Brani tratti da 430 A.C.
PROLOGO
Atene, 400 a.C.
Due bambini correvano per le strade di Atene: «Forza
Anceo! Muoviti o cominceranno senza di noi!» disse il bambino
al suo amico che ansimava.
«Ci sono, ci sono!» rispose Anceo.
I due bambini arrivarono nell’agorà di Atene e si fecero spazio
tra la folla davanti all’uomo che stava per iniziare il suo
racconto.
«Appena in tempo Anceo! Stavamo per perderci l’inizio»
esclamò il bambino che, distratto, finì con l’urtare un uomo
incappucciato.
«Ehi, attento!» disse l’uomo accarezzando i capelli al bambino
che gli era venuto addosso.
«Scusi» rispose lui.
L’uomo col cappuccio prese posto in fondo; i due bambini
lo osservarono stupiti giacché quell’uomo andava a sedersi
dietro e in disparte, dove non avrebbe udito granché. Anceo
e il suo amico si sedettero a terra tra le prime file vicino agli
altri ragazzi, impazienti di ascoltare la storia. C’era molta
gente.
L’uomo seduto di fronte a loro si schiarì la voce e iniziò a
parlare.
«Questa non è una storia come le altre, è una storia diversa.
Volete sapere il perché?» chiese l’uomo alla folla radunata davanti
a sé.
I più giovani fecero cenno di sì col capo e l’uomo riprese:
«Perché questa storia, quest’avventura è iniziata proprio lì»
disse indicando il Partenone, gioiello dell’Acropoli.
«Davvero?» chiese un bambino.
«Certo. Questa non è una storia di eroi o di divinità, è una
storia vera, è una storia di uomini e di donne della nostra città.
Alcuni di voi sono troppo giovani per ricordare, ma quelli più
grandi non avranno dimenticato, anche ora che siamo in pace,
la grande guerra alle nostre spalle. Ed è bene che ciò che accadde
allora non sia mai più dimenticato». L’uomo si fermò
qualche istante, come sovrappensiero, poi riprese: «Questa storia
narra delle umane genti in balia del Fato. È una storia di
uomini e come tale è una storia che parla di guerra, in quanto
alla natura umana sempre in balia di vanesie illusioni e smodate
bramosie, poco si addice la pace.
Il mio racconto inizia in una notte di tenebra in Grecia nella
città di Atene e la scena si apre in presenza del dio Ade e di
un oscuro presagio…»
ONERE
Era una notte cupa. Una delle poche tranquille, prima che
iniziasse la guerra. Caleope, sacerdotessa del tempio di Atena,
si era recata nella stanza di una delle sue sorelle. Nella casa
dove dimoravano le sacerdotesse del Partenone, poco lontano
dall’Acropoli, quella notte aleggiava una insolita brezza.
«Svegliati Axia! Eirene chiede di te!» disse Caleope scuotendola
nel suo giaciglio.
«Speriamo che si decida a morire» rispose Axia alzandosi a
malincuore.
«Axia!» disse Caleope in tono di rimprovero.
«Non fingere che non ti secchi, Caleope!» le rispose Axia.
«Sono davvero troppo stanca per mettermi a fare discussioni
con te a quest’ora! Vuole anche te, che ti piaccia o meno,
quindi alzati! Se morirà, cosa di cui non dubito, sarai presto
libera da questa ingerenza» disse Caleope, piuttosto piccata.
A quel tempo Caleope aveva trentadue anni e Axia ventiquattro.
Caleope era una donna robusta, dalla massiccia corporatura,
colori caldi: capelli castani e occhi color nocciola,
placida e rispettosa; mentre Axia era diversa non solo nell’aspetto,
ma soprattutto nel temperamento. I suoi capelli corvini
e i suoi occhi verdi vispi e brillanti, la sua corporatura più
rigida rispecchiavano la sua fermezza.
Axia prese la coperta dal suo giaciglio, se l’avvolse attorno alle
spalle e uscì dalla sua stanza; si diresse verso quella di colei cha
aveva ricoperto fino a quel momento il ruolo di sacerdotessa
maggiore del tempio di Atena e che stava morendo: Eirene.
Senza bussare entrò.
«Sei venuta, Axia» disse Eirene che giaceva nel letto ormai
morente.
«Mi hanno obbligata e lo sapete» rispose Axia smorzandole
l’entusiasmo.
«Siedi accanto a me, vuoi?» disse Eirene gentile.
«Devo, Eirene».
«Comunque, va bene così. Sai, si diventa egoisti a un certo
punto nella vita e si vuole rimediare agli errori, al male fatto
tutto in una volta. Voglio servirmi di te per questo. Detto in
questo modo ti soddisfa?» disse la moribonda Eirene in tono
pungente, ma sempre con un sorriso.
«Sbrigatevi a togliervi i pesi dalla coscienza» le rispose Axia
con poco riguardo.
«Sei sempre stata così dura, Axia! Ma cambierai. La morte e
la pietà per le umane miserie scalfiranno questa tua armatura e
questa guerra, di cui prima si parlava come un sussurro e che
adesso incombe su di noi inesorabile, aiuterà nell’impresa» disse.
«Se volete impressionarmi, perdete tempo» disse Axia sbadigliando.
«Ricordo quando sei venuta qui anni fa. Avevi soltanto
quindici anni eppure…» iniziò a raccontare Eirene.
«La storia la conosco da me» fece Axia alzandosi in piedi.
«Siedi, ho detto!» Il tono di Eirene divenne categorico e risoluto
e così quella giovane impertinente dovette obbedirle.
Axia non odiava Eirene, non lo aveva mai fatto; anzi le voleva
bene, a modo suo.
«Quando sei venuta qui anni fa avevi la stessa espressione
di ora! Fiera, risoluta, testarda» riprese la vecchia Eirene sorridendo
«Come dimenticarselo il tuo arrivo!»
«Non ditelo a me» le rispose Axia sarcastica.
Ma l’anziana sacerdotessa tornò immediatamente seria, accigliata:
«Sto morendo Axia. Il dio degli Inferi mi chiama a sé
violentemente, e a un suo invito non si può rispondere con un
rifiuto».
«Allora sbrigatevi a finire» replicò dura la fanciulla.
«Io voglio che sia tu a prendere il mio posto. Ho già disposto
tutto. Avrai la mia carica» intimò la vecchia Eirene.
«Non voglio» disse Axia decisa. «Perché volete punirmi così?
Caleope andrebbe benissimo; è più matura, meno irruenta, più
saggia. Per non parlare di Ariadne! Mi odia da sempre, mi ucciderà
nel sonno se non date a lei la vostra carica».
«Peccato che Ariadne non conti nulla ai miei occhi e non
possa avere voce in capitolo, e neanche tu puoi. Ho deciso.
Tutto è stato già disposto» disse Eirene calma ma risoluta.
«Per volere di chi, mi chiedo! Sapete che non voglio restare
qui. Sapete che non ci sono mai voluta stare, andrò via appena
potrò, guerra o non guerra» l’avvertì Axia.
«Davvero? E dove pensi di andare? Dalla tua famiglia per
caso?» le replicò Eirene guardandola con un lieve ghigno. «Se
non ricordo male sono stati loro a mandarti qui da me per nasconderti
da tutti, date le tue origini».
«Siete davvero perfida, vecchia!» le rinfacciò Axia voltandole
la faccia. «A me non importa niente del tempio!»
«Taci!» le intimò Eirene alzando la voce e lo sforzo le costò
parecchio dato che iniziò ad ansimare e tossire con violenza.
«Io non voglio questo ruolo, quest’onere. Non lo accetto» le
disse Axia una volta che Eirene fu nuovamente calma.
«Odio dovermi ripetere. Non m’importa» rispose lei. «Tu sei
retta Axia, e sei testarda. Due qualità indispensabili per il momento
in cui viviamo. Atene potrebbe non risollevarsi da questa
guerra; in effetti manca solo che qualcuno dia inizio al
tutto».
Axia posò lo sguardo su quella donna che aveva così tanta
stima di lei…
Brano tratto da Il Caso Wheeles
PROLOGO
Manchester, 15 novembre 1875
«Signori, signori vi prego! Silenzio in aula!»
La folla zittì immediatamente per ascoltare le ultime novità sul
processo; tra i banchi dell’aula si potevano riconoscere industriali,
qualche nobile discendente di famiglie altolocate, signore della buona
società, ma nessuno che fosse realmente interessato; erano lì solo per
avere qualcosa di cui sparlare durante la settimana successiva.
«In piedi. Si procede contro Mariana Jane Wheeles. Presiede il
giudice Adam Taylor. Si costituisce parte civile Angus Wheeles».
L’anziano magistrato, accomodatosi sulla poltrona, iniziò il riepilogo
del processo aggiornato al mese prima e poi si udì: «Questa
corte chiama a testimoniare Mariana Wheeles».
Si alzò invece, tra la sorpresa generale, una donna anziana vestita
di nero, elegante, i capelli raccolti. Portava con sé un plico. La signora
era accompagnata dal suo avvocato e fu raggiunta anche dal
pubblico ministero; arrivata dinanzi al giudice, gli disse qualcosa
sottovoce.
«Vostro Onore, ma è contro le procedure, non è possibile…» intervenne
il pubblico ministero sdegnato.
«Vostro Onore» disse la donna «mi rendo conto di chiedervi una
cosa insolita, ma non avrei osato tanto se non avessi pensato che
potesse essere utile ai fini della risoluzione del processo».
«Signora Stentforth» le rispose compassato il giudice «siamo qui
ormai da diversi mesi e l’imputata non ha mai tentato di discolparsi
o difendersi, e ora voi venite da me con questo diario, o memoriale,
non so neanche come considerarlo, dicendomi che al suo interno
troveremo le risposte di cui abbiamo bisogno. Se era una prova così
importante, perché consegnarmela solo ora?»
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«Vostro Onore» disse la donna sovrastando le voci degli avvocati
che avevano preso a discutere fra loro «mia nipote, per ragioni che
io stessa ignoro, si rifiuta di parlare. Questo rende di fondamentale
importanza il documento che le sto consegnando. Fidatevi se vi dico
che dopo averlo letto molte cose vi saranno più chiare. La mia famiglia
è andata in pezzi; considerate il mio gesto come l’estremo
tentativo di salvare mia nipote e quel poco che rimane dei miei cari».
Regina Stentforth consegnò il diario al giudice e poi tornò al suo
posto.
«L’imputata ha qualcosa da dire?» chiese solennemente il giudice
Taylor rivolgendosi a Mariana Wheeles.
La donna scosse il capo, senza profferire parola.
«Dati i nuovi sviluppi, la corte si aggiorna da qui a sette giorni».
Il martelletto del giudice risuonò nell’aula tra la disapprovazione
generale dei presenti.
Alla fine di quella giornata, il giudice Taylor si diresse con passo
cadenzato verso casa con il solo desiderio di togliersi le scarpe, mangiare
qualcosa di caldo, sistemarsi davanti al camino a fumare il
suo sigaro e bere uno sherry per combattere il gelo di quell’ingrato
autunno. Si strinse ancor di più nel cappotto e si fece coraggio per
percorrere quegli ultimi passi che lo separavano dalla sua meta. Abitava
infatti in una grande casa un po’ isolata ed era un uomo avanti
negli anni e con figli ormai sposati che gli avevano anche dato diversi
nipoti.
Il suo lavoro lo portava a vedere il peggio di quella città, di quel
paese, di quella gente che lo circondava e mai come in quei momenti,
quando il pensiero della meschinità umana lo assaliva, ringraziava
Dio perché sapeva, o credeva ardentemente, che i suoi figli
e sua moglie fossero tutti immacolati nello spirito e nei costumi.
Dopo un buon pasto, come aveva stabilito, si sedette davanti al
camino.
Sua moglie lo raggiunse: «Giornata interminabile, mio caro?» gli
chiese premurosa.
«Fannie, non puoi immaginare quanto. Credo che farò tardi stasera,
non sentirti in obbligo di aspettarmi, va pure a dormire se sei
stanca» le rispose.
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«Adam caro, una moglie è lieta solo dove c’è il marito» disse lei
affabile. Tuttavia dopo un po’ la premurosa Fannie lasciò il suo
sposo solo con i suoi pensieri.
A quel punto al giudice venne in mente il memoriale di Mariana
Wheeles. Lo prese fra le mani, lo guardò, lo rigirò e poi esclamò,
senza trattenere il fastidio: «Buon Dio, dove andremo a finire?»
Non aveva nessuna voglia di leggere tutte quelle pagine, scritte
da una giovane donna che si ostinava a non parlare in aula, ma pensava
di poter scrivere memorie, come un letterato. Le donne avrebbero
dovuto essere tutte come sua moglie: accondiscendenti e
soprattutto silenziose. E Mariana Wheeles silenziosa lo era stata, fin
troppo e a sproposito, rifiutandosi di discolparsi, di difendersi dall’accusa
di omicidio. Ma ora ecco un memoriale, la sua voce
l’avrebbe dovuta ascoltare lo stesso, e non avrebbe potuto interrompere
le sue parole, come avrebbe fatto in aula. Poteva solo armarsi
di pazienza: «Dio ci salvi dalle donne scrittrici!» sussurrò, mentre si
accingeva a una lunga lettura.
Quel processo era davvero complicato. Era iniziato a giugno e
dopo tanti mesi non riusciva ancora a venirne a capo. Per alcuni
versi non era poi diverso dalle centinaia di processi che aveva presieduto
e che avevano come tema una storia di dispute familiari;
ma qui c’erano due morti a cui dare giustizia: il fratello e il marito
di Mariana Wheeles; per non parlare poi di quella insana relazione,
del passato torbido dello zio dell’imputata che, qualora fosse stato
vero…
Per non fare torto alla sua proverbiale imparzialità, Adam Taylor
cominciò a leggere quelle sciocchezze nate da una mente inferiore
e ingenua.
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