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EDITORIALE
Appello per la giustizia
scere che a fronteggiare il crimine organizzato
oggi si trovano anzitutto, in ogni paese, i magistrati responsabili dell’iniziativa penale e delle
inchieste. Poiché il potere criminale è riuscito in
molti Paesi ad infiltrarsi in alcuni settori dell’amministrazione pubblica e dei pubblici poteri, questi magistrati non sono sottoposti soltanto
al rischio dell’aggressione fisica, bensì anche
alla quotidiana aggressione e delegittimazione
da parte di poteri inquinati dal crimine organizzato. E’ di conseguenza indispensabile rinvigorire il principio fondamentale di ogni democrazia consistente nella separazione dei poteri e in
particolare nel rispetto dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura.
Già nel 1986, accogliendo le proposte del “Settimo Congresso per la prevenzione del crimine”, tenutosi a Milano, l’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, con la sua risoluzione 41/149,
si pronunciò a favore dell’indipendenza della
magistratura. Dopo un decennio che ha visto il
crimine organizzato e la corruzione infiltrarsi
nel potere economico e nel potere politico, ci si
appella nuovamente alle Nazioni Unite - e in
particolare alla Conferenza mondiale contro il
crimine organizzato che tiene i suoi lavori in
questi giorni proprio a Napoli - affinché elaborino nuove proposte istituzionali concrete per
garantire l’indipendenza della giustizia e in particolare l’indipendenza dei magistrati inquirenti.
I concetti propri della scienza del diritto come
costituzione, legge, legalità, legittimità, diritto
e giustizia sono un prodotto essenziale del razionalismo occidentale e il risultato dello sviluppo secolare del pensiero filosofico e giuridico. Essi culmimano in uno “Jus publicum Europaeum”, suprema creazione del pensiero che
rischia oggi di essere detronizzato per la progressiva perdita della memoria della grande
tradizione della filosofia occidentale.
Fin dalle sue origini greche la civiltà occidentale ha avuto come suo principio ispiratore il
valore della giustizia. Ordine, misura, armonia,
fondamenti del cosmo dominato dalle leggi della natura, trovano riscontro nella giustizia, suprema regolatrice del mondo umano attraverso
le leggi e l’organizzazione dello Stato. Nelle
Eumenidi, Eschilo esorta a non recare mai offesa alla giustizia, ammonendo che «chi di correnti impure e di fango intorbida limpide acque, non
troverà più da bere» e intima: «senza freno di leggi
non lodare la vita, né senza libertà». Dalle origini
stesse della civiltà il rispetto della giustizia è
congiunto alla fruizione della libertà: soltanto se la
giustizia è rispettata e tutelata è possibile a ciascuno attuare liberamente se stesso in una superiore
armonia con gli altri, nella comunità ordinata da
leggi. In molte parti del mondo oggi la giustizia è
insidiata, e con essa la libertà.
La comunità dei popoli e degli Stati da alcuni
decenni eleva vibrato allarme poiché il crimine
si è organizzato in tutti i continenti: la massa di
denaro ottenuta attraverso l’attività criminale,
dal traffico di stupefacenti a quello delle armi,
alla tratta delle donne e dei bambini a scopo di
prostituzione, fornisce al crimine organizzato
uno strumento tanto pericoloso per la convivenza civile quanto l’esercizio della violenza. La
giustizia si esercita grazie al concorso di tutti i
cittadini e di tutti coloro che sono chiamati a
svolgere la funzione di magistrato nel settore
civile, amministrativo e penale, a livello giudicante e a livello inquirente. Si deve però ricono-
Questo appello è stato presentato in occasione della
“Conferenza mondiale interministeriale sul crimine
organizzato internazionale delle Nazioni Unite”
(Napoli, 21-23 novembre 1994).
2
SOMMARIO
5
RESOCONTO
5
Giovanni Gentile a cinquant’anni dalla scomparsa
49 NOTIZIARIO
53 CONVEGNI E SEMINARI
17 AUTORI E IDEE
53 Etica e retorica
17 Biografia di Levinas
54 Il segreto, la testimonianza, la responsabilità
19 Hegeliana
54 Poincaré, filosofo della scienza
20 Feyerabend autobiografico
56 Semiotica medievale: lo stato dell’arte
21 L’ “argomento terapeutico” dell’etica ellenistica
57 Eredità culturale del Rinascimento
22 Attualità del ‘Leviatano’
58 Filosofia italiana, filosofia spagnola
23 Liberalismo politico e teoria del diritto
60 Goethe scienziato
24 La metafisica e la produzione del pensiero
61 Nietzsche e la cultura europea
25 Esistenza affermata, esistenza negata
62 I generi del pensiero rinascimentale
25 Marx e il sogno della storia
63 Bayle: sincerità di uno scettico
26 Il filosofo e la storia
64 Religione e scienza.
27 Arte tra finito e infinito
64 XXI Conferenza della Hume Society
28 Bolzano e la tradizione semantica
66 Bruno Bauer
29 Il male nella storia secondo Kant
67 Feuerbach e l’immagine del passato
67 Sul concetto di amicizia
31 TENDENZE E DIBATTITI
68 Convegno mondiale di sociologia
31 Voltaire
70 Vedere l’arte, l’arte di vedere
32 Filosofia politica
71 Le arti e la città
32 Fenomenologia, ermeneutica, teologia
72 Il futuro, la sociologia e la teologia
33 Diversi significati di libertà
73 CALENDARIO
34 Esistenzialismo politico
35 Lo spazio del pensiero
36 Su Nietzsche
76 DIDATTICA
37 Cassirer: tendenze del neokantismo
76 La didattica come sapere applicato
77 Convegni
39 PROSPETTIVE DI RICERCA
79 Interventi, proposte, ricerche
39 Cartesio: le opere filosofiche
40 Heidegger e la filosofia antica
80 STUDIO
40 Inediti di Althusser
80 Fenomenologia dello spirito
41 L’esistenza impossibile di Kierkegaard
80 Bergson e Fichte: due introduzioni
42 Per un’estetica fenomenologica
82 RASSEGNA DELLE RIVISTE
43 Primi scritti di Nietzsche
44 Florenski: dalla tradizione all’avanguardia
87 NOVITÀ IN LIBRERIA
45 Opere complete di Gadamer
46 Wittgenstein: psicologia, etica, estetica e architettura
48 Scholem tra Berlino e Gerusalemme
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RESOCONTO
Giovanni Gentile
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RESOCONTO
Nel cinquante- comunque riguardante un aspetto non canario della ratteristico dell’attualismo e piuttosto gli
morte di Gio- allievi di Gentile che egli stesso. La dimenvanni Gentile, sione europea del pensiero di Gentile è
come era faci- stata invece ribadita da Lucio Colletti, che
le prevedere, è ha sottolineato quanto radicale sia stata
ritornato l’inte- nella cultura italiana l’opera di Gentile
di
resse verso il fi- quale organizzatore di cultura. Quest’opeAntonino Infranca
losofo sicilia- ra di organizzazione e promozione culturano, anche gra- le ha dato luogo ad una vera e propria
zie all’organiz- egemonia attualistico-idealistica. Se di
zazione di una serie di manifestazioni che Gentile non si è più discusso per molto
ne hanno ricordato la figura, il pensiero e il tempo, ciò è da attribuirsi, secondo Colletruolo storico. Tra i numerosi convegni che ti, all’abbandono, da parte dell’intellighensi sono tenuti nell’arco del 1994 due hanno tsia italiana, di determinati soggetti, altriavuto luogo nella città di Roma a poca menti prima largamente trattati, quali Padistanza l’uno dall’altro: il convegno orga- tria, Nazione o Stato.
nizzato dal Comune di Roma il 20 e il 21 Il problema della secolarizzazione è stato
maggio in Campidoglio e presso l’Istituto trattato anche da Biagio De Giovanni, il
dell’Enciclopedia Italiana e il convegno quale ha ricordato la polemica gentiliana
organizzato dall’Accademia
d’Ungheria in Roma dal 25 al
27 maggio. Diversi sono stati i
motivi d’interesse suscitati dai
due convegni. Il Comune di
Roma ha saputo riunire un numero altissimo di studiosi italiani, che hanno analizzato la
figura di Gentile dal punto di
vista filosofico, storico e dell’organizzazione della cultura.
L’Accademia d’Ungheria ha
invece avuto il merito, non secondario, di chiamare a dibattere su Gentile studiosi stranieri.
con interventi di Annamaria Camizzi,
La sezione filosofica del convegno in Campidoglio è stata
Hervé Cavallera, Michele del Vecchio,
quella più densa di idee e di
Antimo Negri, Carlo Sini,
dibattiti, grazie al confronto tra
diverse interpretazioni del pensiero gentiliano che si sono date
in quest’ultimo quinquennio.
Salvatore Natoli ha ribadito le
tesi già sostenute nel suo fortunato studio Giovanni Gentile
a cura di Riccardo Ruschi
filosofo europeo, cioè il carattere “epigonico” della filosofia
gentiliana, con la quale si perviene alla nei confronti dell’illuminismo, inteso quadefinitiva dissoluzione del soggetto mo- le destino della modernità. La filosofia
derno. In tal senso Gentile è interpretato attualistica è stata presentata da De Gioutilizzando categorie più tipiche del pen- vanni come una filosofia instabile, permasiero husserliano, quale quella dell’inten- nentemente rivolta alla dissoluzione del
zionalità o dell’identità di pensiero e cose. dato, al suo superamento in un divenire
Natoli ha anche tentato un accordo tra le incessante. In Gentile, l’essere segue semsue tesi e quelle di Del Noce - altro interpre- pre il non-essere, nel senso che il nonte del pensiero gentiliano al centro del essere passa nell’essere, secondo la midibattito odierno - accettando il rischio di gliore lezione della logica hegeliana. Dunsecolarizzazione del cristianesimo che, ap- que, il problema-chiave per Gentile è la
punto Del Noce, ha riconosciuto all’attua- conciliazione di immanenza e potenza, senlismo. L’attualismo sarebbe, allora, una za scadere però in misticismi e visioni
filosofia della storia, oltre ad essere una salvifiche. Di segno opposto, invece, è stafilosofia della storia, perché è una filosofia to l’intervento di Vittorio Mathieu, che ha
che “vuole” un mondo, che opera scelte tra proposto un parallelo tra l’attualismo e
alcune forme di gnosticismo.
opzioni storico-politiche possibili.
Massimo Cacciari ha ripreso il problema Giacomo Marramao è tornato a porre
del rapporto tra attualismo e cristianesimo, l’accento sulla dimensione europea del
spingendo in direzione di un misticismo pensiero gentiliano fin dalla sua prima opepresente nell’attualismo; misticismo già ra La filosofia di Marx. Grazie alla partecisegnalato da Benedetto Croce, all’inizio pazione al dibattito europeo sul marxismo,
della polemica con lo stesso Gentile, ma che si svolse alla fine dell’Ottocento, Gen-
Due convegni
romani
su Gentile
Giovanni Gentile
a cinquant’anni
dalla scomparsa
5
tile si presenta agli occhi dei marxisti italiani, in particolare a Gramsci, come il tentativo filosoficamente più coerente di realizzare il moderno come attualità, come fare
che si realizza nel suo farsi medesimo. La
sinistra marxista sarebbe stata, pertanto,
una fedele erede dell’attualismo gentiliano, in quanto ne avrebbe ripreso il senso
della prassi e al contempo l’esigenza dell’egemonia culturale. L’unico punto, sul
quale, secondo Marramao, la sinistra ha
errato, è stato il non voler riconoscere al
fascismo una propria cultura, presente, soprattutto, nel campo del diritto.
Un’ attualizzazione di Gentile è stata tentata da Antimo Negri, il quale ha posto i
fondamenti per un parallelo tra attualismo
ed ermeneutica. Gennaro Sasso ha invece
parlato di crisi dell’idealismo, facendo risalire tale crisi al dibattito sull’esistenzialismo, apertosi in Italia negli anni
Quaranta. Ma dell’attualismo
Sasso ha dato un’immagine diversa dalla tradizionale, sostenendo che esso è stato una filosofia libertaria ed impegnata
storicamente, in totale contrasto con l’ideale petrarchesco
della vita umbratile. Sostanzialmente d’accordo con Sasso si è
dichiarato Emanuele Severino, che ha definito Gentile il
meno assolutista dei pensatori
del Novecento; il che non implica che tra totalitarismo e assolutismo ci sia identità assoluta. Totalitarismo, per Severino,
è volontà di disciplinare il movimento storico; mentre antitotalitarismo è distruzione di ogni
struttura assoluta. Gentile, filosofo tipicamente moderno, ha
colto pienamente il senso del
divenire come distruzione di
ogni forma e, quindi, un’identificazione immediata tra totalitarismo e attualismo non è possibile; essa impone l’uso di importanti distinzioni e rimane in definitiva aporetica.
La grande varietà di posizioni filosofiche,
fin qui descritte e tutte impegnate all’interpretazione del pensiero gentiliano, è in
netto contrasto con l’immagine pubblica e
privata di Gentile. Le altre due sessioni del
convegno in Campidoglio sono state dedicate a delineare un giudizio sul Gentile
politico e organizzatore di cultura. E’ emerso un ritratto di un intellettuale che seppur
sinceramente legato al regime fascista tentò sempre di mitigarne i rigori politici e le
storture ideologiche. Paolo Simoncelli,
Luigi Accardi, Hervé Cavallera, Jader
Jacobelli, Pietro Prini hanno ricordato
più volte le occasioni nelle quali Gentile si
prodigò ad aiutare intellettuali ebrei o antifascisti, oppure il suo prodigarsi in innumerevoli attività intellettuali. Gabrieli e
Paratore, invece, hanno portato un personale contributo di ricordi biografici e di
frequentazioni gentiliane. Nella terza e
RESOCONTO
definitiva sessione Vincenzo Cappelletti
ha ricostruito le vicende di Gentile coordinatore dell’Enciclopedia Italiana; Aldo De
Maddalena ha ricordato Gentile vice direttore dell’Università Bocconi; Paolo
Chiarini, Gentile direttore dell’Istituto Germanico; Gherardo Gnoli, Gentile presidente dell’Istituto per il Medio-Oriente.
Infine Antonio Fede, direttore dell’Istituto
di Studi Gentiliani, ha tentato una riappropriazione di Gentile su posizioni di destra;
ma tutto ciò che era stato detto fino a quel
momento ha mostrato, tuttavia, quanto sia
problematico ridurre il pensiero e l’attività
di Gentile alla sola militanza fascista.
Il convegno dell’Accademia d’Ungheria
ha permesso, invece, di avere un’immagine di Gentile che provenisse dall’estero;
dunque una reale dimensione europea del
pensiero gentiliano. Il fatto che il convegno
fosse articolato in tre sessioni non coordinate tra loro, riguardanti Vico, Gentile e
l’ermeneutica, ha dato luogo a un dibattito
che ha ovviamente superato le problematiche gentiliane. Il non facile compito di
collegare le tre sessioni è toccato ad Antimo Negri, che è partito dalla conferenza
gentiliana del 1944, in occasione del duecentesimo anniversario della morte di Vico,
per ricordare quanto il filosofo napoletano
sia essenziale per la comprensione dell’attualismo. Problematico apparve sia a Croce, sia a Gentile il cattolicesimo di Vico,
collegato come è ad una “trascendenza
mediata”, che permette al soggetto di farsi
soggetto della conoscenza. Il soggetto emette un giudizio su un oggetto; lo eleva dal
piano di una “trascenden za immediata” a
quello della “trascendenza mediata”; in tal
modo, secondo Negri, ci sarebbe un passaggio da una parola non detta, equivalente
all’erghon aristotelico, alla parola detta, o
energheia. Quest’ultima rappresenterebbe,
quindi, un atto del divenire, mostrando
come tutto l’attualismo gentiliano sia l’approfondimento di una tradizione filosofica,
risalente ad Aristotele, e allo stesso tempo
sia parte integrante di un pensiero occidentale, che oggi si rappresenta compiutamente nell’ermeneutica.
Sul rapporto particolare-universale e sulla
fortuna di Vico in Ungheria e Polonia si
sono soffermati Jozséf Pàl e Krzysztof
Zabolklicki. Mentre Tibor Szabò ha posto l’accento sul rapporto idealismo ed
esistenzialismo in Enzo Paci, che ha avuto
il merito di invertire il rapporto vichiano
Dio-uomo. Sul problema del divino, della
lingua e della comunicazione è tornata
Angela Maria Jacobelli, così come Balint Somlyo, che ha ricordato, inoltre, quanto estraneo era apparso il pensiero di Vico
agli intellettuali del suo tempo. Ancora su
Aristotele ha insistito Guido Traversa; sul
famoso frontespizio della Scienza Nuova, e
dunque sul rapporto Dio-uomo, ha parlato
invece Anna Wessely. Il carattere ermeneutico del pensiero vichiano, applicato
all’interpretazione di figure geometriche e
numeri è stato l’argomento trattato da Giu-
seppe D’Accunto. Ultima relazione vichiana, ma senza dubbio, la più densa di
stimoli speculativi è stata quella di Cecilia
Castellani. Suggestiva è stata la tesi di
partenza, ripresa dal pensiero di Meinecke, secondo il quale in Vico si avverte uno
storicismo, seppure in forma “mancante”.
Il vincolo tra uomo e mondo è dato dalla
mente, rapporto che rappresenta la storicità
dell’essere umano. Vico riprende da
Cartesio il problema della ricreazione di un
mondo, che sia però in una connessione
aporetica con Dio. Ma se la creazione divina è un atto d’intelligenza, quella umana è
carica di un’ignoranza, il che non impedisce che i pensieri dell’uomo siano indirizzati verso un unicum insondabile.
Il passaggio dalla sessione vichiana a quella gentiliana è stato affrontato da Francesca Rizzo Celona e da Eva Ordógh, che
hanno mostrato come quell’unicum vichiano sia divenuto in Gentile lo spirito, che si
costituisce nell’Atto del pensare. Jader
Jacobelli ha invece ricordato quanto autonoma fosse la posizione di Gentile all’interno del fascismo, insistendo però sul fatto
che tali posizioni autonome fossero sempre
di carattere privato e mai pubblico. Jacobelli ha concluso, ponendo l’accento sul
capitolo non ancora concluso - in senso
politico - della morte di Gentile.
Vittorio Stella ha ricordato come nell’estetica gentiliana siano comunque presenti
elementi crociani, soprattutto riguardanti
la soggettività dell’arte. L’impostazione
della relazione di Stella induce ad una
conclusione, quella di un’unica estetica
idealistica, che ha avuto due redazioni, una
crociana e una gentiliana. Sul problema del
giudizio estetico crociano e gentiliano riguardo a Leopardi ha insistito Lelio La
Porta, il quale ha ricordato che i due filosofi idealisti, ben disposti a sostenere
l’aspetto poetico dell’opera leopardiana,
non ne abbiano voluto accettare il valore
filosofico.
Con l’intervento di Angelo Sabatini sono
ritornati alcuni temi tipici del dibattito odierno su Gentile e cioè la sua dimensione
europea, il suo valore teoretico e i rapporti
con altre filosofie del Novecento. La scarsa
fortuna dell’attualismo nel continente è
stata imputata da Sabatini all’ostracismo
del marxismo nei confronti del primo. Jànos Kelemen ha continuato su questa falsa
riga della dimensione europea di Gentile,
ricordando come il filosofo siciliano sia
stato tra i primi sostenitori del totalitarismo
politico. Marco Montori ha invece ricostruito la polemica attualismo-modernismo,
specialmente quella con il modernismo francese. Ha concluso la sezione gentiliana del
convegno Antonino Infranca, affrontando il problema della morte di Gentile.
I due convegni romani hanno offerto la
possibilità di riproporre il pensiero gentiliano in tutta la sua attualità, ma al contempo ancora numerosi si sono dimostrati i
punti da analizzare o da sviluppare. I rapporti con la politica, ad esempio, sono
6
ancora, soprattutto a destra, motivo di aspro
dibattito, visto che da quella parte politica,
si tenta di monopolizzare lo studio del
pensiero gentiliano, tacendo sugli indubbi
aspetti liberali della sua formazione. In
questo momento è la sinistra a superare le
barriere ideologiche che fino a poco tempo
fa avevano rappresentato l’ostacolo maggiore per una serena analisi della figura di
un pensatore che ha influito profondamente sulla formazione della cultura nazionale.
La morte di Gentile, d’altro canto, ha offerto, in entrambi i convegni, più di un motivo
di confronto dialettico, sempre condotto
però con serenità e con il necessario distacco ideologico, storico e politico, nell’intento di esprimere un giudizio obiettivo su
quel triste avvenimento della storia italiana
contemporanea. Adesso che le celebrazioni si sono concluse, agli studiosi di Gentile
spetta il non facile compito di tenere desta
l’attenzione verso il proprio lavoro. Non è
un compito facile, dato che solitamente la
cultura italiana, eccessivamente abituata
alle celebrazioni, si interessa a un filosofo
o a una corrente in occasione di appuntamenti cronologici, come gli anniversari, e
purtroppo tra i cinquantenari e i centenari
non c’è l’abitudine a celebrazioni: bisognerà dunque attendere altri cinquanta anni
per risentir parlare di Gentile?
In occasione
Idealismo attuadel cinquantelista
nario della
ed esperienza
morte di Giostorica
vanni Gentile
la critica attualista sembra
aver conosciudi
to una vera e
Luca Scarantino
propria renaissance. Tra le
numerose occasioni d’incontro e di approfondimento, particolarmente interessante è
stato il Convegno Internazionale di Studi,
tenutosi a Castelvetrano dal 20 al 22 ottobre 1994, organizzato dal Centro Internazionale di Cultura Filosofica “Giovanni
Gentile” e dall’Istituto di Filosofia dell’Università di Palermo, in collaborazione
con il Comune di Castelvetrano.
Il Convegno ha visto la partecipazione di
numerosi studiosi italiani ed esteri e ha
costituito un’importante occasione di ritrovo per quella comunità filosofica che vede
nel pensiero attualista uno dei propri punti
di riferimento. In generale, il Convegno ha
presentato una compiuta unitarietà tematica,
inserita in un’altrettanto ricca molteplicità di
riferimenti teorici e di analisi storiche. Esso
ha costituito un punto privilegiato di osservazione, fornendo uno spaccato di quella
parte della filosofia attuale che si richiama ai
valori della metafisica classica, sia essa di
matrice cattolica (e quindi, in prospettiva,
trascendente) che laica, e che fa riferimento
ai valori dell’immanentismo idealista.
Nella sua relazione introduttiva, Nunzio
RESOCONTO
Incardona, presidente ed organizzatore
del Convegno, ha voluto sottolineare la
dimensione spirituale dell’idealismo attualista, ribadendone al contempo il legame con la dimensione vitale dell’individuo. Incardona si è poi soffermato sulla
nozione di storia, concepita come luogo in
cui il Pensiero dimostra se stesso e in cui si
esprime la vita spirituale dell’intera civiltà
occidentale, dai greci in avanti. L’oblio di
tale realtà costituisce, agli occhi di Incardona, un annebbiamento della nozione di
persona e dell’autonomia e la libertà interiori di ognuno di noi, che descrive propriamente l’inautenticità (o, secondo Incardona, il mascheramento dell’Essere)
del contemporaneo; e proprio nel forte
richiamo alla responsabilità dell’individuo di fronte alla propria spiritualità si
situa per Incardona la “drammatica attualità” del pensiero gentiliano.
Carattere fortemente teoretico ha avuto
anche l’intervento di Nicolas Grimaldi,
che ha tracciato una storia della nozione di
inquietudine, mostrando come la caratterizzazione che di tale nozione si ritrova in
Hegel, che la considera un attributo della
sostanza, contraddica solo in apparenza la
nozione classicamente aristotelica di ousìa. L’idealismo di Hegel, secondo Grimaldi, ha infatti dato una compiuta forma
filosofica ad un’intuizione «che percorre
l’intera storia della filosofia»: quel necessario divenire, quell’irrequietezza dell’Essere, che costituiscono lo Streben (il tendere) proprio del mondo umano, definiscono
l’ousìa aristotelica, la sostanza immobile,
come proprio limite. Proprio quest’identificazione della spiritualità, nel suo insieme, con l’inquietudine, ha osservato Grimaldi, costituisce uno dei temi portanti del
pensiero occidentale. Essendo la natura
stessa costituita da un necessario divenire,
la sostanza immobile non deve allora essere concepita come “un’eternità di morte”,
privata di quel movimento che ne costituisce l’intimo e più radicale senso vitale.
Richiamando l’esperienza della grande tradizione metafisica occidentale, Grimaldi
riconduce l’originarietà dell’inquietudine
a quel désir che la genera e che, non potendo aspirare alla propria soddisfazione, si
configura come una tensione infinita: “l’inquietudine è un principio” e l’anima la
perenne “inquietudine di una mediazione”.
Un tema gentiliano affine, sebbene nel quadro di una differente ricostruzione storica,
ha pure sollevato Xavier Tilliette, che ha
affrontato la questione della “Mestizia del
finito nell’idealismo tedesco”. Riferendosi
in particolare al pensiero di Schelling, Tilliette ha offerto una ricostruzione straordinariamente ricca della nozione di malinconia nell’idealismo tedesco e del modo in
cui questa nozione viene trasportata ed
applicata al mondo della natura. Attraverso
le mediazioni di Böhme e, in misura minore, di Swedenborg, Tilliette ha mostrato il
carattere profondamente religioso del senso romantico della tristezza della natura
come rappresentazione cosmica della colpa dell’essere umano. La malinconia allora, tema già presente lungo tutto l’Illuminismo tedesco e segnatamente in Kant, diviene la “santa” melancolia, compagna del
sublime; la Sehnsucht (nostalgia) di
Schelling diventerà parte integrante della
concezione romantica dell’amore, che trova nello Schmerz des Unendlichen (dolore
per l’infinito) uno dei momenti teorici più
espressivi della propria sensibilità e della
propria spiritualità.
Più strettamente legato a Gentile è stato il
dibattito storico e teorico emerso dalle relazioni degli studiosi di scuola italiana. La
maggior parte degli interventi di carattere
storico si è concentrata sulla ricostruzione
e l’esame delle origini del pensiero gentiliano. È emersa in particolare una certa
attenzione verso i rapporti di Gentile con i
suoi maestri, con particolare riferimento a
Donato Jaja. Così Ezio Riondato, trattando di “Giovanni Gentile tra individuo e
spirito”, ha voluto sottolineare l’importanza dell’influenza di Jaja nel progressivo
abbandono, da parte del giovane allievo,
del momento intuitivo nel procedere della
conoscenza. Gentile, infatti, eredita dall’insegnamento di Jaja, anche attraverso la
mediazione di Spaventa, l’esigenza critica
di un rifiuto della dimensione immediatamente conoscitiva del pensiero. Considerando come in Gentile l’unico vero positivo sia l’atto del soggetto che si pone come
tale, Riondato ha poi inteso criticare la
nozione di esperienza pura propria di tale
metafisica immanentistica, richiamandosi
all’esperienza del trascendentismo di U. A.
Padovani. A Jaja si è voluto riferire anche
Luciano Malusa, che ha ripercorso la presenza in Gentile delle figure di Rosmini e
Gioberti. Malusa ha mostrato come in Gentile la concezione della storia della filosofia
si sia sviluppata a partire dall’insegnamento dei suoi maestri: Tocco, Spaventa, D’Ancona, e soprattutto Jaja. L’interesse di Gentile, ha sottolineato Malusa, si è rivolto
principalmente alla tradizione filosofica
italiana, in ragione di una concezione dell’analisi storica come ricostruzione dello
spirito della filosofia in determinati momenti, considerati come decisivi. Questa
particolare concezione, che si esprimeva in
ampie sintesi di natura speculativa, condusse Gentile ad attribuire allo spiritualismo ottocentesco un ruolo decisivo nel
rinnovamento del pensiero filosofico nazionale. La riscoperta di Gioberti, dovuta
quasi interamente a Gentile, e quella di
Rosmini, la cui presenza nella filosofia
italiana era soltanto appena più significativa, costituiscono per Malusa uno degli
aspetti più importanti dell’opera storiografica gentiliana.
Sulla stessa linea tematica si è sviluppato l’intervento di Francesca Rizzo Celona, che ha presentato una breve, ma
precisa, ricostruzione di alcune posizioni estetico-letterarie del giovane Gentile e
dei travagliati rapporti con il maestro D’An7
cona riguardo a questo tipo di tematiche.
Vittorio Sainati ha rammentato come l’intera produzione filosofica di Gentile debba
essere considerata a partire dalla netta partizione temporale che vi si può scorgere e
che impedisce di considerarla come un
blocco teorico unico. Sainati ha ricordato
come il Sistema di logica determini nel ’17
una svolta che dà origine ad un secondo
attualismo, che si caratterizza per la riabilitazione della logica classica. Mentre, infatti, il pensiero gentiliano concepiva sino
ad allora l’Atto come soggettività assoluta
ed inoggettivabile (e la teoria dell’Atto non
è che la teoria dell’inteorizzabile), nell’opera del ’17 questa tesi viene abbandonata da Gentile; addirittura la logica classica viene qui assunta come logica dell’Atto
oggettivato. Con ciò, ha osservato Sainati,
l’oggetto viene recuperato al sistema attualista nella forma critica di un Pensato, che
si basa sulla concretezza dell’Atto pensato.
Tale recupero della dimensione oggettuale
marca un’evoluzione decisiva, che apre la
fase del secondo attualismo, dove l’astratto
diviene quell’oggettività con cui il pensiero pensante media se stesso. Tuttavia, ha
sottolineato Sainati, Gentile si troverà a
ricadere in una posizione ontologizzante e
metafisica allorché tornerà a ridare al pensante una funzione ontologica, fondativa di
un sapere assoluto.
La tematica dell’Atto e del rapporto tra
soggetto e oggetto ha costituito il centro
dell’approfondita discussione teorica, che
ha rappresentato il terzo motivo portante
del convegno. Riprendendo il proprio progetto di una antropologia esistentiva, Riondato ha sottolineato la necessità di un originaria posizione di individualità che, a
differenza della metafisica immanentistica
di Gentile, sappia rendere conto della priorità di valore dell’empiricità individuale
del “ci sono” rispetto alla generalizzazione
esistenzializzante dell’essere. Riondato
vede nell’idealismo attualista l’impossibilità di definire qualunque individualità, a
causa dell’ineludibile universalizzazione a
cui ciò formalmente condurrebbe; sarebbe
invece necessario, secondo Riondato, affermare la centralità della dimensione esistentiva e dell’empiricità individuale, postulando un unico a priori possibile, un “io
dicente”, unità originaria esistentiva, che si
dà immediatamente e che pone come altro
da sé un “me” in grado di riferirsi all’io
stesso. A questa posizione ha risposto Carmelo Vigna, che si è richiamato alla necessità di un’affermazione della dimensione
universale, sostenendo l’importanza di
mantenere un apparato categoriale, inteso
come gruppo di costanti presenti all’interno di ogni coscienza, quando questa si
apre. Per quanto in entrambi sia presente un
atteggiamento critico verso la posizione
gentiliana, Vigna ha contestato a Riondato
di risolvere il rapporto tra io trascendentale
e io empirico attraverso un’ipostatizzazione dell’esperienza empirica di quest’ultimo; il che condurrebbe al problema gene-
RESOCONTO
rale di ogni metafisica, cioè al relativismo
assoluto. Di fronte alla proposta di considerare l’io trascendente come «i tratti comuni a ciascuno di noi», ossia una posizione di trascendentalismo coscienzialistico,
Riondato ha ribadito l’esigenza di un’ontologia esistentiva, che salvi l’autentica esistentività singolare e individuale dell’ “iouomo” e che giustifichi e preceda logicamente la necessaria generalizzazione formale propria della dittività comunicativa
epistemica.
Al problema dell’immanenza è stato dedicato anche l’intervento di Alberto Moscato, che ha trattato dello stretto legame presente in Gentile tra logica e vita morale,
così come di alcune importanti difficoltà,
nell’immanentismo attualistico, in relazione alla deduzione trascendentale del dato
dall’Atto. Alla questione dell’oggettualità
e alla necessità di salvare l’oggetto si è
rivolto anche l’intervento di marca realista
di Rafael Alvira.
Infine, alcune interessanti comunicazioni
hanno chiuso i lavori del Convegno, fornendo spunti di ricerca e di approfondimento. Così, Stelio Zeppi ha ricordato
come la presenza di Gentile si sia fatta
sentire a Trieste attraverso l’opera di F.
Collotti e di Cammarata; Zeppi ha ricordato inoltre l’importanza, nella vita culturale
di quella città, delle lezioni di pedagogia
tenute dal filosofo nel 1920, e ha tracciato
un breve bilancio della presenza attualista
nel capoluogo giuliano. Giuseppe Nicolaci ha affrontato l’importanza dell’esigenza
trascendentale dell’attualismo per una comprensione e un ripensamento dei principi
stessi di una riflessione metafisica; Ferdinando Marcolungo ha ripreso la questione della presenza in Gentile del pensiero di
Gioberti e Rosmini, ponendo la questione
di una precisa valutazione della mediazione di Spaventa. A questa questione si è
riallacciato anche Leonardo Samonà,
mentre ad un’analisi della prolusione palermitana del 1907 è stato dedicato l’intervento di Grazia Tagliavia. Giuseppe Cottone ha infine contribuito a ravvivare l’atmosfera con una breve e curiosa ricostruzione di alcuni episodi del carteggio tra
Gentile e Benedetto Croce.
I convegni
sono sovente
luoghi dove
l’astuzia della
ragione esercita il suo occulto potere; dove
ella si ride dei
di
progetti, dei
Girolamo de Liguori
fini degli organizzatori e degli sponsor di turno; dove, alla fin fine, la
verità, malgrado tutto, vive la sua storica
giornata, scende dall’empireo e gavazza
nelle accademie, nei fumoirs; gioca, per
dirla con Hegel, suo padre putativo, con
Gentile
e la filosofia
dell’Occidente
l’accidentalità, coi «buffoni, gaglioffi, e
cose comuni tratte dalla vita quotidiana»;
entra nelle fumose “birrerie”, si mescola ai
“carrettieri”, trascorre, come fosse assuefatta a tale maleodorante convivenza, in
mezzo a «vasi da notte e pulci» (Estetica,
Milano 1963, pp. 782-783). Se proprio non
si fa “storia”, si fa almeno “fenomeno”.
A Giovanni Gentile è capitato quel che
era già capitato ad altri filosofi italiani,
cosiddetti minori. Tirati fuori dall’armadio, con fini parziali di ricuciture e di
toppe, hanno finito per reinteressare i curiosi, a riconferma di quel detto popolare
(oggi sempre meno popolare), secondo cui
«infinite sono le vie del cielo»! E così, tra
“destino dell’io”, “tentativi di dis-lettura”,
commemorazioni di vecchi allievi ortodossi e resecature di parti fondamentali,
qualcosa ugualmente è venuta fuori: anche
ciò di cui non si è parlato. E di Dio medesimo, non si può, forse, parlare tacendo,
ovvero in negativo? «Questo solo oggi
possiamo dirti/ quel che non siamo, quel
che non sappiamo» - canta il poeta. Quos
nihil scitur -dice la teologia medievale,
quando, con Scoto Eriugena, vuole provarsi a definire: Deus, propter excellentiam suam non immerito nihil vocatur.
Se allora registriamo doverosamente quanto è stato detto e anche non detto, alla fine,
messi insieme il positivo e il negativo, il
convegno gentiliano svoltosi a Lecce, a
cura del Dipartimento di Filosofia, nei giorni
15 e 16 dicembre 1994, per ricordare i
cinquant’anni dalla morte del filosofo, ha
dato anch’esso il suo contributo alla critica
di Gentile e, tra i vari convegni commemorativi e di studio, dalla Sicilia a Roma in
Campidoglio, resterà con una sua fisionomia di apprezzabile validità. Se non altro
per aver evitato la fastidiosa ideologizzazione di una filosofia che merita d’essere
trattata per se stessa.
Antimo Negri (“L’attualismo e il destino
dell’io”), certo tra i più autorizzati in Italia
a dire di Gentile, ha portato nella sua relazione non solo il mare magno delle sue
letture, ma anche la sostanza vera e profonda del meditare gentiliano. E l’ha fatto con
una cert’aria di non voler dire, scavando
tuttavia nel fondo di quella “ambigua filosofia cristiana” che resta la dottrina dell’atto puro. Ha marcato, nel rapporto io-natura
o mondo in Gentile, la latente paura della
scissione, della lacerazione (ha parlato addirittura di ferita o taglio di coltello, alla
maniera siciliana!): paura che del resto
porta o, se si vuole, indirizza Gentile verso
il misticismo. Potrebbe meravigliare che, a
questo punto, non si sia fatto il nome di Del
Noce, che sulla costruzione del dio gentiliano ha lasciato una notevolissima esegesi, legata del resto ad una sua complessa
ricollocazione storica della filosofia gentiliana. Solo come “teologo”, oggi, «Gentile
resiste ancora alla lettura», secondo Del
Noce; ed a conferma egli ricordava un
emblematico passo del Sistema di logica
del 1917: «Ma la teologia non è mistici8
smo, né religione, come han saputo in ogni
tempo i più ferventi e profondi spiriti religiosi, bensì pretta filosofia; e la monotriade
non è un’invenzione dei mistici, sibbene
della filosofia elaboratrice delle rappresentazioni religiose. Infine tra la monotriade
dell’atto spirituale e quella dei teologi c’è
questa piccola differenza: che la prima è, e
la seconda non è una monotriade, se con
questo concetto si vuol designare, come si
dice, l’unità della sostanza attraverso le
forme in cui essa, in quanto spirito, si
pone». Si tratta, insomma, di una “filosofia
che si fa teologia”, di un filosofare che
vuole spodestare la teologia non perché
essa sia falsa, ma perché la sua verità - la
verità della rivelazione stessa - è contenuta
nella filosofia. Quella attualistica, cioè.
Tale aporia ha segnato in profondità l’intervento di Negri, che mal celava un suo
profondo dramma teoretico, solo in parte
ereditato dal suo maestro Ugo Spirito. Sembrava invece inesistente in altri interventi,
dove il problema della storicità o collocazione dell’attualismo era del tutto irrilevante e proprio perché inadatto a riflessioni fenomenologiche sul tema. In realtà, il
problema della filosofia gentiliana, problema squisitamente teoretico, si dissolve
se non viene storicamente collocato ed
esplicitato.
L’avvio per una riproposizione dell’impianto teoretico dell’attualismo in termini
corretti, era stato fornito nel ’92 da Eugenio Garin nel volume delle Opere filosofiche (Garzanti, Milano 1991) di Gentile; qui
Garin articolava i contributi in quattro parti, a partire dallo studio su Marx del ’99, per
finire allo scritto del ’24, Genesi e struttura
della società. Da una tale indicazione esegetica, vien fuori come la filosofia per
Gentile coincida con la realtà - così come
per Hegel e diversamente da Croce, per il
quale esiste la dicotomia tra realtà e conoscenza -, per cui l’esperienza viene ad essere assorbita nell’essere, portandosi dietro
l’aporia di essere = divenire e perciò stesso
di filosofia = storia. Per questo non sfugge
a chi, come Hervé Cavallera, ha affrontato il tema “Gentile e Spinoza”, ma resta
nell’ombra negli interventi in cui Gentile è
pretesto di differenti istanze problematiche. Da Spinoza, ci ricorda Hervé, bisognerebbe espungere la “natura”, l’oggetto,
che porta al dualismo implicito per il quale
- secondo Gentile - la “natura” (Dio) spinoziana terrebbe il posto del “confessionalismo” cattolico.
In realtà, Spinoza come Kant - da segnalare, a questo proposito, l’intervento di Mario Signore sul “Kant” gentiliano -, Hegel
come Bruno, Rosmini come Spaventa, il
positivismo in crisi, la religione e quindi il
modernismo, restano temi obbligati non
soltanto per Gentile, quanto per una più
vasta area della filosofia italiana di quegli
anni, dalla quale, del resto, l’attualismo - se
non viene correttamente collegato o correlato - rischia di venire astratto e notevolmente falsato. Bene hanno fatto, perciò, gli
RESOCONTO
organizzatori del convegno leccese a prevedere interventi sui rapporti con Croce,
con l’esistenzialismo, con il massimo degli
oppositori del neo idealismo: Giuseppe Rensi. Tuttavia, per quanto riguarda Croce,
sarebbe stato, a mio vedere, indispensabile
indugiare sulle profonde differenze sul piano teoretico - differenze da rivisitare fino al
Gentile della Kulturgeschichte: del Gino
Capponi, della storia della filosofia italiana (che fa un certo pendant con la crociana
Letteratura della Nuova Italia), della scoperta del Leopardi pensatore. In tal senso,
la relazione di Sossio Giametta, “Gentile e
Croce”, avrebbe dovuto trovare
più riscontri e sviluppi nel dibattito, o in altri interventi. La
relazione di Giovanni Invitto,
“La presenza di Gentile nel dibattito italiano sull’esistenzialismo”, attinente più al terreno
della rassegna o, se si vuole,
della sociologia filosofica che
non a quello di un raffronto
teoretico tra le aporie dell’attualismo e il travaglio di filosofie europee che si aprivano nell’ascolto di Nietzsche,
Heidegger, Simmel, incamminandosi per contorti sentieri
verso il nichilismo, sollecitava
tuttavia tale istanza.
Il contributo di Nicola Enery,
“L’attualismo come ‘terremoto
metafisico’: l’ambivalente rapporto Rensi-Gentile”, è stato
certo una ottima premessa per
quella collocazione rinnovata
dell’attualismo in un panorama
italiano, osservato finalmente
in maniera più aperta e non più
contratto negli stampi di un provincialismo, dato per scontato.
Purtroppo Enery, che per primo
ha ricostruito la varia e complessa opera rensiana, ha presentato il rapporto tra Rensi e
Gentile con molto prudente circospezione, dando per acquisito il presupposto che la costruzione gentiliana restava un universo troppo perfetto per venire
scalfito dall’iconoclastia di uno
scrittore brillante, ma filosoficamente fragile come Rensi. In verità anche Gentile vive in tutta la sua opera - e spie
se ne trovano ad ogni piè sospinto - lo
stesso dramma epocale della crisi del meccanicismo e del naturalismo, che aveva
investito Rensi come Martinetti, Adolfo
Faggi come l’ultimo Graf, Tilgher e gli altri
protagonisti della cultura italiana dei primi
decenni del secolo.
Si provi a leggere, senza pregiudizi, alcune
interpretazioni gentiliane di Spinoza come
di Hegel o di Kant, di Rosmini come di
Leopardi. Che cosa sarebbe, ad esempio, la
“materia” leopardiana? Nient’altro che
“natura disumana”, natura che si contrappone allo spirito, creando una dicotomia
che tuttavia non riesce a nullificare lo spirito stesso. «La realtà che è lì di fronte allo
spirito, è sì quella realtà naturale, materiale, meccanica, chiusa, e impervia ad ogni
idealità, inconciliabile con qualsiasi concetto di libertà; ma il contrapporsi di essa
allo spirito importa pure l’opporsi dello
spirito ad essa: dello spirito, che è una
realtà dotata di attributi contrari a quelli
con cui vien pensata l’altra. E per ammettere questa, bisogna ammettere prima quella: senza la quale mancherebbe lo stesso
pensiero, a cui si chiede tale ammissione».
(Manzoni e Leopardi, Firenze 1937, p. 103).
Manoscritto inedito di Giovanni Gentile
Bene ha fatto perciò Negri quando, tra le
fonti del pensiero gentiliano, ha subito
indicato il Rosmini del “sentimento fondamentale corporeo”. E’ grazie a Rosmini
che Gentile si libera dell’idea tradizionale
che l’anima abiti il corpo, che l’inesteso
sia contenuto nell’esteso (Platone aveva
detto che il sòma è un sèma: il corpo è
prigione per l’anima). Viceversa, ricorda
Negri, è il corpo (natura) che abita lo
spirito: lo spirito come cosmo, tutto di cui
l’ “io” è coscienza. Nella natura ottusa, nel
meccanismo universale, siamo determinati; ma nel pensiero siamo liberi: «chi dice
pensiero dice libertà» (Op. cit., ivi). Siamo
di fronte allo storico atteggiamento epoca9
le - si ricordi la critica del materialismo
meccanicistico da Ostwald a Mach - che fa
leggere Spinoza a Gentile in chiave fortemente critica, per non essersi questi liberato della natura “bronzea”, e a Rensi, al
contrario, in piena consonanza, per aver
ricondotto lo spirito alla natura. Il senso è
inverso, ma il significato è lo stesso. Leopardi, per Gentile, avrebbe allora trovato
nella poesia lo strumento per superare la
prigione della natura-materia: sarebbe perciò filosofo in quanto critico del materialismo, non filosofo in quanto materialista
(come invece apparirà a Rensi). Egli «non
si rassegna alla pura affermazione materialistica, perché la
ricca e sensibilissima vita morale, che gli riempie il cuore, è
la negazione del materialismo»
(Op. cit., p. 104). E il materialismo (naturalismo) resta per
Gentile errore filosofico: ciò
che Leopardi, non rassegnato,
arrivava ad accusare sotto la
specie di “natura matrigna”.
Tale interpretazione è perfettamente in linea con la risposta
gentiliana alla crisi di fine secolo. Qui c’è il lieto fine, la riconciliazione con lo spirito: l’umanità non è travolta dal caos o
trascinata nel suo destino tragico, come l’islandese della celebre operetta morale. «L’uomo è
alla presenza di un mondo il
quale non è quello del meccanicismo, che tutto travolge e distrugge quanto a lui è più caro,
ma quello del pensiero, dello
spirito umano, dell’amore, della virtù» (Op. cit., p. 110). Anche l’idealismo etico di Fichte
concorre - come era già ben
chiaro a Tilgher, sia pure con
spirito di accesa polemica (cfr.
«Religio», n. 6, 1936) - a costruire l’edificio attualistico che
si alimenta delle stesse fonti cui
attingono i contemporanei filosofi italiani (si pensi a Martinetti e a Rensi, in modo particolare), perdenti e dimenticati più
per una sconfitta sul campo dell’egemonia, che su quello faticato dell’angosciosa elaborazione teoretica.
Basta toccare un tema nevralgico gentiliano per accorgersi come Spinoza, Hegel,
Kant, Bruno, Pomponazzi, Leopardi, la
tradizione risorgimentale, Capponi, Rosmini, Gioberti, Spaventa (in Gentile si tace
il nome di Nietzsche) non siano suggestioni teoretiche, esclusivamente sue, quanto
tensioni epocali che finiscono per fare
emergere, in tutta la sua tragica antinomia,
il rapporto tormentato tra religione e razionalità. Tale costatazione prende luce e significato se si pongono accanto all’attualismo - non frutto irrelato di purezza teoretica - proprio gli antistoricismi di Rensi e
Martinetti: filosofi differentissimi tra loro
RESOCONTO
nella sostanza e negli approdi, ma per altri
versi egualmente emblematici e parimenti
indirizzati verso il dualismo. Tanto per
l’uno, quanto per l’altro c’è una realtà trascendente il pensiero. Per Rensi, tale realtà
è la natura impassibile (materia), da un lato,
e la storia, irrazionale, caotica dall’altro:
entrambi entità agitate dal perenne divenire che, leopardianamente, si risolve in “essere per la morte”. Per Martinetti tale realtà
è spirituale e il pensiero - al di fuori del
fluire della storia - la coglie solo se si
estranea dai fondamenti dai quali l’uomo è
dilaniato. Entrambi sono perciò dualisti;
ma nell’uno trascendente è lo spirito, nell’altro la materia, ottusa, illogica, caotica e,
per la ragione, assurda.
Il rapporto allora tra Gentile e la “filosofia
dell’Occidente” è sì diretto, vissuto sui
testi di Hegel e di Marx, e non rimanda di
necessità alla lezione scolastica di Donato
Jaja (come ci ha spiegato una volta per
tutte Garin), ma resta ugualmente condizionato sul piano storico da due fattori
fondamentali: la crisi del positivismo, che
attraversa il pensiero europeo da Nietzsche a Simmel, e la revanche cattolicospiritualistica, intesa soprattutto in Italia.
Di una tale condizione storica, tutte le
relazioni leccesi - laddove toccavano il
cuore della riflessione gentiliana - hanno
offerto elementi per un approccio rinnovato e fecondo.
Giovanni Gentile: nato a Castelvetrano il
30 maggio 1875; ucciso a Firenze il 15
aprile 1944. Fra queste due date scorre,
oltre alla vita del filosofo, quel filo conduttore che indicherà il destino dell’Italia.
Un’Italia posta nel dramma delle guerre
mondiali, nella lotta e nella tensione della
ricostruzione; un’Italia che vive l’esperienza fascista e poi ancora è provata dall’estenuante resistenza per la liberazione.
Gentile “vive” nel quadro di una nazione
spinta dagli eventi, delineandone i contorni ed intrecciandovi la sua esperienza
umana e filosofica. Egli parte dalla Sicilia,
ricco della lezione Illuminista tesa verso il
Positivismo, e va incontro alla cultura del
“continente”, romantica e spiritualista, per
porre le basi al suo pensiero. E nella sua
permanenza pisana, alla Scuola Normale,
trae spunto dall’insegnamento di maestri
come D’Ancona, Crivelluci e Jaja, per la
sua formazione storico-estetica.
Da un panorama nazionale Gentile si apre
ora ai problemi di un pensiero “totale”,
rifacendosi al concetto di “circolazione
delle idee” che va delineando attraverso il
bagaglio culturale che gli viene più direttamente da Rosmini, Gioberti, Campanel-
la, Bruno e Spaventa; si protende quindi
verso Kant, e naturalmente Hegel, conformando il suo pensiero nel concetto di Neoidealismo. Così, al suo primo impegno
filosofico, analizza Marx attraverso il
confronto hegeliano, che si configura
nella filosofia della prassi, tanto da dar
vita ad un acceso dibattito con l’amico
Benedetto Croce.
Ma Hegel è per Gentile anche e soprattutto
il fondamento del suo pensiero attualistico; recepisce il concetto di logica hegeliana e lo fa suo, pur superandolo in quel
passaggio che rientra nella dottrina dell’atto, che dall’ortodossia hegeliana diviene eterodossia e quindi forma del pensiero
gentiliano, che nel suo divenire si pone
addirittura come “riforma della dialettica
hegeliana”. Lo studio gentiliano di Hegel
(filtrato attraverso Bertrando Spaventa) si
configura già fin dalla sua prima critica al
filosofo tedesco, sino a giungere alla sua
opera più organica Teoria generale dello
spirito come atto puro (summa del suo
pensiero teoretico).
Il suo “pensare” conduce Gentile ad analizzare la realtà, che non considera come
fenomeno alieno, ma come conseguente
allo spirito dell’uomo e quindi facente
parte della storia, tanto da esprimere in
Genesi e struttura della società il concetto
umanistico di storia e destino dell’uomo
nel mondo sociale. Lo stesso mondo in cui
egli stesso si pone quale organizzatore di
cultura, attraverso L’Enciclopedia italiana, e quale pedagogista, tanto da permettere al suo pensiero di sfidare il tempo
rientrando nel concetto di universalità.
Così Gentile si pone come iniziatore,
all’interno del neoidealismo, di quell’impianto culturale novecentesco che ci
appartiene e che ci impone di ricollocare
il suo pensiero entro la nostra storia, che
si basa sull’equità. R.Ia.
Gentile interprete di Hegel e Marx.
Sulla base di queste considerazioni, e
alla luce delle riflessioni e ulteriori prospettive di ricerca sollevate dai convegni e dagli incontri in occasione del
cinquantenario della morte di Giovanni
Gentile, Roberto Iasiuolo ha rivolto una
serie di domande e spunti di riflessione a
Annamaria Camizzi, Hervé Cavallera, Antimo Negri, Carlo Sini, e Michele Del Vecchio, che hanno cortesemente
accettato di rispondere.
ritiene di dover verificare la validità filosofica del materialismo storico che, per questo, si presentava in certo
qual modo concorrente dell’indirizzo spaventiano. Trattandosi di una dottrina con radici hegeliane che si presentava come “promessa per l’avvenire”, come movimento
di pensiero che si prefiggeva di mutare il mondo, dimostrarne l’erroneità dal punto di vista filosofico equivaleva a renderla incapace di promuovere qualsiasi cambiamento della società.
Camizzi. Le interpretazioni di Hegel e di Marx si presentano nel pensiero di Gentile strettamente congiunte. E
non tanto per l’hegelianizzazione di Marx, operata da
Gentile, quanto per il problema politico che stava a
fondamento della lettura dei due filosofi (non è un caso
che i saggi sul materialismo storico verranno ripubblicati
nel 1937 in appendice ai Fondamenti della filosofia del
diritto) oltre che per la originalità con cui viene affrontato
il loro pensiero.
Far penetrare Hegel in Italia - seguendo la lezione di
Spaventa e quindi di un Hegel certamente non accademico, a differenza delle correnti interpretazioni di fine
secolo - significava far penetrare l’autentico spirito filosofico e quindi costituire l’unità della nazione. La circolazione del pensiero filosofico, la riforma della dialettica
e la proposta di una filosofia dell’esperienza che anticipa
l’identità di teoria e prassi sono i temi spaventiani, fatti
propri da Gentile. Ora, incontrando una coincidenza di
vedute tra Spaventa e Marx sul concetto di prassi, Gentile
Cavallera. Giovanni Gentile è stato certamente colui
che più ha portato a compimento il messaggio di Hegel e
di Marx. Questo va detto non soltanto per gli indubbi
meriti che come storico della filosofia Gentile ha acquistato per i suoi contributi su Hegel e Marx, ma per il fatto
che egli ha inverato il pensiero dei due filosofi germanici
attraverso una filosofia che non è mera interpretazione
del reale, né mera filosofia della prassi. La filosofia del
Gentile è infatti “interpretazione/costruzione” del reale.
In altri termini, l’attualismo è, vuole essere, teoria e prassi
insieme; non una pura teoria dell’atto, bensì una teoria
10
RESOCONTO
che si fa prassi, che è prassi. Ciò spiega assai chiaramente
sia la “vocazione” storica del Gentile, che quella politica.
La teoria attualistica, infatti, è tale in quanto interpretazione dello svolgimento storico e al tempo stesso militanza nel tempo (politica). Gentile legge Hegel e Marx da
filosofo e ne sviluppa gli intenti espliciti ed impliciti. Non
si tratta, dunque, di una lettura asettica, filologica, come
può piacere a tanti studiosi d’oggi, ma di una lettura che
è un “far proprio”, uno “sviluppare”. Gentile effettivamente parte da Hegel e Marx (ma altresì - è bene sottolinearlo con forza - da Bruno e Spinoza) per svolgere un
pensiero che è continuità storica, ma al tempo stesso
innovazione. Gentile sa bene che intendere i problemi di
un filosofo significa andare oltre. Certo, egli non è un
lettore maldestro; conosce molto bene le fonti e lo dimostra. Come storico è esemplare, ma non è solo uno storico.
Da Marx, da Hegel, dai filosofi veri, egli ha insomma
compreso che la filosofia non è una semplice descrizione,
ma è azione. In questo si rileva fedele allo spirito dell’idealismo classico: la filosofia come azione e il filosofo,
l’uomo, tutt’uno con l’azione, la quale è espressione del
pensiero. Così Gentile fa “saltare” certi limiti della lettura
hegeliana e marxiana del reale (la sistematicità e l’economicità) e risolve il tutto in una direttiva etico-educativa,
che dà alla lettura della storia e al problema politico un
senso più alto, più degno. Gentile davvero non si limita ad
intendere l’uomo nel tempo, ma, pur non ignorando la
realtà spazio-temporale, solleva la persona a quella dimensione etica che oltre a Hegel ricorda Fichte, o meglio
Bruno e Spinoza.
può e non si deve concepire, ed anzi immaginare,
come l’ultima impresa del pensiero, propria dello
stadio ultimo della storia degli uomini.
Sini. Si suole ripetere che Gentile, attraverso Hegel,
torna a Fichte; ma la vera chiave per intendere Gentile,
come ha mostrato di recente Vincenzo Vitiello (cfr.
Bertrando Spaventa e il problema del cominciamento,
Guida, Napoli 1990) è da ravvisari in Bertrando Spaventa. E’ Spaventa che, anche alla luce delle critiche di Kuno
Fischer e di Trendelenburg, interpreta la prima triade
della logica hegeliana (essere, nulla, divenire) come
contrasto originario fra attività resa possibile dal nulla e
passività dell’essere. Di qui la spaventiana “metafisica
della mente”, che Gentile, si potrebbe dire, radicalizzò
oltre la metafisica. Mi sembra allora evidente che Spaventa e Gentile lessero Hegel “kantianamente” (cioè
portando sino in fondo la “rivoluzione copernicana”) e
“aristotelicamente” (radicalizzando il rapporto potenzaatto e materia-forma), dando gran rilievo a quella prima
triade che per Hegel è solo il più astratto e incompleto dei
cominciamenti. Ciò destinò entrambi ad una conclusione
mistico-panteistica, la quale lasciava incompiuta quella
immanenza assoluta che il neoidealismo si proponeva di
attingere. Questa fu la critica, tanto acuta quanto poco
intesa, che Giovanni Emanuele Barié rivolse a Gentile e
alla sua lettura di Hegel (cfr. L’Io trascendentale, 1948;
Il concetto trascendentale, 1957). E in effetti il neohegelismo italiano, considerato da un punto di vista speculativo, si conclude con Barié, il quale peraltro, da buon
discepolo di Martinetti assieme a Banfi, non era a sua
volta esente da una componente kantiana. Tutto questo
significa ai miei occhi, che il vero erede di Hegel fu Marx,
in quanto, per dirla in fretta, intese lo spirito hegeliano
come doveva essere inteso, e cioè come prassi e non come
“pensiero” o “soggettività” (prevalentemente così lo
legge invece ancora Heidegger). Gentile vide a sua volta
in Marx una premessa della sua identificazione di pensiero ed azione, dove però l’accento cade sempre sul primo
termine (anche il pensiero è azione) e mai conduce ad una
reale resa dei conti con la natura effettiva ed originaria
dell’azione, che resta pertanto irrazionalisticamente intesa, come mostra il seguito gentiliano di Ugo Spirito.
Negri. E’ diffuso il convincimento che non c’è, oggi,
filosofia che non si riduca ad un’ermeneutica, cioè ad
un’interpretazione che suppone dei testi, magari dei
grandi testi, filosofici e non puramente tali, da interpretare. Nel caso specifico, l’attualismo gentiliano è, certo,
anche un’ermeneutica, un’interpretazione di testi di Hegel
e di Marx. Non solo questa, però, e per di più presunta la
più “obiettiva” possibile, è l’attualismo, almeno se la
lettura gentiliana di Hegel e Marx è condotta facendo
valere energicamente le istanze dell’orizzonte culturale
dal quale non è sempre possibile, posto anche che lo si
voglia, restituire i testi che si leggono ad una loro intatta,
originaria fisionomia.
“Hegeliano”, allora, è Gentile, ma non fino al punto di
non obiettare a Hegel (“neohegeliano” quindi) che il
“divenire” non può e non deve essere fatto “precipitare” in un “risultato fisso”, per ciò stesso decretando la
fine della storia e celebrando una terminale situazione
paradisiaca in cui il tempo e l’eterno coincidono. Se
questo è vero - e quaranta anni di studi dedicati a
Gentile mi persuadono che è vero - si può comprendere perché l’attualismo realizza una “riforma” della
dialettica hegeliana, attraverso la quale, più coerentemente che attraverso il “rovesciamento” di essa operato da Marx, un “autore” fondamentale di Gentile,
perviene alla più decisa affermazione che la “soluzione dell’enigma della storia”, fatta consistere nell’identificazione perfetta dell’uomo (soggetto) e della natura (oggetto), e cioè nel comunismo (pendant ideologico della fine del cammino di Dio nella storia), non si
Gentile ed il problema della metafisica nel pensiero delle
filosofie idealistiche e postidealistiche del ‘900.
Camizzi. L’attualismo si caratterizza per essere la forma
più rigorosa di idealismo: idealismo “senza le idee”,
come è stato detto. In esso la realtà esiste solo come
pensiero in atto, come coscienza “attuale”; pensiero in
atto che esaurisce la realtà. Gentile sostituisce alla metafisica oggettivistica dell’essere esterno al soggetto la
metafisica dell’atto del pensiero creatore della realtà. Si
giustifica così il fascino esercitato dalla filosofia gentiliana, che soddisfa al massimo le esigenze dell’individualità
e della concretezza, facendola coincidere con l’universalità; la vitalità di questo pensiero che si è manifestata nelle
dottrine diverse e talora opposte degli “scolari”; il suo
permanere all’interno della filosofia italiana in modo
11
RESOCONTO
esplicito o implicito fino ai giorni nostri. Da più parti
ormai la si riconosce come precorritrice delle tesi avanzate dalle filosofie contemporanee, in particolar modo
dei sistemi di pensiero critici della scienza intesa in senso
positivistico.
accademico invecchiato del linguaggio, è in realtà un
tema che pone Gentile al vertice del pensiero idealistico
e postidealistico del ‘900. Come ha mostrato Francesco
Saverio Chesi (Gentile e Heidegger. Al di là del pensiero, Egea, Milano 1992), Gentile non è in alcun modo un
passo indietro rispetto a Heidegger, ma ne frequenta a
suo modo il medesimo orizzonte problematico. Per questa ed altre ragioni è giusto dire che Gentile è una delle
massime personalità filosofiche del nostro secolo. Che
ciò non risulti sul piano delle valutazioni pubbliche più
diffuse, dipende da varie cause. Oltre al linguaggio
ancora ottocentesco di Gentile (molto peggiorato dai
suoi continuatori e interpreti, che spesso l’hanno ridotto
ad un astruso gioco di parole), c’è il fatto che Gentile,
essendo italiano, esercitò scarsa influenza in un mondo
culturale dominato dai tedeschi, dai francesi, dagli inglesi e dai loro idiomi. Infine ci furono i suoi errori e le sue
disgrazie politiche, seguite a un’egemonia culturale in
Italia soffocante e non certo atta a generare simpatia o
comprensione in chi pensava diversamente da lui. Ora,
però, sarebbe tempo di ripensare a fondo l’operazione
gentiliana. Per quanto mi riguarda, sarei pronto a riconoscere che i caratteri di intrascendibilità e di immanenza
che Gentile attribuisce all’atto del pensiero corrispondono largamente, e non a caso, ai caratteri di ciò che io
chiamo “pratica”. Naturalmente ci sono anche delle
differenze importanti. La mia etica del pensiero non può
accettare la riduzione della natura, dell’arte e del pensiero stesso alla pratica del pensare filosofico, cioè “alla
filosofia e alla sua storia”, come dice Gentile. Parlo anzi
di etica della scrittura proprio per contestare questa tesi
(che non è solo di Gentile, ma che mi sembra condivisa
dalla maggior parte dei filosofi contemporanei, anche se
non ne sono consapevoli).
Cavallera. La filosofia di Gentile è metafisica; metafisica come risposta alla domanda che cosa è la realtà. Ma
è una risposta che è insieme costruzione della realtà, In
questo sta la sua originalità rispetto alle altre filosofie del
Novecento. Il suo concetto di metafisica, infatti, non è
quello tradizionale di studio dell’Altro, del totalmente
Altro. Ciò spiega la diversità dell’attualismo rispetto a
posizioni filosofiche più tradizionaliste (pensiamo, ad
esempio, al neotomismo del primo ‘900). Né è tanto
meno, in quanto pensiero metafisico, vicino al cosiddetto
“pensiero debole”, proprio dei nostri giorni. La posizione
di Gentile ha una sua peculiarità, la quale consiste nell’intendere la metafica come “partecipata” spiegazione del
senso del reale. Di qui la sua critica alle filosofie dogmatiche che intendono l’Altro come infinitamente distante
dall’io; di qui la lontananza dell’attualismo da ogni
filosofia ridotta a filologia, a distaccata soluzione di
problemi, come se i problemi che si affrontano non siano
i propri problemi. In questo Gentile è un punto di riferimento con cui ci si deve confrontare, in quanto espressione di una alternativa tra i due poli del dogmatismo e del
pragmatismo.
Negri. Se per problema della metafisica si deve, come si
può, intendere un problema formulabile nei termini “che
cosa è l’essere in sé e per sé”, al di là (meta) di ogni
contaminazione relativistica con il tempo o la storia, può
ben convenire che l’attualismo, per la sua insistita assunzione che l’essere non si dà mai in sé e per sé, giacché è
pur sempre quello di un pensiero inteso come prassi
conoscitiva (nozione marxista), ritiene improponibile il
problema o, certamente, insolubile, sino a persuadere
della fine della stessa metafisica o, più esattamente, della
metafisica ontologica.
Ciò non toglie che l’attualismo, proprio perché non
assolutizza alcuna prassi conoscitiva (o “atto”), si umilia
nella drammatica consapevolezza che, per l’uomo, c’è
sempre una carenza di assoluto, rinviando costantemente
ad un essere che trascende il pensiero. Quanto basta per
sostenere che l’attualismo non si esalta come un immanentismo assoluto. Di qui, anche, la possibilità di ridurlo,
pur quando maggiormente verte sulla inevitabile storicità
o temporalità dell’essere (il che ha permesso l’accostamento di Gentile e Heidegger), a qualsiasi forma di
idealismo pervicacemente antitrascendentistico e, ciò
che più conta, a qualsiasi forma di “pensiero postmetafisico”, almeno se l’orizzonte dell’essere “in sé e per sé”
dall’attualismo non è visto offuscato alle spalle, ma
splendente di vividi colori davanti agli occhi di ogni uomo
che, pur quando esso sembra una fatica di Sisifo, ha la forza
di non sottrarsi al lavoro, giacché di questo da ultimo si
tratta, del pensiero dell’essere (genitivo oggettivo).
La storia della filosofia italiana, letta alla luce del
pensiero gentiliano.
Camizzi. Non si può intendere la storia della filosofia
italiana di Gentile se non si tien conto dell’esperienza da
questi vissuta come normalista a Pisa, dove era ancora
vivente e operante, attraverso i suoi Maestri, l’esperienza
del Risorgimento. Compiuta l’unità politica era necessario portare a compimento l’unità spirituale: bisognava
“fare gli italiani”, dare loro una coscienza nazionale,
attraverso il recupero della tradizione filosofica della
nazione. A questo compito si accinge Gentile, seguendo
la linea additata da Bertrando Spaventa. Partendo dal
principio che storia della filosofia è quella che si fa alla
luce del grado di consapevolezza filosofica raggiunta nel
proprio tempo, che riassume in sé tutto il passato e dà
significato allo stesso, Gentile ricostruisce la storia della
filosofia italiana alla luce del suo incipiente attualismo
come un cammino necessario verso l’immanenza. E nel
cammino a ritroso si spinge anche oltre il Rinascimento,
affermando che già nella filosofia Scolastica si avverte
questa esigenza, anche se non può trovare svolgimento
essendo priva degli strumenti necessari. Si tratta insomma di una ricostruzione che si muove nel segno del
precorrimento. Una storia speculativa della nazione che
Sini. Il primato dell’atto del pensiero affermato da Gentile,
nonostante molte ambiguità terminologiche e il tono
12
RESOCONTO
si muove parallelamente alla storia politica d’Italia e che
nella sua formulazione finale, appunto l’Attualismo,
rappresenta la legittimazione della stato unitario nato dal
Risorgimento.
coerenza gentiliana, è anche la fenomenologia con la
sua nozione di “intenzionalità”, in forza della quale
non si dà mai irrelato l’oggetto rispetto al soggetto, il
mondo rispetto all’uomo; o quello di poter accostare,
come già si accennava, Gentile e Heidegger (il cui
Cavallera. E’ frequente l’affermazione che Gentile, “nazismo” è tutt’altra cosa che il “fascismo” gentiliaattraverso Bertrando Spaventa, forza la storia della filo- no) per la loro comune ricerca, non destinata a finire,
sofia. Il che è inesatto. In primo luogo occorre dire che di un essere originario perduto; una ricerca, tuttavia,
Gentile è un grande storico della filosofia italiana (e non condotta dall’uno con con la valutazione più “positisolo italiana) non solo per le innegabili capacità di va”, dall’altro con il deprezzamento più “negativo”
approccio teoretico, ma anche per le solide basi erudite e del tempo o della storia; o quello di poter individuare
metodologiche che egli apprese alla scuola di D’Ancona. il lievito ermeneutico dell’attualismo, più persuaso
che, se un essere c’è, fosGentile è uno storico-filose anche solo un testo posofo, ossia capace non solo
etico, esso è anche (non
di ricostruire la storia del
solo) l’essere coinvolto
pensiero, ma anche di innella prassi conoscitiva di
terpretarla. Pertanto la genun uomo che gli si accosta
tiliana storia della filosofia
sempre in situazioni culitaliana è più di un affresco;
turali diverse.
è una lettura unitaria del
cammino del pensiero. Non
Un ultimo appunto. L’atè una storia di accidenti
tualismo è stato sempre
casuali, ma è una storia che
accusato di non aver
ha un senso, l’unica che
“compreso” la scienza.
può interessare. Per queSenonché la scienza, che
sto, ancora oggi, le opere
l’attualismo non avrebbe
storiche di Gentile si leg“compreso”, è la scienza
gono con profitto.
di tipo positivistico, orgogliosa di fornire proposizioni universali ed ogNegri. È opportuno, per
gettive. Il concetto attuauna risposta criticamente
listico di prassi conosciticostruttiva, gettare uno
va non autorizza a ritenesguardo, pur rapidissimo,
re tali queste proposizioalle “cronache”, più che alla
ni, anche quella della
“storia” della filosofia itascienza naturale. Quando,
liana degli anni che comincon l’ “importazione” delciano con la fine della sele filosofie della scienza,
conda guerra mondiale e la
soprattutto dall’area culcaduta del fascismo. Quale
turale di lingua anglosasfilosofia, questa? Si deve
sone, il dibattito episteconvenire (di fatto si è conmologico è diventato più
venuto) che, nell’arco dei
di moda nel nostro Paese,
cinquanta anni trascorsi
si è potuto constatare, ad
dalla morte di Gentile, non
esempio, che l’attualismo
si è registrata un’originale
Giovanni Gentile alla redazione del Resto del Carlino (1918).
e il razionalismo critico
produttività teoretica nella
Giovanni Gentile e la scuola di filosofia di Roma (1992).
popperiano convergono
nostra cultura filosofica. Il
fenomeno più vistoso che si è potuto osservare è ben almeno su un punto: non c’è proposizione scientifica
questo: si sono “importate” innumerevoli filosofie da che non abbia una validità storica e non assoluta.
altre aree culturali (dalla fenomenologia all’esistenzialismo e all’ermeneutica, dal neopositivismo al raziona- Sini. Si dice molto male della superficialità o addiritlismo critico). Bene. Proprio mentre Gentile sembra- tura indifferenza storiografica di Gentile. Essa innestò
va “cane morto”, o da “far morire” a qualsiasi costo indubbiamente un costume poco raccomandabile e
come il filosofo “provinciale”, per altro responsabile fuorviante in molti continuatori e discepoli. Resta
di aver coperto ideologicamente il fascismo, passati però il fatto che il vigore speculativo del ripensamento
gli esorcismi acritici e falliti molti tentativi di innova- gentiliano della tradizione filosofica italiana è rimasto
zione speculativa, sono cominciate le più impensabili ineguagliato. Non si tratta infatti di opporre storiogracommisurazioni critiche tra attualismo e molte tra le fia (o storia delle idee) e filosofia teoretica, come si è
filosofie “importate”.
fatto per anni, alimentando polemiche non sempre
I risultati? Quello, ad esempio, di trovare che una equilibrate e disinteressate. Si tratta del fatto per cui la
forma di idealismo, forse nemmeno sviluppato con la pratica storiografica non ha le stesse ragioni della
13
RESOCONTO
sunto la responsabilità di esserlo. Che questo sia vero,
può dedursi dalla stessa nozione attualistica di prassi
conoscitiva. Allo stesso modo in cui questa non presume
mai di risolvere definitivamente l’essere nel pensiero,
così la prassi etico-politica è concepita da Gentile come
quella che non confonde mai lo Stato, quale è, con lo
Stato quale deve essere. «Lo Stato nella sua essenza
spirituale è sempre e non è mai»: è una proposizionesentenza di Genesi e struttura della società (1943), il
testamento morale e speculativo di Gentile. Lo Stato
fascista resta, nella coscienza di Gentile, lo Stato che “è”,
ma non si è realizzato nella sua “essenza spirituale”. Sì,
quello di Gentile è “fascismo-movimento”; e non avrebbe potuto esserlo, se avesse fatto coincidere, più o meno
hegelianamente, lo Stato esistente con lo Stato nella sua
“essenza spirituale”.
Non ci si può nascondere, intanto, che il termine “spirituale” può prestarsi ad una interpretazione equivoca. Ma
questo rischio non si corre non appena per Stato, nella sua
“essenza spirituale”, s’intenda, come deve intendersi, lo
Stato nazionale. Uno Stato, questo, al quale Gentile
guarda attraverso Manzoni e Mazzini. Certo, con un’attitudine anche “pedagogica”, quella stessa che lo induce
a pensare non tanto ad una “istruzione pubblica”, quanto
piuttosto ad una “educazione nazionale”. Da questo punto di vista si può anche rivisitare criticamente la nozione
gentiliana di “unità”: una “unità”, si badi, non misticheggiante, volta, certo, a promuovere uno Stato come organismo unitario e nazionale, ma non a stingere, per ciò
stesso, le “distinzioni” (culturali, regionali ecc. ). Bisogna tenerne conto, in un momento storico in cui è alto il
pericolo di uno smembramento “localistico” (e si dovrebbe dire “materialistico”) del nostro Paese, nel quale
l’uomo - il gucciardano “uomo del particolare”, fornito
del “carattere” che gli assegna Leopardi - resta pur
sempre eticamente da “formare”. Si può concludere:
l’attualismo, per sua intrinseca natura speculativa, per la
tensione costante verso l’ “essere” che lo caratterizza,
non può “assolutizzare” il Potere e, certamente, non
celebra il Palazzo, se questo è il pendant etico-politico del
“pensiero pensato”.
pratica filosofica. La loro reciproca riduzione, dalla
prima alla seconda, o viceversa, è un non-senso.
Lo Stato, il potere e la pedagogia come atto e prassi della
formazione dell’uomo nel pensiero del filosofo Gentile.
Camizzi. Pedagogia e filosofia, come noto, fanno per
Gentile tutt’uno. Ed è significativo che la sua prima
“appassionata” opera sistematica sia proprio il Sommario di pedagogia, scritto in un momento di particolare preoccupazione per la propria salute, con la sensazione di dover mettere in quelle pagine tutto il suo
pensiero. E proprio in questo testo si avverte chiaramente come filosofia, pedagogia e politica siano strettamente congiunte. La scuola infatti, che è tale solo in
quanto è vita dello spirito, è lo strumento attraverso
cui si forma la vita spirituale della nazione. E quindi
è uno strumento “politico”, che deve essere gestito
dalla Stato etico, espressione della vita morale dei cittadini, formatisi attraverso la scuola “governata dalla filosofia”. Per Gentile, l’unità di maestro e scolaro che si
deve verificare nella scuola, se si vuole che sia scuola, è
la stessa che si deve verificare nella vita civile tra stato e
cittadini, se si vuole essere una nazione.
Cavallera. E’ chiaro che tutta la filosofia di Gentile,
come già rilevava Ugo Spirito, deve leggersi come
etica, o meglio pedagogia; l’atto, infatti, è autoformazione; un’autoformazione che naturalmente non solo
investe il singolo individuo, ma tutta la realtà di cui
l’individuo fa parte, anzi che costruisce. E’ proprio
l’intrinseco carattere educativo a spingere il filosofo
nella politica, affermando in quest’ultima il primato
dell’etica. E’ proprio l’identificazione di filosofia e
pedagogia a legittimare, diversamente da altre filosofie, la politica come dimensione del bene comune e
non dell’utile di parte. Non si può capire l’impegno di
Gentile come organizzatore di istituti culturali, come
legislatore, come uomo politico, se non si comprende
che l’attualismo è insieme filosofia e pedagogia. Ne
segue che la concezione gentiliana dello Stato è quella
di uno Stato che ha autorità in quanto questa è riconosciuta, ossia fatta propria, inverata. In questo il suo
pensiero, per chi, paradossalmente, ha una visione
precostituita del fascismo gentiliano, è un ribadire la
necessaria “partecipazione” responsabile, e quindi
libera, alla vita dello Stato. Il grande progetto per il
quale Gentile impegnò tutta la sua esistenza era appunto quello di una formazione della persona e della
società che superasse il mero individualismo. Figlio
dell’esigenza unitaria del Risorgimento, Giovanni
Gentile sentiva assai vivo il dovere di una formazione
civile. L’attualismo è pertanto una filosofia “forte”,
che sa ancora parlare ai giovani.
Sini. Domanda assai complessa, che richiederebbe una
troppo lunga risposta. Preferisco rinviare al libro di
Salvatore Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo (Bollati Boringhieri, Torino 1989), che imposta finalmente il
problema al giusto livello di comprensione e perviene a
valutazioni che in larga misura condivido.
I filosofi italiani pro e contro Gentile.
Del Vecchio. Il lungo arco di tempo trascorso dalla
scomparsa di Giovanni Gentile ha decantato molte indagini critiche sull’attualismo ed ha consentito l’avvio di
ipotesi interpretative più attente alla comprensione delle
ragioni di appartenenza di questo indirizzo di pensiero
all’orizzonte culturale del Novecento. Gli studi di Antimo Negri, di Augusto Del Noce e di Salvatore Natoli
convergono, da differenti percorsi di lettura, nel riconoscimento di incidenza e significatività teoretica alla im-
Negri. Non credo che possa continuare a pesare sull’attualismo l’accusa che esso ha, come si diceva, coperto
ideologicamente il fascismo. E, in verità, se di un fascismo è stato, il filosofo Gentile, lo è stato del “fascismomovimento” e non del “fascismo-regime”, che si è as14
RESOCONTO
ponente architettura concettuale del filosofo dell’atto come teoria generale della natura (e non solo dello
puro. I problemi che nel secondo dopoguerra sottendono spirito) che innerva le componenti umanistico-rinascila “questione Gentile” sono sostanzialmente due: il pri- mentali e baconiane in una visione anticontemplativa e
mo concerne il rapporto tra fascismo e attualismo e le organicistica, valorizzante la sensibilità e che ha nella
implicazioni tra questo indirizzo filosofico e quel potere teoria rosminiano-gentiliana del sentimento il raccordo
politico. L’altro problema pone in discussione il profilo tra uomo e mondo, tra pensiero e corpo.
teoretico dell’attualismo, imputato di provincialismo L’opera a cui Augusto Del Noce stava lavorando al
culturale, di incomprensione delle importanti correnti termine della sua vita è dedicata a Gentile. Essa conclude
filosofiche di questo secolo, di arcaismo e arretratezza. il lungo dialogo-confronto del filosofo cattolico con il
Antimo Negri, instancabile studioso del pensiero del filosofo dell’atto puro, da cui molte convinzioni lo sepafilosofo siciliano, ha dedicato buona parte delle sue ravano, ma che avvertiva anche, per alcune importanti
energie a contrastare la divulgazione di deformanti topoi consonanze, particolarmente vicino alla propria sensibie a ribaltare ricorrenti prelità culturale. Li allontanagiudizi sull’opera di Gentiva inesorabilmente l’orizle. L’esplicitazione delle
zonte trascendente dell’uno
valenze positive implicite
e il radicale immanentismo
nell’attualismo richiede la
dell’altro e si contrapponedecostruzione del paradigvano nella personale adema della “dittatura dell’idesione alle vicende storiche
alismo”, che opera e scandell’Italia contemporanea,
disce una rigida periodizovvero nella loro appartezazione della cultura italianenza agli opposti fronti
na. Per restituire ricchezza
dell’antifascismo e del faal pensiero gentiliano, Nescismo. Ma avevano engri procede alla rivisitaziotrambi un comune modo di
ne di rilevanti nuclei teorisentire la vincolante coeci: il rapporto soggetto-ogrenza tra pensiero e azione.
getto, la concezione della
Le tesi di Del Noce hanno
natura e il significato della
un respiro epocale, poiché
scienza, l’umanesimo del
intendono l’attualismo e il
lavoro. Alla ricorrente acsuo fondatore come il puncusa di ipertrofia del sogto culminante, e non oltregetto e di annullamento delpassabile, del pensiero mol’alterità del reale, Negri
derno e dunque come parareplica valorizzando il condigma di altissima significetto gentiliano di “cognicanza per esplorare gli esiti
zione come prassi” che,
speculativi e politici del
avviato dallo studio giovapensiero dell’immanenza.
nile su Marx, approda, ben
Del Noce presenta il suo
al di là di Gentile, alle moprocedimento di ricerca
dalità di ricezione del
come “interpretazione tranmarxismo teorico in Italia.
spolitica della storia conQuesta categoria della filotemporanea”, ossia analisi
sofia dell’atto puro nega
delle essenzialità ideali e
ogni forma di realismo infilosofiche della storia, che
Giovanni Gentile direttore dell’ Enciclopedia Italiana (1939)
genuo e afferma il carattere
possono dar conto dei conprocessuale e costruttivo
creti sviluppi politici e sodel pensiero come formazione di senso nella infinità ciali. Nella prospettiva “transpolitica” l’attualismo rapvarietà del mondo e come fondazione di una positiva presenta il compimento del processo di secolarizzazione;
correlazione con il reale che mantiene - e Negri lo e proprio questo carattere ultimativo del pensiero di
sottolinea ripetutamente - caratteri di consistenza e soli- Gentile non consente quelle forme di “inveramento” e di
dità. La riflessione gentiliana sul lavoro e la realizzazione sincretismo che potrebbero in qualche modo riassorbirlo
di un umanesimo integrale di matrice spiritualistica sono e proseguirlo. Esso termina con uno scacco, con una
tematizzati, nel recente studio che Negri ha dedicato al sconfitta analoga a quella del pensiero di Marx, di cui
filosofo siciliano, come quotidiana fatica del pensiero, l’attualismo rappresenta, per più di un motivo, uno svolnegazione di ogni forma di quietismo e di fissità, come gimento, una espansione: è la tesi delnociana del “suiciincorporarsi dell’uomo nel mondo: è un commento criti- dio della rivoluzione”, è il presupposto per sostenere che
co che prelude alla discussione sull’interpretazione at- Gramsci incontrò Gentile, anziché Marx. Il rapporto
tualistica della scienza e della natura. Ben lungi dall’es- Gentile-fascismo è un passaggio obbligato e centrale
sere un’arcaica sovrastruttura ideologica del mondo prein- nell’interpretazione avanzata del filosofo cattolico. L’adedustriale, la filosofia di Gentile viene intesa da Negri sione al fascismo fu necessitata dalle essenze filosofiche
15
RESOCONTO
dell’attualismo, dalle istanze di riforma civile e religiosa
(di una religione immanentistica), che sottendono il pensiero del filosofo siciliano a cui il fascismo apparve come
continuazione e compimento del Risorgimento, realizzazione della società in interiore homine, superamento
delle antinomie dell’individualismo liberale. Ed è proprio questa confluenza all’interno dello Stato totalitario
fascista di una abnorme dimensione di spiritualismo
idealistico che contrassegna, secondo Del Noce, l’irriducibilità del fascismo alle altre forme di totalitarismo del
nostro secolo: quella materialistico-dialettica (comunismo) e quella materialistico-biologica (nazismo). E’ l’interpretazione del fascismo come “errore della cultura” e
non “errore contro la cultura”; tesi che Del Noce elabora
nello studio dedicato a Giacomo Noventa. La lettura
proposta dal filosofo cattolico non è condivisa da Antimo
Negri che pur approvandone alcune valutazioni circa le
potenzialità riformatrici dell’attualismo («La riforma
gentiliana della dialettica non è una controriforma»), non
può accoglierne le conclusioni, viziate da un ideologismo
religioso, particolarmente evidente nella formulazione
delnociniana sulla modernità. Tra il fascismo di Gentile
e il fascismo effettuale, sostiene Negri, c’è uno scarto,
una divaricazione spiegata con le categorie storiografiche di fascismo-movimento e di fascismo-regime.
Anche per Salvatore Natoli è opportuna una riconsiderazione dell’attualismo che lo restituisca a quella pienezza
di significati che eccede i giudizi fino ad ora formulati.
Lo sfondo in cui Natoli colloca il pensiero gentiliano non
è il Neoidelaismo italiano, stereotipo storiografico scarsamente produttivo, ma i grandi indirizzi speculativi
europei: «Leggere Gentile in relazione a Husserl, a
Heidegger e viceversa significa liberare uno spazio nuovo di riflessione e di discorso». La “questione Gentile” è
innanzitutto questione filosofica e nel “Gentile europeo”
si radicalizzano le istanze fondamentali della modernità:
l’immanentismo, il soggettivismo, l’abbandono della
verticalità della trascendenza. E’ una lettura che presenta
importanti consonanze con quella delnociana sul tema
della costituzione del Soggetto, nell’accostamento Gentile-Gramsci e nel rilievo riconosciuto all’interpretazione della filosofia di Marx. Infine, anche per Natoli
l’attualismo approda ad una “dissoluzione” non dissimile, in fondo, allo “scacco” di Del Noce. L’asse GentileGramsci, sostitutivo di quello Gentile-Croce, è motivato
dalla presenza di un cripto-attualismo del filosofo comunista, che può essere colto nel “movimento interno” del
suo pensiero, in una consonanza, tra i due, nel diagnosticare la crisi italiana del dopoguerra e nell’accentuazione
gramsciana del volontarismo e dell’attivismo. Su un
altro terreno, invece, Natoli situa il confronto GentileHusserl ed è quello definito dalle tematiche soggettooggetto, in quanto il superamento attualistico della opposizione guadagna un risultato speculativo affine alla
“intenzionalità” husserliana. La statura europea di Gentile incrocia Wittgenstein: il Verum et fieri convertuntur
è prossimo alla prima proposizione del Tractatus, secondo cui «Il mondo è tutto ciò che accade», e interseca pure
Heidegger su «quel passaggio comune che è la fine del
moderno», dove si esplicita quella crisi, quella dissoluzione del regno hominis nel dominio neotecnico della
contemporaneità.
Opere complete di Giovanni Gentile
Le opere complete di Giovanni Gentile
sono pubblicate dalla casa editrice
Le Lettere di Firenze.
OPERE SISTEMATICHE
I-II. Sommario di pedagogia come scienza
filosofica (Vol. I: Pedagogia generale;
vol. II: Didattica)
III. Teoria generale dello spirito come
atto puro
IV. I fondamenti della filosofia del diritto
V-VI. Sistema di logica come teoria del
conoscere (voll. 2)
VII. La riforma dell’educazione
VIII. La filosofia dell’arte
IX. Genesi e struttura della società. Saggio
di filosofia pratica
OPERE STORICHE
X. Storia della filosofia (dalle origini a
Platone: inedita)
XI. Storia della filosofia italiana fino a
Lorenzo Valla
XII. I problemi della scolastica e il pensiero
italiano
XIII. Studi su Dante
XIV. Il pensiero italiano del Rinascimento
XV. Studi sul Rinascimento
XVI. Studi vichiani
XVII. L’eredità di Vittorio Alfieri
XVIII-XIX. Storia della filosofia italiana
dal Genovesi al Galluppi (voll. 2)
XX-XXI. Albori della nuova Italia (voll. 2)
XXII. Vincenzo Cuoco. Studi e appunti
XXIII. Gino Capponi e la cultura toscana
nel secolo decimonono
XXIV. Manzoni e Leopardi
XXV. Rosmini e Gioberti
XXVI. I profeti del Risorgimento italiano
XXVII. La riforma della dialettica
hegeliana
XXVIII. La filosofia di Marx. Studi critici
XXIX. Bertrando Spaventa (in prep.)
XXX. Il tramonto della cultura siciliana
XXXI-XXXIV. Le origini della filosofia
contemporanea in Italia (Vol. I: I platonici;
vol. II: I positivisti; voll. III e IV: I neokantiani e gli hegeliani)
XXXV. Il modernismo e i rapporti fra
religione e filosofia
OPERE VARIE
XXXVI.Introduzione alla filosofia
XXXVII. Discorsi di religione
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XXXVIII. Difesa della filosofia
XXXIX. Educazione e scuola laica
XL. La nuova scuola media
XLI. La riforma della scuola in Italia
XLII. Preliminari allo studio del fanciullo
XLIII. Guerra e fede
XLIV. Dopo la vittoria
XLV-XLVI. Politica e cultura (voll.2)
FRAMMENTI
XLVII-XLVIII. Frammenti di estetica e di
teoria della storia (voll. 2)
XLIX-L. Frammenti di critica e storia
letteraria (voll.2) (in prep.)
LI-LII. Frammenti di filosofia
LIII-LIV. Frammenti di storia della filosofia (voll.3) (in prep.)
EPISTOLARI
I-II. Carteggio Gentile-Jaja (voll.2)
III-VII. Lettere a Benedetto Croce (voll.5)
VIII. Carteggio Gentile-D’Ancona
IX. Carteggio Gentile-Omodeo
X. Carteggio Gentile-Maturi (1899-1917)
XI. Carteggio Gentile-Pintor (1895-1944)
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Biografia di Levinas
Con il titolo: EMM AN U EL L EVI N AS
(Flammarion, Parigi 1994) viene pubblicata in Francia, ad opera di MarieAnne Lescourret, la prima biografia
di Levinas, uno dei pensatori più
originali del panorama novecentesco. Nato a Kovno, in Lituania, nel
1906 da genitori ebrei, emigrato in
Francia, testimone delle tragedie che
hanno sconvolto questo secolo
Levinas ha fondato la propria riflessione sull’etica, che non considera
come «un ramo della filosofia, ma
filosofia prima». Esegeta del Talmud,
pensatore del giudaismo e soprattutto di una comunità spirituale tra
giudaismo e cristianesimo, il filosofo è anche autorevole rappresentante della fenomenologia contemporanea, nonché primo traduttore francese di Martin Heidegger. Il volume
consacratogli da Marie-Anne Lescourret permette di comprendere
meglio l’unità della sua opera attraverso il racconto della vita e delle
numerose amicizie.
«Le guerre mondiali - e locali, il nazionalsocialismo, lo stalinismo e anche la
destalinizzazione -, i campi di concentramento, le camere a gas, gli arsenali
nucleari, il terrorismo e la disoccupazione, è parecchio per una sola generazione», scriveva Emmanuel Levinas in
NOMES PROPRES (Nomi propri) nel 1976.
La sua patria d’origine, la Lituania, stretta
tra Ucraina e Polonia, colonizzata da
quest’ultima a partire dal XVII secolo,
poi assorbita dalla Russia tra la fine del
XVIII e l’inizio del XIX secolo, era uno
snodo al contempo etnico e culturale
dell’Europa orientale. Lituani, polacchi,
russi, ebrei, cattolici, luterani, ortodossi
convivevano in un fragile compromesso. Come reazione, l’ebraismo lituano
diede vita alla Haskala, una corrente
socio-politica decisa a uscire dal ghetto
senza arrivare però a una de-giudaizzazione. In essa si auspicava una lettura
“illuminata” della Torah e del Talmud:
«Chi è ignorante in materia scientifica
resterà ignorante anche nelle scienze
della Torah» - dichiarava il Gaon di
Vilna, maestro di Haskala. Levinas è in
un certo senso l’erede di questa tradizione; nonostante l’aspirazione verso nuove sintesi speculative, la fedeltà spirituale all’ebraismo lo ha preservato dagli
esiti materialisti e positivisti di suoi celebri compatrioti, come lui emigrati in Francia negli anni ’20: Koyré, Kojève, Weil.
E’ questa fedeltà a suggerire a Levinas la
tematizzazione di una comunità umanista, in cui religione ebraica e cristiana si
intreccino alla luce di una ragione intellettuale puramente profana; una filosofia della fede adatta alla fine del XX
secolo, una sorta di razionalismo religioso in cui convergono fenomenologia
e tradizione talmudica accanto ai furori
eroici e metafisici del romanzo russo, di
cui si era nutrita la sua adolescenza. Non
bisogna, tuttavia, “cristianizzare” troppo Levinas, come invece tende a fare
Lescourret: l’espressione “passione di
Cristo”, con cui egli descrive il martirio
delle vittime del genocidio nazista - tra
cui suo padre, sua madre e i suoi due
fratelli rimasti in Lituania -, ha un significato analogico, non ontologico.
Ne l923, a diciott’anni, Levinas si reca a
Strasburgo per seguirvi i corsi di filosofia: sotto la guida di Maurice Pradines,
Henri Carteron, Charles Blondel e Maurice Halbwachs, legge Descartes, Pascal,
Bergson. Malgrado l’ammirazione per i
maestri, eredi della tradizione filosofica
razionalista e positivista del XIX secolo,
Levinas sente il bisogno di entrare in
contatto con le nuove correnti filosofiche tedesche: il soggiorno a Friburgo,
presso Husserl e Heidegger, lo influenzerà profondamente. Della fenomenologia, la sua opera conserverà soprattutto
il metodo per accostarsi alle grandi questioni dell’esistenza. Inoltre, la “messa
tra parentesi” del mondo costituirà, per
Levinas maturo, una scuola di pazienza
da opporre alla violenza della dialettica
hegeliana. La sua traduzione francese
dell’ultima Meditazione cartesiana di
Husserl - quella relativa all’intersoggetività - per molti versi preannuncia la sua
originale interpretazione dell’esteriorità
e dell’alterità.
Ma il filosofo di cui Levinas è stato
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incontestabilmente il “traghettatore” in
Francia è Martin Heidegger, al quale
egli, peraltro, si legò d’amicizia. Levinas
è stato anche il solo a tentare una spiegazione filoso fica dell’ad esion e d i
Heidegger al nazismo: nel feticismo
delle radici e dell’origine, egli individua
un culto ben più pericoloso di quello
della tecnica, tanto contestato da
Heidegger e dagli heideggeriani. Al “sacro” heideggeriano, Levinas oppone il
“santo”, “la verità nomade”; alla violenza della dialettica hegeliana, diventata
quella dello Stato moderno, egli oppone
l’apertura all’altro nell’infinito di una
presenza differita, dunque pacifica. Sempre contro Heidegger, Levinas suggerisce di abbandonare l’ontologia a profitto
dell’etica per pensare la relazione con
l’altro. La giustizia viene sostituita alla
verità come disvelamento. L’etica è
l’evento eccezionale a partire dal quale
gli uomini possono rompere con il loro
“egoismo ontologico”: il nomadismo
etico sarebbe ciò che può assicurare alla
filosofia un avvenire dopo la catastrofe.
Nel 1930 Levinas ottiene la cittadinanza
francese; nel 1940 viene fatto prigioniero. Passerà tutta la guerra in un campo di
prigionia per ufficiali, dove conoscerà
Paul Ricoeur, legandosi a lui con un’amicizia destinata a durare fino ad oggi. La
fedeltà nell’amicizia è un filo conduttore importante nella vita di Levinas che lo
avvicinerà a personalità del calibro di
Maurice Blanchot (conosciuto nel periodo della formazione a Strasburgo),
Gabriel Marcel, Jean Wahl, ma anche
Jacques Derrida, Vladimir Jankélévitch
e Jean-Paul Sartre.
Nel dopoguerra, Levinas intraprende
l’insegnamento nella Scuola Normale
Israelita Orientale di Parigi. Le sue letture talmudiche diventeranno celebri
anche in ambienti esterni all’ebraismo e
saranno riprese in parecchie sue opere in particolare in Quattro letture talmudiche. Alla fine degli anni ’50, inizia ad
insegnare all’Università di Poiters, per
passare a quella di Nanterre e poi, dal
’73 alla Sorbona, imponendosi, malgrado il carattere schivo, come uno dei pensatori più interessanti del nostro tempo. D.F.
AUTORI E IDEE
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
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AUTORI E IDEE
Hegeliana
La ripubblicazione dell’opera di Jean
Wahl, LA COSCIENZA INFELICE NELLA FILOSOFIA DI HEGEL (pref. di E. Paci, trad. it. di F.
Occhetto, Laterza, Roma-Bari 1994),
uno dei classici della letteratura critica
hegeliana, dedicato al rapporto tra il
pensiero hegeliano e la cultura romantico-religiosa, richiama, per vicinanza
tematica, due recenti studi critici, che
affrontano, con una diversa prospettiva, un medesimo tema. Nel saggio LA
DISCIPLINA DELL ’ANIMA. GENESI E FUNZIONE
DELLA DOTTRINA HEGELIANA DELLO SPIRITO
(Guerini e Associati, Milano 1993), Pietro Kobau ripercorre lo
sviluppo dialettico dello spirito in
Hegel, mettendo in evidenza la funzione dello spirito soggettivo all’interno
del sistema hegeliano attraverso il
confronto tra il pensiero del giovane
Hegel con quello dello Hegel maturo.
Lo stesso percorso viene ripreso anche da Francesca Menegoni nel suo
studio, SOGGETTO E STRUTTURA DELL ’AGIRE
IN HEGEL (Verifiche, Trento 1993), con il
diverso obiettivo, però, di mostrare
l’origine e la struttura dell’azione in
rapporto alla questione della soggettività. Ancora in ambito di letteratura
critica hegeliana, al tema dell’ontologia come principio della filosofia sono
invece dedicati lo studio di Aldo Stella, IL CONCETTO DI “RELAZIONE” NELLA ‘SCIENZA DELLA LOGICA’ DI HEGEL (Guerini e Associati, Milano 1994), e quello di Paolo
Valenza REINHOLD E HEGEL (Cedam, Padova 1994).
SOGGETTIVO
Dal 1951, anno della prima edizione in
lingua francese, La coscienza infelice nella
filosofia di Hegel costituisce uno dei più
autorevoli commenti alla Fenomenologia
dello spirito hegeliana. In questa sua opera,
Jean Wahl individua il fondamento della
filosofia di Hegel nell’elemento tragico,
tipico dell’età romantica. La “coscienza
infelice” costituisce la figura principale
della Fenomenologia; da una parte è portatrice, in modo paradigmatico, della struttura triadica e dialettica, dall’altra rappresenta al meglio l’intreccio tra il pensiero romantico e la tematica religiosa, già presente, peraltro, negli scritti giovanili di Hegel.
In quanto sintesi dell’Autocoscienza, la
“coscienza infelice” rappresenta il superamento delle precedenti contraddizioni, componendo l’opposizione di signoria-servitù
e di stoicismo e scetticismo per duplicarsi
in una nuova opposizione, superiore alle
precedenti e costitutiva dell’antitesi originaria. La scissione tra finitezza dell’uomo
e infinitezza di Dio si pone, così, come
l’autentica antitesi, motivo di dolore e lacerazione, ma, al tempo stesso, condizione
necessaria per il raggiungimento della felicità. Lo struggimento e la lacerazione per la
morte di Dio, divenuto uomo per l’uomo,
oltre a determinare l’intreccio di romanti-
cismo e teologia nella “coscienza infelice”,
preludono ad una nuova opposizione. La
“coscienza infelice”, ricorda Wahl, rappresenta, attraverso l’incarnazione di Dio, la
vera mediazione dialettica tra il finito dell’uomo e l’infinito di Dio: non più totale
identità, non più assoluta lontananza, ma
separazione in cui il momento romantico
della Sensucht (nostalgia) prelude ad una
riconciliazione in cui la morte di Dio e la
finitezza dell’uomo diventano momenti
costitutivi della sintesi finale. La “coscienza infelice”, in ultima analisi, rappresenta il
momento in cui l’individuo comprende la
necessità della lacerazione tra finito e infinito per giungere alla sintesi conclusiva
che si manifesterà nella ragione, momento
della completezza e dell’assoluto. A.S.
Oltre la figura tragica della “coscienza infelice” si dirigono gli studi di Pietro Kobau e Francesca Menegoni, che considerano lo spirito libero in Hegel come vertice
di un lungo processo dialettico che, passando attraverso lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo, culmina nello spirito assoluto nelle sue tre fasi: arte, religione e filosofia. Il vertice è costituito dal pensiero filosofico che, come mostra Kobau, è totalmente svincolato dalle immagini sensibili
e, come sottolinea Menegoni, è produttore
di un’azione perfetta e compiuta che ha il
suo significato e il suo fine in se stessa, non
dipendendo da niente di esterno.
In questo orientamento comune, i due autori si propongono tuttavia fini diversi. Kobau analizza la funzione che lo spirito
soggettivo ha nella struttura generale del
discorso hegeliano, mettendo in evidenza
l’evoluzione del pensiero di Hegel da una
iniziale adesione al mito di una razionalità
perduta ad una posizione più matura, tesa a
superare la scissione, come presupposto
del filosofare, nell’idea di un’unità differenziata, sintesi delle inevitabili opposizioni. Menegoni si propone invece di mettere
in luce la struttura costitutiva dell’azione
all’interno del sistema hegeliano, fino a
mostrare il suo carattere essenzialmente
tragico, in quanto espressione di una continua lacerazione e di un perenne conflitto.
Le diverse prospettive filosofiche tratteggiate dai due autori s’intrecciano però quando viene analizzato il movimento dialettico
dello spirito, che si articola, all’interno
dello spirito soggettivo, nella fase antropologica, fenomenologica e psicologica, e
quando vengono delineati i tre momenti
dialettici dello spirito assoluto. Entrambi
gli autori ripercorrono il cammino evolutivo che conduce l’anima a farsi spirito libero, dispiegandosi in anima, coscienza e
spirito attraverso il progressivo abbandono
delle sue componenti naturali e sensibili. Il
passaggio dal momento antropologico a
quello fenomenologico avviene quando l’io
assume il carattere di coscienza, incontrandosi con il mondo esterno sul piano conoscitivo e approdando all’instaurazione dello spirito libero attraverso lo sviluppo della
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memoria come “immaginazione riproduttiva” e “produttiva”. A questo proposito,
Kobau mostra in particolare come nelle
alte sfere del pensiero spirituale il legame
tra il nome e la cosa sensibile venga totalmente perduto in seguito all’attività della
memoria che converte il simbolo da segno
sensibile a segno ricordato, in cui viene
annullata l’immagine del referente concreto. Il pensiero filosofico assoluto si delinea
così come il “regno delle ombre” che si
distacca sia dall’eidocentrismo, proprio del
privilegiamento del senso della vista, che
dal fonocentrismo, proprio del privilegiamento del senso dell’udito. In tal senso, è
inadeguata, per Kobau, l’interpretazione di
Derrida che considera la prospettiva hegeliana come tipica di una visione fonocentrica, contrapposta ad una visione eidocentrica, poiché per Hegel, entrambe le prospettive sono gravate dalla ingombrante presenza del sensibile fenomenico.
All’individuazione della struttura e dell’origine dell’azione si rivolge invece Menegoni, che rileva come il processo di liberazione progressiva dalla naturalità e dall’accidentalità venga compiuto dall’anima
al fine di generare un’azione che mostri la
peculiarità soggettiva dell’essere umano.
A questo proposito, Menegoni individua,
lungo tutto l’arco concettuale hegeliano,
elementi comuni che definiscono l’essenza
dell’azione e che si raccolgono nel carattere irrimediabilmente tragico della stessa.
La tragicità dell’azione appare connessa al
tema della scissione, del conflitto inevitabile che contraddistingue ogni azione umana. Se nell’azione morale il conflitto nasce
dal contrasto tra le intenzioni del soggetto
agente e l’effetto mondano dell’azione che
può sovvertirle e rovesciarle radicalmente
nell’opposto, in quella etica il conflitto è
dovuto al “farsi natura della libertà” ancora
legata ad aspetti esteriori e accidentali.
Nell’azione artistica, invece, sebbene il
fine ultimo sia la rivelazione spirituale della verità divina, è sempre presente l’aspetto
naturale connesso con le forme materiali
dell’espressività artistica, mentre nell’azione religiosa permane il dissidio tra finito ed
infinito, tra Dio e uomo, nonostante i tentativi e le esigenze di conciliazione.
Tutte queste forme di agire sono accomunate da una struttura tragica, imputabile
alla conflittualità propria sia della situazione, che del soggetto agente e ascrivibile al
rovesciamento della situazione in quella
opposta con la conseguente presa di coscienza della situazione attraverso il riconoscimento. Questa duplicità e questo conflitto non sono assenti neppure nella superiore attività dello spirito che, sebbene si
realizzi nel pensiero compiuto in sé che
pensa se stesso, che ha se stesso come
contenuto, pone tuttavia al proprio interno
il suo radicale altro, alienandosi nella natura per ritornare in se stesso. Nonostante ciò,
l’azione dello spirito, a differenza delle
altre azioni, è dotata della consapevolezza
dell’alterità che essa deve porre in sé, rive-
AUTORI E IDEE
lando il suo carattere di “sapere della negatività originaria”, una consapevolezza che
in forme diverse è propria di ogni azione
umana. M.Mi.
Dal punto di vista di una ricerca del principio originario della sistematicità hegeliana, lo studio di Aldo Stella, seguendo la
partizione tra intelletto e ragione, si muove
alla ricerca di quei principi che costituiscono le condizioni della possibilità di procedere della logica di Hegel. Nella filosofia
hegeliana esistono due tipi di principi: i
pre-requisiti, cioè quelle ipotesi astratte
che si rivelano nel pensiero ordinario, e i
presupposti originari, che costituiscono il
fondamento del pensiero concreto. Per
quanto riguarda i pre-requisiti, osserva Stella, la relazione tra soggetto e oggetto costituisce l’ipotesi di partenza del pensiero
ordinario. In una analisi razionale e concreta occorre tuttavia rivolgersi al presupposto originario che è dato dall’Intero, in cui
le separazioni non sono poste, e che sfugge
al pensiero ordinario.
La difficoltà nel circoscrivere il presupposto originario sta nell’impossibilità da parte del linguaggio, che fonda la sua capacità
rappresentativa sull’opposizione di soggetto e oggetto, di cogliere tale intero. Di
conseguenza, la dialettica tra soggetto e
oggetto, che viene posta come origine della
sistematicità, si rivela inautentica e, per di
più, occultatrice della verità. Distinguendo
sistematicamente il soggetto pensante dalle forme oggettivate (i pensati), il pensare
ordinario, osserva Stella, oltre a presupporre la specularità del discorso rappresentativo nei confronti del mondo e delle cose,
considera il pensare come il mezzo di collegamento tra l’io e la realtà e rappresenta
un tipo di logica formale che in Hegel non
trova riscontro. Nella filosofia hegeliana,
infatti, il presupposto essenziale è l’identità di pensiero ed essere e quindi la negazione del pensare come strumento o mezzo di
collegamento tra due realtà eterogenee. Il
linguaggio, fondandosi sull’opposizione di
soggetto e oggetto, si separa, in tal modo,
dal pensiero, che, al contrario, rappresenta
l’identità con l’essere della realtà. La dialettica inautentica di soggetto e oggetto,
conclude Stella, nasce dunque da esigenze
pratiche e linguistiche e non rappresenta, in
alcun modo, il fondamento ontologico della sistematicità hegeliana.
L’Assoluto come principio originario della
filosofia è il tema dominante anche dello
studio di Paolo Valenza che, mettendo a
confronto l’opera di Hegel con quella di
Reinhold, riscontra elementi finora trascurati dallo stesso Hegel e dalla letteratura
critica. Valenza prende le mosse da Reinhold
e dalla sua analisi di Fichte e Schelling e
riscontra nel filosofo due principi essenziali:
l’assoluto come fondamento ontologico e la
ragione storica come telos insito nel tempo.
Queste stesse tematiche vengono riscontrate
poi anche nel pensiero hegeliano.
Le critiche di Reinhold a Fichte e a Schelling
si rivolgono all’Io come principio originario che, secondo Valenza, più che sviluppare il criticismo kantiano, si pone come
individualità empirica, incapace di fondare
e giustificare la scienza. Al contrario,
Reinhold pone come principio l’Assoluto e
anticipa, in questo modo, la totalità hegeliana, posta al di qua dell’opposizione tra
soggetto e oggetto e quindi della conoscenza. Nell’interpretazione di Valenza l’assoluto diventa il principio fondante e determinante le opposizioni filosofiche ed appartiene pertanto ad un contesto non saputo
che rimanda alla sfera morale ed esperienzale, in Reinhold come in Hegel. La relazione tra i due filosofi, osserva inoltre Valenza, è riscontrabile anche nell’analisi della
storia della filosofia. Reinhold, infatti, ritiene che l’evoluzione della storia verso la
Verità assoluta sia giunta ad un punto cruciale con Kant ed il criticismo. L’apoteosi
fichtiana della soggettività non sposta, in
ogni caso, il senso razionale e filosofico
della storia, indirizzata sempre e comunque verso la realizzazione assoluta. La considerazione di una teleologia razionale intrinseca alla storia avvicinerebbe in tal modo
Reinhold a Hegel, teorizzatore del principio della ragione storica e di una filosofia
della storia che si identifica con la storia
della filosofia. A.S.
Feyerabend autobiografico
Con il titolo: AMMAZZANDO IL TEMPO (tr. it.
di A. de Lachenal, Laterza, Bari-Roma
1994), voluto dall’autore, viene pubblicata l’autobiografia che Paul K.
Feyerabend ha completato nel suo ultimo mese di vita, lasciando di sé un
ricordo straordinariamente onesto e
coerente. Una coerenza, quella di
Feyerabend, che lo portò, nella vita
privata come in quella professionale,
ad assumere posizioni scomode, controverse e controcorrente, al punto di
diventare noto come l’ ‘enfant terrible’ dell’epistemologia.
Con uno stile limpido e vibrante, Paul K.
Feyerabend rievoca, in questa autobiografia, la sua famiglia, l’ascesa del nazismo,
gli anni della guerra, la passione per il
teatro, la lirica e la filosofia della scienza, le
donne della sua vita e le relazioni con
alcuni dei grandi intellettuali del Novecento, da Brecht a Wittgenstein a Popper.
Pur attratto dalla fisica e dalla matematica,
il giovane Feyerabend intraprese con la
storia e la sociologia gli studi universitari,
poiché la fisica - così pensava allora - «ha
poco a che fare con la realtà». Il ritorno alla
scienza fu tuttavia immediato, e con esso
l’emergere dei suoi veri interessi, che spaziavano dalla fisica teorica alla radioastronomia e all’astronomia sferica. Via via
venivano definendosi in lui interessi di tipo
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speculativo e insieme la necessità di restare
sempre vincolato alla realtà, al dato osservabile empiricamente: scienza e vita vissuta dovevano restare in Feyerabend un binomio inscindibile. Fin dalla giovinezza, durante gli studi a Vienna, egli dimostra la
propria insofferenza per tutto ciò che rappresenta regole prestabilite, osservanze
accademiche e posizioni consenzienti: frequenta i seminari di teologia di padre Otto
Mauer con l’intento di smantellarne le convinzioni più certe: «Credere in Dio era una
cosa - sosteneva - ma cercare di dimostrare la
Sua esistenza era impresa destinata al fallimento... la scienza è la base della conoscenza, la scienza è empirica, le imprese non
empiriche sono o logiche o prive di senso».
Nell’agosto del 1948, durante un seminario ad Alpach, Feyerabend incontra per la
prima volta Karl Popper, che passeggiando su e giù davanti ai partecipanti esordì:
«Se per filosofo intendete uno di quei signori che occupano le cattedre di filosofia
in Germania, allora di sicuro non sono un
filosofo». Feyerabend, ancora studente, rimane colpito dalle parole di Popper, e ancor più dalla sua affermazione che le argomentazioni sulla verità sono «un delirio
inconsistente». L’anno seguente, nel 1949,
Feyerabend invita Wittgenstein a tenere
una conferenza al Circolo Kraft, una “versione studentesca” del vecchio Circolo di
Vienna, e due anni dopo vince una borsa di
studio del British Council per andare a
studiare con Wittgenstein a Cambridge:
ma nell’aprile del 1951 Wittgenstein muore, e la scelta del nuovo supervisor cade su
Popper. Così Feyerabend diviene casualmente allievo di Popper, per divenirne in
futuro il critico più radicale e originale: la
riluttanza per le dichiarazioni di fede, private o pubbliche che fossero, porterà
Feyerabend ad allontanarsi da quella che
era divenuta la “chiesa popperiana”.
Seguono anni di intenso lavoro: la prima
cattedra di filosofia della scienza a Bristol,
le letture più disparate, dai libri gialli a
Tennessee Williams, la passione per il teatro, le donne. Eppure una sensazione di
spaesamento e di incompiutezza domina la
sua esistenza: l’irrequietezza non è solo
intellettuale, ma anche sentimentale, e più
tardi, con il trasferimento in California,
diverrà un’irrequietezza intercontinentale.
Verso la fine degli anni ’60, a Friburgo,
conosce Jung che tenta di invitarlo a pranzo con Heidegger, ma egli declina l’invito.
Qualche anno dopo l’incontro mancato con
Heidegger, la pubblicazione dell’opera
maggiore, Contro il metodo, (1975) e con
essa la denuncia di qualsiasi pretesa d’ingabbiare la realtà, polimorfa e in divenire
continuo, entro schemi univoci e totalizzanti: l’unica strategia intellettuale per
l’avanzamento della conoscenza scientifica è data, secondo Feyerabend, dall’ “anarchismo metodologico”.
Sono questi gli anni dell’insegnamento in
Europa, al Politecnico di Zurigo, il breve
ritorno a Berkeley e il definitivo distacco
AUTORI E IDEE
dagli Stati Uniti e, soprattutto l’incontro,
nel 1983, con Grazia Borrini, che diverrà la
sua quarta moglie. In questi anni, la sensazione di avere ancora «una manciata di anni
da vivere» porta Feyerabend a riflessioni
esistenziali profonde: «... Non avrei voluto
vivere per sempre e sicuramente non a
causa dei libri e degli scritti importanti, ma
perché mi piacerebbe invecchiare con Grazia, perché mi piacerebbe in futuro amare il
suo viso vecchio e rugoso come amo oggi
il suo giovane viso... Questi pensieri mi
rendono chiaro il fatto che dopo tutto ci
sono delle forti inclinazioni, che non vanno
verso cose astratte come la solitudine o
qualche conquista intellettuale, ma verso
un essere umano vivo». L’onestà intellettuale che ha caratterizzato l’intero lavoro
scientifico di Feyerabend, in queste ultime
pagine di vita diviene onestà umana, autenticità dell’esistenza, atteggiamento etico:
«un carattere morale non si crea attraverso
discussioni, l’educazione o con un atto di
volontà e nemmeno attraverso alcun tipo di
azione pianificata, sia essa scientifica, politica o artistica... dipende da un delicato
equilibrio tra fiducia in se stessi e attenzione per gli altri. Possiamo creare le condizioni che favoriscono tale equilibrio, non
l’equilibrio in sé».
La radicalità del pensare, e con essa il
desiderio di liberare la gente dalla “tirannia
imposta da ottenebratori filosofici”, non lo
abbandonerà mai, fino alla fine. Un’energia vitale, quella di Feyerabend, che confluisce in un amore per il mondo vissuto senza
cedimenti, sempre autenticamente: «Vorrei
che dopo la mia dipartita - sono le sue ultime
righe - resti qualcosa di me, “non” saggi,
“non” dichiarazioni filosofiche definitive,
ma amore. Spero che sia questo che rimarrà
e su di esso non pesi troppo il modo in cui me
ne andrò, che vorrei lieve... ». E.C.
L’ “argomento terapeutico”
dell’etica ellenistica
Nel suo nuovo saggio
THE THERAPY OF
DESIRE: THEORY AND PRACTICE IN HELLENI-
(La terapia del desiderio:
teoria e pratica nell’etica ellenistica,
Princeton University Press, Princeton
1994) Martha Nußbaum individua
nell’uso dell’ “argomento terapeutico” un elemento comune nelle concezioni etiche delle scuole epicurea, stoica e scettica. Si tratta dell’argomento
filosofico con cui i filosofi-terapeuti
delle scuole ellenistiche, orientate secondo il modello medico, curavano
con strumenti puramente razionali
coloro che soffrivano di disagi esistenziali. Facendo riferimento ad autori
come Lucrezio, Seneca, Epitteto e Sesto Empirico, Nussbaum cerca di instaurare un dialogo tra questi filosofi e
i lettori-malati del ventesimo secolo.
STIC ETHICS
In questo suo studio Martha Nußbaum ci
spiega come chiunque fosse nato tra il 300
a.C. e il 200 d.C. avrebbe potuto seguire un
corso di terapia filosofica per curare i suoi
disagi esistenziali. Principale obiettivo del
testo è creare un dialogo tra i maggiori filosofi ellenisti, greci e romani - Lucrezio,
Seneca, Epitteto e Sesto Empirico - e gli
attuali lettori, invitati a cercare una risposta
ai loro problemi psicologici nell’opera di
questi filosofi. A questo proposito Nußbaum
prende come esempio i possibili incontri che
avrebbero potuto aver luogo, all’epoca, tra
un suddito del regno ellenico, che avesse
voluto risolvere le proprie insoddisfazioni e
frustrazioni, e le varie scuole filosofiche.
La scuola epicurea, spiega Nußbaum, gli
avrebbe proposto la riformulazione del sistema di valori, per individuare il desiderio
innato per il piacere e per una vita senza
paura che in lui erano stati distorti dall’etica
competitiva del mondo, indicandogli che
l’unico modo per riacquistare il desiderio
naturale è quello di coltivare una distaccata
tranquillità. Se ciò non fosse bastato, aggiunge Nußbaum, il terapeuta filosofico l’avrebbe guidato a scoprire che le ambizioni di
salute e potere sono un modo per sfuggire
alla paura inconscia della morte, e come
terapia gli avrebbe fatto studiare la fisica
per dimostrargli che la mente dell’uomo,
essendo un organo materiale, non sopravvive dopo la morte. Il risentimento per
l’assenza di una vita dopo la morte sarebbe
stato quietato dalla corretta comprensione
della natura del piacere nella vita finita e
della dinamica della morte.
Qualora la cura degli epicurei non gli avesse
portato giovamento, osserva Nußbaum, il
suddito ellenico si sarebbe potuto rivolgere
agli stoici che, giudicando naturale e giustificato lo sforzo per giungere al successo
mondano, avrebbero individuato la causa
del suo malessere nel modo in cui viene
perseguito il successo, in particolare nell’eccessiva tensione emotiva. Il terapeuta stoico
avrebbe spiegato al suddito che i desideri di
successo sono dovuti ad errori di giudizio
nella valutazione dell’essenza intrinseca della
realtà, e che la loro cura deve includere anche
le altre “passioni”, cioè le altre credenze di
errata valutazione. La terapia, consistente in
esperimenti mentali, gli avrebbe permesso
di vedere dall’esterno i suoi desideri passionali e le loro conseguenze e l’avrebbe portato
ad intrattenere un atteggiamento non passionale verso gli oggetti. La cura avrebbe incluso la conoscenza dei veri principi per la
valutazione, che gli avrebbe insegnato che l’
“indifferenza” è la via per la felicità. Se
anche l’approccio stoico fosse fallito, prosegue Nußbaum, il nostro suddito avrebbe
potuto chiedersi se la teoria morale fosse
veramente la chiave della felicità; tale riflessione l’avrebbe avvicinato agli scettici, i
quali sostengono che il non credere a nessuna teoria è l’unica via per giungere alla vera
pace della mente. Il terapeuta scettico avrebbe messo a frutto l’esperienza epicurea e
stoica e avrebbe indicato nella disillusione il
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primo necessario passo verso il raggiungimento della felicità. La terapia prescritta per
giungere al sentimento di sublime distacco
sarebbe stata quella di vivere la vita pubblica
senza più credere che ogni successo o fallimento sia in se stesso buono o cattivo. Lo
scettico avrebbe tuttavia messo in guardia
contro la tentazione di imporre valori oggettivi e di svolgere indagini teoriche, ricordando che non esiste mai una sufficiente base per
credere a qualche cosa.
L’ “argomento terapeutico”, individuato da
Nußbaum nelle filosofie ellenistiche, risulta
essere sviluppo pratico di un argomento filosofico puramente razionale per la ricostruzione dei valori personali nel singolo paziente, con l’unico scopo di giungere alla diagnosi e alla cura del malessere. In questo Nußbaum difende e riabilita l’analisi cognitiva
delle emozioni svolta dai filosofi ellenistici,
riconoscendo nell’approccio terapeutico
“empatico” la possibilità di un’interpretazione delle loro teorie. Tuttavia dobbiamo
rilevare che l’aggettivo “terapeutico” è usato
da Nußbaum, ma non dagli autori presi in
considerazione, sebbene anche i filosofi ellenisti, come ogni filosofo morale dell’antichità, utilizzassero la metafora del filosofo
come dottore dell’anima. L’individuazione
e la categorizzazione del pensiero morale dei
filosofi ellenisti secondo il modello “terapeutico”, porta Nußbaum a tracciare un confronto limitato tra questi e gli altri filosofi
dell’antichità che presentano caratteri teoretici diversi. Così Aristotele è promotore di
un paradigma di santità e di un pluralismo
dialettico senza preconcetti; mentre Platone
è colui che colloca i valori solo su un piano
trascendente, facendo sì che essi non abbiano nulla a che fare con la nostra vita. In realtà
accanto all’approccio terapeutico sarebbe
opportuno che apparissero altre caratteristiche che non possono essere semplicemente
tralasciate, come ad esempio, presso gli stoici, la negazione di gradi della felicità e dell’infelicità, l’uso terapeutico del paradosso e
il fatalismo provvidenziale per legittimare, piuttosto che deplorare, la sofferenza umana.
L’individuazione dell’argomento terapeutico di Nußbaum ha il merito di permettere il
confronto orizzontale tra i diversi metodi di
cura nelle tre scuole ellenistiche, ma richiede
di essere allargato anche nella direzione verticale, cioè all’interno di ciascuna scuola. In
particolare, appare eccessivamente riduttiva
la visione della scuola stoica. L’uso di esempi individuali, letterali o storici nell’insegnamento morale, ad esempio, è centrale in
Seneca, ma non nella filosofia morale tradizionale stoica, ove il saggio è simbolo
paradigmatico. L’interpretazione di Nußbaum, tuttavia, fornisce anche una nuova
interpretazione della teoria dell’immortalità in Lucrezio e in Seneca, mettendo in
rilievo, nel primo, l’azione reciproca tra
concezione positiva e negativa dell’aggressione, nella sua poesia, e la precisa strategia
da lui elaborata per combattere le passioni
erotiche, nel secondo un’interpretazione
filosofica della tragedia Medea. M.G.
AUTORI E IDEE
Thomas Hobbes
Attualità del ‘Leviatano’
Accompagnato da una raccolta antologica di testi, lo studio di Tito Magri,
HOBBES (Laterza, Roma-Bari 1994), affronta il pensiero politico del filosofo
inglese. Un approfondimento dei rapporti tra il ‘Leviatano’ e l’epoca moderna e contemporanea è invece oggetto di due studi che intendono affrontare l’eredità politica e filosofica
lasciataci da Hobbes. Si tratta dello
studio di Gianfranco Borrelli, RAGION DI
STATO E ‘ LEVIATANO ’ (Il Mulino, Bologna
1993), e di quello di Giacomo
Marramao, DOPO IL ‘LEVIATANO’. INDIVIDUO E COMUNITÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA
(Giappichelli, Torino 1995).
Secondo Tito Magri, la filosofia politica
di Thomas Hobbes nasce dall’analisi degli Stati storici e della loro incapacità a
legittimare l’ordine costituito. Da questo
punto di vista, l’esigenza di fondare razionalmente la giustizia, l’autorità dello Stato
e l’obbligo dei cittadini, costituisce il senso
dell’opera filosofica e insieme del progetto
politico di Hobbes. La demarcazione tra
stato di natura e stato civile permette a
Hobbes di collocare il diritto di natura,
inteso come assoluta libertà individuale, e
la ragione naturale, l’autoconservazione,
nell’a priori dell’uomo, portato istintivamente e naturalmente verso la guerra.
Distinguendo il De cive, in cui la guerra
nasce dalla distorsione della ragione, dal
Leviatano, in cui la guerra è invece espressione di autoconservazione egoistica, e
quindi razionale, Magri riconosce in Hobbes la necessità di costruire e socializzare il
diritto naturale, che, se lasciato al suo arbitrio, si fa portatore solo di interessi egoistici. Nasce così la legge di natura, intesa
come l’obbligo che trasforma la ragione
individuale in ragione concordata. Il patto
sociale, infatti, modifica gli interessi individuali ed egoistici del diritto di natura, nel
comune accordo sulla legge di natura, costituendo in modo compiuto la giustizia e la
razionalità. In questo modo, secondo Magri, Hobbes riesce a fondare razionalmente
la giustizia, nata dall’accordo comune di
modificare il diritto naturale in legge di
natura. La figura del sovrano, a questo
proposito, diventa garante del patto sociale, in quanto la condizione necessaria per
mantenere la legge di natura è un potere
coercitivo che impedisca la violazione, irrazionale ed ingiusta, del patto. La tesi di
Magri, che già in Contratto e convenzione
(Milano, Feltrinelli 1993) aveva descritto
il progetto politico di Hobbes con i caratteri
della razionalità, più che dell’assolutismo,
viene confermata dall’esigenza dello scambio tra obbligo dei cittadini e autorità del
sovrano, che legittimano razionalmente
l’esistenza dello stato.
La razionalità del Leviatano è riconosciuta
anche da Gianfranco Borrelli, che vede
nella soluzione politica di Hobbes lo stru22
mento necessario per correggere i limiti
presenti nella filosofia della Ragion di
Stato del ‘600. A questo proposito Borrelli
analizza i modelli politici del ‘500 e del
‘600, tra cui quelli di Giovanni Botero e
di Lodovico Settala, dimostrando la loro
derivazione filosofica dall’accostamento
delle categorie della Ragion di Stato a
quelle del Leviatano.
Con la caduta delle politiche ecclesiastiche, che durante le guerre di religione
avevano mostrato i propri limiti, s’impone
il modello della Ragion di Stato che, per
conservare l’autorità, si serve della prudenza e della saggezza. Borrelli analizza
minuziosamente queste due categorie politiche, riscontrando nella prudenza quella
capacità di trovare un fondamento prescrittivo, che utilizzi ogni mezzo (come
l’inganno e il trucco) per conservare l’autorità, e nella saggezza la costituzione di
quella sfera privata con interessi propri,
che attraverso il dominio delle passioni
allontana l’individuo comune dalla gestione politica. Secondo Borrelli, tuttavia, la
Ragion di Stato è incapace di legittimare
totalmente il potere e di impedire il rischio
di trasgressione; per questo necessita della
dimensione del contratto e dell’autorità,
che appartengono al modello di Hobbes.
In altre parole, nasce qui l’esigenza dello
scambio tra il pubblico, inteso come l’autorità che si serve della coercizione e della
prudenza, e il privato, che all’obbedienza
e alla disciplina accosta la saggezza degli
interessi propri. Il comando e l’obbedienza, il contratto e l’autorizzazione, giustificano, in conclusione, l’operato del principe, che manifesta la sua attività di controllo e di mediazione. La capacità di simulare
opinioni e di nascondere ciò che pensa
diventa il carattere proprio del principe
che, potendo incidere segretamente sui
comportamenti umani, si autolegittima
come autentica autorità politica.
Lo studio di Giacomo Marramao consiste
in una raccolta di saggi, scritti in tempi e
occasioni diverse. Il presupposto che regge
il volume è la crisi dello stato accentratore,
tipico della filosofia del Leviatano, e l’apertura ad una filosofia politica ed etica di
diverso tipo. In riferimento alla filosofia
weberiana e nietzscheana, Marramao individua nel politeismo e nella visione antropocentrica il fondamento dello stato “postmoderno” che, pur non rispecchiando più
un ideale universalistico, non si ritrova
neppure nelle costellazioni ermeneutiche e
“deboliste” della filosofia contemporanea.
L’autore, infatti, presenta il liberalismo da
una parte come etica del conflitto e della
competizione tra gli individui, dall’altra come
superamento dello stato sociale, ultimo residuo, ricorda Marramao, dell’eredità marxista. Attraverso autori come Weber, Kelsen o
Luhmann, la concezione personalistica e
individualistica dello stato diventa il perno
attorno al quale far ruotare la res pubblica,
non più centralistica, ma sempre determinante l’esistenza politica degli individui. A.S.
AUTORI E IDEE
Liberalismo politico
e teoria del diritto
A più di vent’anni di distanza dall’uscita di ‘Una teoria della giustizia’, considerato uno dei classici della filosofia
politica contemporanea, John Rawls
pubblica LIBERALISMO POLITICO (tr. it. di G.
Rigamonti, Edizioni di Comunità, Milano 1994), destinato anch’esso, come
il precedente, a costituire un punto di
riferimento obbligato nel dibattito all’interno della filosofia politica contemporanea. A quest’opera può essere affiancata, in un significativo confronto, quella recente di Niklas Luhmann, DAS RECHT DER GESELLSCHAFT (Il
diritto della società, Suhrkamp, Francoforte s/ M. 1993), in cui la teoria dei
sistemi viene applicata a un’analisi del
diritto da un punto di vista sociologico,
dove contratto e proprietà sono i punti
di contatto e di mediazione tra il sistema del diritto e quello dell’economia.
Lo studio di Niklas Luhmann, Das Recht
der Gesellschaft, inizia con una distaccata
descrizione della teoria del diritto dal punto
di vista di un osservatore esterno, quasi a
voler determinare il luogo teorico del diritto.
Si concentra poi sul sistema del diritto nel
suo insieme: all’analisi dei tribunali, che per
Luhmann costituiscono il centro di questo
sistema, segue la trattazione dei livelli dell’
“Argomentazione” (ragioni della distinzione equo-iniquo), della “Politica e Diritto”,
degli “Accoppiamenti strutturali”, dell’ “Autodescrizione del sistema del diritto”, con cui
l’attenzione di Luhmann torna nuovamente
all’autocomprensione che i teorici hanno
della teoria del diritto, rendendo comprensibile questa autocomprensione a partire dal
sistema e dalla sua funzione. L’ultimo capitolo del suo studio è dedicato all’analisi del
rapporto tra diritto e società.
Motore del sistema del diritto, e della sua
capacità di riprodursi nel tempo, è per
Luhmann la distinzione giusto-ingiusto
(Recht-Unrecht); questa distinzione è anche la chiave della teoria del diritto. Luhmann conferisce così al sistema del diritto
una dimensione temporalmente strutturata, in quanto vi è un passato, a cui fare
riferimento, per prendere una decisione
nel presente, rispetto a un determinato
caso, in modo che tale decisione valga nel
futuro per casi ulteriori. Questa concezione del diritto riprende quella luhmanniana
di società. Se la società si costituisce nell’elemento della comunicazione, quest’ultima è possibile, però, solo a condizione
che un senso comunicabile possa stabilizzarsi al di là del momento in cui viene
espresso. In ciò risiede la funzione delle
regole; i conflitti sociali nascono quando
qualcuno, violando le regole o deviando
da esse, delude le aspettative di chi le
osserva. In questo contesto, la funzione
del diritto non è di appianare i conflitti, ma
di rendere stabili determinate aspirazioni
e/o proiezioni circa il futuro di una determinata società, distinguendole da quelle
illegittime.
Uno schema analogo viene anche applicato
da Luhmann a una delle parti principali del
sistema giuridico - l’argomentazione giuridica. Dall’esposizione di Luhmann risulta
che le “motivazioni” (Begründungen) giuridiche hanno al tempo stesso la funzione
di rendere ripetibili le regole decisionali
per ogni singolo caso e di sviluppare la
sensibilità per le differenze di carattere in
ogni singolo caso.
Importanti, nell’economia del discorso
di Luhmann, sono anche le osservazioni
sull’ “accoppiamento strutturale”: la proprietà accoppia strutturalmente diritto
ed economia; la costituzione diritto e
politica. Luhmann si pone al di là della
contrapposizione tra i sostenitori di un
diritto razionale (che si riferisce a principi
fondativi esterni al diritto come la natura o
la ragione) e i fautori di un positivismo
giuridico (che si riferisce a criteri interni):
«in un caso la carenza risiede nell’assenza
di un principio di validità nella decisione
tra principi in conflitto tra loro. Nell’altro
nell’assenza di una giustificazione ultima
per ciò che viene applicato in quanto diritto valido. Nessuno di questi approcci è in
grado di rendere conto dell’unità del sistema nel sistema: validità e fondazione
giustificante non coincidono; di conseguenza bisogna decidersi per il primato
dell’una o dell’altra versione. Ma proprio
questo è un problema di auto-descrizione
del sistema». M.M.
Con Una teoria della giustizia (1971) John
Rawls intendeva dare una risposta adeguata dal punto di vista etico alla complessità
della società contemporanea. Nelle otto
lezioni che compongono questo nuovo lavoro di Rawls, Liberalismo politico, l’idea
di giustizia come equità, concetto-chiave
sul quale si fondava l’intero impianto strutturale dell’opera precedente, viene radicalmente riformulata. La teoria contrattualistica della giustizia come equità, considerata in precedenza una concezione morale
e politica insieme, viene ora concepita come
una teoria unicamente e propriamente politica che, nel contesto di sfondo della tradizione democratica, agisce nello spazio della ragione pubblica e definisce principi e
valori di una società giusta, intesa come un
sistema di cooperazione fra cittadini liberi
e uguali.
Mentre in Una teoria della giustizia la
condivisione dei principi di giustizia veniva presentata come partecipazione di una
dottrina morale che include tutti i valori e
che consente quindi la stabilità nel tempo
di una società bene ordinata, Liberalismo
politico si basa sull’idea alternativa della
mutua compatibilità tra consenso e convergenza sui valori politici e la varietà e la
divergenza delle nostre prospettive di valo-
Niklas Luhmann
23
AUTORI E IDEE
re, dei nostri attaccamenti e impegni. Questo significa che la teoria della giustizia,
per una società democratica, deve prendere
sul serio la sfida del pluralismo: una società
democratica moderna non è caratterizzata
soltanto da un pluralismo di dottrine religiose, filosofiche e morali comprensive,
ma da un pluralismo di dottrine comprensive incompatibili e tuttavia ragionevoli. Il
liberalismo politico assume che, ai fini
della politica, una pluralità di dottrine comprensive ragionevoli, ma incompatibili, sia
il risultato normale dell’esercizio della ragione umana entro le libere istituzioni di un
regime democratico costituzionale. Questo “pluralismo ragionevole”, come lo chiama Rawls, dimostra che l’idea di un società
bene ordinata, associata alla giustizia come
equità, è irrealistica, in quanto è in contraddizione con la realizzazione dei suoi stessi
principi nelle migliori condizioni prevedibili. Di conseguenza quella che Rawls
chiamava una “società bene ordinata”, una
società stabile, relativamente omogenea nelle sue convinzioni morali di fondo e nella
quale esiste un accordo complessivo su cosa
costituisca una vita buona, viene ripensata
alla luce della effettiva realtà delle moderne
società democratiche, entro le quali coesistono una pluralità di dottrine, religiose, filosofiche e morali, inconciliabili tra loro.
A questo punto Rawls si chiede: come è
possibile che una società di cittadini liberi
ed eguali permanga durevolmente nella
concordia, quando si trova ad essere così
profondamente divisa al suo interno a causa della coesistenza di dottrine ragionevoli,
ma incompatibili fra loro? Detto in altro
modo: come è possibile che dottrine comprensive profondamente contrapposte, benché ragionevoli, convivano e sostengano
tutte la concezione politica di un regime
costituzionale? La risposta di Rawsl prende le mosse dalla ridefinizione del concetto
di “società bene ordinata”: non si tratta più
di una società unita nelle sue convinzioni
morali di fondo, ma nella sua concezione
politica della giustizia; questa giustizia è al
centro di quello che Rawls chiama «un
consenso per intersezione di dottrine comprensive ragionevoli». Proprio il fatto che
la giustizia come equità possa essere al
centro di un consenso per intersezione significa che essa può essere accettata dalle
principali dottrine religiose, filosofiche e
morali che convivono entro una società
bene ordinata.
All’interno di questa concezione politica
della giustizia, il liberalismo pone ora nuovi quesiti: quali sono gli equi termini di una
cooperazione sociale fra cittadini concepiti
come liberi ed eguali, ma divisi da profondi
conflitti dottrinali? Quali sono la struttura e
il contenuto della concezione politica che
si richiede a questo scopo, ammesso che
una simile concezione sia possibile? Secondo Rawls si tratta di introdurre nelle
concezioni che gli uomini hanno del proprio bene un elemento trascendente che
non ammetta compromessi e che imponga
o un conflitto mortale, o una libertà di
coscienza e di pensiero uguale per tutti.
Nessuna concezione politica ragionevole
della giustizia è possibile, osserva Rawls,
se non sulla base di quest’ultima opzione,
saldamente fondata e pubblicamente riconosciuta. E il liberalismo politico inizia
prendendo sul serio la profondità assoluta di
questo inconciliabile conflitto latente, assumendolo come oggetto politico proprio. È in
tale contesto che Rawls giunge ad un nuovo
modo di intendere la giustizia come equità:
non più come concetto morale e politico
insieme, ma in quanto forma, essa stessa, del
liberalismo politico. Muovendo da un’analisi politica del conflitto religioso moderno nel
mondo occidentale, Rawls vede nella tolleranza il nucleo della versione di liberalismo
politico che egli predilige. E.C.
La metafisica
e la produzione del pensiero
Sebbene frutto di due approcci differenti, l’opera di Paolo D’Alessandro,
ESPERIENZE DI LETTURA E PRODUZIONE DI PENSIERO. INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA TEORETICA (LED, Milano 1994), e quella di Enrico
Berti, INTRODUZIONE ALLA METAFISICA (Utet,
Torino 1993), appaiono indirizzate verso il medesimo problema: il tentativo di
determinare il ‘quid’ della filosofia attraverso l’esame del suo effettivo configurarsi come pratica teorica.
Nella sua opera più recente, Esperienza di
lettura e produzione di pensiero, Paolo
D’Alessandro intende far emergere il quid
della filosofia attraverso l’osservazione
della pratica del filosofare, delle sue modalità e del “soggetto” del filosofare medesimo. Se le questioni relative al “chi” e al
“come” della pratica del pensiero, che risultano connesse nella tradizione filosofica, sembrano rinviare entrambe a un qualche accordo preliminare su ciò che si intende con la nozione di “pensare”, D’Alessandro ritiene invece che l’osservazione degli
esiti “filosofici” di quella praticha possa
mettere in luce la radice del giudizio, necessariamente non fondato in quanto presupposto, che ritiene di poter elaborare una
filosofia partendo dalla sua definizione.
Secondo D’Alessandro, l’illustrazione di
un sapere filosofico è già di necessità un
“fare filosofico”, laddove questo fare sia
cosciente del proprio qualificarsi come pratica di linguaggio. Un tale sguardo “teoretico”, d’altra parte, non può che determinarsi come “genealogico”; non può che
fare i conti con il problema dell’origine
della linguistica e dell’ermeneutica, ovvero con la questione del logos.
Lo studio di D’Alessandro appare idealmente diviso in due parti. La prima (i capitoli “linguistica” ed “ermeneutica”) mira a
sterrare “archeologicamente” le origini
24
della pratica della scrittura attraverso la
questione del rapporto tra linguaggio e
comunicazione nel passaggio dalla cultura
orale a quella scritta, quella dell’origine
della scrittura in Platone e quella dell’origine teologica dell’ermeneutica. La seconda
parte è invece tesa a illustrare gli strumenti
(le tecniche interpretative della psicoanalisi da un lato, e la “lettura sintomale” althusseriana dall’altro) per la messa in pratica di
una lettura decostruttiva - insieme analitica
e produttiva - dei testi. Ponendo al centro
della propria analisi la questione della lettura, piuttosto che quella della scrittura,
D’Alessandro sottolinea il fatto che nel
pensiero fin da sempre si ha a che fare con
un testo: ogni produzione di pensiero, ogni
evento di scrittura si inseriscono nell’interlinea di un testo, in quell’accadere di un
“non detto” che, al di là del detto, viene
messo in luce dalla pratica della lettura
sintomale. Essa fa emergere quella parola
che ancora non ha avuto una rappresentazione scritturale al di fuori di qualunque
metafisica dell’inconscio, concepita come
creatio ex nihilo, e consiste invece in un
dare voce a ciò che parla nel silenzio. Per
questa via l’interpretazione di D’Alessandro mette in atto (mediante la lettura sintomale e l’osservazione fenomenologica delle dinamiche testuali) una radicalizzazione
dell’ermeneutica che, di contro al primato
metafisico della vista, privilegia la dimensione dell’ascolto.
Muovendo proprio dall’esperienza di pensiero della metafisica, l’ultima opera di
Enrico Berti, Introduzione alla metafisica, intende dar conto di quella che appare
come l’esperienza filosofica in quanto tale.
Secondo Berti, rispondere alla domanda
“che cos’è metafisica?” significa affrontare il problema del prodursi di un pensiero
che si qualifica come “filosofico”. Per circoscrivere i termini della questione Berti
ricorre all’esame di quelle configurazioni
teoriche che, a diverso titolo, si sono storicamente dichiarate metafisica - o ad essa
sono state ricondotte. Emergono così diverse tipologie della metafisica (immanentistica, partecipativa, dell’esperienza), il
cui tratto caratteristico, per definizione,
consiste nell’ occuparsi di ciò che sfugge al
sapere comune o a quello “scientifico”,
nonché alle loro procedure di verifica.
Obiettivo non nascosto di Berti, che alla
metafisica (quella che si richiama in particolare ad Aristotele) ha dedicato gran parte
della propria riflessione, è anche quello di
ricondurre a termini storicamente e teoricamente corretti le talora frettolose liquidazioni che, sulla scorta di Heidegger, prefigurano un generico “superamento” della
metafisica.
Le critiche alla metafisica in quanto tale,
osserva Berti, trovano un riscontro molto
lontano nella metafisica e nello scetticismo
antichi; d’altra parte, da Nietzsche in poi, la
polemica antimetafisica ha avuto come suo
obiettivo il cosiddetto “platonismo”, ovvero una determinata tipologia di metafisica,
AUTORI E IDEE
quella “della partecipazione”, lasciando
fuori dalla propria portata critica la cosiddetta “metafisica classica”, quella cioè che,
richiamandosi a vario titolo ad Aristotele,
rientra piuttosto nella tipologia della metafisica dell’ “esperienza integrale”. La metafisica “classica”, aggiunge Berti, si riferisce all’esperienza in quanto tale, all’esperienza nel senso più generale possibile; in
una parola, all’esperienza della totalità attraverso una tematizzazione, anziché un’oggettivazione, che è invece il modo con cui
le scienze si riferiscono al proprio oggetto.
Della nozione di totalità verso cui si indirizza la metafisica “classica”, fa notare
Berti, è un esempio Aristotele, la cui riflessione sulla totalità consiste, infatti, nel non
semantizzare la nozione di essere (né, per
contrapposizione, quella di “nulla”), bensì
nell’individuare i suoi molteplici significati, le categorie, nonché le sue proprietà trascendentali, che concorrono a rendere intelligibile l’esperienza. In Aristotele è rintracciabile anche la “scoperta” che l’esperienza,
ovvero la “natura”, non esaurisce l’essere,
che per questo la trascende. D’altra parte, il
concetto stesso di esperienza appare per più
versi problematico, sospeso fra il suo carattere definitorio e quello interpretativo. Dalla
non assolutizzabilità dell’esperienza deriva
il carattere di trascendenza del Principio; in
questa trascendenza (anziché nell’identità,
postulata da Heidegger con il suo concetto
di onto-teo-logia) accade la coincidenza dell’ontologia con la teologia, del senso dell’essere con il suo principio. F.C.
Esistenza affermata,
esistenza negata
Due recenti studi forniscono nuovi
spunti per una riflessione sul senso
dell’esistenza in chiave esistenzialemetafisica. Si tratta de IL SUICIDIO NELL’ETÀ DEL NICHILISMO (Franco Angeli, Milano 1994), di Roberto Garaventa, che
attraverso l’interpretazione dell’opera di Goethe, Leopardi e Dostoevskij
analizza il suicidio come risposta ad
una crisi di senso dell’esistenza, e di
IMPARARE AD ESISTERE (Donzelli, Roma
1994), di Franco Crespi, che propone
un’interpretazione del senso dell’esistere sulla base di percorsi filosofici
alternativi.
Nel suo studio, Il suicidio nell’età del nichilismo, Roberto Garaventa affronta il problema del suicidio, presupponendo che esso
sia conseguenza ultima dell’incapacità di
cogliere il senso dell’esistere. Attraverso un
esame dell’opera di Goethe, Leopardi, Dostoevskij, Garaventa ripercorre i vari significati e le varie interpretazioni che al suicidio
sono state assegnate nel corso della storia.
Tre sono le epoche prese in considerazione
da Garaventa: greca, moderna, contempo-
ranea. Nell’antica Grecia, osserva Garaventa, il suicidio veniva visto come un atto
eroico; i suicidi più famosi furono commessi in difesa di valori, di ideali, da cui
non si poteva prescindere. Ben diverso il
suicidio nell’età moderna, dettato da una
totale caduta di “senso” dell’esistenza, che
colpisce il singolo come la collettività; qui
il suicidio, fa notare Garaventa, rispecchia
la noia di un vivere quotidiano anonimo,
privo di stimoli interiori ed esterni. Per
questo suo aspetto, tutt’altro che eroico, il
suicidio viene considerato da molti, come
ad esempio Goethe, un atto patologico,
illeggittimo, scandaloso per la cultura dell’epoca; per altri invece, come Leopardi,
esso non è che il prodotto di una specifica
atmosfera culturale. Il suicidio “più tragico”, secondo Garaventa, è quello contemporaneo, in quanto frutto di una drammatica elaborazione interiore e di una latente
incapacità di riscatto da parte del soggetto,
come in particolare ha saputo mostrare
Dostoevskij.
Nell’analisi di Garaventa, Goethe, Leopardi e Dostoevskij incarnano divergenti modi
di intendere e di proporre, attraverso le loro
opere, il suicidio. Il Werther di Goethe
vede nella morte la realizzazione della propria totalità; una realizzazione che egli non
trova nell’esistenza terrena. Il suicidio dei
personaggi di Leopardi è invece effetto
dell’amor proprio individuale, che preferisce la morte alla consapevolezza del proprio nulla. In Dostoevskij, infine, dove i
personaggi sono quasi sempre figure psicologicamente complesse, incapaci di governare se stesse, il suicidio è conseguenza
di un dramma interiore e si colloca in un
contesto di visione globale del mondo come
qualcosa di assurdo e tragico.
Sulla necessità esistenziale di conferire un
senso a se stessi e a ciò che ci circonda è ciò
su cui insiste Franco Crespi in Imparare
ad esistere, affermando che il vero riscatto
dell’uomo sia accettare se stesso, con tutti
i propri limiti, e ricercare un equilibrio tra
libertà e necessità, tra dipendenza da contesti socio-culturali e indipendenza dell’individuo come soggetto. Un’esistenza meditata, spiega Crespi, è un’esistenza che
progressivamente arricchisce l’individuo
e, con lui, la collettività. Vivere secondo un
senso, afferma Crespi, è inventarsi attimo
dopo attimo; è disporsi nei confronti di sé e
del mondo con attenzione e premura; è
mettersi in discussione con il rischio di una
radicale problematizzazione di e stessi. Una
delle cause maggiori dei suicidi passati e
attuali, osserva Crespi, è proprio l’illusione di risposte immediate riguardo ai grandi
dubbi e interrogativi esistenziali.
Nella sua interpretazione, Crespi è ben lungi
dal concepire la capacità di esistere come
questione morale, dato che non vengono
presi in considerazione né precetti, né regole, né modelli sociali. Il vero giudice della
propria esistenza è il singolo, che ha la grande responsabilità di “essere se stesso” e di
coltivare la propria coscienza. D.M.
25
Marx e il sogno della storia
Perché occuparsi di Marx? Non si tratta di cercarvi “massime di vita”, politica o filosofica, utili ai problemi della
società contemporanea, né di delineare un’utopia politica, che Marx stesso avrebbe, per primo, rifiutata, ma di
recuperare il carattere stesso della
riflessione marxiana che, in quanto
critica dell’economia politica, si configura come un “pensiero che costruisce”, anziché come un “pensiero che
narra”. E’ questa la prospettiva in cui
si muove l’opera di Fulvio Papi, IL
SOGNO FILOSOFICO DELLA STORIA . INTERPRETAZIONI SULL ’OPERA DI MARX (Guerini e
Associati, Milano 1994), alla quale può
essere accostata, dello stesso autore,
anche se in una diversa prospettiva,
la raccolta di saggi dal titolo: PHILOSOPHIA IMAGO MUNDI (a cura di F. Merlini, Edizioni Alice, Comano-CH 1994).
Il sogno filosofico della storia di Fulvio
Papi è un’opera che riveste i caratteri dell’
“inattualità”, nello specifico senso nietzscheano. Non solo per la ragione, tutto
sommato banale, per cui da alcuni anni la
riflessione critica e la produzione teoretica
intorno all’opera di Marx hanno subito
una netta flessione. L’ “inattualità” di quest’opera consiste nel fatto che essa si inserisce nel progetto di una critica delle “pratiche teoriche”, in vista di quella riflessione sulla prassi che costituisce essenza e
“inattualità” della filosofia. Nell’analisi di
alcune tematiche marxiane, Papi ritrova
infatti la questione del rapporto tra teoria e
prassi, che in lui assurge a nodo cruciale
nella determinazione del senso della pratica di pensiero. Non a caso, Papi considera
come contributo decisivo di Marx l’essere
pervenuto alla separazione del tema dell’autonomia della filosofia (respinta come
illusoria) da quello della coscienza e del
soggetto, che costituisce invece un filo
conduttore all’interno dello sviluppo della
riflessione marxiana, ponendo la questione della possibilità pratica del soggetto di
entrare in rapporto con il mondo e determinarsi, in tal modo, come “soggetto storico”. Il discorso filosofico, secondo Papi,
deve necessariamente farsi carico del proprio “essere in situazione”, ovvero del
proprio essere storicamente determinato,
ponendosi la questione dell’orizzonte di
mondo in cui esso è iscritto e che esso
configura. L’intento configurativo, osserva d’altra parte Papi nella “Prefazione”
alla sua raccolta di saggi Philosophia imago mundi, appare infatti finalizzato, da
parte del soggetto filosofico che lo persegue, non a una decisione o a una conoscenza, bensì all’incontro del soggetto medesimo con il proprio essere.
Nell’interpretazione di Marx da parte di
Papi è evidente, d’altra parte, l’influsso
del razionalismo critico di Banfi, da cui
pure Papi prende le distanze. Una delle
AUTORI E IDEE
chiavi di accesso alla riflessione papiana,
come sottolinea Fabio Merlini nel suo
saggio: Ricognizione. Filosofia come pratica configurativa, posto come introduzione a Philosophia imago mundi, può essere
individuata nella nozione di “pluralità”.
Tale nozione, rintracciabile in Marx nella
categoria di “geografia della storia”, che
riconosce la specificità delle singole e determinate dinamiche storiche, affiora anche nel saggio Le topologie razionali, contenuto in Philosophia imago mundi, laddove Papi descrive il percorso filosofico
che scaturisce dalla rinuncia al tentativo di
dare luogo a un modello epistemologico di
razionalità, per seguire, invece, i processi
costitutivi delle varie estrinsecazioni della
ragione, anche al di là della conoscenza
positiva. In questa prospettiva, sostiene
Papi, ogni singola pratica storica costituisce una storia; e ogni singola storia si
presenta come una “storia a sé”. In tal
senso non si dà, ad esempio, isomorfismo
tra la “storia” e la “storia della filosofia”;
e quest’ultima, espressione per eccellenza dell’umanesimo idealista, rappresenta la messa in scena del soggetto, che
appare e si dissimula a seconda dei momenti della rappresentazione. Per Papi,
come non esiste “la” storia (in quanto
“soggetto”, o “oggetto”, sovraindividuale e sovrastorico), se non dal punto di
vista puramente narrazionale, ugualmente non è legittimo considerare l’epistemologia nei termini di una teoria generale della conoscenza.
Una tale impostazione si fonda sul presupposto, radicalmente anti-idealistico,
che muove la riflessione di Papi. Il suo
rifiuto del soggettivismo idealista non
può non fare i conti con la nozione di
soggetto; ovvero, dal punto di vista delle
ascendenze hegeliane dell’interpretazione di Marx, con la nozione di autocoscienza. Quest’ultima, osserva Papi, non
riveste affatto i caratteri dell’autoevidenza, non rappresenta un dato, bensì
appartiene all’orizzonte della volontà:
«Essa vuole essere un’autocoscienza intesa come libertà, e questo non è un
momento dell’intelletto, ma un’esperienza fondativa della prassi». In questo carattere tensionale, rivolto alla totalità,
Papi individua l’ineliminabile radice tragica dello hegelismo e, al contempo, il
suo carattere “aristocratico”. Questo
aspetto trapassa, in Marx, nell’affermazione della necessità storica e logica
dell’avanguardia: categoria, quest’ultima, che individua proprio un soggetto
storico che non cessa di considerare l’alterità, sia essa la natura o siano essi gli
altri uomini, come una sorta di spazioregione da colonizzare. E’ proprio una
tale considerazione dell’alterità, fa notare Papi, che motiva, ad esempio, taluni
esiti dei Grundrisse, per certi versi in
contrasto con il delinearsi del profilo di
una soggettività coerente con la concezione materialistica della storia. F.C.
Il filosofo e la storia
Considerati nella prospettiva con cui
Marx, confrontandosi con Bruno
Bauer sulla “questione ebraica”, profilava il compito dell’ “emancipazione” come un’attività intesa a “ricondurre” i rapporti sociali al “mondo dell’uomo” e all’ “uomo stesso”,
molti dei saggi, delle conferenze e
degli interventi di varia natura, scritti
nell’arco di quasi due generazioni,
che ora Pasquale Salvucci raccoglie
nel volume IL FILOSOFO E LA STORIA
(Quattroventi, Urbino 1994), acquistano piena intelligibilità e unità di
contenuto. La struttura del volume,
diviso per aree tematiche, illustra
significativamente l’intero ambito di
studi e riflessioni di Salvucci: la filos ofi a s coz z es e, Ka nt , F ic ht e,
Schelling, Hegel, Marx e la filosofia
contemporanea.
Attraverso i vari saggi che compongono
il volume Il filosofo e la storia si può
ricavare come Pasquale Salvucci propenda senz’altro per un esito ottimistico
dell’azione pratica dell’uomo sulla realtà; egli si attiene a ciò che chiama «fiducia nell’uomo» e alla sua facoltà di rendere razionale, cioè adatto alla propria
vita, il mondo, e con ciò alla fede che il
futuro dell’azione umana sia garantito
da un “senso” della storia imposto dalla
razionalità delle azioni. E’ evidente in
Salvucci l’influenza della “lezione” hegeliana, ma anche quella dell’economia
classica scozzese. L’adesione alla finitezza dell’esistenza umana non è per
Salvucci - come non lo era neppure per
Arturo Massolo, al quale risale la sua
formazione filosofica - l’unico discrimine dell’istanza “umana” della filosofia,
come invece l’esistenzialismo europeo
in generale sembrava aver postulato. Per
questo, secondo Salvucci, non solo quella kantiana, ma anche quella postkantiana, «generalmente interpretata come
orientata alla distruzione della essenziale finitezza», è invece filosofia dotata di
“profonda umanità”. Salvucci dedica il
suo volume alla memoria di Cesare
Luporini ad un anno dalla sua scomparsa, e vi raccoglie anche la discussione
del famoso libro di questi Spazio e materia
in Kant (1961); ebbene Luporini, a differenza di Massolo, aveva un’attitudine pessimistica sulla possibilità di umanizzare il
mondo e diffidava dagli sviluppi idealistici della filosofia kantiana.
Le idee di Salvucci risultano vividamente delineate dai saggi fichtiani. Il “mondo degli uomini” è l’orizzonte dell’esplicazione del circolo di “vita e coscienza”
speculativa. Salvucci salda nell’intersoggettività l’irriflesso e l’inconscio
della vita con la certezza della coscienza, aderendo a note formule fichtiane; ed
è sul nesso di vita e coscienza, realizzato
26
nel “dialogo”, che si regge l’interpretazione di Fichte. Questo tratto peculiare
dell’interpretazione fichtiana di Salvucci va sicuramente ricondotto all’intento
massoliano di «enucleare la soggettività
in senso antisoggettivistico»; e in ogni
caso muove dall’originalità e dalla priorità della vita “cosciente”. Per di più, in
un saggio del 1990, Fichte, Marx e la
prassi emancipatrice, Salvucci sembra
imputare in gran parte a Fichte l’idea
marxiana di emancipazione e di razionalizzazione del “mondo dell’uomo” e
mostra come nel giovane Marx vi siano
spie lessicali che tradiscono, se non
un’influente lettura di Fichte, certo l’assunzione di un modello simile a quello
fichtiano: l’affermazione che «l’uomo è
il “mondo dell’uomo”, stato, società» come scriveva Marx in Per la critica
della filosofia hegeliana del diritto - ha
una genesi che risalirebbe a Fichte, e in
parte a Hegel. E’ nel senso comunque di
una ricerca delle radici del concetto di
emancipazione che Salvucci vede in Fichte
e in Marx un modello comune, e nell’intero pensiero politico tedesco un vincolo
genealogico tra Fichte, Hegel e Marx.
Ora, per Salvucci, l’emancipazione non
è mai dissociabile dalla razionalizzazione. Per questo, se la massima carenza del
“postmoderno” e del “pensiero debole”
risiede nell’idea che scardina il senso
della storia e rende il futuro indeterminato e inappetibile ad ogni speranza e
progetto, allora la razionalizzazione del
degrado presente non appare più neppure auspicabile, né l’uomo può riscattarsi
in un mondo proprio, conciliato secondo
la forma di una comunità del dialogo nella “città dell’uomo” -, da cui ogni
tratto disumano sia stato espunto come
irrazionale. Secondo Salvucci, con le
teoriche del postmoderno vengono tradite e la filosofia kantiana, che «non
lascia il futuro in un’indeterminatezza»,
e quella hegeliana. In tale contesto, egli
trova poco coerente l’assunto di Paul
Ricoeur circa la determinazione del futuro «in direzione del desiderabile e del
ragionevole» sulla base di un’ “azione
strategica”, con la conclusione rassegnata alla “finitezza della comprensione” ed all’impossibilità di garantire un
sicuro successo alle azioni umane.
Secondo Salvucci, a partire dalla vita
cosciente del soggetto - che è costantemente auspicata - la forma comunitaria e
dialogica ha bisogno di riporre fiducia in
un futuro per potersi inverare, e deve
perciò essere costituita in modo differente da un semplice “orizzonte d’intesa” inconscio (come teorizzato da
Habermas), che di quella fiducia può
anche fare a meno. Soltanto la “destinazione” (Bestimmung) etica e politica del
filosofo possono ridurre gradualmente i
margini irrazionali del mondo ed umanizzarlo, e possono dare un senso alla
storia. Volutamente Salvucci intende
AUTORI E IDEE
Johann Heinrich Füssli, L'artista a colloquio con J. J. Bodmer (part.)
esprimere nell’idea fichtiana, anche comunemente vulgata, di destinazione del
dotto la propria concezione dell’ “intellettuale”, che egli propugna ancora, associandola con il progetto di umanizzazione e razionalizzazione del mondo
contro le filosofie “popolari” che si definiscono postmoderne.
A questo proposito si può qui richiamare
il recente studio di Luca Fonnesu, Antropologia e idealismo. La destinazione
dell’uomo nell’etica di Fichte (Laterza,
Bari-Roma 1993), che imposta l’interpretazione dell’etica di Fichte in rapporto alla nozione di “destinazione dell’uomo”, offrendo la prima ricognizione sistematica dell’origine di questo concetto, dall’opuscolo di Spalding, che nel
1748 mise in voga il termine, alla disputa prevalentemente semantica tra Abbt e
Mendelssohn. Fonnesu è attento al nesso
costante tra “destinazione dell’uomo”
non solo con la dimensione etica e politica, ma anche con quella religiosa: egli
ritiene che, sin dall’età dei Lumi, la direzione dell’esistenza dell’uomo sia stata
connessa con la dimensione religiosa.
Di qui sembra che nell’ultima fase del
pensiero di Fichte, dopo le entusiastiche
accentuazioni politiche - nella teoria della
“morale superiore” -, il senso religioso
della determinazione dell’uomo si riveli
nuovamente in tenace continuità con la
tradizione illuministica. P.M.
Arte tra finito e infinito
Lo studio di Marco Macciantelli, LETTERATURA E PENSIERO. ESTETICA DEL GENIO E
TEORIA DEL ROMANZO NELLA TRADIZIONE ROMANTICA (Alinea Editrice, Firenze 1994)
ripercorre lo sviluppo che dalla teoria
dell’arte di Schelling, Schopenhauer e
Séailles giunge, attraverso Novalis e
Schlegel, alla critica letteraria e al romanzo, come totalità organica e vivente, secondo le concezioni di Benjamin,
Lukács e Bacthin. L’esigenza, intrinseca all’attività artistica, di conciliare il
finito con l’infinito, quale emerge al
fondo di questo itinerario evolutivo, la
si ritrova nell’opera di Jean Paul: IL
COMICO, L’UMORISMO E L’ARGUZIA (a cura di
E. Spedicato, Il Poligrafo, Padova, 1994),
in cui viene delineata una teodicea del
riso, che affida all’opera d’arte il compito di costituire, attraverso il comico,
l’umorismo e l’arguzia, un universo di
“corrispondenze”, in cui è possibile rinvenire l’unità al di là di ogni dissonanza
ed eterogeneità.
In Letteratura e pensiero Marco Macciantelli esamina i prodromi di una concezione che affida all’arte il compito di unificare le lacerazioni, le differenze tra io e non
io, tra spirito e materia, tra finito e infinito.
Tale concezione ha le sue origini nella
filosofia di Schelling, di Schopenhauer e di
27
Séailles, che attribuivano al genio, identificato con l’attività creatrice spontanea e
inconscia, la capacità di esprimere nel finito l’infinito, e all’arte il carattere di “supremo organo” della conoscenza. Se per
Schelling, l’attività artistica del genio è
quella che unifica soggetto e oggetto, la cui
duplicità viene posta all’interno dell’autocoscienza, per Schopenhauer l’attività
creatrice è quella che realizza l’unione dell’
“intuizione particolare” con l’ “universalità
sostanziale”. In Séailles, invece, all’attività
creatrice del genio viene attribuita la capacità di conferire ordine, non identificandosi
con una facoltà eccezionale umana, ma coincidendo con l’attività normale di organizzazione della vita. Questa problematica, osserva Macciantelli, viene ripresa dai protoromantici Novalis e Schlegel. Mentre Novalis,
riprendendo la filosofia di Fichte, mostra il
legame tra attività e conoscenza, sulla base
dell’autolimitazione che l’io impone a se
stesso, ed esprime l’esigenza di costruire il
sapere della critica, Schlegel, rifacendosi al
nesso tra poesia e filosofia istituito da
Schelling, si propone di costruire un sapere
legato al fare e all’etica della scelta.
Questi autori, fa notare Macciantelli, pongono la possibilità della fondazione della critica letteraria. Infatti, l’unità che per un attimo
si manifesta nell’opera d’arte non è mai
definitiva, poiché essa, in quanto apertura
verso l’esterno, è passibile di essere percorsa
da una molteplicità ermeneutica nella sfera
AUTORI E IDEE
della ricezione estetica. Secondo Macciantelli, autori come Benjamin, Lukács, e Bacthin
mostrano come questa dimensione ermeneutica, che ridona all’opera d’arte il sigillo
dell’infinito, poiché alla sua costruzione partecipa, oltre all’autore, anche il ricettore,
determini, già nel primo romanticismo di
Novalis e Schlegel, la nascita della critica
d’arte come disciplina autonoma. Nel primo
romanticismo emerge infatti un concetto di
totalità vivente ed organica, come realizzazione dell’attività creatrice, che trova la sua
più adeguata esplicazione nel romanzo. Nella concezione di Benjamin, il romanzo costituisce l’unico genere letterario che realizza l’essenza unitaria della poesia. In tale
prospettiva la fondazione della critica letteraria rende possibile quell’unione di poesia e
filosofia, teorizzata dai primi romantici. Dal
suo canto, Bacthin mostra come l’idea protoromantica di un legame indissolubile tra
ontologia ed ermeneutica trovi nel romanzo
la sua più autentica applicazione, in quanto il
romanzo, totalità vivente ed organica, unifica la situazione dell’autore con quella del
lettore come parti integranti della sua esplicazione. Il romanzo, sottolinea ulteriormente Lukács, realizza il nesso tra io e non io, tra
infinito e finito, avendo come base quella
dialettica che nella filosofia romantica era
posta all’interno dell’autocoscienza e svolgendosi attraverso il filo della memoria che
rappresenta quel registro temporale che avvicina l’autore al lettore.
L’esigenza dell’arte di unificare finito e infinito può essere rintracciata anche nell’arte
comica di Jean Paul, trovando tuttavia una
sua parziale realizzazione solo nell’umorismo e nell’arguzia. Nella definizione del
comico come “l’infinitamente piccolo” si
coglie in Jean Paul l’influsso della filosofia
di Leibniz in relazione al concetto di “infinito potenziale” che si collega al principio
della divisibilità all’infinito. Come rileva
Eugenio Spedicato, il cosmo artistico di
Jean Paul assomiglia al cosmo di Leibniz,
dove le monadi costituiscono specchi prospettici di un’unica realtà: un cosmo intessuto di infinite “corrispondenze”, di continue analogie, nel quale l’esigenza di unità
convive con la presenza di un’ampia molteplicità. Il cosmo artistico di Jean Paul
assume in tal senso la connotazione di una
“teodicea del riso” con lo scopo di raggiungere un’ “armonia prestabilita” al di là delle
dissonanze e disarmonie presenti.
Esaminando la fonte da cui scaturisce il riso,
Jean Paul sostiene, al contrario di Kant, che
il nulla non genera il riso e che si ride quando
ci si trova di fronte a qualcosa, pur non
aspettando nulla. Come per Kant, anche per
Jean Paul il riso comico deve essere “puro”
e “libero”, espressione della libertà “ludica”
dell’intelletto in quanto proveniente da una
“consapevole autoillusione”.
Nonostante ciò, il comico di Jean Paul resta
gravato dal marchio insuperabile del finito;
l’esigenza di unificazione di finito e infinito
si manifesta nel legame “simpatetico” dell’io con l’altro, ma non supera il limite del
finito, non accede ad un universale che trascenda il particolare. Nell’umorismo, invece, si può scorgere l’infinito attraverso il suo
legame con il sublime. Per Jean Paul, l’umorismo si identifica con il rovesciamento del
sublime: se il sublime è “l’infinito applicato
al finito”, l’umorismo è, viceversa, “il finito
applicato all’infinito”. Nella prospettiva aperta dall’umorismo, infatti, l’uomo non può
essere deriso per la sua particolarità, ma solo
come paradigma dell’universale umanità.
All’interno della teodicea estetica di Jean
Paul il vertice viene tuttavia raggiunto dall’arguzia, che rappresenta una facoltà speciale dell’intelligenza, differente dall’attività meccanica dell’intelletto. L’elemento di
novità nella concezione dell’arguzia di Jean
Paul è l’attribuzione ad essa del concetto di
“profondità di pensiero”. Contro ogni apparenza, l’arguzia, istituendo continui paragoni, riesce a cogliere una ottimistica “identità
dell’universo nel molteplice”. Autentico
obiettivo dell’arguzia è immergersi nel caos
del mondo per superarlo, per richiamare
l’idea di un’unità, di un ordine invisibile, di
un’ “armonia prestabilita” che lega tutto il
cosmo, in quanto formato da infinite “corrispondenze” che l’arte si propone di “anagrammare all’infinito”.
Per concludere, se il genio creatore è per i
romantici colui che con la sua attività riesce a manifestare la possibilità di unificare
finito e infinito; se il romanziere, secondo
Benjamin, Lukács e Bachtin, realizza con
la sua opera una totalità vivente che lega le
molteplicità compositive ispirandosi a concetti romantici; l’umorista e l’arguto di
Jean Paul, dal canto loro, conservano qualcosa della genialità romantica in quanto
con il loro acume, con la loro intelligenza e
con la loro “profondità di pensiero” esprimono la “nostalgia” dell’infinito e la possibilità di edificare un’ “armonia prestabilita” che possa realizzare l’agognato abbraccio tra finito ed infinito. M.Mi.
Bolzano
e la tradizione semantica
L’interesse sempre maggiore che nel
campo degli studi filosofici si va manifestando per quella che è stata definita “tradizione semantica” ha condotto ad un progressivo aumento dell’attenzione per la figura e l’opera di
Bernhard Bolzano. In Francia, una ricostruzione finalmente organica e sistematica della riflessione di Bolzano
ci è offerta oggi dallo studio di Jan
Sebestik, LOGIQUE ET MATHÉMATIQUE CHEZ
B. BOLZANO (Logica e matematica in B.
Bolzano, Vrin, Parigi 1993), un lavoro
critico di ampio respiro, che costituisce uno strumento indispensabile per
coloro che si dedicano in modo specialistico allo studio del pensiero di
questo filosofo.
28
Con Logique et mathématique chez B.
Bolzano, Jan Sebestik, saggista francese
di origine cecoslovacca, porta a compimento il frutto di una pluridecennale ricerca sulla filosofia dell’Europa centrale, realizzando al contempo un’accurata ricostruzione di quel nucleo teoretico della
riflessione di Bernhard Bolzano che è
dato dalla teoria della scienza e dalla riflessione logica che la sostiene. Troppo
spesso ricordato solo per i Paradoxen des
Unendlichen (Paradossi dell’infinito,
1851) o, nei migliori casi, per la Wissenschaftslehre (Dottrina della scienza, 1837),
Bolzano viene restituito da Sebestik alla
complessità della sua opera. E sebbene
l’oggetto proprio dello studio di Sebestik
sia limitato al pensiero logico e matematico di Bolzano, questi due aspetti vengono
tuttavia affrontati in stretta connessione
con l’insieme del pensiero bolzaniano, al
fine di mostrare come l’intera opera di
questo filosofo si nutra della riflessione
logica, indicata qui come pièce maîtresse
all’interno di una visione strettamente unitaria e sistematica del sapere.
In particolare, Sebestik perviene nel suo
studio ad una soddisfacente e assai chiara
delucidazione di quel vero e proprio nodo
teorico della filosofia bolzaniana che è il
concetto di proposizione in sé. In stretta
relazione con la nozione di rappresentazione in sé, vengono infatti affrontate da
Sebestik le differenti questioni legate alla
logica della variazione e all’impostazione
insiemistica che la caratterizza. Sottolineando la radicale novità e le enormi possibilità che questa concezione aprì alla logica successiva, ma anche i limiti e i punti
contraddittori presenti ancora nella trattazione bolzaniana, Sebestik ne mette in
luce gli stretti legami con la riflessione
matematica di Bolzano, che costituisce il
vero e proprio supporto di tale logica. La
logica bolzaniana viene presentata non già
come un blocco a sé stante, separato dal
resto dell’opera dell’autore, ma piuttosto
nelle sue relazioni costitutive con l’insieme del pensiero matematico di Bolzano.
Quest’ultimo viene d’altra parte analizzato
minuziosamente, mettendo in evidenza il
processo di aritmetizzazione dell’analisi,
avviato da Bolzano, l’importanza della
nozione di oggetto spaziale per gli sviluppi
della successiva geometria topologica, il
lavoro sui numeri reali, sulle funzioni reali
e sulla definizione del concetto di infinito
attuale. In tal modo Sebestik riesce finalmente a mettere in luce come la riflessione
logica bolzaniana sia strettamente legata al
suo pensiero matematico e alle profonde
innovazioni che egli vi introduce. La “logica della variazione”, vera e propria chiave
di volta del pensiero logico nel XIX secolo,
viene infatti presentata come il nuovissimo
risultato di un approccio di tipo insiemista,
che si rivelerà fecondissimo di sviluppi
tanto per l’analisi quanto per la logica formale nella seconda metà del secolo.
Ed è proprio nella ricchezza della dimen-
AUTORI E IDEE
sione storica in cui Bolzano viene collocato, che consiste l’altro grande merito del
lavoro di Sebestik. Allievo di Suzanne
Bachelard e di Georges Canguilhelm, Sebestik eredita infatti l’esperienza epistemologica della tradizione della philosophie
des sciences, che tanta importanza ha rivestito nella filosofia francese del ‘900. È
allora in particolare a J. Cavaillès che
occorre far risalire il primo suggerimento,
in ambito di cultura francese, per un preciso inquadramento storico della figura di
Bolzano, e in particolare per un suo collegamento con la tradizione logica del ‘700
di origine leibniziana, espressa in particolare da Lambert. Ricevendo in pieno questo suggerimento di Cavaillès, Sebestik lo
sviluppa, mettendone in evidenza sia i
legami con i predecessori, da Lambert a
Kästner a Leibniz, quanto la scarsa ricezione, se non il rifiuto, che il filosofo
praghese ebbe nei confronti del kantismo.
Assai sviluppata appare altresì la ricostruzione del confronto critico e intellettuale
con i filosofi e matematici suoi contemporanei, da Gauss a Cauchy a Galois all’herbartiano Exner, in ciò contribuendo in
maniera decisiva a correggerne l’ormai
vieta immagine di Bolzano come pensatore isolato. Di fatto Sebestik si spinge assai
più in là, mettendone in luce l’enorme
influenza sui successivi sviluppi della filosofia austriaca e mitteleuropea.
Sebbene la maggior parte degli scritti bolzaniani sia rimasta, per varie ragioni, inedita, Sebestik fa notare opportunamente
come l’opera di molti suoi allievi, e di
Zimmermann in particolare, abbia contribuito a diffonderne, spesso in forma manualistica e senza diretto riferimento all’autore, le idee e le principali intuizioni.
Bolzano viene così a rappresentare, insieme a Brentano, uno dei due poli di cui si
nutrirà l’intero pensiero austriaco successivo. Weierstrass, Cantor, Dedekind, e
d’altra parte Husserl, Meinong, Twardowski gli saranno debitori, e la riscoperta
del suo pensiero, agli albori del nostro
secolo, non sarà che il riconoscimento di
Bolzano come autore di idee che non avevano mai cessato di circolare. La riflessione logica di Bolzano, le sue ricerche matematiche, la sua Wissenschaftslehre vengono in tal modo collocate all’origine di
quella riflessione filosofica, centrale per la
comprensione del nostro secolo, che Alberto Coffa ha voluto chiamare “tradizione semantica”.
A capo di un gruppo di ricerca sulla filosofia del linguaggio che fa capo al C.N.R.S.
e all’Institut d’Histoire des Sciences di
Parigi, Sebestik rappresenta l’esponente
più autorevole di un nutrito gruppo di
ricercatori che da anni dirige le proprie
indagini verso lo studio e la promozione di
quella tradizione che da Bolzano giunge
sino ai Circoli di Vienna e Berlino e al
pensiero di Ludwig Wittgenstein. A quest’équipe, cui fanno capo giovani come A.
Soulez, Christiane Chauviré, J.-P. Comet-
ti e F. Schmitz, va ascritto il merito di aver
contribuito in maniera decisiva alla ripresa in Francia del dibattito su tale tradizione
di pensiero, attraverso un’intensa attività
tanto di insegnamento quanto di traduzione e di discussione. La feconda collaborazione con Centri quali il Collège International de Philosophie o il “Wiener KreisInstitut” di Vienna ha del resto contribuito
allo svolgimento di un gran numero di
incontri, colloqui e giornate di studio, dedicati in particolare al neopositivismo logico e al pensiero di Wittgenstein, che
hanno in larga misura contribuito negli
ultimi anni alla diffusione di questi autori
in Francia. L.S.
Il male nella storia
secondo Kant
Con il titolo IL PENSIERO POLITICO DI KANT
(Laterza, Roma-Bari 1994) vengono
raccolti, a cura di Giuseppe Bedeschi,
gli scritti politici di Kant, in cui viene
affrontato il problema del contrattualismo e della filosofia della storia. In
relazione a queste tematiche, è da
segnalare lo studio di Bruno Accarino, INGIUSTIZIA E STORIA (Editori Riuniti,
Roma 1994), che analizza il rapporto
tra storia e senso nel pensiero di Immanuel Kant e di Max Weber.
Preceduti da un’ampia introduzione del
curatore, i saggi politici di Kant qui raccolti da Giuseppe Bedeschi affrontano il
tema della natura antropologica, della genesi e del fine del diritto e della filosofia
della storia. Costante in Kant è il richiamo
alla “insocievole socievolezza” dell’uomo che, spinto da motivazioni individualistiche che si concretizzano in accese competizioni, sceglie di riunirsi in società proprio per salvaguardare i propri interessi. Il
diritto positivo, ricorda Kant, nasce per
salvaguardare la libertà di ogni individuo
che, nello stato civile, deve necessariamente limitare la propria libertà. In caso di
autoritarismo, ricorda Kant, l’individuo
deve comunque sottostare all’autorità politica, avendo a disposizione come arma
esclusivamente la libertà della penna.
Nonostante la natura competitiva e, in
fondo, egoista dell’uomo, la storia si dirige, secondo Kant, verso un progresso sempre migliore: il passaggio dalla barbarie
iniziale alla civiltà moderna segna, infatti,
un miglioramento che rivela il telos insito
nella storia. Da questo punto di vista, Kant
pone come fine del progresso l’ideale cosmopolita, che dovrà unificare un giorno
la totalità degli stati esistenti. L’ideale
della “pace perpetua” tra i popoli, infatti,
potrà essere attuato solo da una federazione di stati che, retti da rapporti economici
e politici, si pongono in una condizione,
perpetua, di non ostilità. Kant insiste più
29
volte sulla necessità di una federazione
che, agendo sul piano etico, costituisce
l’unica possibilità di arginare la natura
egoista e malvagia dell’uomo. In questo,
sottolinea Bedeschi nell’introduzione al
volume, Kant si differenzierebbe da
Rousseau, per il quale la natura buona
dell’uomo sarebbe sufficiente a fondare il
diritto. Per Kant, al contrario, la necessità
dell’imperativo categorico è tale, in primo
luogo come condizione della moralità e, in
secondo luogo, come fondamento del diritto, considerato come l’unica possibilità
in grado di vincere sul male antropologico.
Ma se per Kant il progresso si pone come
realizzazione infinita a causa della natura
malvagia dell’uomo, questa visione della
storia, osserva Bruno Accarino nel suo
Ingiustizia e storia, si scontra necessariamente con la possibilità della Teodicea,
che giustifica l’esistenza del male all’interno del progetto divino e che, tuttavia,
Kant rifiuta. Infatti, la scelta della contingenza al posto della necessità porta Kant,
da una parte, ad una concezione disteleologica della storia, ovvero di una storia in
cui l’affaccendarsi dell’uomo e il continuo
balenare di scopi diversi interferiscono
con la donazione di senso e con il realizzarsi del progetto, dall’altra lo allontana
da una filosofia che legittimi in modo
metafisico l’esistenza del male. In altre
parole, spiega Accarino, data la contingenza e casualità in cui vive l’uomo, non
esiste di fatto una filosofia della storia, ma
solo la possibilità, da parte dell’individuo,
di ricevere quella grazia che, di volta in
volta, dia senso agli eventi. Poiché il male,
di fatto, appartiene agli eventi del mondo,
l’uomo può solo rassegnarsi a questa mancanza di senso, strutturale alla storia, e
disporsi ad accogliere un senso nei fatti
contingenti.
Diversa è invece la concezione della storia
in Max Weber, che cerca nel potere politico della borghesia una giustificazione etica. Il calvinismo, infatti, legittima l’ascesa
della classe borghese, giustificata in tutte le
sue azioni da una premessa etico religiosa.
Tuttavia, anche in questo caso, fa notare
Accarino, la giustificazione non riesce, in
quanto a fianco della gestione del potere si
presenta sempre e comunque l’ingiustizia
che, anche se mascherata, nasconde la presenza del male nella storia. A.S.
TENDENZE E DIBATTITI
Voltaire
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TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Voltaire
Novità editoriali, ripubblicazioni,
convegni e mostre: a trecento anni
dalla nascita, Parigi e la Francia festeggiano in Voltaire l’uomo, l’intellettuale e il politico che dell’ ‘ésprit’
francese, «leggero e acuminato» come egli stesso ebbe a dire - è forse
il simbolo più compiuto. Tra gli eventi più significativi di questa ricorrenza si segnala innanzitutto VOLTAIRE
ET SON TEMPS (Voltaire e la sua epoca,
a cura di R. Pomeau, Voltaire Foundation, Oxford 1994), vero e proprio
monumento editoriale. Fanno seguito i due volumi del DICTIONNAIRE PHILOSOPHIQUE (Dizionario filosofico, a cura
di C. Mervaud, Universitas, Parigi
1994) e il ritratto storico elaborato
da Pierre Lepape sullo sfondo in
movimento dell’epoca dei Lumi: VOLTAIRE LE CONQUERANT . NAISSANCE DES
INTELLECTUELS AU SIÈCLE DES LUMIÈRES
(Voltaire il conquistatore. La nascita degli intellettuali nel secolo dei
Lumi, Seuil, Parigi 1994). Agli eventi
francesi fa eco in Italia la pubblicazione, con il titolo: IL GIARDINO DEI DUBBI
(Laterza, Bari-Roma 1994), di un’ “autobiografia apocrifa” di Voltaire, ad
opera di Fernando Savater.
I cinque volumi curati da René Pomeau,
ricalcano in 1500 pagine la vicenda umana e intellettuale di François-Marie
Arouet, in arte Voltaire. Con la pubblicazione di questo settantaduesimo titolo
dell’opera completa, l’impresa della
Voltaire Foundation è solo a metà del
suo cammino; l’insieme arriverà a contare 150 titoli, a dire la vastità degli
interessi di Voltaire, intelligenza onnivora, ma tutt’altro che enciclopedica, se
si provano a rileggere i due volumi del
Dictionnaire philosophique (Dizionario
filosofico, Universitas, Parigi 1994), ora
ripubblicati a cura di Christiane Mervaud, che costituiscono una sintesi disorganica e brillante del modo “militante” di Voltaire di intendere lo spirito
illuminista.
«Jean-Jacques scrive per scrivere, mentre io scrivo per agire» - ecco un esempio
dello stile di Voltaire; una ragione che si
appaga del proprio libertinaggio intellettuale; una scrittura limpida e spesso
sfrontata, che qualche volta sfiora la
provocazione pamphlettistica e si salva
in virtù dell’onestà dell’obiettivo. Nel
Dictionnaire la cultura filosofica, il sapere teologico e l’arte retorica, unita ad
una ironia vincente, sono gli strumenti
di un’unica strategia di lotta contro i
poteri costituiti del dogma religioso e
dell’assolutismo politico. E’ infatti l’ideale della tolleranza e della dignità razionale dell’uomo a muovere la battaglia
intellettuale di Voltaire, anche nei suoi
accenti più violentemente polemici.
Di questo intellettuale paradigmatico dell’Illuminismo, della sua capacità di utilizzare i più diversi saperi e i generi di
scrittura più svariati come la saggistica,
il racconto morale, il libello, il memoriale o l’articolo di giornale, Pierre Lepape disegna un ritratto vivace sullo sfondo in movimento dell’epoca dei Lumi.
Triplice è l’obiettivo della critica al potere politico e religioso che Voltaire persegue insieme a quei letterati, filosofi e
scienziati, che proprio a partire dal XVIII secolo prenderanno il nome di intellettuali: la libertà, intesa come autonomia critica; la separazione dei poteri,
che in sede politica sottolinea la raggiunta maturazione dell’ideologia borghese; e infine il richiamo alla storia
come negazione del diritto divino e assolutistico, che vengono sottoposti al
vaglio del pensiero razionale. La nuova
classe intellettuale afferma così il “contropotere riformista” dello studium, che
si affianca, con funzione critica e orientativa, ai tradizionali poteri politico e
religioso, il regnum e il sacerdotium.
La leva pratica dell’azione di Voltaire e
degli intellettuali illuministi è il ricorso
all’opinione pubblica, identificata in quel
pubblico parigino che, proprio nel XVIII secolo sta acquisendo consapevolezza
della sua forza e del suo compito storico.
Nella battaglia politica che si viene svolgendo, il ruolo di Voltaire, virtuoso
dell’opinion publique, è quello di affinare, più che fornire gli strumenti di
pensiero, presi in prestito dalla filosofia
inglese: si tratta di rappresentare in sé un
31
modello di sapere che è insieme lotta per
la verità e impegno politico-morale.
In un’ “autobiografia apocrifa” del filosofo, scritta da Fernando Savater nella
forma del romanzo epistolare, incontriamo Voltaire nella sua residenza di Ferney, vecchio e maltrattato dagli anni, ma
ancora attivissimo nel corrispondere con
gli ingegni attratti nella sua orbita. Nel
gioco di specchi di questo epistolario
immaginario con la contessa Carolina di
Beau Regard, il risalto maggiore spetta
al personaggio Voltaire, che dissimula,
con misurato pudore, la figura umana di
François-Marie Arouet, figlio illegittimo di un notaio che lo avrebbe voluto
destinare a una oscura carriera avvocatizia. Nel ritratto di Savater, Voltaire è
innanzitutto uno stile, una scrittura in
atto, dove trovano forma e sono condensati i fermenti di un’epoca. Se il vecchio
saggio di Ferney si decide alla fine ad
adottare la morale del Candide, ritirandosi a coltivare il suo orticello, occorre
dire che il lotto di interessi da lui coltivato era almeno a dimensione europea.
Dell’ampiezza dell’attività di Voltaire
ci offre una significativa testimonianza
la mostra: “Voltaire et l’Europe”, che si
tiene a Parigi all’Hôtel de la Monnaie,
sotto l’egida della Bibliothèque Nationale de France. Il catalogo della mostra
raccoglie i contributi di numerosi specialisti e una ricca documentazione iconografica. Si affianca a quest’opera l’album di Guy Chaussinand-Nogaret:
Voltaire et le Siècle des Lumières
(Voltaire e il Secolo dei Lumi, Ed. Complexe, Parigi 1994) che, in trecento illustrazioni accompagnate da saggi didascalici, disegna il mosaico del secolo di
Voltaire. Di intenti antologici, pur fedeli, nell’impianto, al talento discontinuo
e variegato di Voltaire, sono invece, rispettivamente, i volumi di André Versaille, Dictionnaire de la pensée de Voltaire
(Dizionario del pensiero di Voltaire, Ed.
Complexe, Parigi 1994), e Les pages les
plus célèbres de Voltaire, a cura di Nicole
Masson (Le pagine più famose di Voltaire,
Ed. Masson, Parigi 1994). E.N.
TENDENZE E DIBATTITI
Filosofia politica
La discussione sui temi maggiori della politica: lo stato, la nazione, la democrazia, si alimenta oggi in Francia
di una produzione editoriale che accoglie e riaggiorna i termini di un
dibattito che, in buona misura, è di
dominio pubblico. E’ il caso di quattro
recenti pubblicazioni di studiose francesi di filosofia politica: LA POLITIQUE DE
LA RAISON (La politica della ragione,
Payot, Parigi 1994) e PROPOS SUR LA
DÉMOCRATIE (Opinioni sulla democrazia, Descartes et C.ie, Parigi1994),
entrambi di Blandine Kriegel; LA POLITIQUE ET SES ENJEUX. POUR UNE DÉMOCRATIE PLURIELLE (La posta della politica.
Per una democrazia plurale, La Découverte/Mauss, Parigi 1994), di Chantal Mouffe; LA COMMUNAUTÉ DES CITOYENS.
SUR L’ IDÉE MODERNE DE NATION (La comunità dei cittadini. L’idea moderna di
nazione, Gallimard, Parigi 1994), di
Dominique Schnapper. Accanto a
questi studi si segnala l’ultimo lavoro
di Pierre Bourdieu, RAISONS PRATIQUES
(Ragioni pratiche, Seuil, Parigi 1994),
che raccoglie le conferenze e i corsi
tenuti dallo studioso tra gli anni 19861984 sul tema dello stato.
Con il suo studio, La communauté des
citoyens, Dominque Schnapper ci offre
un chiaro contributo alla ridefinizione del
concetto di nazione, proprio in un momento in cui esso sembra usurpato da rivendicazioni di tipo etnico. Per Schnapper, la
confusione attorno ai termini di etnia e di
nazione è da rintracciarsi nella diversità
dei progetti politici che hanno sotteso alla
formazione degli stati nazionali: il concetto “elettivo”, di stampo francese, contro
quello “etnico”, di tipo tedesco. L’idea
moderna di nazione sarebbe così la risultante di un percorso storico e ideale, che
coniuga adesione politica e appartenenza
etnico-culturale. Mentre la determinazione etnica viene vissuta come una condizione naturale, osserva Schnapper, la nazione
è un «progetto politico» che afferma l’uguaglianza formale dei cittadini e mira a trascendere le differenze etniche e culturali:
«Il cittadino si caratterizza precisamente
per la sua propensione a superare le determinazioni che lo confinerebbero nel cerchio di una cultura e di un destino impostogli dalla nascita». Sotto questo riguardo il
termine di nazione spetta unicamente alle
società democratiche, le sole che hanno
saputo opporre la libertà individuale all’identificazione di tipo etnico e che pertanto hanno istituzionalizzato lo spazio
del confronto politico. La vicenda del concetto di nazione, fa notare Schnapper, rimane soggetta a una tensione dialettica tra
il carattere razionale e astratto della forma
nazione e il valore più originario dell’identità etnica. Da qui l’esigenza di sviluppare
il sentimento di appartenenza ad una na-
zione attraverso “mitologie” nazionali, con
il rischio di una trasformazione del sentimento di nazione in nazionalismo e il
conseguente ricorso alla guerra come fattore di integrazione nazionale.
Di ordine più attuale sono le minacce di
una risoluzione del concetto di cittadinanza in quello di comunità etnica o - in
riferimento al processo di costituzione
dell’Unione Europea - di una radicalizzazione sciovinista dell’identità nazionale,
in risposta all’«integrazione obiettiva» del
mercato economico. A giudizio di Schnapper, che intreccia i fili delle analisi di
Durkheim, di Mauss e della sociologia
anglosassone, lo stato della riflessione sui
fondamenti dell’idea di nazione è carente;
ciò vale anche per Max Weber che, privilegiando «l’organizzazione del potere politico», risolve nell’unità politica dello
Stato l’idea di nazione, mentre è la libera
società politica che dà forma e legittimità
allo Stato.
La tesi secondo cui non è il momento
istituzionale e normativo, che fa capo allo
Stato, a definire l’idea moderna di nazione, ma il progetto politico che ha il consenso dei cittadini, è ulteriormente sviluppata
da Blandine Kriegel, che analizza le difficoltà incontrate dal modello di democrazia di fronte al risorgere di concezioni
populistiche o autoritarie di nazione. Concezioni che, in diversa maniera, si rifanno
a un’idea di “stato imperiale” che afferma
la primazia del potere sul diritto. I teorici
con cui Kriegel si misura in confronto
critico, sono Carl Schmitt e di Ernst
Kantorwicz, secondo i quali lo stato moderno trae la sua legittimità dall’imperium
del principe. Si tratta di una riattualizzazione della filosofia politica di Bodin e dei
teorici dell’assolutismo. Dal punto di vista
storico, fa notare Kriegel, si dovrebbero
distinguere due tipi di Stato: quelli usciti
dal Sacro Romano Impero, che accolgono
l’autorità del diritto romano, e quelli originati dal crollo delle monarchie dell’Ancien Régime, fautori di una legislazione
improntata ai diritti dell’uomo e al concetto di cittadinanza. Sono questi ultimi, secondo Kriegel, a costituire quel modello
politico e culturale che si può, a buon
diritto, chiamare democratico e che, con
l’«istituzionalizzazione dei diritti dell’uomo», trapassa in autentico stato di diritto,
ovvero in Repubblica. E’ la proposta di un
rinnovato giusnaturalismo, fondato sull’«antropologia della natura umana, sull’uguaglianza degli uomini e sul rapporto
necessario che li unisce quando è conforme alla ragione».
A conclusioni affatto diverse giunge lo
studio di Chantal Mouffe, che ritiene necessario misurarsi con gli oppositori più
tenaci dell’idea democratica di nazione: i
teorici della conservazione. Se il limite di
Schmitt, osserva Mouffe, è di avere pensato la politica nei termini di una teologia
secolarizzata, negandosi la possibilità di
vedere nella rivoluzione democratica «una
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forma di legittimità fino allora sconosciuta», è nondimeno vero che egli ha il merito
di avere evidenziato il carattere conflittuale della vita sociale, che le democrazie
liberali tendono a confinare nella sfera
privata per assicurare il consenso nella
sfera pubblica. Nello stato di diritto deve
trovare spazio la lotta per il potere, che del
politico costituisce l’energia sostanziale.
Secondo Mouffe, il ricorso alla «libera
ragione comune» che, nel nome di un
ecumenismo irragiungibile e indesiderabile, nega la diversità e il conflitto dei
valori e delle culture, avrebbe il carattere
di una irreale petizione di principio.
Nella sua critica al “pensiero dello stato”
o, per meglio dire, al pensiero statalizzato,
Pierre Bourdieu si rifà esplicitamente al
cartesiano “dubbio iperbolico” e alla lezione di Foucault, secondo cui: «le autentiche rivoluzioni simboliche sono quelle
che offendono il conformismo logico, più
ancora di quello morale». La critica verte
dunque su quelle evidenze percepite dai
cittadini come verità naturali, sulle quali
riposa il consenso verso la struttura, simbolica e istituzionale, dello Stato. Si tratta,
per Bourdieu, di rilevare come «le strutture cognitive non sono le forme della coscienza, ma delle disposizioni del corpo, e
l’obbedienza che accordiamo alle ingiunzioni dello Stato non è comprensibile, né
come sottomissione meccanica ad una forza, né come consenso consapevole a un
ordine (...) ». E.N.
Fenomenologia, ermeneutica,
teologia
In un’opera recente, IL MOVIMENTO FENOMENOLOGICO (trad. it. di C. Sinigaglia, Laterza, Roma-Bari 1994), Hans
Georg Gadamer affronta il rapporto
che intercorre tra ermeneutica del linguaggio, riferita alla sua stessa concezione e a quella di Wittgenstein, e la
fenomenologia di Husserl e
Heidegger. Esempio di trattazione fenomenologica da parte di Martin
Heidegger è lo scritto, ora disponibile
in traduzione italiana, FENOMENOLOGIA
E TEOLOGIA (a cura di N. M. de Feo, La
Nuova Italia, Firenze 1994), che riporta il testo di una conferenza in cui
Heidegger affronta l’interrogazione
ontologica nell’ambito della teologia.
In questo suo recente lavoro, Hans Georg
Gadamer intende analizzare il debito teoretico che l’ermeneutica del linguaggio,
elaborata da lui stesso e da Wittgenstein,
ha ereditato dalla fenomenologia di Husserl
e dall’ontologia di Heidegger. Prendendo
le mosse dalla filosofia di Husserl,
Gadamer ricorda che la ricerca delle “cose
stesse” è stato un tentativo di eludere qualsiasi pregiudiziale, messa sotto epochè,
TENDENZE E DIBATTITI
affinché potesse essere colto il cuore del
fenomeno. La fenomenologia come scienza rigorosa ha tuttavia cominciato a vacillare, osserva Gadamer, quando l’obiettivismo, considerato sino ad allora il criterio
universale e assoluto per cogliere la realtà,
è entrato in crisi. Ne La crisi delle scienze
europee (1954) Husserl mostrava come
l’oggettività costituisca già di per sé un
qualcosa di elaborato e perciò nulla di
originario; da qui la necessità di cogliere
un principio, il cogito, che potesse oltrepassare anche l’oggettività.
Questo, secondo Gadamer, rappresenta
d’altra parte l’obiettivo principale della
filosofia di Heidegger: la ricerca del senso
originario dei fenomeni al di là della loro
cosalità, considerata come una costruzione, tipica della metafisica, e propria del
comprendere. Una volta ammesso il circolo ermeneutico e una volta considerato che
il comprendere non costituisce un’attività
qualsiasi dell’uomo, ma un esistenziale ad
esso originario, Heidegger raggiunge il
senso del fenomeno, che non è più Gegenstand (oggetto), semplice presenza, ma
Sache (cosa), ovvero l’evento che sfugge
ad un’interpretazione cosalizzante e si costituisce come orizzonte originario di senso. Solo così, fa notare Gadamer, Heidegger
riesce a sfuggire al positivismo oggettivante, che viene oltrepassato mediante il
linguaggio in quanto luogo originario in
cui è possibile cogliere la differenza ontologica tra essere ed ente. La fenomenologia husserliana dunque, conclude Gadamer,
realizza se stessa quando diventa ermeneutica del linguaggio, dove il linguaggio
poetico rappresenta l’orizzonte di appartenenza di ogni realtà. L’eredità fenomenologia, allora, si realizza nell’ontologia ermeneutica di Gadamer, dove il linguaggio
diventa il trascendentale del senso, e nel
gioco linguistico di Wittgenstein, dove la
parola amplia la sua funzione puramente
denotativa per diventare costitutiva dei
significati.
Gadamer sottolinea più volte che la fenomenologia husserliana trova il suo compimento nel momento in cui diventa ricerca
dell’essere, inteso non più come “semplice presenza”, bensì come evento in grado
di svelare i fenomeni. Questo accade durante l’ultima fase del pensiero heideggeriano, che segue alla “svolta” dall’analitica esistenziale di Essere e tempo, con cui
Heidegger muta la direzione e l’oggetto
della propria ricerca.
Lo scritto Fenomenologia e teologia, che
presenta il testo di una conferenza del
1970, anticipa, in qualche modo, le tematiche del secondo Heidegger, nella misura
in cui viene qui ricercato un modo diverso
di cogliere l’essere. L’intreccio tra ontologia e scoperta di Dio si concretizza nella
ricerca dell’essere che realizzi l’evento e
non più la cosa, superata e negata nell’età
del nichilismo. La “morte di Dio”, infatti,
segna la fine di Dio come ente cosalizzato,
ma apre nuovi orizzonti che ne costitui-
scono ulteriori manifestazioni. Heidegger
sottolinea come la teologia, in quanto scienza positiva, sia giunta alla sua conclusione
e come questo evento offra la possibilità di
un nuovo cristianesimo “fenomenologico”,
che colga l’essere di Dio, non più cosalizzato, in quanto accadimento. La teologia,
in tal modo, diventa ontologia, ovvero ricerca dell’essere che, perduta la dimensione di “semplice presenza”, tipica della
metafisica, si accosta a quella dimensione
del sacro, che solo il poeta e un diverso tipo
di linguaggio, quello fenomenologico ed
ermeneutico, possono cogliere. A.S.
Diversi significati di libertà
Una serie di recenti saggi affronta, da
diverse prospettive, il problema di
una definizione dell’essenza della libertà. Se in PATOLOGIA DELLA LIBERTÀ
(Palomar, Bari, 1993), di Günther Anders, la libertà rivela il suo nesso indissolubile con il soggetto umano
nella sua capacità di distacco dal
mondo reale, mostrando tuttavia i
suoi risvolti patologici, nel saggio LA
LIBERTÀ DEI FILOSOFI E LA MELA DI ADAMO
(Edizioni Novecento, Palermo 1993),
di Marisa Ercoleo, essa viene collegata alla facoltà peculiare dell’uomo di
astrazione dal dato sensibile e al suo
essere diverso dall’essere delle cose
materiali in quanto proiettato sempre oltre l’orizzonte mondano. Anche
la raccolta di saggi, L’ETICA E IL SUO
ALTRO (Franco Angeli, Milano 1994), a
cura di Carmelo Vigna, cerca di delineare, attraverso il contributo di vari
autori, la natura della libertà in relazione alla sua rilevanza nell’ambito
dell’etica e al significato che assume
all’interno della società. Infine nel
saggio: LE PASSIONI DEL FINITO (Centro
Editoriale Dehoniano, Bologna 1994),
di Ugo Perone, la libertà viene associata alla realtà temporale e finita dell’uomo, alla sua capacità di edificare
una memoria del passato.
Come dimostra il saggio di Günther Anders, Patologia della libertà, quando si
affronta il problema della libertà è inevitabile il riferimento al soggetto umano. L’uomo, per Anders, si differenzia dall’animale proprio perché è libero e la libertà è
manifestazione della sua capacità di distaccarsi dal mondo naturale per costruirsi
un mondo artificiale. La sua libertà coincide in primo luogo con la facoltà di negare,
con la possibilità di astrarre dalla realtà
fisica, per concepire il nulla. Questo aspetto viene sottolineato anche da Marisa
Ercoleo nel saggio La libertà dei filosofi e
la mela di Adamo, mostrando come Hegel,
nella rilettura e reinterpretazione che ne dà
Kojève, si presenti come colui che ha sco33
perto nella negatività il carattere dialettico
dell’uomo, sbagliando però nell’applicare
questa negatività anche al mondo naturale.
Dal canto suo Sartre, fa notare Ercoleo, ha
definito la coscienza dell’uomo come libertà proprio perché non è ancorata alle
cose materiali, proprio perché è sempre
proiettata oltre e non coincide con se stessa.
Nell’ottica di Sartre, la coscienza, distaccandosi dalla aderenza alla realtà materiale, può scegliere tra molteplici possibilità.
Anche secondo Isabella Adinolfi Bettiolo, nel suo contributo al volume: L’Etica e
il suo altro, la libertà dell’uomo si identifica con la scelta, come già aveva mostrato
Kierkegaard, per il quale, tuttavia, non
tutti gli uomini scelgono responsabilmente
e quindi non tutti gli uomini sono veramente liberi. Libero non è l’esteta, che rimane
legato all’immediatezza del sensibile. L’uomo etico invece sceglie se stesso con responsabilità e consapevolezza all’interno
della famiglia e della società. Ma la scelta
più difficile e più nobile è quella dell’uomo
religioso, che stabilisce un rapporto assoluto con Dio attraverso il distacco dal finito. Anche per Bergson, interviene Giuseppe L. Goisis nel medesimo volume, la
libertà è scelta, ma non sempre l’uomo
sceglie; solo in certe occasioni critiche
l’uomo sceglie fino in fondo. Per Bergson,
di fatto, la libertà è connessa al movimento
della coscienza nella sua capacità di superare gli ostacoli posti dalla natura.
Che il carattere della libertà sia da ricercarsi nel distacco dalla natura, dalla realtà
sensibile, è opinione anche di Italo Sciuto, che nel volume L’Etica e il suo altro
analizza le caratteristiche dell’etica del
distacco in Meister Eckhart, che si oppone all’etica scolastica basata sul desiderio.
Mentre il desiderio è desiderio di qualcosa, il distacco ha come oggetto il nulla. Ma
il potere sul nulla e sull’essere, il potere di
trarre l’essere dal nulla e quindi di creare,
è proprio di Dio e in questa sua attività Dio
è libero, libero di scegliere e di creare,
come fa notare Vittorio Possenti nel suo
contributo al medesimo volume. In particolare, Possenti sottolinea come nella prospettiva di Luigi Pareyson la libertà di
scelta sia una peculiarità divina. Ma attribuire una libertà come facoltà di scelta a
Dio, osserva Possenti, significa limitare la
sua potenza, poiché la vittoria sul male è
frutto di una dura conquista e questo confermerebbe che il male ha qualche potere
su Dio. Ugualmente in Jonas, Dio perde,
secondo Possenti, l’onnipotenza per poter
conquistare la bontà. Per Jonas, quindi,
Dio non può essere responsabile del male;
ha subito il male, non lo ha voluto. In
entrambe queste rappresentazioni, osserva Possenti, Dio sembra perdere i propri
connotati tradizionali per acquisire caratteristiche umane. Per essere veramente
libero, fa notare Possenti, Dio non dovrebbe essere solo libertà, ma sintesi di necessità e libertà. La libertà di Dio è diversa da
quella umana; l’uomo è l’essere possibile,
TENDENZE E DIBATTITI
Dio l’essere necessario; l’uomo è finito,
Dio è infinito.
Che nella finitezza dell’uomo si esprima la
sua libertà, è ciò che mostra Ugo Perone
nel suo saggio: Le passioni del finito. Qui
l’infinito riceve significato dal finito, non
perdendosi in una cattiva infinità. In tale
prospettiva, il finito assume un significato
positivo come segno della vita umana, che
non è finita, in quanto interrotta dalla morte, ma è mortale in quanto vita. L’uomo è
libero, osserva allora Perone, anche perché può stabilire un proprio nesso tra passato, presente e futuro, al quale attribuire
un senso. In questo, sottolinea Perone,
bisogna distinguere tra caotico ricordo e
consapevole memoria che, scegliendo tra i
ricordi e organizzandoli in direzione di un
senso, manifesta la libertà dell’uomo di
costruire la sua storia con il suo irripetibile
significato.
Il legame tra temporalità e libertà è preso
in considerazione anche da Marisa Ercoleo in riferimento alle concezioni di Hegel
e di Sartre. Per Hegel, infatti, l’essere è
temporale in quanto storico e ciò evidenzia la sua libertà. D’altro canto, in Sartre,
la coscienza umana è temporale in quanto
è apertura verso il futuro come consapevole progettualità. A questo proposito interviene anche Günther Anders, facendo
notare che l’uomo storico identifica, costruisce il proprio io, definendosi rispetto
al mondo sociale, ritagliandosi un proprio
spazio all’interno della società. Nella costituzione della propria identità, l’uomo
rivela, per Anders, la propria estraneità al
mondo. Tuttavia, ribadisce Ercoleo, la realtà specifica dell’uomo che definisce la
sua diversità da tutti gli esseri, che lo
costituisce nella sua identità e che rivela la
sua eticità è l’essere con altri.
La libertà dell’uomo nel suo “essere con
altri” è un problema che è stato affrontato
da molti filosofi, da Heidegger, Husserl,
Sartre, e in primo luogo da Hegel che,
secondo Kojève, mostra come la coscienza, per conquistare la dignità del proprio
esistere come libertà, abbia bisogno del
riconoscimento da parte di un’altra coscienza. Questo aspetto è uno dei temi
portanti del volume collettaneo L’Etica e il
suo altro. Nel suo contributo, Lucio Cortella sostiene la necessità di instaurare una
“razionalità pratica dialogica”, che consenta di sviluppare il paradigma intersoggettivo, superando il modello del consenso
a favore di quello del confronto, per potere
fondare un’etica che eviti la separazione tra
la teoria e l’applicazione pratica. Su questo
interviene Carmelo Vigna, secondo il
quale l’etica, per essere tale, non deve mai
perdere di vista il suo rapporto con la verità
altrimenti rischia di rimanere nella sfera
del contingente, del finito o addirittura del
caos. Analizzando il rapporto tra linguaggio e politica, Rüdiger Bubner indica invece la necessità che la politica si saldi con
l’etica, essendo il suo obiettivo quello di
stabilire una “forma strutturale dell’agire
collettivo”. Una prospettiva, questa, a cui
si sente vicino anche Paul Ricoeur, mostrando il primato di un’etica di tipo aristotelico sulla morale dell’imperativo categorico di ispirazione kantiana.
Infine, un deciso richiamo a Spinoza come
teorico di un’etica fondata sulla concezione religiosa, è ciò che caratterizza il contributo di Jean-Luc-Marion, che in tal modo
riporta il problema della libertà umana in
ambito religioso. Su questo tema interviene anche Marisa Ercoleo, mostrando come
nella concezione ebraico-cristiana l’uomo
venga concepito come libero in quanto
lavora e trasforma il mondo. Inoltre l’uomo è libero perché è capace di compiere il
male. La colpa del male, osserva Ercoleo, è dunque da attribuire solo all’uomo, che tuttavia è anche capace di conversione e può quindi redimersi, salvarsi. Così la libertà per l’uomo mostra il
suo duplice aspetto di condanna e di
salvezza. Come mostra Sartre, la libertà
fa in modo che l’uomo aspiri ad essere
Dio, senza poterlo mai essere. Sotto questo profilo, per l’uomo la libertà è una
condanna che lo nobilita. M.Mi.
Esistenzialismo politico
Sotto il concetto di “esistenzialismo
politico” Heiner Bielefeldt raccoglie
tre grandi autori del Novecento tedesco, profondamente diversi l’uno
dall’altro, mettendoli a confronto nel
suo recente studio: “ KAMPF UND ENTSCHEIDUNG ”. POLITISCHER EXISTENZIALI SMUS BEI CARL SCHMITT, HELMUTH PLESSNER UND KARL JASPERS (“Lotta e decisione”. L’esistenzialismo politico di
Carl Schmitt, Helmuth Plessner e
Karl Jaspers, Königshausen & Neumann, Würzbug 1994). L’accostamento proposto da Bielefeldt ha il
senso di voler ricollegare i fili sotterranei che attraversano il pensiero
filosofico tedesco di questo secolo,
anche prendendo come riferimento
pensatori che si sono rivolti a interessi del tutto differenti o che, nello
stesso ambito di riflessione, hanno
preso posizioni antagoniste.
Era già capitato in uno studio risalente
agli anni cinquanta di Christan von
Krockov, che il decisionismo politico di
Carl Schmitt venisse accostato al decisionismo filosofico di Heidegger e a
quello esistenziale di Jünger. Spunti di
confronto in questa direzione venivano,
d’altronde, da alcune critiche che su
questo tema Karl Löwith aveva già cominciato a svolgere a partire dagli anni
’30. Ciò che invece accomuna i tre autori
presi in considerazione da Heiner
Bielefeldt in questo suo studio è il fatto
che tutti e tre questi autori avvertono la
34
fine delle categorie politiche liberali,
del modo in cui queste, singolarmente e
nel loro rapporto reciproco, hanno pensato e modellato la società e lo Stato.
Con l’avvento della moderna società di
massa, il politico viene sempre più caricandosi di istanze totalizzanti, fino a
divenire il punto di tensione più alto di
cui possa farsi carico la dinamica sociale
e la stessa prospettiva di realizzazione
degli individui. Il politico, osserva
Bielefeldt, non diventa solo «il grado di
intensità dei contrasti in cui è in gioco
l’integrità della vita comune» ma viene
riconfigurato secondo una prospettiva di
attese salvifiche, divenendo il campo
delle decisioni ultime, a cui ci si vota in
virtù di una scelta che non può essere
argomentativamente fondata, ma attiene
all’ambito dell’esistenziale e non può
essere dedotta dalle pratiche discorsive
razionali.
A partire da questi presupposti, Schmitt
considera il campo politico come una
totalità che si definisce in virtù della sua
contrapposizione rispetto a ciò che sta al
di fuori di essa e che essa non può integrare: l’antagonismo amico-nemico è
appunto ciò che dà spessore politico a
qualsiasi forma di controversia sociale o
ideologica. In Schmitt, dunque, il politico vive di un’alterità, che è essenziale
alla sua definizione. Contro questa visione, pur restando all’interno di uno
stesso ambito problematico e in fondo di
una medesima visione delle motivazioni
individuali che portano alla scelta politica e che si raccolgono in un comune
tratto esistenzialistico, Plessner e
Jaspers cercano di delineare invece, al
posto di una politica della separazione e
dell’esclusione, una politica dell’integrazione e dell’inclusione, in cui ciò che
è Altro non costituisce il presupposto
attraverso cui il politico giunge ad aggregarsi, ma ciò con cui bisogna riconciliarsi. Politico, insomma, è per Jaspers
ciò che soprattutto si determina attraverso la dinamica del riconoscimento dell’altro da sé. La libertà politica diviene
allora ciò per cui, a partire da un rapporto di estraneità e di contrapposizione,
anzi di lotta, si giunge all’accettazione
reciproca in un rapporto che alla fine
diviene di solidarietà. Se in Schmitt il
politico è contrapposizione tra amico e
nemico, qui diventa strategia comunicativa di reciproco avvicinamento. Jaspers
sapeva bene, per via, in particolare, della
sua conoscenza dei meccanismi della
psicologia individuale, come la formazione di identità abbia a che fare più con
un processo di mutuo riconoscimento tra
i soggetti in gioco, che non con quello di
un mutuo rifiuto, che lasci aperta una
insanabile contrapposizione. G.B.
TENDENZE E DIBATTITI
Posidonia (Paestum). Tempio di Era I, detto la "Basilica"
Lo spazio del pensiero
Spazio vissuto e spazio pensato: ciò
che si offre al pensiero, per permettergli di conoscere il reale, è anche ciò
che al pensiero resiste, in quanto altro da esso. Con questo enigma si
sono cimentati in vario modo gli autori del testo collettaneo, curato da
Renaud Barbaras, L’ESPACE LUI MÊME
(Lo spazio stesso, Jèrome Millon, Grenoble 1994).
Fin dall’antichità lo spazio ha suscitato
l’interesse di filosofi e scienziati che, esprimendosi su di esso, finivano inevitabilmente per dire la loro sull’intera realtà. Lo
spazio classico, infinito, isotropo, omogeneo, di cui Newton ci fornisce la più compiuta teorizzazione, rappresenta una sorta
di rete che avvolge il reale, anzi è il reale
stesso, in quanto sottoposto all’atto conoscitivo. Questa concezione dello spazio
differisce dall’esperienza di una esteriorità che continuamente sfugge ai nostri tentativi di appropriazione. La difficoltà di
pensare lo spazio sorgerebbe dal fatto
che non si tratta di un oggetto tra gli altri,
ma di ciò che consente di sperimentare
gli oggetti e, in generale, l’altro da sé. A
questo enigma tentano di rispondere i
contributi raccolti nel volume L’espace
lui même.
Interrogandosi sulla nascita di un sapere
geografico e di una pratica cartografica
alla fine del XVI secolo, Jean-Marc Besse, nel suo intervento, attribuisce all’immaginazione un ruolo fondamentale nella
costituzione dello spazio geografico. Quest’ultimo, osserva Besse, non è un’oggettività precostituita, ma appare legato a un
doppio movimento percettivo e rappresentativo: la riduzione in scala della realtà
al modello, con lo scopo di riunire il mondo intero in un piccolo spazio di leggibilità, e contemporaneamente l’amplificazione, che consente di cogliere il grande nel
piccolo, destinando l’immagine al suo orizzonte di realtà. Attraverso la similitudine,
che mette in relazione quantità diverse,
l’immaginazione viene così a costituire lo
spazio delle operazioni geografiche. Per
Besse non c’è differenza di natura ontologica tra mappamondo e globo naturale se
ridurre e ingrandire costituiscono lo stesso
ordine ontologico percorso in due sensi
opposti. Si tratta di una forma “non moderna” di razionalità scientifica. E non solo:
l’intelligenza geografica sa cogliere le cose
nella loro grandezza, nella duplice accezione matematica e morale del termine.
Besse ricorda, a questo proposito, il primo
atlante mondiale dell’epoca moderna, datato 1570, ad opera di Abraham Ortelius,
che riporta una citazione di Cicerone sulla
grandezza d’animo dello stoico: egli sa
valutare la piccolezza delle cose umane in
rapporto alla grandezza del mondo. Diventa esplicita la destinazione etica del
sapere geografico: la conoscenza della
35
natura, allenando lo sguardo a vedere dall’alto il mondo umano aiuta a conquistare
un adeguato punto di vista, la giusta distanza per valutarne la grandezza. «La
geografia è la scuola di prossimità al mondo» - scrive Besse.
All’originalità e ricchezza dell’intuizione
spinoziana dello spazio rispetto al paradigma cartesiano e anche in rapporto ad
alcuni nostri pregiudizi “scientifici” è dedicato il contributo di Charles Ramond.
Adottando un punto di vista quantitativo e
qualitativo insieme, Spinoza concepisce
un’estensione essenziale, indivisibile, eterogenea, produttiva come fondamento di
un’estensione divisibile, omogenea e inerte, rispetto alla quale i movimenti dei corpi
estesi sono solo una traccia. Ramond osserva come l’estensione originaria rimanga priva di un’espressione concettule adeguata, mancando un verbo unico transitivo
che «stia all’estensione come “pensare”
sta al “pensiero”». Spinoza, nota Ramond,
ricorre ad altri verbi, come “agire”, che
però non sono del tutto appropriati. Quest’assenza, questo “verbo mancante”, potrebbe essere, secondo Ramond, l’indizio
di un rifiuto da parte del nostro pensiero di
riconoscere un’attività, una produttività
all’estensione.
Pierre Kerszberg s’interroga invece sul
rapporto tra mondo fisico e mondo naturale, chiamando in causa Heidegger, per il
quale con la fisica atomica, con la concezione corpuscolare della materia, si è con-
TENDENZE E DIBATTITI
sumata la distanza tra la cosa teorica e la
cosa dell’esperienza naturale, che impediva di pensare lo spazio solo in termini
quantitativi. In realtà, osserva Kerszberg,
la scienza moderna, soprattutto nel progetto galileiano, è essenzialmente vicina alla
vita. Il progetto galileiano di matematizzazione della fisica, basato sulla distinzione
tra qualità primarie e secondarie, fa nascere, tuttavia, un’interessante questione: se
il calore, il colore, ritenute da Galileo
qualità secondarie, sono divenute oggi,
grazie allo sviluppo della fisica, qualità
primarie, ossia quantificabili, si può ipotizzare che il destino delle qualità sensibili
sia quello di scomparire? La domanda,
ricorda Kerszberg, era già stata posta esplicitamente da Husserl: come possono concepire le cose, che riempiono lo spazio,
sprovviste di qualità sensibili? Per Kerszberg si tratta allora di non intendere il salto
compiuto dalla natura alla fisica come
passaggio dal non essere all’essere, ma
come una posizione di essere che si affianca ad un’altra, con un ruolo differente.
Nella sua rilettura del IV libro della Fisica
di Aristotele, François Makowski sottolinea l’importanza conferita da questi alla
terza accezione di topos, oltre a quella di
luogo naturale e di luogo comune: luogo
comune in sé, ovvero luogo proprio del
mondo e ultimo limite immobile. Questo
luogo viene presentato da Makowski come
una realtà intermedia, l’ “anello mancante” tra il luogo propriamente detto (“la
giustapposizione di corpi” di cui parlava
Bergson) e lo spazio di tipo newtoniano
(inteso come condizione della giustapposizione e dei movimenti). Questa interpretazione parte dal presupposto che i Greci
non disponessero di un concetto di spazio
come lo intendiamo noi dopo Newton, e
che questa nozione fosse con Aristotele in
corso di elaborazione. Sebbene quello di
Aristotele non si possa definire un approccio fenomenologico, dal momento che considera il luogo “dal di fuori” e non come
qualcosa che si mostra da sé, Makowski è
convinto della fecondità della fisica aristotelica per una fenomenologia del luogo,
quale è sperimentata da Heidegger.
Frédéric Worms analizza la concezione dello spazio in Bergson nelle tre dimensioni, metafisica, trascendentale e
psicologica. Evidenziando i tre fondamentali errori che Bergson attribuisce a
Kant, Worms individua nel filosofo francese il residuo positivistico, l’alternativa tra spazio puro e intuizione della durata. Questo dualismo pare superato nella
prospettiva fenomenologica; proposta da
Jean François Lavigne. Riprendendo la
concezione di Husserl della spazialità
pre-fenomenica, Lavigne coglie lo spazio nella sua origine trascendentale.
Questo approccio fenomenologico alla
questione dello spazio ha inaugurato una
tradizione che, accentuando l’importanza
della corporeità, ha colto il movimento al
cuore della soggettività. E’ la prospettiva
di Jan Patocka, di cui viene proposto, in
questo volume, uno scritto inedito: una
breve puntualizzazione dei meriti della
fenomenologia - il suo studio della corporeità e del movimento ha fatto apparire
astratte le posizioni della metafisica moderna -, ma anche un invito ad abbandonare ogni retaggio cartesiano, come la pretesa di certezza di sé della coscienza riflessiva. Diversamente da Husserl, la finitudine, osserva Patocka, legata alla corporeità
vivente, non può mai essere penetrata dallo sguardo della coscienza. Non un soggetto trascendentale, ma un soggetto incarnato opera le sintesi d’esperienza attraverso,
innanzitutto, la sua facoltà di movimento.
Con la nozione di “movimento soggettivo”, che presuppone la coincidenza del
soggetto e dell’oggetto, della res cogitans e della res estensa, Patocka fa saltare appunto le posizioni della metafisica
tradizionale. Miroslav Petricek, ripercorrendo alcuni testi di Patocka sul movimento, ricostruisce la sua concezione
dello spazio ed evidenzia il ruolo centrale giocato dalla problematica dello spazio in fenomenologia.
Infine, il contributo di Marc Richir descrive, attraverso il fenomeno del disorientamento, in cui si sperimenta lo svanire di ogni riferimento, l’apparire dello
spazio stesso, l’aprirsi di una distanza
originaria. Stanislas Breton invece pone
il problema del rapporto del pensiero
con lo spazio. Questo viene colto attraverso uno “spazio interiore”, descritto
come «il vuoto di una distanza presa»,
definizione che supera ogni dualismo tra
materia e spirito. A.M.
Su Nietzsche
Tra i recenti studi critici su Nietzsche,
di cui ricorre il centocinquantenario
della nascita, segnaliamo, di Furio
Semerari, IL GIOCO DEI LIMITI (Dedalo,
Bari 1993), che analizza il concetto di
limite nella filosofia nietzscheana; di
Dalmazio Rossi, NIETZSCHE: LA VERITÀ
DELL’ARTE (Cedam, Padova 1994) che,
percorrendo l’opera del filosofo, vi
rintraccia la tematica artistica ed estetica; di Ettore Fagiuoli, NIETZSCHE. LA
FINITUDINE COME AUTOBIOGRAFIA, (Egea,
Milano 1994), che pone l’autobiografia come ambito di fondazione della
soggettività.
Lo studio di Furio Semerari affronta il
concetto di limite in Nietzsche in rapporto
alla categoria dell’esistenza. Secondo Semerari, i temi della “morte di Dio” e della
fine della metafisica definiscono in Nietzsche il concetto di esistente come quell’ente
che trae dal proprio limite e dalla propria
finitezza la forza di proporsi come l’Oltreuomo. Premesso questo, Semerari illustra il
36
concetto di “limite” in diverse accezioni.
In primo luogo il limite è visto come la
consapevolezza del carattere finito e della
natura terrena dell’uomo; in secondo luogo costituisce una sprone al continuo superamento del proprio essere, delle proprie abitudini e delle norme esistenti. Semerari sottolinea come il limite sia anche
la necessità per l’individuo di porsi delle
regole che arginino quel totale abbandono
all’istinto, rifiutato da Nietzsche. Infine il
limite è visto come elemento caratteristico
di ogni epoca morale dell’umanità, che lo
intende come strumento di sottomissione
dei deboli da parte dei più forti.
Ricercare all’interno delle opere nietzscheane una precisa tematica, quella dell’arte,
è l’intento di Dalmazio Rossi, che in Nietzsche. La verità dell’arte propone al lettore
una raccolta di brani antologici sul tema.
La scelta operata da Rossi è volta a mostrare la stretta connessione che lega in Nietzsche il concetto di arte a quelli di vita e di
verità, che nel pensiero comune sono considerati spesso in antitesi. Nella filosofia
nietzscheana, infatti, il vero pensiero filosofico consiste nell’affermazione della vita,
che può avvenire esclusivamente attraverso una concezione estetica dell’esistenza.
In base a questo presupposto, Rossi traccia
le linee dell’evoluzione del concetto di
arte nella filosofia nietzscheana attraverso
tre tappe principali. La prima riguarda la
Nascita della tragedia, in cui lo spirito
dionisiaco del sublime, attraverso il coro,
si fa carico del rimedio al dolore dell’esistenza. Con l’eliminazione del coro, operata da Euripide, si afferma la base del
pensiero razionalistico, che delimita il concetto di Verità apollinea ed esclude il dionisiaco. Qui entra in gioco, secondo Rossi,
la seconda accezione del concetto di arte;
smascherando il criterio razionalistico della
verità, Nietzsche ritrova, al di là della
catena delle metafore, di nuovo l’arte che,
con le sue infinite interpretazioni, rappresenta l’autentica Verità. Tutto ciò conduce, osserva Rossi, a quella che può
essere considerata l’ultima interpretazione nietzscheana dell’arte, cioè all’identificazione dell’esperienza artistica con la volontà di potenza, che, sola,
riesce a scardinare la morale e a produrre
nuovi valori e ideali.
Lo studio di Ettore Fagiuoli, Nietzsche.
La finitudine come autobiografia, ha invece come intento principale quello di mostrare come in Nietzsche l’esplorazione
autobiografica sia il metodo interminabile
attraverso il quale la soggettività percorre
il “proprio” progetto fondativo. Questa
progettualità esistenziale sottende, come
scenario più o meno implicito del testo,
l’analitica dell’Esserci descritta da
Heidegger in Essere e tempo. Ma lo sfondo heideggeriano, più che essere una mera
chiave interpretativa per la speculazione
nietzscheana, trova esso stesso un fondamento a partire dalle pagine di Nietzsche.
Fagiuoli vuole così indicarci come le stes-
TENDENZE E DIBATTITI
se analisi heideggeriane sulla costituzione
dell’Esserci sembrino riprendere e, per
certi versi, ricalcare quella modalità genealogico-costitutiva, propria della soggettività nietzscheana. Con autobiografia, precisa Fagiuoli, non si deve intendere «il
ripercorrimento di alcune tappe essenziali
della vita» di un individuo, bensì l’autocirco-scrizione, l’ “ossessione autoriflessiva” che si manifesta in quanto soggettività autoscriventesi nel mondo, scrittura vivente o vita scrivente, soggetto il
cui “luogo proprio” è quel confine cieco
della scrittura-soggettività sempre da ripetere. Autobiografia non è altro, allora,
che la manifestazione dell’ontologia
come u-topia.
Nello studio di Fagiuoli l’autobiografia
viene proposta come quell’ “itinerario impossibile” che accompagna tutta l’attività
nietzscheana di riflessione, dalle primissime annotazioni diaristiche alla Nascita
della tragedia e alle opere dell’ultima
maturità, tra le quali particolare attenzione
viene dedicata a Ecce homo. Un certo
interesse, data la stretta connessione con la
questione del “come si diventa ciò che si
è”, è rivolto da Fagiuoli anche ai rapporti
di Nietzsche con la musica e, in primo
luogo, con quella wagneriana. A.S.
Cassirer:
tendenze del neokantismo
Il rinnovato interesse per la filosofia di
Cassirer è testimoniato non solo dalla
recente pubblicazione di testi inediti o
finora di difficile reperibilità, ma anche
dall’apparizioni di nuovi studi critici,
tra cui si segnala, di Heinz Paetzold, DIE
REALITÄT DER SYMBOLISCHEN FORMEN . DIE
KULTURPHILOSOPHIE ERNST CASSIRERS IM KONTEXT (La realtà delle forme simboliche.
La filosofia della cultura di Ernst
Cassirer nel suo contesto, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1994). L’attuale interesse per il pensiero di Cassirer si inscrive, d’altra
parte, in una fase di ripresa internazionale degli studi sul neokantismo, documentata da una crescente attività di
pubblicazioni scientifiche. Ne è un
esempio il volume NEUKANTIANISMUS.
PERSPEKTIVEN UND PROBLEME (Königshausen und Neumann, Würzburg 1994), a
cura di Ernst Wolfgang Orth e di Helmut Holzhey, che riprende e sviluppa
gli interventi di vari studiosi al convegno omonimo, tenutosi nel settembre
1991 presso l’Università di Trier.
Tra le pubblicazioni degli scritti di Cassirer,
è apparsa recentemente una raccolta dal
titolo: Geist und Leben. Schriften zu den
Lebensordnungen von Natur und Kultur,
Geschichte und Sprache (Spirito e vita.
Scritti sugli ordinamenti vitali di natura e
cultura, storia e linguaggio, Reclam, Leipzig 1993), a cura di Ernst Wolfgang Orth,
che nella sua introduzione mette in luce
come la filosofia di Cassirer sembri avvicinarsi ad una filosofia della vita orientata in
senso antropologico-culturale. Di particolare interesse, tra gli scritti di questa raccolta, è il saggio Kant und die moderne
Biologie (Kant e la biologia moderna),
finora inedito. La raccolta fa seguito ad
una precedente, Erkenntnis, Begriff, Kultur (Conoscenza, concetto cultura, Reclam,
Leipzig 1993), a cura di Rainer A. Bast,
che comprende saggi composti da Cassirer
in periodi diversi della sua “odissea” intellettuale. In questo contesto di pubblicazione di scritti cassireriani, segnaliamo, in
Italia, la ripubblicazione del saggio Il problema Gian Giacomo Rousseau, apparso
per la prima volta nel lontano 1938 per i
tipi della Nuova Italia, ed ora compreso
nel volume: E. Cassirer, R. Darnton, J.
Starobinski, Tre letture di Rousseau (Laterza, Roma-Bari 1994).
Tra i recenti studi critici su Cassirer, l’opera di Heinz Paetzold, Die Realität der
symbolischen Formen, raccoglie prevalentemente articoli e interventi scritti precedentemente, in cui l’autore svolgeva la sua
interpretazione della filosofia di Cassirer
come una “semiotica dello spirito”. Secondo Paetzold, a cui si deve anche l’agile
studio: Ernst Cassirer. Zur Einführung
(Ernst Cassirer. Un’introduzione, Junius,
Amburgo 1993), la Filosofia delle forme
simboliche di Cassirer non è importante
solo per la comprensione della “svolta linguistica” nella filosofia contemporanea, ma
anche per i dibattiti sul mito e sulla posizione della scienza, della tecnica e dell’arte
nella coscienza contemporanea. Una “filosofia critico-trascendentale della cultura”,
capace di corrispondere alla pretesa dell’antropologia filosofica di istituirsi come
l’erede della filosofia trascendentale, costituisce, secondo Paetzold, la prospettiva
entro cui situare il pensiero di Cassirer. Di
particolare interesse è il confronto istituito
da Paetzold tra il Mito dello stato, di
Cassirer, e la Dialettica dell’Illuminismo
di Horkheimer e Adorno.
Di Paetzold segnaliamo infine, in occasione del cinquantenario della morte di
Cassirer, che cade nel 1995, la pubblicazione di una complessiva “biografia filosofica” dal titolo: Ernst Cassirer - Von Marburg nach New York. (Ernst Cassirer - Da
Marburgo a New York, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft, Darmstadt 1995). A questa biografia fa riscontro la monografia di
Andreas Graeser, Ernst Cassirer (Beck,
Monaco di Baviera 1994), e il fascicolo
monografico della rivista «Dialektik» dal
titolo Symbolische Formen, mogliche Welten - Ernst Cassirer (Forme simboliche,
mondi possibili - Ernst Cassirer, n. 1, 1995),
con interventi di O. Schwemmer, E.O.
Orth, J.M. Krais, D. Kaegi, E. Rudolph, D.
Paetzold, M. Ferrari, M. Plümacher, H. J.
Sandkuhler, J. Seidengart, B. Centi.
37
Con la pubblicazione del volume Neukantianismus. Perspektiven und Probleme, che
riporta gli atti del convegno di Trier del
1991, Ernst Wolfgang Orth e di Helmut
Holzhey hanno inteso approfondire e allargare la discussione finora sviluppatasi sulla scia del rinnovato interesse per la filosofia neokantiana, nelle sue diverse sfaccettature, intesa come un complesso di tentativi filosofici e scientifici che vanno dalla
seconda metà del XIX secolo fino alla
prima metà di quello attuale. L’articolazione del volume (che non coincide con la
successione effettiva degli interventi del
convegno) cerca di seguire - senza nessuna
pretesa di sistematicità - quelle che sono
attualmente le principali “rubriche” in cui
si è tornati a interpretare il neokantismo,
inteso come un fenomeno complesso e non
riducibile ad una sola tematica filosofica,
fosse pure la “teoria della conoscenza”.
Il problema di una possibile definizione del
neokantismo, che tenga conto della sua
interna ricchezza di articolazioni teoriche,
è affrontato in particolare, nella prima sezione del volume, “Unità del neokantismo”, da E. W. Orth, N. Hinske, R. Malter
e G. Fanke. La seconda sezione, relativa
alla filosofia della cultura intesa come una
delle prospettive salienti che caratterizzano il fenomeno neokantiano, comprende
interventi di F. Tenbuck, di H. Homann, di
H. -L. Ollig e di H. Holzhey: se il primo
contributo inquadra il neokantismo come
“filosofia della cultura moderna”, il secondo mette a fuoco il programma della rivista
«Logos», mentre gli ultimi due contributi
sono dedicati ai problemi della religione e
dell’etica. La terza sezione, “Teoria della
scienza”, include interventi di J. Vuillemine, di W. Flach, di J. Petitot e di K. W.
Zeitler, relativi al tema della possibilità
dell’esperienza alla luce della fisica attuale, al significato del neokantismo per la
teoria della scienza, alla legittimità e al
senso d’una epistemologia trascendentale,
al rapporto di Bauch con Frege. Gli interventi di K. C. Köhnke, P. -U. Merz-Benz,
W. Lehrke, M. Havelka, F. Bianco, F. Fellmann compongono invece la quarta sezione, dedicata alla “Metodologia delle scienze sociali”, dove ricorrono in particolare i
nomi di Tönnies, Adler, Simmel, Rickert e
Weber. La sezione più ampia è quella dedicata ai temi tipici del neokantismo della
Scuola del Baden e della Scuola di Marburgo. In particolare: G. Edel, A. Poma, P.
Fiorato analizzano aspetti diversi del pensiero di Cohen; K. -H. Lembeck, C. von
Wolzogen studiano alcuni motivi del pensiero di Natorp; M. Ferrari, J. Seidengart,
T. Knoppe affrontano specifiche tematiche
di Cassirer e i loro intrecci con altri orientamenti filosofici e scientifici; W. K. Schulz
esamina alcuni presupposti del programma
di Windelband di fondazione di una teoria
della cultura; M. Signore analizza l’impostazione teorica di H. Rickert; mentre l’intervento di S. Nachtsheim è dedicato al
programma filosofico di E. Lask. R.L.
PROSPETTIVE DI RICERCA
René Descartes
Frontespizio delle Meditationes de prima philosophia e dei Principia Philosophiae
38
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Cartesio: le opere filosofiche
Riunite in due volumi, sono state pubblicate le OPERE FILOSOFICHE (a cura di E.
Lojacono, Utet, Torino 1994) di Reneè
Descartes. La raccolta contiene le
maggiori opere filosofiche e scientifiche del filosofo insieme a numerose
lettere, che tracciano anche un profilo
storico-psicologico dell’autore. A questo proposito è da segnalare la recente monografia dedicata a Cartesio da
William Shea, LA MAGIA DEI NUMERI E DEL
MOTO. RENEÈ DESCARTES E LA SCIENZA DEL
600 (trad. it. di N. Sciaccaluga, Bollati
Boringhieri, Torino 1994).
L’impostazione di questa edizione delle
Opere filosofiche di Cartesio, tradotta
direttamente dal latino da Ettore Lojacono, è quella di una ricomposizione
degli scritti scientifici e filosofici del
filosofo, che, del resto, ha sempre sottolineato l’unità sistematica del proprio
pensiero. Ritroviamo, così, accanto alle
opere filosofiche, come le Regulae, il
Discorso sul metodo o Le passioni dell’anima, il testo scientifico più celebre
di Cartesio, e cioè i Principia philosophiae, accompagnati da una fitta corrispondenza con noti personaggi dell’epoca. Proprio da queste lettere si coglie l’atmosfera di profonda apertura
culturale che circonda Cartesio all’epoca della stesura di questi scritti. Trasferitosi in Olanda, che egli considera la
patria dello scambio culturale e del cosmopolitismo, Cartesio, infatti, entra in
rapporto con personaggi come padre
Mersenne, uscendo dall’angusto contesto francese che, in una lettera a Balzac,
viene descritto come provinciale e insufficiente alla produzione del pensiero.
Per quanto riguarda il rapporto delle sue
opere filosofiche, in senso stretto, rispetto al Discorso sul metodo, Cartesio
utilizza la celebre immagine dell’albero
le cui radici sono costituite dalla metafisica, il tronco dalla fisica e i rami dalle
altre scienze proprio, sottolineando così
la priorità ontologica della filosofia prima, che deve costituire la base per ogni
ragionamento. La logica, e dunque il
metodo, sono infatti giustificate rigoro-
samente a priori: Cartesio procede dalle
cause agli effetti, o meglio, da Dio verso
la natura, utilizzando sempre le quattro
regole dell’evidenza, dell’analisi, della
sintesi e dell’enumerazione che, in questo modo, traggono il proprio valore di
verità dal metodo stesso. In questa fase,
la validità e la consistenza dell’esperienza vengono messe tra parentesi, in
quanto il progetto di Cartesio è quello di
istituire una sorta di mathesis universale
che comprenda l’intero universo, ma da
cui possa anche prescindere. In questo
modo, Cartesio apriva necessariamente
un conflitto con la scolastica; questa, in
primo luogo, procedeva con un metodo a
posteriori che, partendo dagli effetti, e
dalla natura, risaliva alle cause e quindi
a Dio; in secondo luogo, attribuiva alla
logica una portata ben più ampia delle
quattro regole. Ma le polemiche di
Cartesio non terminano qui. Largo spazio è dedicato, infatti, anche al contrasto
con il medico Regius, che rifiuta il dualismo cartesiano, misconoscendo l’esistenza della ghiandola pineale e riconducendo, materialisticamente, anche lo
spirito all’estensione.
In ogni caso il progetto cartesiano di
ricondurre ogni disciplina al metodo a
priori si limiterà alla sola geometria, in
quanto per tutte le altre scienze era necessario utilizzare un altro metodo e,
come sosteneva lo stesso Cartesio, fermarsi al “sapere autentico”. Si apre così
il gruppo degli scritti scientifici, con in
testa i Principia philosophiae, che riguardano i fenomeni e la realtà sensibile. Per queste discipline il metodo utilizzato è quello che, partendo dalle ipotesi,
non può fornire garanzia di assoluta verità, ma solamente di probabilità. La
filosofia naturale viene così indagata a
posteriori, anche se la struttura logica
dei procedimenti usati è sempre rigorosa. Di fatto, ciò che accomuna gli scritti
del primo gruppo a quelli del secondo è
la mentalità fortemente scientifica e rigorosa impiegata da Cartesio in ogni sua
osservazione, con una costante attenzione per i meccanismi che determinano i
fenomeni dietro la loro apparenza: anche delle cose più comuni viene ricercata sempre la spiegazione più profonda.
39
Inoltre, il presupposto che qui guida
Cartesio è la certezza dell’esistenza autonoma della realtà, consistente e indipendente dal cogito, responsabile, tuttavia, della ricerca della verità. Il criterio
di verità si basa, infatti, sull’accordo tra
ragione ed esperienza che, al di là dei
pregiudizi e dell’inganno dei sensi, possono fornire l’unico mezzo per formulare la visione scientifica del mondo.
La risonanza che gli scritti di Cartesio
ebbero al momento della loro prima pubblicazione, parallelamente al configurarsi del profilo psicologico del filosofo,
sono tra gli elementi che emergono dalla
raccolta epistolare presente in questa
edizione delle Opere filosofiche. Dalle
lettere emerge, inoltre, l’importanza dell’ambiente e del contesto storico che
fecero da sfondo all’opera di Cartesio.
Di questo ci offre una interessante testimonianza la monografia di William
Shea, che descrive Cartesio nei suoi tratti
caratteriali come un individuo ombroso
e difficile, dedicando particolare attenzione agli incontri del filosofo con personaggi autorevoli dell’epoca, che lo
influenzarono nella formulazione del
proprio pensiero. Ricordiamo, a questo
proposito, l’incontro con Isac Beekman,
il fisico matematico che spinse Cartesio
alla ricerca di una scienza nuova e universale che utilizzasse la quantità e che
necessitasse della mente suprema di Dio
per legittimarla. Oppure il viaggio a
Roma, durante il quale Cartesio assistette alla condanna a morte di un eretico,
bruciato in Campo dei Fiori, che gli fece
capire quale rischi potesse correre un
filosofo in quell’epoca.
La monografia di Shea, inoltre, intende
offrire una testimonianza obiettiva di
tutte le iniziative filosofiche, scientifiche e teologiche, più o meno giustificate, di cui fu artefice Cartesio. Troviamo,
così, ripetutamente menzionati, l’uso
delle quattro regole, ma anche la dieta di
Cartesio per vivere cinque secoli o l’invenzione di un telescopio per osservare
gli abitanti della luna. A.S.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Heidegger e la filosofia antica
Schemi e appunti, preparati e redatti da
Heidegger per le sue lezioni del 1926 sui
fondamenti della filosofia antica, sono
stati pubblicati, nell’ambito dell’edizione completa dell’opera di
Heidegger, con il titolo: GRUNDBEGRIFFE
DER ANTIKEN PHILOSOPHIE (Concetti fondamentali della filosofia antica, «Gesamtausgabe», II Abteilung, Bd. 22,
Klostermann, Francoforte s/M. 1993).
E’ nota l’importanza che Martin
Heidegger attribuisce al confronto del pensiero filosofico con la sua storia come
quella dimensione propria in cui emerge e
scompare, appare e si occulta il problema
dell’essere. La storia della metafisica occidentale coincide per Heidegger con la
storia dell’ “oblio dell’essere” e della riduzione dell’essere all’ “ente”; un tratto di
strada importante sulla via di un pensiero
capace di un nuovo atteggiamento nei confronti del problema dell’essere è la “distruzione” della storia della metafisica,
annunciata (ma non realizzata) in Essere e
tempo. Anche l’interesse di Heidegger per
il pensiero greco ha questa valenza: non è
un interesse di carattere filologico o erudito - per questo aspetto Heidegger riprende
la polemica di Nietzsche e di P. Yorck
von Wartenburg nei confronti della storia “antiquaria” -, ma è un tentativo di
risalire alle origini della metafisica occidentale e dunque della riduzione dell’essere all’ente intramondano.
Negli anni Venti, al centro degli interessi
di Heidegger figura Aristotele, alla cui
Etica nicomachea egli aveva dedicato l’introduzione del corso sul Sofista platonico,
pubblicato nel vol. 19 della «Gesamtausgabe» (cfr., «Informazione filosofica», n.
11). Alla concezione aristotelica dell’azione e della ragione pratica (phronesis) sono
dedicate anche le riflessioni contenute nella
cosiddetta Aristoteles-Einleitung, in cui
gli studiosi ravvisano il nucleo originario
di Essere e tempo.
Nel corso del semestre estivo 1926 sui
Grundbegriffe der antiken Philosophie,
Aristotele viene definito «culmine scientifico della filosofia antica». Coerentemente con questa valutazione, Heidegger presenta in questo corso una visione panoramica e di carattere introduttivo del pensiero greco dai suoi inizi (Anassimandro e
Talete) fino ad Aristotele. Il testo del corso
ha un carattere frammentario, e si riduce in
alcuni punti a una serie di parole e concetti-chiave e di titoli. Ma nonostante questi
limiti, questo testo ci offre un’immagine
degli studi heideggeriani del periodo precedente Essere e tempo, in cui emerge, in
particolare, il confronto di Heidegger con
pensatori che talvolta anticipano il più
articolato e approfondito confronto degli
anni successivi alla cosiddetta “svolta”. I
pochi appunti dedicati a Eraclito, ad esempio, mostrano come già in questi anni la
lettura heideggeriana di questo autore si
concentri sul concetto di logos, nel duplice
senso di “ragione” e di “linguaggio”. Dal
confronto con i filosofi pre-socratici emergono poi alcuni temi che passeranno in
primo piano in Essere e tempo. Così, dall’interpretazione di Eraclito Heidegger ricava la tesi che ciò che può essere disvelato e che si mostra (il fenomeno in senso
fenomenologico) - ciò che in Essere e
tempo sarà la comprensione dell’essere può essere portato alla dimensione del
linguaggio; ugualmente, l’opposizione in
Parmenide tra l’orientamento in base all’ente molteplice e il tentativo di portare ad
espressione linguistica l’unità dell’essere
prefigura l’opposizione in Essere e tempo
tra l’inautenticità del “si” e l’autenticità
della decisione anticipatrice. M.M.
Inediti di Althusser
Malgrado il sopraggiungere della follia, Louis Althusser continuò la sua
attività teorica elaborando intuizioni
feconde e innovative rispetto ai suoi
lavori precedenti. E’ questa la nuova
prospettiva che la recente apparizione di una serie di inediti del filosofo
francese ha fatto maturare nei confronti della sua vita e del suo pensiero
nel periodo oscuro della malattia che
lo condusse all’uxoricidio. Oltre alla
ripubblicazione dell’autobiografia di
Althusser arricchita di alcuni materiali inediti, L’AVENIR DURE LONGTEMPS (L’avvenire dura a lungo, a cura di D. Grisoni, Stock-Imec, Parigi 1994), segnaliamo altre due opere postume del filosofo, rese da poco disponibili: SUR LA
PHILOSOPHIE (Sulla filosofia, a cura di O.
Corpet, Gallimard, Parigi 1994) e ÉCRITS PHILOSOPHIQUES ET POLITIQUES (Scritti
filosofici e politici, a cura di F. Matheron, Stock-Imec, Parigi 1994).
Delle tre sezioni in cui è ripartito il volume
degli Ecrits philosophiques et politiques,
ognuna corrispondente a un diverso periodo della vita di Louis Althusser (la giovinezza, il periodo dopo il ’68, gli anni della
malattia), l’ultima è indubbiamente la più
significativa: ci restituisce un Althusser
che, contrariamente a quel che si pensava,
aveva ancora qualcosa di prezioso da raccontarci. I testi presenti nella raccolta sono
tutti pressoché sconosciuti e consentono
di seguire l’evolversi del pensiero di
Althusser dalla giovinezza alla morte, con
un “buco” relativo al periodo della maturità - ma non è escluso che questa lacuna sia
colmata nel secondo volume, attualmente
in preparazione.
Con una suddivisione che appare piuttosto
artificiosa, il curatore, François Matheron, distingue un Althusser, “soggetto politico-filosofico”, quello della maturità,
40
come spartiacque tra un “soggetto in divenire”, che lo precede, e un “soggetto in
crisi”, che lo segue, dando luogo, a partire
dal 1980 (ovvero dopo l’uccisione della
moglie e la malattia) ad “un soggetto filosofico-politico”.
Tra i lavori del periodo della formazione
(1946-51), che vedono un Althusser intellettuale e marxista, cristiano e comunista,
hegeliano e marxista, compare innanzitutto la tesi di laurea su Il contenuto nel
pensiero di Marx, in cui è già abbozzata la
questione del rapporto tra il teorico del
materialismo storico e Hegel. Il rifiuto
della lettura esistenzialista di Hegel, allora
in voga, è ribadito da Althusser più esplicitamente nell’articolo Le retour à Hegel
(Il ritorno a Hegel), pubblicato in «La
nouvelle Critique», e nella Lettre à Jean
Lacroix (Lettera a Jean Lacroix, 1950-51),
suo vecchio professore, autore di un testo
su marxismo ed esistenzialismo. Per poter
pensare la verità, sembra suggerire
Althusser nella lettera, è necessario farsi
simili a «quelli che la fanno - quelli che
lavorano e lottano», occorre cioè spogliarsi delle proprie comodità materiali, per
fare opera di fraternità. Di qui l’invito a
distaccarsi dal “cattolicesimo reazionario”
e ad unirsi al movimento proletario; invito
contenuto nell’articolo Une question de
faits (Una questione di fatto), che non
costituisce una sconfessione della sua fede,
ma un modo più autentico di viverla.
Il secondo gruppo di testi (1972-78), quelli degli anni di crisi del dopo ’68, tra i quali
troviamo Marx dans ses limites (Marx nei
suoi limiti), ci restituisce il tentativo althusseriano di pensare il marxismo all’interno e ai margini del PCF in seguito alla
crisi del movimento comunista internazionale. Nonostante alcune variazioni apportate al proprio pensiero, in questi scritti
Althusser rimane sostanzialmente fedele
al modello di “lettura sintomale”, messo a
punto in Lire le Capital (Leggere il Capitale). È invece nei due saggi della terza
parte (1982-86) che si dischiude un
Althusser inedito. Se dopo il dramma del
1980 e a seguito della sua malattia,
Althusser appariva spacciato come teorico, già quasi dimenticato e trascinato dal
disprezzo per Marx, diffusosi con il fallimento degli Stati comunisti, le stimolanti
riflessioni contenute in questi saggi rivelano un pensatore ancora fervido. Accanto
ad un approfondimento della sua riflessione su Marx, sviluppato in Le courant souterrain du matérialisme de la rencontre
(La corrente sotterranea del materialismo
dell’incontro), nell’ultimo scritto della raccolta, Portrait (Ritratto), troviamo una
breve, ma incisiva, descrizione del filosofo del futuro come «filosofo non materialista dialettico, che sarebbe un orrore, ma
materialista aleatorio».
Sulla nuova versione aleatoria del materialismo insistono diffusamente gli inediti
althusseriani pubblicati da Olivier Corpet nel volume: Sur la philosophie. Se
PROSPETTIVE DI RICERCA
precedentemente Althusser partiva dal presupposto che bisognasse rimediare al vuoto teorico lasciato da Marx ed elaborarne
la filosofia “latente”, il non detto, ora giudica questo suo tentativo di rendere pensabile il marxismo come una filosofia da
manuale tra le altre. Il problema era come
definire il materialismo senza farne un
sistema immobile, un’astrazione opposta
all’idealismo, ma altrettanto artificiosa.
La proposta di Althusser è quella di un
materialismo “aleatorio”, erede del pensiero di Democrito ed Epicuro. Marx non
compare; l’unico filosofo della politica
cui Althusser si ispira è Machiavelli. Ma
anche Pascal e Spinoza assumono un ruolo
importante: se Spinoza è partito da Dio
stesso per criticare l’idealismo, Althusser,
imitandolo, parte da Marx per criticare il
Partito Comunista.
La metafora del treno permette ad Althusser
di far intravvedere quel che lui intende per
materialismo aleatorio senza farlo degenerare in concetto da manuale. Il filosofo
idealista, osserva Althusser, conosce la
stazione di partenza e di arrivo: che si tratti
della storia, dell’uomo, di Dio, dell’Essere, egli si interessa all’origine e alla fine
ultima, vuole possedere la verità. «Al contrario - afferma Althusser - il filosofo materialista è un uomo che prende sempre il
“treno in marcia” come gli eroi dei film
westerns americani». Egli osserva le persone; guarda dalla finestra, ma non ha
l’ossessione di conoscere il punto di partenza e di arrivo. Insomma, sintetizza
Althusser, «il filosofo materialista registra
delle sequenze aleatorie e non, come il
filosofo idealista, delle conseguenze derivanti da una Origine fondatrice di ogni
senso, da un Principio assoluto o da una
Causa prima». In questo, la lotta di classe
non viene rinnegata, ma assogettata ad un
andamento “congiunturale”, dove per congiuntura Althusser intende un «incontro
aleatorio di elementi in parte esistenti ma
anche imprevedibili».
Sur la philosophie comprende anche una
lunga intervista con la messicana Fernanda Navarro, realizzata tra il 1984 e il
1987, un’appassionata corrispondenza tra
i due, e il testo di una conferenza, La
trasformation de la Philosophie (La trasformazione della filosofia), tenuta a Granada nel 1976. L’assenza di leggi nella
storia, la lotta dei concetti nel pensiero, il
rapporto tra filosofia e corso del mondo, la
distinzione tra verità e pratica sono alcuni
dei temi affrontati in questi inediti che
rivelano l’effervescenza del pensiero di
Althusser dietro una vita “ritirata e ben
limitata”, come rivelano le lettere a Navarro e la sua autobiografia del 1985.
Proprio quest’ultimo testo è ora disponibile con allegati uno scritto del 1964, Lettres
sur l’enfance et rêves premonitoires (Lettere sull’infanzia e sogni premonitori), e il
tentativo autobiografico del 1976, Les Faits
(I fatti), già pubblicato. Nell’inedito
Althusser racconta, sedici anni prima che
il dramma si consumasse, la ricorrenza di
sogni omicidi nei confronti della donna
(poi divenuta sua moglie). Era il periodo in
cui il filosofo si trovava in cura per una
seria depressione da quello che era stato
l’analista della sua compagna, permessasi
“fraternamente” e ingenuamente di redigere la sua anamnesi. Un altro tassello si
rende dunque disponibile per cogliere, al
di là del brutale fatto di cronaca, tutto lo
spessore di una vita. A.M.
L’esistenza impossibile
di Kierkegaard
Di Kierkegaard è apparso recentemente, a cura di Dario Borso, un ‘panphlet’
che tratta del problema politico in
chiave ironica. Si tratta di DUE EPOCHE
(Millelire, Viterbo 1994). Sempre di
Kierkegaard è stato recentemente
pubblicato, tradotto per la prima volta integralmente in italiano, lo scritto:
STADI SUL CAMMINO DELLA VITA (a cura di
L. Koch, trad. it. di A. M. Segala, Rizzoli, Milano 1993), una raccolta di saggi
che affrontano, attraverso l’ironia,
temi cari al filosofo danese come l’angoscia, il valore del matrimonio, del
sentimento e della religione.
Strutturato come una sorta di simposio
platonico, ambientato però in età contemporanea, Stadi sul cammino della vita prende spunto da un banchetto organizzato da
cinque libertini danesi, convenuti per affrontare i problemi dell’amore e del matrimonio. Concentrato di psicologia, filosofia e religione, i saggi che compongono la
raccolta affrontano le diverse tematiche
attraverso un uso insistito dell’ironia, da
cui traspare l’angoscia di fondo che caratterizza questi scritti. Come lo Zarathustra
di Nietzsche che, di fronte all’evento della
morte di Dio, sprofonda in un’amara risata, per testimoniare l’assurdità della vita
senza quel Dio che in fondo non è mai
esistito, così i personaggi di Kierkegaard
affrontano la disperazione dell’esistenza
muovendosi in spazi beffardi e ironici.
Elemento comune a tutti questi saggi è il
fatto di caratterizzarsi come prefazioni,
come prologhi ad un contenuto che non
compare e che, attraverso questo espediente letterario, manifesta la sua assurdità. In fondo, anche la vicenda del lungo
fidanzamento con Regina Holsen, rotto da
Kierkegaard poco prima del matrimonio,
costituisce un esempio di come i percorsi
definiti, che non riescono mai a giungere
alla meta desiderata, rivelino, ironicamente, la loro mancanza di senso. Tutta l’esistenza, d’altra parte, appare in Kierkegaard
come una lunga attesa di un qualcosa che,
necessariamente, non arriverà mai e che,
tuttavia, ci fornisce il senso della vita.
Tra gli scritti contenuti nel volume, quello
41
dal titolo: Colpevole, non colpevole, racconta, con accenti autobiografici, le vicende di un fidanzamento in cui il protagonista, consapevole della propria infelicità,
decide comunque di nasconderla all’amata
e di procedere ugualmente verso il matrimonio, trovandosi però a vivere ogni situazione come prova della precarietà dell’esistenza e della necessità del dolore. In questo scritto, l’assurdità del matrimonio, che
contrasta fortemente con il desiderio di
entrambi i protagonisti, è una testimonianza dell’impossibilità dell’esistenza, volta,
sempre e comunque, ad una meta necessariamente irraggiungibile.
Diversa è l’impostazione di un’altro scritto
sul medesimo tema, Considerazioni varie
sul matrimonio che, al contrario del precedente, rappresenta, in apparenza, un’apoteosi delle gioie del matrimonio, mentre nasconde, sempre attraverso l’uso dell’ironia, la dimostrazione della sua insensatezza. Parlando in prima persona, in questo
saggio Kierkegaard descrive il matrimonio
«il più importante viaggio di scoperta che
un uomo possa intraprendere», durante il
quale tutti gli eventi quotidiani diventano
gioie sublimi e infinitamente arricchenti.
Attraverso una notevole forza argomentativa, che nello stile iperbolico conduce tuttavia il lettore a dubitare della validità del
matrimonio, l’esaltazione della vita di coppia si contrappone alla descrizione della
vita individuale, che diventa esclusivamente
il luogo delle chiacchiere e dell’arroganza
soggettiva. Privata, in tal modo, delle gioie
effimere della vita estetica, l’esistenza diventa patrimonio esclusivo della vita etica
e come tale una meta da inseguire, anche se
alla fine si rivela irraggiungibile e viene
rifiutata, come accade nella biografia stessa di Kierkegaard.
Ancora l’ironia fa da sfondo allo scritto Le
due epoche, che affronta il problema del
livellamento politico e, indirettamente, esistenziale degli individui. Le due epoche, la
prima rivoluzionaria e appassionata e la
seconda, riflessiva e ragionevole, nascondono, secondo Kierkegaard, una dimensione di totale livellamento, che distorce i
valori apparenti. Se la prima, infatti, dietro
l’impulso vitale maschera decoro e forma,
la seconda, dietro l’illusione della moderazione, può nascondere anche, almeno
nei propositi, progetti eversivi, pur incapaci di prendere forma. In conclusione,
epoca attuale e epoca rivoluzionaria risultano essere ambigue dissimulazioni, smascherate dall’ironia tragica kierkegaardiana che, al “pericolo della maggioranza” per dirla con Dario Borso che, nell’introduzione si riferisce a Tocqueville - non
vede alcun rimedio. Riflessione e rivoluzione, infatti, non nascono da convinzione
ed interiorità, ma esclusivamente dal livellamento che impedisce all’uomo di scegliere. Ecco perché la maggioranza, diventata livellamento e omologazione, sottrae
al singolo la possibilità di vivere sino in
fondo il proprio progetto esistenziale. A.S.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Per un’estetica
fenomenologica
In uno scritto dell’epoca di Weimar,
PLASTICA (trad. it. di G. Maragliano,
Aesthetica Edizioni, Palermo 1994),
Johann Gottfried Herder delinea una
concezione estetica di tipo fenomenologico, che si distacca dalle estetiche speculative di stampo hegeliano, affermando l’autonomia e la superiorità della scultura rispetto alle
altre arti per via del suo legame con
l’organo di senso del tatto come
quell’organo che consente una primitiva conoscenza della realtà nelle
sue forme e nei suoi corpi. Il privilegiamento di questa iniziale dimensione fenomenologica del sentire
tattile può essere individuato anche
nella LETTERA SULLA SCULTURA (trad. it.
di I. Crispini e D.Scalabrino, Aesthetica, Palermo 1994) del filosofo olandese Frans Hemsterhuis, in cui si
esprime una concezione della bellezza come unità della molteplicità,
come sintesi del ‘minimum’ di tempo e del ‘maximum’ di idee, unità
che raggiunge il suo culmine e la sua
perfezione proprio nella scultura.
Johann Gottfried Herder, in Plastica
(1778), e Frans Hemsterhuis, nella Lettera sulla scultura (1769), propongono
una visione estetica del bello di tipo
“fenomenologico”, legata alla percezione delle cose tramite gli organi di senso,
dove il soggetto è il presupposto della
ricezione estetica. Entrambe queste concezioni si distaccano da una visione classicistica del bello come ideale, privilegiando piuttosto una fenomenologia del
sentire, fondata sull’organo del tatto,
che attribuisce alla bellezza una dimensione conoscitiva.
In tale prospettiva, la distinzione tra le
arti avviene, per Herder, in base all’organo di senso che in ciascuna arte viene
in primo luogo esercitato. La vista permette all’uomo di percepire figure che
vengono rappresentate in pittura attraverso il colore e la luce; nella pittura
s’incontrano quindi solo figure evanescenti, appiattite, prive di solidità terrestre. Nella scultura è invece l’organo del
tatto che coglie le forme, i corpi nella
loro solidità e pregnanza, nella loro plasticità e sostanzialità reale, nella loro
verità “palpabile”. Creature del cielo appaiono dunque, per Herder, le figure
dipinte nei quadri; creature terrestri, invece, appaiono le forme scultoree. E se
la pittura coincide con il sogno, la scultura mostra il suo legame sostanziale
con la verità.
Herder considera l’organo del tatto quello
che maggiormente consente la conoscenza della realtà, del mondo nella sua pie-
Artista cicladico, Testa di kouros da Thera, VI sec. a. C.
42
nezza, nell’intrico di corpi e forme. Solo
toccando le cose, sentendole nel loro
essere plastico, è possibile anche vederle. Il vedere senza il sentire, osserva
Herder, rimane illusorio perché determina un’immagine del mondo priva di forma e solidità, realtà fatta di contorni che
delimitano immagini vuote. L’estetica
di Herder mira quindi a mostrare la superiorità della scultura sulle altre arti non
solo in relazione al tipo di bellezza che
essa realizza, ma anche per il tipo di
conoscenza che essa solo rende possibile. La scultura nella prospettiva herderiana supera dunque la dimensione segnica, cioè la distinzione tra segno e
designato, in quanto crea forme che significano di per se stesse, senza rinviare
ad altro. Le sculture s’impongono con la
loro semplice realtà come dei; creano la
propria luce, edificano il proprio spazio:
sono realtà a sé stanti, che non necessitano di significati simbolici, poiché in esse
significato e significante coincidono. Ciò
non significa, aggiunge tuttavia Herder,
che esse debbano essere identificate con
realtà puramente materiali, prive di spirito; è l’attività dello scultore che forma
l’anima, lo spirito della scultura; li imprime e li suggella nelle forme corporee
e allo stesso tempo li rende eterni.
Assai affine a questa prospettiva estetica
è la concezione espressa da Hemsterhuis nella Lettera sulla scultura, in cui
ugualmente si afferma il primato della
scultura sulle altre arti. Hemsterhuis
costruisce la propria teoria della bellezza attraverso una rielaborazione della
tradizione estetica settecentesca, che attribuiva alla bellezza l’unità nella molteplicità. Per Hemsterhuis questo significava che la bellezza realizza una sintesi estetica tra l’unità, fondata sulla temporalità, e la molteplicità, dovuta alla
quantità delle idee richiamate: un’opera
d’arte è tanto più perfetta quante più idee
riesce a evocare nel più breve spazio di
tempo, infondendo una sensazione sublime di totalità unitaria come sintesi del
molteplice. Secondo Hemsterhuis, l’arte
che maggiormente raggiunge questo
obiettivo è proprio la scultura, in quanto
presenta contemporaneamente più parti
dello stesso corpo nello svilupparsi del
suo intero contorno. Così, la percezione
che consente la scultura è totale, poiché
da un lato l’occhio riesce ad abbracciare
l’interezza della sua forma, dall’altro la
mano può sentire la sua solidità terrestre. La conoscenza che la scultura realizza è quindi, anche per Hemsterhuis,
legata ad un sentire che non è disgiunto
dal vedere, producendo un soddisfacimento estetico dato dall’unione del senso della vista con il senso del tatto.
È evidente qui la distanza di una concezione estetica che rivaluta il sentire contro ogni astratta ricezione della bellezza
da una concezione di matrice spiritualistica e metafisica che, basandosi su con-
PROSPETTIVE DI RICERCA
cetti ideali del bello, svaluta la scultura,
in quanto non è in grado di far emergere
quel “sentire oscuro”, che permette di
conoscere le forme; in particolare, è evidente la differenza sostanziale con l’estetica di Hegel, che concepiva il bello
come identità di spirito e corpo. D’altro
canto, pur nella vicinanza con la teoria
dell’arte di Winckelmann, rinvenibile
nell’esaltazione dell’arte greca e nella
celebrazione della fisicità terrestre della
bellezza corporea, l’estetica di Hemsterhuis, ma anche quella di Herder, si distacca da essa nel concepire l’arte come
oltrepassamento, come superamento della natura. Le concezioni estetiche di
Herder e Hemsterhuis fondano un’antropologia estetica della bellezza basata
sulla percezione differenziale propria
della corporeità, che avrà un’influenza
notevole sulle estetiche moderne. In questa prospettiva, la scultura diviene una
forma di conoscenza e la sua verità viene
attribuita alla possibilità di cogliere nella sua totalità la concretezza della forma. Così, se nell’estetica di Hemsterhuis lo scultore cerca la luce di quella
bellezza che dona l’unità del molteplice,
in quella di Herder lo scultore va alla
ricerca, nell’oscurità della notte, delle
figure degli dei. M.Mi.
Primi scritti di Nietzsche
Nel centocinquantenario della nascita, due edizioni in lingua francese
degli scritti giovanili di Nietzsche
regalano agli appassionati, che non
possono accedere all’edizione tedesca, gli esordi letterari del filosofo.
Si tratta del volume degli ECRITS AU TOBIOGRAPHIQUES (Scritti autobiografici, a cura di M. Crépon, PUF, Parigi
1994), che copre gli anni dal 1858 al
1864, e di quello dei PREMIERS ÉCRITS
(Primi scritti, a cura di Jean-Louis
Backès, Le Cherche Midi, Parigi
1994), che raccoglie gli scritti che
vanno dal 1856 al 1869, anno che
vede la nomina di Nietzsche a ordinario di filologia greca all’Università di Basilea. I lavori preparatori ai
corsi del giovanissimo docente di
filologia ci vengono ora riproposti
nel volume: INTRODUCTION AUX LEÇONS
SUR L ’ OEDIPE ROI DE SOPHOCLE - INTRODUCTION AUX ÉTUDES DE PHILOLOGIE CLAS SIQUE, (Introduzione alle lezioni sull’Edipo Re di Sofocle - Introduzioni
agli studi di filologia classica, a cura
di F. Dastur e M. Haar, Encre Marine,
La Versanne 1994). Queste recenti
pubblicazioni degli scritti giovanili
giungono sulla scia di una nuova
traduzione francese, in due volumi,
delle opere di Nietzsche, OEUVRES (a
cura di J. Lacoste e J. Le Rider, Robert Laffont, Parigi 1993).
Friedrich Nietzsche, 1861
Piccoli autoritratti di un filosofo adolescente, i primi scritti di Nietzsche ci
restitutiscono l’immagine sorprendente
di una personalità in divenire, ma già
consapevole del proprio valore. Certo
non pecca di modestia il dodicenne che
scrive: «ho insomma preso la decisione
di tenere un diario attraverso il quale
verrà trasmesso ai posteri tutto ciò che
riempie il mio cuore di gioia o di pena».
Senza seguire un preciso ordine cronologico, Nietzsche registrerà con cura nei
suoi quaderni personali tutti gli avvenimenti importanti. Eventi intellettuali, per
la maggior parte: le letture di Tacito,
Eschilo e i classici; le recensioni dei testi
e lavori letterari e musicali. In queste
pagine torna sovente il ricordo della
morte del padre, «primo momento fatidico - scrive Nietzsche -, a partire dal
quale tutta la mia vita ha preso una svolta». L’assenza della figura del padre,
pastore protestante, segna profondamente il carattere del giovane Nietzsche,
43
rampollo disciplinato di una famiglia di
credenti; a quindici anni il futuro annunciatore della morte di Dio scrive: «La
religione è il fondamento di ogni sapere».
Le anticipazioni del Nietzsche degli anni
a venire non mancano nei brevi, ma già
intensi saggi su La libertà della volontà
e il fato, redatto a diciannove anni, dove
si annunciano i temi della volontà di
potenza e dell’eterno ritorno, e in Fato e
storia, scritto col quale Nietzsche prende commiato dal cristianesimo e apre un
capitolo nuovo di una vita all’insegna
del “divieni te stesso”. Ma la definitiva
presa di coscienza del proprio valore si
compie negli anni dell’università. Allievo di Ritschl, che ne ammira il rigore e la
forza intellettuale, Nietzsche si immerge nello studio dei Greci e compie le sue
prime letture filosofiche sistematiche:
Platone, i presocratici; ma anche Emerson e la rivelazione di Schopenhauer.
L’Introduzione alle lezioni sull’Edipo
Re di Sofocle è del 1870, due anni prima
PROSPETTIVE DI RICERCA
della pubblicazione della Nascita della
tragedia, e, sotto diversi riguardi, ne
costituisce il lavoro preparatorio. In questo scritto Nietzsche utilizza appieno il
proprio sapere filologico, in particolare
nelle lezioni dove sono messe a confronto le strutture della tragedia classica e di
quella moderna in un’analisi di grande
rilievo critico, che si chiude con la tesi
che riconduce la nascita della tragedia al
“lirismo delle Dyonisie”. E.N.
«Quel che è più difficile far passare da
una lingua all’altra è il movimento dello
stile» - scriveva Nietzsche. Secondo Jean
Lacoste e Jacques Le Rider, curatori
della nuova edizione delle Oeuvres di
Nietzsche in due volumi, furono proprio
i primi traduttori francesi di Nietzsche,
in particolare Henri Albert e Marie
Baumgarten, che ebbero questa rara
capacità. Rifacendosi a tali traduzioni,
ormai quasi centenarie, opportunamente
riviste e corrette, Lacoste e Le Rider
puntano a riprodurre quella modulazione del pensiero di Nietzsche che lo rese
un canto travolgente, una melodia trascinante, al punto da far esclamare a
Valéry: «Nietzsche non è un alimento, è
un eccitante». Questa nuova edizione
non è dunque il risultato di una mera
operazione storiografica, di un semplice
gesto regressivo, archeologico; come
spiega Le Rider nella Prefazione al primo volume, Nietzsche e la Francia. Presenza di Nietzsche in Francia, riproporre il Nietzsche che ha sedotto la Francia
all’inizio del secolo significa riaffermare, come Nietzsche stesso ha sostenuto
per primo, che un’opera consiste nelle
interpretazioni che se ne danno. Se si
intende l’interpretazione come espressione di un modo di esistere e non come
puro esercizio intellettuale, rileggere le
vecchie traduzioni significa allora porre
in luce quel che Nietzsche chiamerebbe
un «regime» d’esistenza.
Nell’Avvertenza, Lacoste e Le Rider dimostrano come queste prime traduzioni
siano più fedeli alla cadenza della prosa
nietzscheana; e che il ritmo non sia qualcosa di accessorio per il pensiero appare
evidente, per esempio, quando Nietzsche afferma che il «grande desiderio»
di Zarathustra deve essere cantato, più
che parlato. Efficace, in tal senso, risulta
l’espressione di Georges Liébert che,
nella Postfazione al secondo volume,
Nietzsche, la musica, parla di «intuizione auditiva» del pensatore tedesco verso
la filosofia: è attraverso l’ascolto della
lingua, del suo ritmo, che si schiude il
rapporto al pensiero. Trova spiegazione
così l’affermazione nietzscheana: «Mi
rivolgerò solo a coloro che hanno una
parentela immediata con la musica, coloro per i quali la musica è il grembo
materno».
Potere di sconfinamento tra culture differenti e di oltrepassamento delle fron-
tiere, la musica, che in modi diversi abita
le lingue, autorizza allora le più svariate
dislocazioni interpretative: Il caso Wagner dovrebbe così essere letto in francese e Schopenhauer apparterrebbe alla
Francia dello spirito, come troviamo
scritto in Al di là del bene e del male.
Lacoste lancia a questo proposito la sua
ipotesi interpretativa riguardo alla precoce penetrazione di Nietzsche in Francia: essa fu così fulminea perché il filosofo tedesco per primo si era francesizzato, incarnando quel destino di essere
“anfibio” che aveva riconosciuto a Baudelaire. Peraltro, l’esistenza di un “vocabolario francese” di Nietzsche, dove i
termini corrispondono a concetti fondamentali del suo pensiero, è rilevata da
Lacoste nella sua Postfazione al primo
volume.
A rendere originale e preziosa questa
edizione delle opere di Nietzsche in due
volumi (1552 pagine l’uno, 1792 l’altro), oltre agli studi critici, alle note e
alla presenza di una “Cronologia” della
vita e delle opere del filosofo, è l’indice
dei nomi e delle nozioni che consente di
individuare un tema, un soggetto, una
problematica all’interno dell’intera opera nietzscheana. A.M.
Florenski: dalla tradizione
all’avanguardia
L’opera dello scrittore russo Pavel
Florenski (1882-1937), interessante
e insolita figura di prete, filosofo e
scienziato, è da qualche anno all’attenzione del pubblico tedesco. Di
recente è stata avviata, a cura di
Sieglinde e Fritz Mierau, la pubblicazione in dieci volumi delle sue
opere, di cui sono finora apparsi il
terzo, DENKEN UND SPRACHE (Pensiero
e linguaggio, Kontext, Berlino 1993)
e il quarto, NAMEN (Nomi, Kontext,
Berlino 1994).
La pubblicazione dell’opera di Pavel
Florenski non giunge oggi, in Germania, del tutto nuova e isolata. Già nel
1988 era stato tradotto un importante
testo teorico di Florenski, Die Ikonostase. Urbild und Grenzerlebnis im revolutionären Russland (L’iconostasia. Immagine ideale ed esperienza al limite del
vissuto nella Russia rivoluzionaria, Urachhaus, Stoccarda 1988), a cui aveva
fatto seguito, l’anno successivo, Die
umgekehrte Perspektive (La prospettiva
capovolta, Matthes & Seitz, Monaco di
Baviera 1989). Nel 1991 Sieglinde e
Fritz Mierau pubblicavano, di Florenski, An den Wasserscheiden des Denkens
(Sullo spartiacque del pensiero, Kontext, Berlino 1991), e nel 1993 veniva
pubblicata una sua raccolta di frammenti
autobiografici, Meinen Kindern. Erin44
nerungen an eine Jugend im Kaukasus (Ai
miei figli. Ricordi di una gioventù nel
Caucaso, Urachhaus, Stoccarda 1993),
Questo interesse si deve principalmente
alla figura singolare di Florenski e all’originalità del suo pensiero, che dietro
una prima apparente impressione di eclettica bizzaria si rivela invece una chiave
di lettura non solo per la complessa e
travagliata vicenda della cultura russa di
questo secolo, ma perfino dello stesso
quadro problematico e contraddittorio
in cui si colloca l’intera avventura intellettuale del Novecento. Florenski, infatti, si presenta come un pensatore che
riesce a coniugare nella loro più piena
radicalità avanguardia e tradizione. Nell’intento di trovare un’alternativa al
mondo borghese occidentale, Florenski
si colloca nel punto di tensione più alto
che ha animato la cultura russa intorno
alla svolta di fine secolo e poi negli anni
successivi, fino alla prima guerra mondiale, e ancora dopo, fino al culmine
della vicenda rivoluzionaria. Certo, in
Florenski è presente un ripudio completo di qualsiasi istanza emancipativa; la
liberazione dell’individuo dai legami tradizionali corrisponde per lui ad una pura
e semplice opera di distruzione. Ma nella corrente infuocata di quegli anni non
è facile individuare dove lo slancio, largamente condiviso in Russia, per un superamento dell’Occidente fosse effettivamente segnato dal desiderio di un suo
oltrepassamento, che ne conservasse
nello stesso tempo le istanze di fondo, e
dove invece non agisse, magari posto
più in profondità, il rimpianto per le
forme di aggregazione comunitaria e per
quel mondo vivente di simboli, ad esse
legato, su cui il processo di modernizzazione faceva pesare la sua inesorabile
minaccia di estinzione.
All’interno di questo crogiolo e intrisa
di questo magma spirituale vive l’opera
di Florenski. Sulla sua estraneità, ed anzi
sulla sua vera e propria ostilità, all’utopia sociale che ha animato la rivoluzione
russa, non vi è alcun dubbio. Tuttavia è
significativo che mentre oggi egli viene
riscoperto per le affinità che il suo pensiero mostra con la temperie spirituale
post-comunista, tesa alla ricerca delle
radici e delle tradizioni, per altro verso
risulta bloccata ogni sua interpretazione
in senso russo-nazionalista e non tanto
per la sua predilezione della tradizione
culturale bizantina a scapito di quella
strettamente russo-ortodossa, che è quella a cui principalmente si legano le tendenze nazionalistiche, quanto per i tratti
di forte modernità che presenta la sua
interpretazione dei valori della tradizione. Per Florenski, infatti, la tradizione
non si identifica con un universo contenutistico di valori da salvaguardare di
fronte alle nuove pretese di valore con
cui la modernità cerca di legittimare se
stessa. La validità della tradizione per
PROSPETTIVE DI RICERCA
Florenski consiste piuttosto nel suo universo di forme, per cui la sua stessa
sostanza materiale non è cosa ontologicamente diversa dai segni di cui si compone e con cui si manifesta. Il mondo è
una foresta di simboli diceva Baudelaire, e allo stesso modo per Florenski il
mondo della tradizione non è altro che
una struttura codificata di segni che si
pone significativamente per se stessa.
Se ora consideriamo, per esempio, che
tutta l’attività moderna di scrittura e di
produzione pittorica si pone all’insegna
dell’assorbimento del significato nel significante o della figura nel colore, con
Florenski ci troviamo già in pieno movimento avanguardistico. Di fatto, l’analisi del linguaggio biblico o del rituale
cristiano-bizantino è condotta da Florenski con quella stessa stupefacente
sensibilità che lo pone in sintonia con le
più spregiudicate forme di sperimentazione artistica. Per questo l’opera di Florenski sembra in grado di fornire una
nuova chiave di lettura della vicenda
intellettuale del nostro secolo, ben più
complessa ed intricata di quanto finora
ci sia sembrata. G.B.
Opere complete di Gadamer
Con la pubblicazione del volume VIII,
ÄSTHETIK UND POETIK. I . KUNST ALS AUS SAGE (Estetica e poetica. I. Arte come
asserzione, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1993), e IX, ÄSTHETIK
UND POETIK. II. HERMENEUTIK IM VOLLZUG
(Estetica e poetica. II. Ermeneutica
in esecuzione, J. C. B. Mohr (Paul
Siebeck), Tubinga 1993), prosegue
l’edizione delle opere complete di
Hans-Georg Gadamer. Contemporaneamente, nel «Dilthey Jahrbuch für
Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften» (vol. VIII, 199293) è stata pubblicata la parte iniziale del manoscritto originario dell’opera principale di Gadamer, ‘Verità e metodo’.
Sono pochi i filosofi a cui sia toccato il
privilegio di vedere pubblicata in vita
un’edizione completa delle proprie opere. E’ questo il caso di Hans-Georg
Gadamer che, dopo il grande interesse
suscitato dalla pubblicazione di Wahrheit
und Methode (Verità e metodo, 1960), la
sua opera di maggiore impegno sistematico, ha iniziato a raccogliere i propri
scritti nei «Gesammelte Werke», l’edizione completa delle opere. Ad aprire
questa pubblicazione furono, nel 1985, i
volumi V e VI, Griechische Philosophie
I e II (Filosofia greca I e II), che raccolgono i saggi e gli scritti dedicati da
Gadamer al pensiero greco, a cui fece
seguito, nel 1991, il volume VII, Grie-
chische Philosophie. III. Plato im Dialog (Filosofia greca. III. Platone in dialogo), interamente dedicato a Platone.
Nel 1986 fu la volta dei volumi I e II,
apparsi rispettivamente con il titolo:
Hermeneutik I. Wahrheit und Methode
(Ermeneutica I. Verità e metodo), che
riportava l’opera maggiore di Gadamer,
e Hermeneutik. II. Wahrheit und Methode. Ergänzungen, Register (Ermeneutica II. Verità e metodo. Integrazioni, indici), che raccoglie le integrazioni al
testo principale. I volumi III, Neuere
Philosop hie. I. Hege l. Husserl.
Heidegger (Filosofia moderna. I. Hegel,
Husserl, Heidegger), e IV, Neuere Philosophie. II. Probleme-Gestalten (Filosofia moderna. II. Problemi-figure), apparsi entrambi nel 1987, raccolgono saggi
e studi dedicati a quei pensatori, Hegel,
Husserl, Heidegger, e a quelle correnti
di pensiero, tra cui in particolare la fenomenologia, e in generale a figure e problemi (la storia, il tempo, l’etica e l’antropologia) della filosofia moderna e contemporanea, nel confronto con i quali
Gadamer è venuto costruendo la propria
concezione filosofica.
Questi ultimi due volumi dei «Gesammelte Werke», dedicati all’estetica e alla
poetica, presentano un aspetto rilevante
dell’attività filosofica di Gadamer, che
non ha un interesse solo per l’estetica,
ma coinvolge l’intera elaborazione gadameriana di un’ermeneutica generale.
Con Verità e metodo Gadamer si proponeva, partendo da Husserl e Heidegger,
di liberare la teoria della conoscenza
filosofica dal predominio di una concettualità legata alle scienze empiriche e di
far valere la specificità dell’esperienza
del “comprendere”. A tal proposito, un
tipo d i con oscen za c he, se con do
Gadamer, poteva fungere da modello
alternativo era quello della phronesis di
Aristotele, espressione di una razionalità legata non alla contemplazione dell’ente, ma alla dimensione della prassi.
Accanto a questa conoscenza, l’arte svolge per Gadamer un ruolo fondamentale.
I saggi e gli studi raccolti in questi volumi non presentano variazioni sostanziali
rispetto alle tradizionali tematiche affrontate da Gadamer, in particolare in
Verità e metodo. Piuttosto, come afferma Gadamer stesso nella “Prefazione”,
questi scritti intendono riaggiustare
«l’equilibrio tra arte e scienza, che costituisce la ragione comune di tutte le scienze dello spirito». Gli studi presentati nel
volume VIII, tra cui: Estetica e verità,
Poetica e attualità del bello, La trascendenza del bello, Dal bello all’arte - Da
Kant a Hegel, L’arte della parola, Sull’arte figurativa, Ai confini del linguaggio
- circoscrivono un orizzonte problematico
in cui è centrale l’analisi del rapporto tra i
linguaggi dell’arte e la concettualità della
filosofia. Il volume contiene inoltre testi
inediti, come Von der Wahrheit des Wor45
tes (La verità della parola, 1971), Wort und
Bild - “so wahr, so seiend” (Parola e
immagine - “così vero, così essente, 1991),
Zur Phänomenologie von Ritual und Sprache (Per la fenomenologia del rituale e del
linguaggio, 1992).
Nella “Prefazione” ai volumi Gadamer
esprime la convinzione che «ogni teoria,
e così anche la teoria ermeneutica, deve
avere il proprio sostegno nella prassi
ermeneutica». Così, i saggi presenti nel
volume IX, dedica ti tra l’altro a
Hölderlin, Goethe, George, Rilke, Celan, intendono, da una parte, verificare i
principi generali dell’ermeneutica, elaborata in Verità e metodo, dall’altra, si
propongono di «servire al compimento,
attraverso il quale la poesia può diventare l’interlocutrice di un dialogo di riflessione». Convinzione di fondo che guida
questi saggi è che «tra il linguaggio della
poesia e l’invenzione linguistica del pensiero filosofico corrano fili particolari».
In tal senso, la prospettiva proposta da
Gadamer è più quella di una «partecipazione alla poesia», che quella di rendere
quest’ultima oggetto di una considerazione “scientifica”.
Nel suo Erkenntnis des Erkannten. Zur
Hermeneutik des 19. und 20. Jahrhunderts (Conoscenza del conosciuto. Sull’ermeneutica del XIX e del XX secolo,
1990) Frithjof Rodi critica la contrapposizione sviluppata da Gadamer tra ermeneutica “tradizionale” e “filosofica”,
dov e l’ermen eutica filoso fica d i
Heidegger e dello stesso Gadamer costituisce un superamento dell’ermeneutica di Schleiermacher, Boeckh, Dilthey,
ancora legata all’ambito particolare delle scienze dello spirito. Nel contestare la
costruzione gadameriana della storia dell’ermeneutica, l’intenzione di Rodi è
quella di affermare il significato che
Dilthey e Georg Misch, prosecutore di
una linea “diltheyana” dell’ermeneutica, rivestono ancora oggi per la discussione filosofica. Le osservazioni di Rodi
sono state parzialmente recepite e accettate da Gadamer in una sua recensione
dell’opera di Rodi (e di altri testi legati
all’ambito della Dilthey-Schule) apparsa nella rivista «Philosophische Rundschau» (n. 38, 1991). A proseguire questo dialogo tra Gadamer e i pensatori e
gli studiosi che si preoccupano di tenere
viva l’eredità della filosofia di Dilthey
viene ora, con il titolo Wahrheit und
Methode. Der Anfang der Urfassung
(Verità e metodo. L’inizio della stesura
originaria), a cura di Jean Grondin e
Hans-Ulrich Lessing, la pubblicazione
nel “Dilthey-Jahrbuch für Philosophie
und Geschichte der Geisteswissenschaften” della parte iniziale della prima versione di Verità e metodo, databile attorno al 1956. M.M.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Wittgenstein: psicologia, etica,
estetica e architettura
Con il titolo
LETZTE SCHRIFTEN ÜBER DIE
(19491951). DAS INNERE UND DAS AUSSERE (Ultimi scritti sulla filosofia della psicologia, 1949-1951. L’interno e l’esterno, a
cura di G. H. von Wright e H. Nyman,
Suhrkamp, Francoforte s/M. 1993)
sono stati pubblicati in Germania gli
appunti manoscritti inediti di Lugwig
Wittgenstein sulla grammatica dei
concetti psicologici. Manoscritti e
appunti dattiloscritti sull’estetica e
l’etica sono invece pubblicati nel volume VORLESUNGEN UND GESPRÄCHE ÜBER
ÄSTHETIK, PSYCHOANALYSE UND RELIGIÖSEN
GLAUBEN (Lezioni e discorsi sull’estetica, psicoanalisi e fede religiosa, Pererga, Düsseldorf 1994). Un’ulteriore
testimonianza dei molteplici interessi scientifici di Wittgenstein, questa
volta impegnato nel campo dell’architettura, ci viene dalla monografia
di Paul Wijdeveld, LUDWIG WITTGENSTEIN,
ARCHITECT (Ludwig Wittgenstein, Thames and Hudson, London 1993), che
ci informa del progetto, elaborato da
Wittgenstein, nell’estate del 1926, insieme all’architetto Paul Engelmann,
per la costruzione della nuova casa
della sorella Margarethe Stonborough-Wittgenstein.
PHILOSOPHIE DER PSYCHOLOGIE
Dopo aver terminato la prima parte delle
Ricerche filosofiche, Ludwig Wittgenstein
lavorò dal 1947 al 1948 alla stesura di
nuovi manoscritti, contenenti osservazioni
quasi esclusivamente dedicate alla natura
dei concetti psicologici. La maggior parte
del materiale elaborato venne pubblicato
con il titolo: Bemerkungen über die Philosophie der Psychologie (Osservazioni sulla filosofia della psicologia), rielaborato in
seguito insieme ad alcuni abbozzi dattiloscritti precedenti, che vennero pubblicati
come seconda parte delle Ricerche filosofiche, mentre le versioni precedenti vennero
pubblicate con il titolo: Letzte Schriften über
die Philosophie der Psychologie (Ultimi scritti sulla filosofia della psicologia). Nel 1992
Elizabeth Auscombe e Georg Henrik von
Wright, ne hanno pubblicato un secondo
volume, che raccoglie gli appunti preparatori ai manoscritti da cui Wittgenstein trasse la
seconda parte delle Ricerche. I manoscritti
delle versioni preliminari della seconda parte delle Ricerche sono invece presenti nel
recente volume: Letzte Schriften über die
Philosophie der Psychologie (1949-1951).
Das Innere und das Außere
Il tema di fondo delle analisi presenti in
questi manoscritti riguarda la “grammatica
dei concetti psicologici”, che rappresenta il
tentativo di Wittgenstein di avvicinarsi alla
capacità dell’uomo di abbracciare il proprio spazio psichico privato, mentre agli
altri esseri è dato di coglierlo solo in modo
mediato, attraverso manifestazioni esteriori. Tuttavia, fa notare Wittgenstein, se il
problema della conoscenza del nostro spazio
interiore privato viene posto acriticamente
in questi termini, si cade nell’errore di credere nella capacità denotativa del nostro stato
interno. In sostanza, Wittgenstein sostiene
che i significati linguistici, fissati attraverso
«atti spirituali interiori», sono fittizzi. Se
prendiamo, ad esempio, la parola “sapere”,
risulta chiaro che noi non “conosciamo”
l’uso significativo di questa parola a partire
dai nostri pensieri, sensazioni o percezioni,
ma «semplicemente l’abbiamo».
Anche qui Wittgenstein utilizza l’esempio
paradigmatico dell’esperienza del dolore:
«se vogliamo “sapere” il dolore degli altri,
non possiamo, nello stesso tempo, saper
nulla del nostro proprio dolore», proprio
perché in questo modo, riterremmo giustificabili i dubbi sulla “nostra” sensazione di
dolore, che sono però cancellati dal nostro
“sapere”. Questo naturalmente non significa, come per i comportamentisti, che il dolore non sia altro che «il comportamento del
dolore». Le manifestazioni del dolore di
un’altra persona non hanno, per Wittgenstein,
il carattere di una deduzione che dai sintomi
giunge ad una interiorità nascosta. L’interno
(Innere) non è altro che una «finzione grammaticale»: i sintomi esterni semplicemente
“mostrano” che una persona prova dolore,
ma questo non permette la loro attribuzione
ad un’interiorità che è “conosciuta” solamente come esperienza propria. Naturalmente queste osservazioni riguardano la distinzione tra “esterno” e “interno”, una distinzione che ha solo un carattere logicogrammaticale, perché è solo il nostro atteggiamento che dà i criteri per l’attribuzione di
predicati psicologici. L’indeterminatezza
dello psichico si chiarisce per Wittgenstein
attraverso l’uso della parola “psichico”.
Il problema del rapporto “interno-esterno”,
rimanda alla distinzione, in un certo senso
costitutiva dell’intero pensiero di
Wittgenstein, tra ciò che può essere “detto”
e ciò che può essere solo “mostrato”. Proprio all’interno di questa distinzione si inseriscono le ricerche in ambito estetico ed
etico, pubblicate con il titolo: Vorlesungen
und Gespräche über Ästhetik, Psychoanalyse und religiösen Glauben. In queste
ricerche, Wittgenstein mette in dubbio la
possibilità di giungere a un fondamento sicuro per la filosofia, la scienza e l’etica, per la
quale «non è data alcuna proposizione che
per un senso elevato sia importante o insignificante». Ciò che fonda il significato è l’uso
linguistico delle proposizioni. M.C.
Accanto all’impegno scientifico, tra i molteplici interessi intellettuali di Wittgenstein
figura anche l’architettura, che egli ebbe
modo di praticare in particolare, secondo
quanto ci riferisce Paul Wijdeveld, in occasione della progettazione, nell’estate del
1926, insieme all’architetto Paul Engelmann, della nuova casa della sorella Margarethe Stonborough-Wittgenstein. Nella
Ludwig Wittgenstein
46
PROSPETTIVE DI RICERCA
Casa di Margarete Stonborough Wittgenstein a Vienna
sua monografia, Ludwig Wittgenstein, Architect, Wijdeveld ci presenta, con una
dettagliata documentazione fotografica e
disegni tecnici, gli stadi di sviluppo del
progetto, con i vari problemi di progettazione, estendendo l’analisi anche al contesto biografico e culturale dei filosofi, degli
artisti, dei pittori e dei musicisti nella Vienna di inizio secolo, per cercare le connessioni tra l’opera di Wittgenstein architetto
e il suo pensiero estetico.
Engelmann, uno dei primi allievi della scuola privata di architettura fondata da Adolf
Loos a Vienna nel 1911, conobbe Wittgentein nell’autunno del 1916 a Olmütz in
Moravia, dove il filosofo era giunto dopo
aver studiato ingegneria meccanica alla
Technische Hochschule di Berlin-Charlottenburg, ingegneria aeronautica all’Università di Mancester ed aver approfondito i
suoi interessi filosofici dal 1911 all’Università di Cambridge con Bertrand Russell
e George Edward Moore. Del progetto della villa Stonborough-Wittgenstein Wijdeveld individua due prototipi in un progetto
di Engelmann, ancora studente, pubblicato
da Loos nel 1913, e in un progetto di Loos
non realizzato del 1921 per il Palais Bronner di Vienna. Entrambi i progetti si ispiravano alla concezione spaziale di Loos, secondo cui una casa deve essere progettata
dall’interno verso l’esterno, cioè la planimetria e la volumetria di una casa deve essere
l’organizzazione di una serie di spazi cubici
concepiti secondo la loro specifica funzione,
piuttosto che come anonimi spazi condizionati dalle necessità della facciata.
Quando, nell’estate del 1926, Wittgenstein
iniziò ad occuparsi della progettazione della
villa della sorella, la forma essenzialmente
cubica, data da Engelmann alla casa, era già
stata definita. Al progetto Wittgenstein era
stato invitato dalla sorella a collaborare con
Engelmann, con l’intento terapeutico di dare
sfogo alla sua maniacale attenzione per i
particolari. In questa prospettiva, e anche
tenendo conto dalla dichiarata ammirazione
di Wittgenstein per l’architetto barocco viennese Fischer von Erlach, Wijdeveld conclude che il vero contributo progettuale del
filosofo viennese sta nella sua abilità di
trascendere il modello della moderna villa
suburbana, proposta da Engelmann, per giungere a un equivalente moderno del barocco
“palazzo cittadino” (Stadtpalais). Gli altri
interventi di Wittgenstein si concentreranno
essenzialmente sulla proporzione, la simmetria e i dettagli della costruzione, nella proposta di un linguaggio architettonico di grande
esattezza e precisione, che rimuovesse ogni
decorazione classica presente nel progetto di
Engelmann, che veniva ridotto «a un’austera composizione di linee, piani e volumi».
Egli stesso espresse questa concezione architettonica nel 1930, nei Vermischte Bemerkungen (Osservazioni varie), affermando che «quello che differenzia un cattivo
architetto da uno buono è che il primo
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soccombe ad ogni tentazione, mentre il
secondo vi resiste».
In questa concezione degli strumenti architettonici come afferenti ad attività di vita,
non si può non vedere in trasparenza le
premesse del Tractatus («quanto può dirsi,
si può dire chiaro, e su ciò di cui non si può
parlare, si deve tacere») e la sua teoria della
significazione (solo se una espressione si
riferisce a qualche cosa è significante). In
particolare, ciò che attirò maggiormente
l’attenzione di Wittgenstein fu la progettazione degli oggetti metallici, porte metalliche e accessori delle finestre, serrature e
saliscendi. Wijdeveld individua la ragione
per cui questi oggetti semplici e pratici
dovevano essere perfetti nella teoria estetica di Wittgenstein, nel loro essere potenzialmente oggetti di pensiero e di contemplazione estetica.
In data 7 ottobre 1916 Wittgenstein annota
nel suo diario: «l’opera d’arte è l’oggetto
visto sub specie aeternitatis; e la vita buona
è il mondo visto sub specie aeternitatis.
Questa è la connessione tra arte ed etica».
In un altro brano dei Vermischte Bemerkungen Wittgenstein afferma che «l’architettura è un gesto. Non ogni movimento
del corpo umano guidato da uno scopo è un
gesto. Niente è più progettato e costruito
per uno scopo del gesto architettonico». Il
concetto di gesto, così inteso, si avvicina ai
concetti di stile e buone maniere che
Wittgenstein formulerà nelle lezioni di este-
PROSPETTIVE DI RICERCA
tica del 1938 a Cambridge, dove l’esempio
proposto sarà quello del taglio di un abito.
A questo proposito, Wittgenstein spiega
che il giudizio estetico sta in questo caso
nell’apprendimento delle regole della sartoria e nella comprensione delle tecnologie
usate, della possibilità data dai materiali e
della tradizione della confezione degli abiti. In alcuni luoghi della casa il conflitto tra
il concetto ideale intellettuale di equilibrio
e simmetria e la realtà non totalmente malleabile dell’edilizia, che chiede ogni sorta
di compromessi, venne risolto dal filosofo
con muri artificialmente spessi o con l’introduzione di falsi muri. Così Wittgenstein
arrivava a confidare ai suoi studenti del
corso di estetica che le difficoltà a cui deve
fare fronte la filosofia non sono niente
rispetto a quelle dell’architettura.
Wijdeveld conclude il suo saggio affermando, di Wittgenstein, che «tutto ciò che
egli poté raggiungere nella ricerca dell’autenticità fu l’affermazione della purificazione come risposta alla debole e inautentica architettura contemporanea». Questo
giudizio si pone in linea con la riflessione
che Wittgenstein svolse nei Vermischte
Bemerkungen, dove da una parte osserva
che la casa costruita per la sorella fu più il
«prodotto di un indubbio orecchio, di buone maniere e espressione di una grande
comprensione (di una cultura ecc.)», che
non l’espressione di una forza di «vita
primordiale, di vita selvaggia»; dall’altra
afferma che «l’architettura rende immortale e glorifica una cosa. E non ci può essere
nessuna architettura, quando non c’è nulla
da glorificare». M.G.
Scholem
tra Berlino e Gerusalemme
E’ uscita di recente in Germania la
traduzione tedesca della versione
ampliata dell’autobiografia di Gershom Scholem VON BERLIN NACH JERUSALEM. JUGENDERINNERUNGEN (Da Berlino a
Gerusalemme. Ricordi di gioventù,
trad. ted. dall’ebraico di M. Brocke e A.
Schatz, Jüdischer Verlag im
Suhrkamp-Verlag, Francoforte s/M.
1994). Contemporaneamente, di Scholem è apparso il primo volume dei
BRIEFE (Lettere, vol. I: 1914-1947, C. H.
Beck, Monaco di Baviera 1994). A metà
strada tra il biografico e il teorico,
entrambe le pubblicazioni documentano la maturazione dell’appassionata ricerca dello studioso tedesco di
origine ebraica sulla questione del sionismo nel XX secolo.
I ricordi autobiografici degli anni giovanili
di Gershom Scholem sono la rimemorazione storica di uno scambio di luoghi,
dello scambio tra Berlino, dove egli nacque
nel 1879, e Gerusalemme, sua residenza
dal 1923. Già nel 1974, a settantasette anni,
Scholem aveva rievocato, nel corso di un’intervista in ebraico, la sua giovinezza a
Berlino, la sua vocazione allo studio della
cabbala e la sua decisione di emigrare a
Gerusalemme. Questa intervista costituì la
base per la versione tedesca delle Jugenderinnerungen, che lo studioso pubblicò in
occasione del suo ottantesimo compleanno. Cinque anni dopo, nel 1982, nell’anno
della sua morte, Scholem presentò al pubblico israeliano la traduzione dell’opera in
ebraico, arricchita di numerose aggiunte
rispetto all’edizione originaria. Tale versione ampliata appare ora nella traduzione
tedesca di Michael Brocke e Andrea Schatz. Così quest’opera trova la propria effettiva collocazione tra due lingue e due mondi culturali. Le reciproche traduzioni ci
restituiscono la storia di una vita, della
lunga strada che da Berlino porta a Gerusalemme, dello scambio di luoghi, di cui
Scholem ripercorre le tracce nel ricordo.
Ma Von Berlin nach Jerusalem è anche
molto di più: è la storia degli ebrei berlinesi, la storia del sionismo, della lingua e della
scienza ebraica, della rinata ricerca sulla
cabbala, della nascita della Palestina; è storia
di testi, ma soprattutto di esperienze vissute,
di incontri e di uomini, molti dei quali protagonisti ancora oggi; altri ormai dimenticati.
La stessa stimolante atmosfera, a metà strada fra il biografico e il teorico, emerge dai
Briefe di Scholem. Il primo volume (ne
sono previsti altri due) documenta in particolare gli anni 1916-1918, decisivi per la
formazione culturale e spirituale di Scholem. Nella forma specifica dello scambio
epistolare, luogo di riflessione non meno
che mezzo di comunicazione, affiorano gli
stessi temi e problemi che caratterizzano
l’opera autobiografica.
Una sola questione, complessa e drammatica, ha attratto l’interesse di Scholem fin
dalla giovinezza e ha rappresentato l’oggetto privilegiato dell’appassionata ricerca
di una vita: la “questione ebraica”, vissuta
come recupero della tradizione ebraica,
quale luogo intellettuale, religioso e politico di un autoritrovamento spirituale. Cresciuto in una famiglia piccolo borghese di
ebrei assimilati, Scholem presto si rese
conto che la sopravvivenza della propria
cultura nella Berlino dell’epoca era affidata a pochi relitti: qualche modo di dire,
qualche espressione tipica, conservata e
tramandata nel linguaggio quotidiano. Fu
proprio, invece, l’apprendimento solerte e
appassionato della lingua ebraica (Scholem studiò anche matematica e filosofia) a
costituire l’occasione per percepire la straordinaria ricchezza di quel passato dimenticato. E proprio la lingua rappresentò per
Scholem la prima grande provocazione. La
traduzione in tedesco di testi biblici e neoebraici non significò per lui soltanto
un’esperienza intellettuale, ma influenzò
profondamente il suo punto di vista nella
definizione di una corretta forma di sionismo da parte degli ebrei tedeschi. La lingua
48
ebraica diviene per Scholem molto di più che
un mezzo di trasmissione culturale: è il punto
di vista privilegiato da cui iniziare la ricerca
del nucleo mistico della tradizione ebraica.
Secondo Scholem, erano tre le soluzioni
possibili per l’ebraismo tedesco: l’assimilazione civile, che nel crescente antisemitismo gli apparve non solo irrealizzabile ma
anche illusoria e autorinunciataria (di qui la
dura polemica con Cohen e il suo discepolo
Franz Rosenzweig); il socialismo, mutuato
dal confronto con Walter Benjamin, documentato da un epistolario, e con il fratello
Werner, assassinato dai nazisti a Buchenwald; e infine, ciò per cui opta Scholem, il sionismo. Scrive infatti Scholem nei
Jugenderinnerungen: «Io non ho più alcuna speranza nell’amalgama ebreo-tedesca,
e attendo il rinnovamento dell’ebraismo
solo dalla sua rinascita nella terra di Israele». Tuttavia il sionismo di Scholem non
era principalmente politico, quanto piuttosto culturale. Il sionismo a cui egli si ispirava, infatti, non era quello tipico del XIX
secolo, teso ad affrancare gli ebrei dal loro
estraneamento sociale e politico, ma quello
sviluppatosi nel XX secolo, un sionismo
cioè estraniato dalla propria tradizione e
desideroso di ritornare all’origine. Da questo punto di vista risulta comprensibile il
severo giudizio di Scholem su Horkheimer, cui fa da contrappunto la decisione di
dedicarsi allo studio della Cabbala, la filosofia «segreta» dell’ebraismo.
Nel 1923 Scholem lascia la Germania e
l’Europa per stabilirsi in Palestina, dove
può sperimentare il sionismo in una forma
più concreta, le differenti strategie politiche del movimento per la liberazione della
Palestina e l’inizio del confronto con gli
Arabi. E proprio in questa terra, presa nel
vortice degli eventi, la sua speranza per il
futuro del sionismo comincia a incrinarsi.
Il confronto tra l’anima mistico-religiosa e
quella politica del sionismo sembrava non
poter generare altro che sangue.
Alla fine della seconda guerra mondiale
l’Università di Gerusalemme assegna a
Scholem una missione di grande significato. Nel corso di un viaggio attraverso l’Europa, che dopo Praga, Londra e Parigi lo
riporta per breve tempo anche in Germania, egli deve ritrovare ciò che resta delle
migliaia di libri saccheggiati dalle biblioteche ebraiche. L’impressionante resoconto
di quel viaggio è pubblicato nel primo
volume dei Briefe sotto forma di brevi
annotazioni. Rientrato in patria, il 5 Dicembre del 1947 Scholem festeggia con
amici e studenti il suo cinquantesimo compleanno, mentre in Palestina domina il terrore. In questi giorni drammatici lo studioso rileva come nella fondazione di uno
stato ebraico «ci viene posta ancora una
volta e in forma più rigorosa la domanda
sull’ebraismo e sulla tradizione ebraica, e
su chi sia consapevole di ciò che accade e di
quale via gli ebrei seguiranno nel loro stato.
Io vivo nella disperazione, e solo fuori dalla
disperazione posso fare qualcosa». A.Mo.
NOTIZIARIO
Risale al 1976 l’iniziativa della Bayerische Akademie der Wissenschaft di
pubblicare un’edizione storico-critica delle opere di Schelling; da allora
l’impresa, che si concluderà solo dopo
aver dato la luce a ben ottanta volumi,
è andata avanti piuttosto lentamente
(il che non deve stupire, considerata
la cura con cui essa viene portata
avanti). Si giunge ora, intanto, come
ultimo prodotto di questa iniziativa
editoriale, alla pubblicazione del volume integrativo agli SCRITTI DI
NOTIZIARIO
FILOSOFIA DELLA NATURA DI
SCHELLING: Wissenschaftshistori-
scher Bericht zu Scxhellings naturphilosophischen Schriften 17971800, «Historisch-kritische Ausgabe», Ergänzungsband zu den Bänden 5 bis 9 (Relazione storico-scientifica sugli scritti di filosofia della
natura di Schelling 1797-1800, «Edizione storico-critica», Volume integrativo ai volumi 5-9, Verlag Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1994). Con questo volume,
frutto di un decennio di attento lavoro, Manfred Durner, Jörg Jantzen e
Francesco Moiso hanno voluto dare
un quadro degli orientamenti scientifici, o para-scientifici, e comunque
inerenti alla ricerca fisica, presenti
al tempo in cui Schelling dava vita
alla sua filosofia della natura. Chimica, magnetismo, elettricità, galvanismo, fisiologia sono le discipline che vengono esplorate nella condizione in cui dovettero presentarsi a
Schelling come base per le sue riflessioni sulla filosofia della natura.
Finora, non era stato mai stato indagato lo sfondo su cui si staglia la
filosofia della natura di Schelling,
anche perché si tratta di un approccio
alla conoscenza della natura che doveva ben presto essere accantonato in
nome di altri paradigmi scientifici,
ritenuti più adeguati, poiché proponevano un rapporto di indifferenza
qualitativa, se non di vera e propria
ostilità pratica, tra l’uomo e la natura, ai fini di una migliore possibilità
di dominio di quest’ultima. Così,
attraverso le riflessioni di Schelling,
emerge un universo di ricerca e di
approccio alla natura che costituisce
una sorta di rimosso della nostra
razionalità scientifica. Il volume si
chiude con un’ampia e dettagliata
bibliografia. G.B.
Dopo i due volumi consacrati all’economia di Marx e quello dedicato alla filosofia, Maximilien Rubel
riunisce in Politique (Politica, Gallimard, Paris 1994) alcuni degli
SCRITTI POLITICI DI MARX. Trattandosi di testi che Marx ha redatto
tra i 24 e i 30 anni, non hanno la
notorietà de Il Capitale, ma sono
utili per capire l’ultimo tratto della
sua formazione. La rivoluzione e
controrivoluzione in Europa intorno
al 1848, il senso della Rivoluzione
del 1789, le lotte di classe in Francia,
sono questi alcuni dei temi più ricorrenti nei vari scritti, trattati in modo
incisivo, come dimostra l’esordio di
uno di questi, 18 Brumaio di Luigi
Buonaparte: «Gli uomini fanno la
loro storia, ma non la fanno in circostanze liberamente scelte; queste, al
contrario, le trovano già fatte, date.
Eredità del passato. La tradizione di
tutte le generazioni morte pesa come
un incubo sulle teste dei vivi». La
perspicacia di queste analisi non è
annullata dalla presenza in esse di
previsioni o profezie non realizzate:
sono anzi proprio questi errori che,
come voleva Popper, conferiscono a
un Marx fallibile il suo statuto scientifico, liberandolo da quello leggendario o agiografico.
Di grande interesse l’elaborazione dei
pensieri di Marx sullo Stato, che non
sono mai stati riuniti in un trattato e
che Rubel analizza e commenta con
cura nell’ “Introduzione”. “L’opera
di Marx è nella sua interezza una lotta
teorica e politica contro l’assolutismo”, sintetizza Rubel parlando di
colui che ha dovuto subire l’esilio
perché ritenuto un sovversivo, a causa degli articoli pubblicati nella sua
«Neue Rheinische Zeitung», che ora
compaiono in questo volume.
Che gli scritti del giovane Marx sono
soprattutto scritti di lotta lo dimostra
anche un’altra recente pubblicazione
in area francese a cura di Kostas Papaioanou, Ecrits de jeunesse (Scritti
giovanili, Quai Voltaire, Parigi 1994).
Lotta di Marx contro la filosofia, contro Hegel, contro se stesso e le sue
produzioni, che abbandonava senza
portare a termine. Il volume comprende la Critica del diritto hegeliano (manoscritto del 1943/44) e la
Critica dell’economia politica (manoscritto del 1844). A.Mo.
lo. L’epoca barocca, con la sua polifonia infinita, costituisce una sorta di
sottofondo dello spirito dei Lumi.
L’idea totalizzante di una conoscenza autenticamente enciclopedica si
sposa, nella collana, a un pluralismo
di analisi e posizioni che offre al
lettore non solo strumenti di informazione, ma anche di costruzione di
«sistemi di comprensione del mondo» - in filosofia, si passa da Leibniz,
a Spinoza, a Hobbes (il volume sulla
sua etica politica è curato anch’esso
da Angoulvent); in ambito religioso,
dallo studio del giansenismo a quello di anglicanesimo e cattolicesimo.
Allo scopo di evidenziare tale dimensione, è stato da poco pubblicato
un indice tematico generale che, in
530 pagine, fa lo spoglio dei titoli
disponibili, attraverso un sistema di
riferimento per nomi, dottrine, scuole e concetti, consentendo a ciascuno
di intrecciare la propria personale
trama conoscitiva.
La formula di questa collana di successo - in cui grafica, dimensioni e
numero di pagine (128) dei volumi
sono rimasti invariati da cinquant’anni a questa parte - non ha mancato di
stuzzicare altri editori, che hanno
cercato di riproporne le caratteristiche vincenti: una sintesi che tiene
conto dell’attualità delle conoscenze sull’argomento trattato, a firma di
specialisti di chiara fama. Ecco allora apparire altre quattro collane dalla
comune vocazione enciclopedica:
«Découvertes» di Gallimard, «Optiques» di Hatier, «Dominos» di
Flammarion e «Repères» de La Découverte.
Nata tre anni fa per coprire l’ambito
delle scienze umane, «Optiques» ha
pubblicato una cinquantina di titoli e
da un anno si è arricchita di una sezione di filosofia. Destinata a un pubblico universitario - la scelta degli argomenti riposa anzitutto sui programmi
dei corsi - è caratterizzata da grande
chiarezza espositiva. I prezzi contenuti hanno come conseguenza l’assenza di illustrazioni e la tiratura limitata (con possibilità però di ristampa a richiesta).
«Repères», creata nel 1983, si sviluppa in cinque sezioni: storia, economia, sociologia, diritto e gestione.
200 i titoli in programma, 152 pubblicati, di cui 140 tutt’ora disponibili e
tutti aggiornati con regolarità: ogni
edizione ha meno di due anni. Gli
La nota collana «QUE SAIS-JE?»,
edita dalle Presses Universitaires de
France, celebra i 54 anni della propria
esistenza con l’uscita del tremillesimo titolo: L’Esprit baroque (Lo Spirito barocco), a cura di Anne-Laure
Angoulvent, nipote dell’ideatore della collana, nonché attuale direttrice
editoriale. Questo numero celebrativo mette in luce come lo spirito dell’enciclopedia tascabile più famosa
di Francia non vada ricercato solo
nell’ideale illuminista, ma altresì nel
miscuglio di insaziabile curiosità erudita, inventività politica, sensibilità
estetica e morale del periodo che immediatamente precede il XVIII seco-
49
autori sono specialisti della materia,
spesso legati da un rapporto continuativo con la casa editrice, La Découverte, come è il caso di Etienne
Balibar. Il prezzo è contenuto: 128
pagine, nessuna illustrazione e tiratura limitata a 7000 copie con ristampa
a richiesta. Il pubblico è quello studentesco, presso cui la collana gode
di ottima reputazione.
«Dominos», diretta a Michel Serres e
Nayla Farouki, ha introdotto le illustrazioni a colori in una formula a
duplice approccio: un’esposizione
dell’argomento, finalizzata alla comprensione, e un saggio, finalizzato
alla riflessione, redatti da uno stesso
autore, specialista della materia. Fondata da un anno, ha raggiunto da poco
la quarantina di titoli. Ciò che la avvicina a «Que sais-je?» è il fatto di
mirare a un pubblico il più vasto possibile e il ricorso alle migliori firme,
oltre, ovviamente, il prezzo economico e il tetto delle 128 pagine.
Pur conservando gli stessi principi
delle precedenti collane (numero di
pagine e prezzo fissi), «Découvertes» di Gallimard è quella che ha
maggiormente puntato sull’illustrazione e la quadricromia.
In attesa degli adeguamenti alle nuove tecnologie (edizioni in CD-Rom di
tutto il catalogo) e dell’introduzione
di illustrazioni a colori (cosa che
Angoulvent prevede di fare entro due
anni), la storica «Que sais-je?» può
vantare di aver risvegliato l’ideale
enciclopedico dei Lumi e quello eclettico del Barocco nel mondo dell’editoria francese. D.F.
Con il titolo: La Recherche de la
langue parfaite è stata tradotto in
francese da Jean-Paul Manganaro,
con prefazione di Jacques Le Goff,
LA RICERCA DELLA LINGUA
PERFETTA di Umberto Eco, in cui
l’autore prodiga con virtuosismo il
suo sapere enciclopedico. La ricerca
della lingua perfetta è un’ossessione
molto antica: secondo alcuni, essa è
esistita in origine e bisognerebbe ritrovarla. Secondo altri, è da inventare
e, benché in perdita, molti grandi spiriti si sono impegnati nell’impresa Bacone, Comenius, Leibniz. In Occidente, i primi tentativi sono stati ispirati dai versetti biblici in cui si parla di
una lingua unica, precedente alla dispersione della torre di Babele. Il plurilinguismo sarebbe stato effetto della
maledizione divina. Eco descrive gli
sforzi instancabili di cabalisti, mistici
e filosofi per ritrovare e identificare la
lingua originaria nel corso dei secoli.
Vi è poi il versante di coloro che, come
Lullo e Nicolò Cusano cercano un
lingua filosofica universale, fondandosi su una combinatoria matematica:
l’ars magna vanterebbe tra le proprie
prerogative anche quella di riuscire a
convertire gli infedeli. Accanto a questo non mancano tentativi di inventare
una lingua volgare universale - volapük o esperanto - che non escluda
dalla possibilità di comprensione nemmeno le classi più umili.
Se, già per Dante, il genere umano si
NOTIZIARIO
caratterizza in termini positivi per la
comune facoltà di apprendere il linguaggio (a prescindere quindi dai differenti idiomi), nel ‘700 si afferma la
concezione per cui la pluralità delle
lingue è un fatto naturale e socialmente positivo. Ma sarà con i Romantici che la lingua diventerà il segno più prezioso dell’identità di ogni
singolo popolo, il fondamento della
sua coesione: «Le lingue naturali sono
perfette proprio per il fatto di essere
molteplici, perché la verità è multipla
e la menzogna consiste nel fatto di
crederla unica e definitiva.» D.F.
Il 1 novembre del 1755 il clima di
sereno e fiducioso ottimismo che aveva caratterizzato i primi decenni del
secolo dei Lumi fu improvvisamente
oscurato da una catastrofe naturale:
IL TERREMOTO DI LISBONA . La
risonanza di questo evento su poeti e
filosofi fu enorme. Horst Günther ne
ripercorre le tappe nel suo libro Das
Erdbeben von Lissabon erschüttert
die Meinungen und setzt das Denken
in Bewegung (Il terremoto di Lisbona scuote le opinioni e mette in moto
il pensiero, K. Wagenbach Verlag,
Berlino 1994).
La necessità di confrontarsi con la
sciagura di Lisbona ha prodotto secondo Günther un’ “involontaria solidarietà” fra autori anche molto distanti tra loro, ognuno dei quali ha
offerto ai contemporanei un’interpretazione dell’accaduto. Così, ad esempio, il commento di Voltaire al terremoto: «Filosofi illusi, tutto è buono!
Venite e guardate le orrende rovine...», rappresentò una sorta di “ritrattazione dell’Illuminismo”, il congedo di Platone e Leibniz per riabilitare lo scetticismo di Boyle. La liquidazione dell’ottimismo poteva però
sfociare in esiti assai meno incerti:
una sorta di “sismoteologia” interpretò il terremoto di Lisbona quale
punizione divina per un’umanità troppo sicura di sé, dunque come un segno tangibile dell’esistenza di Dio e
della sua volontà di intervenire personalmente nella natura e nella storia.
Kant, dal canto suo, giudicò lo sfruttamento morale della catastrofe
un’imperdonabile impertinenza, e
nello scritto Il fallimento di tutti i
tentativi filosofici nella ‘Teodicea’
dichiarò che la possibilità di riconoscere e interpretare il giudizio divino
oltrepassa ampliamente i confini dell’intelletto umano. Ancora differenti
furono le reazioni di Rousseau, di
Schopenhauer e di altri autori, esaminati da Günther. Forse non è esagerato affermare che solo nel nostro secolo Auschwitz e Hiroschima hanno
rappresentato per poeti e filosofi una
provocazione più grande del terremoto di Lisbona. A.Mo.
«PER COMINCIARE» è il titolo di
una collana edita dall’editore Feltrinelli di Milano, che intende proporre,
attraverso una biografia intellettuale
a fumetti, le tematiche fondamentali
di personaggi celebri, appartenenti al
mondo della filosofia, della psicanalisi e della letteratura. La collana, che
in Inghilterra si chiama «For Begginners» e che sta riscuotendo un successo notevole, ha già prodotto in
Italia quattro volumi: Freud, Jung,
Kafka e Wittgenstein (Feltrinelli,
Milano 1994), con l’aiuto di disegnatori e scrittori diversi. Ogni volume contiene una biografia a fumetti
che scorre parallela alla genesi e alla
presentazione delle opere e del pensiero dell’autore in questione. Il volume su Freud, ad esempio, presenta
contemporaneamente la vita dell’autore, ben inserita nel contesto storico, e i principi psicanalitici attraverso il loro sviluppo cronologico. In
questo modo, si inizia con la risoluzione dei primi casi di isteria e si
termina con la teorizzazione della
pulsione di morte.
Senza dubbio di facile comprensione, i volumi riescono a presentare in
poche battute concetti complessi che,
se talvolta rischiano di essere ridotti
nella loro profondità, acquistano in
generale immediatezza e capacità di
comunicazione. Come già Platone se il paragone non è azzardato - aveva
teorizzato la necessità di accostare il
mito, con le sue immagini, al lògos,
affinchè i lettori comprendessero
meglio il progetto filosofico, così
questa collana si propone di comunicare e diffondere idee, forse ritenute,
sino ad ora, per pochi, attraverso l’uso
comparato dell’immagine, caratterizzata dal fumetto, e dei concetti che
accompagnano i disegni. L’uso dell’immagine spesso facilita la sistematicità e il primo impatto con un
autore. Ad esempio in Wittgenstein,
dove la classificazione visiva di “fatti” e “cose” risulta chiara ed evidente;
o ancora in Freud, dove immagini
più che eloquenti mostrano la sessualità nel bambino. A volte, l’uso
dell’immagine rischia di tradire, anche se parzialmente, le intenzioni
autorali; si pensi, ad esempio, alla
Metamorfosi kafkiana e a come l’autore si sia sempre raccomandato di
non mostrare assolutamente l’insetto, pur così dettagliatamente descritto. Nel fumetto, ovviamente, l’insetto appare in tutta la sua mostruosità
e ci mostra quello che, secondo l’autore, avremmo dovuto solamente
immaginare.
In ogni caso, l’idea del fumetto filosofico segue la tendenza, piuttosto
radicata in questi ultimi tempi, di
semplificare per comunicare un patrimonio culturale rimasto, sinora,
in un alone, quasi, esoterico. Si pensi, ad esempio, al Mondo di Sophie, di
Jostein Gaardner, o al Ritrattino di
Kant ad uso di mio figlio, di Massimo
Piatelli Palmarini. In tutti questi casi
la proposta è quella di fornire un aiuto
alla comprensione di argomenti ampliamente articolati e di difficile accesso. Per questo, anche se non con
l’intento di esaurire la complessità
dei concetti proposti, questi volumi
offrono sicuramente un più che valido strumento, da usare insieme all’esposizione concettuale, per la diffusione della filosofia. A.S.
Il sogno di condurre a buon fine
un’opera architettonica e la difficoltà della realizzazione segnarono la
vita di Leon Battista Alberti, da sempre ritenuto uno dei massimi ingegni
del Quattrocento: teorico, storico,
filologo, letterato e padre, con il De
re aedificatoria, della teoria architettonica moderna. La difficoltà di
portare a compimento le proprie idee
- solo due progetti furono conclusi
durante la sua vita: il tempietto del
Santo Sepolcro nella chiesa fiorentina di San Pancrazio e la facciata di
Santa Maria Novella - ha suscitato
un dibattito che si trascina da secoli,
tanto che fino ad oggi nessuno aveva
tentato di presentare collegamento
tra le opere e il pensiero dell’Alberti.
Si è rivelato dunque un appuntamento importante la mostra dedicata a
LEON BATTISTA ALBERTI, allestita a Mantova - città che rappresentò per il «Vitruvio fiorentino» l’utopia del vivere “idealmente” - nelle
Fruttiere di Palazzo Te dall’11 settembre all’11 dicembre 1994.
Curata da Joseph Rykwert e dall’Alberti Group di Edimburgo, diretto da
Robert Tavenor, la mostra interpreta
la figura dell’umanista, «umanissimo di umana eccellenza», percorrendone l’opera e il tempo alla luce
delle possibilità di conoscenza che
gli anni presenti consentono. La presentazione in forma organica del
pensiero albertiano è il risultato di
un lavoro di rigorosa costruzione
filologica, storica e tecnica con l’ampio ricorso delle tecnologie informatiche, presenti accanto a disegni,
incunaboli, medaglie, manoscritti,
dipinti e sculture del tempo provenienti da oltre cinquanta musei e
biblioteche d’Europa e degli Stati
Uniti. Attraversando le sale si intraprende il “cammino” del De re aedificatoria: dall’arte antica, come base
di riferimento, all’armonia presente
nella «musica dei numeri». I numeri
sono quelli elaborati dal computer
dopo che un’indagine fotogrammetrica preliminare ha consentito ai ricercatori di creare una banca dati
contenente il più preciso corpus oggi
esistente di misurazioni delle costruzioni albertiane. Sulla base delle
misurazioni effettuate, sono stati creati modelli computerizzati (computer aid design) dei progetti originali
dell’Alberti, realizzati in modo assolutamente innovativo utilizzando
tecnologie a controllo numerico di
grande efficacia rappresentativa. I
modelli tridimensionali in legno si
presentano come “progetti originali” che permettono un confronto tra
le diverse ipotesi progettuali. Ciò
permette di ripercorrere con rigore
scientifico lo sviluppo “logico” dell’idea albertiana originaria, riuscendo a scomporre la realtà architettonica per analizzarla ed elaborarla allo
scopo di verificare le varie ipotesi,
introdurre nuovi elementi, via via
derivati dai progressi della ricerca, e
consentire continui confronti con i
canoni albertiani di riferimento. I
monumenti sono così ripensati nelle
loro componenti fondamentali e costruiti coerentemente con i dettami
50
teorici dell’Alberti. Proprio per questo i modelli, che rappresentano
l’aspetto più suggestivo della mostra, non si presentano semplicemente come riproduzioni, ma come “ricostruzioni”. In un certo senso dunque l’informatica ha dato “consistenza” al pensiero dell’Alberti con
una ricostruzione virtuale dei principi della prospettiva maggiormente
utilizzati nella pittura del Rinascimento, che introduce il pubblico nel
mondo della proporzione delle opere architettoniche del maestro, proponendone inoltre una traduzione in
termini musicali del mottetto di Dufay, composto nel 1436 per l’inaugurazione della cupola del Brunelleschi a Firenze, che mirabilmente riproduce nella sua struttura armonica
le proporzioni numeriche dell’Alberti. E’ questo un esempio suggestivo dell’ intreccio di vecchio e nuovo, delle numerose opere presenti e
della presenza tangibile delle ricostruzioni delle ipotesi albertiane, che
rispettano le direttive dell’Alberti:
l’edificio è come un reticolato matematico e qualsiasi modifica dei piani
rovinerebbe la «musica dei numeri».
L’ultima sezione della mostra è dedicata all’Alberti umanista, un paragrafo significativo con l’esame della
“città ideale” che per trattatisti (Leonardo Bruni), architetti (Filarete) e
pittori dell’epoca (i maestri delle “tavole” di Urbino, Berlino e Baltimora), diviene un tema di investigazione cruciale. La città ideale del Quattrocento rimane una “visione”, un
regno fuori del tempo e dello spazio,
le cui elaborazioni teoriche risentono in larga misura del pensiero albertiano: la sintesi albertiana delle cosiddette “due culture”, che presuppone e
riflette quella del rapporto tra uomo e
natura, religione e filosofia, tradizione e progresso, teoria della luce e
poetica del colore, pitagorica metafisica del numero e magico ritmo della
musica, e della bellezza come valore
assoluto determinato dalle leggi naturali. Collegando la bellezza architettonica con le leggi naturali che
governano l’uomo, l’Alberti assegna
all’architetto la più grande delle aspirazioni umane, la ricerca dell’armonia universale. M.C.
E’ stato pubblicato, di MARTIN
BUBER , un testo autobiografico: Incontro. Frammenti autobiografici
(Città Nuova Editrice, Roma 1994).
Il titolo Incontro, come ha sottolineato l’autore in una recente intervista,
suggerisce un itinerario a ritroso,
ripercorso fino all’età della giovinezza, attraverso gli interrogativi,
gli scambi culturali e filosofici con
gli intellettuali del tempo. Il ricordo
di un viaggio interiore, la scoperta
dell’amore per la filosofia nella Vienna del primo Novecento, le divergenze con il pensiero nietzscheano,
caratterizzano i capitoli del breve
scritto, che si struttura in poco più di
100 pagine.
La problematica chiave affrontata
da Buber in questo testo è quella del
NOTIZIARIO
significato e l’applicazione della parola nella realtà. Ne scaturisce un
lungo itinerario di ricerca, che si
arricchisce di venature psicologiche,
un “incontro” con il proprio linguaggio e il linguaggio di altri, confronto
che si apre con interrogativi e dubbi
e termina con risposte autentiche,
seppur divergenti. La passione di
Buber per il significato della parola
si ripropone anche nella tematica
religiosa-esistenziale, nella ricerca
di un principio divino, che dia significato alla vita terrena e ultraterrena:
un ulteriore profondo “incontro” fra
la propria anima e Dio, arricchito
dalla fede, ma conquistato anche con
la forza dell’intelletto; un iniziale
enigma che può trasformarsi in illuminazione. D.M.
La FONDAZIONE NAZIONALE
“VITO FAZIO-ALLMAYER” bandisce un concorso nazionale per saggi inediti sul pensiero di Vito FazioAllmayer o su tematiche strettamente aderenti ai suoi interessi. Saranno
assegnati due premi da lire
10.000.000 (dieci milioni) ciascuno,
intitolati rispettivamente a Vito e a
Bruna Fazio-Allmayer. La domanda
di partecipazione dev’essere inviata, unitamente a due copie del lavoro, entro e non oltre il 12 luglio 1995,
al seguente indirizzo: Fondazione
Nazionale “Vito Fazio Allmayer”,
Via Sammartino, 134, 90141 Palermo. Il giudizio della Commissione
giudicatrice, costituita dalla Commissione scientifica operante in seno
alla Fondazione, è insindacabile. I
testi inviati non saranno restituiti. I
saggi dei vincitori saranno pubblicati a cura della stessa Fondazione.
L’assegnazione dei premi sarà effettuata nel corso di una cerimonia indetta dal Presidente della Fondazione, Prof. Epifania Giambalvo
L’ACCADEMIA DI STUDI ITALOTEDESCHI DI MERANO comunica che sono messi a Concorso, per
l’anno accademico 1994/95, sei
premi di studio a favore di laureati o
diplomati di Istituti di grado universitario del biennio 1993/94 e 1994/
95 e sei premi di studio a favore di
studenti universitari laureandi dell’ultimo anno del corso universitario. L’ammontare di ogni premio è di
lire 3.000.000. I lavori di tesi e le
eventuali pubblicazioni, che concorreranno al conferimento dei premi
annuali messi a concorso dall’Accademia, dovranno contribuire all’approfondimento dei reciproci rapporti tra la cultura italiana e quella di
lingua tedesca, vale a dire che dovranno essere argomenti che contribuiscano allo sviluppo delle finalità
dell’Accademia stessa, apportando
così un contributo all’unità culturale
europea. I temi trattati nei vari volumi degli Atti e l’attività stessa dell’Accademia possono costituire materia per tesi di laurea. Il termine di
presentazione delle domande è il 30
novembre 1995. I moduli di partecipazione al Concorso sono disponibi-
li presso la segreteria dell’Accademia stessa, via Innerhofer 1, Merano
(tel. 0473/ 237737.)
mi ad un terreno più ampio di dibattito culturale.
Nella scelta dei testi si presterà particolare attenzione a criteri di leggibilità e di chiarezza espositiva. Questa esigenza si esprime nel tentativo
di proporre libri “leggibili”, anche
nel senso letterale del termine, reagendo, con l’integrazione di elementi
illustrativi, decorativi ed ornamentali, a quell’editoria che non tiene in
alcun conto della noia della pagina questo elenco nudo e crudo di lettere
disposte l’una dopo l’altra. Tra i titoli in programmazione si segnala: Teoria della visione, di George Berkeley (a cura di P. Spinnici), e Mondrian e la musica, di Giovanni Piana.
Con il titolo SENSIBILIA, l’editore
Guerini e Associati di Milano propone una nuova collana, diretta da
Giovanni Piana, che intende conciliare una grande apertura tematica
con la convergenza verso un unico
centro: le cose sensibili, appunto, ciò
che viene colto e affermato nella percezione, nel movimento degli occhi e
della mano; ciò che viene toccato,
udito e in generale “avvertito” vivamente e direttamente con i nostri organi corporei. Questa convergenza
non deve tuttavia far pensare alla falsa contrapposizione tra astratto e concreto; ed ancor meno alla retorica
della concretezza, da cui così a stento
sembra ci si possa liberare. Le cose
sensibili serpeggiano dappertutto, e
tuttavia esse non suggerirebbero certo nessuna riflessione se non vi fosse
un pensiero che, prendendo le giuste
distanze, sappia impossessarsene, traendone problemi. Gli argomenti trascorreranno così dalla filosofia generale all’estetica, alla psicologia della
forma, alle tematiche di fenomenologia della percezione e dell’immaginazione, in un’apertura a tutto campo
per ciò che concerne la varietà di
direzioni in cui questi temi possono
essere trattati. Particolare spazio verrà dato agli interessi di teoria e filosofia della musica. Si tratta di un campo
ricco di problemi, troppo a lungo trascurato, oppure considerato da punti
di vista unilaterali, che merita invece
di essere coltivato al di fuori di linee
di discorso preconcette, nella sua
interazione con le discipline musicologiche, così come nei suoi richia-
La proposta di un’associazione
di studio sul tema “SIMBOLO,
CONOSCENZA, SOCIETÀ” nasce
da un gruppo di studiosi delle Università di Siena e di Bologna, che nei
giorni 24-26 novembre 1994 hanno
organizzato il convegno “Il simbolo
oggi. Teorie e pratiche”, oltre che da
studiosi dell’Università di Lecce, che
hanno organizzato il convegno su
“Metafora simbolo e senso nella cultura contemporanea”, tenutosi appunto a Lecce nei giorni 27-29 ottobre
(gli Atti di entrambi i convegni sono
in corso di preparazione). Fine dell’
“associazione” sarà organizzare incontri di studio e work shops; promuovere pubblicazioni individuali e
collettive; avviare contatti con associazioni analoghe a livello internazionale; costituire un centro bibliografico specializzato; organizzare
iniziative di ricerca specifiche; pubblicare un periodico con saggi, notizie di attività e recensioni di libri e
saggi riguardanti il tema del simbolo.
APPUNTI
Nel numero 21 di «Informazione Filosofica», nell’articolo dal titolo:
Herzen e la sua filosofia (p. 22), Franco Melandri individua alcune
incongruenze laddove si dice che «Herzen prende in considerazione
soprattutto la storia dell’Unione Sovietica e il post-comunismo marxista», o che egli abbia «rivolto particolare attenzione alla caduta del
marxismo come un cambiamento globale del mondo». Infatti, osserva
Melandri, quando Herzen, nel 1850, scriveva Lo sviluppo delle idee
rivoluzionarie in Russia (questo il titolo originario della Breve storia
dei russi) non solo il marxismo era ancora ben lungi dall’affermarsi sia
come teoria rivoluzionaria che come filosofia del regime socialista
sovietico, ma lo stesso Marx era scarsamente conosciuto e considerato, tant’è che non viene nemmeno citato nel testo della Breve
storia...(mentre lo sono Saint-Simon, Bakunin, Proudhon).
Detto tutto questo, aggiunge Melandri, va dato atto ai recensori che
le linee essenziali del pensiero di Herzen vengono presentate, nell’ovvia sommarietà che una recensione permette, in modo tutto
sommato corretto, anche se la frase conclusiva, laddove recita:
«L’assunto principale del pensiero di Herzen è che Natura e storia
non (sottolineatura di Melandri) appartengono a due ordini diversi,
ma formano un’unica realtà in cui le esistenze umane si trovano
immerse e dalle quali sono determinate», contraddice non solo
quanto affermato precedentemente («Storia e natura sono sfere
separate, secondo Herzen, e hanno leggi completamente diverse e un
orizzonte completamente diverso...»), ma rischiano di confondere lo
stesso pensiero herziano che, come detto in altra parte del testo,
rifiuta ogni filosofia della storia ed ogni lettura finalistica del mondo,
rivendicando per gli uomini un agire che faccia perno su scelte e
valori (quali la libertà e la giustizia) che, anche se contraddetti da una
lettura storicistico/finalistica del corso storico, non per questi vanno
abbandonati o pensati come falsi.
51
La definizione della nozione di “simbolo” è al centro oggi di un dibattito
che, se è la dimostrazione della sua
importanza, prova anche come si sia
lontani da risultati universalmente
accettati. Proprio questa “confusione terminologica” può tuttavia servire da punto vivo di contatto tra
semiologi, studiosi di letteratura e di
comunicazioni di massa, antropologi, psicologi e filosofi del linguaggio, per una più precisa definizione
comparativa delle “competenze”
delle diverse discipline, ma anche
per l’individuazione di possibili luoghi di integrazione e reciproco sostegno delle differenti prospettive.
La discussione teorica dovrebbe accompagnarsi ad “applicazioni”, a fenomeni in cui il simbolo agisce
“oggi”, come strumento di conoscenza, di comunicazione, di socializzazione, di evasione, di persuasione:
dove per simbolo non s’intenderà
solo una realtà del linguaggio verbale “naturale”, o/e dei linguaggi “artificiali”, ma anche la simbolicità dei
linguaggi non verbali, degli oggetti,
dei comportamenti, delle istituzioni.
All’Associazione, come suo “supporto” organizzativo, si collegherà, probabilmente, un “Centro interuniversitario di ricerca” sul tema
del simbolo, che intende collegarsi
ad un “Programma di mobilità ricercatori” (TMR), finanziato da
“Erasmus”.
Promosso dalla Stiftung Weimarer
Klassik si è svolto a Weimar dal 21 al
24 marzo 1994 un convegno sul tema:
“ERNST CASSIRER: KULTURKRITIK IM 20. JAHRHUNDERT”.
Finalità saliente di questa iniziativa è
stata quella di approfondire il pensiero di Cassirer tanto nella sua unità
sistematica, quanto nella sua polimorfa ricchezza di temi. Il convegno, che si è svolto sotto la direzione
scientifica di Bernd-Olaf Küppers
(Jena) e di Enno Rudolph (Heidelberg), ha visto la partecipazione di
numerosi studiosi sia europei che di
altri continenti, impegnati in una discussione sul significato e l’attualità
del concetto di cultura proprio della
filosofia cassireriana; una filosofia
che non solo ha cercato di riproporre
il tema dell’unità della realtà attraverso l’impresa di una teoria delle
forme simboliche, capace di stabilire un nesso fra il sapere scientifico e
le altre forme della comprensione
del mondo, ma che ha tracciato anche nuove vie d’indagine sia sul piano della storia spirituale (Rinascimento, Illuminismo), che su quello
relativo ai problemi della nuova fisica (meccanica quantistica, teoria della relatività). Da qui la varietà stessa
dei contributi presentati nel convegno di Weimar. Oltre alle relazioni
introduttive di Küppers e di Rudolph, sono stati svolti interventi da
parte di A. Bolaffi, H. G. Dosch, M.
Ferrari, H. Holzhey, J. M. Krois, S.
Mayer, Yoshihito Mori, E. W. Orth,
H. Paetzold, P. Paret, S. Poggi, O.
Schwemmer, J. Seidengart, I.-O. Stamatescu, H. Turk, F. Volpi. R.L.
CONVEGNI E SEMINARI
Arnold Böcklin, Vita somnium breve, 1888 (part.)
52
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Etica e retorica
Nell’ambito del Corso di Formazione
Superiore in “Teoria e Storia della retorica e della poetica”, da 13 al 16
settembre 1994 Francesca Rigotti dell’Università di Göttingen ha tenuto
all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un seminario dal titolo:
“ETICA E RETORICA”. In occasione della
pubblicazione del suo saggio: IL POTERE
DELLA METAFORA (Feltrinelli, Milano
1994), Rigotti ha sviluppato la tesi dal
punto di vista argomentativo della retorica in ambito etico attraverso un
‘excursus’ filosofico sulla differenza
fra vero e probabile, fra dimostrazione
logica e ragionevolezza discorsiva,
giungendo a mostrare come il nesso di
verità e giustizia rappresenti nella filosofia sociale contemporanea, nell’etimologia e nella mitologia un ‘primum’
concettuale che attraversa le metafore
del vero, del buono e del giusto.
Se retorica ed etica sembrano escludersi a
vicenda, questa contraddizione, ha osservato Francesca Rigotti, deriva dall’irrisolto malinteso che la questione del vero
pone in primo luogo nel campo della filosofia pura e della scienza. Sia per i detrattori, che per i suoi fautori, la retorica occupa il margine che separa il vero dal verosimile, dall’incerto e dal probabile. E’ su
tale margine che la ritrova Descartes prima di scacciarla dal metodo critico, suscitando le reazioni di Vico, che nella Prima
Filosofia respinge il tentativo razionalistico di confinare il verosimile nell’universo
del falso, invece di ricercare le sue radici
nel terreno del senso comune e delle facoltà umane della fantasia e della memoria.
Per la sua funzione liminare, la retorica
riaffiora in tempi di crisi e di trasformazioni, durante i quali è proprio il discorso
“aletico” a rendersi problematico, mentre
sull’arte della persuasione ricadono le accuse di falsificazione del reale, di volontà
di potenza, di manipolazione del consenso, di scambio fra essenza e apparenza, di
futilità, ecc.
La reintegrazione della retorica e del suo
più ricorrente topos, la metafora, nell’ambito delle discipline della filosofia pratica
non può dunque avvenire, ha proseguito
Rigotti, senza la loro reintegrazione nell’intero processo della conoscenza. Riferendosi all’ “atto filosofico unico” di H.
Johnstone, per il quale scoperta e comunicazione non sono momenti separati e successivi, Rigotti ha fatto presente come una
retorica per l’etica miri al superamento del
contrasto fra discorso aletico, fondato su
concetti che sono elaborati alla luce dell’interiorità prima di essere veicolati nella
sfera pubblica, e discorso ornamentale,
che ordina ed espone tali concetti per il
puro piacere comunicativo. Questo contrasto è ineliminabile solo se si resta nella
concezione del vero come evidenza e rivelazione. Nel mito platonico della caverna
fra luce ed ombre non vi è posto per quella
mediazione argomentativa che i principi
del probabile e del verosimile potrebbero
fornire. Con l’esilio dei poeti si consuma
anche il rifiuto per la retorica, bollata per
la sua appartenenza al regno delle opinioni. Nel Gorgia, Platone separa doxa e
aletheia e paragona la retorica alle arti
femminili del belletto e della cucina, al
contrario di Aristotele che vi scorgerà un
metodo, la facoltà di trovare in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere,
anticipando secondo Rigotti quella concezione consensualistica della verità che oggi
rivive nella Teoria della giustizia (1971)
di J. Rawls e nell’Etica del discorso di J.
Habermas (1985).
L’esigenza di ribadire il punto di vista
retorico in filosofia, ha sostenuto Rigotti,
si esplica sotto il segno di Peithò, dea delle
arti forensi. Ma se nella raffigurazione
classica Peithò dispone di una parola dolce
ed appiccicosa come il miele, questo non
vuol dire necessariamente che la persuasione sia l’arte di ingraziarsi il pubblico
con l’inganno, essa apre anche la strada
opposta, affinché il piacere e la seduzione
siano posti al servizio di una verità in
progress, intersoggettiva e di ricerca. La
svolta retorica in etica, ha osservato Rigotti, si realizza, pertanto, nel rinvenimento
di principi d’azione che sono validi per la
volontà di ogni persona ragionevole e che
si ritrovano nel sapere, socialmente diffuso e distribuito. In tal senso, l’enfasi va
posta sull’inventio, intesa come atto di
sutura fra tradizione e individuo, durante il
53
quale l’oratore non è affatto “fuor di metafora”, poiché le metafore toccano il nucleo
concettuale dei problemi affrontati. Come
ha notato Rigotti, questo modello dell’inventio (del creare/ritrovare) non può più
costituire un privato serbatoio di verità
astratte, categoriche o ipotetiche, a cui poi
aggiungere in modo strumentale il rinvestimento delle metafore. L’inventio acquista una dimensione pubblica ed aperta,
richiamandosi al ruolo che “la situazione
linguistica ideale” svolge in Habermas,
secondo il quale quando gli individui sono
in disaccordo sulla verità o sulla giustizia
di un’asserzione, essi devono impegnarsi
a ricercare una norma che assolva ai requisiti di simmetria e bilateralità del discorso
e che metta a fuoco le distorsioni e le
censure che impediscono ad ogni comunicazione fattuale di divenire il luogo utopico della circolazione delle idee.
L’appello a fondare i giudizio di valore
sulla ragionevolezza e sulla tradizione storica, ha proseguito Rigotti, viene dalla
lezione di C. Perelman il quale, in opere
come Retorica e Filosofia (1952), Trattato dell’argomentazione (1958) e Giustizia
e ragione (1963), ha inteso sottrarre le
dottrine “pratiche” al dogmatismo e all’irrazionalità e tenerle distinte dalla filosofia
speculativa. Tuttavia Perelman, pur riconoscendo la validità del ragionamento che
presiede ad una deliberazione e che deve
condurre all’azione non vede che un’etica
retorica; il logos che vuole agire, non si
distingue dal logos che pretende di conoscere: di fatto, entrambe le filosofie hanno
bisogno di argomentare per arrivare alle
conclusioni. La filosofia morale, in quanto
mira ad influenzare gli atteggiamenti di
uditori particolati, si trova esclusa dalla
nozione perelmaniana di “uditorio universale”, al quale il parlante si rivolge senza
ricorrere agli “attrezzi” metaforici e confidando nell’evenienza delle ragioni fornite
e nel loro valore extratemporale e assoluto.
A questa iconografia del vero, Rigotti preferisce sostituire quella della Giustizia che
soppesa le diverse istanze e si decide per la
ragione migliore, cioè più probabile. Le
due idee, ha osservato Rigotti, sono in
realtà imparentate, sia nella comune radice etimologica, sia nella mitologia classica, dove Dike e Aletheia sono sorelle.
CONVEGNI E SEMINARI
Riferendosi a Mosè, che dopo aver ricevuto le Tavole della Legge si copre il volto
raggiante per non accecare il suo popolo,
Rigotti ha associato questo episodio al
“velo di ignoranza” che, nella teoria della
giustizia di Rawls, è necessario, affinché
il patto, che gli individui decidono di contrarre durante la situazione originaria, sia
libero dalle preoccupazioni dei loro particolari interessi. Il gioco del velo sembra
segnalare, ha concluso Rigotti, l’esistenza
di un motore primo metaforico che la cultura ha assegnato al Sole come simbolo
dell’unità delle sue sfere dell’essere e del
dover essere: esso illumina il vero, sprona
all’azione riscaldando i cuori, giudica con
la sua sovrana distanza. F.M.
Il segreto, la testimonianza,
la responsabilità
Dal 23 al 27 maggio 1994, presso la
sede dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici, Jacques Derrida ha tenuto
un ciclo di incontri seminariali sul tema:
“IL SEGRETO, LA TESTIMONIANZA , LA RESPONSABILITÀ”. Durante queste giornate, il
filosofo francese ha tematizzato alcuni dei nodi concettuali della sua ricerca più recente, che non hanno ancora
trovato esito in una pubblicazione.
Aprendo il seminario, Jacques Derrida
ha spiegato come attualmente la sua riflessione si rivolga soprattutto alla questione
della responsabilità, un concetto a cui egli
attinge attraverso le direttrici indicate dalle nozioni di segreto e di testimonianza.
Secondo Derrida, il segreto mette in gioco,
anzitutto, la questione di una possibilità di principio, e non fattuale - del dire, poiché il dire viene presupposto nel segreto,
che in tal modo riceve un vincolo indissolubile con la parola. Sottoposto a un’interrogazione radicale, il segreto deve essere
dunque svincolato dalla parola, deve essere sottratto all’alternativa fra dicibilità e
indicibilità, tra affermazione e negazione.
Il segreto si manifesta come ciò che non
risponde a una domanda; soltanto quest’ultima - non la sua verbalizzazione rappresenta, perciò, l’unica autentica precondizione, affinché il segreto si manifesti.
“Segreto” è anche ciò che disobbedisce a
un ordine, sottraendovisi. Prendendo spunto dal racconto di Melville Bartleby, lo
scrivano, Derrida ha mostrato come l’eroe
melvilliano rappresenti l’archétipo dell’atto di autosottrazione all’alternativa tra imposizione e rifiuto. La celebre affermazione di Bartleby di fronte a qualunque richiesta di collaborazione, «preferirei di no», fa
della parola un luogo sottratto alla realtà
effettuale, propria tanto dell’obbedienza
all’ordine, quanto della sua trasgressione:
l’atto di ribellione, il rifiuto, è escluso
dall’orizzonte di una tale affermazione,
che d’altra parte trascende, con tutta evidenza, anche la mera subordinazione, l’obbedienza pura e semplice. Riprendendo le
analisi di Blanchot, Derrida ha sottolineato come l’affermazione di Bartleby consista in un’abdicazione, inespressa, all’identità, all’unità del sé, alla categoria
dell’Io volente, o agente.
La risposta di Bartleby è legata a un segreto, che egli porta con sé fino alla tomba e
che lo identifica; la responsabilità del proprio segreto colloca Bartleby, in quanto
individuo, in una posizione duplice, se non
ambigua, nei confronti dei rapporti sociali
e, in senso lato, politici, essendo egli depositario di un segreto che, alla stregua di un
funzionario dello stato, di un consigliere
del re o di un umile servitore, non può
rivelare e nei confronti del quale è responsabile. D’altra parte, ha fatto notare Derrida,
proprio nel fatto che tale segreto non viene
rivelato a nessuno risiede la peculiarità di
una posizione che, anziché a quella del
servitore, del subordinato, è piuttosto da
rapportare a quella del re. Tuttavia, che la
posizione di subordinato e quella regale
siano identificabili, ha aggiunto Derrida, è
possibile solo a patto che questo segreto
consista in un “nulla” e che questa responsabilità equivalga anch’essa a un “nulla”:
quel nulla in cui scompaiono tutti i singoli
segreti, tutte le singole responsabilità, ricadendo nell’alternativa fra dire e non
dire, fare e non fare.
Ogni dire, ogni agire, ogni “testo”, ha
proseguito Derrida, provengono da un segreto, rappresentano suoi effetti. Dal punto di vista delle relazioni sociali e di quelle
politiche, il segreto si pone, al contempo,
come l’origine della politica e come suo
scacco: è ciò per cui nasce la politica e di
fronte al quale la politica, in quanto “cosa
pubblica” (res publica), deve arrestarsi.
Inoltre questo segreto, in quanto nulla,
rappresenta anche l’identità dell’individuo, ma non lo costituisce come io; proprio in forza del suo inesplicabile segreto,
l’individuo, pur facendo parte di una moltitudine sociale di individui ad esso simili,
si determina come ab-soluto nei loro confronti. La questione del segreto, ha sottolineato Derrida, fonda dunque quella dell’identità del suo proprietario e, come in
un gioco di specchi, quest’ultima rinvia a
sua volta alla questione della verità, che
riguarda, nel contempo, la verità del segreto e la verità dell’identità di colui che, del
segreto, è depositario.
La questione della verità, posta in questi
termini, viene ricondotta da Derrida a quella
di testimonianza. Come quella di segreto e
di responsabilità, anche la nozione di testimonianza mette infatti in questione l’oggettivabilità di un’identità, intersoggettiva e universale, di ciò che viene attestato,
e di colui che attesta. Commentando alcuni versi di Paul Celan, Derrida ha sottolineato, infatti, l’appartenenza della testimonianza all’ambito della fede e del giuramento. Ciò che separa la prima dalle
54
seconde è il carattere di oggettività, di cui
la testimonianza non gode: la testimonianza può non corrispondere a fatti reali e,
d’altra parte, non consistere in una «falsa
testimonianza». La testimonianza, ha osservato Derrida, risiede nell’esperienza,
singola e irripetibile, di un individuo che,
nella sua insostituibilità, appare come assoluto: la testimonianza non afferma un
fatto, bensì “la credenza in un fatto”. Che
il fatto sia o meno accaduto, nelle modalità
riferite dalla testimonianza, è un segreto,
di cui solo il testimone è responsabile: una
responsabilità che accade, però, verso un
nulla, proprio perché il testimone medesimo, se è veramente tale, cioè in buona
fede, non può vantare, nei suoi confronti, la certezza del cogito: non può, cioè,
vantare il possesso della verità, bensì
soltanto un impegno verso l’una e verso
l’altra. F.C.
Poincaré, filosofo della scienza
In occasione del centoquarantesimo
anniversario della nascita di Poincaré,
dal 14 al 18 maggio 1994, si è tenuto
all’Università di Nancy II il “CONGRESSO
INTERNAZIONALE HENRI POINCARÉ”. Il congresso è stato organizzato dall’ACERHP (Archives et Centre de Recherche Henri Poincaré), di concerto con
le Università di Nancy I “Henri Poincaré” e Nancy II, l’Institut National
Politechnique de Lorraine, oltre che
l’Università di Saarbrücken. Il programma dell’assise contemplava centoquattro comunicazioni e dodici conferenze che sono state articolate in
due sessioni parallele, dedicate rispettivamente alla filosofia e alla logica,
alle matematiche e alla fisica. In occasione del convegno, è stata allestita
una ricca esposizione di materiale
d’archivio inedito nelle sale della
mediateca di Nancy.
Il congresso è stato organizzato secondo
due filoni d’indagine teorica e storicocritica; il primo verteva sulle matematiche, la fisica e la filosofia di Henri Poincaré; il secondo invece su pragmatismo e
fenomenologia in rapporto alle scienze
formali. La mostra era articolata in base a
documenti biografici dai risvolti talora
poco conosciuti, come un romanzo, che
impegnò Poincaré nel 1878 e di cui non
sono rimasti che alcuni paragrafi, già pubblicati a cura di André Bellivier con il
titolo: Henri Poincaré ou la vocation souveraine (1956), o come la presa di posizione in favore della revisione del “processo
Dreyfus”. Ulteriori informazione biografiche sono venute dall’intervento al convegno dello storico François Roth, che ha
ricostruito l’albero genealogico della famiglia Poincaré dal 1700, ripercorrendo
CONVEGNI E SEMINARI
parallelamente l’ascesa sociale che portò
la famiglia a trasferirsi dalla cittadina lorena di Neufchâteau a Nancy e, dalla generazione di Henri in poi, a Parigi.
In rapporto alla questione della scoperta
della relatività ristretta, sollevata dalla celebre memoria di Poincaré del 1905 sulla
dinamica dell’elettrone che formulava il
postulato della relatività ristretta prima di
Einstein, Arthur I. Miller ha preso posizione per l’attribuzione della scoperta a
Einstein. Le ragioni di tale paternità, secondo Miller, sarebbero da ricercare essenzialmente nella diversità di vedute dei
due scienziati su “nozioni-chiave” quali
esperimento, spiegazione scientifica e immaginazione mentale. Contro questa opinione hanno argomentato Jules Leveugle
e Enrico Giannetto, riprendendo, per taluni aspetti, motivi espressi negli anni Cinquanta dal matematico inglese E. Whittaker e, in seguito, dallo scomparso J.
Giedymin, da Ubaldo Sanzo e da E. G.
Zahar. Leveugle ha sottoposto ad un esame critico simultaneo gli apporti teorici di
Lorentz, Poincaré e Einstein alla nuova
teoria dello spazio-tempo, resi noti tra il 27
maggio 1904 e il 26 settembre 1906. Il
primo di questi documenti è rappresentato
dalla memoria sui fenomeni elettromagnetici, che Lorentz presentò all’Accademia delle scienze di Amsterdam; l’ultimo
dal celebre articolo di Einstein sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, pubblicato negli «Annalen der Physik». Tra le
cause della minimizzazione dei meriti di
Poincaré, almeno sino agli anni Cinquanta, Leveugle ha individuato principalmente due ordini di ragioni: la non-appartenenza di Poincaré alla “scuola di fisica
dominante” all’inizio del secolo, che tendeva a ignorare la produzione scientifica
francese; la distinzione accademica che a
quell’epoca separava i fisici francesi dai
matematici, per cui i primi avrebbero
passato sotto silenzio quella che appariva loro come una semplice incursione
del Poincaré matematico nel dominio
loro riservato.
La concezione di Poincaré relativa alle
ipotesi in fisica è stata riletta da Ubaldo
Sanzo alla luce della controversia con
Pierre Duhem e anche in relazione agli
sforzi compiuti da Heinrich R. Hertz per
introdurre in fisica un tipo di ipotesi simili
a quelle usate in geometria. La riflessione
di Poincaré sullo “spazio geometrico”, e le
sue connessioni con l’analysis situs, con le
teorie dei gruppi di Sophus Lie, con lo
spazio cosiddetto “rappresentativo” e con
i dati della fisiologia, sono state l’oggetto
degli interventi di Luciano Boi, di Gregory Nowak e di Jules Vuillemin, uno dei
più autorevoli curatori delle edizioni delle
opere di Poincaré.
Il nome di Poincaré è stato spesso associato a due controversie filosofiche degli inizi
del Novecento: il confronto di Poincaré
con Edouard Le Roy sul ruolo e sui limiti
del convenzionalismo in campo scientifi-
co; la disputa con Bertrand Russell sulle
ragioni del logicismo, avviatasi con la
pubblicazione su «Mind» della recensione
di Russell a La science et l’hypothèse (La
scienza e l’ipotesi) di Poincaré, a cui fece
seguito la replica di quest’ultimo. In relazione a queste dispute, Luc J. M. Bergmans ha sottolineato che verso la fine del
XIX secolo, vale a dire nel momento in cui
Poincaré esprimeva le proprie riserve nei
riguardi del logicismo, la critica della logica era una corrente che con Ch. Born e il
cosiddetto “gruppo degli olandesi” (F. van
Eeden, G. Mannoury, L. E. J. Brower)
percorreva la vie de l’esprit. Charles S.
Chihara ha invece criticato il tentativo di
Mark Steiner di confutare le numerose
obiezioni epistemologiche al logicismo,
sollevate per la prima volta da Poincaré.
Rispondendo a Chihara, Janet Folina, ha
ricondotto la posizione antilogicistica di
Poincarè a un estremo tentativo di difendere la filosofia della matematica kantiana
dagli attacchi di Russell e, più ancora, alla
rivendicazione dell’anteriorità dell’aritmetica rispetto alla logica. Anssi Korhonen
ha suggerito, per meglio comprendere il
confronto con Poincaré, di seguire le prime prese di posizione teoriche di Russell
nei riguardi dell’intuizionismo, espresse
nei Principles of Mathematics (Principi di
matematica) del 1903.
Ad un convenzionalismo sistematico e generalizzato, come quello formulato da
Edouard Le Roy, che riduceva tutte le
proposizioni scientifiche a convenzioni
arbitrarie prive di verità assoluta, Poincaré
rispose, ne La science et l’hypothèse, restringendo il carattere convenzionale ai
soli assiomi geometrici e alle leggi della
meccanica. Sul convenzionalismo di Poincaré è intervenuto Gilles G. Granger che,
seguendo il percorso argomentativo di
Poincaré, ha dimostrato come il requisito
della convenzionalità non alteri lo statuto
di verità degli enunciati scientifici. Seguendo una linea interpretativa inaugurata
da Giedymin in rapporto alla filosofia di
Kazimierz Ajdukiewicz, Mario H. Otero,
prendendo come riferimento la filosofia di
Ludwik Fleck, ha messo in rilievo la persistenza, anche in contesti filosofici del
Novecento apparentemente estranei, di
alcuni argomenti di tipo convenzionalistico utilizzati da Poincaré nel confronto con
Le Roy. Infine Andrej Siemianonwki ha
voluto distinguere in Poincaré un convenzionalismo radicale, applicato agli assiomi della geometria, e un convenzionalismo moderato, applicato alle scienze empiriche, in base al quale le asserzioni di
queste scienze servono come mezzi di
classificazione e di predizione dei fatti.
Tra i tentativi di far interagire la filosofia
di Poincaré con la fenomenologia husserliana, ma anche con altri autori estranei a
Poincaré, Krzysztof Szlachcic si è soffermato sulla ricezione del convenzionalismo di Poincaré da parte di due tradizioni
epistemologiche divergenti, quella marxia55
na e quella popperiana, sulla base dell’adesione di entrambe le tradizioni ad una
“visione della scienza” che Szlachcic chiama “modern ideal of science” (ideale
moderno di scienza). In tal senso, il punto
di vista di Poincaré avrebbe rappresentato
per i metodologi della scienza marxisti e
per Popper un esempio di “oscurantismo
gnoseologico”, in grado di minacciare
l’ideale di una scienza fondata sulla verità
obiettiva e sull’avanzamento conoscitivo.
Manfred Meyer ha voluto reinterpretare
il convenzionalismo di Poincaré come una
sorta di condivisione del problema di
Husserl circa le relazioni esistenti fra
mondo della vita e mondo delle scienze,
ovvero fra esperienza pre-scientifica e teoria, e come affinità di vedute con la critica
husserliana al formalismo matematico,
colpevole di misconoscere le origini storiche della matematica e di degenerare in
una riduzione logicistica, senza legami
con l’intuizione. L’intervento di Richard
Tieszen ha invece messo a confronto alcune asserzioni di Poincaré sul riduzionismo, sull’intuizione e sulla dimostrazione
matematica con alcune riflessioni omologhe di Husserl, con l’obiettivo di dimostrare la loro “superiorità” di vedute rispetto ai teorici del logicismo.
Su motivi dell’attualità e della vitalità del
pensiero filosofico e scientifico di Poincaré si sono pronunciati Otero, Beltran e
Grünbaum. Mario H. Otero ha ascritto a
Giedymin il merito di aver sottolineato
come Poincaré, nel confronto con Le Roy,
avesse elaborato alcuni concetti che solitamente sono accreditati come eredità del
post-neopositivismo. Pilar Beltran ha segnalato che in Poincaré si può trovare, allo
stato germinale, quella linea di pensiero
sui fondamenti della matematica inaugurata da Imre Lakatos col nome di quasiempirismo. Nella sua conferenza sugli
equivoci teologici della fisica cosmologica attuale, Adolf Grünbaum ha insistito
sull’attualità delle riflessioni poincareiane
sulla conservazione dell’energia fisica,
proponendo un confronto con quelle teorie
cosmologiche contemporanee secondo cui
l’esistenza del mondo esige ad ogni istante
la creazione divina ex nihilo.
L’intervento di Louis Vax, dedicato all’accertamento dello stato in cui versavano gli studi di logica sillogistica all’epoca
di Poincaré, e quello di Adrian Dufour, si
sono segnalati per l’attenzione rivolta alle
istanze culturali che trapelano dagli scritti
di Poincaré e per i suoi interlocutori intellettuali privilegiati. Secondo Dufour, nonostante che lo statuto epistemologico della
geometria, dopo la scoperta delle geometrie non-euclidee, avesse annullato la caratterizzazione leibniziana delle proposizioni geometriche come “verità di ragione”, il razionalismo geometrico di Poincaré avrebbe finito con il riabilitare l’idea
leibniziana secondo la quale, dal punto di
vista logico, il mondo esistente non è che
uno fra i molteplici mondi possibili. L.G.
CONVEGNI E SEMINARI
Manoscritto del VII secolo d.C., noto come Durham Book
Semiotica medievale:
lo stato dell’arte
Organizzato dal Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi
dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, si è tenuto
al Teatro Titano di San Marino, dal
24 al 27 maggio 1994, un convegno
dal titolo: “ VESTIGIA , IMAGINES , VER BA . SEMIOTICS AND LOGIC IN MEDIEVAL
THEOLOGICAL TEXTS ( XII - XIV CENTURY )”.
Negli ultimi anni ci si è resi conto
che proprio l’ambito teologico era
il luogo privilegiato di elaborazione della semiotica medievale. La
teoria dei segni costituiva infatti
la premessa necessaria a qualsiasi
discorso sulle relazioni tra visibile
e invisibile, creato e increato, mondo e Dio, in funzione soprattutto
della teoria dei sacramenti concepiti come segni della grazia divina
e della vita eterna.
Il convegno, promosso e organizzato da
Costantino Marmo, era suddiviso in
quattro sezioni: semiotica generale, semantica e sintassi, logica e modalità, uso
dei segni. Nella sezione di semiotica
generale Marmo ha scoperto che in un
testo di Simone di Tournai, teologo
parigino della seconda metà del XII sec.,
viene presentata, come introduzione alla
teoria dei sacramenti, una classificazione dei segni in cui per la prima volta
appaiono esplicitamente i “segni inferenziali”; si tratta di una riscoperta della
tradizione stoica del segno come antecedente di un condizionale valido. M. Sirridge ha parlato dell’influenza, su alcune teorie duecentesche, delle interiectiones, della duplice concezione agostiniana del linguaggio: quella convenzionalistica del De doctrina christiana, che
considera il linguaggio come uno strumento umano di comunicazione, e quella anticonvenzionalistica del De trinitate, maggiormente legata a considerazio56
ni teologiche, che vede il rapporto tra
verbum cordis e espressione vocale in
analogia con il rapporto tra la Parola di
Dio e l’Incarnazione. J. Halverson ha
affrontato il problema della possibilità
di comprendere e significare la perfezione divina attraverso concetti e parole del
linguaggio umano in alcuni scritti di
Pietro Aureolo. L. O. Nielsen ha parlato della definizione dei sacramenti in
quanto segni di istituzione divina e del
loro statuto in relazione alla importante
distinzione tra signa naturalia e signa
positiva in alcuni autori francescani del
XIV secolo e in particolare in Ockham.
Di Ockman si è occupato anche M. Kaufmann e della sua concezione dei signa
naturalia, che per il francescano, in contrasto con tutti i pensatori a lui contemporanei, hanno carattere linguistico e
costituiscono il linguaggio mentale perfetto e universale che è la forma della
conoscenza umana.
Per la sezione dedicata a questioni di
semantica e sintassi L. M. De Rijk ha
parlato della nozione di ens copulatum
nel Commento alle Sentenze del francescano Guiral. Ot. I. Rosier, A. De Libera e P. Bakker si sono occupati del
dibattito medievale sulla analisi logicogrammaticale della formula eucaristica
“Hoc est corpus meum” e sul rapporto
tra il suo significato e il suo valore operativo. In particolare, Rosier ha parlato
delle teorie della demonstratio del pronome hoc e del suo riferimento; De Libera si è occupato del dibattito sul valore di verità della formula in relazione
alla distinzione tra il momento in cui
viene pronunciata (tempus in quo) e il
momento per cui viene pronunciata (tempus pro quo) e della teoria della restrictio temporale; Bakker ha discusso del
rapporto tra formula e transustanziazione nei teologi del XIV secolo. L. Valente ha parlato dell’uso delle nozioni di
consignificatio e connotatio nelle opere
teologiche della seconda metà del XII
secolo. La teoria dei nomi vuoti nel Commento alle Sentenze di Riccardo Rufo di
Cornovaglia e nelle Abstractiones e la
critica di queste teorie fatta da Ruggero
Bacone sono state il tema della relazione di P. Streveler. C. H. Kneepkens ha
trattato il problema dell’enuntiabile in
Alexander Neckham. R. Friedman si è
soffermato sulla rielaborazione delle
nozioni di modus concipiendi e modus
significandi fatta da Pietro Aureolo. H.
Thijssen ha parlato delle pratiche ermeneutiche di tipo letteralista degli occamisti e della loro condanna nel 1340 da
parte di uno Statuto della facoltà delle
Arti di Parigi.
Per la sezione dedicata a logica e teoria
delle modalità K. H. Thacau ha presentato la concezione di Aureolo riguardo
alla portata della onnipotenza divina in
riferimento alle verità matematiche, analizzando la definizione di necessità e
CONVEGNI E SEMINARI
possibilità proposta da Aureolo. A.
D’Ors ha trattato del rapporto tra insolubilia e alcuni testi teologici di Bonaventura. E. P. Bos ha mostrato e discusso il
testo di un anonimo scotista sul concetto
di propositio per se nota riferito alla
proposizione “Deus est”. A. Back si è
occupato delle proposizioni reduplicative nella teologia di Duns Scoto. La relazione di Y. Iwakuma ha offerto un quadro d’insieme sull’uso delle instantiae
nella teologia della seconda metà del XII
secolo. S. Knuttila e Ch. J. Martin
hanno parlato del tipo di obligatio chiamata positio impossibilis e del suo uso
nelle questioni teologiche. S. Ebbesen
ha mostrato come la tecnica dei sophismata abbia prodotto alcuni effetti nelle
discussioni teologiche del XIII e XIV
secolo.
Nell’ultima sezione del convegno, dedicata all’uso dei segni, S. Vecchio ha
trattato della menzogna, della simulazione e della dissimulazione nella teologia morale del Basso Medioevo: dalla
concezione di Agostino della menzogna
come atto esclusivamente di parola si
passa, con Tommaso, a una concezione
in cui la simulazione non verbale viene
affiancata alla menzogna, quanto a illiceità, e solamente la dissimulazione viene ritenuta lecita. G. Panaccio ha illustrato il dibattito medievale sul linguaggio degli angeli mostrando come questo
fosse in realtà uno degli ambiti privilegiati per l’elaborazione di problemi di
filosofia della mente, come quello dei
modelli mentali di rappresentazione della conoscenza.
Il convegno ha costituito l’undicesimo
incontro di una serie di simposi sulla
logica e la semantica medievali, a cadenza più o meno biennale, promossi da
Jan Pinborg, Lambert M. De Rijk e da
altri celebri studiosi. Esso contribuisce
inoltre a quel progetto di “archeologia
semiotica”, che ebbe inizio nel 1979, al
II Convegno Internazionale di Semiotica a Vienna, per iniziativa di R. Jakobson e U. Eco. Quest’ultimo in particolare ha sottolineato la rilevanza teoretica
che lo studio della storia della semiotica
ha per la semiotica contemporanea e
soprattutto per una semiotica generale di
natura filosofica, che cerca di fondare il
discorso sul segno e sulla significazione. «Non si tratta - afferma Eco - di
ricercare una “verità” tradizionale rimasta sino ad ora occultata, ma di costruire
le nostre risposte, probabilmente le risposte che solo noi possiamo dare oggi,
sulla base di altre risposte dimenticate e
di molte domande eluse». G.M.
Eredità culturale
del Rinascimento
Organizzato dal Centre de recherche philologique di Lille, diretto da
Pierre Judet de la Combe, e dal Groupe de recherche sur l’Histoire de la
philologie et la science des oeuvres
(MSH), diretto da Jean Bollack, dal
14 al 16 giugno si è tenuto alla Maison Suger e all’Institut Italien de
Culture di Parigi un convegno internazionale , che ha affrontato il problema della tradizione dell’Antichità e delle sue differenti interpretazioni nel Rinascimento.
L’epoca designata da Michelet e da Burckhardt come “Rinascimento” non presenta certamente un’unità così netta quale
retrospettivamente le è stata, talvolta, accordata . Se il progetto di un ritorno all’antico o meglio, d’un ritorno degli Antichi,
rinnovati e trasformati dalla progressiva
riscoperta della loro cultura, è il tratto
caratteristico del Rinascimento, quest’ultimo è ben lungi dal suscitare un consenso
sulle modalità di questa impresa, che si
vuole, al contempo, come interpretazione
della tradizione e come auto-costituzione
dell’epoca “moderna”. Il nodo problematico insito nella ripresa dell’eredità classica è costituito dalla coesistenza tra una
necessaria trasmissione della tradizione e
una costitutiva critica della medesima, che
trova nel Rinascimento una irripetibile
varietà di soluzioni pratiche e teoriche.
Dal punto di vista di un’interpretazione
del pensiero rinascimentale nel suo insieme, due letture hanno tentato di proporre
approcci orientati da un progetto filosofico globale, mettendo a profitto, ciascuna a
suo modo, le intuizioni di Ernst Cassirer.
Enno Rudolph ha cercato di superare la
contraddizione tra l’ “umanesimo” universalista di Pico e il “realismo politico” di
Machiavelli, prodotta dal razionalismo
delle Lumières, a cui Rudolph rimprovera
di proiettare retrospettivamente su Pico un
pensiero anacronistico del soggetto universale e su Machiavelli inceve una politica razionale non meno universalista, che,
non essendo in grado di comprendere, non
può che rifiutare. Se Pico è irriducibile alle
Lumières, ma difende un individualismo e
non un pensiero del soggetto, Machiavelli,
ha osservato Rudolph, insiste sull’idea di
misura compresa come virtù, che distingue il politico machiavelliano da ogni logica del potere per il potere e lo avvicina
piuttosto all’umanità artistica di Pico.
Malgrado il suo chiaro debito nei confronti di Cassirer e di Kristeller, Rudolph si
oppone all’idea di una prima “epoca illuministica”, sviluppatasi nei secoli XV e
XVI, preferendo un modello estetico più
prossimo al pensiero nicciano.
In una prospettiva molto diversa, anche
Pico della Mirandola (presunto ritratto, 1480)
57
CONVEGNI E SEMINARI
Bruno Pinchard attinge dall’impostazione di Cassirer alcune linee interpretative.
Operando un raffronto serrato fra Paracelso e Rabelais, Pinchard ha illustrato la
propria interpretazione del Rinascimento
a partire dall’idea di soggetto quale s’incontra nell’Idealismo tedesco e nel Romanticismo, in cui egli scorge “effetti secondi” del Rinascimento. Il principio della
scoperta della coscienza di sé come fine di
un processo di formazione viene identificato da Pinchard nel mito. La coesistenza,
nel Romanticismo, di uno strato mitico e
di un livello riflessivo, diviene oggetto
della ripresa critica e comica di Parecelso
da parte di Rabelais.
Contro il cliché di un’influenza dominante
di Platone nel Rinascimento, da una ventina d’anni, grazie anche all’opera di Charles B. Schmitt, si assiste a una riscoperta
della straordinaria vitalità dell’aristotelismo nel Rinascimento. In questa prospettiva, ha sostenuto Victoria von Flamming, si può comprendere l’originalità dei
Dialoghi d’amore di Leone Ebreo, in cui
s’intrecciano motivi del Simposio platonico, filtrati dalla ripresa operata da Aristotele nel VII libro dell’Etica a Nicomaco.
La presenza aristotelica nel Rinascimento
è stata messa in luce anche da Luca Bianchi. Contro lo schema canonico dell’ermeneutica che attribuisce alla Riforma il
merito di aver soppiantato la dottrina dei
sensi multipli della Scrittura e di aver
inaugurato un metodo rigoroso, Bianchi
ha dimostrando, alla luce della ricezione
rinascimentale di Aristotele, come la riflessione ermeneutica non fosse meno sviluppata nella continuazione critica d’una
certa tradizione scolastica.
In rapporto alla pratica e alla teoria dell’interpretazione filologica, che guida l’accesso all’eredità della tradizione, Luce
Giard ha richiamato l’attenzione sul rapporto di Lorenzo Valla con la tradizione
antica, mostrando come la sua formazione
giuridica influisca sull’elaborazione di un
“primo umanesimo” rinascimentale, che
riprende un Aristotele connesso a Quintiliano contro quello di un Boezio e dei suoi
successori, mettendo in evidenza un concetto di linguaggio molto più interessato
alla ricostruzione della coerenza di un testo che al rispetto ossequioso dei manoscritti. Sull’ermeneutica virgiliana, dalle
glose di Petrarca fino a Landino, ha richiamato invece l’attenzione Frank La Brasca, sottolineando, tuttavia, come Landino si tenga a distanza dall’approccio filologico inaugurato da Petrarca, così come
dalla lettura allegorica di Boccaccio, per
proporre, con Platone, una via intermedia,
prima che la fioritura dei commenti paralizzasse l’esegesi. Infine Mayotte Bollack
si è interrogata sulla filologia lucreziana di
Marullo, poeta neolatino e al contempo
critico eccellente, che stabilisce un nesso
tra pratica della correzione e della congettura e attività di poeta, completando il testo
o rettificandolo in funzione della sua perce-
zione dell’opera nella sua individualità.
Sul terreno più propriamente letterario, il
rifiuto della poetica del Tasso da parte di
Galileo è stato analizzato da Giovanni
Careri. Per contro, come ha fatto notare
Nuccio Ordine, nei Raggionamenti dell’Aretino troviamo un’inversione sistematica dei dialoghi di corte di Bembo o di
Castiglione. Il caso del latino macaronico
nel Baldus di Teofilo Folengo è tato affrontato da Paolo Fabbri, che ha mostrato
la complessità che può raggiungere una
ripresa e modificazione dell’eredità classica, come avviene, per esempio, nel rifacimento di Folengo della discesa agli Inferi descritta nell’Eneide. Il rapporto con
l’antico si esprime anche nello stile delle
iscrizioni monumentali, come ha dimostrato Pierre Laurens, che ha analizzato il
processo di questa ripresa trasformatrice
nella città di Roma attraverso i diversi
livelli della grafia, con il ritorno al XV
secolo, della messa in scena dei monumenti, in cui l’antico è ripreso, ma in senso
inverso, per le feste pontificali, della stilistica dell’iscrizione, infine, che prepara
l’invenzione d’un nuovo stile lapidario e
barocco, ispirato più dalla concisione di un
Tacito che non da un Cicerone. Mario
Pozzi ha proposto invece un panorama
della dinamica dei conflitti nel Rinascimento seguendo il filo della problematica
res/verba, fino alla sua esposizione più
complessa in Sperone Speroni, che supera in parte l’estenuazione formalista dell’eredità degli antichi e opera una rielaborazione dei modelli classici nel senso di
una originale filosofia del linguaggio. All’Accademia fiorentina ha dedicato il suo
intervento Michel Plaisance, che ha mostrato come in questa sede molto particolare il principio della lezione pubblica s’impone, dal punto di vista letterario, su soggetti estremamente diversificati (il mondo, il corpo umano).
Non solamente il linguaggio, ma anche lo
spazio e il tempo sono indicatori preziosi
delle varie utilizzazioni, talvolta perfino
contraddittorie, dell’eredità antica. Yves
Hersant è intervenuto sul divenire del
mito dell’Età dell’Oro nel Rinascimento,
insistendo sulla presenza d’ispirazioni contraddittorie: tra attesa e ritorno, origine e
tempo perduto, millenarismo e nostalgia
(e melanconia), gli usi di questo mito traducono desideri e speranze di un’epoca,
ma anche esprimono una coscienza della
storia nella sua globalità, che include una
coscienza del presente. La rottura epocale
presente nelle concezioni del tempo di
Dante e Petrarca è stata affrontata da Horst
Gunther, che ha ritracciato qui due distinte direzioni della filosofia della storia.
Come Agostino, con la sua concezione
intensiva del tempo, rompe con la continuità estensiva della storia di Roma, Petrarca, che lo riprende nel Secretum, è
estraneo al tempo integrativo di Dante e
opera su un tempo storico in cui il presente
è ormai separato da un abisso dal passato
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e dal futuro e afferma la propria consistenza a detrimento della continuità. Fosca
Mariani Zini ha invece ripreso l’opposizione tra Ficino e Pico, quale si profila sul
piano della loro immaginazione eterocosmica, secondo un’espressione di Baumgarten. La pluralità delle opinioni ammesse da Ficino apre uno spazio in cui
l’iniziativa umana può inserirsi, mentre la
posizione privilegiata attribuita all’uomo
da Pico rinvia a una teologia finalizzata
che tende a subordinare l’uomo a un evento ontologico che lo trascende. Tale opposizione, secondo Mariani Zini, si avvale
dell’idea di mondo, ossia di totalità ordinata, presente nei due autori e permette di
cogliere la pertinenza filosofica delle loro
opzioni teoriche riguardo al problema filosofico del rapporto fra cosmo naturale e
cosmo artistico. D.T.
Filosofia italiana,
filosofia spagnola
L’Istituto della Enciclopedia Italiana
di Roma ha ospitato dall’8 all’11 giugno 1994 un convegno dal titolo: “FILOSOFIA ITALIANA E FILOSOFIA SPAGNOLA
NEGLI ANNI ’80: DUE TRADIZIONI FILOSOFICHE
A CONFRONTO”, organizzato dal Diparti-
mento di Filosofia dell’Università di
Torino, dall’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, dal Ministero della Cultura spagnolo in collaborazione con l’Ambasciata di Spagna
in Italia e la Società Iberia. Scopo del
convegno è stato quello di far conoscere reciprocamente i temi e le riflessioni che le due tradizioni filosofiche
hanno sviluppato nel decennio scorso, ma che si è poi allargato alla storia
della filosofia dei due Paesi lungo tutto questo secolo.
A dir la verità, i filosofi spagnoli presenti al
convegno erano molto più aggiornati sulla
realtà filosofica italiana di quanto non lo
fossero i filosofi italiani su quella spagnola. Ma su una cosa italiani e spagnoli si
sono trovati subito d’accordo: nel fatto che
Italia e Spagna sono terre di conquista da
parte delle altre filosofie europee e, di recente, anche dell’ultima filosofia americana.
Aprendo il convegno, Carlo Augusto Viano ha ricostruito da un punto di vista
storico-filosofico le ragioni della dipendenza della filosofia italiana e spagnola
dalle altre filosofie, ponendo la questione
del concetto stesso di filosofia nazionale.
In Italia, dal Rinascimento in poi, si assiste
a un continuo venir meno del potere di
influenza della filosofia. In tal senso Viano ha parlato del Rinascimento e dell’Umanesimo come di veri e propri miraggi,
continuamente reiterati, del primato perduto, proprio quando Francia e Inghilterra
trovavano nell’unità politica la forza di
CONVEGNI E SEMINARI
opporsi all’imperialismo spagnolo, dando
vita, in quegli anni, a una cultura filosofica
indipendente e alternativa al cattolicesimo
dominante della Spagna. L’Italia, invece,
si è trovata a subire la dominazione spagnola, iniziando quel lungo cammino di
“provincia” europea, che ancora oggi la
caratterizza, con l’adeguamento all’ascesa politica e culturale della Germania che,
a partire dal XVIII secolo, divenne paese
dominante e fondamentale per l’intera cultura filosofica europea. All’avvento del
XX secolo, Francia, Inghilterra e Germania si trovano su posizioni di incontrastato
dominio culturale, mentre in Italia si riscontra una totale e rassegnata dipendenza
accademica verso l’imperante filosofia
tedesca. La situazione odierna, secondo
Viano, vede i filosofi italiani impegnati in
problemi che sono sì internazionali, ma
mancano di quella originalità che li spingerebbe oltre i confini nazionali per imporsi sui “mercati filosofici”.
Xavier De Ventós ha discusso del concetto di dipendenza culturale, rivendicando
quello che ha chiamato il carattere mediterraneo della cultura. Elementi di questo
carattere, peculiari della Spagna ma presenti anche in Italia, sono le istanze intuitive e immediate tipiche dell’intimismo
agostiniano, la capacità di produzione e
propaganda della spiritualità, uno spirito
antiindustriale e antimodernista. Per De
Ventós la cultura mediterranea si è sviluppata in senso espressionistico, misticogotica, in alternativa alla linea austro-ungarica della mediazione e del dominio
ontologico della parola sulla vita.
Secondo Felix Duque non esiste, in quanto tale, una filosofia spagnola, come non
esiste una filosofia nazionale in generale,
in quanto i problemi affrontati da una
comunità filosofica sono gli stessi di altre
comunità in altri paesi. La distinzione,
semmai, può esser fatta tra scuole di pensiero, tra orizzonti problematici diversi o
tra affinità tematiche. Anche Salvatore
Veca ha richiamato l’attenzione sui modi
di intendere una comunità filosofica, sui
rapporti tra istituzione e modo di far filosofia e sulla formazione di un “noi” come
forma di identificazione collettiva. È errore degli storici della filosofia, ha aggiunto
Veca, voler vedere lo sviluppo del pensiero in termini geo-politici, secondo uno
sviluppo storico, piuttosto che nei termini
di una sincronica problematicità.
Enrico Berti ha mostrato come la filosofia della religione in Italia si sia sviluppata
secondo due linee, una neoscolastica e
l’altra spiritualistica, di ascendenza agostiniana e rosminiana. La prima, iniziata
da Agostino Gemelli e proseguita da Olgiati, Chiocchetti, Masnovo, diede vita ad
una reazione contro il neoidealismo di
Croce e l’attualismo gentiliano, rivendicando le ragioni della trascendenza ontologica contro l’idealismo. Per certi versi
più feconda è stata la seconda linea di
sviluppo, che sorse a partire dalla crisi
dell’attualismo e che portò verso esiti esistenzialistici dal volto cattolico. Ai filosofi di questa corrente, Carlini, Guzzo, Sciacca e Stefanini, si opposero i fuoriusciti
dall’attualismo verso direzioni liberalistiche o marxistiche, De Ruggiero, Saitta,
Spirito, Calogero. Un’altra tendenza della
filosofia della religione fu quella di orientamento aristotelico di Bontadini e M.
Gentile. Nella sua ricostruzione Berti ha
ricordato la fondazione del “Centro di studi filosofici cristiani” di Gallarate, il pensiero ermeneutico-esistenziale di Pareyson,
gli allievi di Bontadini, Severino e Mancini, e i risvolti religiosi del “pensiero debole” di Vattimo. Secondo Berti il pensiero
filosofico-religioso italiano denota un carattere antimetafisico dominante nel rifiuto del presupposto storicistico. In Spagna
invece, ha fatto notare Reyes Mate, la
filosofia della religione si è sviluppata in
direzione di una esplicazione antropologica e sociologica del fenomeno religioso, i
cui aspetti simbolici sono valutati secondo
la loro ricaduta sociale. Tale riflessione è
entrata in dialogo sia con le istanze etiche
contemporanee, sia con le teologie della
liberazione e le tradizioni umanistico-cattoliche del cattolicesimo liberale.
Nel suo intervento sulla logica e la filosofia
della scienza italiana Massimo Mugnai si
è lamentato del ruolo subalterno di queste
discipline nella tradizione filosofica italiana, il cui carattere antiscientifico è risultato
ostile nei confronti di ogni pensiero che si
presenti come attività conoscitiva, fondata
su ragionamenti rigorosi e procedimenti
analitici. Mugnai ha poi ricordato le figure
di Geymonat e Preti, e l’attuale distinzione,
all’interno della filosofia della scienza italiana tra coloro che discutono della “nuova
filosofia della scienza”, muovendosi esternamente alle competenze di una scienza
particolare, e coloro che invece fanno leva
sulle competenze di tale scienza. La logica
spagnola, presentata da Jesus Mosterin di
Barcelona, risulta perfettamente inserita
nel dibattito internazionale, sviluppando
studi sulla teoria della dimostrazione, della
deduzione, dell’insieme.
Nel campo dell’ermeneutica è intervenuto
Franco Bianco, che ha fatto riferimento a
quelle riflessioni più recenti che si sviluppano tra pensiero ermeneutico e pensiero
tragico, su quella linea che va da Gadamer
a Pareyson, padre dell’ermeneutica in Italia, fino a Ruggenini, ultimo esito dell’ermeneutica italiana. I temi dell’ascolto, dell’originarietà del linguaggio, della coappartenenza originaria di essere e linguaggio, della mortalità, della memoria destinale, sono stati al centro dell’analisi di
Bianco. Un richiamo, infine, è stato fatto
anche all’ontologia del declino e al definitivo svuotamento del fondamento, su cui
Bianco ha innestato una riflessione sul
fondamento dell’ermeneutica stessa. Felix Duque ha a sua volta ripercorso le
tappe dell’ermeneutica in Spagna, partendo dall’influenza di Heidegger, di Husserl
59
e delle filosofie della vita di Dilthey e
Simmel su Ortega y Gasset, e sull’influenza del romanticismo e di Kierkegaard su
De Unamuno. Ridimensionando il principio della dipendenza dell’ermeneutica spagnola dalla filosofia tedesca e dal pensiero
debole italiano, Duque ha esposto il proprio pensiero ermeneutico, basato sui temi
della comprensione dell’alterità e del testo
come esperienza
Sulla storia del marxismo in Italia è intervenuto Giuseppe Bedeschi. Da Luporini
a Salvadori, da Colletti a De Giovanni, da
Schiavone a Bobbio, Bedeschi ha ripercorso le tappe del declino dell’ideologia
marxista, o quanto meno della sua trasformazione, tutt’ora in corso. Prendendo in
considerazione il fallimento del progetto
scientifico-politico e politico-rivoluzionario di emancipazione del marxismo, Bedeschi ha richiamato l’esigenza di pensare il
marxismo come risposta al terzo capitalismo, quello dell’informatica e delle nuove
forme tecnologiche, con il venire meno
definitivo delle categorie di partito-Stato e
l’adeguamento alla realtà storica del comunismo europeo. Salvador Giner ha
invece ripercorso le tappe dell’uscita della
filosofia spagnola dal franchismo, sottolineando come la filosofia in Spagna fosse
chiusa in se stessa, priva di contatti con
l’esterno, nonostante i filosofi spagnoli,
tranne alcuni casi, abbiano continuato a
godere di una certa autonomia dal regime.
L’uscita dal franchismo, che secondo Giner non ha causato traumi eccessivi, ha
tuttavia portato la Spagna ad essere terra di
conquista filosofica.
Salvatore Veca, intervenendo sull’etica
pubblica, ha analizzato i termini del dialogo tra élite culturali e filosofiche e le
strutture e gli apparati dei partiti. Secondo
Veca, i problemi dell’etica nascono oggi
prevalentemente fuori dalle istituzioni accademiche: per esempio le etiche ambientali o ecologiche, i rapporti tra etica e
economia, le questioni bioetiche e lo sviluppo di etiche applicate. Comune denominatore di queste problematiche è il fatto
che queste etiche pubbliche implichino
ragioni penultime, ossia ragioni che hanno
a che fare con chiunque, senza implicare
ragioni ultime o ontologiche. Javier Sabada, da parte sua, ha fatto un bilancio
delle riflessioni in Spagna sull’etica pubblica negli ultimi anni, mettendo l’accento
sui rapporti tra etica pubblica ed etica
individuale, sul concetto di “amor proprio”, sulla critica pubblica alla democrazia, sulla la teoria dei giochi e sugli ultimi
esiti della discussione sul marxismo.
Hanno concluso il convegno Pietro Rossi e Manuel Cruz, che hanno richiamato
il fatto che la filosofia italiana e spagnola debbono la sostanza del loro lavoro
all’importazione di tematiche e problemi dalle comunità filosofiche tedesche,
inglesi, francesi e americane, e che in
entrambe manchi una forza originale che
possa affermarsi all’estero. L.D.
CONVEGNI E SEMINARI
Goethe scienziato
Come devono essere considerate gli
scritti scientifici di Goethe: un’eredità o un’opera? L’immagine della
natura che emerge dagli studi morfologici di Goethe, quello stile teorico che sa ricollegare la scienza all’arte, la coscienza alla natura, sono
stati nel tempo rivalutati e ripresi da
percorsi di ricerca diversi. In linea
con questo sviluppo della ricezione
dell’opera di Goethe si è posto il
recente Convegno internazionale:
“GOETHE SCIENZIATO. PERCORSI GOETHEANI TRA SCIENZA, ETICA E ARTE ”, tenutosi
dal 20 al 22 maggio 1994 presso
Villa Grifani di Castelfranco (CR) e
organizzato dall’Associazione
Scientifica Goetheanistica Italiana e dalla Cattedra di Filosofia della scienza dell’Università degli Studi
di Milano.
Il 18 agosto del 1787 Goethe scriveva
dall’Italia a Knebel: «Dopo quanto ho veduto di piante e di pesci, presso Napoli e in
Sicilia, sarei molto tentato, se fossi più
giovane di dieci anni, di fare un viaggio in
India, non già per scoprire cose nuove, ma
per contemplare a modo mio quelle già
scoperte». In queste parole troviamo indicata la prospettiva di lettura delle opere
scientifiche di Goethe: l’adozione di un
nuovo punto di vista per l’osservazione
della natura. Nello studio della natura vivente, il metodo morfologico «non cerca
nulla dietro ai fenomeni», ma si misura
anzitutto con ciò che appare, nella convinzione che «tutto ciò che è deve anche dare
cenno di sé e mostrarsi».
Il cammino dell’impresa scientifica ha invece tendenzialmente trascurato lo statuto
della “forma” e quindi la possibilità di una
morfologia in senso goethiano, che tenda
ad un approccio globale nello studio dei
fenomeni naturali. È stata anzi privilegiata
Johann Wolfgang Goethe, 1828
60
un’indagine di tipo analitico-casuale di
impronta fortemente riduzionistica, che
ha messo da parte il lato qualitativo dei
fenomeni, in quanto “resto” di quello quantitativo. Ripercorrendo la storia del pensiero scientifico dell’ultimo secolo risulta
chiaro però che le forme primordiali o
“archetipe” di Goethe non sono mai tramontate. In questo senso gli scritti scientifici di Goethe possono essere letti non solo
come una sfida alla “razionalità quantitativa”, ma come il nucleo di una più ricca
concezione della ragione scientifica, che
comporta un nuovo rapporto tra il soggetto
che “conosce” e la natura.
Si può ricordare, a questo proposito il
saggio di Gottfried Benn, Goethe e le
scienze naturali, che compare all’interno
di una raccolta di scritti di questo autore,
recentemente pubblicata in Italia, a cura di
Luciano Zagari, con il titolo: Lo smalto
sul nulla (Adelphi, Milano 1993). Benn
osserva come attraverso tutta l’opera scientifica di Goethe permanga una tensione tra
intuizione e analisi, che risalendo fino alla
concezione primitiva di Talete, per il quale
tutto è acqua, cioè tutto è uno, arriva all’inno Alla natura del 1782, alla concezione
dei fenomeni originari. In Goethe si congiungono, per Benn, due manifestazioni
epocali: «la base della matafisica antica,
secondo cui l’uomo sarebbe la misura di
tutte le cose, l’uomo, la sua physis, torna a
echeggiare nelle parole di Goethe sull’esperienza: “se io non avessi già portato in me
il mondo come anticipazione, sarei rimasto cieco con gli occhi veggenti, e tutta
l’esperienza non sarebbe stata altro che un
vano affaticarsi”».
Il “pensiero intuitivo” di Goethe, contrapposto come principio euristico al principio
fisico-matematico, rappresenta dunque il
contrasto, divenuto oggi così familiare, tra
il coordinamento delle cose all’uomo e il
coordinamento dei concetti in serie matematiche, prive di contraddizioni. In un
intreccio singolare di platonismo e esperienza, in Goethe si è in presenza di un
cogliere con la sensibilità connessioni e
origini in termini prospettici: «un pensiero
immerso nel mare della corporeità» - scrive Benn; un pensiero oggettivo molto vicino a quello poetico che tende al “tipo”, al
grande motivo, al leggendario. In tal senso
Benn si trova d’accordo con Helmholtz
nel ritenere che a Goethe spetti il merito di
aver per primo intuito le idee guida verso
le quali tendeva la linea di sviluppo lungo
la quale si erano incamminate le scienze
naturali.
Lo “stile di pensiero” goetheano sembra
oggi porsi come nuovamente fecondo nella cultura contemporanea. La critica di
Goethe contro le ipostatizzazioni delle ipotesi per una libertà di “culto”, la responsabilità della ricerca scientifica nei confronti
della natura e l’aspetto fenomenologico
del suo pensiero - che sembrano dischiudere l’orizzonte ad un nuovo “umanesimo
scientifico” - sono stati al centro del Con-
CONVEGNI E SEMINARI
vegno internazionale su “Goethe scienziato”, in cui filosofi, biologi, fisici e matematici hanno analizzato, da diverse prospettive, l’eredità epistemologica lasciataci da Goethe: il metodo morfologico; il
rapporto tra pensiero e percezione, tra il
soggetto e i fenomeni, alla luce di quel
metodo goethiano, definito da Schiller
“empirismo razionale”.
Se la convinzione dell’unità del mondo si
basa sul nostro desiderio di coglierlo entro
una connessione significativa, con la teoria delle metamorfosi e il concetto di “forma”, Goethe offre un modo nuovo per
indagare il rapporto tra universale e particolare. Gerry C. Webster lo ha paragonato al principio della definizione matematica attraverso la rappresentazione di una
serie: la rappresentazione è in questo caso
simbolica e permette di dare una nuova
forma al concetto “universale”. Per Francesco Moiso, la base della scienza della
natura di Goethe è l’unità formale del
reale: le infinite forme della realtà rappresentano quel continuo (ogni singolo fatto
ha un carattere “irraggiante”) che è discontinuo nel suo divenire. Ciò che dunque deve essere spiegato non è la variazione fenomenica, ma la stabilità, l’individuo. In questo senso Giuseppe Sermonti
ha sottolineato nel suo intervento come la
scienza per Goethe si configuri come ricerca delle relazioni e non delle cause. Il
suo motto è darstellen und nicht erklären:
rappresentare e indicare le scansioni tipiche del vivente e non spiegarlo individuando le cause, i motivi e i fini.
L’epistemologia goethiana non “rimuove” il soggetto, ma anzi coinvolge completamente l’uomo. Per Hermann Schmitz, è proprio l’anticipazione intuitiva
della realtà il punto di partenza della
scienza: solo con l’aiuto del proprio “intero” io si può scoprire come procede la
natura. In questa ricerca di un pensiero
organico che rimanda Husserl, Martin
Basfeld ha preso spunto dalla Farbenlehre (Teoria dei colori) per indicare
come, per Goethe, la nostra coscienza
partecipi alla realtà: l’effetto psicologico del colore fa parte del fenomeno stesso del colore. Una realtà al di là della
nostra percezione non esiste. In questo
senso Renatus Ziegler ha ricordato che
per Goethe il concetto di empiria comprende anche l’attività del pensiero: non
c’è solo il contenuto, ma anche la forma,
le idee. Queste non sono astrazioni dei
fenomeni, non sono generate in termini
di assenza, ma principi costitutivi di ciò
che è percepito a livello sensoriale. Il
problema del rapporto parte-tutto rimanda, per Carlo Sini, allo spinozismo di
Goethe. Merito di Goethe è l’aver chiarito il rapporto tra sostanza e attributi: se
può apparire paradossale pensare che il
finito partecipa dell’infinito, l’universale è tuttavia presente solo nella comprensione del singolo, anche se non lo
esaurisce. M.C.
Friedrich Nietzsche (Friedrich der Unzeitgemässe)
Nietzsche e la cultura europea
Si può porre la fine di questo millennio sotto il segno di Nietzsche? In
che misura e in quali forme la sfida,
di cui Nietzsche è il simbolo, può
essere proseguita e sviluppata nel
mondo di oggi? Questi alcuni degli
interrogativi che sono stati al centro
del convegno internazionale “L’ENIG MA , IL SUONO E GLI DEI. FRIEDRICH NIETZSCHE E LA CULTURA EUROPEA 1994-2000",
tenutosi al Palazzo delle Esposizioni
di Roma il 30 e 31 maggio 1994 e
organizzato a cura di Mario Perniola
e Alessandro Berdini dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma
e dalla compagnia teatrale Teatroinaria Stanze Luminose, in collaborazione con l’Università di Roma
“Tor Vergata”, la Freie Universität
Berlin, il Deutsches Seminar dell’Università di Basilea, l’Istituto de Estética
y Teoria de las Artes di Madrid e il
Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Il convegno fa parte di una più vasta iniziativa, dedicata a Nietzsche nel 150° anniversario della nascita, che dovrebbe giungere
fino al 2000, centenario della morte, e che
ha già presentato la messa in scena di uno
spettacolo teatrale, “EMPEDOCLE TIRANNO”,
di Maurizio Grande, tratto dai frammenti
su Empedocle di Nietzsche per la regia di
Alessandro Berdini, ed un concerto del
61
musicista tedesco Klaus Schulze dal titolo:
“GÖTZEN DÄMMERUNG”, ispirato a Nietzsche.
Aprendo i lavori, Gianni Borgna, Assessore alla Cultura del Comune di Roma, ha
insistito sulla figura di Nietzsche come
illuminista, vale a dire come smascheratore delle ideologie, grande demistificatore
che, come prima di lui, Feuerbach e Marx
e, dopo di lui, Freud, mostra la natura
istintuale, “umana, troppo umana” di ogni
ideologia e della metafisica, smantellandone così ogni pretesa totalizzante. Presiedendo la tavola rotonda su “Nietzsche e la
cultura italiana”, nella sua relazione iniziale Mario Perniola, ideatore e curatore
del convegno, ha evidenziato l’immagine
di Nietzsche come Freigeist, spirito libero, che oggi sollecita l’idea di una società
di spiriti liberi, in cui si rinnovano forme
alternative di sentire e di pensare in opposizione ad una società dell’omologazione
e del conformismo, e ha colto la specificità
della filosofia nietzscheana nella critica
tanto del moralismo di derivazione kantiana, quanto dello storicismo di discendenza
hegeliana. Perniola intravvede la ripresa
del pensiero di Nietzsche nella cultura
italiana di questo secolo sia nella filosofia
del presente di Carlo Michelstaedter, sia
in forme di sentire più intenso, all’opera
nella musica, nel cinema, nel teatro degli
ultimi decenni.
Gianni Vattimo ha rivolto delle obiezioni
a questa interpretazione di Perniola, giudicandola sostanzialmente estetica, estetiz-
CONVEGNI E SEMINARI
zante, poiché accentuerebbe la dimensione artistica, eccentrica, vitalistica della
filosofia nietzscheana con il rischio di isolamento, di autoesclusione della filosofia;
obiezioni cui Perniola ha tuttavia risposto
sostenendo che la posizione di Vattimo
tradirebbe ancora la pretesa tutta metafisica e moderna che il filosofo sia l’unico
interprete autorizzato della propria epoca
e incarni pienamente gli ideali del proprio
tempo. Per capire dove stiamo andando,
ha aggiunto Perniola, occorrerebbe invece guardare con sempre maggiore attenzione anche a fenomeni ed eventi
diffusi nella società contemporanea. Dal
canto suo Vattimo ha comunque insistito su una interpretazione “politica” di
Nietzsche, ricordando anche che in Italia il filosofo tedesco è stato letto come
portavoce delle ragioni antiborghesi delle
avanguardie primonovecentesche e delle esigenze di critica della società di
massa. Il Nietzsche che oggi ci parla, ha
ribadito Vattimo, è comunque il filosofo
del nichilismo e non del dionisiaco, cioè
colui che chiama all’indebolimento dei
fondamenti ultimi e delle strutture forti,
nonché - paradossalmente - il teorico
dell’ “uomo moderato”.
Contrario alla prospettiva di un Nietzsche
politico è invece stato l’intervento di Giacomo Marramao, che ha evidenziato la
base fondamentalmente impolitica del pensiero nietzscheano, sostenendo un Nietzsche filosoficamente più forte e politicamente più debole, un pensiero dell’esperienza e della soluzione e non del rimedio
e della cura, una filosofia affermativa che
rompa con la morale della massa.
I rapporti tra Nietzsche e la cultura letteraria italiana sono stati affrontati da Giulio
Ferroni che ha inteso sottolineare soprattutto la vicinanza speculativa e ideale tra il
filosofo tedesco e il pensatore Leopardi,
accomunati tra l’altro da quella dimensione illuministica di critica dei fondamenti
assoluti, di smascheramento degli errori e
svelamento delle illusioni. Isabella Vincentini invece si è soffermata sulla circolazione del pensiero di Nietzsche nella
poesia contemporanea e in particolare nelle cosiddette neoavanguardie, in cui sono
riscontrabili alcune importanti tematiche
nietzscheane, nonché la ripresa di un certo
nichilismo attivo, positivo, che in questa
poesia diviene assenza della tragicità propria degli spiriti eroici.
I più ampi legami tra Nietzsche e la cultura
europea sono poi stati oggetto di altre
relazioni. Sergio Moravia, che è intervenuto polemicamente con Vattimo, ha ricordato la dimensione più marcatamente
filosofica e tutt’altro che “moderata” del
filosofo dell’ “oltreuomo”, del grande
smantellatore e decostruttore dei principi
e dei valori portanti della modernità; Giorgio Penzo, parlando su nichilismo e sacro,
ha messo l’accento sul pensiero tragico di
Nietzsche, che nasce dalla critica della
metafisica occidentale, in quanto platoni-
co-cristiana, e che è tale, cioè pensiero
tragico, in quanto avverte l’assenza di Dio;
ma è anche pensiero del sacro in quanto
riflette liberamente e senza illusioni su
quell’oltre che sta al di là dell’umano.
Josè Jimènez ha con grande efficacia
evidenziato la natura iconica del pensiero nietzscheano, attraversato e costruito
da immagini e visioni, e soprattutto la
sua natura metamorfica, dal momento
che tutta la riflessione nietzscheana è
una critica serrata della fissità (del tempo, del linguaggio, della storia, della
vita...), della stasi, della quiete e, al contrario, un elogio del movimento, della
trasformazione, del divenire.
Su Nietzsche e Georges Bataille si è
incentrata la relazione di Marie Christine Lala, che ha fatto notare come
Bataille guardi a Nietzsche per affrontare i problemi intorno alla morale e all’arte, cercando di pensare la morale senza
moralismo e l’arte a partire dalla vita e
dalla danza, giungendo in tal modo a
coniare le nozioni di “odio della poesia”
e di “ipermorale” e a ripensare alle condizioni dell’esperienza nelle situazioni
dell’estremo, del limite e dell’eccesso e
ripensando su tali nuove basi lo statuto
stesso del pensiero. François Laruelle
ha mostrato come nel caso di Nietzsche
la sua identità di pensatore non sia comprensibile a partire dal semplice orizzonte filosofico creato da Nietzsche stesso. Alain de Benoist, considerato il
maggior teorico della nuova destra francese, è poi intervenuto parlando della
ricezione di Nietzsche in autori come
Klages, Jünger, Spengler ecc. , evidenziando il trattamento non solo di parte,
ma anche parziale che il filosofo tedesco
ha subìto nell’ambito di questa temperie
culturale.
Tra gli altri interventi, Christoph Wulf
si è soffermato sul problema del male in
Nietzsche, sottolineando la critica dell’ideologia della morale, così come del
bene e del male nel filosofo tedesco;
mentre Peter Sloterdijk ha riflettuto sul
concetto di “cambio di secolo”, cioè sulla fine del millennio in cui viviamo e sul
suo significato. Più filologiche le relazioni di Joachim Latacz sulla Nascita
della tragedia nel contesto della ricerca
moderna e contemporanea sulla tragedia
greca; di Giuliano Campioni su aspetti
della fisiologia dell’arte e della decadenza in Nietzsche; e di Andrea Ermano, sull’idea dell’eterno ritorno in rapporto a Eraclito.
Sotto il segno di Nietzsche, Michel Maffesoli ha posto la sua critica del punto di
vista economicistico e produttivistico della modernità ed ha rivendicato lo spazio
per una dimensione onirico-ludica di forte
valenza rituale e collettiva. Camille Dumoulié si è soffermata invece sul rapporto
tra Nietzsche e Artaud in relazione all’idea di teatro sottesa alle loro opere,
mostrando la vicinanza tra i due pensatori
62
nelle nozioni di contraddizione, dissonanza, differenza. Ha chiuso il convegno una
tavola rotonda sull’idea di spettacolo
dopo Nietzsche, sull’idea di arte e di
teatro in questo secolo, cui hanno preso
parte Mario Perniola, Gillo Dorfles,
Maurizio Grande, Claudio Vicentini e
Giovanni Scipioni. G.P.
I generi
del pensiero rinascimentale
Il Centro di Studi sul Classicismo, diretto da Roberto Cardini, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, organizza da
due anni, da primavera a estate, una
serie di convegni dedicati a temi differenti, incentrati sull’idea di “classico”
e sulla sua eredità. Essenziale all’idea
di “classico” è certo la riflessione sul
rapporto tra norma e innovazione:
quando le regole diventano normative? Come innovare pur restando nella “classicità”? Come si formano i
generi letterari in quanto forme del
pensiero? Questi e altri interrogativi
sono stati al centro degli interventi al
convegno: “UMANESIMO E RETORICA , POESIA, STORIA ”, tenutosi nel Centro di San
Gimignano il 27 e il 28 maggio 1994.
Alla radice dei generi del discorso c’è la
grande tradizione retorica, la quale però
non è univoca, anzi sottende norme letterarie e visioni del mondo differenti. Secondo Francesco Tateo, la retorica umanistica pare percorsa da una tensione, se
non un conflitto, tra i modelli di Cicerone
e Quintilliano: il primo passa per un modello che propone la convergenza tra res e
verba, affermando soprattutto la persuasione; il secondo appare, invece, meno
esposto ai pericoli sofistici e più attento
all’arte del dire, allo “stile”. Al centro
delle tensioni tra i due modelli, ha osservato Tateo vi è la concezione dell’elocutio e
della varietas dei generi. Trapezunzio è
l’esempio di un’impresa retorica che sostiene la varietas dei generi letterari all’interno di una struttura “classica”, aprendo
la retorica alla poetica, alla combinazione
delle forme, alla letterarizzazione dei generi del discorso. Donatella Coppini ha
presentato invece il rapporto fra auctoritas e innovazione nella poesia latina dell’Umanesimo, in particolare in Marullo.
Interrogandosi sulla concezione filosofica
o retorica della poesia, Coppini ha individuato e analizzato il paradosso della poesia latina nell’epoca fra la concezione del
furor poetico e il carattere artificioso della
poesia stessa.
Tra gli interventi sulla storiografia, Paolo
Viti e Giuliana Cravatin hanno affrontato il problema delle origini della storiografia rinascimentale. Viti ha sottolineato l’im-
CONVEGNI E SEMINARI
portanza del genere biografico nella genesi della storiografia critica, e in particolare
si è soffermato su Bruni e Polenton. Crevatin ha ricostruito il dibattito sulla storia
dal XII secolo a Petrarca, sottolineando i
caratteri originali di quest’ultimo, il quale
si pone come imitator degli antichi e non
collector né pacificator, e insiste sulla
necessità di rifondare la storia tramite un
racconto il cui fine sia la virtù. Sul terreno
concreto della storiografia in atto, Liliana
Monti Sabia ha voluto ricostruire filologicamente la figura del Pontano come storico; mentre Anna Maria Cabrini ha tracciato l’itinerario dell’idea di Firenze negli
storici dell’epoca, da Villani a Guicciardini. Mariangela Regoliosi è invece intervenuta sul dibattito umanistico sulla storia, affrontando i nodi della teoresi della
storia, e non della sua pratica, e ricostruendo, da un lato, l’idea di storia nel quadro
concettuale della retorica e dell’arte oratoria, che privilegia il genere epidittico ed è
volta a fini moralizzanti, dall’altro, un’idea
di storia nutrita dalla lettura in particolare
di Tucidide, che sancisce una cesura fra
verosimile e vero, fra storia e poesia e
rivendica il carattere “nudo”, oggettivo
del racconto storico. Qui, ha osservato
Regolioso, occorre che lo storico sia il più
possibile fedele al “vedere”. In tal senso si
possono richiamare le figure di Lapo e di
Valla, rappresentanti di una concezione
per molti versi “classica” della storia, consapevole del carattere storico della verità e
della necessità che il giudizio s’incarni in
una esperienza concreta, e soprattutto dell’idea che la vera filosofia è storiografia, al
contempo narrazione e riflessione. F.M.Z.
Bayle: sincerità di uno scettico
In un momento in cui rinvigorisce
l’affermazione dei particolarismi religiosi, il pensiero di Pierre Bayle, in cui
coesistono fede e ragione, ritrova una
sorprendente attualità. Alla luce di
una tale considerazione, presso l’Ecole Normale Supérieure di Fontenayaux-Roses, il 20 maggio 1994, la Facoltà di Teologia protestante di Parigi
e l’Ecole Normale Supérieure di Fontenay-Saint Cloud hanno organizzato
una giornata di studio dedicata al
pensiero di Bayle.
Nel pensiero di Pierre Bayle (1647-1706)
possiamo ritrovare, al di là della riflessione religiosa sulla tolleranza, i lineamenti
di una filosofia laica in cui la libertà di una
propria confessione religiosa si accorda
con l’apertura alla discussione pubblica, i
cui soli criteri validi sono quelli della ragione. Critico, filosofo, storico, poligrafo;
calvinista, convertito al cattolicesimo e
ritornato poi alla fede protestante; espulso
dalla Francia, in cui torna clandestinamen-
te per esercitare il suo mestiere di “professore di filosofia” a Sedan; da Rotterdam,
dove viene esiliato nel 1681, Bayle propugna una “République des lettres” europea
in grado di riunire gli spiriti “savants” e
critici dell’epoca. A Rotterdam porta anche a compimento la sua opera principale,
il Dictionnaire historique et critique (169597), in cui attacca sistematicamente le
tradizioni e i dogmi, analizzandone in un
primo momento le contraddizioni storiche
per poi passare a una critica razionalista,
confinante con lo scetticismo e ancorata a
un profondo fideismo, anche se la sua
azione è generalmente interpretata come
quella di un precursore delle “Lumières”.
L’interpretazione di Bayle ha conosciuto
molteplici variazioni, a seconda degli interessi di lettura e delle circostanze. Mentre
nel XVIII secolo il Dictionnaire e i Pensées sur la comète (1682) erano le opere
più diffuse in Europa - lette e medidate da
Hume e Kant; tradotte in Germania da
Gottsched; rifatte da Voltaire nel suo Dictionnaire philosophique e nei Contes l’interpretazione impostasi dopo le “Lumières”, e soprattutto nella storiografia
positivistica, fu quella di un pensatore
scettico, nemico giurato delle religioni e
dei dogmi, portavoce dell’Illuminismo e
complice del moderno movimento di secolarizzazione. Talvolta fu anche interpretato come precursore d’un certo empirismo positivista. La dimensione religiosa
del suo pensiero, nell’articolazione con il
suo “scetticismo”, non è apparsa che una
trentina d’anni fa, soprattutto con i lavori
di Elisabeth Labrousse (Pierre Bayle,
1963-64; Bayle et l’instrument critique,
1965; Notes sur Bayle, 1990), che sulla
scia di Cornelia Serrurier dimostrò la necessità di comprendere Bayle a partire
dalla sua duplice eredità, religiosa (calvinista) e filosofica (cartesiana, malebranchista). a questa ambiguità erano stati sensibili già alcuni lettori tedeschi del XVIII
secolo: per Zinzendorf, Bayle era, dopo la
Bibbia, la sua lettura preferita; Kant e
Schleiermacher erano grandi utilizzatori
del Dictionnaire. In Italia, un rinnovato
interesse è apparso in questi ultimi anni
con i lavori di C. Senofonte, P. Bayle, dal
Calvinismo all’Illuminismo (1978), che si
appoggia a Bayle per difendere la tesi delle
“Lumières” come “autosuperamento del
Cristianesimo”, e di R. Cortese, P. Bayle,
l’inquietudine della ragione (1981); più
recentemente G. Paganini.
Su invito di Pierre-François Moreau e
Olivier Abel e con la partecipazione di
Elisabeth Labrousse, nella giornata di
studio dedicata a Bayle sono state messe in
evidenza originalità e ambiguità di questo
pensatore in rapporto al nesso tra pensiero
e fede, mascheramento retorico e comunicazione pubblica, scetticismo e convinzione, critica ed etica. Oscar Kensuhr ha
analizzato la connessione fra scetticismo e
fede nel Dictionnaire, mettendo in evidenza ciò che si può dire una “sincerità obli63
qua” di Bayle dietro l’arsenale scettico da
lui messo in opera e l’incommensurabilità,
nello scetticismo, tra ragione e fede. Evocando il rapporto tra Bayle, J. Craig e J.
Brown, e richiamando soprattutto pensatori sospetti, tra cui Spinoza, Kensuhr ha
rilevato come la sincerità di Bayle si esprima attraverso una enciclopedia di opinioni
frammentarie, dove il fideismo non è solo
il superamento dello scetticismo, bensì la
sua espressione continua.
Olivier Abel ha sviluppato i contorni di
un’etica del dubbio (contro il fanatismo) e
della compassione, connessa allo scetticismo, mettendo in evidenza la relazione tra
la coscienza conoscitiva, necessariamente
limitata, e la coscienza morale, in cui il
soggetto è direttamente posto davanti a
Dio. Il vuoto delle opinioni che risulta dal
dispositivo pirroniano, ha osservato Abel,
prefigura quella kenosis in cui il soggetto
calvinista appare anch’esso svuotato davanti a Dio. D’altra parte, l’indissolubilità
dell’appello alla fede e alla grazia distoglie la riflessione di Bayle da ogni attitudine passiva, nel senso del quietismo, e equilibra il pensiero critico e polemico con
un’etica della compassione e della tolleranza. Hubert Bost, autore di un recente
studio: Pierre Bayle et la religion (1993),
ha invece analizzato alla luce delle metafore del cibo, del viaggio e della biblioteca
il ruolo della lettura in Bayle, scorgendovi,
in modo immaginoso ma poco concettuale, un fondamento epistemologico originale, un lego, così come esiste un cogito in
Descartes.
Sull’intolleranza in Bayle si è pronunciato
J.-M. Gros, curatore, nel 1992, di un’edizione del Commentaire philosophique di
Bayle. In quest’opera, ha osservato Gros,
l’argomento fideista è quasi del tutto assente: Bayle non cerca di predicare la
tolleranza ai teologi, ma sviluppa la sua
riflessione in un quadro giuridico e politico; la “République des lettres” mette in
opera il principio della tolleranza sottomettendo tutte le opinioni al giudizio della
critica. Infine, G. Paganini ha affrontato il
problema della localizzazione degli spiriti, in particolare nell’interpretazione humiana (Trattato, I, 4-5). L’adesione di
Bayle al dualismo cartesiano, ha fatto notare Paganini, motiva la sua incomprensione della fisica newtoniana e le numerose aporie a cui va incontro. Così, per
Descartes come per Bayle, l’identificazione dello spazio con la res extensa dipende
da una “rivoluzione naturale”, laddove la
fisica di Newton rimetteva in questione
tale identità e rifiutava l’ “evidenza”. D’altra parte, se Bayle mette alla prova nel suo
laboratorio scettico le nozioni di sostanza
immateriale o di un unione locale dell’anima e del corpo, Hume riutilizza certi argomenti, applicandoli alle qualità, procedendo verso la costatazione di una connessione nell’esperienza, che supera le contraddizioni e le incoerenze di Bayle nel senso
dello scetticismo filosofico. D.T.
CONVEGNI E SEMINARI
Religione e scienza.
Nella cornice prestigiosa della Heidelberger Akademie der Wissenschaften, con il titolo: “Scienza e
religione” si è svolto a Heidelberg,
dal 12 al 14 maggio 1994, il XXI
Simposio della Gesellschaft für Wissenschaftsgeschichte, dedicato ad
una ricostruzione problematica del
rapporto tra religione e scienza da
Agostino a Kant.
Aprendo i lavori, Wolf-Dieter MüllerJahncke ha sottolineato come la questione proposta per questo Simposio richieda una visione globale dell’insieme
dei rapporti tra teologi e scienziati, tra
cui sono da includere i medici e i philosophi naturales. Il difficile rapporto tra
religione e scienza nella prima patristica
è stato affrontato da Christoph Heitmann (“religione e scienza nell’antichità cristiana”), che ha messo a fuoco in
primo luogo il rifiuto della scienza della
natura greca a favore della fedeltà alla
Scrittura in Basilio di Cesarea; in secondo luogo la critica di fatuità formulata da Agostino nel De ordine e nella
Epistula 118 nei confronti di una scienza
vista come in sé priva di valore; infine, la
citazione dei più importanti trattati di
Euclide, Apollonio, Archimede e Tolomeo nel Vivarium di Cassiodoro. La
tradizione ebraica è stata presa in considerazione da Friedrich Niewöhner
(“Natura-scienza e conoscenza di Dio: il
modello ebraico), che ha proposto un
modello per interrogare tre millenni di
pensiero religioso e filosofico ebraico
attraverso la “dottrina negativa degli attributi”, quale si trova formulata in Maimonide e nella tradizione della Haskala: un modello ripreso anche nella “casa
di Salomone” della Nova Atlantis di
Bacone e che si ripercuote nell’antitrinitarismo aporetico di Newton, come pure
nelle metafisiche critiche di Mendelssohn e Kant, fino a Wissenschaft und
Religion (Scienza e religione, 1930) di
Einstein.
David A. King (“Astronomia nelle moschee e nei conventi”) ha fornito ricco
materiale documentario e iconografico
per ricostruire le implicazioni teologiche degli strumenti astronomici della
tradizione mussulmana. Richiedendo
preliminarmente alla preghiera l’individuazione della linea di congiungimento
tra il luogo nel quale si trova il fedele e
la Mecca, la tradizione mussulmana determinò una stabile affermazione dell’astronomia e della geografia anche a
livello
pop olare .
Mieczy slaw
Markowski (“I liberi spazi universitari
nel tardo Medioevo come promotori della scienza naturale moderna”) ha ricostruito alcuni momenti nodali del rapporto tra religione e scienza nel pensiero
del basso Medioevo a partire dagli statu-
ti delle Università di Parigi, Cracovia,
Erfurt, e Copenhagen, determinando il
ruolo dell’astronomia nelle facultates
artium. Dell’ambito protestante si è occupato Riccardo Pozzo (“Scienza e religione. Gli esempi delle Università di
Königsberg e Helmstedt”), che ha messo
in luce il ruolo di primo piano svolto dal
teologo e filosofo Melantone nello stabilire il sostrato dal quale ha poi preso
avvio la rivoluzione scientifica del Seicento. L’opposizione di Melantone, ha
osservato Pozzo, riguardava non solo e
non tanto la portata speculativa dell’ipotesi eliocentrica, ma la possibilità di valutarla criticamente rispetto alla sua fruibilità nell’ambito dell’insegnamento
nelle rifondate università della Germania protestante.
Paul Richard Blüm (“Gesuiti tra religione e scienza”) ha aperto il discorso
sulla theologia naturalis, disciplina che
fu introdotta dai gesuiti all’inizio del
XVII secolo e che meglio di ogni altra,
nonostante le numerosissime riserve
avanzate da più parti, rappresentò un
punto di congiunzione tra l’insegnamento
praticato nella facultates theologicae e
quello nelle facultates artium. Di G. F.
Meier, un filosofo dell’illuminismo poco
noto, ma assai importante per l’influenza esercitata sui contemporanei, si è occupato Günter Schenk (“Ragione vs
rivelazione: la concezione di Meier dell’impossibilità di una dimostrazione matematica contro l’immortalità dell’anima”), che ha messo in evidenza l’efficace ruolo di mediazione esercitato da
Meier tra il wolffismo conservatore di S.
J. Baumgarten, maestro di Meier, e la
critica razionalistica alla religione di T.
Abbt e J. S. Semler, tra i piú importanti
allievi di Meier. Herbert Breger (“Matematica e religione nella prima modernità”), ha richiamato le applicazioni della matematica a fini apologetici in J.
Craig, B. Nieeuwendtijt e Berkeley.
Chiudendo il discorso sulle implicazioni
epistemologiche delle metafisiche critiche, Hans-Joachim Washkies (“Scienza come compensazione della religione”), si è soffermato sulla storia dello
sviluppo della fisicoteologia kantiana.
Infine, Harry A. M. Snelders (“Scienza
naturale e religione nei Paesi Bassi intorno al ‘600"), ha fatto notare che tra
scienze naturali e religioni non vi è stata
solo lotta, ma anche alleanza, fornendo
con ciò nuovi punti d’appoggio a quelli
proposti a suo tempo da A. Kojéve nel
1964 su L’origine chrétienne de la science moderne (L’origine cristiana della
scienza moderna). Ha chiuso il Simposio
una tavola rotonda, diretta da Wolfgang
U. Eckhart e Stefan Rhein sul rapporto
tra religione e scienza. Gli atti usciranno
tra breve, a cura di Fritz Krafft, in un
fascicolo monografico dei «Berichten zur
Wissenschaftsgechichte». R.P.
64
XXI Conferenza
della Hume Society
Tra il 20 e il 24 giugno 1994 si è svolta
a Roma, con il titolo: “TWENTY-FIRST
HUME SOCIETY CONFERENCE”, la XXI Conferenza della Hume Society, organizzata da Eugenio Lecaldano, dell’Università “La Sapienza” di Roma, e David Fate Norton della Mc Gill University. Nell’arco di cinque giorni si sono
svolte ben ventinove sessioni di studio, a cui hanno partecipato studiosi
del pensiero humiano provenienti da
vari paesi. Il prossimo incontro della
Hume Society si svolgerà nella città di
Park City, dal 25 al 29 luglio 1995,
presso la University of Utah.
Grande attenzione è stata dedicata ai rapporti di Hume con autori e correnti di
pensiero più strettamente collegabili alla
sua opera. Julia Annas ha cercato di evidenziare la complessità e la problematicità
del rapporto di Hume con lo scetticismo
antico, giungendo alla conclusione che il
filosofo scozzese non avrebbe compreso
correttamente il senso dello scetticismo a
causa di un dogmatismo naturalistico, di
cui non vi è invece traccia nella filosofia
degli antichi. Peter Fosl, al contrario, ha
sostenuto la necessità di leggere Hume
come un pensatore pirroniano, sia per i suoi
contatti con i testi di Sesto Empirico e della
corrente pirroniana, sia per la connessione
con lo scetticismo antico dei temi humiani
del “natural belief” (credenza naturale) e
della “common life” (vita comune). Sempre nell’ambito della filosofia greca Marcia L. Homiak ha voluto collegare Hume
ad Aristotele sulla base della nozione di
carattere, in cui sarebbe presente un principio di deliberazione indipendente dalle
motivazioni della ragione pratica.
In una diversa prospettiva di ricerca, Thomas M. Lennon ha parlato delle possibili
influenze esercitare su Hume dal teologo
Pierre Jurieu, interpretato attraverso il Dizionario storico-critico di Pierre Bayle.
Emilio Nazza ha tenuto invece una relazione su Hume e Huet, riproponendo contemporaneamente i problemi storiografici
legati all’utilizzo delle fonti di un autore.
Sui legami che uniscono Hume e il libero
pensatore John Trenchard, riguardo soprattutto ai temi della superstizione religiosa
e della critica ai miracoli, si è soffermata
Paola Zanardi mentre Jane L. McIntyre
ha messo a confronto le teorie delle passioni
di Hutcheson e Hume, riscontrando sostanziali differenze e individuando nelle passioni indirette (orgoglio, amore), non in quelle
dirette (egoismo, benevolenza), la fonte dell’approvazione morale secondo Hume.
A Thomas Reid e alle sue critiche a Hume
sono stati dedicati diversi interventi. Michael Karlsson ha notato che sul problema
del ruolo della ragione e dei principi razionali nella determinazione dei fini, la teoria
di Reid e quella di Hume non solo entrano
CONVEGNI E SEMINARI
David Hume
65
CONVEGNI E SEMINARI
in collisione, ma talvolta coincidono apertamente. Stephen F. Barker ha invece
dedicato la sua relazione all’analisi in Hume
e Reid dei temi della necessità, della libertà
e della responsabilità morale, rilevando
una maggiore accuratezza nelle analisi di
Reid sulla libertà morale, ma criticando poi
le sue conclusioni controcausali sulla responsabilità individuale. Luca Parisoli ha
preferito dedicarsi a un autore meno conosciuto della “scuola del senso comune” scozzese, James Gregory, evidenziando la sua
critica all’anatonia e al riduzionismo di Hume.
Non sono mancati collegamenti tra Hume e
la cultura tedesca. Simon Blackburn ha
messo a confronto le teorie etiche di Kant e
Hume, mentre George di Giovanni ha
chiarito il modo in cui Hume fu utilizzato
da Jacobi nella sua polemica sullo spinozismo con Mendelssohn. Giancarlo Carabelli, Franco Restaino e Antonio Santucci hanno invece dedicato le loro relazioni
all’influenza di Hume in Italia. Nell’800
viene studiato principalmente lo Hume economico e politico dei Saggi, anche a causa
della censura cattolica delle sue opere filosofiche, di cui vengono rigettati lo scetticismo e la teoria dei miracoli. L’interesse per
lo Hume gnoseologico viene risvegliato
dalle correnti neokantiane e positiviste e
trova in Italia, agli inizi del ‘900, riscontri
nelle opere di autori vicini all’attualismo,
quali Carlini e Della Volpe. Nel dopoguerra Dal Pra e altri esponenti milanesi
producono finalmente una serie di studi
capaci di analizzare l’opera del filosofo
scozzese nella totalità dei suoi temi.
Una lunga e complessa relazione è stata
dedicata da Jean-Pierre Cléro alla teoria
humiana delle passioni, viste come giochi
dinamici di forze che fanno dello spirito
umano una realtà in costante evoluzione.
Elizabeth S. Radcliffe ha riflettuto sul
rapporto ragione-passioni, vedendo solo
nelle passioni dirette gli unici principi
motivanti dell’azione. Fabio Todesco ha
invece collegato alle passioni il tema dello
scetticismo, mostrando come nel Trattato
sulla natura umana lo scetticismo rivesta la
funzione metodologica, propedeutica al lavoro dello scienziato, di sospensione delle
passioni. Sempre a proposito delle passioni,
la relazione di John P. Wright ha esaminato
come la schiavitù della ragione rispetto alle
passioni, teorizzata da Hume nella sua opera
maggiore, possa essere applicata anche al
tema della religione e della sua influenza su
individui e società. Sulla concezione strumentale della ragione in Hume, Jean Hampton ha proposto una lettura che mostra l’impossibilità di intendere strumentalmente la
ragione da parte di Hume sulla base del suo
naturalismo. Christine M. Korsgaard ha
ulteriormente criticato l’ipotesi di leggere in
Hume una concezione strumentalista della
ragione, perché se la ragione non può prescrivere fini, non può neppure prescrivere i
mezzi per ottenere questi fini.
David Fate Norton ha dimostrato che
Hume non è uno scettico in quanto rifiuta di
fondare la morale sul relativismo, il convenzionalismo o il volontarismo. Elvio
Baccarini ha a sua volta negato l’interpretazione scettica della morale di Hume, sostenendo invece la possibilità di intenderla
come una forma di realismo naturalistico.
L’analisi dell’opera di Hume alla luce di
principi guida come il naturalismo e il convenzionalismo (un convenzionalismo di tipo
pragmatico) è stata condotta da Alessandra
Attanasio. Tito Magri ha invece fatto notare come la motivazione dell’essere morale e
razionale dipende da regole generali che
modificano in senso astratto e generale i
motivi naturali e che risultano costitutive
della virtù della giustizia e del nostro obbligo
ad essere morali e razionali. J. P. Monteiro
ha sottolineato il fatto che per Hume le
relazioni causali possono essere stabilite attraverso esperienze ripetute o anche attraverso esperienze singole che, comunque,
necessitano di speciali circostanze per poter
costituire il fondamento delle inferenze causali. Nathan Brett ha cercato di difendere la
posizione humiana di derivazione berkeleyana, circa le idee generali, la cui funzione di
idee astratte nel ragionamento è resa possibile solo dal fatto di essere collegate a termini
generali. Dela Jacquette ha discusso invece
la teoria di Hume che rifiuta la divisibilità
infinita di spazio e tempo e la sua idea che
l’estensione sia costituita da elementi inestesi e indivisibili. Corliss Swain ha negato
elementi scettici nella giustificazione humiana dell’inferenza. Robert Shaver ha
preso spunto da un brano della Ricerca sui
principi della morale per sostenere in Hume
la presenza di un principio non hobbesiano
di superiorità dell’umanità sulla giustizia.
Cicero Araujo ha indagato nel Trattato la
relazione tra i concetti di virtù e diritto,
soprattutto in funzione della teoria della giustizia di Hume. La relazione di Kiyoshi
Shimokawa ha cercato da un lato di collegare la nozione di proprietà alla teoria humiana
della causalità, dall’altro di vederla in contrasto con la precedente tradizione dei diritti
soggettivi. Al saggio di Hume Sulla popolosità delle nazioni antiche ha dedicato il suo
intervento Domenico Musti, analizzandolo
anche in riferimento agli studi demografici e
statistici dell’800. M.P.
Bruno Bauer
Dal 5 all’8 settembre 1994 presso la
sede dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli, Antonio Gargano,
segretario generale dell’Istituto, ha tenuto un seminario su “BRUNO BAUER,
1809-1882”, con l’intento di riproporre
all’attenzione critica il pensiero di questo filosofo e biblista tedesco, a lungo
trascurato soprattutto per la nota
“stroncatura” marxiana del suo pensiero, ma anche per la scarsa reperibilità delle sue opere.
66
Contro le idee della “destra” hegeliana,
Bruno Bauer rifiutava di considerare
conchiuso il sistema di Hegel e, di conseguenza, sostanzialmente compiuta la
storia dell’umanità; al contrario, ha osservato Antonio Gargano, Bauer sottolineava il carattere rivoluzionario della
dialettica hegeliana, che comportava il
superamento di ogni condizione storicosociale determinata. In tal senso Bauer,
in connessione con la dissoluzione della
vecchia Europa, considerava “la fine
della filosofia” come conclusione di uno
sviluppo storico, ma anche, una svolta
verso una nuova vita. Infatti, in vista di
un’imminente catastrofe, Bauer auspicava il “disvelamento”, ossia un’ampliamento della coscienza, che può essere in
sostanza considerato un recupero della
prospettiva illuministica. Bauer insisteva sulla considerazione della storia quale svolgimento dell’autocoscienza. Il sistema hegeliano, interpretato da Bauer
in senso soggettivistico, diventava la premessa a tale compimento dell’autocoscienza. Bauer intese esercitare la filosofia come critica di ogni “oggettività”,
sia religiosa, sia politica, per promuovere la liberazione dell’uomo, laddove l’autocoscienza diventava il baluardo di una
filosofia libera dalle mitologie religiose.
In tale senso, ha osservato Gargano, si
capisce la chiara opposizione di Bauer
all’Essenza del Cristianesimo (1841) di
Feuerbach, nella quale i predicati dell’Uomo sono i predicati di Dio. In effetti, per Bauer, Feuerbach non fa altro che
sostituire alla “sostanza-Idea” di Hegel,
o alla “sostanza-Dio” dei teologi, la “sostanza-Umanità”. Al contrario Bauer
contrapponeva nettamente la progressiva “filosofia dell’autocoscienza”, quale
identità di teoria e prassi, alla “filosofia
della sostanza”. Proprio il rapporto tra
teoria e prassi divenne il centro della
polemica tra Marx e Bauer. Pur partendo
entrambi da una comune volontà di cambiamento del mondo, Bauer confidava, a
tal fine, in una trasformazione della coscienza comune nell’ “autocoscienza”
libera e “vera”, mentre Marx cercava
invece di ancorare il cambiamento a forze storico-sociali concrete, individuate
nel proletariato.
Una tesi peculiare del lavoro storico di
Bauer è quella della “scoperta” del Cristianesimo, che raggiungeva la sua purezza soltanto con il Protestantesimo,
che non ammetteva alcun elemento di
mediazione tra Stato e Chiesa, ma soltanto lo Stato doveva semplicemente
esistere. Bauer sottolinea però la distinzione tra Stato ideale e Stato reale: il
primo si pone come una sorta di “fusione” della polis greca con i principi federali americani e quelli repubblicani francesi, consentendo una riconciliazione
dell’individuo con se stesso e con la sua
attività sociale; il secondo, invece, non è
in grado di rendere l’uomo “uomo”, per-
CONVEGNI E SEMINARI
ché non si presenta come Stato della
libertà, ma si affida alla credenza religiosa e fa di se stesso una sorta di Chiesa,
mentre fa della Chiesa una sorta di Stato.
Di fronte alla dissoluzione della vecchia
Europa, ha poi fatto notare Gargano,
Bauer, in uno scritto del 1853 Russland
und das Germanentum (La russia e il
germanesimo), si poneva il problema se
soltanto la nazione russa, o anche il germanesimo dovevano determinare la nuova civiltà. Già Hess, nella sua Triarchia
europea (1841), sosteneva che Germania, Francia e Inghilterra rappresentavano i perni della storia europea: la prima,
pervasa dall’interiorità, ha dato all’Europa, col Protestantesimo, la libertà spirituale; la seconda, con la Rivoluzione
francese, ha dato la libertà politica e la
terza, come paese economicamente più
avanzato, dovrà dare la libertà sociale.
In questo Hess ritiene che la Russia rappresenti la massa che fa slittare l’Europa
verso l’illibertà e la passività orientale. Al
contrario Bauer vede nella Russia la nazione che, proprio per l’assenza in essa di una
tradizione filosofica, porterà l’Europa a
risorgere. Ma con questo, ha osservato Gargano, la parentesi giovanile di Bauer è
finita e ci si ritrova di fronte ad uno spirito
conservatore, che giungerà all’accettazione del regime bismarckiano. R.I.
Feuerbach
e l’immagine del passato
Dal 14 al 18 settembre 1994, presso
la sede dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, si è svolto
il convegno “ LUDWIG FEUERBACH E L’IMMAGINE DEL PASSATO ”, organizzato
dall’Istituto napoletano e dalla Società Internazionale di Studi Feuerbachiani. Il riferimento al passato,
in un pensatore che troppo spesso è
stato identificato con un presente
declamatorio e superficiale, doveva
servire a recuperarne lo spessore
teoretico e culturale nel senso più
ampio. A tale compito si sono cimentati più di trenta studiosi, provenienti da undici paesi del mondo.
Nella prima Sezione del convegno, dedicata al tema: “Il mondo classico e la sua
critica”, Francesco Tomasoni ha tratteggia to l’evolu zion e in Ludwig
Feuerbach di due importanti categorie
storiografiche: quella di paganesimo e
quella di giudaismo. Mentre nell’Essenza del cristianesimo queste categorie
sarebbero in netta antitesi, lasciando intravvedere una posizione precostituita
di idealizzazione o di avversione, nella
Teogonia finirebbero per avvicinarsi e
per svelare fondamentali tratti comuni.
Monika Ritzer ha approfondito il mito
del destino nella Teogonia, sottolineando l’acutezza di determinate intuizioni
di Feuerbach nella lettura di Omero. La
seconda Sezione, dal titolo: “Critica delle forme storiche del cristianesimo”, ha
visto concentrarsi l’attenzione soprattutto sul rapporto di Feuerbach col protestantesimo e col cattolicesimo. Ryszard Panasiuk ha confrontato la posizione di Feuerbach con quella di Ruge
rispetto al cattolicesimo; John Glasse
ha stabilito un paragone con D. F. Strauss;
Maciej Potepa ha esaminato il rapporto
di Feuerbach con Lutero, toccando anche l’argomento del pietismo.
Nella terza Sezione: “Concezione della
filosofia della storia”, Andreas Arndt è
ritornato sul tema della mediazione e
dell’immediatezza per mettere a fuoco
la particolare storiografia di Feuerbach.
Takayuki Shibata ha evidenziato il principio metodologico dell’ Entwicklung
(sviluppo) come concetto fondamentale
nella ricostruzione feuerbachiana delle
filosofie del passato. Muovendo da un
approccio ermeneutico, Adriana Verissimo Serrao ha invece visto nella storiografia di Feuerbach l’attenuarsi del
momento della successione a favore di
un rapporto di dialogo con il singolo
pensatore. Andràs Gedö ha confrontato
i modelli di storia della filosofia in auge
all’epo ca. Infin e Wern er S chu ffenhauer, curatore dell’edizione critica
delle opere di Feuerbach, ha rivelato
nuovi dati relativi all’impegno storicopolitico del filosofo.
Nella quarta Sezione, dedicata al tema:
“Discussione con la filosofia della storia”, Nicola Badaloni ha mostrato la
rilevanza per Feuerbach della lettura di
Bruno, Campanella e più in generale
della filosofia italiana del Cinque-Seicento. Tale lettura subirebbe tuttavia il
condizionamento di Jacobi e perderebbe di peso dopo l’Essenza del cristianesimo. Karol Bal ha confrontato l’interpretazione di Böhme in Hegel e in
Feuerbach. Se in Hegel Böhme ha la
funzione di mettere in rilievo le differenze rispetto all’illuminismo e al romanticismo, in Feuerbach è piuttosto la
via per recuperare l’uomo nella sua integrità. In Feuerbach diventa perciò significativo il tema del misticismo e della
sensibilità. Vesa Oittinen e Endre Kiss
hanno approfondito i rapporti con Spinoza;
mentre Tamara Dlougatsch e Ursula Reitemever hanno ribadito le influenze illuministiche e, in particolare, di Rousseau.
Infine Christine Weckwerth ha esaminato le relazioni del giovane Feuerbach con la
Fenomenologia di Hegel.
Nella quinta Sezione: “Feuerbach nella
storia della filosofia contemporanea”,
W. F. Niebel ha rilevato l’importanza
storiografica della filosofia dell’io; mentre Lawrence S. Stepelevich ha ripreso
le critiche di Stirner a Feuerbach. Junji
Kanda ha indicato un parallelismo fra le
67
critiche di Feuerbach all’idealismo e
quelle di Popper alla filosofia della storia. Giuseppe Cantillo ha messo in discussione la tesi di Barth secondo cui
Feuerbach sarebbe l’esito conseguente
della teologia di Schleiermacher e ha
indicato nella filosofia di Troeltsch un
altro possibile riferimento per quanto
riguarda l’autonomia e la storicità del
fenomeno religioso. Giuseppe Cacciatore ha illustrato la particolare interpretazione di Bloch, secondo cui Feuerbach
si troverebbe sulla linea che porta da
Hegel a Marx rispetto alla linea del nichilismo che da Schopenhauer conduce
a Nietzsche. Secondo Cacciatore, Bloch
si ricollegherebbe a Feuerbach nella sua
eliminazione dell’ipostasi teistica, ma
sottolineerebbe maggiormente la proiezione verso il futuro, il dinamismo della
speranza. Infine Claus-Artur Scheier
ha applicato modelli linguistici contemporanei a importanti passaggi logici di
Feuerbach, mettendo a fuoco il modificarsi dei rapporti concettuali. Un ruolo
importante è stato svolto al convegno da
Hans-Martin Sass e Walter Jaeschke,
durante le discussioni e i lavori. F.T.
Sul concetto di amicizia
Organizzato dall’Accademia di Studi
Italo-Tedeschi di Merano (BZ), dal 9
all’ 11 maggio 1994, presso la Sala
Convegni del Complesso delle Terme
di Merano si è tenuto il XXII Convegno
Internazionale di Studi Italo-Tedeschi
sul tema: “IL CONCETTO DI AMICIZIA NELLA
STORIA DELLA CULTURA EUROPEA”. I numerosi studiosi convenuti, espressione
delle più differenti esperienze culturali in ambito filosofico, storico e linguistico, hanno offerto un tentativo di
analisi del concetto di amicizia finalizzato alla ricerca di una prospettiva
contenutistica.
Nelle relazioni, nelle comunicazioni e
negli interventi dei partecipanti al Convegno è emersa spesso la tendenza a non
vedere nell’amicizia l’oggetto di una
mera analisi, bensì lo strumento per risolvere i problemi suscitati dalla disgregazione della società contemporanea.
L’amicizia è stata considerata come via
(se non come metafora) per accedere ad
una visione metafisica e internamente
coerente del Mondo, dell’Anima e di
Dio. Spesso l’amicizia è stata vista come
strumento (o surrogato) per la politica,
mai come categoria di comprensione del
Politico. Non è stato un caso che in tre
giorni di lavori congressuali nessuno dei
partecipanti abbia richiamato l’attenzione su Carl Schmitt e sugli antonomi
amico-nemico che caratterizzano la sua
filosofia politica. Questo, ovviamente,
CONVEGNI E SEMINARI
non è indice di disinteresse, bensì frutto
di una precisa scelta dei partecipanti. In
questo l’amicizia traduce, più che la necessità dell’Identità, l’aspirazione alla
Mediazione, l’apertura verso l’Altro.
Nel suo intervento Mario Scotti ha letto
la storia e la natura del concetto di amicizia come quella di una idea che sussume in sé tanto la riflessione etica quanto
la rappresentazione estetica, sia pure
spesso quale estetica del dolore. In tale
prospettiva, centrata soprattutto sulla
lettura della Iliade, e sulle opere di Euripide e Cicerone, Scotti è apparso incline
a vedere nell’amicizia uno strumento
per la condivisione del Piacere, in cui si
pone tanto l’apertura all’Etica, quanto,
in ultima analisi, la manifestazione del
Trascendente. Muovendo da una prospettiva linguistica, Guntram A. Plangg
ha invece analizzato la semantica dei
termini Freundschaft e “Amicizia”, dimostrando come questi due termini semanticamente non identici - attraverso l’interscambio culturale, si siano progressivamente avvicinati, passando dal
riferimento a vincoli di sangue, al significato di legami affettivi.
Enrico Berti ha ricondotto l’amicizia ad
una valenza categoriale di segno eticopolitico, attraverso la trattazione del concetto di amicizia in Aristotele come condizione per la felicità. Per Berti, l’amicizia
così intesa è superiore alla stessa giustizia:
l’amicizia non ha infatti bisogno della giustizia, mentre la giustizia ha bisogno dell’amicizia. L’amicizia aristotelica, analizzata da Berti, non è fondata sul piacere, o
sull’utile, ma su una considerazione generale della persona. Questa valutazione suscita il sentimento del bello - che è quindi,
rispetto all’amicizia, effetto e non causa e insieme la motivazione per il sacrificio.
Contro tale visione, vista quale manifestazione di una filia totalizzante in quanto riflesso di una concezione metafisicodogmatica, è intervenuto Giorgio Penzo che, richiamando il pensiero di Max
Stirner, vede nell’amicizia la categoria
per attingere una dimensione esistenziale, tesa verso l’Essere, contrapposta alla
sua entificazione.
Sulla contrapposizione fra l’amicizia
come riflesso della virtù e l’amicizia
come metafora dell’utile si è espresso
anche Werner Suerbaum che ha indicato in Cicerone l’alfiere dell’amicizia
quale riflesso della natura socievole dell’uomo, e in Epicuro il rappresentante
dell’amicizia come via per conseguire
l’utile e la felicità.
La figura di Agostino di Ippona è stata al
centro del tentativo di Luigi Alici di sondare le visioni dell’amicizia proposte da Suerbaum come riflesso di un processo intrinsecamente unitario. Nelle Confessioni
Agostino scopre che il piano affettivopsicologico dell’amicizia, vissuto immediatamente come condivisione della
felicità, trapassa nella condivisione del-
la ricerca della Sapienza, come ricerca
dell’Anima e di Dio.
Silvestro Marcucci ha concentrato la sua
attenzione sull’amicizia “morale” in Kant.
L’amicizia viene qui vista come manifestazione della moralità dell’uomo, assolutamente infondabile al di fuori dei “Postulati” della Ragion Pratica e della loro comprensione. A tale visione dell’amicizia si è
implicitamente richiamato anche Horst
Seidl che è giunto alle stesse conclusioni di
Marcucci, partendo dalla lettura del rapporto Men und Friendschip di Stuart Miller (Boston 1983). Ciò dimostra che la
fondazione empirica converge con quella
trascendentale, e che nella prassi si trova la
necessità di una fondazione etica della categoria dell’amicizia. A tale proposito Adolf
Schurr, partendo dalla fondazione a priori
della Critica della Ragion Pura kantiana,
ha rinvenuto nei suoi sviluppi in Fichte,
Schelling e Hegel la possibilità di ricostruire un concetto di amicizia colto allo
stesso tempo nel suo valore essenziale e
nel suo valore esistenziale. In particolare tale possibilità viene vista da Schurr
nella formulazione fichtiana della teoria
dell’impersonalità.
Gli Atti del Convegno, a cura dell’Accaddemia di Studi Italo-Tedeschi, sono
stati pubblicati sotto la direzione di Luigi
Cotteri. D.B.
Convegno mondiale
di sociologia
Tra il 18 e il 23 luglio 1994 si è tenuto
presso l’Università di Bielefeld (RFT) il
XIII Convegno mondiale di sociologia,
un evento che viene organizzato ogni
quattro anni dalla ISA (International
Sociological Association). Il tema dell’incontro: “CONTESTED BOUNDARIES AND
SHIFTING SOLIDARITIES” (Confini contestati
e solidarietà che cambiano), costituisce già una dichiarazione riguardo alle
molteplici sfide che la sociologia istituzionalizzata intende attualmente
affrontare: contribuire alla comprensione del nuovo mondo uscito dalla
fine della guerra fredda, partendo dall’elaborazione di nuovi concetti e prospettive e dall’assunzione della sfida
intellettuale, proveniente dalle impostazioni post-moderne e dalle altre
discipline sociali e umane.
Più di 4000 partecipanti da tutto il mondo; più di 2000 relazioni presentate in 6
simposi, 47 comitati di ricerca, 7 gruppi
di lavoro, 6 gruppi tematici e 6 sezioni
specifiche: bastano queste cifre per rendersi conto delle dimensioni di questo
convegno e conseguentemente dell’alto
livello di specializzazione, di differenziazione interna e di varietà tematica
raggiunto oggi dalla sociologia; un pro68
cesso giunto a un punto tale da mettere in
discussione i suoi limiti e la sua stessa
unità. Tuttavia, lo “spirito” del convegno è stato quello di dimostrare come la
sociologia sia divenuta una scienza modesta, nella misura in cui muove dal
riconoscimento della crescente complessità del mondo e al tempo stesso, in
termini epistemologici, nega la possibilità di formulare ipotesi forti, che spieghino ostensibilmente, chiariscano o illuminino totalmente lo sviluppo del reale. Compito della sociologia è oggi, piuttosto, di riconoscere la tensione esistente tra tendenze generali alla globalizzazione e all’internalizzazione a diversi
livelli e la rinascita di particolarismi
regionali, locali, nazionali, dai fondamentalismi religiosi alle moderne forme
del razzismo. La domanda, dunque, che
oggi si pone ai sociologi, per quanto
riguarda il campo della politica pratica e
degli agenti sociali, è come pensare strategie per il futuro, come assumere la
particolarità e la diversità delle domande, siano esse di carattere sessuale, etnico, linguistico, nazionale, sovranazionale, ecologico o di classe.
Una prima risposta è venuta da Niklas
Luhmann, che ha posto la domanda circa la possibile unità di una sociologia
altamente differenziata come quella contemporanea. Secondo Luhmann, il concetto di stratificazione è stato il criterio
principale di differenziazione nella storia del pensiero sociologico. Ma in questa fine di secolo tutte le varie concezioni che si sono succedute lungo la storia
del progresso umano sono cadute una a
una: oggi è impossibile parlare di felicità, di solidarietà, di uguaglianza delle
condizioni di vita, come è invece avvenuto per le epoche passate. Luhmann
riconosce il vuoto di certezze, oggi emergente, ma non si lascia tuttavia sedurre
da nessuna delle offerte concettuali attualmente disponibili, come quelle della
“post-modernità” e della “società civile”, o da nozioni che rivitalizzino in
termini più attuali la vecchia idea di
“comunità”. Egli propone piuttosto di
trasferire l’attenzione dal concetto di stratificazione a quello di differenziazione funzionale, al fine di ricostruire concettualmente l’unità della nostra società.
Luhmann riconosce le tensioni esistenti
tra la società regionale e la società mondiale: un sistema finanziario internazionale che costituisce la base del sistema
economico internazionale; un ordine
politico in cui lo stato non è più l’istanza
centrale privilegiata a partire da cui si
devono trattare i problemi. Si tratta di
sistemi di funzioni altamente separati,
operazionalmente chiusi, privi di meccanismi centrali di coordinamento, che
non possono essere superati né da un
sistema politico nuovo, né da un sistema
naturale umano, basato su nozioni come
quella di “diritti umani”. Per pensare
CONVEGNI E SEMINARI
dall’interno un’unità della società, Luhmann vede un’unica possibilità nel “neglecting system” e nel “to look what can
happen”, cioè nel vedere quali possibilità esistono di adattare e trattare le flessibilità del sistema. Assumere concettualmente questa problematica significa per
Luhmann ridefinire la nozione di razionalità, che non deve essere intesa come
sicuro standard razionale dell’intelletto
umano, come efficienza in termini di
equilibrio tra costi e benefici o in termini
di produzione, ma come razionalità limitata, che realizzi “l’impossibile richiesta” di riferire l’ambiente al sistema. Se
abbiamo una società differenziata funzionalmente, ha affermato Luhmann,
dobbiamo prendere in considerazione le
risorse disponibili nei sistemi di funzioni e non più l’insostenibile unità morale
e politica della società mondiale.
Il sociologo francese Alain Touraine ha
osservato, da una parte, la tendenza alla
disintegrazione delle società centralistiche, caratterizzate storicamente da una
crescita economica autosostenuta; dall’altra ha messo in luce come un numero
crescente di paesi mobiliti le proprie
risorse nazionali e culturali per rifiutare
la modernizzazione, percepita come
un’invasione, favorendo in questo modo
l’instaurazione di regimi autoritari. In
queste situazioni, ha rilevato Touraine,
tende a sparire ciò che i sociologi hanno
chiamato e continuano a chiamare società. L’ossessione del profitto, nel primo
caso, e il problema dell’identità nel secondo, sono le forze che hanno prodotto
questo “breakdown” della società tra
un’economia sempre più aperta e una
cultura sempre più chiusa, priva di mediazioni politiche e istituzionali. In questa situazione, la società, ha concluso
Touraine, può essere ricostruita solo con
una ripresa delle idee di soggetto e di
democrazia. La soggettivazione appare
per Touraine l’unico modo possibile per
combinare razionalità e identità.
Jeffrey Alexander ha cercato di sviluppare una teoria dei movimenti sociali
come istituzioni comunicative che svolgono un ruolo simbolico fondamentale
nella definizione e ricostruzione della
solidarietà sociale che sta alla base della
società civile. Secondo Alexander, i
movimenti sociali creano tensioni nella
mediazione tra un’immagine idealizzata
della società civile e la reale società
civile. Questa scissione nella società civile fa sì che i movimenti sociali possono risultare tanto escludenti e disgreganti quanto includenti e integranti. Rudolf
Andorka ha invece sviluppato alcune
riflessioni di carattere generale, confrontando le società comuniste e quelle postcomuniste in rapporto al problema dei
confini e della solidarietà. Nella concezione di Andorka, il concetto di confine
viene esteso ai confini infrasociali, caratterizzati da privilegi differenziali,
economici e di classe, e ai confini che
separano sempre più le nazioni ricche da
quelle povere. Anche il concetto di solidarietà viene differenziato da Andorka,
stabilendo influenze reciproche tra solidarietà etnica, religiosa, nazionale e internazionale con la necessità, in una società mondiale, risultato di grandi processi di globalizzazione, di stabilire un
equilibrio tra i diversi tipi di solidarietà.
In disaccordo con Luhmann, Andorka ha
considerato l’analisi della stratificazione come uno dei compiti importanti della sociologia, almeno per quanto riguarda le società dell’Est europeo.
Rispetto all’analisi del problema della
solidarietà, Shmuel N. Eisenstadt ha
fatto notare che se da una parte sono stati
realizzati numerosi studi sulle microsolidarietà in gruppi primari, vi è stata,
dall’altra, la tendenza a trascurare il processo di formazione delle macrosolidarietà, che sono il risultato di complessi
processi di costruzione, nei quali si combinano quelli che egli chiama “elementi
primordiali”. Secondo Eisenstadt, è necessario, da una parte, chiarire i processi
attraverso cui si costituiscono queste
solidarietà e quali sono i loro portatori e
i loro agenti; dall’altra, però, è necessario analizzare questi processi in base al
fatto che mentre si verificano grandi
tendenze alla globalizzazione e alla mondializzazione, si cristallizzano anche tipi
molto diversi di identità, solidarietà e
collettività, che possono addirittura giungere ad assumere forme aggressive ed
escludenti. Tuttavia, ha osservato Eisenstadt, resta il fatto solidarietà e identità sono sempre un qualcosa di flessibile, sono sottomesse a processi variabili
di mutamento e vengono permanentemente messe in discussione.
Nella sua diagnosi della società alla fine
del secolo, Neil Smelser ha individuato
quattro rivoluzioni, che nel mondo moderno si presentano come tendenze generali. In primo luogo la rivoluzione
nella crescita economica: in tutto il mondo si sviluppa una rinascita del capitalismo fondato sul mercato e contemporaneamente un collasso di quelle che furono le sue diverse alternative storiche. In
secondo luogo, e in connessione con il
primo aspetto, Smelser ha osservato una
continua rivoluzione democratica. Il capitalismo fondato sul mercato e la democrazia politica coincidono nel conferire
un ruolo di rilievo all’azione e alla scelta
individuale, sia nel mercato economico,
che in quello politico. In terzo luogo,
Smelser ha messo in rilievo, sul terreno
della solidarietà e dell’identità, una rivoluzione culturale basata sulla religione, l’etnia, il sesso, la lingua, lo stile di
vita, o su diverse domande sociali (antinucleare, ecologista ecc. ). Queste nuove solidarietà, di cui sono protagonisti i
movimenti sociali, ridefiniscono le tradizionali solidarietà di classe, e competono
69
con esse. Infine Smelser si è riferito alla
rivoluzione ambientale, a suo avviso la
più debole delle quattro, sebbene sia
essa quella che ha un carattere più universalistico, poiché attraversa i confini
delle classi, delle nazioni e dei gruppi
particolari.
Franco Crespi, nel suo tentativo di comprensione del processo di globalizzazione e di differenziazione che ha luogo
nella società contemporanea, critica tanto il relativismo quanto il fondamentalismo, considerandoli inadeguati per affrontare la crisi dei fondamenti tradizionali della solidarietà sociale. Una nuova
fondazione della solidarietà sociale deve
essere ricercata nel riconoscimento della priorità della dimensione ontologica,
attraverso le linee analitiche sviluppate
dall’impostazione ermeneutica. La coscienza dei limiti della conoscenza condurrebbe, secondo Crespi, da una parte a
riconoscere il carattere riduttivo di qualsivoglia definizione dell’identità, dall’altra a optare per un pragmatismo nell’elaborazione delle contraddizioni della condizione umana.
Richiamando l’attenzione su una disciplina particolare come la sociologia del
contratto sociale, Dario Melossi ha messo a fuoco la problematica dell’immigrazione in Europa, rilevando come
l’identità europea accusi l’impatto derivante dall’ingresso di vaste legioni di
immigranti. Muovendo dal riconoscimento del fatto che le comunità ridefiniscono le loro identità in quanto conferiscono a certi individui o gruppi un carattere deviante, Melossi ha fatto notare
come il declino dei vecchi stati nazionali
e la contemporanea emergenza di una
burocrazia europea e di autonomismi
localisti non siano stati accompagnati
dallo sviluppo di una cultura, di un’identità e di una democrazia europee.
In chiusura del convegno, Immanuel
Wallerstein, nuovo presidente della International Sociological Association, ha
assunto come compito concreto del suo
mandato quello di giungere a un’autentica partecipazione delle comunità sociologiche di tutto il mondo, e non solo
dei paesi del “primo” mondo. Come
esempio di questo vasto processo di differenziazione dell’impresa sociologica
Wallerstein ha richiamato l’importanza
di aree tematiche come la sociologia
dell’ozio, del corpo, del tempo, la sociocibernetica, il rapporto tra etnicità e statonazione, il processo di globalizzazione,
l’analisi della società civile, le alternative
alle società post-comuniste. Tra le prospettive teoriche particolare attenzione meritano, secondo Wallerstein, le discussioni sulla teoria della “rational choice”, sulla teoria femminista, sulla teoria dei sistemi di
Niklas Luhmann, sulla sociologia delle figurazioni di Norbert Elias e sulla teoria
della strutturazione di Anthony Giddens.
P.de M. (trad. it. di M.M.)
CONVEGNI E SEMINARI
Paul Klee, Paesaggio con uccelli gialli, 1923 (part.)
Vedere l’arte, l’arte di vedere
«Da buon tedesco, Klee comincia col
dipingere paesaggi: ben presto però
si rende conto che la natura non è
qualcosa di esteriore, ma è in stretto
rapporto con l’artista che la vede. Da
qui l’idea di estrarne le leggi interne,
per arrivare alla completa autonomia
dell’arte». Gli anni della formazione
di Paul Klee e il suo rapporto con
Vasilij Kandinskij sono stati al centro
degli interventi di Dino Formaggio,
Rossana Bossaglia e Francesco Moiso per il ciclo: “VEDERE L’ARTE, L’ARTE DI
VEDERE”, organizzato dal Centro culturale “Casa Zoiosa” di Milano dal 9 al
27 maggio 1994.
«Nell’arte non si tratta di elementi formali,
ma di un’aspirazione interiore, che determina in modo imperioso la forma», scriveva Kandinskij nel 1913 in Rückblicke
(Sguardi sul passato). Il passaggio dal significato al significante, dal figurativo al
non oggettivo rappresenta per Kandiskij
una penetrazione nei segreti del reale, che
è, allo stesso tempo, indagine all’interno di
noi stessi. La pittura “astratta”, insegnando
a “vedere” e non a riconoscere semplicemente, è dunque in grado di estendere
l’esperienza che l’uomo fa della realtà.
Nel suo intervento nel ciclo d’incontri
dedicato dalla “Casa Zoiosa” di Milano a
Paul Klee e Vasilij Kandinskij, Rossana
Bossaglia ha introdotto l’opera pittorica
dei due artisti, ne ha esaminato la matrice
sensibilistica e la comune concezione sinestesica dell’arte; in particolare la forte tendenza alla “musicalizzazione” della pittura
è stata analizzata da Bossaglia in riferimento alle Improvisations di Kandinskij.
Prendendo come riferimento i testi delle
lezioni tenute al Bauhaus, Francesco Moiso ha definito l’arte di Klee non astratta,
ma “concreta”, autenticamente naturalistica, in quanto rappresentazione della
natura nel suo concreto “fare”: «l’arte è
una cosmogonia ripetuta», un ricreare il
mondo ripetendone l’atto generativo. Se la
scienza ha contribuito alla progressiva
perdita di senso del mondo, ha osservato
Moiso, è tuttavia attraverso una “risimbolizzazione” dell’ambito naturalistico della
scienza che il senso del mondo viene ricostruito. La nuova espressione simbolica
ricava i suoi elementi semantici dalla “materia” stessa dell’opera: forme e colori che
attraverso infinite combinazioni costituiscono una nuova retorica dell’espressione. In questa prospettiva, la premessa teorica dell’avanguardia artistica del ‘900 risale, secondo Moiso, alla fine del ‘700 e
nei primi anni dell’800, quando si esaurisce il valore semantico delle immagini
ereditate dalla tradizione.
Più precisamente Moiso vede in Goethe,
che distingue l’allegoria dal simbolo in
quanto espressione di un “significato”
attraverso il suo stesso essere sensibile,
70
il precursore dell’Avanguardia novecentesca. Il far parlare direttamente forme e
colori è ciò che collega la Farbenlehre
(Teoria dei colori) di Goethe alla pittura
romantica di Caspar David Friedrich fino
a quella del nostro secolo, in un progressivo avvicinamento alla musica in quanto fenomeno “simbolico” per eccellenza. D’altro canto, gli stessi Kandinskij e
Klee assumono proprio da Goethe la
concenzione dell’ “indistinzione” tra
vista e udito, che comporta l’equivalenza tra colore e suono. Tuttavia, se l’eco
di Goethe è palese nella definizione di
Klee della forma come «il risultato di
una somma di forze elementari», nell’affermazione che la forma «nasce dal
progressivo differenziarsi dall’informe
dello sfondo» forte è il richiamo a
Schelling. Se poi prendiamo il concetto
di struttura come parte dello sfondo e
dell’elemento che viene generato nel fare
artistico, dove il soggetto che appare
risulta un’ “emergenza”, allora, ha osservato Moiso, si può collegare Klee a
tutta quella tradizione che da Paracelso
fino a Nietzsche sostiene l’accidentalità
della soggettività, in opposizione alla
concezione cartesiana. Infine, ha aggiunto Moiso, se l’opera dell’artista consiste
nel porsi al servizio dell’energia del foglio che ha di fronte e ciò che fa muovere
la mano è l’infinito rammemorare l’infinità attività passata e futura della “formazione”, forte è allora il richiamo a
CONVEGNI E SEMINARI
Frierich Schlegel e Novalis: «l’opera
d’arte contiene in sé l’infinito».
Per Dino Formaggio, che ha proposto
quale tema del suo intervento un confronto tra Klee, Wittgenstein e Husserl,
esiste una matrice comune nel movimento della cultura, che fa sì che le arti
si muovano negli stessi moduli con cui si
muovono le scienze. La logica del rapporto tutto-parti presente nel Tractatus
di Wittgenstein può così essere accostata al concetto di “punto”, tematizzato da
Klee, come punto di energia che dà origine al tutto secondo le leggi dei “compossibili” - con un esplicito richiamo a
Leibniz - o “giochi di forze”. L’accostamento di Klee a Husserl consiste per
Formaggio nella comune necessità di
“mettere tra parentesi” la scienza naturalistica, mettendo in primo piano il bisogno di cogliere l’essenza delle cose
nella loro corporeità costitutiva. Ciò comporta il passaggio dalla pittura naturalistica alla pittura astratta, che tende alla
rappresentazione della realtà “in divenire”, con la conseguente perdita del senso
naturalistico dell’oggetto in base al mutamento di prospettiva. In modo simile
al divenire di tutte le cose, ha rilevato
Formaggio, l’opera di Klee si presenta
come un ciclo concrescente di sapere e
fare, che attraverso una fenomenologia
(attivo formare) e filosofia delle forme,
di un rigo re simile a quello d i
Wittgenstein, riproduce nell’arte il mondo come “genesi di forme”.
In un articolo del 1920 intitolato Confessioni del creatore, Klee parla della pittura astratta come «penetrazione profonda
del naturalismo secondo le sue leggi».
Secondo Formaggio è da Van Gogh che
Klee assume l’atteggiamento di una visione “attiva” della natura; tuttavia, le
sue considerazioni sul rapporto spiritomateria hanno per Formaggio un carattere “cosmico mistico freddo”, in forte
opposizione con l’espressionismo. E se
con Goethe, nell’ analisi fenomenologica della natura, Klee sostiene che tutto è
tensione al possibile, rispetto al colore
Klee non segue Goethe, poiché nella
Teoria dei colori è ancora presente quell’oggettivismo scientifico sul quale bisogna esercitare l’epoché fenomenologica per sentire la soggettività creativa
che partecipa del farsi delle forme di
tutto l’universo in una continua Gestaltung: l’opera d’arte è un organismo vivente che attraverso successioni temporali si “organizza” nell’accostamento dei
compossibili. M.C.
Le arti e la città
Presso l’Istituto Universitario Suor
Orsola Benincasa di Napoli si è svolto,
dal 16 maggio al 16 giugno 1994, il
Corso di perfezionamento in estetica,
poetica e teoria della critica dal titolo:
“LA NASCITA DELLA COSCIENZA MODERNA. LE
ARTI E LA CITTÀ”, con interventi di estetologi, filosofi, storici e critici di diversa formazione e provenienza, che hanno affrontato il tema del rapporto tra
‘polis’ e ‘poiesis’ come uno dei momenti fondamentali della coscienza
estetica moderna.
La relazione inaugurale di Aldo Trione,
principale promotore e organizzatore del
corso, ha tracciato le coordinate dell’intero
itinerario di lezioni, mettendo in evidenza
come il rapporto polis-poiesis si riveli determinante per capire l’immaginario moderno. La città è il luogo dell’abitare e del
costruire umano e l’architettura è l’arte in
grado di fornirne il nomos, la misura. Ma
come nasce e si caratterizza tale costruire?
L’alternativa è tra una città come luogo
reale, chiuso da una progettazione improntata al bisogno del momento, e una città
come luogo ideale, sganciato dall’effettività storico-geografica e per questo chiuso
alla quotidianità dell’abitare. Il costruire
della poiesis, così come l’abitare della città, ha rilevato Trione, apre lo spazio umano
all’originario che in esso si radica: un’interiorità inscritta nella presenza e che la rende possibile. Rifiutando la riduzione del
limite del luogo ad esteriorità, ne viene
messa allo scoperto la sua interiorità, come
mancanza, vuoto della costruzione; il nessun-dove del topos sollecita l’infinita poiesis di un costruire che non può più ergersi
ad autonomia.
Cesare de Seta ha sottolineato la progressiva messa in crisi di limiti, confini e
paratie all’interno del sistema delle arti, sotto
Umberto Boccioni, Rissa in galleria, 1910 (part.)
71
CONVEGNI E SEMINARI
la spinta dell’estetica moderna di sperimentare un diverso rapporto tra gli ambiti della
creatività. A partire dalla fine dell’Ottocento
il luogo emblematico di tale sperimentazione è Parigi: il radicarsi di una cultura della
tecnica, sollecitata dal rafforzarsi dell’economia industriale, cambiava il volto della
città che, come mostrano i quadri di Boccioni, allontana via via la presenza della natura,
rivelandosi, con Sironi, il luogo triste della
misera esistenza di chi lavora e aprendo, con
Carrà, al mistero e all’irrazionale, attraverso emblematiche presenze storiche. Anche
Angelo Trimarco mette in evidenza lo sconfinare come normalità per l’arte moderna. La
costruzione senza fine della colonna-scultura di Schwitters, che rompe il soffitto superando via via i limiti esterni, rappresenta il
rifiuto da parte dell’opera d’arte del luogo
perimetrante della cornice, che finisce col
determinare due realtà, due mondi, autonomi e inaccessibili.
La lezione di Giuseppe Limone ha proposto
una lettura simbolica dell’Iliade e dell’Odissea, con l’intento di superare il principio
dualistico, privilegiando la forma della contraddizione. Così l’Iliade diviene, attraverso
il riconoscimento di un vinto da parte di un
altro vinto, espressione di una vita sociale
che si regge sul valore di parità e di simmetria; mentre l’Odissea, poema della memoria, della fedeltà e della vecchiezza, rivela
rapporti dissimetrici tra i personaggi, irrimediabilmente divisi tra vinti e vincitori. Franco Fanizza si è invece concentrato sul ruolo
prioritario dell’esercizio della vista nell’estetica moderna. D’altra parte, già Benjamin
faceva notare che il modo dei moderni di
abitare la città è essenzialmente improntato
all’attività del vedere. Nell’estetica moderna
si tratta però di un vedere che implica un
non-vedere, di un’attività della vista che ha
a che fare con la passività dell’essere-visti.
Solo recuperando la recettività della vista,
è possibile evitare le insidie dell’evidenza
cartesiana.
Nell’intento di superare l’opposizione tra
Sein e Schein, essere e apparire, Sergio Givone è risalito alle origini stesse della coscienza estetica moderna. Se con Baumgarten il tentativo è stato quello di dimostrare la
teoreticità della conoscenza estetica, bisogna tuttavia riconoscere che questa nuova
disciplina, pur ricercando una propria autonomia, si è il più delle volte mantenuta
all’interno dell’orizzonte metafisico. Occorre invece, secondo Givone, individuare nella
storia quei luoghi del pensiero in cui si dà il
superamento dell’opposizione sensibile-intelligibile. Gli scritti di S. Giovanni della
Croce e di Meister Eckhart mostrano come
la mistica costituisca quell’eredità del pensiero, in cui si fa esperienza dello sconfinamento del limite, del silenzio del linguaggio,
del vuoto e del nulla dell’essere.
Giacomo Marramao ha fatto rilevare come
diversi studiosi di filosofia politica canadesi
e statunitensi stiano tentando di leggere l’estetica, intesa come aisthesis, da un punto di
vista poetico. Facendo riferimento all’Ari-
stotele del De anima, in cui si afferma che
l’aisthesis è presupposto del logos, e dell’Etica Nicomachea, in cui si parla di una
percezione del giusto e dell’ingiusto, si può
notare come il riferimento alla percezione
presupponga il rapportarsi, all’interno di
contesti storici simbolicamente determinati,
di individui e gruppi sociali eterogenei. Il
vivere associato presupporrebbe dunque una
struttura estetica, la sola in grado di portare al
riconoscimento e alla valorizzazione dell’altro in quanto altro. All’arte e alla polis ha
dedicato la sua lezione Emanuele Severino,
secondo il quale la festa arcaica costituisce la
tradizione più antica della tragedia, aristotelicamente indicata come l’origine comune
delle singole arti. Durante la festa arcaica,
vero e proprio atto sociale della polis, la vita
quotidiana si blocca improvvisamente e il
grido erompe, come un suono violento che
accompagna ogni azione con cui l’uomo
flette le cose, ne piega la flessibilità, incrinandola. Il tempo festivo diviene l’occasione in cui la comunità, attraverso la pratica
dell’arte, prende coscienza della propria capacità di flettere. R.M.
Il futuro, la sociologia
e la teologia
Anticipato da una lunga preparazione e
da un ‘workshop’ di studio, si è tenuto
a Trento nei giorni 11 e 12 maggio 1994,
un Convegno interdisciplinare sul tema:
“SOCIOLOGIA E TEOLOGIA DI FRONTE AL FUTURO”, promosso dall’Istituto di Scienze
Religiose e dall’Istituto Trentino di Cultura. Ponendo a confronto alcuni tra i
più autorevoli sociologi e teologi italiani ed europei riguardo all’analisi
della società di fine secolo, i la vori del
convegno si sono sviluppati secondo
tre interrogativi di fondo: quale futurologia è possibile nella società postmoderna? Qual’è il futuro della religione? Come va interpretata l’ipotesi
del post-cristianesimo?
Il dibattuto workshop di preparazione al convegno ha confermato che il problema cruciale del confronto tra teologi e sociologi è di
ordine epistemologico e metodologico. Il
confronto sulla fondazione teoretica della
sociologia e della teologia è stato il tema
d’apertura del convegno, esposto negli interventi di Pierpaolo Donati e Salvatore Privitera. Partendo dal punto di vista sociologico, Donati ha esaminato i rapporti tra le due
discipline in base al modello offerto da Niklas Luhmann di una sociologia che si propone di sostituire la teologia e che nella sua
versione più radicale la relega a puro fenomeno sociale; lo stesso modello, ma capovolto, è presente nel “socialismo cristiano”
di Saint-Simon. Da questo confronto emerge una terza figura, che Donati chiama “di
reciproco distacco”. La proposta che ne
72
emerge è quella di un conceptual framework,
costruito su “concetti di confine”, che permetta un terreno comune di confronto a due
discipline che se si sono poste come punti di
vista mutualmente escludentesi, per l’assunzione dell’ateismo metodologico da una parte e del pregiudizio ermeneutico dall’altra,
hanno nella relazione “conoscenza-credenza” un punto cruciale di analisi.
La differenza metodologica rappresenta invece per Privitera la linea di demarcazione
delle due discipline: se la teologia non può
operare alcuna descrizione del futuro se non
all’interno della dimensione escatologica, la
sociologia, come descrizione del presente in
riferimento al passato, può “anticipare” il
futuro come programmato dall’uomo. Privitera ha inoltre sottolineato le responsabilità
etiche della sociologia e della teologia di
fronte al futuro dell’uomo e del mondo. Se
una sociologia aperta al futuro deve trasferire il suo sguardo da una relazionalità sincronica ad una diacronica, con uno sguardo cioè
rivolto anche al futuro, non le compete però
la programmazione, moralmente dimensionata, del futuro ecologico dell’uomo, come
in parte sta avvenendo col fenomeno della
bioetica. Il futuro dell’umanità deve giocarsi
sul piano dell’impegno etico.
Sul tema delle prospettive future delle due
discipline, Giuseppe Capraro ha sottolineato che se la teologia, da Karl Rahner in poi,
ha conosciuto la svolta antropologica, tocca
ora alla sociologia incamminarsi verso la
svolta che la porti al di là dell’«ateismo e
dell’agnosticismo metodologico», per poter
analizzare, in termini scientifici, la relazione con il trascendente, intesa come “esperienza religiosa” attribuibile a fattori antropologici, primo fra tutti il limite esistenziale dell’uomo, che rinvia alla sua dimensione spirituale sottoforma di una “nostalgia”
del trascendente.
Se il “futuro” delle scienze è commensurabile al presente, ha osservato Severino Dianich, quello della fede risulta incommensurabile, segnato dall’irruzione nella storia dalla
grandezza disomogenea del Regno di Dio.
La fede si presenta come più “sicura” e nello
stesso tempo più reticente rispetto al futuro,
subendo il condizionamento della “memoria”, che racchiude già in sé il futuro. Sulla
questione della complessità del «passaggio
al futuro», Italo De Sandre ha rilevato che è
preferibile interrogarsi sulla chiarificabilità
del futuro piuttosto che sulla sua prevedibilità, resa estremamente complessa dalla presenza di nuove soggettività sociali. Il futuro
deve essere inteso come metonimia del tempo, che considera il presente come strategia
simbolica e strumentale di azione, dove il
tempo funge come vincolo e il “senso” del
tempo come risorsa culturale e psicologica.
Il passaggio al futuro esige per De Sandre la
valorizzazione del “pensiero complesso” di
Edgar Morin: la connessione dialogica di
ordine e disordine, la ricorsività organizzativa, il principio oleogrammatico. M.C.
CALENDARIO
E’ stato dedicato alla Storia filosofica del concetto di «sensus» il VII
convegno del Lessico Intellettuale
Europeo, che si è tenuto dal 6 all’ 8
gennaio 1995 presso l’Università La
Sapienza di Roma, organizzato in collaborazione con l’ Istituto Italiano di
Studi Filosofici e la Fondazione Ibm
Italia. Interventi di E. Jeauneau: “Sensus dans l’exégèse biblique du Haut
Moyen Age”; G. Spinosa: “Tra platonismo e aristotelismo: semantica greca del sensus medievale”; R. Busa:
“Vocis sensus, -us apud S. Thomam
Aquinatem documentis”; J. Pepin:
“Augustin et Origène sur les sensus
interiores”; E. Ciliberto: “Senso e intelletto nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno”; A. Robinet: “Sens/
sensation dans l’oeuvre de
Malebranche”; G. Costa: “Sensus/
sensatio in Vico”; N. Hinske: “Kants
neue Theorie der Sinnlichkeit”.
● Informazioni: Università La Sapienza di Roma, Prof. Tullio Gregori,
tel. 06 49917216.
Organizzato dal Centro Studi Iniziative Culturali di Siracusa, dal Collegio Siciliano di Filosofia Sociale e
dall’Istituto Gramsci del Veneto, si è
tenuto il 20 gennaio 1995 a Siracusa
un convegno di studi filosofici su:
Nietzsche e Heidegger tra metafisica e nichilismo. Alla organizza-
zione dell’incontro, a cui hanno partecipato tra gli altri U. Curi, V. Vitiello,
F. Volpi R. Esposito, R. Bodei, hanno
collaborato l’Istituto di Scienze Filosofiche dell’Università di Catania e
l’Istituto di Filosofia “A.Attisani” dell’Università di Messina.
In occasione della edizione italiana
degli scritti di B. Lonergan pubblicati
da Città Nuova, sabato 28 gennaio
1995, presso la sede del Centro Culturale San Fedele di Milano, è stato
organizzato un incontro su: Bernard
Lonergan S.I. Un gesuita filosofo
(1904 - 1984). Vi hanno partecipato
N. Spaccapelo, G. B. Sala, F. E.
Crowe e il cardinale C. M. Martini.
● Informazioni: Centro Culturale
San Fedele, via Hoepli, 3/b, Milano,
tel. 02 86352.231.
Sul tema Filosofia e Scienza, Homo
Hominis Homo? Conflitto e comprensione tra uomini in questa
aiuola che ci fa tanto feroci, il
Centro Culturale La Casa Zoiosa di
Milano ha organizzato nel mese di
gennaio 1995 quattro lezioni con G.
Galli, “Uomini e donne”; don A. Chieregatti, “Religione e cultura in dialogo”; G. Martinotti, “Una città di stranieri?”; F. Moiso, “Montesquieu o
della moderazione”. Questo il programma degli incontri di maggio: giovedì 4: E. Berti, “Attualità della filosofia pratica di Aristotele”; mercoledì 9: F. Moiso: “Diderot e l’ Enciclopedia”; martedì 16: A. Burgio,
“Rousseau tra democrazia delle regole e democrazia sostanziale”; martedì
CALENDARIO
a cura di Luisa Santonocito
23: M. Cingoli, “Marx: tra arsenico ,
vecchi occhiali e altri utili arnesi”;
martedì 30: L. Sichirollo, “Erich Weil:
la tradizione della filosofia politica”;
martedì 6 giugno: C. Sini, “Spinoza e
l’arte della tolleranza”.
● Informazioni: Centro Culturale
La Casa Zoiosa, corso di Porta Nuova, 34, 20121 Milano. Tel. 6551813;
fax 6551448
Philosophie et démocratie dans
le monde è stato il tema delle due
Due conferenze sulla modernità
Nel quadro del progetto pluriennale
Culture della Tecnica , l’ Istituto
Banfi di Reggio Emilia ha promosso
tra marzo e maggio 1995 un ciclo di
seminari su “Le tecniche e le sue
immagini”. Il 20 marzo P. Rossi è
intervenuto su “Il Progresso, le macchine e le filosofie”; il 21 marzo M.
Nacci ha parlato di “Ritratti e caricature, immagini della tecnica” e C.
Galli di: “Le idee, tecnica e modernità”. Martedì 11 e mercoledì 12 aprile
sono intervenuti V. Marchis: “L’ingegnere, tecnologie per l’uomo” e
J.Mokyr: “Le storie, tecnologia ed
economia”. Questo il programma dei
prossimi incontri: 8 maggio, D. Noble: “Fantasie tecnologiche”: 9 maggio, M. Palazzi: “Lavoro femminile e
tecnologia”; P. Manacorda: “Tecnologia e vita quotidiana”.
● Informazioni: Istituto Banfi, via
Pasteur 11, Reggio Emilia. Tel/fax:
0522 554360.
giornate internazionali di studio organizzate dall’Unesco il 15 e il 16
febbraio 1995 su: “L’insegnamento,
la Ricerca e l’Educazione filosofica
all’interno del processo democratico”.
● Informazioni: Maison de L’Unesco, Salle IV 125, Avenue de Suffren,
Paris 7, fax: 33 1 45676791.
sono state organizzate dall’ Istituto
Banfi di Reggio Emilia nei giorni 4 e
18 febbraio 1995. Interventi di G.
Vattimo: “L’ esperienza estetica tra
modernità e postmodernità” e T.
Maldonado: “Critica alla critica della
modernità”.
● Informazioni: Segreteria dell’Istituto, via Pasteur 11, tel: 0522 55 4360.
Cinque giornate con Xavier Tilliette
(Institut Catholique di Parigi) riflettendo su Bibbia e Filosofia sono
state promosse dal 6 al 10 febbraio
1995 dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal Dipartimento di
Filosofia dell’Università di Genova.
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, via Balbi 4, 16126 Genova.
Tel. 010 2099772.
Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il
Goethe Institut di Milano, la Società
Filosofica Italiana e l’ I.S.U. dell’Università degli Studi di Milano hanno
organizzato il 14 e il 15 febbraio 1995
un colloquio internazionale su: Frie-
Per il ciclo di incontri “Le narrazioni,
riflessioni sulla storia”, organizzato
da marzo a maggio 1995 dal Centro
Culturale Polivalente di Cattolica in
collaborazione con l’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici sul tema Che
cosa fanno oggi i filosofi?, sono
intervenuti: venerdì 10 marzo, E. Severino: “Che significa ‘Storia dell’Occidente’?”; venerdì 17 marzo, U.
Galimberti: “Le figure del tempo”;
venerdì 24 marzo, G. Celli: “Il racconto degli animali”; venerdì 31 marzo, F. Cardini: “Modulo narrativo e
modulo problematico. Il caso del processo ai Templari”; venerdì 7 aprile,
M. Viroli: “Storia delle nazioni o
storia delle repubbliche?”; venerdì
14 aprile, G. B. Bozzo: “Il racconto
divino”; venerdì 21 aprile, G. Dossena: “Storie di giochi e storie di letteratura”; venerdì 5 maggio, R. Bodei:
drich Hölderlin filosofo. Incursioni di un poeta nella “terra incognita” della filosofia. Al convegno,
svoltosi presso l’Aula “Crociera Alta”
dell’Università degli Studi di Milano
e che ha visto interventi di R. Bodei,
M. Franz, D. Henrich, F. Moiso, M.
Ruggenini, A. Thomasberger, R. Ruschi, era abbinata la mostra “Holderlin a Jena”, realizzata dalla Holderlin-Gesellschaft di Tubinga.
● Informazioni: Dipartimento di
Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono 7,
tel. 02 58352720.
73
“Pensare gli eventi: congetture su passato e futuro”; venerdì 12 maggio, L.
Canfora: “Storia, racconto, archivio”.
● Informazioni: Biblioteca Comunale di Cattolica, tel. 0541 967802
Sei prospettive, neurofisiologica, psicologica, sociologica, antropologica,
metafisica ed etico-teologica, hanno
caratterizzato il IV Convegno di Studio su “Le Dimensioni della Libertà” che si è tenuto il 23 e il 24 febbraio 1995 presso l’ Aula Magna del’Ateneo Romano della Santa Croce. Per la
‘prospettiva metafisica’ è intervenuto E. Forment su: “Essere, persona e
libertà”; per quella ‘etico-teologica’
R. Réal Tremblay: “La verità, condizione di realizzazione della libertà
dell’uomo”; J. Cervos: “Libertà umana e neurofisiologia”; A. Malo: “La
libertà nell’atto umano”.
● Informazioni: Rev. prof. Javier
Villanueva, Ateneo Romano della
Santa Croce, piazza di Sant’Apollinare 49, 00186 Roma, tel. 06
68803752, fax 6897021.
Nove incontri con docenti e ricercatori per approfondire la conoscenza
del pensiero democratico liberale sul
tema Le fonti della liberaldemocrazia, sono stati organizzati dall’
Istituto G. Pascoli di Milano con il
patrocinio della sezione lombarda
della Società Filosofica Italiana. Le
date degli incontri: mercoledì 8 febbraio, L. Rizzi: “Liberalismo e democrazia in De Tocqueville”; 15 febbraio, V. Lora: “Libertà e individualità
in John Stuart Mill”; 15 marzo, T.
Arenare: “Libertà, mercato, istituzioni”; 22 marzo, V. Lora: “Libertà, uguaglianza ed impegno politico in Kelsen”; 29 marzo, S.Creperio: “Libertà
ed equità in Rawls”; 26 aprile, L.
Rizzi: “Le due vite dell’unità politica
italiana”; 3 maggio, S.Creperio: “La
tradizione liberaldemocratica in Italia”. Mercoledì 10 maggio è prevista,
presso la sede dell’Università degli
Studi di Milano alle 17.30, una tavola
rotonda sul tema: “Le prospettive di
una teoria e di una pratica democratico-liberale in Italia”.
● I nf or maz ion i: I s titut o G .
Pascoli, via Poerio 14, Milano.
Tel. 02 29.51.83.247.
Si è articolato in due sessioni il seminario di studio su “Modelli per la
teoria e la storia delle culture:
Norbert Elias e Michel Foucault”,
organizzato da febbraio a marzo 1995
dalla Fondazione Collegio San Carlo
di Modena. La prima, dedicata al tema
“Epoche del processo di civilizzazione. Economia pulsionale, figurazione sociale e storia in Norbert Elias”,
ha visto interventi, mercoledì 8 e
mercoledì 22 febbraio, di C. Ossola:
“Norbert Elias: cerimonie tra rito e
secolarizzazione” e A. Roversi: “Processi di de-civilizzazione. Linee di
ricerca nell’ opera di Norbert Elias”.
Nella seconda sessione, “Dall’epi-
CALENDARIO
steme alle tecniche del sé. Michel
Foucault su ragione e potere” sono
invece intervenuti: venerdì 17 marzo, M. Vegetti: “L’arte di vivere:
Foucault e gli antichi”; mercoledì
29 marzo P. Pasquino: “La teoria
politica della guerra e della pace,
Michel Foucault e la storia del pensiero politico moderno”; A. Honneth:
“Potere e critica. Foucault e Adorno”.
Su “Tecnica e Cultura, come le
tecnologie fanno mondo” la Fondazione ha inoltre organizzato un ciclo di lezioni con P. Bozzi: “La Tecnica modifica la percezione? Sull’arte di inventare esperimenti”; P. Odifreddi: “Visioni letterarie e miraggi
tecnologici”; M. Perniola: “Sentire
naturale e sentire artificiale”; venerdì
5 maggio, D. Noble: “La questione
tecnologica e le differenze di classe,
religione, genere”; venerdì 19 maggio, M. Augé: “E’ possibile un’antropologia del mondo contemporaneo?”.
● Informazioni: Segreteria della
Fondazione Collegio San Carlo, via
San Carlo 5, Modena, tel. 059 222315.
A Firenze, l’11 e il 12 marzo 1995,
si è tenuto il “2nd annual meeting: Current issues in the Philosophy of Science” , promosso
dalla Stanford University in Florence, il Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza e la
Provincia di Firenze. Sono intervenuti P. Suppes: “The nature and
measurement of freedom”; M.C.
Galavotti: “Commentary to Suppes’ talk”; J. Butterfield: “Worlds,
minds and quanta”; Y. Guttmann:
“The pragmatist approach to statistical mechanics”. E’ stata inoltre
tenuta una tavola rotonda di presentazione dei testi Sull’etica di
kant di S. Landucci e Kant and
Contemporary Epistemology di P.
Parrini, alla quale hanno partecipato S. Nannini. M. Pera, S. Veca e
V. Verra.
Occasione per un approfondimento del rapporto tra scienza e strumenti nel Settecento e per alcune
considerazioni filosofiche ed epistemiologiche sullo sperimentalismo e la misurazione nella scienza,
è stato invece il convegno su: La
“Mal-aria” dei Filosofi. Filosofia, ecologia e strumenti scientifici nella cultura illuminista,
promosso dal Centro Fiorentino in
collaborazione con il Centro Studi
Lazzaro Spallanzani di Scandiano,
il 7 aprile 1995 a Firenze. Relazioni di P. Rossi: “Cose prima mai
viste: la nuova scienza e gli strumenti”; F. Capuano: “Il rilevamento della qualità dell’aria nelle
aree urbane: le tecniche attuali”;
W. Bernardi: “Strumenti scientifici e filosofie della vita: il microscopio di Lazzaro Spallanzani”; F.
Abbri: “Scoperta e manipolazione
delle arie nel Settecento”.
● Informazioni: Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza, Villa Arrivabene, piazza Alberti
1/a, 50136 Firenze, tel. 055 677109,
fax 667573.
Sul tema “What we do not
know”, si è tenuto a Salle dal 14 al
17 marzo 1995 il forum filosofico
annuale dell’ Unesco. Sono intervenuti: B. Williams: “Can philosophy help in understanding ignorance?; P. Ricoeur: “How and when
do I learn that I do not know?”; M.
Safouan: “How can we say what
we do not know?”; C. Romano:
“Should journalists generalize?”;
L. Floridi: “Internet: which future
for organized knowledge, Frankestein or Pygmalion?”.
● Informazioni: Unesco Philosophy Forum , Maison de l’Unesco, Salle XI 7, Place de Fontenoy,
Paris 75007. Tel: 33 1 45676791.
Nel ricco programma di seminari organizzati dal College International
de Philosophie dell’ Università di
Parigi , per la sezione di filosofia
segnaliamo le conferenze di A. Badiou: “L’ antiphilosophie contemporaine (III); J. Lacan”; P. Statius: “De
l’institution des enfants”; philosophies et pratiques. Elements pour
une histoire de l’éducation au 16éme
s.”; J. Vaysse: “Heidegger et le probléme de la métaphisique”. Si sono
inoltre tenute due giornate di studio
su Hannah Arendt, dal titolo: “Hannah Arendt: Elucidation philosophique de la condition politique” .
● Informazioni: Segreteria del College International de Philosophie, Carré des sciences 1, rue Descartes 75005,
Paris. Tel: 44 41 46 85/44 41 46 80.
“Les nouvelles datation patriarcales et la question des couches rèdactionnelles”, “Lacordaire et ‘L’Avenir’, 1830-1832",
“Parcours eckhartien: spéculation et mystique” : questi i titoli
Nel cinquantesimo anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer, il
Dipartimento di Scienze Filologiche
e Storiche dell’Università degli Studi
di Trento ha organizzato un convegno su: Dietrich Bonhoeffer. Dalla
dei tre seminari promossi nel mese
di marzo 1995 dal Centre d’ Etudes
du Saulchoir e l’Ecole Biblique et
Archéologique Francaise al Couvent Saint-Jacques 20, rue des Tanneries di Parigi.
● Informazioni: Centre d’ Etudes du
Saulchoir, Parigi. Tel. (1) 44 08 71 97,
fax (1) 43 31 07 56.
debolezza di Dio alla responsabilità dell’uomo, a Trento dal 5 al 7
aprile 1995. Relazioni di B. Forte:
“Dietrich Bonhoeffer fra teologia
della crisi e crisi della teologia”; G.
Moretto: “Etica e Liberalitat. Bonhoeffer e il pensiero religioso liberale”;
U. Perone: “L’essere nel tempo: la
tensione fra ultimo e penultimo come
contesto dell’etica”; H. Pfeifer: “Die
Gesataltung der Wirklichkeit. Beitrage Dietrich Bonhoeffer zu einer Ethik
des «neuen Menschen»”; F. Donadio: “Il problema della secolarizzazione in Paul York von Wartenburg e
Dietrich Bonhoeffer”.
● Informazioni: Dipartimento di
Scienze Filologiche e Storiche, via
S. Croce, 65 - 38100 Trento.
Tel. 0461/881753; fax 0461/881715.
ll dipartimento di Filosofia Morale
dell’Università di St. Andrews ha
organizzato, dal 23 al 26 marzo
1995, una conferenza su “Ethics
and Practical Reason”. Tra i relatori: R. Audi, D. Brink, B. Hooker, T. Irwin, C. Korsgaard, O.
O’Neill, P. Railton, J. Raz, J. Skorupski, M. Smith, D. Velleman.
● Informazioni: G. Cullity e J. Skorupsky, Department of Moral Philosophy, University of St. Andrews, St.
Andrews, Fife KY16 9AL, U.K. Tel:
0334-62486/62487; fax 0334-62485;
E-mail gmc st-andrews.ac.uk.
Il Dipartimento degli Studi sulla Storia del Pensiero Europeo Michele
Federico Sciacca dell’ Università di
Genova ha promosso a Roma, dal 5
all’8 aprile 1995, un Congresso Internazionale su Michele Federico
Sciacca e la filosofia oggi. Mercoledì 5 aprile M. A. Raschini ha parlato
di “Ragione critica e pensare critico”;
A. Negri è intervenuto su: “Uomo,
corpo e mondo nella ‘filosofia della
integralità’ e giovedì 6 aprile P. Rostenne su: “La métaphysique du fini
selon Sciacca”; P. Mazzarella discuterà invece “La ‘filosofia dell’azione’ in Sciacca” e P. P. Ottonello terrà
invece una conferenza su: “Gentile
Heidegger Sciacca”. Venerdì 7 e sabato 8 aprile sono previsti interventi
di J. Trigeaud: “L’idée personnaliste
de la justice”; M. D’Addo: “La filosofia della cultura in Sciacca”; M.L.
Facco: “Essere e atto nel pensiero di
Sciacca”; E. Moutspoulos: “Sciacca
e il platonismo”; M. Manganelli: “La
scienza in Sciacca”; V. Stella: “Nozione ed esemplari dell’estetismo in
Sciacca”.
● Informazioni: Dipartimento
degli Studi sulla Storia del Pensiero Europeo Michele Federico
La British Society for the History of
Philosophy Foundation for Intellectual History ha organizzato dal 10 al
13 aprile 1995 al Newnham College
di Cambridge una conferenza su:
16th & 17th Century Philosophy:
Conversation with Aristotle. Sono
intervenuti: L. Panizza e N. Streuver: “Reading Aristotle in the Renaissance; L. Giard, U. Baldini, N.
Jardine: “Scientific Method”; C.
Lohr: “Aristotle and Lull”; P. Barker:
“Aristotle and Lipsius”; S. Murr:
“Aristotle and Gassendi”; I. Maclean: “The Probability Debate”; P. Lardet e A. Brett: “Aristotle’s ‘Politics”; A. Gabbey e S. Hutton: “Aristotle and the Cambridge Platonist”;
J. Rogers: “Aristotle and Hobbes”;
M. Ayers: “Aristotle and Locke”; L.
Brockliss e M. Feingold: “Aristotle
in the Universities”.
● Informazioni: Catherine Fuller,
22 Prideaux Road, London SW9 9LH.
74
Sciacca, Università degli Studi di
Genova, via Bensa 2/6 C, 16124
Genova, tel. 010 20 99 514.
“Il mistero del male e la libertà
possibile: lettura del De Civitate
Dei di Agostino” è il tema del VII°
Seminario di Studio organizzato dal
Centro di Studi Agostiniani di Perugia in collaborazione con l’Istituto di
Filosofia dell’Università di Perugia,
il 5 e 6 aprile nel capoluogo umbro
presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Relazioni di R. Dodaro, I. Sciuto,
G. Dotto, A. Campodonico, M. Bettetini, L. Tuninetti, A. Ghisalberti.
● Informazioni: Istituto di Filosofia, via Aquilone 8, 06123 Perugia,
tel. 075 58 54 715
Sarà su Il concetto di tempo il
XXXII Congresso Nazionale di Filosofia, promosso dalla Società Filosofica Italiana che si terrà a Caserta dal
28 Aprile al 1 Maggio 1995 nelle sale
del «Reggia Palace Hotel». Inaugureranno il convegno, venerdì 28 aprile, G. Giannantoni con una relazione
su: “Il concetto di tempo in Platone e
nei presofisti” ed E. Berti: “Il tempo
in Aristotele”. Sabato 29 sono previsti interventi di: M. Cristiani, “Il concetto di tempo in Plotino e Agostino”;
P. Rossi, “Il tempo in Newton e
Leibniz”; C. Sini, “Husserl e
Heidegger: tempo e fenomeologia”.
Domenica 30, P. Salvucci: “Kant e la
temporalità”; A. Rigobello: “Il tempo in Bergson e nello spiritualismo
francese”; G. Cacciatore: “La dimensione del tempo nello storicismo”.
Concluderanno il congresso, lunedì 1
maggio, A. Masullo: “Il tempo e l’etica”; F. Remotti, “Tra flusso e struttura:
il senso dell’irreversibilità del tempo
in alcune culture africane”; C. Bernardini: “Il tempo nella fisica moderna”.
● Informazioni: Prof. Emidio
Spinelli, Società Filosofica Italiana,
tel. 06 86320523.
Dal 6 aprile al 19 luglio 1995, presso
l’Istituto napoletano Suor Orsola di
Benincasa , si terrà un seminario di
specializzazione su temi e problemi
di filosofia sociale volto ad analizzare alcune delle tendenze più rappresentative nell’ambito del pensiero
contemporaneo. Il ciclo di incontri su
La filosofia sociale oggi afferiranno al corso di filosofia morale tenuto
dal prof. S. Maffettone. Tra gli interventi: giovedì 20 aprile, G. Duso:
“Profili storico-concettuali del federalismo. La filosofia politica di Althusius”; venerdì 28 aprile P. Grossi:
“Pluralismo isituzionale e ordine
giuridico nell’esperienza medievale”;
venerdì 19 maggio, G. Penzo: “Politica e ‘sovrapolitica’ in Jaspers”; martedì 30 maggio, C. Roehrssen: “La
concezione dello stato federale in Hans
Kelsen”; lunedì 19 giugno, A. Cavarero: “Hannah Arendt: il federalismo
delle repubbliche elementari”; G.
CALENDARIO
Marini: “L’idea kantiana di una repubblica mondiale”. Sono inoltre previsti interventi di A. Honneth e J. Raz.
● Informazioni: Istituto Suor Orsola di Benincasa, via Suor Orsola 10,
80135 Napoli, tel. 081 400070-412641
Due giornate di studio su Luigi
Scaravelli, organizzate dal Diparti-
mento di Ermeneutica e Tecniche dell’Interpretazione dell’Università degli Studi di Torino e dall’Università
di Catania, si terranno a Torino presso la Fondazione Guzzo il 2 e il 3
maggio 1995. Tra i relatori che interverranno su: “L’autonomia della
scienza e della filosofia nella via italiana del neokantismo: Luigi Scaravelli” V. Mathieu, F. Barone, S. Marcucci, M. Pinottini, S. Nosari.
● Informazioni: Prof. Marzio Pinottini, Dipartimento di Ermeneutica, Università degli Studi di Torino,
tel. 011 8182111.
Una pedagogia nuova per la ricerca scientifica, questo il titolo del
Congresso Internazionale che si terrà
all’Accademia delle Scienze di Torino il 4 e 5 maggio 1995. Interventi di
(10-13 aprile 1995
Raymond Klibansky
Università di Oxford
The platonic tradition
A newly discovered Platonic text of
Classical Antiquity - The foundation
of the Platonic tradition - Peter Abailard and the School of Chartres From Albertus Magnus to Petrarch
and Nicholas of Cues
10-14 aprile 1995
Enrique Dussel
Università di Città del Messico
Rilettura di Marx
(a partire da Hegel e Shelling)
Le quattro redazioni de il Capitale
(1857-1882) e l’influenza di Hegel L’«essere» come fondamento (Hegel)
e la «fonte creatrice» (Shelling) nel
pensiero di Marx - La struttura della
Logica di Hegel e quella de il Capitale di Marx - Le metafore teologiche in
Marx - Attualità della filosofia di
Marx (replica a P. Ricoeur, K. -O.Apel
e J. Habermas).
18-22 aprile 1995
Hermann Lubbe
Università di Zurigo
Gegenwartsschrumpfung
zeitschranken des fortschritts
Die Gegenwart der Vergangenheit.
Zivilisationsdynamik und Historismus - Fortschritt und Terror. Rückblick auf das Zeitalter des Totalitarismus - Avantgarde und Postmoderne. Kunst unter Fortschrittsdruck Informationsdynamik. Erfahrungsverluste und erschöpfte Kapazitäten
der Innovationsverarbeitung - Freie
Zeit und knappe Zeit . Ueber Zeitumgangskultur.
L. Gallino, G. Giorello, A. Oliverio,
T. Regge, P. Singer, V. Reynolds.
● Informazioni: Prof. M. Talamp,
Dipartimento di Sociologia, Università di Torino, tel. 011/8182111.
me’ della creatura. L’antropologia soprannaturale come ‘ristorazione’ della persona”; A. Russo: “Rosmini:
verso un nuovo modello ecclesiologico”. Venerdì 5 maggio: P. Renner:
“Fedeltà e profezia nell’ecclesiologia di Rosmini”. Giovedì 4 maggio ci
sarà inoltre la presentazione, a cura di
G. Beschin, del volume di Atti “Antonio Rosmini, filosofo del cuore?”.
● Informazioni: Istituto di Scienze
Religiose, via S. Croce 77, 38100
Trento, tel. 0461 981617.
A Rovereto dal 4 al 6 maggio 1995 si
tiene il V Convegno Internazionale di
Studi Rosminiani, promosso dall’Istituto Trentino di Cultura con il patrocinio del Comune di Rovereto su:
Credere Pensando. Domande della teologia contemporanea nell’orizzonte del pensiero di Antonio Rosmini. Mercoledì 3 maggio,
Un colloquio su Carl Vogt (1817 1895) si terrà all’Università di Ginevra dal 4 al 6 maggio 1995. Tra i
relatori: H. Best, C. Blanckaert, M.
Buscaglia, J. Dreifuss, F. Dubosson,
L. Fischer, I. Herrmann, T. Leoir, R.
Mazzolini.
● Informazioni: Department d’historie generale de la medecine, Universitè de Geneve. Tel. +41 22
7026329, fax +41 22 781 5193.
relazioni di: H. J. Verweyen: “Punti
cruciali della teologia contemporanea: per una mediazione filosofica
dell’unicità salvifica di Gesù Cristo”;
K. Menke: “Il contributo di Rosmini
sulla questione circa la risposta della
fede di fronte alla ragione”; A. Staglianò: “Teologia, fede e ragione: l’apporto di Antonio Rosmini all’epistemologia teologica”; G. Ferrarese:
“L’’auditus fidei’ e la genesi della
teologia rosminiana”; F. Conigliaro:
“Rosmini, precursore della ‘nouvelle
théologie”. Giovedì 4 maggio: X.
Tilliette: “Il Cristo Sapienza incarnata nel pensiero di Antonio Rosmini”;
G. Colzani: “Il compimento ‘deifor-
A Merano l’8 e il 9 maggio 1995 si
terrà il XVII Simposio Internazionale
di Studi Italo-tedeschi su “Giambattista Vico (1688-1744)” . Relazioni
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14, Napoli.
18-22 aprile 1995
Giovanni Stelli
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Plutarco - Il Platone di Alcino - Il
Platone di Diogene Laerzio
Il Fondamento perduto:
alle origini dell’etica moderna
2-6 maggio 1995
Paul Ricoeur
Università di Parigi X-Nanterre
L’ontologia teleologica classica e la
sua dissoluzione nel pensiero moderno - Hume e l’incommensurabilità di
essere, vero e bene: la critica della
morale tradizionale - Hume e il recupero della morale tradizionale: la natura come «normalità» fattuale e fattualità del «normativo» - Sade e la
distruzione dell’etica: la verità del
naturalismo - Tentativi di ricostruzione del nesso essere-valore nel pensiero moderno e contemporaneo.
Memoire, Oubli, Historie
Répetition et remémoration - Mémoire traumatique et mémoire thérapeutique - Fonctions negatives et positives
de l’oubli - La dialectique de la mémoire et de l’histoire - De la mémoire
individuelle à la mémoire collective.
8-11 maggio 1995
Marc Fumaroli
Collége de France, Parigi
Chateaubriand poéte et penseur
24-28 aprile 1995
Jean -Luc Marion
Ecole Normale Supérieure, Parigi
L’état sauvage et l’état social: Chateaubriand et Rousseau - Poésie, politique et religion: Chateaubriand et Fénelon - La «prisca theologia» dans le
Génie et les Martyrs - Chateaubriand
entre Rome et Paris: les Mémoires.
Questions d’interpretation
et d’historie conceptuelle
des Meditationes de Prima
Philosophia de Descartes
Les arguments du doute de la Meditatio I - Les schèmes du cogito dans la
Meditatio II - Le statut et les prolongement du principe de causalité dans
la Meditatio III - L’infinité de la volonté, ses indécisions et son rôle
d’apres la Meditatio IV - Les occurences et la fonction de la «regula veritatis» selon les Meditationes III - V.
8-12 maggio 1995
Pietro Rossi
Università di Torino
La teoria della Weltanschauung
nella cultura tedesca pre-1933
La filosofia come Weltanschauung e
come teoria della Weltanschauung
(Dilthey) - Il rifiuto della Weltanschauungsphilosophie e la filosofia
come «scienza rigorosa» (Husserl) La filosofia tra intuizione del mondo
e critica «tecnica» dei valori (Weber)
- La teoria della Weltanschauung tra
filosofia e analisi psicologica (Jaspers)
- La teoria della Weltanschauung e la
sociologia del sapere.
2-5 maggio 1995
Margherita Isnardi Parente
Università di Roma «La Sapienza»
Momenti
della Storia del Platonismo
Il Platone di Seneca - Il Platone di
75
di G. Cotroneo: “La confutazione de’
principi della dottrina politica fatta
sopra il sistema di G. Bodino”; J.
Seifert: “Versteht der Mensch sich
selbst besser als die Natur? Einige
Gedanken zu Giambattista Vicos
Scienza Nuova”; K. Flasch: “Vico
und die Metaphysik”; D. Barbieri:
“Vico e Kant: due prospettive politiche a confronto”; F. Barbieri: “L’estetica del Vico e la Storia dell’Arte”; G.
Patella: “Poesia e filosofia nel pensiero di Giambattista Vico”.
● Informazioni: Accademia di
Studi Italo-tedeschi, Merano,
tel. 0473 237737.
Filosofi, architetti, storici dell’arte,
urbanisti a confronto sul futuro delle
nostre città, il 27 maggio 1995 a Potenza, Università degli Studi della
Basilicata, al convegno organizzato
dall’ Istituto Gramsci del Veneto e
dalla rivista “Anfione Zeto” su: “La
Forma della Città” Interventi di
Umberto Curi, V. Vitiello, M. Petranzan, B. Secchi, R. Fuccella.
● Informazioni: Prof. Giuseppe Biscaglia, Istituto Gramsci del Veneto,
tel. 0971 441348.
15-18 maggio 1995
Aldo Gargani
Università di Pisa
La filosofia americana
contemporanea
La filosofia del linguaggio nella cultura
americana contemporanea - Paradigmi,
modi di fare il mondo, schemi di decidibilità razionale nell’epistemologia americana - Il neo-pragmatismo americano e
la storicizzazione del discorso filosofico
- La scienza come solidarietà nell’opera
di Richard Rorty.
22-25 maggio 1995
Carlo Augusto Viano
Università di Torino
La leggenda della filosofia
Una madre generosa - Il filosofo e il
principe - L’oggetto della filosofia L’utile e l’onesto.
22-26 maggio 1995
Boghos Levon Zekiyan
Università di Venezia
La dialettica
tra valore e contingenza
La problematica del valore nel contesto culturale del XX secolo: il processo di relativizzazione neotico-assiologica - Le storie e l’«apriori storico».
La questione dei modelli culturali La proposta umanistica: ipotesi, limiti, orizzonti - Alla ricerca di un principio di equilibrio dinamico e di armonia pluricontestuale.
29 maggio - 1 giugno 1995
Franco Chiereghin
Università di Padova
Le aporie dell’agire
e le condizioni di una vita buona
La dialettica della coscienza morale Gli elementi costitutivi dell’agire - la
vita buona.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
La didattica come sapere
applicato
Con il volume
FILOSOFIA E LETTERATURA.
FUNZIONE DELLA METAFORA NEL PENSIERO DI
ALCUNI POETI E PENSATORI DEL ‘600 (a cura
di G. Sidoni, Irrsae Lombardia, Edizione dell’ARCO, Milano 1994), ha preso
avvio la pubblicazione dei risultati
dei gruppi di ricerca che hanno fatto
capo al “Progetto ISPER” su “FILOSOFIA E NUOVI LINGUAGGI PER LA PROFESSIONALITÀ DOCENTE” (cfr. «Informazione Filosofia» n. 5, dicembre 1991). Ideato da
Gianna Sidoni, in collaborazione con
il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e
l’I.R.R.S.A.E. Lombardia, il Progetto
ha coinvolto circa quaranta docenti di
liceo e nove docenti universitari nell’attività di sette gruppi di ricerca,
dedicati rispettivamente ai rapporti
della filosofia con la letteratura, le
scienze, le scienze dell’educazione,
l’arte, il cinema, la storia, la musica.
Ogni gruppo di ricerca è stato coordinato
da un responsabile della coerenza teoricodidattica del lavoro complessivo e un responsabile scientifico, docente di università e specialista dei temi della ricerca in
atto. In particolare il gruppo di ricerca sul
tema “Filosofia e letteratura”, coordinato
da Eros Barone, è stato affiancata da
Paolo D’Alessandro, come responsabile
scientifico, e da Giovanni Bottiroli come
consulente scientifico per le questioni di
linguistica. Il direttore scientifico dell’intero progetto, Gianna Sidoni, ha coordinato l’attività dei sette gruppi, curando che
fosse rispettata la metodologia storica quale
criterio-prova per la selezione delle ermeneutiche testuali e quale proposta per
una sensibilizzazione corretta e rigorosa
alla contemporaneità. Il supervisore
scientifico, Maria Assunta Del Torre,
ha curato i rapporti con i responsabili
scientifici e con gli organismi istituzionali e ha svolto un lavoro di verifica
complessiva dell’attività dei gruppi, mentre il responsabile I.R.R.S.A.E., Silvio
Restelli, ha curato, in particolare, l’aspetto organizzativo complessivo e ha tenuto
i rapporti con le scuole medie superiori.
A conclusione dei lavori, gli sviluppi dell’attività di studio dei vari gruppi hanno
consentito di individuare elementi per formulare nuove ipotesi tanto nel campo della didattica, quanto su un piano scientifico.
In particolare il rapporto tra didattica e
ricerca scientifica ha aperto le porte della
ricerca universitaria verso la contemporaneità, i suoi problemi e i bisogni di una
società fortemente scossa da profonde
ragioni di mutamento. Il confronto con i
livelli astratti del rigore scientifico ha
evidenziato invece, nella didattica, un
insieme di competenze per tradurre e
mediare le acquisizioni della ricerca pura
in risposte culturali adeguate ai bisogni
storico-sociali.
Poiché la ricerca scientifica è per lo più
delegata all’Università e la didattica ad
operatori delle scuole medie superiori, ne
consegue che molti mali sono derivati alla
cultura e alla società italiane dalla separazione tra Università e scuole secondarie.
Gli insegnanti di liceo tendono infatti, nei
casi migliori, a sacrificare lo specialismo
per aprire il dibattito culturale ad una sempre maggiore quantità di problemi concreti; per i docenti dell’università interessi e
competenze si dirigono invece verso ambiti più precisi e specialistici. Gli insegnanti di liceo sono tenuti a rispettare i
limiti epistemici del sapere che trasmettono, ma anche a selezionare e mediare i
contenuti e le modalità di trasmissione in
funzione di bisogni formativi, legati alla
dinamica delle esigenze sociali e alle prospettive di trasformazione della realtà storica. Per l’insegnante di liceo il confronto
con la contemporaneità è elemento fondamentale della propria professionalità; è
aspetto integrante del proprio ruolo. Il
docente universitario è più attento invece
alla preparazione culturale dei giovani,
alle strutture epistemiche dei saperi che
trasmette, alle metodologie della ricerca,
alle proposte critiche, alla poiesi teorica.
Nella ricerca pura, le istanze storiche e le
relazioni con la contemporaneità sono presenti all’interno di concettualizzazioni e
questioni, che difficilmente sono riconoscibili o riconducibili immediatamente a
piani di ordine sociale o storico-materiale.
Se, dunque, nella ricerca accademica prevale l’asse dello sviluppo “interno” dei
76
saperi, nella prassi dell’insegnamento secondario prevale il problema del senso per
l’altro delle teorie. Così, se la libertà di
pensiero è pressoché assoluta sul piano
della ricerca, nel caso dell’insegnamento
nelle scuole superiori e nei licei la libertà
si esprime per lo più nell’esercizio di operazioni selettive dei mezzi, degli obiettivi,
delle metodologie e dei valori. Con queste
strategie di selezione l’insegnante di liceo
mette in pratica una libertà che è responsabilità e misura e può farsi tramite per
l’università di questioni inerenti alla dialettica tra società e cultura.
Un’altro male, a cui si è cercato di ovviare
nel “Progetto ISPER”, è la separazione tra
pedagogisti, psicologi e sociologi da un
lato, a cui si devono precise competenze
nelle problematiche psico-pedagogiche
giovanili inerenti alla formazione della
personalità, e gli insegnanti delle scuole
superiori, dall’altro, competenti nei saperi
delle discipline curricollari. Nel “Progetto
ISPER”, la presenza istituzionale dell’I.R.R.S.A.E. ha consentito che le tematiche pedagogiche si inserissero adeguatamente nell’incipit stesso della ricerca; l’intero progetto è stato ideato secondo un iter
che saldasse modelli formativi e conoscenze culturali e che semplificasse al
massimo le procedure burocratico-organizzative. La tesi fondamentale del progetto, per quanto attiene a questa questione, è stata che l’insegnante in nessun momento della sua attività si sostituisca al
pedagogista o allo psicologo, ma che le
linee pedagogiche essenziali di un modello formativo vengano tradotte in criteri di
selezione di percorsi culturali, metodologie, tematiche, materiali didattici, libri di
studio e di testo.
Le sette équipes ISPER si sono formate
attraverso una selezione di docenti aspiranti e sulla base dei seguenti criteri: disponibilità di tempo da dedicare alla ricerca, capacità di lavoro autonomo, possesso
di adeguati titoli scientifici. I docenti selezionati hanno poi liberamente scelto i settori di ricerca e di studio secondo i loro
interessi e competenze, dando vita a gruppi di lavoro, che col progredire della ricerca si sono andati sempre più riconoscendo
in équipes. Lo stile di lavoro delle équipes
ha altresì valorizzato le finalità comuni
DIDATTICA
della ricerca, la positività delle differenze
culturali e degli approcci ai problemi come
condizioni per la ricchezza e la vivacità
degli approfondimenti scientifici e dello
scambio di idee.
La ricerca ha richiesto un impegno particolare da parte dei partecipanti, che hanno
scambiato risorse e competenze culturali.
Tra pluralismo di idee e libertà teoretica e
critica i “limiti” si sono andati configurando per tutti attraverso l’attivazione della
metodologia storica. Pensare “entro i limiti della storicità” vuol dire scegliere criteri
di controllo, di confronto e documenti,
accreditando adeguatamente le ermeneutiche testuali e le ipotesi teoriche che nel
corso dell’attività venivano proposte. Sulla base di una storicità coerente con il
pluralismo delle ipotesi e delle soluzioni,
il “Progetto ISPER” ha evitato che la
creatività come proposta fosse considerata capacità già acquisita, o che essa
potesse confondersi con la spontaneità
(anche se geniale), realizzando invece
un modello di lavoro diretto ad approfondire le analisi ed estendere le conoscenze, a comparare teorie. Grazie alle
metodologie scelte, il livello della ricerca si è mantenuto su livelli elevati.
Con il titolo: Filosofia e letteratura. Funzione della metafora nel pensiero di alcuni
poeti e pensatori del ‘600, è apparso recentemente il volume collettivo che raccoglie i saggi prodotti a conclusione della
ricerca del gruppo “Filosofia e Letteratura”, formato da Eros Barone, Roberto
Diodato, Gianfranco Gavianu, Roberto
Mosconi, Giovanna Romanelli. I percorsi di ricerca di questo gruppo si sono incentrati sulla “metafora” quale luogo di incontro e di scarto tra i due saperi, la filosofia e la letteratura. Utilizzando la “metafora” quale chiave di lettura dei testi, la
struttura della ricerca ha voluto evitare
tutte quelle forme a-logiche, intuitive,
spontanee, attraverso le quali i due saperi
vengono spesso collegati. La “metafora”,
quale figura logico-retorica e portatrice
dell’immaginario, ha svolto egregiamente
il suo compito di intermediario per un’educazione alla ragione critica, quella che sa
spiegare i processi, istituire le regole necessarie, evitando tanto il dogmatismo
quanto gli sterili esercizi logici fine a se
stessi. I percorsi proposti nei vari saggi che
compongono il volume costituiscono altrettanti itinerari per attivare la creatività negli insegnanti e nei giovani e non
soltanto e studi di approfondimento storico-critico. I percorsi, inoltre, possono
essere utilizzati sia a partire da studi
letterari che filosofici, sia in un contesto
di collaborazione tra le due discipline
che separatamente. G.S.
Con l’obiettivo di proporre alle scuole
della Regione Lombardia gli strumenti di
lavoro elaborati dai gruppi di ricerca del
“Progetto ISPER” per una didattica multidiscilpinare, promosso dall’I.R.R.S.A.E.
Lombardia in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, si tiene a
Milano dal 20 al 21 aprile 1995, presso la
sede dell’I.R.R.S.A.E. Lombardia, un convegno dal titolo: Filosofia: nuovi linguaggi per la professionalità docente,
dedicato al rapporto tra filosofia, arti e
scienze in una società complessa. Questo
il calendario dei lavori: giovedì 20 aprile,
ore 9.00: M. A. Del Torre, “Il rapporto tra
Università e scuola secondaria superiore”;
G. Sidoni, “L’educazione alla creatività:
l’introduzione alla filosofia negli Istituti
Tecnici”; Silvio Restelli, “L’innovazione
scolastica e la formazione in servizio degli
insegnanti di scuola media superiore”; L.
Corradini, “Il docente di filosofia di fronte
al problema giovanile”. Ore 11.00: G. Micheli, A. Monti, M. Sacchi (a cura di),
“Filosofia e matematica”, presentazione
del volume omonimo e proposta di itinerari didattici multidisciplinari. Ore 14.30: P.
D’Alessandro, E. Barone, G. Gavianu (a
cura di), “Filosofia e letteratura”, presentazione del volume omonimo e proposta di
itinerari didattici multidisciplinari. Venerdì
21 aprile, ore 14.30-17.30: tavola rotonda
sul tema: “Ricerca e didattica”, con la
partecipazione di D. Bigalli (coordinatore) e dei responsabili scientifici dei sette
gruppi di ricerca: Botturi, D’Alessandro, Franzini, Gori, Melchiorre, Micheli,
Pizzetti, Zecchi.
Convegni
Si è svolto a Brescia, nei giorni 4 e 5
novembre 1994, il XXVII Convegno
Nazionale per l’aggiornamento degli
insegnanti sul tema: “FILOSOFIA ANALITICA E NEOPOSITIVISMO”, organizzato dall’A.R.I.F.S. (Associazione per Ricerca
e Insegnamento di Filosofia e Storia)
di Brescia, in collaborazione con l’Università di Firenze.
Dopo l’indirizzo di saluto di Giancarlo
Conti, presidente dell’A.R.I.F.S., il coordinatore del convegno, Paolo Parrini, ha
spiegato le ragioni della scelta del tema.
Oltre alla scarsa attenzione che la filosofia
del Novecento desta ancora nelle scuole
italiane, Parrini ha in primo luogo fatto
rilevare la particolare carica oppositiva
che filosofia analitica e neopositivismo
hanno avuto in Europa e in Italia nei confronti di orientamenti speculativi sedimentati e di tradizioni accademiche consolidate. In secondo luogo Parrini ha richiamato
il processo di ridefinizione dell’immagine
culturale in corso nella filosofia analitica e
nel neopositivismo: innanzitutto l’empirismo logico non s’identifica con tutto il
Circolo di Vienna; l’accezione ampia del
termine di filosofia analitica va a comprendere, come sua componente, il neopositivismo, che pure mantiene caratteri propri.
Nel suo intervento, Ettore Casari ha con77
siderato alcuni momenti di storia della
logica e della matematica, giungendo fino
agli anni della costituzione del Circolo di
Vienna, quando ancora vivo era il dibattito
sui fondamenti della matematica. Dopo
aver ripercorso il doppio processo di matematizzazione della logica e di logicizzazione della matematica, con richiami a
Fries, Boole, Frege, Peano, Peirce, Husserl,
Casari ha sottolineato come il passaggio
tra Ottocento e Novecento comportò
un’apertura della prospettiva di applicazione degli strumenti logici oltre l’ambito
matematico. Fu in particolare Carnap a
sottolineare l’importanza della logica nella trattazione filosofica, quale mezzo per
fornire le forme dei concetti, mentre la
ricerca di Hilbert, affluendo nella carnapiana sintassi logica del linguaggio, mostrava che la logica non può prescindere da
uno studio di carattere metalogico.
Muovendo da una definizione non limitata
alla cultura anglosassone, Pierre Jacob
ha richiamato nell’ambito della filosofia
analitica i contributi dei positivisti logici
austro-tedeschi e, in epoca più recente,
quelli di studiosi provenienti da diverse
aree geografiche. Della doppia nascita, a
Jena e a Cambridge, della filosofia analitica, Jacob ha considerato aspetti relativi al
secondo momento, quando Russell e Moore operavano in Inghilterra intorno al
1900. Jacob ha così passato in rassegna tre
fasi. Una prima, denominata atomismo
platonico, si costituì sulla base di un pluralismo ontologico di atomi e di relazioni e
su di una significativa distinzione tra essere ed esistere delle proposizioni, a cui si
aggiunse la giustificazione del carattere
sintetico delle leggi logiche. Alla seconda
fase, quella dell’atomismo logico, Russell
approdò attraverso l’abbandono del carattere sintetico delle leggi logiche in favore
di quello analitico o tautologico delle stesse, dopo che la frequentazione di
Wittgenstein lo aveva orientato verso
un’interpretazione linguistica delle verità
logiche e matematiche. La questione dei
limiti del linguaggio sta al centro della
terza fase, laddove per Russell l’analisi
filosofica manteneva un valore costruttivo, mentre per Wittgenstein essa doveva
mirare a sciogliere pseudoproblemi e confusioni, secondo un fondamentale compito terapeutico.
Gereon Wolters ha richiamato l’attenzione sul programma di cultura filosofica
moderna che si espresse nell’empirismo
logico, la cui impresa si ricollegava al
lavoro di scienziati-filosofi, tra cui Mach e
Einstein, così come, per gli aspetti più
specificatamente logico-filosofici, a Frege, Russell e Wittgenstein. Alla luce di
un’idea della filosofia come attività destinata a chiarire il significato delle espressioni scientifiche, ha osservato Wolters, la
critica di Einstein ai concetti di tempo,
spazio e movimento si rivelò un fondamentale riferimento per il lavoro filosofico generale della filosofia della scienza
DIDATTICA
nell’ambito dell’empirismo logico. Prima
di Einstein, Ernst Mach aveva sviluppato
una critica dello spazio assoluto newtoniano, inserendo tra concetti fisici che hanno
legame con l’esperienza e quelli che escludono in linea di principio ogni rapporto
con l’esperienza, una terza classe di concetti, a carattere metafisico, almeno temporaneo, capaci di contribuire al chiarimento dei fenomeni fisici. Sul rapporto tra
teoria ed esperienza, ha sottolineato Wolters, Mach elaborò l’idea che il grado di
scientificità di una teoria è proporzionale
alla sua diretta relazione con l’esperienza.
Da ultimo, Wolters ha indicato il «carattere genuinamente storico della concezione
machiana della scienza e della filosofia
della scienza», a cui fa riscontro la transitorietà delle opinioni e la provvisorietà del
sapere, elementi che non furono adeguatamente considerati dagli empiristi logici.
Nel suo intervento, Armando De Palma
ha assunto come dato di partenza la nonomogeneità delle posizioni dei membri del
Circolo di Vienna sin dal 1929, anno ufficiale della sua nascita. Schlick era pervenuto a identificare il problema della verità
del sistema scientifico mediante un raccordo tra fatti e giudizi: i giudizi sarebbero
segni dei fatti. L’univocità con cui un
segno simbolico si raccorda a un solo
oggetto, conduce alla verità, intesa come
coordinazione univoca e, su tale base, alla
conoscenza come coordinazione di giudizi. Le proposizioni connesse in modo diretto coi fatti, ovvero i giudizi percettivi,
costituirebbero i giudizi fondamentali e la
procedura di verificazione consisterebbe
nella constatazione dell’identità di due
giudizi mediante una derivazione logica:
una previsione per il futuro, a cui seguirebbe appunto l’effettiva constatazione. Se
ora ammettiamo con Wittgenstein che
«capire una proposizione vuol dire sapere
che cosa accade se è vera», verificazione e
determinazione del senso si equiparano,
allo stesso modo di inverificabilità e insensatezza. In questo sviluppo teorico,
ha osservato De Palma, Carnap intervenne nell’elaborazione di un programma costruttivo, che muovesse dai dati
empirici e facesse ricorso agli strumenti
della logica simbolica fino a ottenere un
linguaggio universale proprio dell’unica scienza globale.
Tra le prospettive di Schlick e Carnap per
la realizzazione di una filosofia scientifica, si inserì Neurath, che assegnò un ruolo
preminente al linguaggio “fisicalistico”,
proponendo un’idea di verità che, in luogo
di una indubitabile e univoca relazione tra
proposizione e fatto, affermava la concordanza tra una proposizione e il sistema
scientifico di proposizioni acquisite in un
determinato tempo. Il sistema delle leggi
scientifiche, più le proposizioni di osservazione, costituirebbero appunto in Neurath la scienza unificata. Da ultimo, ha notato De Palma, Popper supera il problema
humeano sostenendo l’inesistenza dell’in-
duzione e dunque l’ingiustificabilità delle
leggi scientifiche e risolve il problema
kantiano dei limiti della conoscenza scientifica ricorrendo al concetto di scienza
come sistema di proposizioni solo falsificabili a partire dalle proposizioni basilari,
a loro volta falsificabili.
Pietro Rossi ha preso in esame l’esperienza dell’Enciclopedia internazionale della
scienza unificata, progetto di collaborazione tra filosofi e scienziati avviato a
Chicago nel 1938, in cui confluirono differenti percorsi intellettuali, rappresentati
da diversi pensatori, tra cui anche Dewey
e Morris. Il primo sottolineava la distinzione tra la scienza come atteggiamento e
la scienza come corpo di nozioni, la cui
unità era da intendersi nel senso di una
cooperazione tra studiosi e di una riforma
dell’educazione per sottrarre la scienza al
rischio dell’isolamento. Il secondo puntava ad un metalinguaggio che avesse valore
unificante rispetto ai linguaggi parziali
delle singole scienze, orientandosi pertanto verso l’elaborazione di una teoria
dei segni, articolata in sintattica, semantica e pragmatica.
Di Neurath Rossi ha rimarcato l’opzione
antisistematica nei confronti del sapere
scientifico e l’intento di realizzarne l’unificazione sul piano del linguaggio. Una
prospettiva forte di unità, ha osservato
Rossi, fu quella riduzionistica di Carnap,
la cui realizzazione era affidata al linguaggio cosale-fisico. Per Neurath e Carnap, si
trattava di riproporre la chiarificazione del
linguaggio come compito della filosofia.
Neurath aveva dichiarato intrascendibile
il piano del linguaggio, indicando le proposizioni, non i fatti, come dati ultimi.
L’”Enciclopedia” non portò a compimento il proprio programma e già col secondo
volume venne delineandosi una liberalizzazione del neopositivismo e una ricerca
dell’unità della scienza sulla base dell’unità
del modello di spiegazione, integrando
modelli di tipo deterministico con altri di
tipo statistico-probabilistico.
Nel suo intervento, Paolo Leonardi ha
preso in considerazione la filosofia del
linguaggio ordinario, sorta ad Oxford in
epoca successiva al neopositivismo. Pur
nella tendenza ad opporsi al linguaggio
esatto e artificiale della scienza, tale filosofia non deriverebbe dal secondo
Wittgenstein; in essa traspare piuttosto
l’influenza di Moore e della sua filosofia
del senso comune, ripresa dagli oxoniensi
con il proposito di sostituire ad un criterio
introspettivo (senso comune) un criterio
intersoggettivo (linguaggio ordinario).
L’attività dei filosofi del linguaggio ordinario, ha sottolineato Leonardi, prende di
mira le cattive argomentazioni filosofiche, ricorrendo a un metodo affine e in
concorrenza con quello scientifico. Leonardi ha richiamato, tra i principali esponenti di tale filosofia, John L. Austin e H.
Paul Grice. Secondo Austin il linguaggio
ordinario non è fenomenistico ed è diffici78
le immaginarne una revisione fenomenistica coerente. Grice sostiene invece che
ogni nostra percezione può essere riportata, parlando degli oggetti percepiti o esplicitando gli aspetti soggettivi, più fenomenici, del percepire.
Punto di partenza dell’intervento di Paolo
Parrini è stata la complessità della critica
neoempiristica alla metafisica, che ha richiamato l’attenzione sulla natura ambivalente del principio di verificazione come
principio metodologico di carattere empiristico, che si traduce pure in principio
semantico. Il nucleo essenziale della critica antimetafisica, ha osservato Parrini, è
costituito dalla negazione del kantiano principio sintetico a priori, dal momento che
ciò che si può dire a priori non è che una
esplicitazione tautologica degli enunciati.
Il problema di che cosa sia in generale la
conoscenza, ha fatto notare Parrini, fu affrontato dagli empiristi logici come conoscenza di rapporti strutturali. Il conoscere,
per gli empiristi logici, è un processo di
riconoscimento a struttura triadica, con un
soggetto, degli oggetti e un apparato di
concetti; in questo processo non si dà conoscenza diretta, ma solo conoscenza per
descrizione, anche se in termini diversi da
quelli della descrizione eidetica husserliana. Tre sarebbero allora i tipi di metafisica:
quella intuizionistica, che pretende per sé
un valore sintetico; quella tautologica,
che non ci dice niente sul mondo; e
quella induttiva, in linea di continuità
con la scienza, a cui si offre come repertorio di modelli.
Data come impraticabile la prospettiva
metafisica, ha continuato Parrini, l’interrogativo si sposta su ciò che rimane della
filosofia. Secondo Neurath, l’istanza antimetafisica equivale a un’istanza antifilosofica; neanche l’attività di chiarificazione dei concetti sarebbe, per Neurath, attribuibile alla filosofia come suo compito
specifico. Per Schlick, invece, la scienza è
ricerca della verità, mentre la filosofia è
appunto attività chiarificatrice dei significati delle asserzioni. Infine, nella prospettiva costruttivistica di Carnap, la filosofia
diventa analisi logica del linguaggio scientifico, a carattere esplicativo-eliminativo.
Da ultimo, Mauro Sacchetto ha mostrato
l’inadeguatezza dei manuali in rapporto
alla compressione dell’intreccio di problemi interni al neopositivismo, tenuto conto
della ridotta dimensione con cui viene
trattato il Circolo di Vienna. Un’auspicabile rettifica storiografica in tal senso,
ha osservato Sacchetto, comporterebbe
una ridefinizione degli sviluppi del neopositivismo nel secondo dopoguerra e
della sua relazione col falsificazionismo
popperiano. I.V.
DIDATTICA
Interventi, proposte, ricerche
Con l’apparizione del “numero zero”
del suo «Bollettino», il C.R.I.F (Centro
di Ricerca per l’Insegnamento Filosofico) tenta di affiancare al proprio progetto didattico uno strumento di divulgazione, di documentazione, di informazione e di scambio con tutti
coloro che sono interessati alla “filosofia per bambini”.
Il C.R.I.F. è un’associazione sorta principalmente con lo scopo di approfondire
la conoscenza del curriculum elaborato
da Matthew Lipman e dai suoi collaboratori all’Università di Monclair (New
Jersey) e divenuto noto come “filosofia
per bambini”. L’idea del bollettino è
confortata dalle esperienze e dal lavoro
di numerosi altri centri che operano in
questo ambito in paesi di tutto il mondo.
Nella maggioranza dei casi, il bollettino,
oltre a svolgere l’importante compito di
strumento di comunicazione all’interno
di una determinata area linguistica, serve anche da ponte per lo scambio interculturale. Per questa sua natura, il bollettino intende nutrirsi dei contributi provenienti da insegnanti e alunni italiani e degli
apporti di provenienza esterna, selezionati
e tradotti a cura della redazione.
Questo primo fascicolo del Bollettino
rappresenta un tentativo di dare corpo al
progetto del C.R.I.F. e costituisce anche
un invito a suggerire correzioni e nuove
idee. Oltre a un messaggio di M. Lipman, esso ospita una presentazione del
curriculum della “filosofia per bambini”, un articolo di M. Sasseville su “Il
primo capitolo de Il prisma dei perché.
Logicità e creatività del pensiero” (cfr.
M. Lipman, Il prisma dei perché, Armando, Roma 1992), una raccolta di
materiale di documentazione elaborato
nelle scuole medie e superiori, un organigramma dei centri di “filosofia per
bambini” nel mondo, l’annuncio che la
VII Conferenza internazionale dell’International Council for Philosophical
Inquiry with Children sarà tenuta a Melbourne, in Australia, dal 10 al 15 luglio
1995, e infine un articolo conclusivo di
M. De Pasquale, dal titolo A proposito
di insegnamento della filosofia.
La quota annuale di associazione al
C.R.I.F. è di lire 20.000 ed è comprensiva dell’abbonamento al «Bollettino». Comunicazioni e materiali per la pubblicazione devono essere mandati al seguente
indirizzo: C.R.I.F., Via S. Francesco 46,
87022 Cetraro (CS), Italia (tel./fax: 098292084 - ccp n. 13469879). Su richiesta di
gruppi di insegnanti o della scuola di appartenenza, il C.R.I.F. offre seminari di
formazione specifica all’utilizzazione del
programma di “filosofia per bambini”.
Alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell’UNESCO e dell’Anno delle
Nazioni Unite per la tolleranza, l’organismo dell’ONU per l’educazione, le
scienze e la cultura - che ha sempre
prestato un’attenzione particolare al
ruolo dell’insegnamento della filosofia nello sviluppo degli individui e delle società - ha deciso di avviare un
nuovo progetto intitolato: “FILOSOFIA E
DEMOCRAZIA NEL MONDO », le cui linee di
fondo sono descritte nel documento
144 EX/16 del Consiglio esecutivo dell’UNESCO.
Questo progetto della Divisione di Filosofia ed Etica dell’UNESCO si basa su
un’inchiesta internazionale che concerne il posto della filosofia nella vita culturale di ciascun paese e si dà, per primo
obiettivo, quello di redigere un quadro il
più completo possibile dei rapporti fra
l’insegnamento della filosofia e i sistemi
politici. I dati riuniti in questa inchiesta
costituiranno il materiale per l’analisi
della questione relativa ai mezzi attraverso cui la filosofia e il suo insegnamento possono aiutare a promuovere gli
ideali universali della democrazia e della tolleranza.
Il questionario dell’inchiesta si articola
in 82 punti, suddivisi nei seguenti capitoli: 1) situazione d’insieme dell’insegnamento filosofico; 2) posto dell’insegnamento filosofico nei diversi sistemi
di studio; 3) programmi; 4) metodi di
insegnamento; 5) strumenti di lavoro; 6)
formazione degli insegnanti; 7) esami,
diplomi concorsi; 8) insegnamento della
filosofia nel quadro di altri discipline; 9)
insegnamento della filosofia nella vita
politica e culturale.
Sulla rivista «LETTURE» (anno 49, quaderno 511, novembre 1994) sono apparse alcuni utili riflessioni sui manuali di filosofia nella scuola a cura di
Gianna Sidoni, di Dario Antiseri e di
Giovanni Fornero. In «SENSATE ESPE RIENZE» (n. 24, ottobre 1994), Gianmaria Ottolini presenta un’originale proposta di “drammatizzazioni filosofiche sulle filosofie ellenistiche”, nata
da un’esperienza effettivamente attuata nella scuola.
Nel suo articolo: Se la scuola è presa con
filosofia, Gianna Sidoni avanza una riflessione complessiva sulle funzioni che
la filosofia svolge nella formazione generale di un giovane e avanza alcune
precisazioni sui recenti “Programmi
Brocca”, che prevedono l’estensione dell’insegnamento filosofico anche agli istituti tecnici. Interessante è soprattutto il
tentativo di suddividere l’attuale manualistica filosofica in tre tendenze: «la
prima è finalizzata a soddisfare soprattutto le esigenze del docente che desidera trovare nel manuale tutti gli autori che
79
le occasioni dell’iter didattico portano a
considerare, oltre ovviamente alla trattazione dei classici»; la seconda tendenza è quella «che presuppone che uno
studio della filosofia nei licei, per potersi concretamente incentrare sulla lettura
degli autori, necessita di manuali agili,
sintetici»; la terza tendenza è quella dei
«manuali che intendono far parlare soprattutto i filosofi attraverso le loro opere».
Dario Antiseri ricostruisce invece, con
il suo articolo: La ragione aperta e i suoi
problemi, le motivazioni che lo hanno
guidato, insieme con Giovanni Reale,
alla realizzazione del manuale Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, ora
ripubblicato in edizione ampliata e aggiornata (voll. 3, Editrice La Scuola,
Brescia 1993). Dal canto suo, Giovanni
Fornero, ne L’obiettività educa. L’ideologia violenta, offre analoghe motivazioni per il manuale legato al nome di
Nicola Abbagnano e aggiornato da Fornero stesso fino all’ultima edizione del
’92 (cfr. N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, voll. 3,
Paravia, Torino 1992).
Lontano dal potere. Competitività, cooperazione, creatività e filosofie ellenistiche è il titolo di un resoconto apparso
su «Sensate esperienze», in cui Gianmaria Ottolini “narra” l’esperienza di
un gruppo-classe dell’ITIS “L. Cobianchi” di Verbania, nata dal tentativo di
superare una situazione di crisi, emersa
da un questionario di autovalutazione
dove si evidenziavano i sintomi di uno
scarso coinvolgimento degli alunni alle
attività didattiche. L’insegnante ha proposto con successo alla classe di sperimentare una nuova modalità di studio
della filosofia attraverso una lettura di
gruppo e la produzione di brevi testi
drammatizzabili. Tale progetto ha inoltre permesso di introdurre le classi del
biennio allo studio della filosofia ed è
stato anche presentato al convegno di
Reggio Emilia, dell’aprile 1994, sulla
creatività. Nella medesima rivista viene
poi offerta una selezione delle drammatizzazioni filosofiche realizzate dalla
classe IV, Indirizzo Scienze Umane e
Sociali, a.s. 1993-94, dell’ITIS “L. Cobianchi” di Verbania (NO), dal titolo:
Lontano dal potere. Filosofia e vita nell’età ellenistica: scettici-epicurei-stoici. Chi fosse interessato a ricevere il
testo completo delle drammatizzazioni
può richiederlo a: ITIS «Lorenzo Cobianchi», indirizzo di Scienze Umane,
Piazza Martiri di Trarego, 28044 Verbania Intra (NO). R.L.
STUDIO
STUDIO
Fenomenologia dello spirito
L’opera recente di Franco Chiereghin,
LA ‘FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO’ DI HEGEL . INTRODUZIONE ALLA LETTURA, (La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994), offre
una sintesi articolata di questo testo
hegeliano, indicando non solo uno stimolante percorso di lettura, ma anche
un’efficace proposta di contestualizzazione del medesimo all’interno dell’intera riflessione di Hegel.
Il dichiarato intento che guida questo studio di Franco Chiereghin, dedicato alla
Fenomenologia dello spirito di Hegel, non
è tanto, o non solo, quello di offrirne un
commento, né quello di individuarne la
struttura interna a partire dall’esame del
connettersi delle varie “figure” del testo
hegeliano, bensì quello di «enucleare il
principio che sta alla base dell’organizzazione concettuale dei suoi contenuti».
Come è noto, uno dei problemi cruciali posti
dalla Fenomenologia dello spirito è rappresentato dalla sua collocazione nel sistema
hegeliano, anche considerato con riguardo
alla sua evoluzione. Questo obiettivo richiede, anzitutto, un chiarimento degli scopi
teoretici che Hegel si era prefisso con quest’opera (il “sapere assoluto”) e la loro comparazione con i risultati effettivamente raggiunti, nonché con l’evoluzione teorica che
l’opera stessa subì nel corso della sua gestazione, protrattasi fino alla lavorazione in
bozze. In questo processo, sottolinea Chiereghin, il principale elemento di continuità
consiste nella convinzione hegeliana del carattere di scienza del sapere assoluto, nel suo
configurarsi come una struttura concettuale
dal procedere metodicamente autoconsapevole. L’evoluzione si colloca, dunque, non
in un mutamento radicale del progetto teoretico, bensì in uno spostamento di accenti: dal
carattere di esperienza della coscienza, proprio
del sapere, a quello che lo riconduce al fenomenizzarsi e al pervenire a sé dello spirito.
La prima parte del testo di Chiereghin è
dedicata al metodo e all’organizzazione
concettuale della Fenomenologia; qui viene anzitutto messo a fuoco il tema dell’opera, l’esame dell’apparenza, ovvero delle
modalità del manifestarsi del sapere. All’interno di questo campo tematico, Chie-
reghin ribadisce il carattere decisivo della
questione dell’esperienza, nella sua connessione con quella relativa alla nozione
hegeliana di scienza. A partire da qui, vengono ripercorse e analizzate, fra l’altro, le
problematiche relative alle nozioni di “momento”, “figura” e “totalità” fenomenologici, per come esse appaiono non solo nella
Fenomenologia, ma anche nel problematico rapporto con la “logica di Jena”.
La seconda e la terza parte dello studio di
Chiereghin mettono a fuoco le tappe attraverso le quali l’itinerario hegeliano, partendo dal momento della coscienza, perviene alle due opposte totalità (quella della
coscienza medesima e quella della religione), la cui riunificazione articola il contenuto del sapere assoluto. La linea interpretativa percorsa da Chiereghin prevede che,
per ciascuno dei momenti fenomenologici,
venga rintracciata una forma logica di giudizio che dia conto delle vicende dialettiche che in essa si svolgono. Questa prassi
interpretativa rinvia all’assunto secondo il
quale la Fenomenologia costituisce non
solo una propedeutica al posteriore sviluppo sistematico della riflessione hegeliana,
ma anche (oltreché un presupposto storicoteoretico del medesimo) un abbozzo della
struttura della futura scienza della logica.
In particolare, il momento della religione,
rileva Chiereghin, impone ai momenti precedenti una ristrutturazione logica, tanto
che in ciascuno di essi è possibile rintracciare la determinazione di “essere”, “essenza” e “concetto”, tripartizione che costituisce lo “scheletro” della logica hegeliana successiva (peraltro, a quella data,
nient’affatto presente come tale agli occhi
di Hegel). D’altra parte, nell’interpretazione di Chiereghin assume particolare rilievo
il rapporto tra la Fenomenologia e i Topici
aristotelici, concepiti come il modello del
processo ascendente di una coscienza che,
attraverso le proprie partizioni, guadagna
la propria essenza. A partire da questa
ipotesi, che intende dar conto del profondo
intrecciarsi dell’aspetto logico e di quello
fenomenologico, nonché dei diversi piani
di logicità presenti nella Fenomenologia,
quest’ultima appare come la difficoltosa
paideia del soggetto che, attraverso la conoscenza del proprio limite e il sacrificio di
sé, perviene al sapere assoluto. F.C.
80
Bergson e Fichte:
due introduzioni
Con INTRODUZIONE A BERGSON (Laterza
Roma Bari- 1994), di Adriano Pessina, e INTRODUZIONE A FICHTE (Laterza,
Roma-Bari 1994), di Claudio Cesa,
sono a disposizione dei lettori due
ulteriori strumenti di studio nella
ben nota collana “I filosofi”, che raccoglie da anni monografie dedicate
a singoli autori, di cui vengono ricostruiti, attraverso un’esposizione
sistematica, il pensiero, la produzione letteraria, il contesto storicofilosofico della loro opera.
L’esordio filosofico di Henri Louis
Bergson, padre dell’evoluzionismo spiritualistico, avviene, nel 1889, con la
pubblicazione del Saggio sui dati immediati della coscienza, in cui vengono
delineati i caratteri essenziali della concezione bergsoniana della temporalità.
La teoria di Bergson rappresentò quasi
una sorta di rivoluzione nel pensiero
francese del primo Novecento, trovando
il suo completamento ne L’evoluzione
creatrice (1907), l’opera di maggior rilievo scritta da Bergson, nella quale il
concetto di tempo subisce un radicale
cambiamento, passando da temporalità
oggettiva a temporalità soggettiva, più
precisamente ad una temporalità coscienziale che si manifesta nell’intuizione.
Questo mutamento di vedute coinvolge
l’intero sistema filosofico bergsoniano,
in particolar modo il concetto di persona, che acquista rilievo in tema di libertà, un aspetto largamente trattato da
Adriano Pessina in questa sua introduzione al pensiero di Bergson. In questa
concezione Bergson prende le distanze,
da una parte, dai sistemi deterministici
della natura, dall’altra dal determinismo
psicologico, riproposto in quegli anni da
John Stuart Mill. Ciò che Bergson rivendica è la coscienza come unità in
divenire, eterna possibilità di scegliere e
scegliersi, di esperire il proprio vissuto
interiore quale atto libero e unico. La
coscienza sconfina ora in percorsi che
non hanno niente a che vedere con le
regole di causa-effetto, che implicano
STUDIO
Henri Bergson e Johann Gottlieb Fichte
una ripetizione dell’esperienza; è piuttosto l’intuizione, intesa come elaborazione creativa della realtà, la responsabile di azioni che si rinnovano e si arricchiscono ogni volta in piena armonia
con l’evoluzione del soggetto, anzi, ne
costituiscono la più autentica espressione. Il passaggio da una conoscenza matematica prevedibile ad una coscienza
umana imprevedibile, che è passato-presente-futuro, implica l’affermarsi dello
spirito e di una concezione spiritualistica che apporta nuovi strumenti per riflettere sulla scienza, l’arte e l’esistenza nei
suoi molteplici aspetti. D.M
Nella sua introduzione Claudio Cesa
affronta la filosofia fichtiana suddividendola in quattro tematiche, che costituiscono l’oggetto delle quattro sezioni
del testo, che si conclude, come gli altri
della stessa collana, con un’ampia bibliografia critica sull’autore. Ripercorrendo il cammino seguito dallo stesso
Fichte nelle opere principali, Cesa parte
dalla genesi dei principi primi, passa poi
a trattare la filosofia della libertà, il problema del diritto e della morale, la teoria
della verità e, in conclusione, il rapporto
tra religione e politica. Punto iniziale di
questa ricostruzione diventa così il rapporto con Kant e le critiche rivoltegli da
Fichte: la differenza tra la filosofia teoretica e quelle pratica, e l’io inteso semplice-
mente come unità formale e appercettiva,
impediscono a Kant, secondo Fichte, di
giungere a quella sistematicità che possa
fondare ogni sapere. Da qui l’esigenza di
costituire una soggettività infinita che fornisca certezza e sistematicità.
La seconda parte di questa introduzione
si occupa, appunto, di tale soggettività
che, in quanto intuizione intellettuale,
costituisce la forma e il contenuto della
realtà. Cesa non distingue in modo esplicito le tre ipostasi dell’io, bensì le deduce
concettualmente e teoreticamente dall’attività dell’io. Il soggetto assoluto, infatti,
diventa auto-attività e auto-intuizione assolutamente immediata che, necessariamente, si estrinseca nella produzione del
non-io. A questo punto Cesa si occupa
della ragione che spinge l’io a produrre la
natura e affronta il tema della libertà. Differenziando la libertà fichtiana, che si ritrova nei contenuti, da quella kantiana,
esclusivamente formale, Cesa sottolinea il
primato della moralità colta dinamicamente
e mai staticamente. Se la morale è costituita dai contenuti, a maggior ragione lo è il
diritto che rappresenta l’applicazione dell’eticità radicata nella legislazione, nella
società e nello stato. Ritroviamo qui la
missione del dotto nella società e l’ideale
statale di Fichte, che si concretizza in un
forte potere esecutivo, limitato solo dal
potere di veto dell’eforato.
La quarta parte affronta il problema del81
la verità nella teoria della rappresentazione e ribadisce la scelta fichtiana per
la filosofia idealista rispetto a quella
realista-dogmatica, costitutiva dell’uomo subordinato alle cose e incapace di
giungere alla libertà. Due conseguenze
della scelta dell’idealismo rappresentano l’oggetto dell’ultima parte dell’esposizione di Cesa e cioè la religione e la
politica. Se le prime opere fichtiane individuavano la libertà esclusivamente
nella moralità e nel dovere, le ultime
cercano una dimensione che trascenda
l’etica stessa e che si ritrovi in un oggetto ulteriore: è questa l’epoca della religione che sembra essere, alla fine della
filosofia fichtiana, il compimento e la
conclusione del senso originario dell’io.
I Discorsi alla nazione tedesca, trattati
da Cesa separatamente dall’esposizione
sullo stato, si rifanno invece alla libertà
vissuta dai tedeschi durante l’occupazione napoleonica, incapace, secondo
Fichte, di sradicare nel popolo germanico la spiritualità originaria e quindi la
libertà. A.S.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXV, n. 3, dicembre 1994
Il Mulino, Bologna
La fine di un’egemonia: il marxismo italiano negli anni Ottanta, di G. Badeschi:
l’articolo ricostruisce il dibattito che ha
individuato e determinato la crisi della cultura marxista in Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’70, dopo un’egemonia
incontrastata fin dagli anni ’50.
Roberto Ardigò e l’inconscio fisiologico,
di L. Lanzoni: la concezione di inconscio
in Ardigò nel rapporto tra fisico e psichico
e l’influenza della psicologia fisiologica
inglese.
La realtà del futuro e la relatività speciale,
di M. Dorato.
Linguaggio, pensiero, intenzionalità: la
controversia sugli animali, di S. Gozzano:
le ricerche sul possibile uso di un linguaggio da parte di un essere non umano.
Buchanan sostengono la tesi che solo l’esistenza di regole può garantire la sicurezza
dei rapporti che consente ad ognuno di
“stare al tavolo del gioco” senza entrare in
conflitto con gli altri. L’articolo intende
fornire un’interpretazione di questo scritto,
individuandone elementi fondativi, risultati raggiunti, problemi aperti.
Alla ricerca di Alter. Proposta di un percorso attraverso le scienze dell’uomo, di F.
Sarcinelli: un approccio interpretativo all’Altro come dimensione epistemologica
costitutiva delle scienze dell’uomo.
Dato e interpretazione, di L. Ponticelli:
l’articolo illustra la tesi secondo cui l’interpretazione si costituisce attraverso i
dati della conoscenza immediata entro
cui siamo immersi.
Alfred Wallace tra evoluzionismo e spiritualismo, di L. Gallo: recensione di G.
Scarpelli, Il cranio di cristallo. Evoluzione
della specie e spiritualismo (Bollati
Boringhieri, Torino 1993).
Ferdinand Fellmann e la filosofia della
vita, di M. Mezzanzanica: recensione di F.
Fellmann, Lebensphilosophie. Elemente
einer Theorie der Selbsterfahrung (Filosofia della vita. Elementi di una teoria dell’esperienza di sé, Rowohlt, Reinbek bei
Hamburg 1993)
FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ’
Anno XVI, n. 3, 1993
Rosenberg & Sellier, Torino
Le regole e il contratto, di A. Villani: in La
ragione delle regole (1985) Brennan e
La dialettica platonica, di G. Giannantoni:
recensione di P. Stemmer, Platons Dialektik: Die frühen und mittleren Dialoge (La
dialettica di Platone: i primi dialoghi e
quelli intermedi, W. de Gruyter, Berlin New York 1992).
AQUINAS
Anno XXXVII, n.2, maggio-agosto 1994
Facoltà di Filosofia
Pontificia Università Lateranense
Pensare il moderno: Natura e Storia nell’antico pensiero cinese. La lezione di Xunzi, di F. Avanzini.
Kant, la razza e la storia, di P. Pellecchia:
alla luce delle moderne migrazioni dal Sud
verso il Nord, vale la pena rileggere le
riflessioni di Kant nei saggi: Delle diverse
razze degli uomini (1775) e Determinazione del concetto di razza (1785).
ELENCHOS
Le questioni inedite “Siena, biblioteca comunale degl’Intronati, L XI 24". Contributo alla storia della posterità di Giovanni
Capreolo, di P. Conforti: sul XV secolo
nella storia della Scolastica; periodo poco
conosciuto a causa della preponderanza
degli interessi per l’Umanesimo da parte
della storiografia. In realtà in questo periodo i testi aristotelici o tomisti vengono letti
e commentati secondo schemi letterari e
didattici tradizionali.
Ricordo di Uberto Scarpelli, di N. Bobbio.
Nuove edizioni di testi leibniziani, di M.
Mugnai.
Gassendi et le texte de Diogène Laërce, di
K. A. Algra: la riabilitazione della filosofia
epicurea operata da Gassendi in Animadversiones in decimum librum Diogenis
Laërti.
Anno XV, n. 1/1994
Bibliopolis, Napoli
La storia impossibile nel ‘Politico’ di Platone, di M. Tulli: il mito dei cicli del cosmo
nel dialogo platonico come tentativo di
andare al di là del racconto di fantasia per
compiere una ricerca sulla storia.
Aspectos de la crítica de Plotino a las categoríias de Aristótele, di M. I. Santa Cruz.
Aspetti della critica di Jan Lakasiewicz
al principio aristotelico di non contraddizione, di A. Schiaparelli: risale al 1910
l’articolo Sul principio di non contraddizione in Aristotele, in cui il filosofo
polacco Lakasiewicz, servendosi dei risultati della moderna logica simbolica (è
l’anno della pubblicazione dei Principia
Mathematica), mostra come questo principio non possa essere considerato come
assolutamente primo e innegabile, ma
sia bisognoso di altri principi per essere
formulato e provato.
82
Fenomenologia y metafisica, di A. Lobato:
l’articolo si occupa della filosofia cristiana
di Edith Stein come tentativo di superamento della distanza che sembra separare
Husserl e San Tommaso.
Edith Stein fenomenologa, di A. M. Pezzella: all’interno della complessità delle
prospettive culturali presenti nella Stein,
l’articolo privilegia il ruolo della fenomenologia e più in particolare del metodo della fenomenologia come la via più
adatta per valutare la produzione della
sua filosofia.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Filosofia cristiana, fenomenologia e metafisica secondo E. Stein, di B. Mondin: alcune considerazioni sulla concezione della
filosofia cristiana e sulla metafisica fenomenologica che emergono dalla lettura
dell’antologia degli scritti di E. Stein, La
ricerca della verità: dalla fenomenologia
alla filosofia cristiana (a cura di A. Ales
Bello, Città Nuova, Roma 1993)
La filosofia cristiana secondo Edith Stein,
di X. Tilliette.
zioni: quella monista, di ispirazione neopositivistica, secondo cui il sapere sociologico deve mirare alla scoperta di leggi
generali, incrementando le capacità predittive; quella neo-dualista, ispirata a
Wittgenstein, che rifiuta il modello delle
scienze naturali e vede lo scopo delle scienze sociali nella chiarificazione del significato che un’azione può assumere per chi vi
è coinvolto; quella di Rorty e Foucault, che
mette in luce l’inadeguatezza metodologica della bipartizione tra scienze della natura e scienze dell’uomo.
Edith Stein-fenomenologia e/o metafisica,
di A. Molinaro: il problema della capacità
fondativa della fenomenologia in rapporto
alla metafisica secondo E. Stein.
“Ho il gusto del segreto” (Cinquant’anni di
vita intellettuale cosciente), intervista di
M. Ferraris a J. Derrida.
La fenomenologia, uno sguardo sulla verità, di C. Bettinelli: la lettura della fenomenologia husserliana da parte di E. Stein.
La modernizzazione contro il progresso, di
V. Camps: la prospettiva di un progressismo umanista.
Una ricerca sullo Stato di Edith Stein, di
F. D’Agostino: recensione di E. Stein,
Una ricerca sullo Stato (Città Nuova,
Roma 1993).
Progresso, progressista, di S. Lukes: l’articolo delinea la storia semantica del concetto di progresso per poi analizzare quale
significato esso abbia nell’attuale congiuntura storica.
Il fantasma di Turing e l’incancellabilità
del soggetto, di P. Turpia: considerazioni
sulla relazione di G. Blandino, “L’antropologia in indirizzo agostiniano” (11-13
gennaio 1993, Colloquio Internazionale
sull’antropologia, Pontificia Università
Lateranense).
The vocation to be a philosopher, di P.
Andrews.
M. Heidegger (e U. Eco) contro la definizione dell’uomo come animale razionale,
di L. Chitarin: contro Husserl, Heidegger
tenta di riformulare un’antropologia unitaria a partire dall’analitica esistenziale, che
sfocia, però, in una serie di aporie. L’attacco alla concezione dell’uomo come animale razionale è stato poi di recente riproposto
sul piano logico-categoriale da Eco.
IRIDE
Anno VII, n 12, agosto 1992
Il Mulino, Bologna
Morale ermeneutica; l’istanza morale dell’ambito estetico, di H. R. Jauss: l’articolo
spiega, da un punto di vista storico ed
ermeneutico, perché dal recente dibattito
sul rapporto tra etica ed estetica emerga
una semplificazione, se non una liquidazione, del problema morale connesso all’ambito estetico.
Scienza unificata, neo-dualismo e genealogia delle scienze sociali, di D. Sparti: una
delle problematiche aperte dell’epistemologia delle scienze sociali è il rapporto tra
quest’ultime e le scienze naturali; in quest’ambito è possibile individuare tre posi-
De progressu rerum cogitata et visa, di P.
Rossi: considerazioni sul progresso e sulla
tecnica.
AUT AUT
n. 262-263, luglio-ottobre 1994
La Nuova Italia, Firenze
Dramma dell’appartenenza e paradosso del
proprio, di P. A. Rovatti: la questione dell’appartenenza alla luce di una nuova idea
di verità.
Appartenere a questo presente?, di G. Comolli.
L’origine condivisa, di R. Prezzo.
La piega e il pensiero. Sull’ontologia di
Merleau-Ponty, di P. Gambazzi: il tema
dell’essere e del pensiero nell’ultimo
Merleau-Ponty.
Ethos e lex. Paganesimo e cristianesimo in
Croce e Gentile, di V. Vitiello: la filosofia
morale di Croce e Gentile alla luce del
conflitto, presente in entrambi, tra etica
pagana e legge cristiana.
Gentile e la riforma del trascendentalismo
kantiano, di M. Ferraris: il tema della riforma gentiliana del trascendentalismo kantiano, da intendersi come riforma vera e
propria o come controriforma, e i rapporti
con la riflessione di Heidegger.
Nietzsche, Freud e Marx, di M. Foucault.
Artificio (e natura), di S. Givone: l’artificio come medio nel passaggio tra lavoro ed arte.
Mito e secolarizzazione nella cultura tardo-moderna, di C. Formenti.
La natura costruibile: rinaturizzazione, riruralizzazione, riurbanizzazione, di R.
Wiggershaus.
Incanto, tecnica e rischio nel mondo moderno. Karl Marx e la seconda creazione, di
R. Grundmann: la questione ecologica alla
luce della critica globale del capitalismo e
della critica radicale di ragione e scienza,
che trova espressione nel fondamentalismo ecologico.
Proust e Lukács su Flaubert. Sulla dissoluzione della forma-romanzo, di F. Fortini.
Situazione, di F. Jarauta: considerazioni
sulla nostra epoca.
Concezioni dell’eguaglianza e pregiudizio sessuale nelle teorie liberali della giustizia, di F. Miucci: le teorie liberali della
giustizia, in relazione al concetto di imparzialità, sembrano imporre un’astrazione
dai caratteri personali, sociali e culturali
dell’esperienza individuale che genera
discriminazione.
“Fare verità”. Una forma del pensiero biblico, di M. C. Laurenzi; Teologia nella
crisi. Figure contigue non comunicanti, di
G. Bonola; Scrittura biblica e scrittura filosofica, di P. C. Bori: questi tre interventi
trattano il tema del rapporto tra pensiero
filosofico e il pensiero proveniente dalla
verità biblica. Se il pensiero del nostro
secolo sembra aver scisso il rapporto tra
piano veritativo, proprio della Bibbia, e
piano filosofico, riducendo la Sacra Scrittura a mera origine della cultura occidentale, l’ermeneutica contemporanea ripropone la questione se la scrittura biblica sia da
archiviare o rappresenti piuttosto ancora
un problema per la nostra cultura. Gli interventi spaziano da un confronto con la teologia di Barth alle riflessioni su Rosenzweig e Heidegger.
I sentieri di Bateson, di R. De Biasi: recensione di G. Bateson, A sacred unity. Further steps to an ecology of mind (Un’unità
sacra. Ulteriori passi verso un’ecologia della
mente, Harper Collins, New York 1991).
La mente incarnata, di G. Leghissa: recensione di F. J. Varela, E. Thompson, E.
Rosch, La via di mezzo della conoscenza
(Feltrinelli, Milano 1991).
Sulla destinazione, di S. Petrosino: la figura della destinazione attraverso la tematizzazione operata da Derrida.
La morte, la parola, lo spettro. Nota su
Jacques Derrida, di F. Cassinari.
83
RASSEGNA DELLE RIVISTE
CON-TRATTO
Anno III, n. 1-2, ottobre 1994
Il Poligrafo, Padova
Una parte della rivista è dedicata al tema:
“Metafisica della comunità: il bonum commune in San Tommaso d’Aquino e nella
scuola tomista”, a cura di V. Possenti. L’altra parte è dedicata al tema: “Carl Schmitt:
simbolo tra teologia e politica”, a cura di C.
Bonvecchio.
L’obbligo per legge, il governo e il bene
comune: considerazioni metafisiche in
Tommaso d’Aquino, di S. L. Brock: la
nozione di obbligo in Tommaso.
L’idea di bene comune nella filosofia politica di J. Maritain, di R. Gatti.
Le insidie al bene comune nel ‘De Regno’
di S. Tommaso d’Aquino, di L. Perotto:
l’operetta scritta da Tommaso per il sovrano di Cipro nel 1266.
La questione del bene comune, di V. Possenti: le linee principali della teoria del
bene comune e la sua presenza nel pensiero
contemporaneo.
La metafisica del bene comune e l’etica
della solidarietà, di R. Spiazzi: il cardine
filosofico e teologico della dottrina sociale
della Chiesa basato sul concetto tomista di
“Sommo Bene”.
Il Bonum Commune nella ‘Summa Theologiae’ “. Brani antologici, a cura di E.
Morandi.
La teoria politica del mito, di C. Schmitt.
Imperium e imperator in Carl Schmitt: spunti di teologia politica, di C. Bonvecchio: le
ragioni che spiegano la reticenza di Schmitt sul tema dell’imperialità.
La nudità simbolica. Un’interpretazione
della schmittiana “ex captivitate salus”, di
T. Tonchia.
Primato e rappresentazione: una riflessione su cattolicesimo romano e forma politica, di G. Parotto: la Chiesa cattolica come
modello politico paradigmatico in Schmitt.
Il romanticismo politico e lo stato fondamentale del filosofare. Heidegger e Carl
Schmitt a confronto, di R. Panattoni: il
ripensamento fondamentale della modernità in questi due autori.
SEGNI E COMPRENSIONE
Anno VIII, n. 23, settembre-dicembre 1994
Capone Editore, Lecce
L’etica del discorso di fronte alla sfida
della filosofia latino-americana della liberazione, di K. O. Apel.
Filosofía como arte y experiecia de la vida,
di D. Innerarity.
L’etica della liberazione di fronte all’etica
del discorso, di E. Dussel.
Tre teorie sulle emozioni: cognitiva, fenomenologica e comportamentistica (II), di
A. Malo.
G. H. Mead e l’intenzione di una psicologia
“scientifica”, di R. M. Calcaterra: le analisi
di Mead sulla coscienza soggettiva.
Comunicazione, mass media e critica della
ideologia: la filosofia del linguaggio di
Ferruccio Rossi-Landi, di S. Petrilli: le
ricerche di un filosofo (1921-1985) che ha
aperto nuovi orizzonti nella filosofia del
linguaggio e nella semiotica.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
Ungaretti traduttore di se stesso, di C. Testa.
Est-il vrai que la science ne pense pas?, di
A. Boutot: una riflessione sulla celebre
affermazione di Heidegger del 1950: la
scienza non pensa.
ACTA PHILOSOPHICA
L’écriture, di A. Juranville: un’analisi filosofica della scrittura attraverso il contributo della psicanalisi.
Vol. III, n. 2, 1994
Armando Editore, Roma
Dieu dans la philosophie de Descartes, di
N. Grimaldi: l’idea di Dio è un concetto
centrale di tutta la filosofia cartesiana e per
certi aspetti ne costituisce il fondamento.
La ricerca di Dio, secondo Cartesio, non è
comunque un movimento dimostrativo che
faccia a meno del principio primo della sua
filosofia, il cogito. L’articolo esamina le
prove cartesiane per la dimostrazione dell’esistenza di Dio e come quest’ultimo problema sia basilare per il principio stesso
dell’evidenza.
Dieu en la filosofía de Malebranche, di J. L.
F. Rodrìguez: secondo Malebranche la
nostra conoscenza di Dio è immediata e ciò
ci obbliga a rivedere sia le prove a priori
che a posteriori, essendo tutte e due discorsive. Ma immediatezza non vuol dire che la
nostra conoscenza della Natura Divina sia
perfetta. La potenza Divina e tutti gli attributi di Dio non possono essere compresi
perfettamente.
n. 2, aprile-giugno 1994
PUF, Parigi
Tema della rivista: “Pensare? Scrivere?”
La “clef” de Job. Pascal: la liberté/le mal, di
D. Leduc-Fayette.
Actualité de Rosmini, di M. Adam.
La notion de samskara, di F. Chenet: recensione di L. Kapani, La notion de Samskara
dans l’Inde brahmanique et buddhique (La
nozione di samskara nell’India brahmanica e buddista, Institut de civilisation indienne, Parigi 1992), in cui viene analizzata una nozione che rimanda anche a temi
fondamentali della filosofia occidentale la natura delle cose, la struttura del reale, la
condizione umana nella sua dimensione
ontologica.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
n. 3, agosto 1994
Universa, Wetteren
J. G. Fichte: l’affermazione dell’Assoluto,
di D. Gamarra.
Tema della rivista: “Le passioni”.
Dio nella modernità: Husserl, di A. Rigobello: l’idea di Dio nel contesto dell’attività costitutiva dell’io fenomenologico; la
garanzia intersoggettiva e la garanzia divina; l’istanza di infinito nel compito teleologico della ragione.
De la passionalité, di A. Kremer-Marietti:
recensione di M. Meyer, La philosophie et
les passions. Esquisse d’une histoire de la
nature humaine (La filosofia e le passioni.
Schizzo di una storia della natura umana,
Le livre de Poche, Parigi 1991).
Dio e la questione dell’essere in Heidegger,
di L. Omera Oñate: l’articolo analizza i temi
che si sviluppano nella heideggeriana questione di Dio: l’assenza di Dio nel nostro
tempo; il motivo per cui Dio è sparito; la
modalità di pensiero che può cercare il Dio
nascosto; l’esito del sentiero heideggeriano.
Le timbre de l’affect et les tonalités affectives, di H. Parret: la trattazione kantiana
della passione nelle tre Critiche e gli orientamenti della fenomenologia husserliana e
posthusserliana.
Sobre el origen del ser y la nada, di R.
Echauri.
84
Action et passion, di M. Wetzel: la coppia
azione-passione e la comune sorgente nell’emozione.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Descartes et Spinoza: de l’admiration au
désir, di B. Timmermans: la concezione
cartesiana, che considera l’ammirazione
come la prima di tutte le passioni, e l’idea
di Spinoza, secondo il quale il desiderio è la
prima ed essenziale passione, indicano una
diversa concezione dell’uomo.
Modalisation et modulations passionnelles, di J. Fontanille: la teoria semiotica
delle passioni, che ha mutato la concezione
di modalizzazione.
Le problème des passions chez Saint Thomas d’ Aquin, di M. Meyer.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 57, n. 3, luglio-settembre 1994
Beauchesne, Paris
Tema della rivista: “Spinoza, Epicuro,
Gassendi”.
Épicure et Spinoza: la physique, di P. F.
Moreau: lo statuto, il contenuto e l’uso
della fisica nei due pensatori.
Épicurisme et spinozisme: l’éthique, di L.
Bove: epicureismo e spinozismo sono accomunati dalla lotta contro un avversario
strutturalmente comune: la concezione
dualistica e teleologica della morale, dell’uomo e del mondo e le conseguenze pratiche di questa concezione del mondo.
Spinoza, lecteur des Objections de Gassendi à Descartes: la “métaphysique”, di B.
Rousset.
Épicurisme et saducéisme dans la communauté sépharade d’Amsterdam pendant la
première moitié du XVII siècle, di G. Albiac: il pensiero di Uriel da Costa, marrano
d’origine spagnola, che mette in discussione la concezione tradizionale dell’immortalità dell’anima.
Style épicurien, style spinoziste, di A.
Suhamy.
Gassendi contre Sponoza selon Bayle: ricochets de la critique de l’âme du monde, di
J. C. Darmon: l’analisi della nota A dell’articolo “Spinoza” del Dizionario storicocritico di Bayle, importante per la storia
dell’interpretazione dello spinozismo, perché in esso si trova un riferimento ad una
dottrina poco conosciuta di Gassendi, quella
dell’anima del mondo.
Spinoza “athée & épicurien”, di J. Lagreé:
l’articolo intende delineare l’origine della
formula “ateo ed epicureo”, usata per definire in maniera dispregiativa la concezione
religiosa di Spinoza.
DAIMON
n. 7, 1993
Università di Murcia, Murcia
INTERNATIONAL
PHILOSOPHICAL QUARTERLY
Vol. XXXIV, n. 2, giugno 1994
Fordham University, New York
Tema della rivista: “L’illuminismo”.
Qué es las Ilustracion?, di M. Foucault: un
inedito.
La justicia en Kant, di R. Brandt: la giustizia all’interno dell’etica kantiana non è
analizzata come una virtù specifica, anche
se l’etica esposta nelle tre Critiche dipende
in realtà proprio da una giustizia distributiva di Dio e la stessa istituzione giuridica
dello Stato è descritta come giustizia pubblica.
Kant: Ilustrción jurídica versus razón de
Estado, di J. Villacañas.
Gleichzeitigkeit des Ungleichzeitigen: zur
Frühen Lessingrezeption bei Friedrich Schlegel, di R. Münster: la recezione di Lessing da parte di Schlegel come tentativo di
risoluzione della crisi della modernità.
El concepto de “Bildung” en el primer
romanticismo alemán, di D. Sánchez
Meca: l’attualità della cultura del Romanticismo coincide con l’esigenza di
un assoluto inerente alla condizione
umana al di là della trascendenza ontologica; il concetto di Bildung in questa
prospettiva si inscrive perciò all’interno
di una dialettica finito-infinito.
De Sade o la subversión de/en la Ilustración, di G. Mayos.
La dialéctica hegeliana de la Ilustración, di
C. Aranda Torres: la funzione della nozione speculativa di Illuminismo nella dialettica della Fenomenologia dello Spirito,
come episodio della soggettività astratta
dello spirito.
La Ilustración y el problema del pasado. La
reflexión de Nietzsche en torno a la memoria y el olvido, di R. Avila Crespo: l’articolo intende collocare la figura di Nietzsche
all’interno della cornice dell’Illuminismo
alla luce di due chiavi di lettura: il significato della figura di Zharatustra e l’attitudine del filosofo al passato ed alla memoria.
“Nuestro más actual pasado”. Foucault y la
Ilustración, di F. Vazquez García.
Habermas y el universalismo moral, di A.
Prior Olmos: relazioni tra l’etica del discorso di Habermas e l’universalismo morale, soprattutto nella sua forma kantiana.
De la crisis de la racionalitad a la racionalidad de la crisis. Una nota sobre G. Vico,
di J. M. Sevilla: categorie vichiane per la
comprensione della modernità.
John Toland et l’épicuisme, di P. Lurbe.
85
The neoscholastic analysis of freedom, di
J. M. McDermott: la concezione della libertà umana proposta dalla neoscolastica.
Human nature and moral understanding in
Xunzi, di P. J. Ivanhoe: la diversità tra la
concezione morale del filosofo cinese Xunzi
(310 - 219 a. C), basata sul concetto di
cattiveria dell’uomo, e quella di Mencius
(391 - 308 a.C), secondo cui la natura
dell’uomo è buona.
Unity and university: the neo-humanist
perspective in the age of post-modernism,
di G. K. Beker.
Knowledge, skepticism and the diallelus,
di D. Jacquette.
Moral philosophy as a hermeneutics of
moral experience, di P. J. M. Van Tongeren: partendo dal presupposto che l’etica è
un’ermeneutica dell’esperienza morale,
l’articolo vuole chiarire cosa sia il soggetto
dell’etica ed in quale modo esso proceda.
The body comes all the way up, di R.P.
Doede: l’analisi della posizione del corpo
nello sviluppo della mente umana secondo
Michael Polanyi.
Spinoza and the problem of suicide, di S.
Barbone e L. Rice.
JOURNAL
OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY
Vol. XXXII, n. 2, aprile 1994
University of St. Louis, St. Louis
Aristotle’s natural slaves: incomplete praxeis and incomplete human beings, di E.
Garver: la questione aristotelica della naturalità della schiavitù a partire dal concetto
di necessità della schiavitù e dell’esistenza
di uomini naturalmente schiavi.
Locke on the intellectual basis of sin, di V.
Chappell: le obiezioni di Molyneux alla
posizione di Locke nella prima edizione
del Saggio.
Intellect and illumination in Malebranche,
di N. Jolley.
Hume’s ‘Dissertation on the passions’, di J.
Immerwahr: la Dissertazione del 1757 è
una delle opere più ignorate di Hume, ma
fornisce interessanti spunti per la comprensione dell’estetica e della teoria dell’origine della religione.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Hegel contra Hegel in his Philosophy of
Right: the contradictions of international politics, di A. Peperzak.
Reinterpreting Ryle: a nonbehavioristic
analysis, di S. M. Park: sulle diverse
interpretazione di Ryle come behaviorista ontologico e logico con un’analisi
non behaviorista della teoria del linguaggio di Ryle.
JOURNAL
OF THE HISTORY OF IDEAS
Vol. 55, n. 3, luglio 1994
Hopkins University Press, Baltimore
The making of a social ethic in latemedieval England: from gratitudo to
“kyndenesse”, di A. Galloway.
Adam’s noble children: an early modern
theorist’s concept of human nobility, di
A. Arriaza: il concetto di nobiltà in Moreno
de Vargas, filosofo del XVII secolo.
Jonathan Richardson, Thomas Gray and
the genealogy of art, di D. Mannings:
analisi della Teoria della pittura, pubblicata da Richardson nel 1715, dove viene
compilato un interessante elenco dei
maggiori pittori di tutti i tempi.
Palingénésie philosophique to palingénésie sociale: from a scientific ideology to
a historical ideology, di A. McCalla:
l’articolo esamina una particolare ideologia scientifica, la teoria della palingenesi nel filosofo svizzero C. Bonnet
(1720-1793), in rapporto alla teoria della palingenesi sociale di P. S. Ballanche
(1776-1847).
The bishop-eaters: the publicity campaign for Darwin and ‘On the origin of
species’, di E. Caudill.
Durkheim on occupational corporations:
an exegesis and interpretation, di M. J.
Hawkins: la celebre dottrina di Durkheim nel corso del suo sviluppo.
IL CANNOCCHIALE (n. 1/2, gennaio-
agosto 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) affronta il tema: “Sulla
tradizione”, e contiene una serie di saggi
inediti, in cui viene affrontato il problema dell’intraducibilità, sostenuto da chi
intende difendere la pluralità delle culture, e della necessità del tradurre, sostenuto da chi è consapevole dell’intrinseca dinamicità delle culture. Se la traduzione è oggi un elemento portante della
nostra civiltà, si pone il problema del
valore extralinguistico e non semplicemente comunicativo della traduzione,
cioè il problema delle condizioni di possibilità della traduzione. Il fascicolo è
suddiviso in quattro sezioni: “La tradizione”, “È possibile tradurre?”, “Che
cosa significa tradurre?”, “Il lavoro del
traduttore”.
INTERSEZIONI (Anno XVI, n. 2, agosto
1994, Il Mulino, Bologna) presenta un
articolo di G. Scarpelli dal titolo: Bergson
e la techne. Le origini della precisione,
in cui si delinea il legame tra l’elaborazione teoretica di Bergson e la tradizione filosofica greca, relativa, in particolare, all’introduzione della matematica e
della tecnica come strumenti attraverso
cui i greci hanno trasformato il mondo
visibile naturale in un mondo manipolabile e scomponibile. Appare inoltre: Esistenzialismo e neurobiologia: complementarietà, di C. U. M., Smith in cui si
delinea come l’analisi esistenzialistica
dell’esperienza umana concordi e sia
complementare a quella fornita dalle neuroscienze.
PRATICA FILOSOFICA 3 (CUEM, Mila-
no) presenta un numero monografico sul
tema: “Tra Benjamin e Kafka”, a cura di
G. Scaramuzza. Il fascicolo raccoglie i
saggi relativi ad interventi ad un seminario sulla lettura di Kafka da parte di
Benjamin, tenuti nell’anno accademico
1993/94. Scopo di questi interventi è
stato non solo fornire una serie di contributi per la discussione degli scritti di
Benjamin su Kafka, ma anche ricostruire il dibattito fiorito attorno ad essi.
RO SMI N IA N A
(Anno
LXXXVIII, n. 3, luglio-settembre 1994,
Centro Internazionale Studi Rosminiani) presenta un intervento di M. L. Facco: Metafisica, logica e matematica, alcune prospettiva a confronto: Leibniz,
Boole, Rosmini. Segnaliamo inoltre:
L’esposizione dei testi pneumatologici
neotestamentari nell’Antropologia soprannaturale di Rosmini, di G. Ferraro.
RI V I STA
Lighthouse bodies: the neutral monism
of Virginia Woolf and Bertrand Russell,
di J. A. Wood.
Ortega and ecological philosophy, di W.
Kim Rogers: il ruolo, nella storia della
filosofia, di Ortega Y Gasset come iniziatore di un nuovo approccio ecologico, che ha costituito la base del moderno
approccio al problema ecologico.
FILOSOFIA OGGI (Anno XVII. n. 67,
luglio-settembre 1994, L’arcipelago, Genova) presenta un articolo di G. Galeazzi, L’opera completa di Jacques Maritain, in cui, presentando i primi tredici
volumi dell’opera di Jacques e Raissa
86
Maritain (Editions Universitaires e Editions Saint Paul, Friburgo, Parigi 19861993), si mette in evidenza l’importanza
dell’appello alla ragione proposto dal
filosofo per risolvere la crisi della contemporaneità.
HERMENEUTICA 1994 (Morcelliana,
Brescia) presenta un intervento di M.
Bozzetti, Le prove dell’esistenza di Dio
come paradigma del sistema hegeliano.
Segnaliamo inoltre: Il “Dio della metafisica” secondo Heidegger, di A. Pieretti,
e Dire Dio in prospettiva atea. Sartre e la
fenomenologia della preghiera, di S.
Miccoli.
RI V I STA D I PSI CO LO GI A (Anno
LXXVIIII, n. 1/3, gennaio-dicembre
1994, Il Poligrafo, Padova) presenta i
riassunti delle comunicazioni al XIII
Congresso della Divisione di Ricerca di
Base in Psicologia (Padova, 29-30 settembre 1994)
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VIII, n.
2, maggio-agosto 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un numero monografico dal titolo: “Ebraismo
e modernità”. Tra gli altri segnaliamo
l’articolo di A. Klein, Cabbala ebraica.
“Pia philosophia” e modernità, in cui,
pur rilevando come il carattere teosofico-speculativo della Cabbala ebraica sia
antitetico al carattere empirico-pragmatico della modernità, si sottolinea come
la sua presenza nella tradizione culturale
occidentale abbia indirettamente contribuito a consolidare alcune importanti
conquiste della modernità, quali la critica al principio di autorità, la tolleranza,
il pluralismo.
AESTHETICA (n. 41, agosto 1994, Cen-
tro Internazionale Studi di Estetica, Palermo) presenta un numero monografico
dal titolo: Strategie macro-retoriche: la
“formattazione” dell’evento comunicazionale.
DIALEKTIK (n. 3, 1994, F. Meiner Ver-
lag, Amburgo) presenta un numero monografico dedicato alla filosofia della
matematica. Segnaliamo: Naturalism in
der Philosophie der Mathematik?, di H.
P. Schütt; Was ist und was soll die Abstraktion?, di P. Simons; Empirismus
und die Bedeutung matematischer Zeicher, di M. Emödy; Die intensionalität
der Göde lschen Theoreme, di R.
Rheinwald; Mechanisches Rechnen und
reflektierendes Denken in der Mathematik, di U. Majer; Mathematics, infinity
and the physical world, di M. Arsenijevic;
Zum Verhältnis von Objektkonstitution
und Darstellung in der Mathematik im
Anschluss an Henri Poincaré di G. Heinzmann; Arithmetik: ein A priori der Erfahrung?, di H. Tetens.
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA. V.V.
Metzler Philosophen Lexikon.
Dreihundert
biographisch-werkgeschichtliche
Porträts von den Vorsokratikern
bis zu den Neuen Philosophen
Metzler, novembre 1994
pp. 858, DM 39,80
AA.VV
Neue Realitäten:
Herausforderungen
der Philosophie.
Akademie Vlg., ottobre 1994
pp. 450, DM 98
Il volume raccoglie i testi delle conferenze e dei colloqui del XVI Deutscher Kongress für Philosophie, tenutosi a Berlino nel settembre del
’93. Le “nuove realtà” della società,
della politica, della cultura e della
situazione europea vengono trattate
nel corso di discussioni filosofiche,
contributi delle scienze neurologiche
e della cognizione, delle scienze che
si occupano della struttura dei sistemi
dinamici e delle discipline importanti
per lo studio e l’esame scientifico
della mente e dello spirito umani.
AA.VV.
Friedrich Nietzsche:
Werke auf CD-ROM
de Gruyter, novembre 1994
DM 2.000
Tutte le opere ed i testi non pubblicati
di Nietzsche, sulla base della Kritische Gesamtausgabe (KGW) sono
disponibili su CD-ROM. Il testo viene gestito dal programma Folio
(VIEWS). E’ necessario avere un pc
IBM compatibile con 512 KB di RAM
(si consiglia 1 MB) o un Macintosh,
con il drive per CD-ROM.
Aceti, Enrico
Abitare la soglia
Tranchida, novembre 1994
pp. 130, L. 28.000
Sostare tra i linguaggi e i saperi significa comprendere gli opposti, ritrovando l’origine di una rappresentazione del mondo che arbitrariamente
usiamo per discriminare fra realtà e
immaginario, tra scienza e arte.
Alesse, Francesca
Panezio di Rodi
e la tradizione stoica
Bibliopolis, novembre 1994
pp. 312, L. 35.000
Panezio di Rodi rappresenta un punto
cruciale nella storia del pensiero stoico: successore di Antipatro e spettatore delle grandi dispute tra la sua
scuola e l’Accademia di indirizzo
scettico, a lui si debbono modificazioni della dottrina che gli valsero
nell’antichità il riconoscimento di un
notevole prestigio e di una grande
autorità. Tali modificazioni, tuttavia,
specie per quel che riguarda il pensiero morale, sono state spesso sottovalutate dagli interpreti moderni, che vi
hanno visto non molto più che un
compromesso fra il rigorismo dell’antica Stoa e la maggiore “flessibilità” di altre tradizioni filosofiche.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Althusser, Louis
Ecrits philosophiques
et politiques
vol. I
Stock, novembre 1994
pp. 580, F 198
Il volume è composto da tre parti: gli
“Scritti giovanili” (1946-1952), gli
“Scritti sulla crisi del marxismo”
(1972-1978); gli “Ultimi scritti”
(1982-1986), redatti dopo la morte
della sua compagna, Hélène, e che
elaborano una nuova teoria filosofica, il materialismo aleatorio.
Bartels, Andreas
Bedeutung und Begriffsgeschichte.
Die Erzeugung wissenschaftlichen
Verstehens
Schöningh, novembre 1994
pp. 350, DM 68
Amadio, Carla
Fichte e la dimensione estetica
della politica.
A Partire da “Sullo spirito
e la lettera nella filosofia”
Guerini, novembre 1994
pp. 128, L. 25.000
Gli elementi più significativi del contributo fichtiano al dibattito attorno al
nesso fra dimensione estetica, intesa
quale primo avvertirsi dell’io nella sua
libertà e la sfera politica, proposta quale spazio della relazione fra le libertà.
Béchilon, Denys de (a cura di)
Les Défis de la complexité:
vers un nouveau paradigme
de la conaissance.
Groupe de réflexions
transdisciplinaires
L’Harmattan, ottobre 1994
pp. 211, F 120
Le sfide della complessità sono quelle di un equilibrio delicato: pensare
senza ridurre e pensare senza perdersi. L’idea della complessità attraversa il pensiero contemporaneo e
porta lo scompiglio in molte rappresentazioni antiche. Ma non tutti i
pericoli sono scongiurati. Esistono
resistenze un po’ dappertutto, che
immobilizzano, deformano o manipolano la conoscenza.
Basso, Maria Luisa
Filosofia dell’esistenza e storia.
Karl Jaspers e Nikolaj Berdjaev
Clueb, novembre 1994
pp. 188, L. 23.000
Saggio sulla filosofia della storia di
Jaspers e Berdjaev.
Amery, Carl
Die Botschaft des Jahrhunderts.
Von Leben, Tod und Würde
List, novembre 1994
pp. 178, DM 34
Questo secolo sta terminando e Carl
Amery si chiede quale sia l’eredità
che ci ha lasciato. Rispondendo a
questa domanda, l’autore ritorna al
lavoro della filosofia verde e sostiene
che essa debba essere di nuovo posta
al vertice delle problematiche attuali,
a causa dell’urgenza di provvedimenti
in questo senso e dopo anni di rimozione, dovuta alle cosiddette attualità
politiche.
Beierwaltes, Werner
Eriugenia. Grundzüge
seines Denkens
Klostermann, ottobre 1994
pp. 364, DM 138
Giovanni Scoto Eurigena è una figura
di rilievo del pensiero speculativo
dell’alto Medioevo; filosofia e teologia vengono concepite in un rapporto
di unità da affermare e consolidare
argomentativamente e che viene relizzato molto compiutamente nelle
opere di questo autore.
Aristotele
Fisica
a cura di Luigi Ruggiu
Rusconi, novembre 1994
pp. 500, L. 16.000
Il divenire dell’universo in tutte le
sue componenti: dai moti dei singoli
pianeti e delle varie regioni del cielo
fino agli elementi sensibili che costituiscono la Terra.
Bellebaum, Alfred (a cura di)
Vom guten Leben.
Glücksvorstellungen
in Hochkulturen
Akademie-Vlg., novembre 1994
pp. 200, DM 68
Il libro si occupa dei desideri e delle
idee di felicità delle grandi culture
che hanno condizionato il nostro tempo e la nostra cultura: l’Egitto, l’Ebraismo, la Cina, l’India ed il Giappone.
Audretsch, J. - Mainzer Kl.
(a cura di)
Philosophie und Physik
der Raum-Zeit
Bl-Wiss.-Vlg., ottobre 1994
pp. 232, DM 38
87
Benoist, Jecelyn
Autour de Husserl:
l’ego e la raison
Vrin, ottobre 1994
pp. 319, F 198
Si tratta di una serie di saggi indipendenti uno dall’altro, che coprono un
arco di sette anni. L’autore si interroga nel senso dello statuto della soggettività fenomenologica, che si radica nella tradizione della scuola francese di fenomenologia.
Birnstein, U. - Lehmann, K.-P.
(a cura di)
Phänomen Drewermann. Politik
und Religion einer Kultfigur
Eichborn, novembre 1994
pp. 176, DM 24,80
Profeta, eretico o ciarlatano? Due protestanti analizzano il sistema di pensiero del famoso critico della chiesa,
il quale è adorato ciecamente dai suoi
discepoli e tacciato di essere un eretico dai suoi nemici clericali. Non si
tratta di un appassionato pamphlet
cattolico, ma di una critica attenta ad
un capo religioso.
Bobbio, Norberto
Elogio della mitezza
e altri scritti morali
Ed. Linea d’ombra, novembre 1994
pp. 208, L. 15.000
Una serie di considerazioni filosofiche che possono aiutarci a capire cosa
sta succedendo nella nostra società e
guidarci nelle scelte che siamo costretti a fare ogni giorno. Elogio della
mitezza e altri scritti morali è una
raccolta di testi apparsi, dal 1960 al
1994, in edizioni fuori commercio,
interventi a convegni e dibattiti, lezioni tenute in varie occasioni.
Boelderl, Artur R.
Alchimie, Postmoderne
und der arme Hölderlin.
Drei Studien zur philosophischen
Hermeneutik
Passagen-Vlg., novembre 1994
pp. 144, DM 46
Böhler, D. (a cura di)
Ethik für die Zukunft.
Im Diskurs mit Hans Jonas
C.H. Beck, ottobre 1994
pp. 450, DM 48
Questo volume contiene contributi di
e su Hans Jonas e documenta la vivace
discussione sollevata dal pensiero di
questo importante filosofo e protagonista dell’etica dell’era tecnologica.
Böhme, Gernot
Weltweisheit, Lebensform
Wissenschaft. Eine Einführung
in die Philosophie
Suhrkamp, novembre 1994
pp. 400, DM 27,80
Böhringer, Hannes
Six conférence
en philosophie brute
Ed de la Villette, ottobre 1994
F 45
“Filosofia bruta: etimologia forzata,
filosofia alla Jean Dubuffet... disegnare con la mano sinistra e pensare con la
mano destra, ad occhi chiusi.” Si tratta
di conferenze tenute in lingua francese
NOVITÀ IN LIBRERIA
da H. Böhringer, professore di psicologia alla Gesamthochschule di Kassel ed alla Ecole d’Architecture di
Parigi-La Villette nel ’92-93.
Bondolfi, Alberto (a cura di)
Mensch und Tier.
Ethische Dimensionen
ihres Verhältnisses
Universitäts-Vlg., ottobre 1994
pp. 180, DM 32
Borsche, T. - Gerratana, F.
Venturelli, A. (a cura di)
’Centauren-Geburten’. Wissenschaft
Kunst und Philosophie
beim jungen Nietzsche
de Gruyter, novembre 1994
pp. 545, DM 280
Si tratta delle relazioni tenute nel corso
del convegno su Nietzsche di Urbino,
nel marzo del ’92. La maggior parte
delle relazioni è in lingua tedesca.
Borutti, Silvana - Papi, Fulvio
Confini della filosofia.
Verità e conoscenza
nella filosofia contemporanea
Ibis, novembre 1994
pp. 251, L. 28.000
Raccolta di interventi sul problema
della conoscenza e della verità. Saggi
di A. Badiou, G.G. Granger, M. Ruggenini, G. Semerari, C. Sini, V. Vitiello e altri.
Bouquiaux, Laurence
L’Harmonie et le chaos:
le rationalisme leibnizien
et la nouvelle science
Peeters: Institut supérieur
de philosophie, ottobre 1994
pp. 327, F 247
Pochi sistemi filosofici si prestano con
così tanta compiacenza come quella
presente nel sistema di Leibniz alla
pluralità di interpretazioni. Filosofo
del panlogismo o del panmatematismo per alcuni, Leibniz è per altri un
metafisico teso a conservare alle interrogazioni metafisiche la loro specificità, la loro irreducibilità. Il volume
getta luce sui testi leibniziani.
Braun, Hans-Jürgen (a cura di)
Solidarität oder Egoismus.
Studien zu einer Ethik
bei und nach Ludwig Feuerbach
sowie eine kritisch
revidierte Edition
’Zur Moralphilosophie’ (1868),
besorgt von W. Schuffenhauer
Akademie-Vlg., ottobre 1994
pp. 454, DM 68
Lo stato attuale della ricerca su
Feuerbach viene documentato da questo volume, così come dai due precedenti libri.
Brisson, Luc
Platon, les mots et les mythes:
comment et pourquoi Platon
nomma le mythe
La Découverte, ottobre 1994
pp. 256, F 155
Il volume presenta le interpretazioni del
mito in Platone, basandosi su di un’inchiesta lessicologica sulla frequenza del
muthos e dei suoi derivati e composti. Si
tratta di una nuova edizione rivista ed
aggiornata di questo libro.
Brunner, Reinhard
Fragmentierung der Vernunft.
Rationalitätskritik
im 20. Jahrhundert
Campus, ottobre 1994
pp. 400, DM 84
Il fenomeno del “rendere concreto”
ed anche dell’”oggettivazione” è diventato un importante tema filosofico nel corso dell’epoca moderna.
Chevalier, Jean
Les Voies de l’au-delà
Félin, novembre 1994
pp. 361, F 145
Le rivelazioni delle religioni, i pensieri dei filosofi, dei razionalisti e dei
dotti convergono in direzione di questa rassicurazione: la morte non si
capisce se non in relazione alla vita e
si iscrive nella relatività complessa
dell’universo.
Bruno, Giordano
Le Souper des cendres
a cura di Giovanni Aquilecchia
pref. di Adi Ophir
trad. di Yves Hersant
Belles lettres, novembre 1994
pp. 394, F 240
Quest’edizione bilingue dei cinque
dialoghi, in cui Giordano Bruno propone una triplice riflessione: sullo
stato dell’universo, sullo stato di Inghilterra e sullo stato dei discorsi, si
rivela essere la sua cosmologia, in cui
egli si muove ai limiti della vita che si
sviluppa nelle strade di Londra, ne
abbozza il racconto e sferza un attacco ai sapienti di Oxford, alla loro
scienza ed alla loro retorica aristoteliche.
Cicchitti, Mario
Materia e spirito.
Saggio sulla realtà della ragione
e della fede
Nuovi autori, novembre 1994
pp. 304, L. 24.000
Teoria esistenziale sull’uomo, sul
tempo fisico e psichico nella sua dinamica sino alla trascendenza dagli
atti umani.
Cleary, Thomas (a cura di)
La saggezza di Confucio
Mondadori, novembre 1994
pp. 160, L. 8.000
Riflessioni sul pensiero del grande
filosofo cinese.
Colli, Giorgio
Nature aime se cacher
tr. dall’italiano
di Patricia Farazzi
Eclat, ottobre 1994
pp. 352, F 200
Per quello che riguarda il pensiero dei
primi Greci, bisogna innanzi tutto,
secondo quanto sostiene Colli in questa sua opera pubblicata per la prima
volta nel ’48, sbarazzarsi di “quasi
tutta la critica moderna che interpreta
i presocratici sulla base di ciò che
Aristotele crede di aver capito di loro.”
Burri, Alex
Hilary Putnam
Campus, novembre 1994
pp. 150, DM 24,80
Questa introduzione inserisce le problematiche del pensiero di Putnam
nel contesto storico e sistematico ed
illustra il suo “realismo interno”, elaborato nel corso degli anni ’80, con
cui cerca di integrare i problemi della
filosofia moderna all’interno di un
tutto sistematico.
Cardini, Franco
Il limbo delle modernità
Guaraldi, novembre 1994
pp. 160, L. 25.000
Critica alla modernità che contrabbanda il conformismo “belante e strisciante” per il suo contrario.
Courtine-Denamy, Sylvie
Hannah Arendt
Belfond, ottobre 1994
pp. 435, F 150
Nessuno degli avvenimenti tragici e
decisivi per l’uomo di questo secolo
non fu considerato dal pensiero appassionato di Hannah Arendt. L’autrice di questo libro, dopo una presentazione centrata sull’identità e sulla
memoria, riassume e commenta i diciotto titoli che compongono l’opera
di questa personalità dalle molte sfaccettature.
Casini Paolo
Scienza, utopia, progresso.
Profilo dell’illuminismo
Laterza, novembre 1994
pp. 90, L. 9.000
Saggio sui valori e le idee degli illuministi e sul segno che hanno lasciato nella nostra storia e nella nostra
mentalità.
Coutagne, Marie-Jeanne (a cura di)
L’Action: une dialectique du salut
Lettre Jean Paul II
Beauchesne, novembre 1994
pp. 292, F 120
Nel momento in cui la filosofia contemporanea si domanda se la questione principale non sia quella di sapere
se la libertà è compatibile con il determinismo, la lettura di Maurice Blondel, che non offre né etica né critica
separate, insegna che l’azione dell’uomo si eleva alla dignità se è dotata
di uno statuto metafisico. Si tratta
degli interventi del Colloque du centenaire, tenutosi a Aix-en-Provence
nel marzo del ’93.
Cauquelin, Anne
Aristote
Seuil, ottobre 1994
pp. 201, F 65
Viene tracciato il ritratto del filosofo,
a partire dalle sue opere: i luoghi, gli
incontri, gli episodi di una vita caratterizzata da sconfitte ed esili.
Cherniavsky, Vladimir
Die Virtualität. Philosophische
Grundlagen der logischen
Relativität
Kovac, novembre 1994
pp. 350, DM 108
88
Daddesio, Thomas C.
On Minds and Symbols.
The Relevance of Cognitive
Science for Semiotics
Mouton de Gruyter, novembre 1994
pp. 263, DM 148
Secondo l’autore, l’antimentalismo
nella semiotica corrisponde al diffuso scetticismo nei confronti dei concetti mentali, da cui furono influenzate la filosofia e la psicologia, nel
corso del XX secolo.
Dami, Roberto
I tropi della storia.
La narrazione nella teoria
della storiografia di Hayden White
Angeli, novembre 1994
pp. 192, L. 26.000
I problemi della storia e della storiografia si risolvono tutti all’interno dell’impianto narrativo del discorso; l’essenza della scienza storica consiste
esclusivamente, o quasi, nella qualità
specificatamente narrativa dei suoi
prodotti. Sulla base della strategia prefigurativa topologica quadripartita,
formula quattro modi di intreccio e
quattro di argomentazione storica, base
di un protocollo linguistico con cui
prefigurare il campo storico.
Daub, U. - Wunder, M. (a cura di)
Des Lebens Wert. Zur Diskussion
über Euthanasie
und Menschenwürde
Lambertus, novembre 1994
pp. 140, DM 24
De Rijk, L.M.
Nicolas of Autrecourt.
His Correspondence
with Master Giles
and Bernardo of Arezzo.
A Critical Edition
from the Two Parisian Manuscripts
with an Introduction, English
Translation, Explanatory Notes
and Indexes
E.J. Brill, ottobre 1994
pp. 292, FOL 150
Decharneux, Baudoin
L’Ange, le devin et le prophète:
chemins de la parole dans l’oeuvre
de Philon d’Alexandrie dit le Juif
Université de Bruxelles
ottobre 1994
pp. 159, F 120
Filone d’Alessandria, che si situa all’incrocio tra la filosofia greca e quella alessandrina, ha sviluppato, all’alba dell’era cristiana, un pensiero originale imperniato su di una lettura
allegorica ed una comprensione platonica dell’Antico Testamento tradotto in lingua greca.
Dixsaut, Monique
Proust, Françoise (a cura di)
Rue Descartes, n° 11
Foucault dix ans après
Penser en Nietzsche
Albin Michel, novembre 1994
pp. 168, F 120
La prima parte del libro raggruppa tre
articoli sull’opera di Michel Foucault;
il secondo gruppo di articoli è consacrato all’opera di Jeanne Delhomme
ed alla sua interpretazione dell’opera
di Nietzsche.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Ducamp, Jacques
Histoire de la pensée occidentale
à partir des grandes philosophie:
Antiquité et Moyen Age
Mame, novembre 1994
pp. 71, F 55
Questo libro, consacrato al periodo dall’Antichità fino al XIV secolo incluso, cerca di definire le basi
concettuali che saranno poi della
filosofia occidentale, insistendo in
particolar modo sui due orientamenti principali: quello platonico
e quello aristotelico.
Dumont, Fernand
Le Lieu de l’homme:
la culture comme distance
et mémoire
Bibliothèque québécoise
ottobre 1994
pp. 296, C$ 10,95
Che cos’è l’uomo? Che cos’è la cultura? In questa sua opera fondamentale, apparsa nel 1968, F. Dumont
ripropone queste domande già poste
da sempre dalla filosofia, dalle religoni, dalla storia e, recentemente,
anche dalle scienze dell’uomo. L’autore rimane però lontano dalle ideologie e dalle mode intellettuali.
Dupuis, Michel (a cura di)
Levinas en contrastes
pref. di Paul Ricoeur
De Boeck-Wesmael, ottobre 1994
pp. 202, F 160
Sono qui raccolti i contributi di filosofi dai diversi orizzonti che forniscono numerosi punti di vista sui testi
e le opere di questo filosofo. Gli interventi si sviluppano sia sulla base di un
tema problematico che accomuna diversi testi sia a partire da un testo a cui
si richiede di rivelare delle supposizioni di minor portata.
Durst, David C.
Zur politischen Ökonomie
der Sittlichkeit bei Hegel
und der ästhetischen Kultur
bei Schiller
Passagen-Vlg., novembre 1994
pp. 232, ÖS 49,80
Dworkin, Ronald
Die Grenzen des Lebens.
Abtreibung, Euthanasie
und persönliche Freiheit
Rowohlt, ottobre 1994
pp. 416, DM 48
Questa citazione illustra le concezioni dell’autore rispetto a temi importanti come l’aborto, l’eutanasia e
la libertà individuale: “Quando una
creatura umana acquisisce interessi
e diritti? Dobbiamo considerare la
vita di un feto come qualcosa di
sacro, sia che il feto abbia o meno
degli interessi?”
Eichenberg, R. - Gerlach, H.-M.
Schmidt, J. (a cura di)
Nietzsche-Forschung.
Eine Jahresschrift
vol. I
Akademie Vlg., novembre 1994
pp. 350, DM 84
Questa nuova pubblicazione annuale, voluta dalla Förder- und Forschungsgemeinschaft Friedrich Nietzsche,
si occuperà di tutte le questioni legate alla filosofia nietzschiana ed al
suo influsso, considerando le nuove
tendenze della critica, in modo aperto e non legato a nessuna scuola in
particolare.
Falkenburg, B. (a cura di)
Naturalismus in der Philosophie
der Mathematik?
Meiner, novembre 1994
pp. 187, DM 36
Fassò, Guido
La filosofia del diritto
dell’Ottocento e del Novecento
Mulino, novembre 1994
pp. 360, L. 36.000
Sommario: Le teorie della codificazione; Gli utilitaristi inglesi; La filosofia giuridica postkantiana; Hegel;
Le dottrine socialiste; Gli irrazionalisti; Il positivismo; Il diritto nella filosofia del primo Novecento; Le dottrine nordamericane; Le teorie giuridiche dei regimi totalitari.
Eisler, Rudolf
Kant Lexikon
a cura e trad. dal tedesco
di Anne-Dominique Balmès
e Pierre Osmo
Gallimard, ottobre 1994
pp. 1104, F 250
Si tratta di un dizionario di tutte le
nozioni ed i concetti kantiani, spiegati tramite i testi dell’autore stesso e
presentati nell’ordine cronologico
della loro redazione. Questa edizione
non si è accontentata di prendere il
Lexikon nella sua forma originale: la
scelta delle nozioni è stata riattualizzata ed i testi sono stati ritradotti.
Faye, J et al. (a cura di)
Ligic and Casual Reasoning
Akademie-Vlg., novembre 1994
pp. 300, DM 98
Il volume contiene quindici saggi inediti ed un’introduzione ai principali
approcci alla logica causale ed alle
sue interpretazioni. Gli autori del libro sono logici, filosofi, statisti e studiosi di informatica.
Ellul, Jacques - Chastenet, Patrick
Jacques Ellul, un penseur libre:
entretiens avec Patrick Chastenet
Table ronde, ottobre 1994
pp. 110, F 250
Si tratta di un viaggio in compagnia dell’autore, ma anche di un
dialogo, a volte critico, tra il maestro ed il suo discepolo. Jacques
Ellul, non avendo redatto le sue
memorie, ci lascia in questo libro
delle confidenze che hanno il valore di un testamento intellettuale.
Faye, Jean-Pierre
Le Piège: la philosophie
heideggerienne et le nazisme
Balland, novembre 1994
F 135
Il libro mette in evidenza l’implicazione filosofica di Heidegger per il
Reich nazista, con le sue dissimulazioni e le sue scaltrezze, fino agli
effetti filosofici contemporanei.
Emanuele, Pietro
Plebe, Armando
Filosofi senza filosofia
Laterza, novembre 1994
pp. 160, L. 20.000
Come nel passato i filosofi non si
curarono dell’avvento del nazismo,
così oggi non si sono preoccupati di
trasferire nel pensiero l’avventura del
mondo che cambia: nel 1989 il crollo
del muro di Berlino, nel 1991 il golpe
a Mosca, nel 1992 la fine della partitocrazia in Italia, oggi il venir meno
del mito di uno sviluppo economico
senza limiti. Il rischio dei filosofi è
quello di diventare editorialisti e commentatori televisivi, in sostanza di
rimanere senza filosofia.
Eraclito
Fragments
trad. dal greco e note
di Frédéric Roussille
Findakly, novembre 1994
pp. 120, F 60
Questa edizione bilingue riveduta e
corretta riprende la numerazione dell’edizione Diels-Kranz, Berlino, 1934.
Erasmo
Eloge de la folie
pres. e trad. dal latino
di Claude Barousse
Actes sud. Labor,Aire, ottobre 1994
pp. 192, F 39
L’elogio della follia (1509), che occupa un posto fondamentale nel pensiero del Rinascimento, è presentato
sotto forma di una declamazione retorica e fa sorgere per assurdo, nel
mondo chiuso dei teologi, il mondo
infinitamente aperto dell’interrogazione umana.
Fornet Betancourt, Raul
Ein anderer Marxismus?
Die philosophische Rezeption
des Marxismus in Lateinamerika
Matthias-Grünewald, novembre 1994
pp. 336, DM 56
Forst, Rainer
Kontexte der Gerechtigkeit.
Politische Philosophie jenseits
von Liberalismus
und Kommunitarismus
Suhrkamp, ottobre 1994
pp. 448, DM 64
Il volume delinea una teoria differenziata dell’etica, del diritto, della democrazia e della morale, che lega tra
di loro, in una prospettiva complessiva, i diritti universali ed il bene, la
comunità politica e la differenza etica, l’universalismo morale e la particolarità culturale.
Fedrowitz, J. et al. (a cura di)
Neuroworlds. Gehirn - Geist
Kultur
Campus, novembre 1994
pp. 400, DM 39,80
Scienziati, medici, filosofi, teologi,
politici e cittadini si sono riuniti per
pensare a quali possono essere le conseguenze etiche e culturali del boom
neurologico. Qui si incomincia il dibattito su questo tema.
Foucault, Michel
Dits et écrits: 1954-1988
vol. I: 1954-1969
vol. II: 1970-1975
vol. III: 1976-1979
vol. IV: 1980-1988
a cura di D.Defert, F. Ewald
Gallimard, ottobre 1994
F 215 al volume
L’opera raccoglie più di 360 testi sparsi, non disponibili o poco accessibili,
pubblicati in Francia ed all’estero:
conferenze e prefazioni, articoli e saggi apparsi su giornali e riviste, conversazioni in cui l’autore ha spesso commentato la sua opera o quella di altri ed
ha giustificato i suoi interventi.
Fehling, Detvlev
Materie und Weltbau in der Zeit
der frühen Vorsokratiker.
Wirklichkeit und Tradition
Univ. Innsbr., ottobre 1994
pp. 200, ÖS 640
Fraling, Bernhard
Vermittlung und Unmittelbarkeit.
Beiträge zu einer existenzialen Ethik
a cura di A.-P. Alkofer
Herder, novembre 1994
pp. 310, DM 58
Feyerabend, Paul K.
Ammazzando il tempo.
Un’autobiografia
trad. di Alessandro Lachenal
Laterza, novembre 1994
pp. 220, L. 20.000
Autobiografia, completata proprio
negli ultimi mesi di vita, in cui si
percorre il cammino di un filosofo e
lo sviluppo del suo pensiero.
Frank, Semen L.
Das Unergründliche.
Ontologische Einführung
in die Philosophie der Religion
a cura e trad. dal russo
di Alexander Haardt
Alber, novembre 1994
pp. 430, DM 98
Fleischer, H. (a cura di)
Der Marxismus in seinem Zeitalter
Reclam, novembre 1994
pp. 252, DM 22
89
Fontenelle, Bernard Le Bouvier de
Entretiens sur la pluralité
des mondes
pref. di François Bott
Ed de l’Aube, ottobre 1994
pp. 144, F 45
La grande novità del libro di B. Le
Bouvier de Fontenelle (1657-1757)
risiedeva nel commercio singolare tra
il sapere e l’urbanità. Il primo si rendeva amabile, mentre il secondo si
mescolava alla saggezza.
Frewer, A. - Rödel, Cl.
(a cura di)
Prognose und Ethik.
Theorie und klinische Praxis
eines Schlüsselbegriffs
der Ethik in der Medizin
Palm & Enke, novembre 1994
pp. 110, DM 28
Si tratta dei contributi alla seconda
edizione degli Erlanger Studientage
zur Ethik in der Medizin.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Frey, Gerhard
Anthropologie der Künste
Karl Alber, ottobre 1994
pp. 360, DM 78
Frosini Riccobono, Vittorio
(a cura di)
L’ermeneutica giuridica
di Emilio Betti
Giuffrè, novembre 1994
pp. 212, L. 24.000
Giornate di studio sulla “Teoria generale dell’interpretazione di E. Betti”,
13-14 dicembre 1991 - Roma.
Gander, H.-H. (a cura di)
’Verwechselt mich vor allem nicht’.
Heidegger und Nietzsche
Klostermann, ottobre 1994
pp. 208, DM 58
Nell’ottobre del 1993, la MartinHeidegger-Gesellschaft ha organizzato un simposio. Questo volume
documenta di cosa si trattò: non di un
riassunto del dibattito tra Heidegger e
Nietzsche, ma di una prospettiva che
offra nuovi modi di confronto su questa problematica.
Gardt, Andreas
Sprachreflexion in Barock
und Frühaufklärung. Entwürfe
von Böhme bis Leibniz
de Gruyter, novembre 1994
pp. 520, DM 240
Il saggio si occupa della riflessione
sulla lingua in Germania, nel corso
del XVII secolo ed agli inizi del XVIII,
analizzando i suoi tratti caratteristici,
gli esponenti e la sua collocazione
all’interno della tradizione europea.
Gehlhaar, S.S.
Friedrich Nietzsche (1844-1900).
Beiträge zur Nietzsche-Forschung
anläßlich des Jubiläumsjahres
Junghans, novembre 1994
pp. 120, DM 19
Gerl-Falkovitz, Hanna-B.
Die zweite Schöpfung der Welt.
Sprache, Erkenntnis, Anthropologie
in der Renaissance
Matthias-Grünewald-Vlg.
novembre 1994
pp. 296, DM 56
Germer, Andrea
Wissenschaft und Leben.
Max Webers Antwort auf eine
Frage Friedrich Nietzsches
Vandenhoeck & Ruprecht
ottobre 1994
pp. 232, DM 38
Nietzsche è stato il primo pensatore
che ha messo in discussione, in maniera radicale, il valore della verità
scientifica per la vita, mentre per Max
Weber questa problematica era un
tema centrale delle sue ricerche.
Geymonat, Ludovico - Sini, Carlo
Minazzi, Fabio
La ragione
Piemme, novembre 1994
pp. 144, L. 22.000
La ragione è ancora in grado di aiutare l’uomo a comprendere un mondo sempre più complesso e labirintico? La ragione è in contrasto con il
sentimento?
Girard, Louis
L’Argument ontologique
chez Saint Anselme et chez Hegel
(Elementa)
Ed. Rodopi, ottobre 1994
pp. 250, FOL 75
Hansen, Franck-Peter
G.W.F. Hegel: Phänomenologie
des Geistes. Ein einführender
Kommentar
UTB, novembre 1994
pp. 130, DM 17,80
Il commento segue e chiarisce passo a passo il contesto di questo
difficile testo filosofico, analizzandolo in profondità.
Goetschel, W. (a cura di)
Perspektiven der Dialogik.
Zürcher Kolloquium zum 80.
Geburtstag von Hermann
L. Goldschmidt
Passagen-Vlg., novembre 1994
pp. 224, ÖS 49,80
Hayoun, Maurice-Ruben
Maïmoide et la pensée juive
PUF, ottobre 1994
pp. 336, F 198
L’autore rintraccia i primi sviluppi
della filosofia ebraica medioevale
prima dell’era maïmonidiana, espone
le grandi dottrine del saggio del vecchio Caire (Fostat) su Dio, l’universo
e l’uomo, illustra, infine, quale fu la
risonanza di questa opera gigantesca
che copre l’insieme del pensiero e del
vissuto ebraico.
Gröbl-Steinbach, Evelyn
Fortschrittsidee und rationale
Weltgestaltung. Die kutlturellen
Voraussetzungen des Politischen
in der Moderne
Campus, novembre 1994
pp. 330, DM 63
L’autrice ricostruisce l’idea di progresso come un racconto legittimante
dell’epoca moderna, che conferisce
identità e garantisce unità, ne segue il
disincanto - ovvero l’erosione dei suoi
contenuti moralo-pratici ed utopici sulla base dell’esempio fornito dalle
teorizzazioni che iniziano nell’Illuminismo e vanno fino all’epoca moderna.
Heitsch, Ernst
Xenophanes und die Anfänge
kritischen Denkens
Steiner, novembre 1994
pp. 24, DM 19,80
Herrmann, Friedrich-W. von
Wege ins Ereignis. Zu Heideggers
’Beiträgen zur Philosophie’
Klostermann, ottobre 1994
pp. 388, DM 98
Il volume costituisce un mezzo di
sicuro orientamento per l’approccio
ermeneutico ai testi di Heidegger,
partendo dall’inizio degli anni 30.
Großheim, M. (a cura di)
Wege zu einer volleren Realität.
Neue Phänomenologie
in der Diskussion
Akademie-Vlg., ottobre 1994
pp. 240, DM 84
Il volume illustra come può essere
resa fruttuosa, nel campo delle diverse scienze, la protesta fenomenologica contro il reduzionismo, in nome di
una realtà non distorta.
Hersch, Jeanne
Menschenrechte und Menschsein
Warum hat der Mensch besondere
Rechte?
Heymanns, ottobre 1994
pp. 30, DM 15
Il volume raccoglie la conferenza ed
il resoconto della tavola rotonda tenutesi a Salisburgo il 22 ottobre 1993,
presso l’Österreichisches Institut für
Menschenrechte.
Grunnet, Sanne Elisa
Die Bewußtseinstheorie
Friedrich Schlegels
Schöningh, novembre 1994
pp. 187, DM 58
Haacke, Stefanie
Zuteilen und Vergelten.
Figuren der Gerechtigkeit
bei Aristoteles
Turia & Kant, novembre 1994
pp. 29, ÖS 198
Hildesheimer, Françoise - Pieroni
Francini, Marta
Il giansenismo
San Paolo, novembre 1994
pp. 30, L. 18.000
Perché la pubblicazione di un trattato
teologico del vescovo di Ypres, Cornelis Jansen l’ “Augustinus”, segnò
l’inizio di una controversia che, muovendo da motivazioni eminentemente religiose, influì con il suo grande
rilievo culturale sulla maturazione
della coscienza politica europea per
quasi due secoli.
Haar, Michel
La Fracture de l’histoire:
douze essais sur Heidegger
J. Millon, novembre 1994
pp. 304, F 150
Se qui si parla di “frattura della storia” è perché niente di ciò che ha fatto
storia è compiuto fino in fondo: le
lacune della storia non si colmano,
ma si ricompongono impercettibilmente lasciando intravedere dell’ “extra storico” o dell’incompiuto.
Hirsch, Alfred
Der Dialog der Sprachen.
Studien zum Sprach
und Übersetzungsdenken
Walter Benjamins
und Jacques Derridas
W. Fink, ottobre 1994
pp. 320, DM 78
Habermas, Jürgen
Chiarimenti all’etica
del discorso
trad. di Enzo Tota
Laterza, novembre 1994
pp. 300, L. 28.000
Il filosofo del “discorso” per eccellenza torna a ribadire che una morale
davvero universale può nascere solo
da una partecipazione e da un confronto alla pari di tutta l’umanità.
90
Hobbes, Thomas
L’arte della retorica
a cura di Rosaria Carotenuto
Liguori, novembre 1994
pp. 112, L. 18.000
Traduzione della Retorica di Aristotele.
Hofmeister, H. (a cura di)
Braucht Wissen Glauben?
Erste Heidelberger
Religionsphilosophische Disputation
Neukirchener, novembre 1994
pp. 150, DM 39,80
Holderegger, Adrian
Grundlagen der Moral
und der Anspruch des Lebens.
Themen der Lebensethik
Herder, novembre 1994
pp. 290, DM 54
Hollis, Martin
Introduzione alla filosofia
Mulino, novembre 1994
pp. 216, L. 20.000
Un percorso nella filosofia attraverso
i problemi, gli interrogativi, gli oggetti della riflessione filosofica e le
intersezioni disciplinari.
Holz, Hans Heinz
China im Kulturvergleich.
Ein Beitrag zur philosophischen
Komparatistik
Dinter, novembre 1994
pp. 121, DM 29,80
Honnefelder, L. - Kieger, G.
Philosophisches Propädeutikum.
vol. I: Sprache und Erkenntnis
UTB, ottobre 1994
pp. 280, DM 29,80
Il primo volume di questo compendio
della filosofia in quattro volumi contiene un’introduzione sul rapporto tra
filosofia e teologia, logica, teoria della conoscenza, filosofia del linguaggio e teoria della scienza. Questo libro di testo è indicato per il curriculum costituito da quattro semestri,
in particolare per quello previsto per
lo studio della teologia cattolica.
Horkheimer, Max
Crépuscule: notes en Allemagne
Payot, novembre 1994
pp. 192, F 160
Si tratta di un’opera pubblicata nel
1934, sotto lo pseudonimo di Heinrich Regius, a causa della censura nazista. Horkheimer denuncia le operazioni di trasfigurazione della metafisica e non cessa di collegare i
piccoli fatti della vita contemporanea al grande fatto indelebile della
divisione sociale.
Hühn, Lore
Fichte und Schelling oder:
Über die Grenze menschlichen
Wissens
J.B. Metzler, ottobre 1994
pp. 200, DM 48
Ecco la tesi di Lore Hühn: la perdita
di forza del soggetto nel tardo idealismo deriva, anche se questo può sembrare paradossale, dalla sua precedente condizione di autonomia.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Iber, Christian
Das Andere der Vernunft
als ihr Prinzip. Grundzüge
der philosophischen Entwicklung
Schellings mit einem Ausblick
auf die nachidealistischen
Philosophiekonzeptionen
Heideggers und Adornos
de Gruyter, ottobre 1994
pp. 408, DM 228
Questa tesi di abilitazione fornisce
una presentazione critica generale
della filosofia di Schelling che, insieme alle teorie di Hegel e Fichte, caratterizzò il periodo dell’idealismo tedesco (fino al 1850 circa).
Imhof, A. - Weinknecht R.
(a cura di)
Erfüllt leben
in Gelassenheit sterben.
Geschichte und Gegenwart
Duncker & Humblot, ottobre 1994
pp. 507, DM 148
Il volume raccoglie i contributi presentati nel corso del simposio interdisciplinare tenutosi nel novembre del ’93 presso la Libera Università di Berlino.
Irigaray, Luce
La democrazia comincia a due
Bollati Borin., novembre 1994
pp. 176, L. 20.000
La parola democrazia si usa molto
oggi. Ma spesso è diventata uno slogan che non significa granché. Per
dare un futuro alla democrazia, si
deve rifondarla fino in fondo e, per
prima cosa, nella relazione fra l’uomo e la donna dove l’identità naturale
non ha ancora raggiunto uno status
civile. Cambiare le relazioni fra l’uomo e la donna nella coppia, nella
genealogia, in tutti gli incontri privati
e pubblici sarebbe un cammino per
rendere più democratiche le famiglie
culturali, religiose, politiche. La democrazia che incomincia a due si
propone di iniziare la strada, e di
scoprire un nuovo alfabeto e una nuova grammatica politici.
Jabri, Mohamed Abed
Introduction à la critique
de la raison arabe
La Découverte, ottobre 1994
pp. 180, F 120
In questa fine di secolo, il pensiero
arabo sembra dilaniato tra un pensiero fondamentalista che vuole ricostruire il presente sul modello di un
passato idealizzato e un modernismo
importato che rifiuta la tradizione
senza essersene liberato attraverso una
vera compresione. Questo libro esplora una via d’accesso filosofico originale alla modernità araba.
Joisten, Karen
Die Überwindung
der Anthropozentrizität
durch Friedrich Nietzsche
Königshausen & Neumann
ottobre 1994
pp. 330, DM 68
Si tratta della tesi di laurea, tenuta
da Joisten presso l’Università di
Magonza nel ’93.
Jolibert, Bernard
Platon: l’ascèse éducative
et l’intérêt de l’âme
L’Harmattan, ottobre 1994
pp. 117, F 75
Tra l’accettazione servile dell’opinione e la fuga verso qualche ideale
disincarnato, Platone propone un
modello educativo di saggezza fatto
di equilibrio e di armonia in se stessi,
con gli altri e con il mondo.
Kolmer, Petra - Korten, Harald
Konhardt Klaus
Schönrich Gerhard
Wildfeuer, Armin G.
Zwenger, Thomas (a cura di)
Grenzbestimmungen der Vernunft.
Philosophische Beiträge
zur Rationalitätsdebatte
Karl Alber, novembre 1994
pp. 460, DM 96
König, Josef
Der logische Unterschied
theoretischer und praktischer
Sätze und seine philosophische
Bedeutung
a cura di Fr. Kümmel
Karl Alber, novembre 1994
pp. 544, DM 128
Jouary, Jean-Paul
L’Art de prendre son temps:
essai de philosophie politique
Temps des cerises, ottobre 1994
pp. 167, F 90
In questa serie di sei conferenze,
tenute nel 1993 presso il Collège
international de philosophie, l’autore propone alcuni percorsi di riflessione sui diversi modi di negare il tempo nel pensiero politico, a
partire dall’Antichità.
König, Joseph
Kleine Schriften
a cura di G. Dahms
Karl Alber, ottobre 1994
pp. 248, DM 64
Kant, Emmanuel
Remarques touchant
les ‘Observations sur le sentiment
du beau et du sublime’
trad. dal tedesco di B. Geonget
Vrin, ottobre 1994
pp. 274, F 130
Il volume costituisce la prima traduzione francese integrale delle indicazioni monoscritte apportate da
Kant sul suo esemplare delle Osservazioni. Il testo è disorientante per i
lettori abituati all’analisi strutturata
della sua filosofia. Il testo comunque riporta molte precisazioni sulla
terminologia di Kant. Il suo stile
pertinente e ludico lo rende accessibile ad un vasto pubblico.
Kotzmann, E. (a cura di)
Gotthard Günther - Technik, Logik,
Technologie.
Klagenfurter Symposium
in ‘Transklassische Logik’
im November 1993
in St. Georgen/Längsee
bei Klagenfurt
Profil, novembre 1994
DM 44,80
Krämer, Felix
Der Zusammenhang der Wirklichkeit.
Problem und Verbindlichkeitsgrund
philosophischer Theorien.
Eine Untersuchung
in Auseinandersetzung mit Fichte
und Whitehead
Ed. Rodopi, novembre 1994
FOL 90
Kant, Immanuel
Prolegomeni ad ogni metafisica
futura
a cura di M. Roncoroni
Rusconi, novembre 1994
pp. 450, L. 16.000
Un riassunto che Kant stesso fa dei
punti fondamentali della sua nuova
filosofia, esposta nella più complicata Critica della ragion pura.
Kulenkampff, Jens
Kants Logik des ästhetischen
Urteils
Klostermann, ottobre 1994
pp. 252, DM 88
Nel volume, viene illustrato ciò che
ha motivato Kant ad una “critica del
gusto con intenzione trascendentale”
e come egli, sotto forma di un’analisi
rivelatrice, ricerchi una spiegazione
al fatto che i giudizi puramente estetici si possano presentare con una
pretesa validità generale, anche se
non la possono mantenere. Si tratta
della seconda edizione ampliata di
questo volume.
Keller, Albert
Philosophie der Freizeit
Vlg. Styria, ottobre 1994
pp. 320, ÖS 398
Knodt, Reinhard
Ästhetische Korrespondenzen.
Denken im technischen Raum
Reclam, ottobre 1994
pp. 164, DM 7
Lagrée, Jaqueline
Juste Lipse et la restauration
du stoïcisme: étude et traduction
des traités stoïciens
Vrin, ottobre 1994
pp. 268, F 134
E’ impossibile capire Cartesio,
Leibniz o Spinoza senza conoscere
Lipsio (1547-1606), l’ultimo dei
grandi umanisti cristiani. Editore di
Tacito e di Seneca, egli ispirò la
politica moderna, resuscitò la fisica
degli stoici per opporla a quella di
Aristotele. Il volume analizza la sua
vita e il suo pensiero.
Koecke, Christian
Zeit des Ressentiments,
Zeit der Erlösung. Nietzsches
Typologie temporaler Interpretation
und ihre Aufhebung in der Zeit
de Gruyter, novembre 1994
pp. 242, DM 128
Questo studio, alla base del quale vi è
la tesi di laurea di Koecke, tenuta
presso l’Università di Bonn nel ’92,
presenta le posizioni rispetto al tempo ed alle interpretazioni delle opere
di Nietzsche.
91
Lameer, Joep
al Farabi and Aristotelian
Syllogistics. Greek Theory
and Islamic Practice
Brill, ottobre 1994
FOL 130
Le Moigne, Jean-Louis
Le Constructivisme
vol. I: Des Fondaments
ESF édituer, novembre 1994
pp. 252, F 168
In reazione al positivismo del secolo
scorso ed in seguito ai lavori di J.
Piaget, il costruttivismo si pone come
una nuova alternativa di fronte alla
complessità del mondo attuale ed ai
problemi epistemologici creati dallo
sviluppo delle scienze dette esatte.
Le Ru, Véronique
D’Alembert philosophe
Vrin, ottobre 1994
pp. 312, F 198
Si può considerare D’Alembert un
filosofo? Quale fu il suo ruolo all’interno del piccolo gruppo fedele a
Voltaire? Quali rapporti si crearono
tra Diderot e D’Alembert? Queste
sono le domande poste dall’autrice.
Lesch, W. - Bondolfi, A.
(a cura di)
Theologische Ethik im Diskurs.
Eine Einführung
UTB, ottobre 1994
pp. 320, DM 34,80
I contributi raccolti in questo volume
documentano la ricezione dell’etica
del discorso nella teologia fondamentale , nella pedagogia della religione,
nella teologia morale e nell’etica sociale. I saggi qui riuniti indagano anche rispetto alle prospettive interculturali della costituzione dell’etica e al
carattere provocatorio o di sfida insito nell’etica applicata.
Leuze, Reinhard
Christentum und Islam
J.C.B. Mohr, ottobre 1994
pp. 380, DM 80
Questi gli argomenti trattati nel volume: Cristianesimo ed Islamismo, un
excursus storico; Mohammed, un profeta?; l’Islamismo, una religione della rivelazione?; la valutazione cristiana del Corano; cristiologia cristiana
ed islamica; l’idea di Dio; Dio ed il
male, predestinazione e Provvidenza; la visione dell’uomo: l’antropologia cristiana ed islamica; l’etica cristiana ed islamica.
Levinas, Emmanuel
L’Intrigue de l’infini
a cura di Marie-Anne Lescourret
Flammarion, novembre 1994
F 48
Il pensiero dell’infinito si arricchisce in Levinas di determinazioni estetiche, linguistiche e politiche. I concetti inediti vengono avvicinati dal
filosofo: la stanchezza, il viso, la
traccia. Tutti gli argomenti vengono
rimodellati attraverso un altruismo
concettuale.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Lombard, Jean
Aristote: politique et éducation
L’Harmattan, ottobre 1994
pp. 151, F 75
La riflessione pedagogica di Aristotele è di sovente considerata come
una testimonianza sulla scuola ateniese e non come un contributo alla
problematica dell’azione educativa.
In realtà Aristotele trasforma l’educazione in un capitolo della politica.
Losurdo, Domenico
La Seconda Repubblica.
Liberismo, federalismo,
postfascismo
Bollati Borin., novembre 1994
pp. 224, L. 20.000
Liberismo, federalismo e postfascismo si fondono in una miscela esplosiva che ha già segnato il destino della
Iugoslavia e che ora minaccia anche
l’Italia, dove gran parte della sinistra,
incapace di opporre valida resistenza
all’ondata di revisionismo storico,
sembra per di più riecheggiare, in
modo subalterno, le parole d’ordine
“federaliste” e “antistataliste” dell’ideologia dominante.
Lübbe, W.
Kausalität und Zurechnung.
Über Verantwortung in komplexen
kulturellen Prozessen
de Gruyter, novembre 1994
pp. 314, DM 58
Si tratta dei contributi presentati durante la seduta del Zentrum für Philosophie und Wissenschaftstheorie, tenutasi a Costanza nel marzo ’93. Vengono discussi i problemi legati alla
teoretica della causalità e delle azioni, ci si interroga sulla responsabilità
dei complessi processi storici.
Lukes, Steven - Rawls, John
MacKinnon, Catharine A.
Rorty, Richard
Lyotard,Jean-François
Heller, Agnes -Elster, Jon
I diritti umani.
Oxford Amnesty Lectures 1993
Garzanti, novembre 1994
pp. 280, L. 30.000
Lukes sostiene la necessità di un elenco breve e preciso di diritti umani,
Rawls riprende un aspetto che una
teoria della giustizia aveva lasciato in
secondo piano, per risolvere il problema dell’estensione dei diritti umani dalle società liberali alle società
tradizionali e gerarchiche. Per
MacKinnon e Rorty cercare un fondamento razionale per i diritti umani
è fuorviante e superfluo. Al centro
della riflessione di Lyotard sono invece il principio dialogico e il diritto
alla libertà d’espressione che ne deriva. Heller centra la sua analisi sugli
atroci crimini dei regimi totalitari e
sulla necessità di punire gli individui
che li hanno perpetrati. Elster mette
infine in relazione i diritti umani con
il problema della salvaguardia dei
diritti delle minoranze attraverso
meccanismi contromaggioritari.
Macherey, Pierre
Introduction a l’ ‘Ethique’ de Spinoza
PUF, ottobre 1994
pp. 240, F 128
Il volume propone le spiegazioni indispensabili alla lettura guidata della quinta parte dell’opera di Spinoza,
pubblicata nel 1677, dove sono esposti gli aspetti propriamente etici del
suo approccio. In appendice si trova
una tabella che permette di avere una
visione d’insieme delle cinque parti
dell’Etica.
conduttore di una storia più intima,
ricordo storico e letterario, spunto di
un futuro lavoro, o nuovo documento di un tema già svolto. Tutta la
biblioteca rispecchia, in un certo
modo, l’opera molta e varia del Croce, dagli studi storici e letterari a
quelli filosofici ed etici.
Marx, Wolfgang
Bewußtseins-Welten.
Die Konkretion
der Reflexionsdynamik
Mohr, novembre 1994
pp. 484, DM 200
Le relazioni che gli esseri umani
hanno con la reltà, siano esse teoretiche, pratiche od estetiche, non sono
isolate tra di loro, nascono invece in
un rapporto di dipendenza reciproca
e di influsso. Marx analizza i fondamenti e le forme che sono importanti
per la comprensione delle strutture
specifiche della realtà frammentata
in settori particolari.
Magri, Tito
Hobbes
Laterza, novembre 1994
pp. 200, L. 25.000
Il pensiero politico di Hobbes. La sua
riflessione, concentrata soprattutto sul
tema dell’autorità e del potere assoluto del re, come unica via per sottrarsi
alla violenza di tutti contro tutti che
regna nello stato di natura.
Maler, Henri
Congédier l’utopie?
L’utopie selon Karl Marx
L’Harmattan, ottobre 1994
pp. 286, F 150
Il riferimento a Marx si imporrà finché, all’orizzonte della nostra storia,
resteranno irrisolti i problemi che
Marx si è posto ed i problemi che ci
pongono le barbarie della modernità.
E’ in questo spirito che l’autore ha
scelto di fare della critica marxiana
delle utopie il filo conduttore di una
critica dell’utopia marxiana.
Masi, Giuseppe
Lo spiritualismo egiziano antico.
Il pensiero religioso
egiziano classico
Clueb, novembre 1994
pp. 356, L. 40.000
La documentazione, sia filologica che
storica, sia filosofica che religiosa,
del fondamentale contributo dell’Egitto alla formazione della spiritualità
occidentale.
Mann, Christian
Wovon man schweigen muß.
Wittgenstein über die Grundlagen
von Logik und Mathematik
Turia und Kant, ottobre 1994
pp. 262, ÖS 298
Matteucci, Nicola (a cura di)
La cultura civile.
L’Italia e la formazione
della civiltà europea
UTET, dicembre 1994
pp. 368, L. 150.000
I diversi saggi si ispirano alle discipline più diverse: la filosofia, il diritto, il pensiero politico, la storiografia,
la scienza della politica o quella della
finanza pubblica... Questo è un volume di storia delle idee; e le idee non
sopportano compartimenti stagni.
Marolda, Paolo (a cura di)
Segno, comunicazione, azione
FrancoAngeli, novembre 1994
pp. 256, L. 35.000
Il problema del linguaggio è centrale
all’interno del pur vastissimo e intricato panorama della riflessione filosofica del Novecento. Anche se in
essa non si è imposto un punto di
approdo o lo stabilirsi di una salda
cornice comune di riferimento. Piuttosto l’apertura di un nuovo e amplissimo orizzonte problematico, con alcune aree tematiche maggiormente
aggreganti, e alcune prospettive salienti. A queste ultime, viste attraverso i loro rappresentanti più significativi (Peirce, Dewey, Ricoeur, Derrida,
Deleuze, Bloch, Jankélevitch, Kohlberg), è dedicata la presente raccolta
di saggi, tesa ad offrire un’approfondita ricognizione ed uno stimolante
confronto di posizioni e percorsi tuttora di grande vitalità.
Mazel, Jacques
Socrate
Fayard, novembre 1994
F 170
Questa biografia si interessa soprattutto al giovane Socrate. Il filosofo
viene presentato non come un mutante miracoloso, ma come un soggetto
maturo che prende coscienza della
situazione ateniese.
McCarty, George E. (a cura di)
Dialectics and Decadence.
Echoes of Antiquity
in Marx and Nietzsche
Rowman & Littlefield, ottobre 1994
pp. 250, £ 20
Il volume analizza gli influssi della
filosofia e della letteratura greche sullo
sviluppo del pensiero sociale in Germania nel XIX secolo in generale e su
Marx e Nietzsche in particolare. Questo studio indaga sui modi in cui gli
ideali della Grecia classica, simili per
i due pensatori, li hanno portati a
reazioni simili di fronte all’avanzare
della modernità.
Marra, Dora Beth
La biblioteca di Benedetto Croce.
Le note autografe ai libri
Bibliopolis, dicembre 1994
pp. 320, L. 50.000
Da sottolineare la singolarità della
biblioteca raccolta da uno studioso
così eccezionale quale era Benedetto
Croce, perché gli fosse materia e strumento di lavoro; ogni volume, ogni
opuscolo era stato acquistato e conservato non tanto per la sua rarità, o
non solo per essa, ma perché filo
92
McGinn, Bernard
Die Mystik in Abendland
vol. I: Ursprünge
Herder, ottobre 1994
pp. 576, DM 128
Quest’opera, concepita da McGinn
come un lavoro in quattro volumi,
fornisce la prova di come la pura
rappresentazione letteraria e scientifica di questo tema, la mistica in Occidente, non sia sufficiente. Lo sviluppo della mistica viene tratteggiato
anche considerando le idee religiose
e filosofiche e viene così sottratto al
buio della storia.
Mervaud, Christiane
Le Dictionaire philosophique
de Voltaire
Universitas, ottobre 1994
pp. 243, F 125
Il volume studia la storia del testo, ne
rivela la portata, analizza alcuni aspetti
della sua arte e mostra come il Dizionario filosofico sia un mezzo a cui
ricorrere contro i pensatori dei conformismi e delle ortodossie. Lo studio riprende anche i sette primi capitoli dell’introduzione all’edizione critica di quest’opera nelle Opere complete di Voltaire.
Michon, Cyrille
Nominalisme: la théorie
de la signification d’Occam
Vrin, ottobre 1994
pp. 524, F 299
L’etichetta nominalista è spesso stata
attribuita a dottrine molto diverse, a
partire dal XV secolo. Se Guglielmo
di Occam non ha inventato il nominalismo, ha però senz’altro meritato
questa etichetta. Il volume offre una
presentazione e discute gli argomenti
occamisti, considerati a parte e per
ciò che sono, ne valuta la portata per
la filosofia della spirito, la teoria semantica e l’ontologia.
Minazzi, Fabio
L’onesto mestiere del filosofare.
Studi sul pensiero di Giulio Preti
FrancoAngeli, novembre 1994
pp. 368, L. 44.000
Oltre ad analizzare alcuni dei momenti più significativi del pensiero di Preti,
il volume illustra le ragioni in virtù
delle quali il programma pretiano ha
rappresentato, soprattutto nel dibattito
italiano del secondo dopoguerra, un’interessante ma misconosciuta alternativa sul terreno del dibattito culturale e
civile. In questa prospettiva il volume
si chiude con la pubblicazione di un
breve ma decisivo inedito dal quale
riemerge tutta l’originalità della posizione di Preti e le ragioni profonde del
suo “isolamento” culturale, civile e filosofico dal quadro del dibattito italiano.
Misrahi, Ribert
La Problématique du sujet
aujourd’hui
Encre marin, ottobre 1994
pp. 272, F 160
Il testo è un’analisi critica della dottrine
del soggetto, da Kierkegaard a Ricooeur,
passando per Husserl, Heidegger, Buber, Block, Sartre e Levinas; una ouverture su di una dottrina del soggetto sia
esistenziale che riflessiva.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Mittelstaedt, P. (a cura di)
Gentechnologie. Ethik und
wissenschaftlicher Fortschritt
Bouvier, novembre 1994
pp. 100, DM 24
Nel corso del Forum Internazionale
tenutosi presso l’Università di Colonia è stato analizzato il tema della
ricerca scientifica dal punto di vista
dei criteri etici, delle aspettative e
delle pretese da parte della società.
Montaigne, Michel Eyquem de
Dizionario della saggezza
Newton Compton, novembre 1994
pp. 100, L. 1000
Le massime e gli aforismi contenuti
nel dizionario sono tratti dai “Saggi”,
il capolavoro dell’autore, e offrono al
lettore una sorta di guida al buon
vivere e al lieto morire.
Montanari, Bruno (a cura di)
Filosofia del diritto: identità
scientifica e didattica oggi
Giuffrè, novembre 1994
pp. 146, L. 18.000
Atti del seminario di studio svoltosi a
Catania nei giorni 8-10 maggio 1992.
Morin, Edgar
Il paradigma perduto.
Che cos’è la natura umana?
Feltrinelli, novembre 1994
pp. 224, L. 20.000
Il rapporto fra biologia e antropologia attraverso la teoria fondata sull’idea di auto-organizzazione e su
una logica della complessità che
smentisce l’immagine unidimensionale dell’homo sapiens.
Müller, Severin
Phänomenologie und philosophische
Theorie der Arbeit
vol. II: Rationalität - Welt
Vernunft
Karl Alber, novembre 1994
pp. 620, DM 118
Müller, Tilmann
Wahrheitsgeschehen und Kunst.
Zur seinsgeschichtlichen Bestimmung
des Kunstwerks bei Martin Heidegger
Scaneg, novembre 1994
pp. 167, DM 40
Narbert, Jean
L’Experience intérieure
de la liberté: et autres essais
de philosophie morale
PUF, ottobre 1994
pp. 480, F 199
Questa prima opera di J. Narbert
(1881-1960), ispirata dalla filosofia
morale di Kant e pubblicata nel 1924,
studia la causalità della coscienza e le
sue forme di indipendenza rispetto
alle condizioni in cui si è realizzata.
Nietzsche, Franziska
Der entmündigte Philosoph.
Briefe von Franziska Nietzsche
an Adalbert Oehler
aus den Jahren 1889-1897
a cura di G.U. Gabel
e C.H. Jagenberg
Gabel Vlg., ottobre 1994
pp. 128, DM 38
Nietzsche, Friedrich
Filosofare col martello
Mondadori, novembre 1994
pp. 180, L. 8.000
Raccolta di pensieri e aforismi su
religione e filosofia, su arte e letteratura, su Dio e diavolo, ecc.
giovane Bloch, Heidegger ed Adorno,
le cui opere lasciano intravedere affinità strutturali con il pensiero gnostico.
Pausch, Eberhard Martin
Wahrheit zwischen Erschloßenheit
und Verantwortung. Die Rezeption
und Transformation
der Wahrheitskonzeption
Martin Heideggers
in der Theologie Bultmanns
de Gruyter, novembre 1994
pp. 366, DM 178
Si tratta di una monografia sul concetto di verità filosofica in Heidegger
e sulla sua ricezione nella teologia di
Rudolf Bultmanns.
Nietzsche, Friedrich
La Naissance de la tragédie
Denoël, ottobre 1994
pp. 368, F 65
Per Nietzsche, la totalità dello sviluppo dell’arte è legata alla dualità dell’apollineo e del dionisiaco: da una
parte il mondo immaginario e ideale,
dall’altra la follia distruttrice. Si tratta della ristampa di questa traduzione
in francese dell’opera di Nietzsche.
Peschl, Markus F.
Repräsentation und Konstruktion.
Kognitions- und neuroinformatische
Konzepte als Grundlage
einer naturalisierten Epistemologie
und Wissenschaftstheorie
Vieweg, novembre 1994
pp. 328, DM 86
Come nasce il sapere, come viene
rappresentato il sapere, qual’è il substrato neuronale della rappresentazione del sapere, in quale rapporto
sono le strutture del sapere e le strutture dell’ambiente, come nascono i
significati... Il volume si interroga su
queste ed altre tematiche.
Nietzsche, Friedrich
Werke in drei Bänden
a cura di K. Schlechta
Hanser, ottobre 1994
pp. 4032, DM 198
Noti, Odilio
Kant - Publikum und Gelehrter.
Theologische Erinnerung
an einen abgebrochenen Diskurs
zum Theorie-Praxis-Problem
Univ.-Vlg., novembre 1994
pp. 256, SFR 42
Orth, E.W. - Pfafferott, G.
(a cura di)
Studien zur Philosophie
von Max Scheler
Karl Alber, novembre 1994
pp. 360, DM 96
Si tratta dei contributi all’Internationales Max-Scheler-Colloquim ‘Der
Mensch im Weltalter des Ausgleiches’, tenutosi presso l’Università di
Colonia nel ’93.
Pessina, Adriano
Introduzione a Bergson
Laterza, novembre 1994
pp. 200, L. 18.000
La complessa e ancora attuale riflessione di Bergson sui temi della libertà, sul rapporto mente-cervello, sul
problema della temporalità nel vissuto personale così come nelle scienze,
sulla domanda riguardante il rapporto tra la dimensione biologica e quella spirituale e religiosa della vita.
Pagès, Frédéric
Frühstück bei Sokrates.
Philosophie als Lebenskunst
Elster, ottobre 1994
pp. 192, DM 34
Pagès descrive lo stile di vita del
grande filosofo in aneddoti tesi, morbidi e vivi, per strapparla all’ambito
astratto e teoretico e riportarla in
quello terreno.
Philonenko, Alexis
Bergson ou De la philosophie
comme science rigoureuse
Cerf, ottobre 1994
pp. 400, F 170
IL volume esplora il percorso sperimentale di Bergson seguendo l’ordine
delle sue grandi opere. Lo studio si è
sviluppato seguendo la logica bergsoniana intesa come logica dei significati.
Panis, Daniel
Il y a le il y a:
l’énigme de Heidegger
Ousia, ottobre 1994
pp. 244, F 99
Il volume è incentrato su un aspetto
del pensiero di Hedegger che dovrebbe permettere di avere una visione,
non sull’enorme insieme della gigantesca impresa di Heidegger, ma sul
senso estremamente nuovo del suo
percorso. Pensare che ci sia il “c’è”, è
esattamente quello che chiamiamo il
senso dell’”essere”.
Pizzini, Rolando
La religione ribelle
Nuovi autori, novembre 1994
pp. 80. L. 16.000
Breve saggio a sfondo filosofico-religioso, con specifici riferimenti a Romano Guardini, filosofo-teologo dei
grandi temi religiosi.
Plotino
Les Ecrits de Plotin:
publiés dans l’ordre chronologique
vol. III: Traité 9: VI, 9
a cura di Pierre Hadot
Cerf, ottobre 1994
pp. 252, F 150
Questo scritto è interamente dedicato
all’approccio ed alla ricerca dell’Uno,
un approccio teologico senza dubbio,
ma soprattutto mistico. Si tratta della
seconda edizione corretta di questo
volume, arrivato ormai alla terza tiratura.
Pauen, Michael
Dithyrambiker des Untergangs.
Gnostizismus in Ästhetik
und Philosophie der Moderne
Akademie-Vlg., novembre 1994
pp. 440, DM 84
Il libro si occupa dello gnosticismo
nella filosofia moderna. Al centro del
lavoro si trovano Ludwig Klages, il
93
Poly, Henri
Le Renversement platonicien:
logos, épistémè, polis
Vrin, ottobre 1994
pp. 405, F 198
Questo testo non è né un commento di
tipo filologico, né un approccio di
stile idealista. Interrogando, leggendo ed interpretando i testi, si è voluto
produrre una semantica filosofica. Il
risultato, per la filosofia platonica è
che il platonismo appare come metafisica astorica ed eternizzante.
Popper, Karl
La lezione di questo secolo
Intervista di Giancarlo Bosetti
Marsilio, novembre 1994
pp. 128. L. 8.000
Nel libro intervista La lezione di questo secolo rilasciata a Giancarlo Bosetti, Karl Popper, il filosofo della
“società aperta” appena scomparso,
pone tra i temi cruciali del nostro
tempo l’educazione dei bambini, sottoposti alle suggestioni della violenza attraverso la TV e gli altri mezzi di
comunicazione. I bambini sono la
nostra ricchezza e il nostro futuro,
perciò Popper non esita a invocare la
censura per i programmi che ne minacciano una corretta formazione.
Censura è una parola che scandalizza, e tuttavia può far riflettere se la
propone il più prestigioso pensatore
liberale dei nostri tempi.
Popper, Karl R.
Vermutungen und Widerlegungen.
Das Wachstum
der wissenschaftlichen
Erkenntnis
parte I: Vermutungen
Mohr, novembre 1994
pp. 368, DM 49
L’edizione tedesca della prima parte di Conjectures and Refutations
contiene diverse modifiche dell’autore, rispetto all’edizione inglese.
La seconda parte, che includerà
anche l’indice, verrà pubblicata tra
uno o due anni.
Prechtl, P. - Burkard, Fr. P.
(a cura di)
Metzler Philosophie Lexikon.
Begriffe und Definitionen
Metzler, ottobre 1994
pp. 480, DM 58
Il volume contiene 3000 concetti e
definizioni della filosofia occidentale, indiana e cinese. Fornisce informazioni concise sulla storia dei
concetti e delle voci riportati, indica i testi fondamentali e la letteratura secondaria.
Proust, Françoise
Point de passage
Kimé, ottobre 1994
pp. 160, F 120
Esistono dei punti di passaggio tra la
politica (giustizia), l’estetica (bellezza) e la filosofia (verità)? Ogni
passaggio è una scommessa, cioè
un’accettazione del rischio, la sola
possibilità per cogliere un’occasione. Questo saggio si propone di rendere accessibili delle piste in cui la
giustizia, la bellezza e la verità potrebbero incrociarsi.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Quillien, Philippe-Jean
Dictionnaire politique
de René Descartes
Universit. de Lille, novembre 1994
pp. 261, F 140
I testi di Cartesio sulla politica sono
numerosi, ricchi e spesso ignorati, perché dispersi in tutta l’opera e nell’abbondante corrispondenza. Quest’opera li riunisce in un dizionario, comprendente 170 voci. Due studi ricordano il contesto storico ed evidenziano
l’attualità della politica cartesiana.
Rao, B. Nahari
A Semiotic Reconstruction
of Ryle’s Critique
of Cartesianism
de Gruyter, ottobre 1994
pp. 165, DM 120
Si tratta di un’analisi critica della
teoria del sapere scientifico proposta e diffusa dal filosofo francese,
scienziato e matematico Cartesio
(1595-1650).
Rapp, Friedrich
Die Dynamik der modernen Welt.
Eine Einführung
in die Technikphilosophie
Junius, ottobre 1994
pp. 200, DM 29,80
Rath, Matthias
Der Psychologismusstreit
in der deutschen Philosophie
Karl Alber, ottobre 1994
pp. 240, DM 74
Richmond, Sheldon
Aesthetic Criteria.
Gombrich and the Philosophies
of Science of Popper and Polanyi
Ed. Rodopi, novembre 1994
pp. 152, FOL 45
Anche se Gombrich, per ciò che riguarda l’arte e gli argomenti ad essa
collegati, è un seguace della filosofia
razionalista di Karl Popper, nell’estetica egli segue le idee della filosofia
della scienza irrazionale proposte da
M. Polanyi.
Ricken, Friedo
Antike Skeptiker
C.H. Beck, novembre 1994
pp. 160, DM 22
Attraverso un’analisi precisa dei testi, il volume elabora i diversi volti
dello scetticismo antico e lo interpreta come una posizione di rassegnazione nei confronti della vita, come
una terapia delle malattie dell’intelletto e come un contributo, che rimane insuperato, alla discussione teoretica intorno alla conoscenza.
Ricoeur, Paul
Persona, comunità e istituzioni.
Dialettica tra giustizia e amore
Ed. Cult. d. pace, novembre 1994
pp. 176, L. 20.000
Persona, comunità e istituzioni è
un’antologia di testi di Paul Ricoeur
sulle tematiche dell’ethos della persona, delle esigenze della comunità,
dell’etica pubblica. L’attualità della
riflessione ricoeuriana emerge soprattutto nel confronto tra etica e politica
e nella riaffermazione della confluenza tra i due ambiti.
Robinet, André
Dom Deschamps: le maître
des maîtres du soupçon
Vrin, ottobre 1994
pp. 338, F 225
Il potere civile ha costretto Deschamps (1716-1774) a tacere. Rousseau,
Diderot, Voltaire, buttatisi a sinistra,
hanno soffocato l’opera. Hegel ci insegna a leggere questi scritti acidi:
disappropriazione più radicale di quella
che si trova in Marx, crepuscolo dei
valori... Per l’eguaglianza anarcoide,
contro il mio ed il tuo, quando il mio
libro avrà avuto il suo effetto, esige
Deschamps, che lo si bruci a sua volta.
Safranski, Rüdiger
Ein Meister aus Deutschland.
Heidegger und seine Zeit
Hanser, ottobre 1994
pp. 538, DM 58
Questo volume è un capolavoro stilistico che, attraverso l’arte del raccontare, seduce e porta al filosofare.
Si tratta di uno studio esemplare sul
rapporto tra ciò che è pensabile e ciò
che è vivibile in questo secolo pericoloso e sulla capacità di seduzione
del potere nei confronti della mente
e dello spirito.
Schiefenhövel, W. (a cura di)
Der Mensch in seiner Welt.
Anthropologie heute
Trias, ottobre 1994
3 voll. pp. 700, DM 89
Questo libro ha la sua origine nel
corso radiofonico “L’uomo, antropologia oggi”. Il primo volume tratta
questi argomenti: “Dalla scimmia a
semi-dio. Il percorso dell’uomo per
allontanarsi dalla natura”; il volume
secondo: “Tra natura e cultura. L’uomo ed i suoi rapporti”; il terzo
volume:”I mondi creati e pensati.
L’uomo e le sue idee”.
Römelt, Josef
Anthropozentrische Aporie
und christliches Gewissen
Herder, novembre 1994
pp. 144, DM 32
Roth, Gerhard
Das Gehirn und seine Wirklichkeit.
Kognitive Neurologie
und ihre philosophischen
Konsequenzen
Suhrkamp, ottobre 1994
pp. 320, DM 48
In questo volume vengono presentate
le più recenti conoscenze sui fondamenti biologici, evolutivo-biologici
e neuro-biologici della percezione e
delle prestazioni conoscitive, della
coscienza, dello spirito e della mente.
Schlanger, Jacques
Gestes de philosophes
Aubier, novembre 1994
pp. 176, F 100
Partendo da un’analisi dell’utilizzo
da parte dei filosofi della loro persona
all’interno della loro opera, il volume
definisce i tre tipi di uso di sé in
filosofia che manifestano il modo di
agire e di reagire, i toni, gli stili, le
posture, i comportamenti, i modi
dell’attività filosofica.
Rousseau, Jean-Jacques
Lettere sulla botanica
Guerini, novembre 1994
pp. 160, L. 26.000
Nel pensiero e nella vita del filosofo
ginevrino, la botanica occupa un posto di rilievo. Nello studio delle piante egli cercò suggestioni per la soluzione di alcune questioni filosofiche:
la capacità della ragione intuitiva, il
legame tra conoscenza immediata e
morale, l’ordine dell’universo, l’esistenza di Dio.
Schlechta, Karl
Nietzsche-Index zu den Werken
in drei Bänden
Hanser, ottobre 1994
pp. 520, DM 98
Schmitz, Hermann
Selbstdarstellung als Philosophie.
Metamorphosen der entfremdeten
Subjektivität
Bouvier, novembre 1994
pp. 450, DM 120
L’estraniamento della soggettività a
cominciare da Fichte viene compensato, in modo diverso, da Stirner,
Nietzsche e Wittgenstein e preparato da Schopenhauer. Una nuova teoria della soggettività supera l’estraniamento.
Rozenberg, Jacques J.
Philosophie et folie:
fondaments psychopathologiques
de la métaphysique
L’Harmattan, novembre 1994
pp. 239, F 130
La metafisica designa la scienza dell’essere in quanto essere, come affermava Aristotele, oppure rivela un’esperienza delirante, come mostrava Kant?
Il volume rintraccia la storia di questo
problema e tenta di sviluppare un
modello operativo capace di integrare
i dati concettuali appartenenti ad ambiti molto diversi come l’ottica, la biologia e la psicoanalisi...
Schnapp, Jan
Freiheit, Moral und Recht.
Grundzüge einer Philosophie
des Rechts
Mohr, novembre 1994
pp. 310, DM 70
Schapp elabora le questioni fondamentali dell’etica e della filosofia del
diritto. Egli interpreta l’etica sulla
base del modello di Stato e di leggi
elaborato da Platone. I bisogni degli
uomini devono essere soddisfatti attraverso la ragione. Alle mancanze
della ragione deve sopperire la costrizione attraverso la legge.
Russell, Bertrand
Dio e la Religione
a cura di Al Seckel
Newton Compton, novembre 1994
pp. 320, L. 3.900
Il pensiero del filosofo inglese sulla religione, il libero pensiero e il
razionalismo. La sua critica nei
confronti della fede nell’esistenza
di Dio e in generale di ogni forma
di dogmatismo.
94
Schönberger, Rolf
Relation als Vergleich.
Die Realationstheorie
des Johannes Buridan im Kontext
seines Denkens und der Scholastik
Brill, ottobre 1994
FOL 190
Si tratta della tesi di abilitazione tenuta da Schönberger presso l’Università di Monaco nel ’90.
Schramm, Michael
Der Geldwert der Schöpfung.
Theologie - Ökologie - Ökonomie
Schöningh, ottobre 1994
pp. 302, DM 68
Schulz, Peter
Edith Steins Theorie der Person.
Von der Bewußtseinsphilosophie
zur Geistmetaphysik
Karl Alber, ottobre 1994
pp. 280, DM 86
Schulz, Walter
Der gebrochene Weltbezug.
Aufsätze zur Geschichte
der Philosophie und der Analyse
der Gegenwart
G. Neske, ottobre 1994
pp. 288, DM 88
Schulze, St. - Binder, J.
Kants Verteidigung der Metaphysik.
Eine Untersuchung
zur Problemgeschichte
des Opus postumum
Tectum-Vlg., novembre 1994
pp. 248, DM 39,80
Si tratta della tesi di laurea, tenuta a
Monaco nel 1994.
Schumacher, Ralph
John Stuart Mill
Campus, ottobre 1994
pp. 150, DM 24,80
Accanto agli scritti di John Stuart Mill
sul liberalismo politico ed economico,
sono importanti soprattutto i suoi lavori sulla filosofia teoretica e pratica,
che sono al centro di questa introduzione.
Schweidler, Walter
Geistesmacht und Menschenrecht.
Der Universalanspruch
der Menschenrechte und das Problem
der Ersten Philosophie
Karl Alber, novembre 1994
pp. 600, DM 158
Scilironi, Carlo
In cammino verso l’uomo.
Saggio di antropologia filosofica
San Paolo, novembre 1994
pp. 166, L. 18.000
Che cosa significhi pensare e agire,
dove l’audacia della libertà di pensiero si coniuga effettivamente col coraggio dell’azione liberatrice.
Seidel, Helmut
Spinoza zur Einführung
Junius, novembre 1994
pp. 180, DM 24,80
Seneca, Lucio Anneo
Breviario
a cura di Giovanni Reale
Rusconi, novembre 1994
pp. 350, L. 16.000
NOVITÀ IN LIBRERIA
Da tutti i dialoghi e i trattati sono stati
estratti, rifatti e tradotti i brani e gli
aforismi più significativi ordinandoli
in 35 temi, in modo da renderli più
accessibili al pubblico.
Seneca, Lucio Anneo
Tutti gli scritti
a cura di Giovanni Reale
Rusconi, novembre 1994
pp. 1500, L. 70.000
L’opera di Seneca presentata in un
solo volume contenente tutti gli scritti in prosa. I dieci dialoghi tradotti da
Aldo Marastoni, e i quattro trattati
tradotti da Monica Vialli.
Sesto Empirico
Outlines of Scepticism
a cura di Julia Annes et al.
Cambridge UP, novembre 1994
£ 11
Gli Outlines of Scepticism del filosofo greco Sesto Empirico sono un documento dello scetticismo antico, una
delle fonti più esaustive riguardo alle
filosofie ellenistiche. Si tratta di una
traduzione in inglese delle Outlines
of Scepticism, con un’introduzione e
delle note.
Seuses, Heinrich
Philosophia spiritualis.
Quelle, Konzept, Formen
und Rezeption
a cura di R. Bumrich e Ph. Kaiser
Reichert, novembre 1994
pp. 320, DM 110
Sieg, Ulrich
Aufstieg und Niedergang
des Marburger Neukantismus.
Die Geschichte einer
philosophischen Schulgemeinschaft
Königshausen & Neumann
novembre 1994
pp. 582, DM 98
Siegler, Hans Georg
Der heimatlose Arthur Schopenhauer.
Jugendjahre zwischen Danzig
Hamburg, Weimar
Droste, novembre 1994
pp. 300, DM 39,80
Sini, Carlo
Scrivere in silenzio.
Wittgenstein e il problema
del linguaggio
Egea, novembre 1994
pp. 120, L. 60.000
Resoconto di un ciclo di lezioni sulla
concezione di Wittgenstein che afferma che le proposizioni filosofiche
sono illustrazioni. Il resoconto dunque si presenta con una serie di immagini, percorsi topologici, dove scrittura alfabetica, tracce e tratti, immagini e acquarelli si intrecciano e si
integrano.
Slings, Simon R.
Plato’s Apology of Socrates.
A Literary and Philosophical
Study with a Running Commentary.
Edited and Completed
from the Papers of
the Late E. de Strycker
Brill, ottobre 1994
pp. 280, FOL 180
Spierling, Volker
Arthur Schopenhauer.
Die Philosophie als Kunst
und Erkenntnis. Die Biographie
eines anhaltend aktuellen Weltbilds
Haffmans Vlg., ottobre 1994
pp. 256, CHF 48
Il commento prende in considerazione il testo capitolo dopo capitolo esaminando in questo modo le posizioni
centrali della filosofia di Hume.
Strohmeyer, Ingeborg
Philosophische Gespräche.
Leibniz und Kant
über das Individuenproblem
Königshausen & Neumann
novembre 1994
pp. 192, DM 38
Stadler, Christian Maria
Transzendentale Deduktion
zwischen Theorie un Praxis.
Vorüberlegungen zu einer
Staatstheorie nach Kant
Junghans, novembre 1994
pp. 160, DM 35
Suhr, Martin
John Dewey zur Einführung
Junius, novembre 1994
pp. 180, DM 24,80
Stanguennec, André
Etudes post-kantiennes
vol. II: Raison analytique
et raison dialectique
dans la pensée post-kantienne
Age d’homme, novembre 1994
pp. 181, F 140
Si tratta di uno studio sulla concettualizzazione della materia, della vita e
dello spirito in Kant, Hegel, Fichte,
Schelling e nei romantici tedeschi.
Szlezynger, Jehuda
Zur Philosophie der Psychologie.
Ein Versuch über die Wesenslogik
Bouvier, ottobre 1994
pp. 228, DM 58
Che cosa accade quando la filosofia e
la psicologia, liberate dalla loro posizione di reciproca estraneità, vengono poste in un rapporto di scambio?
Taranto, Domenico
Pirronismo ed assolutismo
nella Francia del ‘600.
Studi sul pensiero politico
dello scetticismo da Montaigne
a Bayle (1580-1697)
FrancoAngeli, novembre 1994
pp. 208, L. 30.000
Snodandosi lungo il percorso che va
dagli Essais di Montaigne al Dictionnaire di Bayle, il volume ricostruisce la teoria politica di alcuni
pensatori francesi dubbiosi verso
antiche tradizioni e strategie di fondazione del potere. Il risultato di
questo processo consiste nella rifondazione di una teoria dell’ordine e,
conseguentemente, dell’obbedienza,
svincolata da ogni garanzia di tipo
metafisico e, comunque, da ogni carattere di naturale oggettività.
Stegmaier, Werner
Nietzsches ‘Genealogie der Moral’
Wiss. Buchgess., ottobre 1994
pp. 260, DM 49,80
Quest’interpretazione del discusso
scritto di Nietzsche La genealogia
della morale lo colloca all’interno del
contesto generale delle opere di Nietzsche, delinea l’etica che prepara questo testo e delinea i sui principali tratti
filosofici.
Stein, Edith
La vita come totalità.
Scritti sull’educazione religiosa
Città Nuova, dicembre 1994
pp. 240, L. 28.000
Il volume raccoglie diciassette saggi,
alcuni inediti, risalenti agli anni 19261938. Dopo aver parlato dei fondamenti teorici dell’insegnamento, offre una panoramica sugli scopi e i
metodi della psicologia e il suo significato per la pedagogia.
Taviani, Elena
L’apparenza da salvare.
Saggio su Th. W. Adorno
Guerini, novembre 1994
pp. 193, L. 28.000
Saggio sulla natura del pensiero adorniano: la dialettica negativa, la provocazione linguistica, ecc.
Steinmetz, Rudy
Les Styles de Derrida
De Boeck-Wesmael, ottobre 1994
pp. 249, F 175
Interrogando il presupposto secondo
il quale la verità è interiore ed esteriore ai suoi modi di espressione, l’opera
di Jacques Derrida intende portare
alla luce l’impensato della metafisica
tradizionale, vuole far sapere che il
senso saprebbe esistere al momento
della sua messa in opera attraverso e
dentro il linguaggio.
Taylor, Charles
Quellen des Selbst.
Die Entstehung der neuzeitlichen
Identität
Suhrkamp, ottobre 1994
pp. 880, DM 160
E’ possibile farsi un’idea della situazione precaria dell’io moderno solamente se le considerazioni di tipo
sistematico e storico si compenetrano
nel corso dell’analisi. Questa unione
e cooperazione dell’approccio sistematico e storico casratterizza il libro
di Charles Taylor sullo sviluppo dell’identità moderna.
Stietencron, H. - Rüpke, J.
(a cura di)
Töten im Krieg
Karl Alber, ottobre 1994
pp. 460, DM 124
Streminger, Gerhard
David Hume: Eine Untersuchung
über den menschlichen Verstand.
Ein einführender Kommentar
UTB, ottobre 1994
pp. 220, DM 22,80
Tchouchang-Tseu
Le Rêve du papillon: oeuvres
trad. dal cinese di J.J. Lafitte
Albin Michel, ottobre 1994
pp. 339, F 120
95
E’ Tchouchang-Tseu che sogna di
essere una farfalla o è la farfalla che
sogna di essere Tchouchang-Tseu?
Tebartz-van Eist, Anne
Ästhetik der Metapher.
Zum Streit zwischen Philosophie
und Rhetorik bei Friedrich Nietzsche
Karl Alber, novembre 1994
pp. 240, DM 74
Si tratta della tesi di laurea, tenuta
presso la Technische Hochschule di
Aquisgrana nel ’93.
Terrel, Jean
Hobbes: matérialisme
et politique
pref. di Bernard Bourgeois
Vrin, ottobre 1994
pp. 397, F 240
Mentre Aristotele ipotizza la città in
cui i cittadini siano governanti e governati, Hobbes pensa ad uno Stato,
dove uno comanda e l’altro obbedisce. Egli fornisce così dei principi
essenziali (l’autorità dello Stato fondata sulla rappresentazione, il riconoscimento agli individui di diritti
inalienabili) alla democrazia liberale,
rifiutando l’esigenza democratica: la
repubblica, creata dai cittadini, li priva dell’esercizio del potere politico.
Tietz, Udo
Sprache und Verstehen
in analytischer
und hermeneutischer Sicht
Akademie-Vlg., novembre 1994
pp. 250, DM 74
L’autore formula una teoria del contesto positiva, che risulta da una ricerca riguardo all’avvicinamento tra la
tradizione analitica e quella ermeneutica, tenendo presenti la loro storia, le loro premesse e le conseguenze
che ne derivano e che vengono messe
a fuoco nella problematica “lingua e
comprensione”.
Troude-Chastenet, Patrick
(a cura di)
Sur Jacques Ellul
L’Esprit du temps, ottobre 1994
pp. 320, F 150
J. Ellul ha pensato al Contratto naturale prima di Michel Serres, ha praticato la decodificazione semiologica
prima di Barthes e criticato la società
moderna prefigurando le principali
tesi di Jean Baudrillard. Egli ha aperto la strada a Ivan Illich, il quale,
insieme agli altri, gli rende qui omaggio in maniera vibrante.
Tsirintanis, Alexandre
Savoir où nous allons
Universit. de Nancy, novembre 1994
pp. 170, F 80
Il volume presenta il tentativo di elaborare una teoria cristiana del Tutto,
da parte di un giurista cretese, docente di diritto commerciale presso l’Università di Atene tra il 1942 ed il 1968.
Tudge, Colin
Wir Herren der Schöpfung.
Gen-Technik und Gen-Ethik
Spektrum, ottobre 1994
pp. 540, DM 58
NOVITÀ IN LIBRERIA
In quali casi non è possibile rinunciare
alla tecnica dei geni, dove può essere
utilizzata in modo sensato? Come è
possibile controllare l’utilizzo della
tecnica dei geni? E dove si può porre il
confine tra queste due tematiche. Queste sono alcune delle problematiche
affrontate in questo volume.
Valdman, Edouard
Les Juifs et l’argent:
pour une métaphysique
de l’argent
Galillée, ottobre 1994
pp. 95, F 92
Il denaro è la potenza rivoluzionaria
per eccellenza: è il segno indelebile
della sete di assoluto dell’uomo. Partendo da una lettura di Derrida,
Levinas, Nietzsche..., l’autore mostra come l’ebreo abbia conservato,
attraverso la simbologia del denaro,
lo spazio dell’alterità e della libertà.
Vattimo, Gianni
Oltre l’interpretazione.
Conseguenze dell’ermeneutica
Laterza, novembre 1994
pp. 200, L. 18.000
Saggio sul pensiero debole e sul suo
possibile sviluppo. Lezioni svolte
presso l’Università di Bologna.
Vaysse, Jean-Marie
Totalité et subjectivité:
Spinoza dans l’idéalisme allemand
Vrin, ottobre 1994
pp. 302, F 198
Il volume intende elucidare il funzionamento e la portata del pensiero di
Spinoza all’interno di quest’epoca della
metafisica, che è quella del suo compimento nel corso del processo di assoluzione della soggettività moderna.
Vigna, Carmelo (a cura di)
L’etica e il suo altro
Angeli, novembre 1994
pp. 272, L. 38.000
L’etica serve agli uomini come strumento per convivere anche senza condividere alcunché, ma bisogna fare in
modo che resti fermamente rapportata
al proprio “altro”, ossia che l’etica non
sia isolata astrattamente dalla contestualità che le compete: il rimando è
alle strutture fondative della verità e
alla realtà indiscutibile delle cose buone.
Virilio, Paul
Esthétique de la disparition
LGF, ottobre 1994
pp. 123, F 30
La visione dipende dalla luce e dall’immortalità delle cose, il reale è un
movimento continuo che si mostra in
piena luce. Qual’è dunque il reale che
noi percepiamo? Non sarà forse un’allucinazione permanente? Partendo dal
caso Howard Hughes, l’autore offre
la sua riflessione sulla velocità e l’illusione all’interno della società.
Waldenfels, Bernhard
Antwortregister
Suhrkamp, ottobre 1994
pp. 500, DM 78
L’atto del rispondere sembra un modo
di confrontarsi con ciò che ci è estraneo, senza neutralizzarlo attraverso
l’appropriazione. Anche le ricerche
contenute in questo volume, un Antwortregister (un elenco di risposte),
si muovono in questa direzione.
Virilio, Paul
Esthétique de la disparition
LGF, ottobre 1994
pp. 123, F 30
La visione dipende dalla luce e dall’immortalità delle cose, il reale è un
movimento continuo che si mostra in
piena luce. Qual’è dunque il reale che
noi percepiamo? Non sarà forse un’allucinazione permanente? Partendo dal
caso Howard Hughes, l’autore offre
la sua riflessione sulla velocità e l’illusione all’interno della società.
Wallner, Fritz
Constructive Realism.
Aspects of a New Epostemological
Movement
Braumüller, ottobre 1994
pp. 400, ÖS 160
Weil, Simone
Oeuvres complètes
vol. VI:Cahiers
a cura di A. Devaux e F.de Lussy
Gallimard, ottobre 1994
pp. 563, F 280
Questo primo volume dei quaderni
permetterà di leggere dei testi inediti
che chiarificano il periodo-cerniera
tra il periodo precedente la guerra e
l’esodo, e poi il trasferimento a Marsiglia. Si troverà anche una cronologia esaustiva delle opere e della vita
dell’autrice.
Voisine-Jechova, Hana
La Visualitation des choses
et la conception philosophique
du monde dans l’oeuvre de Comenius
Université de Paris-Sorbonne
ottobre 1994
pp. 216, F 145
Il volume documenta sull’apporto di
Comenio (1592-1670) allo sviluppo
della cultura europea. Quest’esiliato
insieme cosmopolita e profondamente ancorato alla tradizione ceca, pensatore religioso, pedagogo, linguista
e scrittore, rappresenta uno dei vertici
della cultura del suo paese.
Weissmahr, Béla
Philosophische Gotteslehre
Kohlhammer, ottobre 1994
pp. 174, DM 29,80
Si tratta della seconda edizione rivista di questo libro.
Voltaire
Dictionnaire philosophique
a cura di Béatrice Didier
Impr. nationale, ottobre 1994
F 250
Questo libro è un’opera di lotta, un’impresa che portò Voltaire ad umiliare
l’infamia, il fanatismo, la superstizione, l’intolleranza. L’edizione riprodotta è quella del 1769, la sesta
edizione, rivista ed ampliata dall’autore.
Welsch, Wolfgang
Vernunft. Die zeitgenössische
Vernunftkritik und das Konzept
der transversalen Vernunft
Suhrkamp, ottobre 1994
pp. 1000, DM 148
Questa ragione dei passaggi ci fornisce delle competenze specifiche per i
nostri giorni. Ci permette di passare
tra le diverse configurazioni di significato e le differenti dimensioni della
realtà e di considerare le esigenze
divergenti. Essa permette quindi
l’orientamento attraverso i fondamenti oscillanti ed una costituzione complessiva del disordine.
Vorlaufer, Johannes
Das Sein-Lassen als Grundvollzug
des Daseins. Eine Annährung
an Heideggers Begriff
der Gelassenheit
Passagen-Vlg., ottobre 1994
pp. 208, ÖS 280
Si tratta della prima edizione tedesca
di quest’opera.
Wilson, James Q.
Il senso morale
Comunità, novembre 1994
pp. 320, L. 40.000
Saggio sulla moralità e la natura umana.
96
Wischke, Mirko
Die Geburt der Ethik.
Schopenhauer - Nietzsche - Adorno
Akademie-Vlg., novembre 1994
pp. 240, DM 64
Con questo studio, l’analisi critica
del pensiero fondamentale dell’etica
di Schopenhauer, Nietzsche ed Adorno, che è impregnato di teoria, e
della sua messa in pratica sistematica rivela un contesto di motivazioni
sotterraneo, che era fino ad ora rimasto escluso dalle discussioni contemporanee.
Wittgenstein, Ludwig
Vermischte Bemerkungen.
Eine Auswahl aus dem Nachlaß
Suhrkamp, novembre 1994
pp. 160, DM 36
Wuthenow, Ralph-Rainer
Nietzsche als Leser. Drei Essays
Europ. Verlagsanst., novembre 1994
pp. 96, DM 26
Zurawska, Jolanta (a cura di)
Il Rinascimento in Polonia.
Atti dei Colloqui italo-polacchi
1989-1992
Bibliopolis, novembre 1994
pp. 457, L. 40.000
Parte di una collana che in base a
nuove indagini e nuove riflessioni
ristudia i “Rinascimenti” fuori d’Italia nei loro caratteri, nelle loro interrelazioni e nel rapporto col Rinascimento italiano, questi Atti (che riassumono quattro anni di collaborazione tra l’I.U.O. di Napoli e l’Università di Varsavia) sono dedicati alla specificità del Rinascimento polacco.
Zwierlein, E. (a cura di)
Verantwortung
in der Risikogesellschaft.
Ethische Herausforderung
in einer veränderten Welt
Schulz-Kirchener, novembre 1994
pp. 152, DM 26,80
(a cura di A.M.; trad. it. di L.T.)