Lez 13 (inizio su Mati)

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Alberto Zino
Seminario di Psicanalisi Critica 2014-2015
Per la clinica della psicanalisi 1. Che cos’è un analista?
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Lezione 13
Regole di passaggio
4 febbraio 2015
La dimensione del linguaggio è quella della nostalgia perché ogni parola cerca di raggiungere qualcosa che sfugge.
Questa realtà perduta, questo senso di smarrimento è dentro ogni nostra frase, queste incrinature si fanno visibili in ogni
nostro discorso. Parlare è percorrere solo una delle due sponde del fiume, sapendo che dall'altra riva qualcosa intanto ci
guarda: un’aldilà inattingibile ci attira a sé all'interno del linguaggio. Ogni dialogo è una terra che si fende, che si
riempie di crepe. E' questa la dimensione dell'ineffabile, di qualcosa che si sottrae alla presa della parola, che rimane
non detto, che si fa visione, corpo, musica (Pascal Quignard).
Questo brano che vi rivolgo è un omaggio a coloro tra voi che non c’erano sabato scorso. Andrea
Sartini ha presentato una breve serie di passi per l’inizio del secondo seminario “Le parole degli
impossibili”, che si intitola Il rimosso della filosofia.
È uno dei frammenti di cui abbiamo discusso in quelle tre ore di sabato. Alcuni materiali dei
seminari è probabile che entreranno nel corpus della rivista web. Però da qui a maggio prossimo
apriremo nelle Stanze del sito Psicanalisi Critica una camera che ospiterà già alcuni di questi
contributi. Ad esempio, vi pubblicherò il mio intervento d’esordio al seminario su Psicanalisi e
politica. Lacan, Laclau, Žižek.
In analisi la cosa più importante sono le parole. Come in una scena teatrale la presenza è il corpo
dell'attore, (ancor prima della voce, sul palcoscenico ci sono i corpi) così le parole nel loro corpo
sono la front line dell’analisi. Se qualcuno di voi è appassionato della questione del rapporto tra
parole e corpi, lo rimando volentieri a una frase di Lacan: «le parole sono corpo, corpo sottile, ma
corpo». Dovendo stasera parlare di regole di passaggio, mi sembra interessante dire qualcosa dei
passages tra corpi e parole. In analisi e non solo. Intanto potremmo farlo leggendo qualche brano da
questo libro:
Ogni filosofia della sensibilità è psico-analisi.
Susanna Mati scrive così nel suo Filosofia della sensibilità1. In genere i filosofi bisogna quasi
torturarli perché parlino di psicanalisi nei loro libri. Un po’ ce l’hanno sempre avuta con la
psicanalisi, da quando Freud si lasciò andare, forse un po’ incautamente, alla celebre affermazione:
il mio inconscio non è quello dei filosofi.
1
S. Mati, Filosofia della sensibilità, Moretti & Vitali, Bergamo 2014; passi scelti dalle pp. 40-54.
!1
Ogni vera filosofia ha origine e natura patologica.
Ancora. Mati traduce Mimesis con “riproduzione” - potrebbe essere intraducibile, nel senso che
nessuna traduzione può dirla tutta.
Mimesis è percezione, riflesso, 'copia' di qualcosa avvenuto nell’aísthesis, che si riproduce a sua volta nell’aísthesis
- ma di cosa? Cos'è quest'urto che ci arriva dall'esterno?
L’esterno per noi non è la pioggia o un’automobile, è l’Altro.
Cioè: di che cosa il mondo e i suoi enti, l'esistere stesso, tutti i nostri tentativi d'espressione, le nostre voci, opere,
fatti, sono mimesis?
Un analizzante che avete davanti o per dir meglio di fianco, parla. Ma di cosa le sue parole sono
riproduzione? Lo stesso per tutto ciò che non essendo verbale nel senso fonematico appartiene
comunque per noi al campo senza fine della parola e del suo corpo: come si muove sul divano, i
sospiri, gli sguardi che non si guardano. Il patico che procede per riproduzioni, mimesi dei territori.
Vai a saperlo.
Non facile trovare un filosofo che si esprima in questo modo.
Probabilmente - ed è senz'altro la parola che più si avvicina al vero - di nulla. Non di modelli, di archetipi, di
paradigmi, di storie già narrate in tutte le tradizioni: bensì di nulla.
Quando l’autrice sarà qui con noi, venerdì 13 di questo mese, le porremo delle questioni
lavorando insieme; immagino che anche voi ne avrete. Intanto, prendiamo nota:
C'è un altro aspetto che ci preme. Se mythos è parola provvista di senso, se mythos è parola sensibile, se mythos è
parola tragica: esso è anche parola femminile. Poiché nella femminilità, l’abisso è allo scoperto. Converrà quindi
riflettere sull'origine femminile-mitologica di ogni discorso: di ogni discorso di cose ultime: di ogni discorso ulteriore.
Non so quanto i maschi possano essere d’accordo, ma vi assicuro che è proprio un problema
loro.
Quali conseguenze comporta, allora, bloccare o emarginare il discorso femminile? L'abisso è scoperto: sia in senso
caotico-produttivo, sia nel senso dell'annientamento del principio di non contraddizione. L'impronta femminile nel
mythos è estremamente chiara, tanto quanto quella maschile nel logos.
[…] Se io scrivo, infatti, è perché il mondo non mi piace. E io non sono innocua, perché sono una poetessa - una
poetessa del logos. E sono innanzitutto una donna sola, e a mani vuote.
Perché mai, dunque, dovrei scrivere come un uomo?
Perché una donna dovrebbe fare analisi come un uomo?
Ovvero secondo i dettami tradizionali di quel logos che non mi corrisponde? Che non mi riconosce, che non si è
formato per me?
Perché non dovrei poetizzare questa presunta ratio, riappropriandomene? Perché non dovrei ragionare a modo mio?
Occorre un nuovo pensiero patico e immaginativo: una filosofia della sensibilità.
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Che è appunto il nome del suo libro, che incroceremo venerdì 13 insieme al panico e alla sua
sorgente. Un incontro tra panico e panico non potete perderlo, potrebbe riguardare una certa
sensibilità del disastro.
Uno dei propositi della filosofia della sensibilità è di recuperare il senso originario della parola 'estetica', prima che il
suo significato comune diventasse quello di "filosofia dell'arte" - come viene dichiarato, a scanso di equivoci,
nell'avvertenza iniziale dell'Estetica hegeliana, che rappresenta il vero punto di svolta in direzione di un'estetica
esclusivamente 'artistica'. Estetica è invece, propriamente, una filosofia del sentire, connessa all'elemento patico-tragico
- elemento che infatti Hegel sostanzialmente rimuoverà (o depotenzierà, rispetto alla potenza del concetto e della
speculazione) combattendo soprattutto contro i romantici.
Perché l'estetica, quindi? Estetica è scelta di tornare al non-fondamento patico della filosofia, dal quale essa è partita non-fondamento dal quale è di-partito il suo discorso: chiamiamolo pure, complessivamente, il mythos. E la filosofia che
considera il rimosso della filosofia, l'immenso volto messo in ombra dal filo di luce del logos: l’altro.
Voi capite che in Psicanalisi Critica ci incuriosisce e ci affascina l’idea di una filosofia costituita
da un non-fondamento, per di più patico. Non sarebbe forse seducente rimettere le mani, la penna e
la tastiera, dentro l’antico nome di filo-sofia, dell’amore per la sapienza o della scienza
(impossibile) di quell’impossibile amore? L’idea della nascita dallo stupore, dalla meraviglia, resta
bellissima. Origine poetica che tuttavia viene rimossa, allontanata o tenuta presente in maniera
inoffensiva e morale: la filosofia nasce dalla meraviglia, che bello. Ma lo stupore proviene dal
pathos, dall’inquietudine di un domandare senza fine e senza nome, l’iniziale senza-risposta che
resta tale, nel suo non. Filosofia non è l’arte della risposta, ma della domanda: domanda di cui la
risposta è ogni volta il necessario malheur.
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