma di deterrenza militare mista, attraverso la combinazione di capacità
difensive ed offensive. Per il nostro Paese diverrebbe fondamentale l’acquisizione di
uno scudo antimissilistico, in quanto, attualmente, non dispone delle capacità, anche
finanziarie, di costruirlo da sé. Gli unici in grado di farlo sarebbero gli Stati Uniti; i
quali sono disposti ad estenderlo solamente ai propri “amici ed alleati”, con il concorso
delle imprese europee (importante l’apporto di alcune imprese aerospaziali italiane). Per
effettuare delle azioni offensive di carattere preventivo o di rappresaglia occorre una
sanzione politica, di cui, secondo Dottori e Amorosi, non vi è traccia di discussione nel
Parlamento italiano. Ecco perché il rapporto con gli Stati Uniti rimarrebbe fondamentale
e strategico per il nostro Paese. 389
Tuttavia, occorre sottolineare che il progetto americano di un sistema antimissilistico
europeo non copre tutti i Paesi europei. L’Italia è uno di questi. Lo ha affermato lo
stesso Segretario Generale, in una intervista al Financial Times, sottolineando, invece,
l’indivisibilità della difesa resti il principio guida all’interno della NATO. Il Segretario
387
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 111-112.
Ivi, p. 114.
389
Ivi, pp. 114-115.
388
101
Generale ha proposto un sistema missilistico europeo di “teatro” entro il 2010, che in
futuro potrebbe essere messo in correlazione con quello americano. Insieme all’Italia, la
Turchia e la Grecia avrebbero bisogno di un sistema aggiuntivo a corto raggio, a causa
della loro vicinanza all’Iran, Paese che potrebbe dare luogo ad un attacco.390
L’Italia può fronteggiare marginalmente certe minacce geopolitiche, ma può subirne
profondamente gli effetti. Dunque, diventa strategica un’alleanza che sia in grado di
proteggere gli interessi nazionali, tra cui la sicurezza economica. Questo interesse
corrisponderebbe con quello degli Stati Uniti, la cui economia è fortemente dipendente
dal processo di globalizzazione, dalla disponibilità certa di materie prime e da un
ragionevole prezzo del petrolio. La comunanza di fini non corrisponde, tuttavia, a quella
dei mezzi. Gli USA sono maggiormente inclini all’uso della forza rispetto agli europei,
oltre per una questione di un differente livello di potenza, anche a causa di una diversa
cultura politica. L’Italia rispecchia questo aspetto, soffrendo pesantemente delle scelte
americane che implicano l’uso della forza militare, anche per la presenza della Santa
Sede sul suo territorio e la corrispondente capacità di mobilitazione dell’opinione
pubblica, «la geopolitica vaticana non coincide perfettamente con quella dello Stato
italiano». Spesso, affermano gli autori, Roma si allinea con l’alleato più importante, gli
Stati Uniti, ma cerca di non irritare eccessivamente l’opinione pubblica cattolica,
sperando in una vittoria sollecita che permetta di ricucire eventuali strappi con la
Chiesa. 391
8.2
CHE NATO CI CONVIENE
Il “Rapporto 2020. Le scelte di politica estera” è un documento che sintetizza il lavoro
del Gruppo di Riflessione Strategica dell’Unità Analisi e Programmazione della
Segreteria Generale del MAE, dedicato alle tematiche di maggior rilievo legate agli
interessi italiani di medio e lungo periodo nel quadro internazionale. Nel Rapporto si
afferma che la politica estera italiana, a partire dalla seconda guerra mondiale e durante
l’epoca bipolare è stata fondata su tre assunti: primo, la ripresa economica post-bellica
sarebbe stata facilitata dall’integrazione europea; secondo, la sicurezza del Paese
sarebbe stata garantita dall’appartenenza all’Alleanza atlantica e al suo strumento
militare, la NATO; terzo, sia il “cerchio” europeo che quello atlantico dell’azione
esterna dell’Italia avrebbero tutelato la collocazione occidentale di un paese
internamente diviso, creando un solido vincolo esterno rispetto agli sviluppi politici
interni.392
Marco Clementi ha sostenuto che, fra i Paesi europei, l’Italia è uno di quelli in cui la
politica internazionale ha maggiormente influenzato la vita politica interna. In
particolare, si è riferito alla scelta dello schieramento nel campo internazionale,
atlantico o antiatlantico, che avrebbe contribuito a fare del nostro Paese una
“democrazia imperfetta”, ovvero, dove l’alternanza di governo sarebbe stata a lungo
impraticabile.
La NATO, così, è divenuta il luogo dell’intensificazione dello scontro fra le forze politiche
italiane: per alcune, essa è stata la mano armata e il vessillo dell’imperialismo; per altre, lo
strumento principe per proteggere la sicurezza e promuovere i valori del mondo libero. E se il
crollo del muro di Berlino ha sciolto gli schieramenti internazionali della guerra fredda,
togliendo l’Italia dalle sue pastoie internazionali, ciò non implica che gli interrogativi circa il
390
Nato: “Italia tra i Paesi non protetti dal sistema missilistico pensato dagli Usa”, La Repubblica, 12
marzo 2007, www.repubblica.it/2007/03/sezioni/esteri/nato/nato/nato.html#up
391
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 118-120.
392
Rapporto 2020. Le scelte di politica estera, Rapporto del Gruppo di Riflessione Strategica, MAE,
www.esteri.it/mae/doc/Rapporto2020_SceltePoliticaEstera_26032008.doc, p. 5.
102
rapporto fra il nostro paese e l’Alleanza siano venuti meno. Anzi, essi sono forse aumentati: per
un verso a causa del fatto che l’Italia non è mai stata così importante sul piano strategico per la
NATO; per l’altro, poiché il processo di integrazione europea, del quale l’Italia è grande
sostenitrice, impone un confronto continuo con la NATO circa i modi e i mezzi con i quali
perseguire la sicurezza dell’Europa.393
Enrico La Loggia, Presidente del Comitato Atlantico Italiano, intervenendo in un
Seminario Internazionale all’Università del Sacro Cuore a Milano, nell’ottobre 2006, ha
ricordato l’importanza dei valori condivisi che fondando le relazioni transatlantiche e
che insieme alle partnerships trovano nella NATO il foro per il loro sviluppo e la loro
salvaguardia. Ricorda, inoltre, la figura del Ministro degli Esteri Gaetano Martino, che
fece parte del Comitato dei Tre Saggi incaricato dalla NATO di indicare le vie per
rafforzare l’unità della Comunità atlantica. Ricorda, poi, l’azione di Manlio Brosio,
l’unico italiano che abbia ricoperto la carica di Segretario Generale della NATO (19641971), successivamente divenuto Presidente del Comitato Atlantico Italiano.394
In un articolo commemorativo del venticinquesimo della morte del quarto Segretario
Generale della NATO, Manlio Brosio viene ricordato come un leader e un
rappresentante di tutti gli alleati, grandi e piccoli: «Brosio evitava lo scontro frontale
all’interno dell’Alleanza, preferendo invece essere un efficace amministratore ed
adoperandosi per promuovere il consenso attraverso una paziente diplomazia e negoziati
riservati». Il suo fu un periodo difficile, in cui l’Alleanza mutò la propri dottrina, da
“risposta massiccia” a “risposta flessibile”, e la propria sede, da Parigi a Bruxelles. Il
suo fu anche il periodo della richiesta di maggiori consultazioni all’interno della NATO
e del successivo Rapporto Harmel, che poneva due missioni di pari importanza per
l’Alleanza: la difesa e la distensione. Brosio fu inizialmente titubante su questa seconda
missione. È ricordato anche per essere stato il paladino delle spese per la difesa, per la
conoscenza del protocollo diplomatico fra gli alleati e per l’abilità nel redigere
memorandum di decisioni «traendo così vantaggio dalle sfumature semantiche e
politiche in cui si sarebbe potuto trovare il consenso dell’Alleanza». Fu sostenitore dei
c.d. “pranzi del martedì”, dove gli ambasciatori della NATO potevano incontrarsi in
modo informale per sviluppare obiettivi politici comuni. La capacità di influenzare le
decisioni della NATO da parte del Segretario Generale è notoriamente ridotta, tuttavia
attraverso le sue doti, soprattutto il tatto e la paziente diplomazia, rappresenta un buon
esempio, scrive Hendrickson, delle caratteristiche che tutti i Segretari Generali devono
esercitare per aiutare l’Alleanza nei periodi di cambiamento e nelle divergenze tra
alleati.395
La Loggia ha affermato che il Rapporto Harmel indica, riprendendo le considerazioni
già svolte dai Tre Saggi, il fondamento delle attuali operazioni di mantenimento della
pace c.d. “fuori area”: “l’area del Trattato del Nord Atlantico non può essere considerata
in isolamento dal resto del mondo. Crisi e conflitti che nascono fuori dall’area possono
mettere a repentaglio la sua sicurezza sia in via diretta sia intaccando l’equilibrio
globale”. 396
L’11 settembre 2001 ha manifestato l’esistenza di un nuovo nemico anche per l’Italia,
tuttavia, presente già in precedenza anche sul nostro territorio. Dunque, tale nemico può
colpire l’Italia dall’interno o anche attraverso azioni destabilizzanti che ne ridurrebbero
le prospettive di sviluppo. Questo aspetto è molto importante per un Paese come il
393
Clementi Marco, La Nato, cit., p. 8.
Il ruolo dell’Italia nella partnership transatlantica, Intervento dell’On. Prof. Enrico La Loggia,
Presidente del Comitato Atlantico Italiano, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 19 ottobre
2006www.comitatoatlantico.it/articolo/177/il_ruolo_dell_italia_nella_partnership_transatlantica
395
Ryan C. Hendrickson, Manlio Brosio: creatore di consenso durante la Guerra Fredda, Rivista della
NATO, primavera 2005, www.nato.int/docu/review/2005/issue1/italian/history_pr.html
396
Il ruolo dell’Italia nella partnership transatlantica, cit.
394
103
nostro, di media potenza geopolitica ma potenza economica di prima grandezza, molto
integrato nell’economia internazionale, dimostrando che il problema della sicurezza va
ben oltre l’aspetto militare. 397
Dopo essere stata utile a Roma anche per non subire i condizionamenti troppo pesanti di
un rapporto esclusivamente bilaterale con gli Stati Uniti ed aver permesso «gli esercizi
geopolitici italiani in Medio Oriente – incluso l’episodio di Sigonella – e nello stesso
Est Europeo», le prime fasi della guerra al terrorismo internazionale hanno mostrato un
attenuamento del vincolo atlantico, con una ripresa del bilateralismo fra i singoli Paesi
europei e gli Stati Uniti. Gli USA non avrebbero più necessità di una NATO regionale.
L’Italia, dunque, si mostra fedele all’Alleanza ma negozia accordi bilaterali a sostegno
degli USA. 398
Se si considera che un accordo bilaterale con gli USA è maggiormente in grado di
comprimere le libertà politico-strategiche nazionali, l’Italia dovrebbe puntare sulla
NATO, essendo membro del Consiglio Atlantico e non del Consiglio di Sicurezza
dell’ONU. Una “NATO globale”, ovvero con competenze estese e capace di operare
anche in scacchieri lontani da quello originariamente previsto nel Patto Atlantico, a
parte le considerazioni sulla sua opportunità, potrebbe mitigare le inclinazioni
unilateralistiche statunitensi e dare un ruolo all’Italia sulla scena internazionale. Ci si
potrebbe perfezionare nello sviluppo di capacità di nicchia o negli interventi postconflitto. Inoltre, aggiungono gli autori, si dovrebbe sfruttare meglio la concessione del
consenso, di cui gli USA hanno bisogno per legittimare i propri interventi. Ma la
visione di una “NATO globale” non è condivisa da tutti in Europa, soprattutto da
Francia e Germania. Anche in America, alcuni considerano un’Alleanza dalle
competenze planetarie come un vincolo alla libertà d’iniziativa degli Stati Uniti. La
“NATO regionale” corrisponderebbe all’ombrello atlantico senza il quale si
produrrebbe un forte rischio per la stabilità europea. Essa rappresenta l’organizzazione
di sicurezza collettiva che tende a riunificare interamente l’Europa, capace di azioni di
peace-enforcement (ad esempio, l’azione per liberare il Kosovo), che ha bisogno,
tuttavia, di dimostrare all’alleato americano di essere un investimento produttivo ed
efficiente, e che gli americani non sono gli unici a sostenere il prezzo della sicurezza
europea. Questo obiettivo è minacciato dal fatto che le sfide giungono da aree sempre
più lontane. Gli europei devono cercare di ridurre l’impegno americano, mantenendone
una presenza minima. L’Italia si è impegnata sotto questo aspetto già a partire dal
settembre 2001, offrendo agli USA un maggiore impegno italiano nei Balcani in modo
che i soldati americani potessero essere impiegati altrove. Inoltre, per mantenere
l’interesse e l’impegno americano nella NATO occorre non creare eccessivi problemi
quando essi richiedono di utilizzare alcune capacità (ad esempio, diritti di sorvolo o uso
delle basi in Europa concesse o assegnate alla NATO), per operazioni nazionali
americane non contrarie agli interessi italiani e europei. Spesso l’Italia le ha negate in
passato (ad esempio, nella Guerra del Kippur). Una NATO che serva da “international
force provider”, potrebbe rappresentare l’evoluzione di un’Alleanza vitale e credibile
militarmente, riaffermando la funzionalità agli interessi americani attuali. Non un mero
foro di concertazione politica ma un’Alleanza dotata di reali capacità operative che
diventi un serbatoio di forze da cui costruire coalitions of the willing. È necessaria una
solidarietà politica di fondo tra i membri, che è l’argomento spesso messo in
discussione, specie a partire dalla crisi irachena del 2003. Uno sviluppo di questo tipo
rientrerebbe fortemente negli interessi nazionali italiani. Intanto, garantirebbe un futuro
a medio termine per la NATO, inoltre, le coalizioni sarebbero costruite sulla base di
obiettivi condivisibili. L’Italia manterrebbe la possibilità di far parte delle operazioni e
degli standard delle forze più evolute del pianeta. Questo comporterebbe, naturalmente,
397
398
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 116-117.
Ivi, pp. 125-126.
104
un impegno maggiore per quanto riguarda gli oneri relativi all’adeguamento degli
impegni presi a partire dal Vertice di Praga. Dunque, occorre considerare anche
l’aspetto della crisi della finanza pubblica italiana.399
La Nato, in questo contesto, si riqualificherebbe essenzialmente come un grande ente operativo
ed addestrativo permanente, il cui compito principale sarebbe quello di preparare le forze armate
dei Paesi europei ad agire secondo le procedure e le dottrine di impiego americane, a profitto dei
400
grandi comandi statunitensi basati fuori d’europa.
Secondo Dottori e Amorosi, alla domanda “Quale NATO conviene all’Italia”? si può
rispondere:
come Italia, avremmo bisogno della “Nato globale”, per contare di più nel mondo. Ed allo
stesso tempo ci servirebbe anche quella “regionale”, allo scopo di evitare l’implosione dei
progetti geopolitici concepiti mezzo secolo fa per pacificare e sviluppare economicamente
l’Europa. Non possiamo avere la prima, perché vi resistono francesi e tedeschi. E per non
perdere la seconda, sembra indispensabile agevolare il consolidamento della Nato come
401
“international force provider”.
8.3
QUALE RUOLO PER L’ITALIA
A partire dagli anni Novanta, si legge nel Rapporto del Gruppo di Riflessione
Strategica, si nota una crescita nella fiducia nelle istituzioni militari da parte
dell’opinione pubblica italiana. Sembra così essere confermato il dato che gli italiani
siano saldamente internazionalisti nei loro orientamenti di politica estera. Sebbene dal
1994 al 2002 si è registrata una crescita fra coloro che sono più attenti alla sicurezza
interna rispetto alla sicurezza collettiva. Tuttavia, la scelta di rimanere membro della
NATO rimane una delle soluzioni per la sicurezza preferite. Secondo il 32% degli
intervistati, in special modo tra i più istruiti e quanti si collocano a sinistra o centrosinistra, l’Italia dovrebbe rimanere nella NATO istituendo all’interno una forza
difensiva dell’Europa Occidentale a comando europeo. Dunque, per gli italiani
interrogati dal sondaggio riportato nel Rapporto, fare parte della NATO resta un punto
fermo della sicurezza nazionale. 402
Sul tema della sicurezza, affermano Dottori e Amorosi, non esistono alternative
all’alleato americano, essendo l’Unione Europea ancora troppo debole sotto questo
aspetto. Tuttavia, molti non concordano sul fatto che questo rapporto debba essere
incorporato all’interno dell’Alleanza Atlantica, «in fondo, per l’Italia la Nato è stata
essenzialmente il contenitore della tutela americana». Le forze e le basi alleate in Italia
sono sempre state essenzialmente americane, pertanto è spesso difficile per l’opinione
pubblica, percepire la differenza di status tra i siti concessi agli americani (ad esempio,
Aviano e Camp Darby) e quelli appartenenti effettivamente alla NATO (come,
AFSOUTH a Napoli o la V ATAF a Vicenza). 403
A dispetto di queste percezioni sul suo carattere di copertura di un rapporto essenzialmente
bilaterale, l’appartenenza alla Nato ha tuttavia svolto un ruolo importante nel diluire ed
404
addolcire gli squilibri di potenza esistenti tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Il Presidente del Comitato Atlantico Italiano ricorda il ruolo determinante che l’Italia ha
avuto nel compattare gli alleati europei nella crisi degli euromissili, contrapposti al
399
Ivi, pp. 126-130.
Ivi, p. 130.
401
Ibidem.
402
Rapporto 2020. Le scelte di politica estera, cit., p. 92.
403
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 121-124.
404
Ivi, p. 124.
400
105
dispiegamento degli SS 20 sovietici, il 12 dicembre 1979. Inoltre, rispetto alla questione
dei Balcani, La Loggia sottolinea come tale regione non sia vicina all’Italia soltanto
geograficamente, dato che l’Italia vi ha svolto importanti programmi di cooperazione di
carattere politico, economico e militare, con lo scopo di integrare i Paesi dell’area nelle
strutture euro-atlantiche. La Loggia pone l’attenzione sull’importanza del Vertice di
Pratica di Mare del 2002, dal quale è sorto il Consiglio NATO-Russia, e sui costanti
richiami da parte dell’Italia riguardo alla sicurezza del Mediterraneo, oggi c.d.
“allargato”, proponendo programmi di reciproca condivisione fra le due sponde, basati
sulla cooperazione politica, economica, militare, culturale, oltre che in materia di
sicurezza. Inoltre, si ricordano gli impegni italiani in Iraq, Libano, Kosovo e
Afghanistan. 405
Il Senatore Emilio Colombo, Presidente Onorario del Comitato Atlantico Italiano,
intervenendo ad una riunione che celebrava i dieci anni del partenariato euro-atlantico,
sottolineando il ruolo dell’Italia nella NATO, ha affermato:
Si tratta di un ruolo che è stato costruito con la partecipazione attiva all'
operazione Alba, alle
missioni in Bosnia, Kosovo e Macedonia ed attraverso l'
elezione di un italiano a Presidente del
Comitato Militare. Un ruolo costruito, altresì, attraverso una politica che è stata in grado di
offrire un contributo in sintonia con la nuova dimensione dell'
Alleanza e le nuove esigenze
406
internazionali.
Al Vertice di Washington del 1999, l’allora Presidente del Consiglio Massimo
D’Alema, nella sua dichiarazione, sottolineando come in quel momento si stesse
celebrando la condivisione di valori come la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti
umani e della supremazia della legge, ha affermato che tali valori sono quelli che ci
uniscono e che devono essere alla base di un nuovo ordine mondiale. La NATO,
afferma, è diventata una forza collettiva per la pace, la stabilità e la sicurezza, in grado
di cooperare con altre istituzioni internazionali e di cooperare con la Russia, con
l’Ucraina e con i Paesi che vogliono cooperare per la pace. Sul tema dell’Unione
Europea D’Alema afferma che essa sta assumendosi le proprie responsabilità di fronte
all’Alleanza. Più la NATO sarà inserita in una condivisa ed equilibrata partnership
transatlantica, più unita e forte sarà l’Europa, al fianco dell’America, indispensabile
potenza per la sicurezza europea e la pace nel mondo. D’Alema, riferendosi alla crisi del
Kosovo affermava che non ci si potrà rasserenare fino a quando i cittadini del Kosovo
non ritorneranno alla serenità e alla pace, e per questo obiettivo l’Italia farà la sua parte,
rappresentando un alleato forte e sincero capace di assumersi le proprie responsabilità.
Una libera scelta, affermava il Presidente, basata sui valori che sono “profondamente”
condivisi. Insieme, concludeva, costruiremo una democratica, pacifica e non più divisa
Europa.407
In un articolo sul Vertice di Washington, riferendosi al ruolo dell’Italia, L. Dini ha
scritto:
sta mutando: il limes critico che una volta divideva il cuore dell’Europa adesso si è spostato a
sud e l’Italia sembra aver preso il posto che – durante la guerra fredda – era assegnato alla
Repubblica Federale di Germania. Al di là del limes adesso non esiste più un blocco militare
contrapposto. E, tuttavia, la nostra penisola si presenta come la nuova frontiera che separa
l’Alleanza dall’area generatrice di instabilità e insicurezza per l’intera Europa.408
405
Il ruolo dell’Italia nella partnership transatlantica, cit.
10 anni di cooperazione e partenariato, Intervento del Senatore Emilio Colombo, Presidente Onorario
del Comitato Atlantico Italiano, NATO, 26 ottobre 2001,
www.comitatoatlantico.it/articolo/95/10_anni_di_cooperazione_e_partenariato
407
Massimo D’Alema, Statement, NATO Speeches, Washington, 23 aprile 1999,
www.nato.int/docu/speech/sp1999.htm
408
Lamberto Dini, Il Vertice NATO di Washington – Rinnovamento e continuità, cit., p. 491.
406
106
In qualità di membro della NATO e della nuova Europa, secondo Valeria Piacentini,
l’Italia ha dato segno di percepire responsabilità nuove, maturando alcune
consapevolezze. Fra queste, quella che il “passaggio da consumatrice a produttrice di
sicurezza” comporta un numero non indifferente di problemi (al momento largamente
insoluti) e molto simili a quelli della trasformazione di uno strumento militare da
difensivo ad offensivo. Sotto questo aspetto, sostiene l’autrice, si deve progredire sia sul
piano istituzionale, che nella cultura (aggiornamento, formazione e addestramento di
quadri ed operatori) e nella prassi etico-politica (inclusa l’informazione). L’Italia deve
“rimilitarizzare” le proprie Forze Armate adeguandole alle nuove esigenze.409
Il fatto che la NATO diventi sempre più un “international force provider” comporta
delle conseguenze sulle Forze Armate italiane. Esse non devono più solamente
rispondere ad un’invasione terrestre (del tipo prefigurato dall’art. 5 del Patto Atlantico)
ma devono essere prontamente impiegabili anche su teatri operativi a distanza variabile
dal territorio nazionale, sia in missioni di peace-keeping che di peace-enforcement, con
diversi livelli dell’uso della violenza. La pianificazione politico-strategica nazionale
deve tenere conto sempre più delle missioni “non articolo 5”, quelle “fuori area”,
soprattutto, se non si vuole perdere l’interoperabilità con le forze alleate. L’Italia ha
compiuto progressi importanti, in particolare, in rapporto alle risorse. Pochi Paesi
europei hanno saputo fare altrettanto, fatto che spesso viene sottolineato dalla
diplomazia italiana. Resta molto da fare, in particolare se si considera che gli sviluppi
della tecnologia e delle forze statunitensi aprono costantemente nuovi gap. 410
Le poco più di 200 missioni compiute in Desert Storm nel 1991, con la perdita di un Tornado,
sono inoltre diventate le oltre 1200 del 1999. Sono state sviluppate capacità aeronavali che non
si erano mai avute e che hanno permesso ai Lupi Grigi dell’aviazione imbarcati sul «Garibaldi»
di compiere missioni sia sul Kosovo che sull’Afghanistan. La presenza militare italiana
all’estero ha sfondato il tetto delle 10mila unità nel corso del 2000-1. Per la prima volta dal
1945, infine, durante il 2003 truppe terrestri italiane sono state impiegate con funzioni di
combattimento vere e proprie in Asia Centrale. 411
In un’intervista del febbraio scorso, l’Ambasciatore Stefanini ha affermato che il nostro
Paese svolge un ruolo rilevante nella NATO. L’Italia partecipa a tutte le operazioni in
corso con una presenza altamente apprezzata, in particolare in Afghanistan e Kosovo. In
Iraq l’Italia è al secondo posto per numero di addestratori nella missione della NATO di
addestramento delle forze armate irachene. L’Italia è al comando della missione Active
Endevour, di pattugliamento del Mediterraneo a fini antiterroristici e di sostegno alle
attività di contrasto dei traffici illeciti. Il nostro Paese è presente all’interno della
struttura della NATO con cariche significative, come quella del Vice-Segretario
Generale, ricoperta dal 1958 da un italiano, attualmente l’Ambasciatore Claudio
Bisogniero. Recente è la nomina dell’Ammiraglio Di Paola a Presidente del Comitato
Militare. Il rafforzamento del legame transatlantico ha da sempre rappresentato, afferma
Stefanini, un punto fermo della politica estera del nostro Paese, al pari del processo di
integrazione europea.412
L’interesse dell’Italia nella nuova NATO riguarda la proiezione dell’Alleanza nel
Mediterraneo, attraverso il Dialogo Mediterraneo, e le relazioni con i Paesi del Golfo,
attraverso l’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul. Con questi strumenti la NATO
propone a questi Paesi una cooperazione bilaterale e multilaterale, su temi come
l’interoperabilità delle forze armate, la loro riforma, la lotta al terrorismo. Al NATO
409
Valeria Piacentini Fiorani, La NATO e il Mediterraneo allargato, in A. Giovagnoli e L. Tosi, a cura di,
“Un ponte sull’Atlantico”, cit., p. 356.
410
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 135-138.
411
Ivi, p. 137.
412
S. Forni e L. Forzinetti, Intervista con l’Ambasciatore Stefano Stefanini, UNIONCAMERE news
Bruxelles, 5 febbraio 2008, www.nato.int/italy/documenti/unioncam_ita.pdf
107
Defense College di Roma è stato dato il via ad un nuovo corso che mira ad approfondire
le relazioni con questi Paesi (NATO Regional Cooperation Course). 413
Sul tema dell’allargamento, l’inclusione di nuovi Paesi nell’Alleanza, vi sono due
tendenze. Mentre l’America guarda alle esigenze della campagna contro il terrorismo
internazionale e, dunque, all’Eurasia, l’Italia è interessata all’ingresso dei Paesi
balcanici, in particolare, ha proposto spesso l’ingresso dell’Albania. L’interesse è quello
di sviluppare la sponda orientale dell’Adriatico, facendone un ponte commerciale ed
energetico verso il Mar Nero ed, in prospettiva, il Caucaso ed il Mar Caspio. Questo
permetterebbe anche di ridurre la pressione migratoria e criminale sul suo territorio. «I
Balcani sono, da questo punto di vista, tanto una via strategica di penetrazione verso il
“profondo” Est quanto un preziosissimo canale di approvvigionamento per l’Italia». Si
pensi agli interessi italiani in Kazakistan ed Azerbaigian, sedi di importanti investimenti
dell’ENI nel comparto energetico.414
Stefanini ha affermato che per l’Italia, da sempre, processo d’integrazione europea e
legame transatlantico si rafforzano a vicenda, essendo, sotto il profilo della loro
vocazione alla proiezione della sicurezza UE e NATO, complementari per l’Italia.
L’interesse italiano alla NATO è rafforzato dalla proiezione dell’Organizzazione nel
Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel Golfo, oltre al fatto che costituisce un foro per il
dialogo strategico con la Russia e un elemento stabilizzatore dei Balcani. 415
8.4
UN ITALIANO ALLA PRESIDENZA DEL COMITATO MILITARE
L’Ammiraglio di Squadra Giampaolo Di Paola, Capo di Stato Maggiore della Difesa, è
stato eletto, il 14 novembre 2007, nuovo Presidente del Comitato Militare della NATO,
il massimo organo collegiale militare dell’Alleanza. Rappresenta l’interlocutore del
Consiglio Atlantico, l’organo politico della NATO. Si occupa di elaborare strategie
militari e di esprimersi sull’uso della forza in caso di crisi. Di Paola è il secondo italiano
scelto per ricoprire questo incarico. Il primo fu Guido Venturoni, dal 1999 al 2002. La
scelta non era scontata, in lizza c’erano anche un polacco ed uno spagnolo. Il candidato
polacco era preferito dagli Stati Uniti per l’impegno della Polonia in Iraq ed
Afghanistan, oltre che per la questione dello scudo antimissile americano, l’installazione
del quale in parte è prevista sul territorio polacco. 416
In altri tempi, se avanzata dagli Stati Uniti, la candidatura del polacco non avrebbe avuto rivali:
innanzitutto perché gli Usa avrebbero avuto il polso del Comitato militare, avendo cura di
scegliere un candidato davvero vincente. Ma poi perché avrebbero sostenuto con forza ed
efficacia il nome del prescelto, riuscendo a portarlo alla vittoria. […] La candidatura del polacco
era il modo per gli Usa di dare un segnale di attenzione alla "nuova Europa" uscita dal blocco
dell'
Est, dal Patto di Varsavia, che ha abbracciato la Nato per rafforzare le difese dalle rinascenti
prepotenze russe. Un segnale che molti governi della "vecchia Europa" consideravano sbagliato,
come una nuova provocazione nei confronti di Mosca. 417
Di Paola gode di una forte considerazione tra i suoi colleghi, come egli stesso ha
sottolineato dopo la sua nomina. È considerato uno degli alti ufficiali più brillanti della
NATO. È stato in grado di convogliare su di sé il sostegno di molti Paesi vicini agli
413
Ibidem.
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., pp. 132-134.
415
Saluto del Rappresentante Permanente, Ambasciatore Stefano Stefanini, Bruxelles, aprile 2007,
www.nato.int/italy/pagina_rappresentante.htm
416
Nato, l’ammiraglio di Paola presidente del Comitato militare, La Repubblica, 14 novembre 2007,
www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/di-paola-nato/di-paola-nato/di-paola-nato.html#up
417
Vincenzo Nigro, Nato, tutti i retroscena dell’elezione di di Paola, La Repubblica, 15 novembre 2007,
www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/di-paola-nato/retroscena-nomina/retroscena-nomina.html#up
414
108
USA, grazie anche al voto segreto, che avrebbero dovuto «seguire l’ordine di scuderia
di votare il candidato polacco». L’Ammiraglio si insedierà a partire dal giugno 2008 e
resterà in carica per tre anni. Il suo ruolo sarà quello di principale consulente militare
del Segretario Generale della NATO.418
Il Vice-Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, Massimo D’Alema, ha
espresso la propria soddisfazione per l’elezione di Di Paola, quale indiscutibile successo
internazionale per l’Italia. L’elezione, afferma, riflette l’altissimo prestigio personale
dell’Ammiraglio e rappresenta un riconoscimento per le credenziali dell’Italia in ambito
NATO per l’impegno nelle diverse missioni di stabilizzazione condotte
dall’Alleanza.419
L’elezione di Di Paola è stata favorita anche dal fatto che la nostra diplomazia, in
particolare l’Ambasciatore Stefano Stefanini, da poco arrivato alla NATO ma dotato di
una grande esperienza, ha avvertito di non trasformare l’eventuale elezione dell’italiano
come uno “schiaffo” nei confronti di nessuno. 420
Di Paola si troverà a far fronte ai numerosi problemi con i quali si scontra l’attuale
Presidente del Comitato Militare, Ray Henault. Tra questi la questione dei caveat,
ovvero, le restrizioni all’impiego che molte autorità nazionali, Italia compresa,
impongono ai propri contingenti. Queste restrizioni provocano contrasti con gli altri
Paesi impegnati direttamente nella lotta ai terroristi. In quanto Capo di Stato Maggiore
della Difesa, Di Paola si è trovato sempre in sintonia con le direttive del Governo
italiano, ma ora dovrà rappresentare l’Alleanza, dunque, premere affinché tutti
contribuiscano equamente alla missione in Afghanistan.421
8.5
IL CONTRIBUTO ITALIANO IN CIFRE
Il Rappresentante Permanente italiano presso la NATO, l’Ambasciatore Stefano
Stefanini, ha affermato che l’Italia svolge un ruolo di primo piano nella trasformazione
dell’Alleanza. Attraverso la promozione della dimensione politica, l’apporto delle
proprie capacità militari e il patrimonio tecnologico ed industriale nel campo della
difesa. L’Italia offre un importante contributo in termini di qualità delle proprie Forze
Armate e per questo motivo le sono stati affidati i comandi di diverse operazioni. Il
nostro Paese contribuisce con diverse strutture e risorse umane. Rappresenta il quarto
contributore di truppe e si colloca al quinto posto per i contributi al bilancio
dell’Organizzazione.422
I contributi italiani alla NATO ripartiti per bilancio sono: bilancio civile: 7,50%;
bilancio militare: 7,86%; bilancio investimenti: 8,25%.423
La presenza delle Forze Armate italiane nei teatri delle operazioni NATO corrisponde a
5.800 militari su un totale di 8.600 truppe impegnate all’estero (dati aggiornati al 4
marzo 2008).424
Per quanto riguarda il comando delle operazioni dell’Italia in ambito NATO: 425
418
Nato, l’ammiraglio di Paola presidente del Comitato militare, cit.
Soddisfazione del Ministro D'
Alema per l'
elezione dell'
Ammiraglio Giampaolo Di Paola a Presidente
del Comitato Militare della NATO, Comunicato, 14 novembre 2007,
www.esteri.it/MAE/IT/Ministero/Ministro/Comunicati/
420
Vincenzo Nigro, Nato, tutti i retroscena dell’elezione di di Paola, cit.
421
Franco Apicella, Comitato militare Nato, quando Di Paola sarà alle prese con i caveat, Pagine di
Difesa, 19 novembre 2007, www.paginedidifesa.it/2007.html
422
Saluto del Rappresentante Permanente, cit.
423
L’Italia e la NATO, Rappresentanza Permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico, Bruxelles,
www.nato.int/italy/pagina_contributo_ffaa.htm
424
Ibidem.
425
Ibidem.
419
109
Afghanistan
♦ L’Italia ha avuto il Comando della missione ISAF (Gen. C.A. Mauro Del
Vecchio) per nove mesi, dall’agosto 2005 al maggio 2006 ed, al momento, il
Gen. D. Alberto Primiceri ricopre l'
incarico di Sottocapo di Stato Maggiore per
il supporto. Attualmente sono schierati in Afghanistan circa 2.600 uomini
(concentrati a Kabul e ad Herat).
♦ Da giugno 2005, nell’ambito della seconda fase del processo di espansione di
ISAF, l’Italia ha coordinato Regional Command West (RAC-W ), le attività
ISAF nella Regione ovest del Paese, dove si trovano la Forward Support Base
(FSB) di Herat ed i quattro Provincial Reconstruction Team (PRT) della regione
ovest del Paese (Herat, Farah, Badghis e Ghor). Il RAC è stato successivamente
trasformato in Comando Regionale. Attualmente, il Comandante di quest’ultimo
è il Gen. D. Fausto Macor. Il PRT di Herat è posto sotto la responsabilità
italiana. La FSB di Herat è stata impiantata da personale dell’Aeronautica
Militare italiana, che tuttora vi opera.
♦ L’Italia in ambito G8, è “key-partner” per la riforma della Giustizia in
Afghanistan.
♦ Dopo la guida del Comando Regionale Ovest, l’Italia ha assunto il comando
delle forze NATO a Kabul, RC-C, il 6 dicembre 2007. Il Generale Federico
Bonato si è posto alla guida di cinque mila militari alleati, di cui 1.250 italiani. Il
comando di Kabul è affidato a rotazione a francesi e turchi, mentre quello di
Herat è stabilmente italiano. Questo nuovo comando ha consegnato anche altri
250 militari italiani a Kabul, portando il totale dei soldati italiani schierati in
Afghanistan a 2.650, costituendo numericamente il quarto contingente, dopo
statunitensi, britannici e tedeschi.426
Iraq
♦ Nella missione di addestramento per le forze irachene guidata dalla NATO
(NTM-I) l’Italia impiega 42 uomini, tra cui il Vice Comandante Gen. D.
Alessandro Pompegnani. Il nostro è inoltre il Paese guida per tre dei quattro
corsi che si tengono nel centro di Ar Rustamiyah.
Kosovo
♦ Il Gen. C. A. Giuseppe Valotto ha assicurato, per un anno, il comando di KFOR
, dal 1° settembre 2005 al 31 agosto 2006. L'
Italia attualmente impiega in
Kossovo oltre 2.700 uomini e fino al mese di agosto 2007, ha ricoperto il ruolo
di Deputy COMKFOR con il Gen. D. Roberto Bernardini.
Mar Mediterraneo
♦ L’Italia esercita il comando dell’Operazione antiterrorismo ACTIVE
ENDEAVOUR per il pattugliamento del Mediterraneo e fornisce tre navi. Ha
inoltre dato la disponibilità della Base di Augusta (Sicilia) quale FLS (Fordwar
Logistic Site). Il comando dell'
operazione è stato affidato all’Amm. Sq. Roberto
Cesaretti, in carica dal 28 giugno 2005 quale Comandante del Maritime
Component Command di Napoli.
In Italia sono presenti importanti sedi NATO, con funzioni diverse. Ad esempio, a
Motta di Livenza (Treviso) ha sede il Cimic Group South, un importante reparto
multinazionale della NATO a guida italiana, con capacità civili e militari, in grado di
compiere ricerche, addestrare e proiettare, unità di specialisti nel soccorso e nella
ricostruzione di aree sconvolte da conflitti. Presso La Spezia ha sede il Centro di
426
Gianandrea Gaiani, All’Italia il comando delle forze Nato a Kabul, Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 2007,
www.ilsole24ore.com/archivi/mondo_1.shtml
110
Ricerche Sottomarine della NATO, impegnato nell’ambito del programma per le
tecnologie per il contrasto del terrorismo. Inoltre, l’Italia è il Paese che ha mantenuto il
maggior numero di basi NATO nel proprio territorio, anche dopo lo snellimento della
struttura di comando dell’Organizzazione. 427
I Comandi e le strutture militari che hanno sede in Italia sono: 428
♦ JFC Naples NATO HQ (ex AFSOUTH), Joint Force Command Naples NATO
Head Quarters (Comando Alleato della regione meridionale), con sede a Napoli;
♦ CC MAR Naples (ex NAVSOUTH), Maritime Component Command (Comando
della Componente Marittima), con sede a Napoli, dipende dal JFC;
♦ NATO Rapid Deployable Corps – IT, (Corpo d’Armata di Reazione Rapida), con
sede a Solbiate Olona;
♦ COMITMARFOR, (Comando italiano delle Forze Marittime - HRF-M, Forza di
pronto intervento marittimo), con sede a Taranto;
♦ NDC, NATO Defence College (Collegio della Difesa della NATO), con sede a
Roma;
♦ NCISS, NATO Communications Information Systems School (Scuola dei
Sistemi di Comunicazione ed Informatici della NATO), con sede a Latina;
♦ NURC, NATO Undersea Research center (Centro NATO di Ricerche
Sottomarine), con sede a La Spezia.
427
428
Il ruolo dell’Italia nella partnership transatlantica, cit.
L’Italia e la NATO, cit.
111
112
Capitolo Nono
I RAPPORTI NATO-RUSSIA
9.1
EVOLUZIONE DEI RAPPORTI
Le relazioni formali fra la NATO e la Russia iniziarono nel 1991, quando la Russia
aderì al Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico (NACC), poi sostituito dalla EAPC,
creato come foro per le consultazioni con i Paesi dell’Europa centrale e orientale in
seguito alla fine della Guerra Fredda. L’Unione Sovietica si dissolse proprio durante
l’incontro inaugurale di questa istituzione. Nel 1994 la Russia si unì alla Partnership for
Peace della NATO.429
L’importanza della Russia va al di là del fatto che rappresenta una grande potenza
demografica. Essa riveste un ruolo strategico per l’Alleanza a livello geopolitico, anche
considerando che sei Paesi della NATO condividono con essa confini marittimi e
terrestri. La Russia rappresenta un collegamento fra l’Est europeo, il Caucaso, l’Asia
centrale, la Cina e la Corea del Nord. Inoltre, costituisce uno dei pochi Paesi detentori
dell’arma nucleare e dispone di un apparato militare consistente nella regione europea.
Essendo membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Russia dispone di
un potere di veto, dunque, le sue decisioni sono in grado di influenzare l’attività della
NATO sul piano dei mandati delle missioni e altre questioni generali rilevanti la
sicurezza (nucleare iraniano, rapporti con la Corea del Nord, processo di pace in Medio
Oriente, stabilizzazione nei Balcani). La Russia è da varie parti riconosciuta come
indispensabile per il successo della missione in Afghanistan ed è coinvolta nei c.d.
“conflitti congelati” con i Paesi dello spazio ex-sovietico, partner dell’Alleanza. Ha un
ruolo di primo piano nei rapporti bilaterali con l’Ucraina e la Georgia, che hanno
manifestato la propria volontà di aderire alla NATO. 430
I fatti accaduti a partire dal 2001 hanno prodotto come risultato quello di permettere
all’ex-Presidente Putin di recuperare margini di iniziativa in politica estera e di
sicurezza nazionale. Sfruttando l’influenza sul Near Abroad russo e i rapporti con
l’Alleanza del Nord in Afghanistan, la Russia è diventata l’alleato più importante nella
prima fase di Enduring Freedom, ottenendo una maggiore tolleranza da parte
dell’Occidente sulle attività repressive in Cecenia e la costituzione di una nuova
struttura dei rapporti in un “Consiglio a Venti”. 431
9.2
L’ATTO FONDATORE
Il processo di riavvicinamento alla Russia, iniziato nel dicembre del 1991 quando essa
divenne membro fondatore del NACC, culminò, nel maggio del 1997 a Parigi, con la
firma dell’Atto Fondatore NATO-Russia. Con l’Atto si sanciva la volontà di cooperare
con la Russia ma anche i limiti che essa non avrebbe potuto superare, esercitando la
propria influenza nel processo di allargamento dell’Organizzazione in corso. 432
La NATO e la Russia, è scritto nel documento, sulla base di un impegno preso ad alto
livello politico, vogliono costruire insieme una pace duratura e inclusiva nell’area euro429
NATO-Russia A pragmatic partnership, NATO Public Diplomacy Division, Bruxelles, 2007, p. 3,
www.nato.int/docu/nato-russia/nato-russia2007-e.pdf
430
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, Affari Esteri, a. XXXVIII, n. 150 (2006), pp. 287288.
431
G. Dottori e M. Amorosi, La NATO dopo l’11 settembre, cit., p. 72.
432
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato: passato, presente e futuro, cit., pp. 173-177.
113
atlantica attraverso i principi di democrazia e sicurezza cooperativa. Essi non si
considerano avversari e condividono l’obiettivo di superare le vestigia del passato e
rafforzare la mutua fiducia e cooperazione. In questo modo si esprimeva l’impegno
della NATO e della Russia nel Patto Fondamentale, o Atto Fondatore. Un impegno
verso la costruzione di una Europa stabile, pacifica e non più divisa, unita e libera, a
beneficio di tutti i suoi popoli. Attraverso questo atto politico ad alto livello, si voleva
dare inizio a nuove relazioni tra la NATO e la Russia e sviluppare una partnership
durevole, sulla base di interessi comuni, reciprocità e trasparenza. Attraverso il Patto
Fondamentale vengono definiti gli obiettivi e i meccanismi di consultazione,
cooperazione, il processo decisionale e le azioni comuni.433
Si rimarcava che entrambe le parti non avrebbero avuto limiti alla propria indipendenza
e che la NATO non sarebbe stata subordinata a nessun’altra organizzazione. C’era,
infatti, il timore di un «tentativo russo di annacquare la NATO in un’organizzazione di
sicurezza collettiva pan-europea come l’Organizzazione per la Cooperazione e la
Sicurezza Europea (OSCE)». 434
Nel documento si afferma che la NATO aveva già fortemente ridotto, e avrebbe
continuato a ridurre, le forze convenzionali e nucleari. Per mantenere gli impegni presi
col Trattato di Washington avrebbe continuato ad espandere le proprie funzioni
politiche e le nuove missioni di peacekeeping e gestione delle crisi, in supporto
all’ONU e all’OSCE, come in Bosnia-Herzegovina. Dopo la definizione degli
intendimenti della NATO, ad esempio, il processo di definizione dell’ESDI all’interno
dell’Alleanza, o il lavoro della PfP e dell’EAPC, si affronta la situazione della Russia.
Si afferma nel documento che la Russia prosegue nella costruzione di una società
democratica e nella realizzazione di una trasformazione politica ed economica, si è
impegnata nella riduzione delle sue forze armate e intende impegnarsi nella riduzione
delle forze convenzionali e nucleari. Ha allontanato su vasta scala le proprie forze dai
Paesi dell’Europa centrale e orientale e dai Paesi baltici. Anch’essa dichiara di
partecipare alle operazioni di mantenimento della pace dell’ONU e dell’OSCE e di
gestione delle crisi nelle diverse aree del mondo. Inoltre, dichiara di contribuire alla
forza multinazionale in Bosnia-Herzegovina. 435
Questo Atto riflette la consapevolezza della NATO riguardo ai punti sensibili della
Russia. Ad esempio, si afferma che non vi era intenzione di dislocare armi nucleari sul
territorio dei nuovi membri. Il Segretario di Stato Albright disse di non aspettarsi un
improvviso “innamoramento” della Russia per la NATO ma sperava che essa
«conoscesse la vera NATO per quello che è: né una minaccia alla Russia, né la risposta
ai più pressanti dilemmi della Russia, ma semplicemente una istituzione che può aiutare
la Russia a divenire maggiormente integrata alla principale corrente europea». Sono
aumentate progressivamente le consultazioni, è stato nominato un Alto Rappresentante
Militare russo presso il Quartier Generale della NATO, e si è cercato di creare una
routine nelle relazioni reciproche che eliminasse le preoccupazioni russe circa le
conseguenze dell’allargamento della NATO.436
Nel documento vengono richiamati i principi su cui si basa l’accordo, sui quali si deve
costruire la cooperazione, e il rispetto alla Carta dell’ONU. Le relazioni devono essere
basate sulla trasparenza, sul significato del ruolo della democrazia, del pluralismo
433
Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian
Federation, Parigi, 27 maggio 1997, www.nato.int/docu/basictxt/fndact-a.htm
434
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato: passato, presente e futuro, cit., pp. 173-177.
435
Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian
Federation, cit.
436
Eric R. Terzuolo, L’allargamento della Nato: passato, presente e futuro, cit., pp. 173-177.
114
politico, dei diritti umani, delle libertà civili, rispetto della sovranità e dell’indipendenza
territoriale, etc…437
Per dar luogo ai meccanismi di consultazione, l’Atto istituisce il Consiglio Permanente
Congiunto (PJC), il cui scopo principale doveva essere la costruzione della fiducia,
l’abitudine alla cooperazione e alla consultazione. Il PJC era un’istanza a carattere
consultivo nella quale i membri dell’Alleanza, dopo aver coordinato le proprie
posizioni, «incontravano i russi nella formula 19 più 1». 438
La particolarità di quella formula, ha scritto Alexandr V. Grushko, Vice Ministro degli
Affari Esteri della Federazione Russa, era che i Paesi della NATO non potevano
discutere con la Russia alcuna questione senza avere una posizione comune. I problemi
così definiti venivano espressi in modo rigido e non rimaneva spazio per l’elaborazione
di decisioni e azioni congiunte. Tuttavia, l’aspetto positivo, afferma Grushko, era la
comprensione che la collaborazione tra la Russia e la NATO era possibile per quei
campi in cui emergevano interessi comuni.439
Le aree di consultazione e cooperazione, sono indicate nella Parte III del Patto
Fondamentale, o Atto Fondatore, e riguardano questioni di interesse comune,
prevenzione dei conflitti, operazioni congiunte, la partecipazione della Russia nel PfP e
nell’EAPC, scambio di informazioni e consultazione sulle strategie e politiche di difesa,
controllo degli armamenti, sicurezza nucleare. 440
In merito, Giuliano Caroli, Direttore della Rivista Occidente, ha affermato che il PJC ha
rappresentato un primo punto di contatto, limitato negli obiettivi e con alcune riserve in
chi vi partecipava. Tuttavia, la sua presenza si è rivelata utile nel momento in cui si sono
presentati improvvisi problemi legati alla stabilità e alla pace europea nell’area
balcanica, dove ha esercitato il ruolo di foro di consultazione e comunicazione.441
Maurizio Moreno, Rappresentante Permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico,
afferma che il primo dialogo fra la NATO e la Russia è da considerarsi come un
cammino di costruzione della fiducia. Tuttavia, sostiene, che esso risentiva della
mancanza di obiettivi realmente comuni e della necessità di intraprendere azioni comuni
contro le successive minacce che sarebbero state rese evidenti a partire dal 2001.442
9.3
DIECI ANNI DI PARTENARIATO
Dopo dieci anni, da quando la NATO e la Russia hanno iniziato il proprio partenariato
strategico, dieci nuovi Stati dell’Europa centrale ed orientale erano entrati a pieno titolo
nell’Alleanza. Dalle sfide nei Balcani, la NATO si è ritrovata a far fronte a minacce non
convenzionali, come il terrorismo internazionale. Anche la Russia ha compiuto i propri
passi in avanti. Paul Fritch, Capo della Sezione rapporti con la Russia e l’Ucraina, nella
Divisione Affari Politici e Politica di Sicurezza della NATO, esprime la propria analisi
su questa relazione particolare. I primi anni del partenariato con la Russia, afferma,
vengono visti spesso come una fase di transizione, non piacevole ma necessaria.
L’interruzione di questa prima fase di costruzione della fiducia è avvenuta con la crisi
437
Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian
Federation, cit.
438
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, cit., p. 286.
439
Alexandr Viktorovich Grushko, Lo sviluppo dei rapporti tra la Russia e la NATO, Affari Esteri, a.
XXXVIII, n. 149 (2006), pp. 45-46.
440
Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian
Federation, cit.
441
Giuliano Caroli, NATO-Russia: il Vertice delle possibilità, Occidente n. 1/2, 2002, p. 8.
442
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, cit., pp. 285-286.
115
del Kosovo, dove la Russia ha partecipato nelle operazioni con proprie truppe sotto la
guida della NATO.443
Nella sua analisi sulle relazioni NATO-Russia, Dmitri Trenin, membro anziano della
Carnegie Endowment for International Peace e Direttore degli studi nel suo centro di
Mosca, individua tre momenti caratterizzanti il rapporto. Innanzitutto, l’uso della forza
nel 1995 in Bosnia-Erzegovina, con l’Accordo di pace di Dayton e le successive
operazioni di mantenimento della pace a cui hanno partecipato le truppe russe sotto
comando NATO. In secondo luogo, l’invito alla Repubblica Ceca, all’Ungheria e alla
Polonia nel 1997 e il loro successivo ingresso, nel 1999, nella NATO, hanno
rappresentato un’«amara pillola per Mosca». La situazione è poi migliorata con la
creazione del Consiglio congiunto permanente quale organo di consultazione fra la
Russia e l’Alleanza. Infine, terzo elemento, la crisi del Kosovo del 1999, che ha dato
luogo alla campagna aerea della NATO contro le forti proteste della Russia. Nonostante
ciò, la Russia continuò a partecipare nella SFOR in Bosnia-Erzegovina e nella KFOR,
in Kosovo, sotto il comando NATO. Ma alla fine del mandato presidenziale di Eltsin,
scrive Trenin, le relazioni NATO-Russia erano di grande freddezza.444
Quando il successore designato di Eltsin ottenne la ratifica elettorale, nel marzo 2000, si
trovò alla guida di uno Stato diviso fra gli oligarchi, anch’essi divisi in lotte fra loro,
con un’economia dipendente esclusivamente dal settore energetico; senza dimenticare la
guerra cecena. Pertanto, l’obiettivo fondamentale di Putin fu la restaurazione del potere
centrale. Alle elezioni del marzo 2004, ottenuta la riconferma, Putin poteva annunciare
la “rinascita della Russia”. L’economia era in forte crescita e Mosca aveva un rinnovato
peso nello scenario internazionale.445
La Russia di Putin ha avuto un atteggiamento diverso rispetto all’«era yeltsiniana»,
scrive l’Ambasciatore Moreno. Lo dimostrerebbero le decisioni sulla politica
energetica o il modo di rapportarsi ai Paesi del Caucaso e dell’Asia centrale dell’area
ex-sovietica. 446 Da un dossier preparato per il Senato italiano emerge che, con l’era
Putin, la politica estera russa si è attestata su una linea di difesa risoluta degli interessi
nazionali, che è spesso perseguita a scapito della cooperazione multilaterale. L’indirizzo
tendenzialmente filo-atlantico di Eltsin, che aveva suscitato molte aspettative in
Occidente, è stato rimpiazzato da uno sforzo costante per accrescere il peso e l’influenza
della Russia sia nel contesto europeo che in quello mondiale. 447
In un articolo pubblicato nel 2005 sul Moscow Defense Brief, sul tema delle relazioni
NATO-Russia, l’autore A. Golts sostiene la tesi che queste relazioni sono iniziate con
un semplice malinteso ed esordisce in questo modo: «quando l’impresa inizia col piede
sbagliato, è difficile rimetterla nella giusta rotta dopo». Secondo l’autore, il primo
messaggio di Eltsin al Quartier Generale della NATO nel 1991 conteneva un errore
tipografico. Era stata omessa la negazione “non” nella frase che sottolineava che la
Russia non faceva domanda di immediato ingresso nell’Alleanza. Quando Putin fu
dichiarato successore di Eltsin, i rapporti fra la NATO e la Russia erano ad un punto
fermo. La NATO aveva lanciato le sue operazioni in Jugoslavia nel 1999 senza tener
conto delle obiezioni russe. La risposta fu il ritiro del rappresentante russo dall’Alleanza
443
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, Rivista della NATO,
estate 2007, www.nato.int/docu/review/2007/issue2/italian/analysis1.html
444
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, Rivista della
NATO, estate 2007, www.nato.int/docu/review/2007/issue2/italian/art1.html
445
Franco Venturini, Il secondo quadriennio di Putin, la Russia e l’Occidente, Affari Esteri, a. XXXVI n.
143 (2004), pp. 528-529.
446
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, cit., p. 287.
447
Ettore Greco, Riccardo Alcaro, Valerio Fabbri, Le relazioni della Russia con Europa e Stati Uniti sviluppi recenti e scenari futuri, Dossier XV Legislatura, n. 76, settembre 2007,
www.senato.it/documenti/repository/lavori/affariinternazionali/approfondimenti/76%20per%20sito.pdf,
p. 8.
116
e il raffreddamento dei rapporti. Inizialmente, Putin non aveva nessuna intenzione di
migliorare la situazione, infatti, sotto la sua direzione, l’apparato di Sicurezza Russa
sviluppò dei documenti che ritenevano la NATO una delle principali minacce al Paese.
Nel primo Concept of National Security firmato da Putin vi era scritto, riporta l’autore
dell’articolo, che l’uso della forza militare da parte della NATO al di fuori del blocco e
senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, provoca effetti
destabilizzanti nel mondo. Nei mesi successivi fu approvata la Military Doctrine, la
quale sosteneva che il rafforzamento dei blocchi politico-militari e delle unioni, primi
fra tutti l’espansione della NATO ad Est, costituivano la minaccia principale al Paese.448
Neo-Presidente, Putin rispose alla domanda di un giornalista inglese circa l’ingresso
della Russia nella NATO: “Perché no?”. In seguito ai fatti dell’11 settembre 2001, Putin
comprese la possibilità per la Russia di accrescere la proprio posizione fra le nazioni più
importanti del mondo. Immediatamente fu espresso il sostegno all’America da parte
della Russia e Putin in persona chiamò i Presidenti della Kyrgyzia e dell’Uzbekistan per
convincerli della necessità di concedere delle basi NATO nel proprio territorio. 449
Con il primo mandato presidenziale di Vladimir Putin si sperava in un nuovo avvio di
relazioni amichevoli. Tuttavia, la campagna militare post-11 settembre ebbe come
effetto, secondo Trenin, quello di eliminare una seria minaccia esterna per la sicurezza
della Russia del dopo guerra fredda, rappresentata dal regime dei Talebani in
Afghanistan. Dal punto di vista della Russia, afferma, quell’alleanza che per decenni
aveva fronteggiato l’Unione Sovietica nell’Europa centrale, si era trasformata in una
coalizione che contribuiva a rendere sicuri i suoi collegamenti con l’Asia centrale, che
rappresenta il fianco più debole della Russia. A partire da questo momento, fu possibile
ricostruire le relazioni attraverso una nuova struttura, non più bilaterale come il PJC,
costituita dalla successiva istituzione del Consiglio NATO-Russia, che avrebbe posto su
un piano paritario 27 nazioni.450
Alla Conferenza stampa del 3 ottobre 2001, seguita all’incontro fra Putin e il Segretario
Generale della NATO Lord Robertson, quest’ultimo dichiarava che le terribili atrocità
accadute negli Stati Uniti avevano unito maggiormente la NATO e la Russia, e
ringraziava il Presidente e il popolo russi per la positiva reazione spontanea. La Russia e
la NATO, affermava Lord Robertson, sono partner speciali attraverso il PJC. Avendo
dichiarato che l’attacco è da considerarsi diretto a tutti i membri, ed essendo la Russia
partner della NATO, questo attacco è da considerarsi, dice Robertson, diretto anche
contro quei valori che uniscono questi due soggetti internazionali. Putin, da parte sua,
sottolineò che non intendeva concentrare l’attenzione su problemi specifici ma discutere
della minaccia del terrorismo in generale e dichiarava di non pensare di rivelare un
segreto, annunciando che il Segretario Generale aveva proposto l’istituzione di un
organismo nel quale sarebbero state approfondite e migliorate le relazioni fra la NATO
e la Russia, nei confronti del quale Putin affermava di dare il proprio supporto.451
448
Alexander Golts, Russia-NATO Relations: Between Cooperation and Confrontation, Moscow Defense
Brief, CAST, 2/2005, mdb.cast.ru/2-2005/war/russianato/?form=print
449
Ibidem.
450
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
451
Press Conference after Meeting with NATO Secretary General George Robertson, 3 ottobre 2001,
www.kremlin.ru
117
9.4
UNA NUOVA QUALITA’ NELLE RELAZIONI
Le prime considerazioni sul tema di un diverso sistema nei rapporti NATO-Russia,
scrive Grushko, sono partite dall’Italia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dal
Canada e altri Paesi, accomunati dall’idea che il nuovo clima internazionale necessitava
una svolta nella collaborazione. 452
Caroli, Direttore della Rivista Occidente, riferendosi al primo allargamento della NATO
ha affermato che esso si è rivelato un trait-d’union fra la Russia e l’Occidente dando
inizio ad un nuovo approccio della Russia nei confronti della sicurezza dei Paesi europei
vicini e alleggerendo il complesso dell’accerchiamento che sembrava dovesse
condizionare a lungo le scelte di Mosca. Attraverso le nuove relazioni fra la NATO e la
Russia, quest’ultima può guardare con minore animosità, scrive Caroli, alla domanda di
sicurezza, stabilità e prosperità, che i Paesi dell’Europa centrale e sudorientale
rivolgono alla comunità euro-atlantica. 453
La riunione del 2002 a Pratica di Mare, nei pressi di Roma, che ha portato alla
costituzione del Consiglio NATO-Russia (NRC), ha dato inizio ad una nuova fase, in cui
l’obiettivo era quello di una migliore cooperazione nel far fronte alle sfide del futuro.
L’11 settembre 2001 era ancora molto vicino ed ispirava un nuovo approccio alla
sicurezza attraverso un rapporto interdipendente che cancellasse le ostilità del passato.
Da allora, si è lavorato nell’obiettivo di conseguire una migliore interoperabilità delle
rispettive forze e degli equipaggiamenti militari e nella analisi stessa della minaccia.454
La Dichiarazione “Le relazioni Russia-NATO: una nuova qualità”, scaturita
dall’incontro, inizia affermando che il clima del ventunesimo secolo, fortemente
interdipendente, presenta minacce e sfide che richiedono una risposa congiunta.
Pertanto, la Russia e la NATO dichiarano di voler aprire una nuova pagina nelle loro
relazioni, auspicando di lavorare insieme nelle aree di comune interesse contro le
minacce e i rischi comuni alla sicurezza. Essi, dunque, riaffermano gli obiettivi, gli
impegni e i principi dell’Atto Fondatore, soprattutto, la costruzione di una pace
durevole nell’area euro-atlantica. 455
Nello Statement del 28 maggio 2002, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi della NATO
e della Federazione Russa, dichiararono: nel Consiglio NATO-Russia, i membri della
NATO e la Russia lavoreranno come partner allo stesso livello nelle aree di comune
interesse. Basandosi sull’Atto Fondatore e i attraverso i più ampi livelli di cooperazione,
il Consiglio si impegna ad intensificare gli sforzi nella lotta contro il terrorismo,
gestione delle crisi, non-proliferazione delle armi di distruzione di massa, e altre aree.
Siamo uniti, dichiarano, nell’intento di vincere le minacce e le sfide del nostro tempo.456
Il Consiglio NATO-Russia, si legge nella Dichiarazione che lo istituisce, sostituisce il
PJC e si occupa delle aree di mutuo interesse indicate nella Parte III dell’Atto Fondatore
del 1997. Azioni congiunte, dunque, dovranno essere compiute nella lotta al terrorismo,
nella proliferazione delle armi di distruzione di massa, nella gestione delle crisi, nel
controllo degli armamenti e nei meccanismi di costruzione della fiducia, nelle
emergenze civili, nella difesa missilistica di teatro (TMD), ricerca e salvataggio in mare,
cooperazione tra militari e riforma della difesa, nuove sfide e minacce.457
Il Vertice di Pratica di Mare ha costituito il riflesso della presa di coscienza che i Paesi
alleati e la Russia, afferma l’Ambasciatore Moreno, in quel momento avevano le stesse
priorità strategiche, dovendo far fronte a minacce, sostanzialmente, comuni. Pertanto, si
452
Alexandr Viktorovich Grushko, Lo sviluppo dei rapporti tra la Russia e la NATO, cit., p. 46.
Giuliano Caroli, NATO-Russia: il Vertice delle possibilità, cit., p. 9.
454
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, cit.
455
NATO-Russia relations: a new quality, Dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo della NATO e
della Federazione Russa, Roma, 28 maggio 2002, www.nato.int/docu/basictxt/b020528e.htm
456
Statement NATO-Russia Council, www.nato.int/docu/pr/2002/p020528e.htm
457
NATO-Russia relations: a new quality, cit.
453
118
decise la creazione di un foro di consultazione e di cooperazione permanente tra la
NATO e la Russia presso il Quartier Generale della NATO.458
Tenuto conto dell’Atto fondatore e dell’iniziativa adottata dai Ministri degli Esteri della
NATO riportata nella dichiarazione del 7 dicembre 2001, fu istituito il Consiglio
NATO-Russia, nel quale era previsto un meccanismo di consultazione, di formazione
del consenso, cooperazione, decisione congiunta, e azione congiunta per ciò che
riguarda l’ampio spettro di questioni sulla sicurezza nella regione euro-atlantica. L’NRC
deve operare attraverso il consenso e un dialogo politico continuo sui temi della
sicurezza. Il Consiglio è presieduto dal Segretario Generale della NATO e si riunisce a
livello di Ministri degli Esteri e della Difesa due volte l’anno, e a livello di Capi di Stato
e di Governo in maniera occasionale. Non meno di due volte l’anno devono tenersi
anche gli incontri dei Comandanti militari. La differenza rispetto al passato, al PJC, è
che nel Consiglio i contatti e le consultazioni informali sono molto frequenti e si
svolgono in un clima amichevole e professionale. Sono stati istituiti diversi gruppi di
lavoro e comitati che si occupano delle materie di competenza del Consiglio.
Annualmente i membri del Consiglio predispongono un programma di lavoro, che può
includere altre aree non indicate nel Patto o nella Dichiarazione. 459
I lavori all’interno del Consiglio sono basati sulla parità. Dal “19 più 1” si è passati alla
formula “a Venti”. Dal lato della Russia, questo Consiglio permette di affrontare
problemi ancora irrisolti, potendo anche cercare una soluzione. Questo ha condotto,
afferma Grushko, al rafforzamento dei suoi “pilastri”, costituiti dal dialogo politico e
dalla collaborazione concreta. Inoltre, permette alla Russia di comprendere le
trasformazioni dell’Alleanza, come il rafforzamento della componente politica, lo
sviluppo di una cooperazione più stretta con le altre organizzazioni internazionali come
l’ONU e l’UE, e il raggiungimento del partenariato strategico con la stessa Russia. E
aggiunge Grushko: «A nostro parere, la loro realizzazione insieme allo smantellamento
del potenziale accumulato negli anni della guerra fredda, corrisponde al rafforzamento
della stabilità nel mondo».460
All’apertura dell’incontro di Pratica di Mare, Bush riaffermava, nel suo discorso,
l’impegno originario della NATO, in difesa della democrazia e per espandere la libertà.
In quell’occasione, affermava, si tende la mano, con spirito di pace e amicizia, a una
nuova Russia, che sta costruendo la libertà al proprio interno e che si è unita nella difesa
della libertà contro un nemico comune. Il Consiglio NATO-Russia, per Bush, fornisce
la possibilità di affrontare insieme le sfide comuni e iniziare a creare legami che saranno
ampliati in futuro. Il Presidente degli Stati Uniti afferma che verrà migliorata la
coordinazione in quei contesti in cui già si è avuto modo di lavorare insieme, come nei
Balcani. La Russia e gli altri partners, potranno ritenersi orgogliosi, afferma, per la pace
e la stabilità che sono state costruite nella regione. Ci si rivolgerà anche ad altre aree,
dichiara Bush, dove si potrà espandere la cooperazione, ad esempio, sulla difesa
missilistica e il controllo dello spazio aereo, che potranno rafforzare la sicurezza su tutta
l’Europa. Il Consiglio NATO-Russia offre una via per formare un’alleanza nell’alleanza
a tutte le nostre nazioni, dichiara il Presidente, fornisce la via per rafforzare la sicurezza
comune, dando al mondo la prospettiva di un secolo più felice.461
Il Consiglio è un foro per la cooperazione e per le consultazioni politiche a tutti i livelli,
ha dato prova di essere un utile strumento, in cui i membri possono far fronte alle sfide
e alle preoccupazioni comuni. I membri cercano di estendere, infatti, le aree di
458
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, cit., pp. 286-287.
NATO-Russia A pragmatic partnership, cit., p. 6.
460
Alexandr Viktorovich Grushko, Lo sviluppo dei rapporti tra la Russia e la NATO, cit., pp. 46-47.
461
NATO-Russia Council Established, Remarks by the President G. W. Bush at Opening Session of
NATO-Russia Council Meeting, Roma, 28 maggio 2002,
www.whitehouse.gov/news/releases/2002/05/print/20020528.html
459
119
cooperazione previste nei due documenti basilari delle relazioni NATO-Russia.
Pertanto, pur esistendo delle differenze fra essi, il Consiglio rimane la struttura
istituzionale in cui possono cooperare in uno scenario di sicurezza in continuo
cambiamento. 462
Generalmente le sessioni dell’NRC coincidono con quelle del Consiglio della NATO.
Le discussioni devono avvenire senza la preparazione di una previa posizione comune
da parte della NATO. Inoltre, tutte le discussioni preliminari devono essere condotte
all’interno della struttura del Comitato Preparatorio, avente lo stesso status del Comitato
Politico della NATO, uno dei più importanti organi dell’Alleanza, nel quale vengono
preparate le decisioni principali. In questo modo la Russia può partecipare al processo
decisionale della NATO con lo status di partner, senza diventarne membro. Non si
tratta di incontri cerimoniali. Ad esempio, nel 2002, nella sessione del Consiglio a
Praga, si dovette affrontare il tema dell’invito a sette Paesi dell’Europa centrale e
orientale ad entrare nell’Organizzazione. Tra questi vi erano la Lituania, la Lettonia e
l’Estonia. La NATO ha così oltrepassato la “linea rossa” stabilita precedentemente da
Evgeny Primakov, afferma Golts. Nel 1996-1997, quando furono discusse le condizioni
per gli accordi sotto i quali sarebbe avvenuta l’espansione della NATO, una richiesta
categorica fu che per nessun motivo le ex-repubbliche sovietiche sarebbero divenute
membri dell’Alleanza. Quando, successivamente, questo accadde, la reazione russa,
sostiene Golts, fu più che calma. 463
Oltre che sul piano tecnico, sul piano politico la cooperazione è stata fondamentale per
individuare i settori in cui vi fossero interessi comuni e rafforzare la sicurezza comune.
Quando nel 2005, i Ministri degli Esteri dell’NRC hanno riconosciuto che il traffico
illegale di droga costituiva una sfida fondamentale per la loro azione, generando
instabilità e insicurezza in Afghanistan, è stato creato un programma di formazione
comune per creare capacità anti-droga nella regione. Alla fine del 2007 l’obiettivo da
raggiungere prevedeva la completa formazione di 350 funzionari afgani e dei Paesi
centro-asiatici confinanti. 464
L’istituzione dell’NRC ha dato un notevole impulso al dialogo politico. I miglioramenti
si sono registrati, scrive Moreno, nei toni e nella qualità degli scambi tra i Paesi alleati e
la Russia, soprattutto, su questioni come i Balcani, l’Afghanistan e il Medio Oriente. Ma
anche su altri temi più controversi, ad esempio la valutazione delle crisi in Ucraina e
Georgia, che hanno dato luogo alle c.d. “rivoluzioni colorate”, e il tema della ratifica del
Trattato CFE. 465
Tuttavia, nel dossier per il Senato italiano, si afferma che, per ciò che attiene al dialogo
politico-strategico, il Consiglio NATO-Russia non ha apportato reali vantaggi. La
Russia credeva che attraverso il Consiglio sarebbero stati presi in considerazione dalla
NATO i suoi interessi specifici, ma emerge una delusione riguardo le questioni più
delicate, come l’eventuale adesione della Georgia e dell’Ucraina, oppure, lo
stanziamento delle truppe americane, nonché delle basi, in Bulgaria e Romania. La
percezione che il Consiglio NATO-Russia non sia adeguatamente valorizzato è diffusa
anche in alcuni membri europei della NATO, afferma il dossier, ed è in parte
dipendente dalla più generale incertezza circa il ruolo dell’Alleanza dopo la scomparsa
del Patto di Varsavia.466
Lo sviluppo dell’interazione attraverso il Consiglio NATO-Russia, afferma il Vice
Ministro Grushko, non significa che si giunga alla soluzione rapida di tutti i problemi:
462
NATO-Russia A pragmatic partnership, cit., p. 16.
Alexander Golts, Russia-NATO Relations, cit.
464
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, cit.
465
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, cit., pp. 289-290.
466
Ettore Greco, Riccardo Alcaro, Valerio Fabbri, Le relazioni della Russia con Europa e Stati Uniti sviluppi recenti e scenari futuri, cit., p. 13.
463
120
per esempio, abbiamo delle preoccupazioni in merito all’ammodernamento dell’infrastruttura
militare sul territorio dei Paesi Baltici dopo la loro adesione all’Alleanza. Non ci sono reali
minacce militari in questa zona, non si prevede nessuna crisi o nessun grande conflitto.467
L’NRC rappresenta un foro di dialogo per la discussione delle questioni di disaccordo,
come ad esempio, nel caso della decisione degli Stati Uniti di collocare un terzo sito di
difesa antimissile in Europa Centrale. USA e Russia si sono rivolti all’NRC per
affrontare la delicata questione. Il Consiglio decise per un rafforzamento della
cooperazione nelle difese dispiegate sul campo contro i missili di teatro e di tentare una
più vasta cooperazione nell’ambito della difesa missilistica. Per promuovere il dialogo e
la trasparenza, l’NRC decise di organizzare diverse riunioni ad alto livello nei quali si
doveva cercare di capire i piani USA e le preoccupazioni Russe. 468
Alla prima riunione del Consiglio di Sicurezza ONU dell’anno 2005, il Presidente russo
Putin, nel suo discorso, affrontava il tema della cooperazione nella sicurezza con i
propri partner, tra cui la NATO. Nel discorso, Putin giudica la cooperazione con la
NATO una scelta giusta e fruttuosa, che ha permesso alla Russia di migliorare la propria
posizione internazionale e di raggiungere alcuni obiettivi nazionali. Putin afferma di
considerare importante il lavoro svolto assieme nelle aree dove la Russia ha interessi di
lungo periodo, attraverso la lotta al terrorismo, alla proliferazione delle armi di
distruzione di massa e la lotta al traffico di droga e al crimine organizzato. In seguito
alla lotta contro il terrorismo internazionale in Afghanistan, afferma Putin, c’è stato un
incremento formidabile nella cooperazione fra la Russia e i membri della NATO. Le
relazioni fra questi attori, dichiara, sono già divenute un fattore reale di stabilità per la
sicurezza internazionale. Putin dice anche che chiaramente non sempre si condividono
tutti i punti di vista. Ad esempio, non ritiene giustificata l’espansione geografica della
NATO, anche considerando che storicamente la Russia ha avuto e ha, afferma Putin, un
ruolo di stabilizzazione nell’area della Comunità di Stati Indipendenti. 469 Anche il Vice
Ministro Grushko, a conclusione del suo articolo sui rapporti Russia-NATO,
considerando il tempo trascorso dalla Dichiarazione di Roma del 2002, si dichiara
convinto della scelta allora fatta verso una migliore qualità delle relazioni, e sulla
attualità della necessità del Consiglio NATO-Russia. 470
Il Presidente dell’NRC, riunito a livello di Ministri degli Esteri, nella Dichiarazione del
7 dicembre 2007, ribadisce l’importanza dell’NRC come unico foro di «sinceri e
dinamici scambi politici». Ricorda i motivi di disaccordo, che riguardano il Trattato
CFE, lo status finale del Kosovo e i problemi legati alla difesa missilistica. Ma
conferma l’impegno dei Ministri nella ricerca di soluzioni congiunte attraverso l’NRC.
Per tale motivo i Ministri dichiarano di concordare nell’ampliare e intensificare il
dialogo politico nell’NRC e lo scambio di vedute sui diversi problemi. I Ministri
riconoscono che la cooperazione pratica non è stata ancora raggiunta, tuttavia
apprezzano la continuazione dell’impegno della Russia nell’operazione Active Endevour
per il 2008-2009. Inoltre, apprezzando la positiva conclusione della prima fase del
Progetto Pilota dell’NRC per la formazione del personale afghano e dell’Asia centrale
contro il traffico di droga, i Ministri danno il via alla seconda fase del progetto. Essi poi
sottolineano l’importanza del progresso in altri campi, come nella cooperazione militare
e della difesa.471
A partire dal 2004 è stato elaborato un Piano d’azione sul terrorismo che prevede azioni
concrete per prevenire o gestire il fenomeno. Scrive Fritch, la Russia è divenuto in
467
Alexandr Viktorovich Grushko, Lo sviluppo dei rapporti tra la Russia e la NATO, cit., p. 48.
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, cit.
469
Vladimir Putin, Speech at the Security Council Meeting, 29 gennaio 2005, www.kremlin.ru
470
Alexandr Viktorovich Grushko, Lo sviluppo dei rapporti tra la Russia e la NATO, cit., p. 50.
471
Chairman’s Statement, Meeting of the NATO-Russia Council at the level of Foreign Ministers,
Bruxelles, 7 dicembre 2007, www.nato.int/docu/pr/2007/p07-131e.html
468
121
assoluto il primo Paese non membro della NATO a contribuire ad una operazione per la
difesa collettiva in base all’articolo 5, mentre, nel 2006, unità della marina russa hanno
partecipato al pattugliamento navale antiterrorismo che l’Alleanza svolge nel
Mediterraneo.472 Mosca ha siglato un Accordo sullo status delle forze (SOFA)
nell’ambito del PfP e consente a Germania e Francia di utilizzare un corridoio attraverso
il proprio territorio per i collegamenti con l’Afghanistan. 473
Il Segretario Generale della NATO, Scheffer, in veste di Presidente dell’NRC, nel
discorso tenuto all’Università di Stato di San Pietroburgo, il 25 giugno 2007, ha ribadito
l’importanza della cooperazione NATO-Russia. Essa, ha affermato, non è soltanto il
frutto del superamento dell’eredità del passato ma riguarda la costruzione di un futuro
sicuro, negli interessi della NATO e della Russia. Quest’ultima, ha detto Scheffer, è un
«ovvio e naturale» partner per la NATO, perché rappresenta una delle maggiori potenze
mondiali ed è indispensabile per affrontare le sfide della sicurezza, quanto la NATO. 474
Attraverso il Consiglio NATO-Russia si sono potuti superare i sospetti e le
incomprensioni del passato ottenendo risultati concreti, ha affermato Scheffer, ad
esempio, nell’interoperabilità delle forze e nella capacità di opporsi al terrorismo e
affrontare i disastri naturali. Tuttavia, l’importante non è guardare al passato, afferma,
ma impegnarsi per sviluppare il pieno potenziale della cooperazione, dato che nella
prossima decade non ci saranno meno sfide che in quella passata. Il Segretario Generale
conferma che la cooperazione è fondamentale per la costruzione della stabilità in
Afghanistan e nell’area attorno ad esso. 475
Nel giugno 2007, l’NRC si è riunito a San Pietroburgo e a Mosca per celebrare il suo
quinto anniversario. La Russia dispone di una rappresentanza nella sede della NATO e
di un ufficio militare presso SHAPE, il Comando alleato per le operazioni. Da parte sua,
la NATO ha un ufficio di collegamento militare ed un ufficio informazioni a Mosca. 476
9.5
IL TRATTATO CFE
Un altro importante argomento che emerge nelle relazioni NATO-Russia, riguarda il
Trattato sulle forze convenzionali in Europa (CFE), che comporta annose divergenze
giuridiche e politiche. Ci sono stati importanti risultati nel contesto della CFE, ovvero,
la distruzione di 60.000 unità di equipaggiamento pesante, che hanno reso impossibile
l’eventualità di un attacco militare su vasta scala in Europa. Oggi, afferma Fritch, la
NATO a 26 è meno armata di quella a 16 che esisteva nel 1990. Si tratta di un
argomento delicato che ha visto la Russia di Putin chiedere una “moratoria”
sull’attuazione del Trattato e una Conferenza straordinaria dei Paesi che vi aderiscono.
Gli alleati sono preoccupati per il rispetto da parte della Russia delle disposizioni del
Trattato, scrive Fritch. Il CFE è considerato dall’NRC un fondamentale pilastro della
sicurezza europea. 477
Il Vice Ministro Grushko afferma a riguardo che il Trattato CFE non corrisponde alla
realtà attuale e che, a causa della mancata attuazione dell’Accordo sulla sua revisione, si
rischia di perdere la vitalità del regime di controllo degli armamenti convenzionali. E
anch’egli lo considera: «una pietra angolare della sicurezza europea». Inoltre, dato il
raggiungimento delle intese russo-georgiane sulle basi militari, scrive Grushko, non si
472
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, cit.
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
474
Opening remarks by NATO Secretary General, Jaap De Hoop Scheffer at the NATO-Russia Council
Seminar “Modern risks and security threats: the role of the NRC”, San Pietroburgo, 25 giugno 2007,
www.nato.int/docu/2007/s07625a.html
475
Ibidem.
476
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
477
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, cit.
473
122
capisce quale sia la logica del temporeggiamento nella ratifica della revisione del
Trattato CFE.478
La Conferenza straordinaria si è riunita a Vienna, dal 12 al 15 giugno 2007.
Successivamente, il 14 luglio, la Federazione Russa ha annunciato la sospensione, a
partire dal 12 dicembre successivo, della sua partecipazione al Trattato, a tutto il regime
e ai documenti collegati. La NATO ha dichiarato di aver partecipato attivamente ai
lavori della Conferenza di Vienna e che, nonostante i tentativi, non è stato possibile
giungere a definire un documento finale, sebbene 25 dei 30 Stati partecipanti fossero
d’accordo sulla proposta dell’Alleanza. Tuttavia, la NATO si dichiara fermamente
impegnata nel rispetto del Trattato CFE, auspicando che tutte le parti facciano
altrettanto, in attesa che si giunga il prima possibile all’entrata in vigore dell’Accordo
sulla sua revisione.479
In un ulteriore comunicato del 12 dicembre 2007, la NATO si rammarica della
sospensione del Trattato CFE da parte della Russia, perché, come richiamato nel
comunicato del 7 dicembre, l’Alleanza ha lavorato insieme ad altri partner del Trattato
per risolvere la questione. L’Alleanza dichiara di continuare a dare massimo valore al
Trattato CFE considerandolo come una pietra d’angolo della sicurezza euro-atlantica.
Viene affermato che la sospensione unilaterale da parte della Federazione Russa non è
avvenuta a norma del Trattato e che l’Alleanza monitorerà l’applicazione delle norme
da parte della Russia e continuerà a riunirsi come previsto dal Trattato. Inoltre, chiede
alla Federazione Russa di rispondere agli sforzi, rispettando gli obblighi esistenti, e di
non compiere ulteriori passi che potrebbero compromettere il futuro del regime CFE.
Quindi, si incoraggia la Russia a collaborare con l’Alleanza per risolvere le questioni
rilevanti con gli Stati parte del Trattato.480
La situazione creatasi sulla questione del Trattato CFE, descritta in un articolo apparso
su International Affairs, è quella di un “blocco” che marcia contro la Russia. Non si può
desumere nessun’altra spiegazione, è scritto, dato che venuto meno il Patto di Varsavia,
molti degli ex-membri sono entrati nella NATO e il Trattato CFE continua virtualmente
ad esistere. I partecipanti al CFE hanno firmato nel 1999 un Accordo di Adattamento
del Trattato CFE ma, si legge nell’articolo, i gli alleati della NATO ne bloccano
l’entrata in vigore. Questa situazione sta minando la sicurezza e il clima di fiducia, che
si cerca di costruire insieme, tra la NATO e la Russia.481
Il fatto che i nuovi membri della NATO, come la Slovenia e gli Stati Baltici, afferma
Putin, nonostante accordi assunti precedentemente, non abbiano firmato il Trattato CFE,
crea una minaccia reale e una situazione imprevedibile per la Russia. Quindi, dichiara di
voler sospendere l’osservanza del Trattato fino a quando tutti i membri della NATO lo
ratificheranno e ne seguiranno le prescrizioni. Per Putin, è ora che gli altri partners
contribuiscano con i fatti, non solo con le parole, alla riduzione degli armamenti.
Propone di discutere la questione nel Consiglio NATO-Russia, dato che non si tratta di
una questione che riguarda i rapporti bilaterali Russia-USA ma interessa tutti i Paesi
europei. Putin dichiara che avrebbe preferito che la questione fosse discussa in sede
OSCE, dato che è una materia di competenza di questa organizzazione.482
Il Segretario Generale del NATO, in veste di Presidente dell’NRC, ha affermato che
esiste il comune interesse nel mantenimento della trasparenza e della prevedibilità nella
zona euro-atlantica. Il Trattato, dice Scheffer, è un punto di riferimento per la sicurezza
478
Alexandr Viktorovich Grushko, Lo sviluppo dei rapporti tra la Russia e la NATO, cit., p. 49.
NATO response to Russian announcement of intent to suspend obligations under the CFE Treaty, 16
luglio 2007, Press Release, www.nato.int/docu/pr/2007/p07-085e.html
480
Alliance’s statement on the Russian Federation’s “suspension” of its CFE obligations, 12 dicembre
2007, www.nato.int/docu/pr/2007/p07-139e.html
481
Anonymous, Russia in the Modern World, International Affairs, 53/2 (2007), p. 86.
482
Vladimir Putin, President Putin’s Annual Address, International Affairs, 53/2 (2007), p. 20.
479
123
dell’area e la NATO rimane impegnata nella costruzione di un punto di contatto sul
controllo delle armi convenzionali. Pertanto, bisogna discutere dei problemi a riguardo,
che interessano la Russia come la NATO, presso l’OSCE a Vienna o lo stesso Consiglio
NATO-Russia.483
Secondo Trenin, gli sforzi fatti nel campo della difesa contro i missili di teatro
sarebbero un buon modello da seguire per una cooperazione NATO-Russia nel campo
della difesa antimissile. Questa questione rappresenta sia un rischio che un’opportunità
per la Russia. Nel caso la Russia rimanga esclusa, il rischio è un’ondata anti-occidentale
nella politica di sicurezza e di difesa della Russia. L’opportunità consisterebbe nel
creare un’occasione di ulteriore integrazione e fiducia, attraverso un sistema condiviso
nell’ambito delle WMD, ovvero, la proposta del Presidente Putin alternativa al progetto
statunitense del sistema antimissile. 484
Per Putin, il Trattato CFE fu firmato dalla NATO e dal Patto di Varsavia nel 1990,
dunque, oggi avrebbe senso se il Patto di Varsavia esistesse ancora, mentre il suo
significato attuale sarebbe quello di imporre delle restrizioni allo sviluppo delle forze
convenzionali sul territorio russo. Questo è ciò che afferma il Presidente nel suo
Discorso Annuale del 2007. Una situazione simile, prosegue Putin, sarebbe difficile da
immaginare nei confronti del territorio americano, dunque, la Russia è essenzialmente
l’unico Paese che segue queste restrizioni. Gli altri partners non hanno ratificato il
Trattato di Adattamento citando gli Accordi di Istanbul sul ritiro delle truppe russe dalla
Georgia e dalla Transnistria. Oltre agli sforzi compiuti dalla Russia per risolvere questo
compito complesso, Putin afferma che il Trattato CFE non è legalmente riconducibile
agli Accordi di Istanbul. Pertanto, attraverso un pretesto per non ratificare il Trattato, gli
altri partners cercano di ottenere dei vantaggi da questa situazione, con la costruzione
del loro sistema militare di difesa missilistica presso il confine russo. 485
Già nel Patto Fondamentale del 1997, nella parte IV, si riconosceva l’importanza
dell’adattamento del Trattato CFE e del rispetto delle previsioni sul controllo delle armi
convenzionali. 486
9.6
LA DIFESA ANTIMISSILE
Un’analisi del dibattito sulle difese missilistiche, esposta in un articolo di Henry
Kissinger, sostiene che durante il periodo della guerra fredda la dottrina americana
della deterrenza basata sulla comune capacità dei contendenti di distruggersi
reciprocamente (Mutual Assured Destruction, MAD), provocando decine di milioni di
morti, condusse i Governi a cercare soluzioni diverse. Le tesi contrastanti tra chi
sosteneva che la MAD fosse un inutile spreco e chi riteneva che rendendo una guerra
nucleare più tollerabile si sarebbe avuta una maggiore probabilità della guerra stessa,
provocarono l’affossamento del progetto proposto nel 1969 dal Presidente Nixon. Nel
1972, l’Amministrazione Nixon negoziò il Trattato Anti-Missili Balistici (ABM) che
congelava le difese missilistiche delle due potenze. Ma l’evoluzione degli eventi, come
la dissoluzione dell’URSS, le nuove tecnologie e la proliferazione delle armi atomiche
negli Stati canaglia, portarono a riconsiderare le decisioni prese precedentemente.
Principalmente sulla base di questa nuova situazione, nel 2002, il Presidente
483
Opening remarks by NATO Secretary General, 25 giugno 2007, cit.
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
485
Vladimir Putin, President Putin’s Annual Address, cit., p. 19.
486
Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian
Federation, cit.
484
124
statunitense Bush decise per il ritiro dal Trattato ABM e per la costruzione di un sistema
di difesa missilistica globale. 487
La strategia americana riguarda l’introduzione di missili anti-missili in grado di
intercettare e distruggere eventuali missili balistici provenienti dai Paesi dell’asse del
male. Questo segna il superamento definitivo della tradizionale strategia della
deterrenza, caratteristica del sistema bipolare. Le ragioni di una tale scelta strategica,
scrive Antonio Ciarrapico, Ambasciatore e persona che ha ricoperto numerosi incarichi
in campo multilaterale, non è priva di motivazioni. Queste vengono ricondotte alla
natura imprevedibile, asimmetrica e non necessariamente razionale, delle nuove
minacce da parte di Stati canaglia o soggetti non statali del circuito del terrorismo
internazionale, contro i quali non si è mostrata efficace la possibilità di esercitare una
massiccia risposta nucleare (deterrence by punishment). La strategia degli Stati Uniti,
condivisa in linea generale dai membri della NATO, è rivolta a potenziare i sistemi di
difesa (deterrence by denial) utilizzando l’ampio spettro delle tecnologie disponibili e i
nuovi strumenti di pianificazione e di intelligence.488
L’argomento della difesa antimissile è ritornato alla ribalta delle discussioni a causa
della decisione di dispiegare parte della difesa antimissile americana in Polonia e nella
Repubblica Ceca. Questo atteggiamento ha provocato una reazione forte della Russia,
che non aveva quasi reagito alla precedente notizia del ritiro degli USA dal Trattato
ABM. La posizione della Russia consiste nel ritenere come obiettivo dello scudo la
neutralizzazione delle sue forze strategiche e non le minacce provenienti dall’Iran, come
invece sostiene Washington. Per affrontare questa situazione, la Russia ha proposto alla
NATO una stretta collaborazione contro la minaccia iraniana.489
Il sistema prevedeva una prima installazione di missili a Vanderberg, in Alaska, in fase
di avanzata sperimentazione ma non ancora pienamente operativi. Il loro scopo è
l’eventuale interdizione di missili provenienti dalla Corea del Nord, con la quale, nel
febbraio 2007, è stato raggiunto un accordo per il “congelamento” del programma
nucleare militare in cambio di aiuti nel settore energetico. In Polonia, il progetto
prevede l’installazione di dieci missili intercettori, mentre un sistema di avvistamento
radar è previsto nella Repubblica Ceca. Questo riguarderebbe la difesa dalla minaccia
nucleare iraniana, laddove l’Iran si mostra contraddittorio e non trasparente, a detta del
Direttore dell’AIEA, Mohamed el Baradei. Tuttavia, sebbene in Iran l’iniziativa
americana non abbia prodotto reazioni significative, Mosca l’ha giudicata come un
tentativo di alterare gli equilibri strategici, già compromessi a causa dell’allargamento a
Est della NATO e dall’installazione di basi militari americane nel Caucaso. 490
In un articolo pubblicato dal Centre for Analysis of Strategies and Technologies
(CAST) di Mosca sulla propria rivista periodica online, Moscow Defense Brief, si da il
punto di vista russo sulla questione della difesa missilistica. L’America viene indicata
come superpotenza in un mondo unipolare, che spende nella difesa più che le altre
nazioni messe insieme e che dispone di forze dislocate intorno al mondo in una logistica
aggressiva, in grado di proiettare la potenza americana in ogni angolo del mondo. Per
quanto si possa prevedere in futuro, afferma l’autore, nessuno Stato è in grado di
minacciare la posizione degli USA e questa situazione per essi vantaggiosa viene
mantenuta attraverso una politica estera che cerca di preservare questa posizione,
laddove la c.d. “dottrina Bush”, criticata da alcuni per il suo unilateralismo, sarebbe
l’espressione naturale della tradizione americana. Secondo Barabanov, la strategia
487
Henry A. Kissinger, La Russia, gli Stati Uniti e la difesa missilistica, Affari Esteri, a. XXXIX, n. 156
(2007), pp. 794-795.
488
Antonio Ciarrapico, I missili antimissili ed i dilemmi di Putin, Affari Esteri, a. XXXIX, n. 156 (2007),
pp. 798-799.
489
Henry A. Kissinger, La Russia, gli Stati Uniti e la difesa missilistica, cit., pp. 794-796.
490
Antonio Ciarrapico, I missili antimissili ed i dilemmi di Putin, cit., pp. 799-800.
125
americana volta a eliminare la possibilità per altri Stati di infliggere danni significativi
sul proprio territorio può essere minacciata seriamente solamente dalla forza nucleare di
cui la Russia continua a disporre. Essendo la prevenzione la chiave della strategia
americana, diventa strategica l’espansione del sistema militare. 491
In un suo recente articolo, Pietro Sinatti, esperto di problemi russi, ha scritto che
Washington ha cercato di rassicurare Mosca diverse volte sul fatto che il sistema di
difesa non è costruito contro la Russia ma a protezione dell’Europa e degli USA da
attacchi missilistici da parte di Stati canaglia. Nella visita del 23 aprile 2007 a Mosca
del nuovo Segretario americano alla Difesa Robert Gates, i russi sono stati invitati a
visitare gli impianti in Alaska e quelli che saranno costruiti in Polonia e Repubblica
Ceca. Per Sinatti, la Russia è stata invitata a condividere la difesa antimissilistica in
Europa. L’invito è stato respinto perché, come ha affermato il nuovo Ministro alla
Difesa Anatolij Serdjukov, il sistema crea destabilizzazione con un impatto regionale e
globale sulla sicurezza. Posizione ribadita anche da Putin. La sfiducia deriverebbe dal
fatto che Mosca non è stata consultata al momento della decisione di installare lo scudo
spaziale. Inoltre, i dieci missili intercettori e il radar si troveranno a ridosso della
frontiera russa. Parrebbe poi essere improbabile un attacco da parte dell’Iran o della
Corea del Nord, anche per il fatto che per almeno un decennio essi non disporranno di
missili intercontinentali. Gli Stati Uniti non considerano, scrive Sinatti, il senso di
accerchiamento e la pressione che ne deriva alla Russia, causata dall’espansione ad Est
dell’Alleanza, aggravata dall’ipotesi di annessione di Georgia, Ucraina e Azerbaijan.492
Per Kissinger la sfida più urgente è lo scudo spaziale, che non può essere messo in
discussione. Occorre che gli Stati Uniti limitino il dispiegamento trovando un modo per
«separare la difesa missilistica in Europa centrale da una strategia per un’ipotetica e
altamente improbabile guerra contro la Russia», e prendere in considerazione la
proposta russa. 493
A livello europeo, solo la Francia e la Germania hanno espresso riserve sullo scudo
missilistico. In particolare, il Cancelliere e Presidente di turno dell’Unione Europea
Angela Merkel, ha dichiarato, nel marzo 2007, che Washington non doveva decidere la
questione attraverso accordi bilaterali. 494
In una conferenza stampa nell’aprile successivo, il Segretario Generale della NATO
Scheffer ha affermato che gli alleati sono convinti che il sistema di difesa missilistica
statunitense non generi conseguenze sulla stabilità. Dieci intercettori non possono avere
effetti sull’equilibrio attuale o minacciare la Russia, afferma Scheffer. La Russia ha
d’altra parte espresso le proprie convinzioni ed è nato qualche atrito. Questo non
significa che il dialogo all’interno dell’NRC non continui. Inoltre, su domanda di un
giornalista della Reuter, Scheffer ha ribadito che si tratta di un sistema statunitense che,
tuttavia, permetterà di avere una copertura totale a lungo raggio. In risposta ad un’altra
domanda, Scheffer afferma che il sistema statunitense coprirà il territorio NATO
europeo a lungo raggio, determinando per alcuni Stati un debole guadagno. Questi,
però, beneficiano di una copertura a corto e medio raggio. Il guadagno per la NATO,
dice Scheffer, riguarda il fatto che essa non dovrà sviluppare un sistema contro la
minaccia di missili balistici. Un’altra domanda poneva la questione dell’assicurazione,
per la Russia, che in futuro non verranno installati altri missili. La risposta del
Segretario Generale è stata riassunta col termine “verifica”, ovvero, attraverso i controlli
nei siti. Ma riguardo le garanzie alla Russia, il Segretario risponde che nessuno ha il
diritto di interferire sulle decisioni della NATO e che il processo è stato portato avanti
491
Mikhail Barabanov, US Missile Defense In Eastern Europe: The View From Russia, Moscow Defense
Brief, 3/2007, mdb.cast.ru/
492
Piero Sinatti, La Russia e i rapporti Est-Ovest, Affari Esteri, a. XXXIX, n. 155 (2007), pp. 510-511.
493
Henry A. Kissinger, La Russia, gli Stati Uniti e la difesa missilistica, cit., p. 797.
494
Piero Sinatti, La Russia e i rapporti Est-Ovest, cit., p. 511.
126
in maniera trasparente. D’altra parte i russi non hanno richiesto concessioni e,
comunque, afferma Scheffer, questo è il progetto.495
Kissinger ricorda come la Russia fu pioniera nel dispiegare difese missilistiche attorno
alla sua capitale alla metà degli anni Sessanta e considera il dibattito un riproporsi degli
atteggiamenti tradizionalmente avuti dalle parti. Tuttavia, vede nell’atteggiamento
odierno di Putin un risentimento per l’avanzata della NATO, a dispetto di quelle che
egli considerava delle assicurazioni che ciò non sarebbe avvenuto. Oltre la dura
campagna che ha posto in essere contro il progetto statunitense, Putin ha proposto
un’alternativa «interessante» che consiste nel legare al sistema di difesa missilistica
occidentale le installazioni radar in Azerbaijan e nella Russia meridionale, contro
l’Iran. Per Kissinger:
la proposta così come è stata formulata è inaccettabile, [tuttavia] contiene una visione di come
migliorare la gestione degli interessi strategici paralleli, che potrebbe creare un precedente per
superare altre sfide globali. Mosca deve capire che la sua richiesta di essere presa sul serio è
496
stata accolta e che le minacce non sono la strada per raggiungere i suoi scopi.
Per quanto riguarda la reale portata dell’iniziativa americana, scrive Ciarrapico, essa è
molto più modesta dello scudo spaziale reganiano, anche perché gli intercettori previsti
in Polonia non sono vettori esplosivi. Pertanto, l’iniziativa non pregiudicherebbe il
potere deterrente russo, ovvero, migliaia di missili che possono essere lanciati, oltre che
da terra, anche da sommergibili nucleari e da bombardieri strategici. Dunque, afferma
Ciarrapico, si tratta di un problema di natura fondamentalmente politica. Molti
osservatori internazionali ritengono che le preoccupazioni russe abbiano motivazioni da
ricollegare alla politica interna, ovvero, all’atteggiamento di Putin, che gli ha consentito
di guadagnare vasti consensi presso la propria opinione pubblica, basato sugli elementi
prevalenti della cultura politica russa, scrive Ciarrapico, come l’autoritarismo e il
nazionalismo. Mentre sono ritenute credibili le preoccupazioni di Mosca circa il timore
di un’ulteriore espansione dell’egemonia americana ai danni della Russia. 497
Afferma Ezio Bonsignore:
Oggi, come 30 anni fa, la crisi si innesca quando una superpotenza fa una mossa – lo
spiegamento dei missili sovietici di teatro SS-20 nel 1977 e l’annunciato spiegamento degli
intercettori Bmd americani nel 2007 – che è deliberatamente indirizzata ad alterare lo status quo
strategico esistente, portando a un sostanziale cambiamento degli equilibri di forza. Oggi, come
30 anni fa, l’altra superpotenza non può in alcun modo accettare di veder minati i pilastri
fondamentali della sua posizione strategica e mette immediatamente in atto tutte le contromisure
a sua disposizione. E oggi come trent’anni fa, gli Europei restano intrappolati nel mezzo di una
disputa, che viene combattuta bene al di sopra delle loro teste e che essi possono influenzare
solo entro certi limiti, ma che rimette i gioco i loro interessi di sicurezza più basilari. 498
Sebbene le installazioni militari, scrive Barabanov, non siano in grado di fare fronte alla
forza nucleare russa, esse potrebbero rappresentare una prima fase di un sistema più
ampio in grado di intercettare i missili diretti sul territorio americano. Servono, inoltre,
per neutralizzare la risposta nordcoreana e iraniana alla pressione o minaccia americana.
Dal punto di vista russo, non c’è differenza tra la politica americana verso la Corea del
Nord e l’Iran e quella nei confronti della Russia. Per la Russia, l’installazione dei missili
antimissile in Europa significa il totale rifiuto dell’influenza russa nell’Europa orientale
e altrove, confermando la sfera di influenza americana a livello globale. In questo modo,
secondo Barabanov, la Repubblica Ceca e la Polonia dimostrerebbero di essere diventati
495
Presse conference by NATO Secretary General, Jaap de Hoop Scheffer after reinforced meetings of
the North Atlantic Council and the NATO-Russia Council discussing missile defence, Bruxelles, 19 aprile
2007, www.nato.int/docu/speech/2007/s070419a.html
496
Henry A. Kissinger, La Russia, gli Stati Uniti e la difesa missilistica, cit., p. 796.
497
Antonio Ciarrapico, I missili antimissili ed i dilemmi di Putin, Affari cit., pp. 801-802.
498
Ezio Bonsignore, Usa-Russia, dopo 30 anni un’altra crisi Euromissili, cit.
127
bastioni degli interessi americani in Europa, contro la Russia e l’Europa Occidentale.
Questa politica avrebbe poco a che fare con i sentimenti antisovietici in Europa
orientale ma riguarderebbe la scelta dei Paesi Baltici e dell’Europa orientale di sostenere
il confronto con la Russia. Essi sono coscienti del loro valore geopolitico come basi per
le operazioni e di zona cuscinetto contro la Russia. I loro Governi, sostiene Barabanov,
hanno calcolato che i benefici derivanti dai finanziamenti americani sono superiori al
peggioramento delle relazioni con la Russia. Da parte sua, la Russia deve dimostrare
l’erroneità di un simile calcolo e quanto il livello di sicurezza nell’Europa orientale
soffrirà a causa di questo progetto aggressivo.499
Sebbene l’iniziativa nella Repubblica Ceca e in Polonia sia americana, essa si ricollega
alla ricerca di uno standard più elevato di sicurezza di fronte alle nuove minacce da
parte dei membri dell’Alleanza Atlantica. Occorre quindi inquadrarla nell’ambito delle
iniziative della NATO, che sta preparando due progetti, nello spirito del principio
dell’indivisibilità della sicurezza degli alleati. In questo senso l’iniziativa americana è
inadeguata, nell’ottica dell’Alleanza, perché non copre il Mediterraneo orientale (Grecia
e Turchia). Il progetto ALTBMD (Active Layered Ballistic Missile Defence) si occupa
della difesa delle forze armate dei Paesi alleati contro la minaccia dei missili di teatro ed
è già nella fase realizzativa. Ha costi limati perché utilizza assetti già esistenti e si
occupa di integrare sotto un unico comando gli assetti missilistici alleati. Il secondo
progetto è in fase di studio e si occupa della difesa delle città europee e nordamericane
con popolazione al di sopra dei 125 mila abitanti. Il collegamento con l’iniziativa
americana fa apparire come sede naturale delle discussioni, secondo Ciarrapico, il
Consiglio NATO-Russia, in cui trattative bilaterali fra Stati Uniti e Russia sono già state
intraprese ma senza apprezzabili progressi. Le proposte americane di collaborazione e
ispezione non sono state accettate come, viceversa, le proposte russe di spostare lo
scudo antimissili in Azerbaijan o nell’enclave russa di Kaliningrad, che avrebbero dato
a Mosca un potere di veto sul suo impiego. A causa dell’insoddisfazione russa circa le
assicurazioni statunitensi, Mosca ha anche sospeso l’applicazione del Trattato CFE e ha
ripreso le ricognizioni affidate a bombardieri strategici. Utilizzando la propria influenza
nel campo energetico, afferma Ciarrapico, cerca di alimentare il dissidio fra Europa e
Stati Uniti.500
9.7
TENSIONE NEI RAPPORTI
Pierre Lellouche, Presidente dell’Assemblea Parlamentare della NATO (NPA),
riferendosi alle sfide che l’Alleanza si trova a dover affrontare in futuro, in particolare il
consolidamento della democrazia, affermava in un articolo sulla Rivista della NATO:
Se il progresso della democrazia può essere contagioso, allora la reazione può esserlo
altrettanto. Per molti anni la NPA ha cercato di stabilire dei normali rapporti con la controparte
russa discutendo con i colleghi russi della Duma nella Commissione NATO-Russia, che è
l’equivalente parlamentare del Consiglio NATO-Russia. Non possiamo mancare di constatare il
crescente tono anti-democratico ed anti-occidentale delle dichiarazioni fatte dai nostri colleghi
russi, qualcosa che rispecchia ciò che è stato descritto come un crescente “divario di valori”. E
se la retorica va deteriorandosi, si sono anche determinate preoccupanti divergenze di interessi
su una vasta serie di questioni attinenti la politica interna ed estera russa, tra cui la mancanza di
un ordinamento giudiziario indipendente, attacchi alla libertà di stampa, crescenti
499
500
Mikhail Barabanov, US Missile Defense In Eastern Europe: The View From Russia, cit.
Antonio Ciarrapico, I missili antimissili ed i dilemmi di Putin, cit., pp. 803-805.
128
preoccupazioni riguardanti la sicurezza energetica, la questione nucleare iraniana e i tentativi di
Mosca di ripristinare la propria influenza – spesso in modo assai brutale – sul suo ex impero.501
I rapporti con l’Occidente sono peggiorati, scrive Sinatti, da quando la Russia, grande
protagonista nello scenario energetico mondiale, ha ripreso le proprie aspirazioni a
riconquistare un posto e un’iniziativa autonomi di grande potenza globale, entrando in
collisione con gli interessi degli Stati Uniti. 502
Il futuro, secondo Fritch, è mettere insieme ciò che è stato fatto nelle due fasi precedenti
dei rapporti NATO-Russia. Se nella prima fase ci si è preoccupati di creare fiducia e
trasparenza, e nella seconda fase ci si è impegnati nelle sfide del futuro, ora occorre
puntare simultaneamente al raggiungimento di entrambi gli obiettivi, per ottenere una
valida cooperazione basata su reciproca fiducia.503 Dello stesso avviso è anche
l’Ambasciatore Moreno. Nonostante le divergenze, afferma, si è andata consolidando
l’idea di un reciproco bisogno l’uno dell’altra. Le sfide potranno essere affrontate «se
prevarrà la prospettiva del dialogo aperto e della fiducia reciproca, portando avanti con
successo la cooperazione sui temi di comune interesse».504
Molti ufficiali russi guardano alla NATO con sospetto. Lo stesso Ministro alla Difesa
Sergey Ivanov, pur ritenendo che la cooperazione è molto aumentata dal 2000 al 2005,
non credeva nella possibilità di integrare le rispettive forze. Di questo parere sarebbero
molti generali russi a causa del modo aggressivo di porsi della NATO, considerata un
“avversario globale”. Anche nel documento del Ministro della Difesa del 2003, il c.d.
“libro bianco”, da una parte si affermava che la Russia doveva sviluppare una
cooperazione militare con gli Stati Uniti, e dall’altra, che la NATO, in cui gli USA
hanno un ruolo di leader, perseguiva una politica estera aggressiva che doveva essere
respinta. 505
Dal 2003 la politica estera di Mosca è divenuta sempre più indipendente e rivendicativa,
afferma Trenin, pertanto le relazioni fra la Russia e la NATO si sono progressivamente
guastate. La situazione attuale è caratterizzata da una fondamentale ambivalenza, in
quanto la Russia considera la NATO come un “fattore geopolitico” anziché un partner.
Gli aspetti considerati particolarmente negativi sono: il fatto che la Georgia e l’Ucraina
diventino membri dell’Alleanza; l’uso temporaneo, a rotazione, da parte degli Stati
Uniti delle esistenti strutture militari in Bulgaria e Romania; ma soprattutto, i
dispiegamenti previsti in Polonia e nella Repubblica Ceca di elementi del sistema
statunitense di difesa contro i missili balistici.506
Un motivo d’atrito tra l’Alleanza e la Russia, dunque, riguarda l’ingresso nella NATO
delle ex-Repubbliche sovietiche della Georgia, Ucraina e Moldova con l’instaurazione
di basi militari in prossimità del confine russo. Per la Russia l’ingresso delle exRepubbliche sovietiche nell’Alleanza non è legato a motivi di sicurezza ma è visto in
funzione dell’integrazione nelle strutture europee, come dimostrerebbero i criteri
d’ingresso molto più politici che militari; ad esempio, l’essere una democrazia e avere
un controllo del potere civile su quello militare. Considerando questi criteri
inaccettabili, la Russia ha dichiarato spesso di non voler entrare nella NATO. 507
La Georgia ospita una missione militare NATO presso Tblisi adibita anche
all’addestramento delle Forze armate georgiane. Nel febbraio 2006, alla Conferenza di
Monaco, il Presidente Saakashvili era stato rassicurato dal Segretario alla Difesa
501
Pierre Lellouche, Dove è diretta la NATO?, Rivista della NATO, Inverno 2006,
www.nato.int/docu/review/2006/issue4/italian/art4.html
502
Piero Sinatti, Fulton, Cheney e Putin, Affari Esteri, a. XXXVIII, n. 151 (2006), p. 474.
503
Paul Fritch, Il partenariato NATO-Russia: c’è ben più di quanto non sembri, cit.
504
Maurizio Moreno, La cooperazione NATO-Russia, cit., p. 290.
505
Alexander Golts, Russia-NATO Relations: Between Cooperation and Confrontation, cit.
506
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
507
Alexander Golts, Russia-NATO Relations: Between Cooperation and Confrontation, cit.
129
Rumsfeld circa l’ingresso della Georgia nella NATO. La Georgia ha manifestato più
volte l’intenzione di uscire dalla CSI e ha invitato l’Ucraina a fare lo stesso. Gli USA
puntano anche sull’Azerbaijan, importante produttore di petrolio e gas nell’area caspica.
A partire dal 2005 è entrato in funzione l’oleodotto azero-georgiano-turco, c.d. BakuTblisi-Ceyhan, per il trasporto del greggio verso l’occidente senza l’attraversamento del
territorio russo. Inoltre, sia la Georgia che l’Azerbaijan potrebbero fungere da basi
avanzate per un eventuale attacco all’Iran. 508
In riferimento all’allargamento dell’Alleanza, la Russia dovrebbe, ritiene Trenin,
lasciare la decisione dell’adesione ai soli Paesi interessati, poiché ogni suo intervento
sarebbe controproducente. Pertanto, continua, appare sensata la posizione ufficiale del
Cremlino che considera l’adesione all’Alleanza come un diritto sovrano di ciascun
singolo Paese, concentrando l’attenzione sulla gestione della sicurezza da parte della
Russia. Molto più che per la Georgia, afferma l’autore, la NATO dovrebbe ammettere
che l’adesione dell’Ucraina è potenzialmente destabilizzante. 509
L’Ucraina ha istituito una missione diplomatica presso la NATO a partire dal 1997,
quando al Vertice di Madrid fu siglata la partnership speciale e il Consiglio NATOUcraina (NUC). Tuttavia, l’inizio delle relazioni risale al 1991, con l’ingresso
nell’EAPC, e nel 1994, quando fu il primo Paese dei CIS ad entrare nella PfP. Nel 2002,
il Presidente Kuchma annunciò l’intenzione di un eventuale ingresso nella NATO e nel
2005 iniziò il Dialogo Intensificato per la membership.510
L’attuale Governo ucraino guidato da Yulia Tymoshenko, ha fissato fra gli obiettivi di
politica estera l’adesione alla NATO, che rappresenta una questione rilevante per la
collocazione geopolitica dell’Ucraina. L’accelerazione del processo ha provocato una
forte reazione dell’opposizione, tra cui si trova il cartello filo-russo, che ha bloccato i
lavori parlamentari. I vertici istituzionali del Paese hanno chiesto di partecipare al
Membership Action Plan, il programma avanzato di cooperazione con la NATO, che
precede l’eventuale adesione. Inoltre, è stato chiesto di occuparsi della questione al
prossimo Vertice a Bucarest, il 2-4 aprile 2008, nel quale verrà probabilmente
ufficializzato l’invito ad aderire a Croazia, Albania e Macedonia. Un referendum tenuto
il 5 gennaio scorso ha decretato una maggioranza schiacciante a favore dell’adesione.
Fra i maggiori sostenitori all’adesione vi sono i Paesi Baltici e la Polonia, nonché gli
Stati Uniti. Mosca, da parte sua, ha reagito duramente all’accelerazione del processo.
Putin ha minacciato di puntare i missili sull’Ucraina se vi sarà l’ingresso nella NATO.
Oltre alla crisi del gas, Mosca ha interessi in Crimea, dove un accordo ventennale è
stato siglato nel 1997 permettendo il mantenimento della flotta russa nel Mar Nero. Se
l’intesa non fosse rinnovata, Mosca perderebbe la proiezione nel Mar Mediterraneo.
Inoltre, si dovrebbe considerare la stretta integrazione fra gli apparati militari industriali
russi e ucraini.511
Nella conferenza stampa sull’anno 2007, alla domanda sulla questione del volo a bassa
quota di un bombardiere russo dalla portaerei Nimiz, posta da un giornalista di Fox
News, Putin ha risposto che non c’è nessuna ipotesi di confrontazione all’orizzonte e
che spera non vi sarà in futuro. Tuttavia, ricorda che l’aviazione militare americana non
ha mai smesso di compiere le proprie esercitazioni nei pressi dei confini russi
dell’Alaska negli ultimi 15 anni, mentre la Russia lo ha fatto nel 1987. Si tratterebbe
solo di una dimostrazione delle grandi capacità delle Forze Armate russe e della
normale opera di formazione dei piloti. Inoltre, da parte americana la reazione al
508
Piero Sinatti, Fulton, Cheney e Putin, cit., p. 473.
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
510
NATO-Ukraine, a Distinctive Partnership, www.nato.int/docu/nato-ukraine/nato-ukraine2007-e.pdf,
pp. 3-5.
511
Giovanni Casa, Un’anima divisa in due, 06 marzo 2008,
www.affariinternazionali.it/stampa.asp?ID=755
509
130
rilancio dell’operazione di pattugliamento strategico è stata serena. Sulla questione della
possibilità di puntare dei missili verso l’Ucraina, Putin ha affermato che non verranno
ripuntati i missili contro nessuno a meno che non sia estremamente necessario. La
democrazia, afferma, è un concetto universale e i Paesi che la richiamano devono
applicarla sia al proprio interno che a livello internazionale. Putin si domanda se
qualcuno ha domandato alla popolazione della Repubblica Ceca o della Polonia cosa ne
pensa dell’installazione del sistema di difesa sul proprio Paese e dice di essere a
conoscenza che la maggioranza di essi non è favorevole. Gli esperti e i vertici militari
russi sostengono che si tratta di una minaccia per la sicurezza nazionale, pertanto, se si
realizzerà, la Russia dovrà rispondere in maniera adeguata, ovvero, sarà costretta a
ripuntare i missili. Putin afferma che la Russia ha informato gli altri Paesi su quali
saranno le conseguenze che si produrranno con l’installazione del sistema di difesa ma
che nessuno ha ascoltato l’avvertimento. La NATO stessa non avrebbe chiesto
l’opinione delle popolazioni dei Paesi coinvolti. In Ucraina, afferma Putin, la
maggioranza della popolazione non è favorevole all’ingresso nella NATO. E si
domanda se è questa la democrazia di cui parlano gli occidentali. Infine, dichiara che
non è nella volontà della Russia creare una tale situazione di tensione ma occorre
parlare chiaramente in modo che in seguito nessuno provi a scaricare le responsabilità
sui russi.512
In merito alla questione del conflitto congelato in Moldavia sul Dniester, essa è
importante perché offre l’opportunità di avviare la prima operazione di mantenimento
della pace in cui la Russia e la NATO saranno partner alla pari. Inoltre, sarebbe
un’operazione che coinvolgerebbe poche centinaia di uomini, tra militari e forze di
polizia. Per una soluzione in Moldavia, la quale ha riaffermato la propria volontà di non
aderire alla NATO, il ruolo della Russia è indispensabile. Soprattutto, potrebbe crearsi,
scrive Trenin, un “modello Moldavia”, caratterizzato da un interesse russo a trovare una
soluzione, tuttavia, non in grado di risolverla unilateralmente, applicabile in altre
missioni congiunte, verosimilmente nel Caucaso meridionale. Questa rappresenta,
sostiene Trenin, l’area ideale dove mettere in pratica l’interoperabilità delle forze. 513
Dal punto di vista russo, i principali intoppi nella cooperazione pratica fra le forze
NATO e quelle della Russia potrebbero essere provocati dal fatto che le due parti
starebbero costruendo una forza armata orientata in maniera diversa e per conflitti
differenti. Mentre da parte della NATO, secondo l’analisi militare russa, non c’è più il
bisogno di una forza di difesa su larga scala come vi era al tempo della minaccia
sovietica, i russi hanno mantenuto le proprie forze orientate per lo stesso scenario di
combattimento dal 1999. Non ci sarebbero risultati nello sviluppo delle riforme militari
in Russia, dunque, perché i generali russi ritengono che le riforme militari siano già
state sufficientemente completate. 514
Nella dichiarazione iniziale dell’incontro del luglio 2007 fra Putin e il Segretario
Generale della NATO Jaap De Hoop Scheffer, il Presidente Putin ha ricordato il decimo
anniversario dell’ Atto Fondatore e il quinto del Trattato di Roma che ha istituito
l’NRC, sottolineando che i rapporti sono cambiati drammaticamente in tale breve
periodo, andando dalla confrontazione alla cooperazione. Questo ampio tentativo di
collaborazione non può non creare dei contrasti, afferma Putin; tuttavia, ritiene che il
dialogo NATO-Russia contribuisca a risolvere problemi di sicurezza internazionale e
rafforzi la pace. Il Segretario Generale sottolinea due punti chiave nei rapporti reciproci:
primo, gli investimenti fatti nel dialogo e il contributo personale; secondo, la
cooperazione e la comunicazione. Occorre, afferma Scheffer, guardare al futuro per
512
Transcript of Annual Big Press Conference, Mosca, 14 febbraio 2008,
www.kremlin.ru/eng/text/speeches/2008/02/14/1011_type82915_160266.shtml
513
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
514
Alexander Golts, Russia-NATO Relations: Between Cooperation and Confrontation, cit.
131
mantenere le relazioni in buona salute, perché la NATO non può fare senza la Russia e
la Russia senza un partner come la NATO.515
Questo è un concetto che spesso viene ribadito. Ad esempio, il Rappresentante
Permanente della Federazione Russa alla NATO, Totskiy, in merito ai cambiamenti in
atto e alla collaborazione, affermava: «vi è un interesse comune: la NATO ha bisogno
della Russia e la Russia ha bisogno della NATO». Si dichiara convinto che attraverso la
cooperazione con l’Alleanza Atlantica e l’utilizzo degli strumenti messi a disposizione
dal Consiglio NATO-Russia, la Russia non potrà che rafforzare la propria sicurezza.516
In una conferenza stampa fra Putin e Yushchenko, del 12 febbraio 2008, alla domanda
se la Russia pensa di riconsiderare la decisione dell’Ucraina di entrare nella NATO,
Putin risponde che la Russia cerca di stringere buoni rapporti con tutti i Paesi e le
organizzazioni del mondo, ma non intende entrare nella NATO perché comporterebbe
delle limitazioni alla propria sovranità. Se l’Ucraina vuole porre dei limiti alla propria
sovranità, afferma Putin, è una sua scelta e la Russia non ha diritto di intervenire in
questo affare. Tuttavia, il fatto che si sta creando un sistema di difesa missilistico
nell’Europa dell’Est spinge la Russia ad adottare contromisure. E si può ipotizzare,
continua Putin, che questo sistema possa essere esteso al territorio ucraino. Yushchenko
ribadisce il diritto di ogni nazione di decidere le proprie politiche di difesa e di
sicurezza, ma afferma che la costituzione ucraina non permette la possibilità di
installare basi straniere sul proprio territorio. Concorda con Putin, che occorre un
dialogo per la comprensione reciproca. Inoltre, afferma che nessuna azione dell’Ucraina
nell’area è diretta contro un Paese terzo, men che meno verso la Russia.517
Si possono individuare tre categorie di risultati, afferma il Segretario Generale, che
possono essere raggiunti attraverso la cooperazione NATO-Russia. Innanzitutto,
riguardo le questioni sulle quali esiste già un accordo per la cooperazione ma in cui si
può fare meglio, come nel campo della interoperabilità nelle missioni di pace. In
secondo luogo, nelle questioni che provocano spesso disaccordo, attraverso un’ottica di
lungo periodo si può trovare un interesse comune, come nella questione della difesa
missilistica, anche semplicemente trovando un accordo nell’essere in disaccordo, dice
Scheffer. Infine, ci sono le materie in cui non è stato possibile trovare un accordo, come
l’allargamento della NATO. Esso è considerato in Russia, dice Sheffer, un fatto che si
scontra con gli interessi nazionali. Ma, continua il Segretario Generale, si basa sul
concetto che ogni Paese è libero di decidere il proprio allineamento nel campo della
sicurezza. La NATO e la Russia non possono che trarre benefici da un’Europa unita e
libera, più democratica, stabile e sicura. Il Segretario afferma che il processo di
allargamento è avvenuto in maniera trasparente sia dal punto di vista politico che
militare. Inoltre, gli alleati rimangono aperti a discutere il processo con la Russia e
nell’NRC. In conclusione, Scheffer dice che la parola “impegno” (engagement) è, e
dovrebbe essere, la parola chiave tra NATO e Russia. 518 L’ampliamento dell’Unione
Europea e della NATO hanno creato tensioni nei rapporti fra Bruxelles, Washington e
Mosca. Ad esempio, perché attraverso lo strumento del veto, nel processo decisionale
dell’UE, i Governi dell’Europa orientale sono in grado di condizionare le relazioni con
la Russia e con gli Stati Uniti.519
Per Aleksey Obukhov, Ambasciatore della Federazione Russa, sono due i principali
problemi nei rapporti NATO-Russia. Innanzitutto, nel campo della sicurezza e della
515
Beginnin of the Meeting with NATO Secretary General Jaap De Hoop Scheffer, Mosca, 26 luglio
2007, www.kremlin.ru
516
K. V. Totskiy, Le relazioni tra la Russia e la NATO, Affari Esteri, a. XXXVII, n. 146 (2006), p. 357.
517
Press Conference following Talks with President of Ukraine Viktor Yushchenko and the Second
Meeting of the Russian-Ukrainian Intergovernmental Commission, Mosca, 12 febbraio 2008,
ww.kremlin.ru
518
Opening remarks by NATO Secretary General, 25 giugno 2007, cit.
519
Piero Sinatti, La Russia e i rapporti Est-Ovest, cit., p. 508.
132
lotta al terrorismo internazionale la Russia deve tener conto, afferma Obukhov, della
propria sicurezza. La questione dell’impasse nel dialogo sul Trattato CFE non sarebbe
imputabile alla Russia perché nulla è stato fatto per costruire fiducia e prevenire attività
militari pericolose ai confini dell’area NATO con la Russia. La NATO modernizza le
basi militari dei Paesi Baltici e staziona le proprie truppe in Romania e Bulgaria. Inoltre,
per l’Ambasciatore, il piano di stazionamento di parte del sistema di difesa missilistica
statunitense ha indotto la Russia a riconsiderare la cooperazione con la NATO nel
campo dei missili di teatro. Come seconda questione, afferma Obukhov, suscita tensioni
l’espansione ad Est della NATO nei territori della CIS, che va a scontrarsi con la
politica russa di sviluppo economico e cooperazione con quei Paesi. Afferma
l’Ambasciatore che l’espansione della NATO ad Est è la dimostrazione dell’idea
occidentale che la politica russa si scontra con la neo-acquisita sovranità di quei Paesi,
che avrebbero quindi bisogno di protezione. Un retaggio del periodo della
confrontazione, secondo Obukhov. Mosca, afferma, non ha progetti malvagi nei
confronti dei Paesi della CIS, con i quali condivide interessi e cultura, e intende
sviluppare rapporti reciprocamente vantaggiosi con i suoi vicini. Questo non è un
motivo, dichiara l’Ambasciatore, per essere sospettosi o costruire una barriera per
isolare la Russia. Conclude, quindi, affermando che l’Occidente deve imparare a trattare
la nuova Russia democratica come una grande potenza con interessi legittimi e una
diplomazia indipendente di non-confrontazione.520
K. V. Toskiy, Rappresentate Permanente della Federazione Russa presso la NATO, ha
scritto in un articolo:
basandoci sulla nostra visione democratica e multipolare del futuro assetto mondiale, crediamo
che, oggi, nessun Paese o organizzazione internazionale sia in grado di dare singolarmente una
risposta omnicomprensiva del complesso insieme di rischi e di sfide che si pongono per la
sicurezza del XXI secolo. 521
Afferma, inoltre, che la Russia intende intensificare le relazioni di partenariato con la
NATO principalmente per risolvere le questioni europee legate alla sicurezza. È
importante, continua, che venga riconosciuto che senza la Russia l’Alleanza non può
risolvere i problemi e le sfide globali.522
L’interesse della Russia, dichiara Putin, non è quello di unirsi ad un blocco politicomilitare che ne limiti la sovranità. La Russia vuole instaurare buone relazioni, non solo
con gli Stati Uniti, ma con tutti i Paesi membri della NATO e con la stessa
organizzazione. In generale, afferma Putin, la NATO può essere uno strumento di
politica internazionale e può aiutare a risolvere certi problemi. Ma per Putin la NATO
dovrebbe cambiare. La scomparsa della minaccia sovietica sarebbe stata sostituita con la
costruzione di relazioni attraverso la NATO basate su principi come la lotta la
terrorismo o al traffico di droga. Per Putin occorre una sfera di cooperazione più ampia
di quella di cui si può disporre attraverso un singolo blocco politico-militare.523
Soffermandosi sul tema delle riserve alla cooperazione con la NATO, Putin ha
dichiarato che vorrebbe che fossero stabiliti contatti diretti tra la NATO e la CSTO
(Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). Quest’ultima, secondo Putin, è un
organizzazione mutuamente complementare nel sistema di sicurezza regionale dell’area
e coordinando le rispettive potenzialità si genererebbe un effetto positivo.524
520
Aleksey Obukhov, Russian President Did Not Threaten the West, International Affairs, 53/4 (2007),
pp. 10-11.
521
K. V. Totskiy, Le relazioni tra la Russia e la NATO, cit., p. 356.
522
Ivi, p. 357.
523
Interview with Time Magazine, Intervista a Vladimir Putin, 12 dicembre 2007,
www.kremlin.ru/eng/text/speeches/2007/12/19/1618_type82916_154779.shtml
524
Vladimir Putin, Speech at the Security Council Meeting, 29 gennaio 2005, www.kremlin.ru
133
Il tema del rapporto fra la NATO e il CSTO è importante, sostiene Trenin, per
l’evoluzione di quest’ultima in un modello più moderno di sicurezza regionale. La
cooperazione fra le due istituzioni rassicurerebbe la Russia sulle intenzioni
dell’Alleanza, ovvero, che essa non intende sostituirsi alla Russia in Asia centrale. Ma
la NATO non ha finora formalizzato nessun rapporto con la CSTO ritenendo che ciò
avvallerebbe l’influenza russa nell’area. Questa influenza, spiega Trenin, non è poi così
evidente:
Il Kazakistan ha palesemente perseguito una politica di equidistanza, manovrando con successo
tra Mosca, Pechino e Washington. La lealtà dell’Uzbekistan verso la Russia non è scontata e,
nel caso migliore, temporanea, dato che Tashkent non accetta di essere la pedina di Mosca. A
due anni dalla richiesta dell’Organizzazione per la cooperazione di Sciangai (SCO) di un ritiro
USA, il Kirghizistan consente ancora che vi sia una base USA a fianco di una piccola base
russa. Il Tagikistan ha adottato una politica estera a 360 gradi, dopo che il suo presidente ha
simbolicamente “derussificato” il proprio cognome. 525
Si schiuderebbe una possibilità, secondo l’autore, di aprire l’eventuale rapporto NATOCSTO anche alla SCO in qualità di osservatore, in modo che la NATO, la Russia e la
Cina, collaborino nella regione, anziché affrontare i rispettivi avversari
separatamente.526
Nell’intervista a Vladimir Putin rilasciata al Time Magazine il 12 dicembre 2007,
l’allora Presidente, in risposta alla domanda su che cosa pensasse della NATO, dichiara
che occorre guardare alla storia. Quando fu creata la NATO, nacque in risposta il Patto
di Varsavia. Erano due blocchi politici e militari opposti. Se oggi si afferma che occorre
una nuova struttura, nuovi principi che promuovano la comprensione internazionale e si
sente il bisogno di trovare basi comuni e il rispetto reciproco per gli interessi di
ciascuno in un mondo multipolare, un’organizzazione come la NATO, afferma Putin,
non è il rimedio universale per tutti i mali: la NATO non poteva proteggere l’America
dall’11 settembre e non può realmente combattere il terrorismo. Questo perché contro
queste minacce occorre rispondere aumentando la fiducia negli altri, interagendo su basi
regolari con i Paesi che possono affrontare con successo queste minacce. Tra questi ,
dichiara Putin, vi è la Russia. 527
9.8
LA RUSSIA HA UN NUOVO PRESIDENTE
Attualmente, la Russia si trova in fase di transizione tra il vecchio e il nuovo soggetto
costituzionalmente dotato del potere, riteniamo sia importante accennare brevemente i
fatti.
Durante il suo ultimo discorso di fine anno, prima delle elezioni, Putin ha riaffermato il
proprio sostegno a Dmitrij Medvedev, dichiarandosi sicuro della scelta di lasciare nelle
sue mani le redini del potere più alto, in quanto egli sarebbe dotato di ottime capacità e
diverrebbe un buon Presidente, oltre il fatto che Putin si fida di lui. 528
Le elezioni presidenziali del marzo scorso in Russia hanno confermato l’andamento
elettorale delle regionali del marzo 2007 e delle parlamentari del dicembre 2007. Il
successore designato da Putin, Dmitrij Medvedev, ha ottenuto il 70,2% delle preferenze.
L’ascesa politica del nuovo Presidente è durata appena otto anni ed è stata guidata da
Putin stesso, afferma Serena Giusti, ricercatrice presso l’ISPI di Milano e docente
presso l’Università Cattolica di Milano. Questa ascesa lo ha visto assumere importanti
cariche nella segreteria presidenziale, per poi passare alla guida del Consiglio dei
525
Dmitri Trenin, NATO e Russia: qualche riflessione e qualche suggerimento pratico, cit.
Ibidem.
527
Interview with Time Magazine, 12 dicembre 2007, cit.
528
Transcript of Annual Big Press Conference, 14 febbraio 2008, cit.
526
134
Direttori di Gazprom, colosso del gas, per giungere alla nomina a Vice-Primo Ministro
e all’elezione a Capo dello Stato. La coabitazione fra Medvedev e il Primo Ministro
Putin potrebbe vedere quest’ultimo occuparsi della gestione del potere interno, scrive la
Giusti, mentre il Presidente si occuperebbe della politica estera. Lo stesso Putin ha
confermato, nel suo discorso del febbraio scorso, che la Costituzione stabilisce i diversi
ruoli ed egli li rispetterà. L’alta affluenza alle urne, più che una improvvisa
rivitalizzazione della società civile russa, sembrerebbe derivare da un desiderio di
ordine e stabilità dopo il periodo “torbido” del post-Gorbacëv. Bisogna rilevare che il
Governo russo ha imposto delle restrizioni agli osservatori internazionali e che l’OSCE
ha rinunciato a monitorare le elezioni. Il Consiglio d’Europa ha dichiarato che piuttosto
che una libera competizione elettorale sembra essere stato un “plebiscito”. In un
sondaggio, riportato dalla ricercatrice e condotto dal Levada, emerge che circa il 45%
dei russi si attende che si perseveri nel mantenimento dell’ordine, il 34% non
disdegnerebbe un rafforzamento del ruolo dello Stato nell’economia, circa il 48% ritiene
che l’esito delle elezioni sia stato deciso dall’èlite al potere. Un dato interessante è
costituito dal 50% degli intervistati, i quali considerano non adatta per la Russia la
forma di democrazia occidentale, approvando il concetto di “democrazia sovrana”
elaborato dal Cremlino. Questa sovranità, scrive la Giusti, si riferisce al principio di non
interferenza nella vita dello Stato da parte di terzi, ma soprattutto da parte
dell’Occidente, e nega la legittimità di interferenze o pressioni motivate
ideologicamente, compreso il tema della tutela dei diritti umani, provenienti
dall’esterno.529
Il fatto che per il momento Putin rimarrà fermamente al vertice del potere è opinione
anche di Stefano Silvestri, Presidente dell’Istituto Affari Internazionali, il quale afferma
che Putin è l’unico possibile arbitro delle lotte tra i vari gruppi che si contendono la
supremazia in Russia: gli alleati della macchina amministrativa, che hanno sostenuto
Medvedev da subito, i grandi capi delle imprese pubbliche e i nuovi miliardari e il
gruppo degli ex-Kgb, oggi presenti ad ogni livello dello stato e dell’economia.530
In seguito alle elezioni presidenziali russe, il Segretario Generale della NATO ha
rilasciato una Dichiarazione in cui ha affermato che la NATO auspica di lavorare con il
nuovo Presidente, all’interno del Consiglio NATO-Russia, per rafforzare la
cooperazione e portare avanti il dialogo.531
Gli obiettivi fondamentali per il nuovo Presidente riguardano il miglioramento della
qualità della vita dei russi, trasferendo i successi economici sul piano sociale. Riguardo
alla politica estera, Medvedev intende perseguire una politica che porti avanti i propri
interessi nazionali, senza che questo avvenga in un clima di confronto, in modo tale che
la posizione della Russia contribuisca a rafforzare la sicurezza mondiale. Per fare questo
occorre, afferma, mantenere la stabilità economica, lo sviluppo di libere economie,
promuovere programmi sociali e assicurare che la Russia manterrà la propria posizione
nel mondo. Rispondendo ad una domanda su che cosa fosse la democrazia, il Presidente
ha affermato che la democrazia sono i valori ma anche un modo di governare la società.
Tuttavia, essa è diversa da Stato a Stato, a causa dei diversi contesti storici, “Ogni
democrazia ha la sua storia e la sua nazionalità”. La democrazia russa, afferma, è molto
giovane. Inoltre, Medvedev ha dichiarato che “la Russia è un Paese europeo ed è
529
Serena Giusti, Putin e Medvedev: una strana “coppia benedetta”, Affari Internazionali, 06 marzo
2008, www.affarinternazionali.it/stampa.asp?ID=754
530
Stefano Silvestri, Le difficili scelte del presidente Medvedev, Affari Internazionali, 03 marzo 2008,
www.affarinternazionali.it/stampa.asp?ID=751
531
Statement del Segretario Generale della NATO, 4 marzo 2008, www.nato.int/docu/pr/2008/p08034e.html
135
assolutamente in grado di svilupparsi assieme agli altri Stati che hanno scelto la strada
dello sviluppo democratico.532
Il neo-Presidente ha adottato una linea dura nei confronti dell’ipotesi di un’ulteriore
espansione della NATO a favore della Georgia e dell’Ucraina. Questa ipotesi, ha
dichiarato, sarà “estremamente fastidiosa” per la sicurezza europea e i russi non sono
affatto contenti di tale situazione. La Russia teme che l’ingresso di questi due Paesi exsovietici potrebbe comportare l’installazione di missili nucleari sul loro territorio.
Nell’intervista rilasciata al Financial Times, Medvedev ha avvertito che questa
prospettiva, nel caso dell’Ucraina, andrebbe anche contro la volontà della maggioranza
dei cittadini ucraini di lingua russa. 533
Il Presidente Bush, incontrando il suo Presidente ucraino Yushenko, ha dichiarato di
appoggiare «con forza» la volontà dell’Ucraina di entrare nell’Alleanza, e che Mosca
non potrà porre dei veti a riguardo. Il vice-Ministro degli Esteri russo Grigori Karassin
ha di recente dichiarato che se si verificherà l’ammissione, ci sarà un brusco
peggioramento delle relazioni fra Mosca e Kiev. Ma anche da parte alleata ci sono delle
perplessità, soprattutto da parte francese, dove si ritiene che l’ingresso della Georgia e
dell’Ucraina non sarebbe la risposta giusta all’equilibrio di potere in Europa e tra
Europa e Russia. Occorrerebbe, invece, per i francesi, continuare il dialogo con la
Russia.534
532
Lionel Barber, Neil Buckley e Catherine Belton, Interview Transcript: Dmitry Medvedev, Financial
Times, 24 marzo 2008, www.ft.com/cms/s/0/f40629a8-f9ba-11dc-9b7c-000077b07658.html
533
Ibidem.
534
Nato, Bush: «La Russia non metterà veti sull’ammissione dell’Ucraina», Corriere della Sera, 01 aprile
2008, www.corriere.it/esteri/08_aprile_01/bush_ucraina_russia_7d2ac3e0-ffc6-11dc-be9600144f486ba6.shtml
136
Conclusioni
Il rapporto transatlantico sfociato nella nascita dell’Alleanza Atlantica è parte di una
storia più lunga delle relazioni fra le due sponde dell’Oceano. L’evoluzione della
tensione in Europa condusse ad un impegno americano, e l’opera del Senatore
statunitense Vandenberg mise in evidenza le affinità e gli interessi strategici comuni fra
i due continenti, soprattutto l’importanza di considerare la linea di divisione delle due
Germanie come linea di difesa della democrazia. La firma del Patto, il 4 aprile 1949,
diede vita ad un’alleanza regionale di difesa, potenzialmente aperta a qualsiasi nuovo
membro e in risposta a qualsiasi tipo di aggressione armata, ovvero, una struttura pronta
a trasformarsi in un’organizzazione di sicurezza collettiva. L’intervento esterno della
guerra di Corea produsse un impegno verso la creazione, qualche anno più tardi, della
struttura militare integrata, la NATO.
Una volta scomparso il nemico originario, l’Alleanza ha dovuto reinventarsi e costruire
attorno a sé un nuovo sistema di sicurezza. Si è dato inizio al processo di apertura ai
Paesi dell’Europa Orientale e con il Vertice di Roma è stato adottato un Concetto
Strategico che rompeva col passato. L’Alleanza si orientava verso una maggiore
multinazionalità, sia nella difesa collettiva che attraverso una più ampia cooperazione
nella sicurezza. Oltre ai problemi interni, rimanevano molte questioni da affrontare, la
Russia, i Balcani e le aree distanti dall’area NATO che potevano produrre instabilità. Il
successo dell’Alleanza fu nel fatto che essa venne considerata la sede più idonea per
risolverli ed entro la quale ricondurre i rapporti e gli interessi degli alleati in queste
materie.
La crisi in Bosnia portò ad un lento coinvolgimento di una NATO impreparata, sfociato
nell’azione aerea che costituì anche la prima operazione militare dell’Organizzazione,
oltre che il primo intervento al di fuori dell’area del Patto. Questo fatto da un lato
dimostrava che era possibile utilizzare la struttura dell’Alleanza in un contesto diverso
da quello per il quale era stata creata, tuttavia, palesava anche la necessità della
leadership degli Stati Uniti, senza la quale l’Alleanza sarebbe rimasta nella sua impasse.
La crisi in Kosovo segnò sia la volontà di collaborare fra gli alleati che il profondo
ritardo degli europei rispetto alle capacità militari statunitensi, portando anche verso una
maggiore consapevolezza europea per il raggiungimento di un’autonoma capacità
d’azione.
Attraverso la scomparsa del Patto di Varsavia, si era prodotto un vuoto di sicurezza
nell’Europa centro-orientale. L’ipotesi dell’allargamento dell’Alleanza divenne sempre
più reale. Esso avrebbe comportato un rinnovato interesse degli americani per le
vicende europee e avrebbe garantito il mantenimento in vita della struttura militare.
Certamente la percezione del pericolo era mutata ma le minacce non erano finite. Con il
Vertice di Madrid del 1997 iniziò il processo di allargamento. Tuttavia, ebbe inizio
anche il non meno importante processo di adattamento interno dell’Alleanza: nuovi
compiti, nuove strutture. E, come sostenne Carlo Jean, un nuovo riposizionamento nel
mercato della sicurezza.
Al Vertice di Washington del 1999, mentre si festeggiavano i cinquant’anni
dell’Alleanza, veniva celebrato il fatto che la NATO era riuscita nell’intento di
sopravvivere all’evoluzione del sistema internazionale. Appresa la lezione della Bosnia
e del Kosovo, l’Organizzazione si stava espandendo, aveva snellito la propria struttura
di comando militare e aveva puntato all’interoperabilità delle forze, dotandosi di una
certa dinamicità, aveva dato il via alla politica delle partnership e alla costruzione di
sedi di discussione congiunta, in primis con la Russia. In un contesto caratterizzato
dalla crescente globalizzazione, oltre che dai conflitti inter-etnici e dalla diffusione delle
137
armi di distruzione di massa, la NATO si stava posizionando nel ruolo di garante dei
valori occidentali, in funzione di un’espansione degli stessi in tutta l’area europea. Il
compito principale restava la difesa collettiva dell’area del Patto ma si iniziava a
guardare oltre. A partire dal Vertice di Washington prendeva strada l’ipotesi della c.d.
“NATO-globale”, impegnata in aree esterne al Trattato. Emergeva nel Nuovo Concetto
strategico, approvato in quell’occasione, la diversità delle nuove sfide rispetto a quelle
passate, in cui è centrale il carattere della multidimensionalità e che hanno sempre più
radici nei confini esterni al Patto, ma in grado di essere altamente destabilizzanti per gli
alleati. Dalle parole dell’ex-Segretario Generale, Javier Solana, la NATO dopo
quarant’anni di difesa si preparava per un nuovo impegno: rafforzare la stabilità e la
sicurezza nell’area euro-atlantica, attraverso nuovi approcci e nuovi strumenti. Era stata
creata una cultura-mentalità comune attraverso l’opera di omogeneizzazione portata
avanti dall’Alleanza e sempre più rivolta ai Paesi che facevano richiesta di entrare a
farne parte. Come si afferma nella Dichiarazione di Washington, la NATO rappresenta
un pilastro essenziale di una comunità più ampia fatta di responsabilità e valori
condivisi. Si apriva la porta a tutti quei Paesi, che indipendentemente dall’aspetto
geografico, erano interessati a rappresentare questi valori. Con il Nuovo Concetto
strategico, l’Alleanza sanciva l’espansione delle proprie funzioni alle c.d. “operazioni
fuori area” e si marcava il punto di transizione dalla difesa alla sicurezza collettiva. Per
perseguire l’obiettivo primario di protezione della libertà e della sicurezza dei membri,
occorreva affrontare le cause di instabilità che si potevano manifestare nella regione
euro-atlantica allargata.
I drammatici fatti legati all’11 settembre 2001 hanno avuto pesanti risvolti dal punto di
vista alleato. A parte la pressoché immediata attivazione del casus foederis del Patto, gli
Stati Uniti, agendo unilateralmente nella fase iniziale della guerra al terrorismo,
estromisero di fatto l’Alleanza e diedero inizio ad un sistema di intervento costituito
dalle coalizioni a geometria variabile, maggiormente funzionali allo scopo. Tuttavia,
esso era decisamente negativo per la NATO in sé, dato che l’azione avveniva al di fuori
del processo decisionale alleato e si basava su accordi di tipo bilaterale. L’Alleanza
aveva costituito fino ad allora un luogo in cui esprimere relazioni potenzialmente
paritarie, mentre ora rappresentava una moltitudine di soggetti da cui di volta in volta
scegliere con chi costruire rapporti bilaterali utili all’operazione. Tra le ripercussioni
dell’11 settembre 2001, oltre ad aver determinato un nuovo “nemico” internazionale, è
stata minata la credibilità dell’Alleanza come strumento d’azione collettiva e sono state
costrette a manifestarsi visioni del mondo diverse ma, soprattutto, approcci alla
sicurezza diversi. Gli interessi globali statunitensi non erano sempre conciliabili con le
posizioni degli alleati europei e con la loro diversa percezione della minaccia. Tuttavia,
il terrorismo internazionale sancì definitivamente la necessità delle operazioni, coperte
dall’articolo 4 del Patto, dette “fuori area”, e si venne a creare una particolare
convergenza di interessi fra la NATO e la Russia, costituita dalla necessità di portare
ordine e stabilità ai bordi dell’Eurasia, laddove poi ciascuno aveva i propri obiettivi
particolari. Questi elementi hanno permesso all’Alleanza di ritagliarsi nuovamente un
proprio spazio in un’ennesima mutazione del contesto internazionale, determinando il
dibattito attuale sulla caratteristica di tale ruolo.
Ebbe inizio un processo di trasformazione, attraverso una serie di Vertici, che ha
condotto l’Alleanza ad una evoluzione, da entità statica a fattore dinamico di
cambiamento. La trasformazione viene presentata come un processo attraverso il quale
la NATO si mostra vitale in un sistema internazionale in continuo mutamento. Mentre a
Praga si puntava alle capacità, ad Istanbul, recuperata la coesione attorno al valore del
legame transatlantico che era stata persa in seguito alla crisi sull’Iraq, ci si concentrava
sull’allargamento e sul partenariato, attraverso la volontà di espandere la sicurezza in
uno spazio geopolitico più ampio dei confini originari. Al Vertice di Riga, la NATO si
138
proponeva come foro per le discussioni sulla sicurezza ed assieme al Vertice di
Bucarest, nella cui agenda sono presenti questioni capaci di generare profonde
implicazioni sugli equilibri in Europa, si sta percorrendo un cammino preparatorio al
summit del 2009, che celebrerà i sessant’anni dell’Alleanza, nei confronti del quale il
Segretario Generale della NATO, Scheffer, ripone grandi ambizioni, come l’avvio di un
processo di aggiornamento dell’attuale Concetto Strategico.
Tuttavia, rimane aperto il dibattito attorno alla visione di una “NATO globale”
contrapposta alla “NATO regionale”, piuttosto che sul rapporto fra la dimensione
politica e quella più strettamente militare.
Nel sistema internazionale del post-Guerra Fredda le dinamiche non sono totalmente e
complessivamente prevedibili, e i soggetti internazionali hanno sempre più bisogno di
cooperare e rapportarsi, anche per competere. Non sempre, però, esistono validi canali
di dialogo. L’Alleanza ha svolto questo ruolo per l’area di sua competenza,
espandendola progressivamente. Oggi la NATO viene attratta dall’esterno da quei Paesi
che la considerano come l’opzione principale per la propria sicurezza. Ad essa vengono
richiesti sempre più compiti ed impegni di diversa natura, ma che possono essere
accomunati dalla possibilità di generare stabilità strategica, attraverso la proiezione di
sicurezza su vasta scala. L’espansione per l’Organizzazione è strategica, ma si potrebbe
incorrere nel rischio, sottolineato da una parte degli studiosi, che la comunità atlantica
di riferimento, fatta di valori e di finalità comuni, perda il controllo dell’Alleanza.
Alcuni osservatori, all’indomani dell’azione unilaterale americana in Afghanistan,
dichiararono l’Alleanza «morta». In realtà, il fatto che sia sopravvissuta allo strappo
politico sull’azione in Iraq nel 2003 dimostra che l’Alleanza è in grado di reinventare se
stessa. Bisogna considerare i due piani dell’Alleanza: il piano militare, in continua
evoluzione, e quello politico, nel quale spesso si procede caso per caso ed in cui
emergono obiettivi non sempre riconducibili all’unità di intenti. Tuttavia, il fatto che la
NATO può rappresentare quel tipo di legittimazione che in diverse occasioni viene a
mancare da parte dell’ONU, o che tramite essa si possa reciprocamente influenzare la
politica estera, rende indispensabile un buon rapporto tra le due sponde dell’Atlantico.
Si può discutere di «morte» dell’Alleanza se ci si riferisce al suo assetto originario,
essendo stata completamente stravolta: include Paesi un tempo nemici, è partner della
Russia, agisce principalmente in operazioni “fuori area”, si propone come foro delle
discussioni politiche, oltre che strategico-militari. Non si può parlare, però, di «morte»
di un’Alleanza che porta avanti un processo di trasformazione ed adattamento attraverso
incontri che vedono presenti un numero sempre maggiore di bandiere e di “amici” e
che, sebbene in modo diverso rispetto a prima, ha una propria capacità d’azione. Si
deve, invece, discutere sulle sue contraddizioni, sul processo decisionale, sulla
pianificazione strategica e sul peso strategico-militare di ciascuno al suo interno, sulla
trasparenza del dialogo, e così via.
Il dibattito sulla “NATO globale” vede posizioni contrastanti sull’ampiezza delle
ambizioni e della presenza dell’Organizzazione, e si inserisce nelle discussioni sul
futuro dell’Alleanza. Sia che si guardi ad una “NATO globale”, o ad una “NATO
regionale”, oppure, ad una “NATO come fornitrice di coalizioni”, da più parti emerge la
necessità di potenziare il dialogo all’interno dell’Alleanza. In ognuna di queste ipotesi,
il confronto fra i membri, fra i partners e fra essi e i membri, rimane essenziale per
vincere la sfida della NATO, ovvero, rimanere un protagonista chiave e rappresentare
un foro di dialogo fondamentale nel settore della sicurezza, in grado di rispondere
prontamente alle minacce.
Il fatto che, come molti osservatori sostengono, non esisterebbe un fattore in grado di
catalizzare la coesione politica all’interno dell’Alleanza, come esisteva invece all’epoca
della Guerra Fredda, potrebbe rappresentare un elemento a favore di un impegno
maggiore al dialogo e al confronto politico, sia a livello di alleati che a livello di
139
partners, in modo da costruire il consenso, evitando di cercarlo nel momento specifico
in cui si presenta una crisi. Un impegno politico, inoltre, è necessario laddove si
conducano operazioni militari a lungo termine a causa dell’interazione fra la NATO e le
altre organizzazioni presenti sul luogo, e fra l’elemento civile e quello militare, ad
esempio, nella ricostruzione delle istituzioni o nella formazione del personale del
territorio in cui ha luogo l’intervento.
Secondo la posizione dell’attuale Segretario Generale, pur restando centrale l’obiettivo
della difesa collettiva, il ruolo principale dell’Alleanza diviene sempre più quello di
un’organizzazione in grado di rispondere alle minacce globali, formulare iniziative e
prendere decisioni politico-militari coordinate, in uno scenario sempre più
interconnesso e imprevedibile. Tuttavia, essa non deve essere considerata un “poliziotto
globale”. La NATO si dovrà coordinare vieppiù con le altre organizzazioni a vario titolo
rappresentative, costruendo una rete di partners globali, giungendo ad essere un “hub”
delle grandi coalizioni, in modo da costituire uno strumento militare flessibile, sia per i
propri membri che per la comunità internazionale.
Il Segretario Generale cerca di promuovere un ruolo per la NATO diverso dalla c.d.
“scatola degli attrezzi”, favorendo all’interno la “cultura del dibattito”. Se si condivide
questo obiettivo, dunque, occorre politicizzare maggiormente la NATO, andando oltre
la sua dimensione militare, soprattutto, se essa si propone di plasmare un contesto
strategico sempre più vasto, dovendo ricercare il consenso fra un numero di attori
sempre maggiore.
140
Appendice
Trattato Nord Atlantico535
Washington, Dc - 4 Aprile 1949
Gli Stati che aderiscono al presente Trattato riaffermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni Unite e il
loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi. Si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro
popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del
diritto. Aspirano a promuovere il benessere e la stabilità nella regione dell'
Atlantico settentrionale. Sono decisi a unire i loro sforzi
in una difesa collettiva e per la salvaguardia della pace e della sicurezza. Pertanto, essi aderiscono al presente Trattato Nord
Atlantico:
Articolo 1
Le parti si impegnano, come stabilito nello Statuto delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia
internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe
in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all'
uso della forza assolutamente incompatibile
con gli scopi delle Nazioni Unite.
Articolo 2
Le parti contribuiranno allo sviluppo di relazioni internazionali pacifiche e amichevoli, rafforzando le loro libere istituzioni,
favorendo una migliore comprensione dei principi su cui queste istituzioni sono fondate, e promuovendo condizioni di stabilità e di
benessere. Esse si sforzeranno di eliminare ogni contrasto nelle loro politiche economiche internazionali e incoraggeranno la
cooperazione economica tra ciascuna di loro o tra tutte.Le parti contribuiranno allo sviluppo di relazioni internazionali pacifiche e
amichevoli, rafforzando le loro libere istituzioni, favorendo una migliore comprensione dei principi su cui queste istituzioni sono
fondate, e promuovendo condizioni di stabilità e di benessere. Esse si sforzeranno di eliminare ogni contrasto nelle loro politiche
economiche internazionali e incoraggeranno la cooperazione economica tra ciascuna di loro o tra tutte.
Articolo 3
Allo scopo di conseguire con maggiore efficacia gli obiettivi del presente Trattato, le parti, agendo individualmente e
congiuntamente, in modo continuo ed effettivo, mediante lo sviluppo delle loro risorse e prestandosi reciproca assistenza,
manterranno e accresceranno la loro capacità individuale e collettiva di resistere ad un attacco armato.
Articolo 4
Le parti si consulteranno ogni volta che, nell'
opinione di una di esse, l'
integrità territoriale, l'
indipendenza politica o la sicurezza di
una delle parti fosse minacciata.
Articolo 5
Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'
America settentrionale sarà considerato come
un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse,
nell'
esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'
ari. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite,
assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'
azione
che giudicherà necessaria, ivi compreso l'
uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'
Atlantico
settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate
a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure
necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.
Articolo 6 536
Agli effetti dell'
art. 5, per attacco armato contro una o più delle parti si intende un attacco armato:
•
contro il territorio di una di esse in Europa o nell'
America settentrionale, contro i Dipartimenti francesi d'
Algeria537 ,
contro il territorio della Turchia o contro le isole poste sotto la giurisdizione di una delle parti nella regione dell'
Atlanlico
settentrionale a nord del Tropico del Cancro;
•
contro le forze, le navi o gli aeromobili di una delle parti, che si trovino su questi territori o in qualsiasi altra regione
d'
Europa nella quale, alla data di entrata in vigore del presente Trattato, siano sta zionale forze di occupazione di una
delle parti, o che si trovino nel Mare Mediterraneo o nella regione dell'
Atlanlico settentrionale a |nord del Tropico del
Cancro, o al di sopra di essi.
Articolo 7
II presente Trattato non pregiudica e non dovrà essere considerato in alcun modo lesivo dei diritti e degli obblighi derivanti dallo
Statuto alle parti che sono membri delle Nazioni Unite o la responsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento
della pace e della sicurezza internazionali.
535
536
www.nato.int/docu/other/it/treaty-it.htm
Modificato dall'
alt. 2 del Protocollo di adesione di Grecia e Turchia al Trattato Nord Atlantico (22 ottobre 1951).
Il 16 gennaio 1963 il Consiglio Atlantico ha preso atto che tutte le disposizioni del Trattato Nord Atlantico concernenti gli exDipartimenti francesi di Algeria sono decadute a decorrere dal 3 luglio 1962.
537
141
Articolo 8
Ciascuna parte dichiara che nessuno degli impegni internazionali attualmente in vigore tra essa e un'
altra parte o uno sialo terzo è in
contraddizione con le disposizioni del presente Trattalo e si obbliga a non sottoscrivere alcun impegno internazionale in contrasto
con que sto Trattato.
Articolo 9
Con la presente disposizione le parti istituiscono un Consiglio, nel quale ciascuna di esse sarà rappresenlala per esaminare le
questioni relative all'
applicazione di questo Trattato. Il Consiglio sarà organizzato in maniera tale da potersi riunire rapidamente in
qualsiasi momento. Il Consiglio costituirà quegli organi sussidiari che potranno essere necessari; in particolare istituirà
immediatamente un Comitato di difesa che raccomanderà le misure da adottare per l'
applicazione degli articoli 3 e 5.
Articolo 10
Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a que- sto Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo
sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell'
Atlantico settentrionale. Ogni Stato così
invitato può divenire parte del Trattato depositando il proprio strumento di adesione presso il governo degli Stati Uniti d'
America. Il
governo degli Stati Uniti d'
America informerà ciascuna delle parti del deposito di ogni strumento di adesione.
Articolo 11
Questo Trattato sarà ratificato e le sue disposizioni saranno appli-cate dalle parti conformemente alle loro rispettive norme
costituzio-nali. Gli strumenti di ratifica saranno depositati appena possibile presso il governo degli Stati Uniti d'
America, che
notificherà a tutti gli altri firmatari l'
avvenuto deposito di ciascuno strumento di ratifica. Il Trattato entrerà in vigore tra gli Stati che
lo hanno ratificato non appena le ratifiche della maggioranza dei firmatari, incluse le ratifiche di Belgio, Canada, Francia,
Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti saranno state depositate ed entrerà in vigore nei confronti degli altri Stati dalla
data del deposito delle loro ratifiche.538
Articolo 12
Dopo dieci anni dall'
entrata in vigore del Trattato, o in ogni momento successivo, le parti, se una di esse lo richiede, si
consulteranno allo scopo di sottoporre a revisione il Trattato, prendendo in considerazione i fattori che a quel momento potranno
influire sulla pace e sulla sicurezza nella regione dell'
Atlantico settentrionale, ivi compreso lo sviluppo di accordi sia globali che
regionali conclusi conformemente allo Statuto delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.
Articolo 13
Trascorsi vent'
anni dall'
entrata in vigore del Trattato, una parte può cessare di esserne membro un anno dopo che la sua notifica di
denuncia sia stata depositata presso il governo degli Stati Uniti d'
America, che informerà i governi delle altre parti del deposito di
ogni notifica di denuncia.
Articolo 14
II presente Trattato, i cui testi inglese e francese sono egualmente autentici, sarà depositato negli archivi del governo degli Stati
Uniti d'
America. Copie debitamente autenticate saranno trasmesse da questo governo ai governi degli altri Stati firmatari.
538
Il Trattato è entrato in vigore il 24 agosto 1949, dopo che tutti gli Stati firmatari ebbero depositato i loro strumenti di ratifica.
142
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