INFORMAZIONE FILOSOFICA FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. 50%, Milano. Singola copia: lire 10.000 Copia arretrata: 15.000 Abbonamento a 5 fascicoli: Italia: 45.000, enti 50.000, studenti 35.000; Europa: 55.000, enti 60.000, studenti 45.000; Extra-Europa: 85.000, enti 90.000, studenti 75.000. Redazione, direzione, amministrazione: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714 fax (02) 55015245 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s. r. l. 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Tecnologie grafiche, Via della Pace 19, 20098 San Giuliano Milanese DISTRIBUZIONE Joo Distribuzione Via Argelati 35, 20143 Milano 1 2 2 EDITORIALE Appello per la giustizia scere che a fronteggiare il crimine organizzato oggi si trovano anzitutto, in ogni paese, i magistrati responsabili dell’iniziativa penale e delle inchieste. Poiché il potere criminale è riuscito in molti Paesi ad infiltrarsi in alcuni settori dell’amministrazione pubblica e dei pubblici poteri, questi magistrati non sono sottoposti soltanto al rischio dell’aggressione fisica, bensì anche alla quotidiana aggressione e delegittimazione da parte di poteri inquinati dal crimine organizzato. E’ di conseguenza indispensabile rinvigorire il principio fondamentale di ogni democrazia consistente nella separazione dei poteri e in particolare nel rispetto dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura. Già nel 1986, accogliendo le proposte del “Settimo Congresso per la prevenzione del crimine”, tenutosi a Milano, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la sua risoluzione 41/149, si pronunciò a favore dell’indipendenza della magistratura. Dopo un decennio che ha visto il crimine organizzato e la corruzione infiltrarsi nel potere economico e nel potere politico, ci si appella nuovamente alle Nazioni Unite - e in particolare alla Conferenza mondiale contro il crimine organizzato che tiene i suoi lavori in questi giorni proprio a Napoli - affinché elaborino nuove proposte istituzionali concrete per garantire l’indipendenza della giustizia e in particolare l’indipendenza dei magistrati inquirenti. I concetti propri della scienza del diritto come costituzione, legge, legalità, legittimità, diritto e giustizia sono un prodotto essenziale del razionalismo occidentale e il risultato dello sviluppo secolare del pensiero filosofico e giuridico. Essi culmimano in uno “Jus publicum Europaeum”, suprema creazione del pensiero che rischia oggi di essere detronizzato per la progressiva perdita della memoria della grande tradizione della filosofia occidentale. Fin dalle sue origini greche la civiltà occidentale ha avuto come suo principio ispiratore il valore della giustizia. Ordine, misura, armonia, fondamenti del cosmo dominato dalle leggi della natura, trovano riscontro nella giustizia, suprema regolatrice del mondo umano attraverso le leggi e l’organizzazione dello Stato. Nelle Eumenidi, Eschilo esorta a non recare mai offesa alla giustizia, ammonendo che «chi di correnti impure e di fango intorbida limpide acque, non troverà più da bere» e intima: «senza freno di leggi non lodare la vita, né senza libertà». Dalle origini stesse della civiltà il rispetto della giustizia è congiunto alla fruizione della libertà: soltanto se la giustizia è rispettata e tutelata è possibile a ciascuno attuare liberamente se stesso in una superiore armonia con gli altri, nella comunità ordinata da leggi. In molte parti del mondo oggi la giustizia è insidiata, e con essa la libertà. La comunità dei popoli e degli Stati da alcuni decenni eleva vibrato allarme poiché il crimine si è organizzato in tutti i continenti: la massa di denaro ottenuta attraverso l’attività criminale, dal traffico di stupefacenti a quello delle armi, alla tratta delle donne e dei bambini a scopo di prostituzione, fornisce al crimine organizzato uno strumento tanto pericoloso per la convivenza civile quanto l’esercizio della violenza. La giustizia si esercita grazie al concorso di tutti i cittadini e di tutti coloro che sono chiamati a svolgere la funzione di magistrato nel settore civile, amministrativo e penale, a livello giudicante e a livello inquirente. Si deve però ricono- Questo appello è stato presentato in occasione della “Conferenza mondiale interministeriale sul crimine organizzato internazionale delle Nazioni Unite” (Napoli, 21-23 novembre 1994). 2 SOMMARIO 5 RESOCONTO 5 Giovanni Gentile a cinquant’anni dalla scomparsa 49 NOTIZIARIO 53 CONVEGNI E SEMINARI 17 AUTORI E IDEE 53 Etica e retorica 17 Biografia di Levinas 54 Il segreto, la testimonianza, la responsabilità 19 Hegeliana 54 Poincaré, filosofo della scienza 20 Feyerabend autobiografico 56 Semiotica medievale: lo stato dell’arte 21 L’ “argomento terapeutico” dell’etica ellenistica 57 Eredità culturale del Rinascimento 22 Attualità del ‘Leviatano’ 58 Filosofia italiana, filosofia spagnola 23 Liberalismo politico e teoria del diritto 60 Goethe scienziato 24 La metafisica e la produzione del pensiero 61 Nietzsche e la cultura europea 25 Esistenza affermata, esistenza negata 62 I generi del pensiero rinascimentale 25 Marx e il sogno della storia 63 Bayle: sincerità di uno scettico 26 Il filosofo e la storia 64 Religione e scienza. 27 Arte tra finito e infinito 64 XXI Conferenza della Hume Society 28 Bolzano e la tradizione semantica 66 Bruno Bauer 29 Il male nella storia secondo Kant 67 Feuerbach e l’immagine del passato 67 Sul concetto di amicizia 31 TENDENZE E DIBATTITI 68 Convegno mondiale di sociologia 31 Voltaire 70 Vedere l’arte, l’arte di vedere 32 Filosofia politica 71 Le arti e la città 32 Fenomenologia, ermeneutica, teologia 72 Il futuro, la sociologia e la teologia 33 Diversi significati di libertà 73 CALENDARIO 34 Esistenzialismo politico 35 Lo spazio del pensiero 36 Su Nietzsche 76 DIDATTICA 37 Cassirer: tendenze del neokantismo 76 La didattica come sapere applicato 77 Convegni 39 PROSPETTIVE DI RICERCA 79 Interventi, proposte, ricerche 39 Cartesio: le opere filosofiche 40 Heidegger e la filosofia antica 80 STUDIO 40 Inediti di Althusser 80 Fenomenologia dello spirito 41 L’esistenza impossibile di Kierkegaard 80 Bergson e Fichte: due introduzioni 42 Per un’estetica fenomenologica 82 RASSEGNA DELLE RIVISTE 43 Primi scritti di Nietzsche 44 Florenski: dalla tradizione all’avanguardia 87 NOVITÀ IN LIBRERIA 45 Opere complete di Gadamer 46 Wittgenstein: psicologia, etica, estetica e architettura 48 Scholem tra Berlino e Gerusalemme 3 RESOCONTO Giovanni Gentile 4 RESOCONTO Nel cinquante- comunque riguardante un aspetto non canario della ratteristico dell’attualismo e piuttosto gli morte di Gio- allievi di Gentile che egli stesso. La dimenvanni Gentile, sione europea del pensiero di Gentile è come era faci- stata invece ribadita da Lucio Colletti, che le prevedere, è ha sottolineato quanto radicale sia stata ritornato l’inte- nella cultura italiana l’opera di Gentile di resse verso il fi- quale organizzatore di cultura. Quest’opeAntonino Infranca losofo sicilia- ra di organizzazione e promozione culturano, anche gra- le ha dato luogo ad una vera e propria zie all’organiz- egemonia attualistico-idealistica. Se di zazione di una serie di manifestazioni che Gentile non si è più discusso per molto ne hanno ricordato la figura, il pensiero e il tempo, ciò è da attribuirsi, secondo Colletruolo storico. Tra i numerosi convegni che ti, all’abbandono, da parte dell’intellighensi sono tenuti nell’arco del 1994 due hanno tsia italiana, di determinati soggetti, altriavuto luogo nella città di Roma a poca menti prima largamente trattati, quali Padistanza l’uno dall’altro: il convegno orga- tria, Nazione o Stato. nizzato dal Comune di Roma il 20 e il 21 Il problema della secolarizzazione è stato maggio in Campidoglio e presso l’Istituto trattato anche da Biagio De Giovanni, il dell’Enciclopedia Italiana e il convegno quale ha ricordato la polemica gentiliana organizzato dall’Accademia d’Ungheria in Roma dal 25 al 27 maggio. Diversi sono stati i motivi d’interesse suscitati dai due convegni. Il Comune di Roma ha saputo riunire un numero altissimo di studiosi italiani, che hanno analizzato la figura di Gentile dal punto di vista filosofico, storico e dell’organizzazione della cultura. L’Accademia d’Ungheria ha invece avuto il merito, non secondario, di chiamare a dibattere su Gentile studiosi stranieri. con interventi di Annamaria Camizzi, La sezione filosofica del convegno in Campidoglio è stata Hervé Cavallera, Michele del Vecchio, quella più densa di idee e di Antimo Negri, Carlo Sini, dibattiti, grazie al confronto tra diverse interpretazioni del pensiero gentiliano che si sono date in quest’ultimo quinquennio. Salvatore Natoli ha ribadito le tesi già sostenute nel suo fortunato studio Giovanni Gentile a cura di Riccardo Ruschi filosofo europeo, cioè il carattere “epigonico” della filosofia gentiliana, con la quale si perviene alla nei confronti dell’illuminismo, inteso quadefinitiva dissoluzione del soggetto mo- le destino della modernità. La filosofia derno. In tal senso Gentile è interpretato attualistica è stata presentata da De Gioutilizzando categorie più tipiche del pen- vanni come una filosofia instabile, permasiero husserliano, quale quella dell’inten- nentemente rivolta alla dissoluzione del zionalità o dell’identità di pensiero e cose. dato, al suo superamento in un divenire Natoli ha anche tentato un accordo tra le incessante. In Gentile, l’essere segue semsue tesi e quelle di Del Noce - altro interpre- pre il non-essere, nel senso che il nonte del pensiero gentiliano al centro del essere passa nell’essere, secondo la midibattito odierno - accettando il rischio di gliore lezione della logica hegeliana. Dunsecolarizzazione del cristianesimo che, ap- que, il problema-chiave per Gentile è la punto Del Noce, ha riconosciuto all’attua- conciliazione di immanenza e potenza, senlismo. L’attualismo sarebbe, allora, una za scadere però in misticismi e visioni filosofia della storia, oltre ad essere una salvifiche. Di segno opposto, invece, è stafilosofia della storia, perché è una filosofia to l’intervento di Vittorio Mathieu, che ha che “vuole” un mondo, che opera scelte tra proposto un parallelo tra l’attualismo e alcune forme di gnosticismo. opzioni storico-politiche possibili. Massimo Cacciari ha ripreso il problema Giacomo Marramao è tornato a porre del rapporto tra attualismo e cristianesimo, l’accento sulla dimensione europea del spingendo in direzione di un misticismo pensiero gentiliano fin dalla sua prima opepresente nell’attualismo; misticismo già ra La filosofia di Marx. Grazie alla partecisegnalato da Benedetto Croce, all’inizio pazione al dibattito europeo sul marxismo, della polemica con lo stesso Gentile, ma che si svolse alla fine dell’Ottocento, Gen- Due convegni romani su Gentile Giovanni Gentile a cinquant’anni dalla scomparsa 5 tile si presenta agli occhi dei marxisti italiani, in particolare a Gramsci, come il tentativo filosoficamente più coerente di realizzare il moderno come attualità, come fare che si realizza nel suo farsi medesimo. La sinistra marxista sarebbe stata, pertanto, una fedele erede dell’attualismo gentiliano, in quanto ne avrebbe ripreso il senso della prassi e al contempo l’esigenza dell’egemonia culturale. L’unico punto, sul quale, secondo Marramao, la sinistra ha errato, è stato il non voler riconoscere al fascismo una propria cultura, presente, soprattutto, nel campo del diritto. Un’ attualizzazione di Gentile è stata tentata da Antimo Negri, il quale ha posto i fondamenti per un parallelo tra attualismo ed ermeneutica. Gennaro Sasso ha invece parlato di crisi dell’idealismo, facendo risalire tale crisi al dibattito sull’esistenzialismo, apertosi in Italia negli anni Quaranta. Ma dell’attualismo Sasso ha dato un’immagine diversa dalla tradizionale, sostenendo che esso è stato una filosofia libertaria ed impegnata storicamente, in totale contrasto con l’ideale petrarchesco della vita umbratile. Sostanzialmente d’accordo con Sasso si è dichiarato Emanuele Severino, che ha definito Gentile il meno assolutista dei pensatori del Novecento; il che non implica che tra totalitarismo e assolutismo ci sia identità assoluta. Totalitarismo, per Severino, è volontà di disciplinare il movimento storico; mentre antitotalitarismo è distruzione di ogni struttura assoluta. Gentile, filosofo tipicamente moderno, ha colto pienamente il senso del divenire come distruzione di ogni forma e, quindi, un’identificazione immediata tra totalitarismo e attualismo non è possibile; essa impone l’uso di importanti distinzioni e rimane in definitiva aporetica. La grande varietà di posizioni filosofiche, fin qui descritte e tutte impegnate all’interpretazione del pensiero gentiliano, è in netto contrasto con l’immagine pubblica e privata di Gentile. Le altre due sessioni del convegno in Campidoglio sono state dedicate a delineare un giudizio sul Gentile politico e organizzatore di cultura. E’ emerso un ritratto di un intellettuale che seppur sinceramente legato al regime fascista tentò sempre di mitigarne i rigori politici e le storture ideologiche. Paolo Simoncelli, Luigi Accardi, Hervé Cavallera, Jader Jacobelli, Pietro Prini hanno ricordato più volte le occasioni nelle quali Gentile si prodigò ad aiutare intellettuali ebrei o antifascisti, oppure il suo prodigarsi in innumerevoli attività intellettuali. Gabrieli e Paratore, invece, hanno portato un personale contributo di ricordi biografici e di frequentazioni gentiliane. Nella terza e RESOCONTO definitiva sessione Vincenzo Cappelletti ha ricostruito le vicende di Gentile coordinatore dell’Enciclopedia Italiana; Aldo De Maddalena ha ricordato Gentile vice direttore dell’Università Bocconi; Paolo Chiarini, Gentile direttore dell’Istituto Germanico; Gherardo Gnoli, Gentile presidente dell’Istituto per il Medio-Oriente. Infine Antonio Fede, direttore dell’Istituto di Studi Gentiliani, ha tentato una riappropriazione di Gentile su posizioni di destra; ma tutto ciò che era stato detto fino a quel momento ha mostrato, tuttavia, quanto sia problematico ridurre il pensiero e l’attività di Gentile alla sola militanza fascista. Il convegno dell’Accademia d’Ungheria ha permesso, invece, di avere un’immagine di Gentile che provenisse dall’estero; dunque una reale dimensione europea del pensiero gentiliano. Il fatto che il convegno fosse articolato in tre sessioni non coordinate tra loro, riguardanti Vico, Gentile e l’ermeneutica, ha dato luogo a un dibattito che ha ovviamente superato le problematiche gentiliane. Il non facile compito di collegare le tre sessioni è toccato ad Antimo Negri, che è partito dalla conferenza gentiliana del 1944, in occasione del duecentesimo anniversario della morte di Vico, per ricordare quanto il filosofo napoletano sia essenziale per la comprensione dell’attualismo. Problematico apparve sia a Croce, sia a Gentile il cattolicesimo di Vico, collegato come è ad una “trascendenza mediata”, che permette al soggetto di farsi soggetto della conoscenza. Il soggetto emette un giudizio su un oggetto; lo eleva dal piano di una “trascenden za immediata” a quello della “trascendenza mediata”; in tal modo, secondo Negri, ci sarebbe un passaggio da una parola non detta, equivalente all’erghon aristotelico, alla parola detta, o energheia. Quest’ultima rappresenterebbe, quindi, un atto del divenire, mostrando come tutto l’attualismo gentiliano sia l’approfondimento di una tradizione filosofica, risalente ad Aristotele, e allo stesso tempo sia parte integrante di un pensiero occidentale, che oggi si rappresenta compiutamente nell’ermeneutica. Sul rapporto particolare-universale e sulla fortuna di Vico in Ungheria e Polonia si sono soffermati Jozséf Pàl e Krzysztof Zabolklicki. Mentre Tibor Szabò ha posto l’accento sul rapporto idealismo ed esistenzialismo in Enzo Paci, che ha avuto il merito di invertire il rapporto vichiano Dio-uomo. Sul problema del divino, della lingua e della comunicazione è tornata Angela Maria Jacobelli, così come Balint Somlyo, che ha ricordato, inoltre, quanto estraneo era apparso il pensiero di Vico agli intellettuali del suo tempo. Ancora su Aristotele ha insistito Guido Traversa; sul famoso frontespizio della Scienza Nuova, e dunque sul rapporto Dio-uomo, ha parlato invece Anna Wessely. Il carattere ermeneutico del pensiero vichiano, applicato all’interpretazione di figure geometriche e numeri è stato l’argomento trattato da Giu- seppe D’Accunto. Ultima relazione vichiana, ma senza dubbio, la più densa di stimoli speculativi è stata quella di Cecilia Castellani. Suggestiva è stata la tesi di partenza, ripresa dal pensiero di Meinecke, secondo il quale in Vico si avverte uno storicismo, seppure in forma “mancante”. Il vincolo tra uomo e mondo è dato dalla mente, rapporto che rappresenta la storicità dell’essere umano. Vico riprende da Cartesio il problema della ricreazione di un mondo, che sia però in una connessione aporetica con Dio. Ma se la creazione divina è un atto d’intelligenza, quella umana è carica di un’ignoranza, il che non impedisce che i pensieri dell’uomo siano indirizzati verso un unicum insondabile. Il passaggio dalla sessione vichiana a quella gentiliana è stato affrontato da Francesca Rizzo Celona e da Eva Ordógh, che hanno mostrato come quell’unicum vichiano sia divenuto in Gentile lo spirito, che si costituisce nell’Atto del pensare. Jader Jacobelli ha invece ricordato quanto autonoma fosse la posizione di Gentile all’interno del fascismo, insistendo però sul fatto che tali posizioni autonome fossero sempre di carattere privato e mai pubblico. Jacobelli ha concluso, ponendo l’accento sul capitolo non ancora concluso - in senso politico - della morte di Gentile. Vittorio Stella ha ricordato come nell’estetica gentiliana siano comunque presenti elementi crociani, soprattutto riguardanti la soggettività dell’arte. L’impostazione della relazione di Stella induce ad una conclusione, quella di un’unica estetica idealistica, che ha avuto due redazioni, una crociana e una gentiliana. Sul problema del giudizio estetico crociano e gentiliano riguardo a Leopardi ha insistito Lelio La Porta, il quale ha ricordato che i due filosofi idealisti, ben disposti a sostenere l’aspetto poetico dell’opera leopardiana, non ne abbiano voluto accettare il valore filosofico. Con l’intervento di Angelo Sabatini sono ritornati alcuni temi tipici del dibattito odierno su Gentile e cioè la sua dimensione europea, il suo valore teoretico e i rapporti con altre filosofie del Novecento. La scarsa fortuna dell’attualismo nel continente è stata imputata da Sabatini all’ostracismo del marxismo nei confronti del primo. Jànos Kelemen ha continuato su questa falsa riga della dimensione europea di Gentile, ricordando come il filosofo siciliano sia stato tra i primi sostenitori del totalitarismo politico. Marco Montori ha invece ricostruito la polemica attualismo-modernismo, specialmente quella con il modernismo francese. Ha concluso la sezione gentiliana del convegno Antonino Infranca, affrontando il problema della morte di Gentile. I due convegni romani hanno offerto la possibilità di riproporre il pensiero gentiliano in tutta la sua attualità, ma al contempo ancora numerosi si sono dimostrati i punti da analizzare o da sviluppare. I rapporti con la politica, ad esempio, sono 6 ancora, soprattutto a destra, motivo di aspro dibattito, visto che da quella parte politica, si tenta di monopolizzare lo studio del pensiero gentiliano, tacendo sugli indubbi aspetti liberali della sua formazione. In questo momento è la sinistra a superare le barriere ideologiche che fino a poco tempo fa avevano rappresentato l’ostacolo maggiore per una serena analisi della figura di un pensatore che ha influito profondamente sulla formazione della cultura nazionale. La morte di Gentile, d’altro canto, ha offerto, in entrambi i convegni, più di un motivo di confronto dialettico, sempre condotto però con serenità e con il necessario distacco ideologico, storico e politico, nell’intento di esprimere un giudizio obiettivo su quel triste avvenimento della storia italiana contemporanea. Adesso che le celebrazioni si sono concluse, agli studiosi di Gentile spetta il non facile compito di tenere desta l’attenzione verso il proprio lavoro. Non è un compito facile, dato che solitamente la cultura italiana, eccessivamente abituata alle celebrazioni, si interessa a un filosofo o a una corrente in occasione di appuntamenti cronologici, come gli anniversari, e purtroppo tra i cinquantenari e i centenari non c’è l’abitudine a celebrazioni: bisognerà dunque attendere altri cinquanta anni per risentir parlare di Gentile? In occasione Idealismo attuadel cinquantelista nario della ed esperienza morte di Giostorica vanni Gentile la critica attualista sembra aver conosciudi to una vera e Luca Scarantino propria renaissance. Tra le numerose occasioni d’incontro e di approfondimento, particolarmente interessante è stato il Convegno Internazionale di Studi, tenutosi a Castelvetrano dal 20 al 22 ottobre 1994, organizzato dal Centro Internazionale di Cultura Filosofica “Giovanni Gentile” e dall’Istituto di Filosofia dell’Università di Palermo, in collaborazione con il Comune di Castelvetrano. Il Convegno ha visto la partecipazione di numerosi studiosi italiani ed esteri e ha costituito un’importante occasione di ritrovo per quella comunità filosofica che vede nel pensiero attualista uno dei propri punti di riferimento. In generale, il Convegno ha presentato una compiuta unitarietà tematica, inserita in un’altrettanto ricca molteplicità di riferimenti teorici e di analisi storiche. Esso ha costituito un punto privilegiato di osservazione, fornendo uno spaccato di quella parte della filosofia attuale che si richiama ai valori della metafisica classica, sia essa di matrice cattolica (e quindi, in prospettiva, trascendente) che laica, e che fa riferimento ai valori dell’immanentismo idealista. Nella sua relazione introduttiva, Nunzio RESOCONTO Incardona, presidente ed organizzatore del Convegno, ha voluto sottolineare la dimensione spirituale dell’idealismo attualista, ribadendone al contempo il legame con la dimensione vitale dell’individuo. Incardona si è poi soffermato sulla nozione di storia, concepita come luogo in cui il Pensiero dimostra se stesso e in cui si esprime la vita spirituale dell’intera civiltà occidentale, dai greci in avanti. L’oblio di tale realtà costituisce, agli occhi di Incardona, un annebbiamento della nozione di persona e dell’autonomia e la libertà interiori di ognuno di noi, che descrive propriamente l’inautenticità (o, secondo Incardona, il mascheramento dell’Essere) del contemporaneo; e proprio nel forte richiamo alla responsabilità dell’individuo di fronte alla propria spiritualità si situa per Incardona la “drammatica attualità” del pensiero gentiliano. Carattere fortemente teoretico ha avuto anche l’intervento di Nicolas Grimaldi, che ha tracciato una storia della nozione di inquietudine, mostrando come la caratterizzazione che di tale nozione si ritrova in Hegel, che la considera un attributo della sostanza, contraddica solo in apparenza la nozione classicamente aristotelica di ousìa. L’idealismo di Hegel, secondo Grimaldi, ha infatti dato una compiuta forma filosofica ad un’intuizione «che percorre l’intera storia della filosofia»: quel necessario divenire, quell’irrequietezza dell’Essere, che costituiscono lo Streben (il tendere) proprio del mondo umano, definiscono l’ousìa aristotelica, la sostanza immobile, come proprio limite. Proprio quest’identificazione della spiritualità, nel suo insieme, con l’inquietudine, ha osservato Grimaldi, costituisce uno dei temi portanti del pensiero occidentale. Essendo la natura stessa costituita da un necessario divenire, la sostanza immobile non deve allora essere concepita come “un’eternità di morte”, privata di quel movimento che ne costituisce l’intimo e più radicale senso vitale. Richiamando l’esperienza della grande tradizione metafisica occidentale, Grimaldi riconduce l’originarietà dell’inquietudine a quel désir che la genera e che, non potendo aspirare alla propria soddisfazione, si configura come una tensione infinita: “l’inquietudine è un principio” e l’anima la perenne “inquietudine di una mediazione”. Un tema gentiliano affine, sebbene nel quadro di una differente ricostruzione storica, ha pure sollevato Xavier Tilliette, che ha affrontato la questione della “Mestizia del finito nell’idealismo tedesco”. Riferendosi in particolare al pensiero di Schelling, Tilliette ha offerto una ricostruzione straordinariamente ricca della nozione di malinconia nell’idealismo tedesco e del modo in cui questa nozione viene trasportata ed applicata al mondo della natura. Attraverso le mediazioni di Böhme e, in misura minore, di Swedenborg, Tilliette ha mostrato il carattere profondamente religioso del senso romantico della tristezza della natura come rappresentazione cosmica della colpa dell’essere umano. La malinconia allora, tema già presente lungo tutto l’Illuminismo tedesco e segnatamente in Kant, diviene la “santa” melancolia, compagna del sublime; la Sehnsucht (nostalgia) di Schelling diventerà parte integrante della concezione romantica dell’amore, che trova nello Schmerz des Unendlichen (dolore per l’infinito) uno dei momenti teorici più espressivi della propria sensibilità e della propria spiritualità. Più strettamente legato a Gentile è stato il dibattito storico e teorico emerso dalle relazioni degli studiosi di scuola italiana. La maggior parte degli interventi di carattere storico si è concentrata sulla ricostruzione e l’esame delle origini del pensiero gentiliano. È emersa in particolare una certa attenzione verso i rapporti di Gentile con i suoi maestri, con particolare riferimento a Donato Jaja. Così Ezio Riondato, trattando di “Giovanni Gentile tra individuo e spirito”, ha voluto sottolineare l’importanza dell’influenza di Jaja nel progressivo abbandono, da parte del giovane allievo, del momento intuitivo nel procedere della conoscenza. Gentile, infatti, eredita dall’insegnamento di Jaja, anche attraverso la mediazione di Spaventa, l’esigenza critica di un rifiuto della dimensione immediatamente conoscitiva del pensiero. Considerando come in Gentile l’unico vero positivo sia l’atto del soggetto che si pone come tale, Riondato ha poi inteso criticare la nozione di esperienza pura propria di tale metafisica immanentistica, richiamandosi all’esperienza del trascendentismo di U. A. Padovani. A Jaja si è voluto riferire anche Luciano Malusa, che ha ripercorso la presenza in Gentile delle figure di Rosmini e Gioberti. Malusa ha mostrato come in Gentile la concezione della storia della filosofia si sia sviluppata a partire dall’insegnamento dei suoi maestri: Tocco, Spaventa, D’Ancona, e soprattutto Jaja. L’interesse di Gentile, ha sottolineato Malusa, si è rivolto principalmente alla tradizione filosofica italiana, in ragione di una concezione dell’analisi storica come ricostruzione dello spirito della filosofia in determinati momenti, considerati come decisivi. Questa particolare concezione, che si esprimeva in ampie sintesi di natura speculativa, condusse Gentile ad attribuire allo spiritualismo ottocentesco un ruolo decisivo nel rinnovamento del pensiero filosofico nazionale. La riscoperta di Gioberti, dovuta quasi interamente a Gentile, e quella di Rosmini, la cui presenza nella filosofia italiana era soltanto appena più significativa, costituiscono per Malusa uno degli aspetti più importanti dell’opera storiografica gentiliana. Sulla stessa linea tematica si è sviluppato l’intervento di Francesca Rizzo Celona, che ha presentato una breve, ma precisa, ricostruzione di alcune posizioni estetico-letterarie del giovane Gentile e dei travagliati rapporti con il maestro D’An7 cona riguardo a questo tipo di tematiche. Vittorio Sainati ha rammentato come l’intera produzione filosofica di Gentile debba essere considerata a partire dalla netta partizione temporale che vi si può scorgere e che impedisce di considerarla come un blocco teorico unico. Sainati ha ricordato come il Sistema di logica determini nel ’17 una svolta che dà origine ad un secondo attualismo, che si caratterizza per la riabilitazione della logica classica. Mentre, infatti, il pensiero gentiliano concepiva sino ad allora l’Atto come soggettività assoluta ed inoggettivabile (e la teoria dell’Atto non è che la teoria dell’inteorizzabile), nell’opera del ’17 questa tesi viene abbandonata da Gentile; addirittura la logica classica viene qui assunta come logica dell’Atto oggettivato. Con ciò, ha osservato Sainati, l’oggetto viene recuperato al sistema attualista nella forma critica di un Pensato, che si basa sulla concretezza dell’Atto pensato. Tale recupero della dimensione oggettuale marca un’evoluzione decisiva, che apre la fase del secondo attualismo, dove l’astratto diviene quell’oggettività con cui il pensiero pensante media se stesso. Tuttavia, ha sottolineato Sainati, Gentile si troverà a ricadere in una posizione ontologizzante e metafisica allorché tornerà a ridare al pensante una funzione ontologica, fondativa di un sapere assoluto. La tematica dell’Atto e del rapporto tra soggetto e oggetto ha costituito il centro dell’approfondita discussione teorica, che ha rappresentato il terzo motivo portante del convegno. Riprendendo il proprio progetto di una antropologia esistentiva, Riondato ha sottolineato la necessità di un originaria posizione di individualità che, a differenza della metafisica immanentistica di Gentile, sappia rendere conto della priorità di valore dell’empiricità individuale del “ci sono” rispetto alla generalizzazione esistenzializzante dell’essere. Riondato vede nell’idealismo attualista l’impossibilità di definire qualunque individualità, a causa dell’ineludibile universalizzazione a cui ciò formalmente condurrebbe; sarebbe invece necessario, secondo Riondato, affermare la centralità della dimensione esistentiva e dell’empiricità individuale, postulando un unico a priori possibile, un “io dicente”, unità originaria esistentiva, che si dà immediatamente e che pone come altro da sé un “me” in grado di riferirsi all’io stesso. A questa posizione ha risposto Carmelo Vigna, che si è richiamato alla necessità di un’affermazione della dimensione universale, sostenendo l’importanza di mantenere un apparato categoriale, inteso come gruppo di costanti presenti all’interno di ogni coscienza, quando questa si apre. Per quanto in entrambi sia presente un atteggiamento critico verso la posizione gentiliana, Vigna ha contestato a Riondato di risolvere il rapporto tra io trascendentale e io empirico attraverso un’ipostatizzazione dell’esperienza empirica di quest’ultimo; il che condurrebbe al problema gene- RESOCONTO rale di ogni metafisica, cioè al relativismo assoluto. Di fronte alla proposta di considerare l’io trascendente come «i tratti comuni a ciascuno di noi», ossia una posizione di trascendentalismo coscienzialistico, Riondato ha ribadito l’esigenza di un’ontologia esistentiva, che salvi l’autentica esistentività singolare e individuale dell’ “iouomo” e che giustifichi e preceda logicamente la necessaria generalizzazione formale propria della dittività comunicativa epistemica. Al problema dell’immanenza è stato dedicato anche l’intervento di Alberto Moscato, che ha trattato dello stretto legame presente in Gentile tra logica e vita morale, così come di alcune importanti difficoltà, nell’immanentismo attualistico, in relazione alla deduzione trascendentale del dato dall’Atto. Alla questione dell’oggettualità e alla necessità di salvare l’oggetto si è rivolto anche l’intervento di marca realista di Rafael Alvira. Infine, alcune interessanti comunicazioni hanno chiuso i lavori del Convegno, fornendo spunti di ricerca e di approfondimento. Così, Stelio Zeppi ha ricordato come la presenza di Gentile si sia fatta sentire a Trieste attraverso l’opera di F. Collotti e di Cammarata; Zeppi ha ricordato inoltre l’importanza, nella vita culturale di quella città, delle lezioni di pedagogia tenute dal filosofo nel 1920, e ha tracciato un breve bilancio della presenza attualista nel capoluogo giuliano. Giuseppe Nicolaci ha affrontato l’importanza dell’esigenza trascendentale dell’attualismo per una comprensione e un ripensamento dei principi stessi di una riflessione metafisica; Ferdinando Marcolungo ha ripreso la questione della presenza in Gentile del pensiero di Gioberti e Rosmini, ponendo la questione di una precisa valutazione della mediazione di Spaventa. A questa questione si è riallacciato anche Leonardo Samonà, mentre ad un’analisi della prolusione palermitana del 1907 è stato dedicato l’intervento di Grazia Tagliavia. Giuseppe Cottone ha infine contribuito a ravvivare l’atmosfera con una breve e curiosa ricostruzione di alcuni episodi del carteggio tra Gentile e Benedetto Croce. I convegni sono sovente luoghi dove l’astuzia della ragione esercita il suo occulto potere; dove ella si ride dei di progetti, dei Girolamo de Liguori fini degli organizzatori e degli sponsor di turno; dove, alla fin fine, la verità, malgrado tutto, vive la sua storica giornata, scende dall’empireo e gavazza nelle accademie, nei fumoirs; gioca, per dirla con Hegel, suo padre putativo, con Gentile e la filosofia dell’Occidente l’accidentalità, coi «buffoni, gaglioffi, e cose comuni tratte dalla vita quotidiana»; entra nelle fumose “birrerie”, si mescola ai “carrettieri”, trascorre, come fosse assuefatta a tale maleodorante convivenza, in mezzo a «vasi da notte e pulci» (Estetica, Milano 1963, pp. 782-783). Se proprio non si fa “storia”, si fa almeno “fenomeno”. A Giovanni Gentile è capitato quel che era già capitato ad altri filosofi italiani, cosiddetti minori. Tirati fuori dall’armadio, con fini parziali di ricuciture e di toppe, hanno finito per reinteressare i curiosi, a riconferma di quel detto popolare (oggi sempre meno popolare), secondo cui «infinite sono le vie del cielo»! E così, tra “destino dell’io”, “tentativi di dis-lettura”, commemorazioni di vecchi allievi ortodossi e resecature di parti fondamentali, qualcosa ugualmente è venuta fuori: anche ciò di cui non si è parlato. E di Dio medesimo, non si può, forse, parlare tacendo, ovvero in negativo? «Questo solo oggi possiamo dirti/ quel che non siamo, quel che non sappiamo» - canta il poeta. Quos nihil scitur -dice la teologia medievale, quando, con Scoto Eriugena, vuole provarsi a definire: Deus, propter excellentiam suam non immerito nihil vocatur. Se allora registriamo doverosamente quanto è stato detto e anche non detto, alla fine, messi insieme il positivo e il negativo, il convegno gentiliano svoltosi a Lecce, a cura del Dipartimento di Filosofia, nei giorni 15 e 16 dicembre 1994, per ricordare i cinquant’anni dalla morte del filosofo, ha dato anch’esso il suo contributo alla critica di Gentile e, tra i vari convegni commemorativi e di studio, dalla Sicilia a Roma in Campidoglio, resterà con una sua fisionomia di apprezzabile validità. Se non altro per aver evitato la fastidiosa ideologizzazione di una filosofia che merita d’essere trattata per se stessa. Antimo Negri (“L’attualismo e il destino dell’io”), certo tra i più autorizzati in Italia a dire di Gentile, ha portato nella sua relazione non solo il mare magno delle sue letture, ma anche la sostanza vera e profonda del meditare gentiliano. E l’ha fatto con una cert’aria di non voler dire, scavando tuttavia nel fondo di quella “ambigua filosofia cristiana” che resta la dottrina dell’atto puro. Ha marcato, nel rapporto io-natura o mondo in Gentile, la latente paura della scissione, della lacerazione (ha parlato addirittura di ferita o taglio di coltello, alla maniera siciliana!): paura che del resto porta o, se si vuole, indirizza Gentile verso il misticismo. Potrebbe meravigliare che, a questo punto, non si sia fatto il nome di Del Noce, che sulla costruzione del dio gentiliano ha lasciato una notevolissima esegesi, legata del resto ad una sua complessa ricollocazione storica della filosofia gentiliana. Solo come “teologo”, oggi, «Gentile resiste ancora alla lettura», secondo Del Noce; ed a conferma egli ricordava un emblematico passo del Sistema di logica del 1917: «Ma la teologia non è mistici8 smo, né religione, come han saputo in ogni tempo i più ferventi e profondi spiriti religiosi, bensì pretta filosofia; e la monotriade non è un’invenzione dei mistici, sibbene della filosofia elaboratrice delle rappresentazioni religiose. Infine tra la monotriade dell’atto spirituale e quella dei teologi c’è questa piccola differenza: che la prima è, e la seconda non è una monotriade, se con questo concetto si vuol designare, come si dice, l’unità della sostanza attraverso le forme in cui essa, in quanto spirito, si pone». Si tratta, insomma, di una “filosofia che si fa teologia”, di un filosofare che vuole spodestare la teologia non perché essa sia falsa, ma perché la sua verità - la verità della rivelazione stessa - è contenuta nella filosofia. Quella attualistica, cioè. Tale aporia ha segnato in profondità l’intervento di Negri, che mal celava un suo profondo dramma teoretico, solo in parte ereditato dal suo maestro Ugo Spirito. Sembrava invece inesistente in altri interventi, dove il problema della storicità o collocazione dell’attualismo era del tutto irrilevante e proprio perché inadatto a riflessioni fenomenologiche sul tema. In realtà, il problema della filosofia gentiliana, problema squisitamente teoretico, si dissolve se non viene storicamente collocato ed esplicitato. L’avvio per una riproposizione dell’impianto teoretico dell’attualismo in termini corretti, era stato fornito nel ’92 da Eugenio Garin nel volume delle Opere filosofiche (Garzanti, Milano 1991) di Gentile; qui Garin articolava i contributi in quattro parti, a partire dallo studio su Marx del ’99, per finire allo scritto del ’24, Genesi e struttura della società. Da una tale indicazione esegetica, vien fuori come la filosofia per Gentile coincida con la realtà - così come per Hegel e diversamente da Croce, per il quale esiste la dicotomia tra realtà e conoscenza -, per cui l’esperienza viene ad essere assorbita nell’essere, portandosi dietro l’aporia di essere = divenire e perciò stesso di filosofia = storia. Per questo non sfugge a chi, come Hervé Cavallera, ha affrontato il tema “Gentile e Spinoza”, ma resta nell’ombra negli interventi in cui Gentile è pretesto di differenti istanze problematiche. Da Spinoza, ci ricorda Hervé, bisognerebbe espungere la “natura”, l’oggetto, che porta al dualismo implicito per il quale - secondo Gentile - la “natura” (Dio) spinoziana terrebbe il posto del “confessionalismo” cattolico. In realtà, Spinoza come Kant - da segnalare, a questo proposito, l’intervento di Mario Signore sul “Kant” gentiliano -, Hegel come Bruno, Rosmini come Spaventa, il positivismo in crisi, la religione e quindi il modernismo, restano temi obbligati non soltanto per Gentile, quanto per una più vasta area della filosofia italiana di quegli anni, dalla quale, del resto, l’attualismo - se non viene correttamente collegato o correlato - rischia di venire astratto e notevolmente falsato. Bene hanno fatto, perciò, gli RESOCONTO organizzatori del convegno leccese a prevedere interventi sui rapporti con Croce, con l’esistenzialismo, con il massimo degli oppositori del neo idealismo: Giuseppe Rensi. Tuttavia, per quanto riguarda Croce, sarebbe stato, a mio vedere, indispensabile indugiare sulle profonde differenze sul piano teoretico - differenze da rivisitare fino al Gentile della Kulturgeschichte: del Gino Capponi, della storia della filosofia italiana (che fa un certo pendant con la crociana Letteratura della Nuova Italia), della scoperta del Leopardi pensatore. In tal senso, la relazione di Sossio Giametta, “Gentile e Croce”, avrebbe dovuto trovare più riscontri e sviluppi nel dibattito, o in altri interventi. La relazione di Giovanni Invitto, “La presenza di Gentile nel dibattito italiano sull’esistenzialismo”, attinente più al terreno della rassegna o, se si vuole, della sociologia filosofica che non a quello di un raffronto teoretico tra le aporie dell’attualismo e il travaglio di filosofie europee che si aprivano nell’ascolto di Nietzsche, Heidegger, Simmel, incamminandosi per contorti sentieri verso il nichilismo, sollecitava tuttavia tale istanza. Il contributo di Nicola Enery, “L’attualismo come ‘terremoto metafisico’: l’ambivalente rapporto Rensi-Gentile”, è stato certo una ottima premessa per quella collocazione rinnovata dell’attualismo in un panorama italiano, osservato finalmente in maniera più aperta e non più contratto negli stampi di un provincialismo, dato per scontato. Purtroppo Enery, che per primo ha ricostruito la varia e complessa opera rensiana, ha presentato il rapporto tra Rensi e Gentile con molto prudente circospezione, dando per acquisito il presupposto che la costruzione gentiliana restava un universo troppo perfetto per venire scalfito dall’iconoclastia di uno scrittore brillante, ma filosoficamente fragile come Rensi. In verità anche Gentile vive in tutta la sua opera - e spie se ne trovano ad ogni piè sospinto - lo stesso dramma epocale della crisi del meccanicismo e del naturalismo, che aveva investito Rensi come Martinetti, Adolfo Faggi come l’ultimo Graf, Tilgher e gli altri protagonisti della cultura italiana dei primi decenni del secolo. Si provi a leggere, senza pregiudizi, alcune interpretazioni gentiliane di Spinoza come di Hegel o di Kant, di Rosmini come di Leopardi. Che cosa sarebbe, ad esempio, la “materia” leopardiana? Nient’altro che “natura disumana”, natura che si contrappone allo spirito, creando una dicotomia che tuttavia non riesce a nullificare lo spirito stesso. «La realtà che è lì di fronte allo spirito, è sì quella realtà naturale, materiale, meccanica, chiusa, e impervia ad ogni idealità, inconciliabile con qualsiasi concetto di libertà; ma il contrapporsi di essa allo spirito importa pure l’opporsi dello spirito ad essa: dello spirito, che è una realtà dotata di attributi contrari a quelli con cui vien pensata l’altra. E per ammettere questa, bisogna ammettere prima quella: senza la quale mancherebbe lo stesso pensiero, a cui si chiede tale ammissione». (Manzoni e Leopardi, Firenze 1937, p. 103). Manoscritto inedito di Giovanni Gentile Bene ha fatto perciò Negri quando, tra le fonti del pensiero gentiliano, ha subito indicato il Rosmini del “sentimento fondamentale corporeo”. E’ grazie a Rosmini che Gentile si libera dell’idea tradizionale che l’anima abiti il corpo, che l’inesteso sia contenuto nell’esteso (Platone aveva detto che il sòma è un sèma: il corpo è prigione per l’anima). Viceversa, ricorda Negri, è il corpo (natura) che abita lo spirito: lo spirito come cosmo, tutto di cui l’ “io” è coscienza. Nella natura ottusa, nel meccanismo universale, siamo determinati; ma nel pensiero siamo liberi: «chi dice pensiero dice libertà» (Op. cit., ivi). Siamo di fronte allo storico atteggiamento epoca9 le - si ricordi la critica del materialismo meccanicistico da Ostwald a Mach - che fa leggere Spinoza a Gentile in chiave fortemente critica, per non essersi questi liberato della natura “bronzea”, e a Rensi, al contrario, in piena consonanza, per aver ricondotto lo spirito alla natura. Il senso è inverso, ma il significato è lo stesso. Leopardi, per Gentile, avrebbe allora trovato nella poesia lo strumento per superare la prigione della natura-materia: sarebbe perciò filosofo in quanto critico del materialismo, non filosofo in quanto materialista (come invece apparirà a Rensi). Egli «non si rassegna alla pura affermazione materialistica, perché la ricca e sensibilissima vita morale, che gli riempie il cuore, è la negazione del materialismo» (Op. cit., p. 104). E il materialismo (naturalismo) resta per Gentile errore filosofico: ciò che Leopardi, non rassegnato, arrivava ad accusare sotto la specie di “natura matrigna”. Tale interpretazione è perfettamente in linea con la risposta gentiliana alla crisi di fine secolo. Qui c’è il lieto fine, la riconciliazione con lo spirito: l’umanità non è travolta dal caos o trascinata nel suo destino tragico, come l’islandese della celebre operetta morale. «L’uomo è alla presenza di un mondo il quale non è quello del meccanicismo, che tutto travolge e distrugge quanto a lui è più caro, ma quello del pensiero, dello spirito umano, dell’amore, della virtù» (Op. cit., p. 110). Anche l’idealismo etico di Fichte concorre - come era già ben chiaro a Tilgher, sia pure con spirito di accesa polemica (cfr. «Religio», n. 6, 1936) - a costruire l’edificio attualistico che si alimenta delle stesse fonti cui attingono i contemporanei filosofi italiani (si pensi a Martinetti e a Rensi, in modo particolare), perdenti e dimenticati più per una sconfitta sul campo dell’egemonia, che su quello faticato dell’angosciosa elaborazione teoretica. Basta toccare un tema nevralgico gentiliano per accorgersi come Spinoza, Hegel, Kant, Bruno, Pomponazzi, Leopardi, la tradizione risorgimentale, Capponi, Rosmini, Gioberti, Spaventa (in Gentile si tace il nome di Nietzsche) non siano suggestioni teoretiche, esclusivamente sue, quanto tensioni epocali che finiscono per fare emergere, in tutta la sua tragica antinomia, il rapporto tormentato tra religione e razionalità. Tale costatazione prende luce e significato se si pongono accanto all’attualismo - non frutto irrelato di purezza teoretica - proprio gli antistoricismi di Rensi e Martinetti: filosofi differentissimi tra loro RESOCONTO nella sostanza e negli approdi, ma per altri versi egualmente emblematici e parimenti indirizzati verso il dualismo. Tanto per l’uno, quanto per l’altro c’è una realtà trascendente il pensiero. Per Rensi, tale realtà è la natura impassibile (materia), da un lato, e la storia, irrazionale, caotica dall’altro: entrambi entità agitate dal perenne divenire che, leopardianamente, si risolve in “essere per la morte”. Per Martinetti tale realtà è spirituale e il pensiero - al di fuori del fluire della storia - la coglie solo se si estranea dai fondamenti dai quali l’uomo è dilaniato. Entrambi sono perciò dualisti; ma nell’uno trascendente è lo spirito, nell’altro la materia, ottusa, illogica, caotica e, per la ragione, assurda. Il rapporto allora tra Gentile e la “filosofia dell’Occidente” è sì diretto, vissuto sui testi di Hegel e di Marx, e non rimanda di necessità alla lezione scolastica di Donato Jaja (come ci ha spiegato una volta per tutte Garin), ma resta ugualmente condizionato sul piano storico da due fattori fondamentali: la crisi del positivismo, che attraversa il pensiero europeo da Nietzsche a Simmel, e la revanche cattolicospiritualistica, intesa soprattutto in Italia. Di una tale condizione storica, tutte le relazioni leccesi - laddove toccavano il cuore della riflessione gentiliana - hanno offerto elementi per un approccio rinnovato e fecondo. Giovanni Gentile: nato a Castelvetrano il 30 maggio 1875; ucciso a Firenze il 15 aprile 1944. Fra queste due date scorre, oltre alla vita del filosofo, quel filo conduttore che indicherà il destino dell’Italia. Un’Italia posta nel dramma delle guerre mondiali, nella lotta e nella tensione della ricostruzione; un’Italia che vive l’esperienza fascista e poi ancora è provata dall’estenuante resistenza per la liberazione. Gentile “vive” nel quadro di una nazione spinta dagli eventi, delineandone i contorni ed intrecciandovi la sua esperienza umana e filosofica. Egli parte dalla Sicilia, ricco della lezione Illuminista tesa verso il Positivismo, e va incontro alla cultura del “continente”, romantica e spiritualista, per porre le basi al suo pensiero. E nella sua permanenza pisana, alla Scuola Normale, trae spunto dall’insegnamento di maestri come D’Ancona, Crivelluci e Jaja, per la sua formazione storico-estetica. Da un panorama nazionale Gentile si apre ora ai problemi di un pensiero “totale”, rifacendosi al concetto di “circolazione delle idee” che va delineando attraverso il bagaglio culturale che gli viene più direttamente da Rosmini, Gioberti, Campanel- la, Bruno e Spaventa; si protende quindi verso Kant, e naturalmente Hegel, conformando il suo pensiero nel concetto di Neoidealismo. Così, al suo primo impegno filosofico, analizza Marx attraverso il confronto hegeliano, che si configura nella filosofia della prassi, tanto da dar vita ad un acceso dibattito con l’amico Benedetto Croce. Ma Hegel è per Gentile anche e soprattutto il fondamento del suo pensiero attualistico; recepisce il concetto di logica hegeliana e lo fa suo, pur superandolo in quel passaggio che rientra nella dottrina dell’atto, che dall’ortodossia hegeliana diviene eterodossia e quindi forma del pensiero gentiliano, che nel suo divenire si pone addirittura come “riforma della dialettica hegeliana”. Lo studio gentiliano di Hegel (filtrato attraverso Bertrando Spaventa) si configura già fin dalla sua prima critica al filosofo tedesco, sino a giungere alla sua opera più organica Teoria generale dello spirito come atto puro (summa del suo pensiero teoretico). Il suo “pensare” conduce Gentile ad analizzare la realtà, che non considera come fenomeno alieno, ma come conseguente allo spirito dell’uomo e quindi facente parte della storia, tanto da esprimere in Genesi e struttura della società il concetto umanistico di storia e destino dell’uomo nel mondo sociale. Lo stesso mondo in cui egli stesso si pone quale organizzatore di cultura, attraverso L’Enciclopedia italiana, e quale pedagogista, tanto da permettere al suo pensiero di sfidare il tempo rientrando nel concetto di universalità. Così Gentile si pone come iniziatore, all’interno del neoidealismo, di quell’impianto culturale novecentesco che ci appartiene e che ci impone di ricollocare il suo pensiero entro la nostra storia, che si basa sull’equità. R.Ia. Gentile interprete di Hegel e Marx. Sulla base di queste considerazioni, e alla luce delle riflessioni e ulteriori prospettive di ricerca sollevate dai convegni e dagli incontri in occasione del cinquantenario della morte di Giovanni Gentile, Roberto Iasiuolo ha rivolto una serie di domande e spunti di riflessione a Annamaria Camizzi, Hervé Cavallera, Antimo Negri, Carlo Sini, e Michele Del Vecchio, che hanno cortesemente accettato di rispondere. ritiene di dover verificare la validità filosofica del materialismo storico che, per questo, si presentava in certo qual modo concorrente dell’indirizzo spaventiano. Trattandosi di una dottrina con radici hegeliane che si presentava come “promessa per l’avvenire”, come movimento di pensiero che si prefiggeva di mutare il mondo, dimostrarne l’erroneità dal punto di vista filosofico equivaleva a renderla incapace di promuovere qualsiasi cambiamento della società. Camizzi. Le interpretazioni di Hegel e di Marx si presentano nel pensiero di Gentile strettamente congiunte. E non tanto per l’hegelianizzazione di Marx, operata da Gentile, quanto per il problema politico che stava a fondamento della lettura dei due filosofi (non è un caso che i saggi sul materialismo storico verranno ripubblicati nel 1937 in appendice ai Fondamenti della filosofia del diritto) oltre che per la originalità con cui viene affrontato il loro pensiero. Far penetrare Hegel in Italia - seguendo la lezione di Spaventa e quindi di un Hegel certamente non accademico, a differenza delle correnti interpretazioni di fine secolo - significava far penetrare l’autentico spirito filosofico e quindi costituire l’unità della nazione. La circolazione del pensiero filosofico, la riforma della dialettica e la proposta di una filosofia dell’esperienza che anticipa l’identità di teoria e prassi sono i temi spaventiani, fatti propri da Gentile. Ora, incontrando una coincidenza di vedute tra Spaventa e Marx sul concetto di prassi, Gentile Cavallera. Giovanni Gentile è stato certamente colui che più ha portato a compimento il messaggio di Hegel e di Marx. Questo va detto non soltanto per gli indubbi meriti che come storico della filosofia Gentile ha acquistato per i suoi contributi su Hegel e Marx, ma per il fatto che egli ha inverato il pensiero dei due filosofi germanici attraverso una filosofia che non è mera interpretazione del reale, né mera filosofia della prassi. La filosofia del Gentile è infatti “interpretazione/costruzione” del reale. In altri termini, l’attualismo è, vuole essere, teoria e prassi insieme; non una pura teoria dell’atto, bensì una teoria 10 RESOCONTO che si fa prassi, che è prassi. Ciò spiega assai chiaramente sia la “vocazione” storica del Gentile, che quella politica. La teoria attualistica, infatti, è tale in quanto interpretazione dello svolgimento storico e al tempo stesso militanza nel tempo (politica). Gentile legge Hegel e Marx da filosofo e ne sviluppa gli intenti espliciti ed impliciti. Non si tratta, dunque, di una lettura asettica, filologica, come può piacere a tanti studiosi d’oggi, ma di una lettura che è un “far proprio”, uno “sviluppare”. Gentile effettivamente parte da Hegel e Marx (ma altresì - è bene sottolinearlo con forza - da Bruno e Spinoza) per svolgere un pensiero che è continuità storica, ma al tempo stesso innovazione. Gentile sa bene che intendere i problemi di un filosofo significa andare oltre. Certo, egli non è un lettore maldestro; conosce molto bene le fonti e lo dimostra. Come storico è esemplare, ma non è solo uno storico. Da Marx, da Hegel, dai filosofi veri, egli ha insomma compreso che la filosofia non è una semplice descrizione, ma è azione. In questo si rileva fedele allo spirito dell’idealismo classico: la filosofia come azione e il filosofo, l’uomo, tutt’uno con l’azione, la quale è espressione del pensiero. Così Gentile fa “saltare” certi limiti della lettura hegeliana e marxiana del reale (la sistematicità e l’economicità) e risolve il tutto in una direttiva etico-educativa, che dà alla lettura della storia e al problema politico un senso più alto, più degno. Gentile davvero non si limita ad intendere l’uomo nel tempo, ma, pur non ignorando la realtà spazio-temporale, solleva la persona a quella dimensione etica che oltre a Hegel ricorda Fichte, o meglio Bruno e Spinoza. può e non si deve concepire, ed anzi immaginare, come l’ultima impresa del pensiero, propria dello stadio ultimo della storia degli uomini. Sini. Si suole ripetere che Gentile, attraverso Hegel, torna a Fichte; ma la vera chiave per intendere Gentile, come ha mostrato di recente Vincenzo Vitiello (cfr. Bertrando Spaventa e il problema del cominciamento, Guida, Napoli 1990) è da ravvisari in Bertrando Spaventa. E’ Spaventa che, anche alla luce delle critiche di Kuno Fischer e di Trendelenburg, interpreta la prima triade della logica hegeliana (essere, nulla, divenire) come contrasto originario fra attività resa possibile dal nulla e passività dell’essere. Di qui la spaventiana “metafisica della mente”, che Gentile, si potrebbe dire, radicalizzò oltre la metafisica. Mi sembra allora evidente che Spaventa e Gentile lessero Hegel “kantianamente” (cioè portando sino in fondo la “rivoluzione copernicana”) e “aristotelicamente” (radicalizzando il rapporto potenzaatto e materia-forma), dando gran rilievo a quella prima triade che per Hegel è solo il più astratto e incompleto dei cominciamenti. Ciò destinò entrambi ad una conclusione mistico-panteistica, la quale lasciava incompiuta quella immanenza assoluta che il neoidealismo si proponeva di attingere. Questa fu la critica, tanto acuta quanto poco intesa, che Giovanni Emanuele Barié rivolse a Gentile e alla sua lettura di Hegel (cfr. L’Io trascendentale, 1948; Il concetto trascendentale, 1957). E in effetti il neohegelismo italiano, considerato da un punto di vista speculativo, si conclude con Barié, il quale peraltro, da buon discepolo di Martinetti assieme a Banfi, non era a sua volta esente da una componente kantiana. Tutto questo significa ai miei occhi, che il vero erede di Hegel fu Marx, in quanto, per dirla in fretta, intese lo spirito hegeliano come doveva essere inteso, e cioè come prassi e non come “pensiero” o “soggettività” (prevalentemente così lo legge invece ancora Heidegger). Gentile vide a sua volta in Marx una premessa della sua identificazione di pensiero ed azione, dove però l’accento cade sempre sul primo termine (anche il pensiero è azione) e mai conduce ad una reale resa dei conti con la natura effettiva ed originaria dell’azione, che resta pertanto irrazionalisticamente intesa, come mostra il seguito gentiliano di Ugo Spirito. Negri. E’ diffuso il convincimento che non c’è, oggi, filosofia che non si riduca ad un’ermeneutica, cioè ad un’interpretazione che suppone dei testi, magari dei grandi testi, filosofici e non puramente tali, da interpretare. Nel caso specifico, l’attualismo gentiliano è, certo, anche un’ermeneutica, un’interpretazione di testi di Hegel e di Marx. Non solo questa, però, e per di più presunta la più “obiettiva” possibile, è l’attualismo, almeno se la lettura gentiliana di Hegel e Marx è condotta facendo valere energicamente le istanze dell’orizzonte culturale dal quale non è sempre possibile, posto anche che lo si voglia, restituire i testi che si leggono ad una loro intatta, originaria fisionomia. “Hegeliano”, allora, è Gentile, ma non fino al punto di non obiettare a Hegel (“neohegeliano” quindi) che il “divenire” non può e non deve essere fatto “precipitare” in un “risultato fisso”, per ciò stesso decretando la fine della storia e celebrando una terminale situazione paradisiaca in cui il tempo e l’eterno coincidono. Se questo è vero - e quaranta anni di studi dedicati a Gentile mi persuadono che è vero - si può comprendere perché l’attualismo realizza una “riforma” della dialettica hegeliana, attraverso la quale, più coerentemente che attraverso il “rovesciamento” di essa operato da Marx, un “autore” fondamentale di Gentile, perviene alla più decisa affermazione che la “soluzione dell’enigma della storia”, fatta consistere nell’identificazione perfetta dell’uomo (soggetto) e della natura (oggetto), e cioè nel comunismo (pendant ideologico della fine del cammino di Dio nella storia), non si Gentile ed il problema della metafisica nel pensiero delle filosofie idealistiche e postidealistiche del ‘900. Camizzi. L’attualismo si caratterizza per essere la forma più rigorosa di idealismo: idealismo “senza le idee”, come è stato detto. In esso la realtà esiste solo come pensiero in atto, come coscienza “attuale”; pensiero in atto che esaurisce la realtà. Gentile sostituisce alla metafisica oggettivistica dell’essere esterno al soggetto la metafisica dell’atto del pensiero creatore della realtà. Si giustifica così il fascino esercitato dalla filosofia gentiliana, che soddisfa al massimo le esigenze dell’individualità e della concretezza, facendola coincidere con l’universalità; la vitalità di questo pensiero che si è manifestata nelle dottrine diverse e talora opposte degli “scolari”; il suo permanere all’interno della filosofia italiana in modo 11 RESOCONTO esplicito o implicito fino ai giorni nostri. Da più parti ormai la si riconosce come precorritrice delle tesi avanzate dalle filosofie contemporanee, in particolar modo dei sistemi di pensiero critici della scienza intesa in senso positivistico. accademico invecchiato del linguaggio, è in realtà un tema che pone Gentile al vertice del pensiero idealistico e postidealistico del ‘900. Come ha mostrato Francesco Saverio Chesi (Gentile e Heidegger. Al di là del pensiero, Egea, Milano 1992), Gentile non è in alcun modo un passo indietro rispetto a Heidegger, ma ne frequenta a suo modo il medesimo orizzonte problematico. Per questa ed altre ragioni è giusto dire che Gentile è una delle massime personalità filosofiche del nostro secolo. Che ciò non risulti sul piano delle valutazioni pubbliche più diffuse, dipende da varie cause. Oltre al linguaggio ancora ottocentesco di Gentile (molto peggiorato dai suoi continuatori e interpreti, che spesso l’hanno ridotto ad un astruso gioco di parole), c’è il fatto che Gentile, essendo italiano, esercitò scarsa influenza in un mondo culturale dominato dai tedeschi, dai francesi, dagli inglesi e dai loro idiomi. Infine ci furono i suoi errori e le sue disgrazie politiche, seguite a un’egemonia culturale in Italia soffocante e non certo atta a generare simpatia o comprensione in chi pensava diversamente da lui. Ora, però, sarebbe tempo di ripensare a fondo l’operazione gentiliana. Per quanto mi riguarda, sarei pronto a riconoscere che i caratteri di intrascendibilità e di immanenza che Gentile attribuisce all’atto del pensiero corrispondono largamente, e non a caso, ai caratteri di ciò che io chiamo “pratica”. Naturalmente ci sono anche delle differenze importanti. La mia etica del pensiero non può accettare la riduzione della natura, dell’arte e del pensiero stesso alla pratica del pensare filosofico, cioè “alla filosofia e alla sua storia”, come dice Gentile. Parlo anzi di etica della scrittura proprio per contestare questa tesi (che non è solo di Gentile, ma che mi sembra condivisa dalla maggior parte dei filosofi contemporanei, anche se non ne sono consapevoli). Cavallera. La filosofia di Gentile è metafisica; metafisica come risposta alla domanda che cosa è la realtà. Ma è una risposta che è insieme costruzione della realtà, In questo sta la sua originalità rispetto alle altre filosofie del Novecento. Il suo concetto di metafisica, infatti, non è quello tradizionale di studio dell’Altro, del totalmente Altro. Ciò spiega la diversità dell’attualismo rispetto a posizioni filosofiche più tradizionaliste (pensiamo, ad esempio, al neotomismo del primo ‘900). Né è tanto meno, in quanto pensiero metafisico, vicino al cosiddetto “pensiero debole”, proprio dei nostri giorni. La posizione di Gentile ha una sua peculiarità, la quale consiste nell’intendere la metafica come “partecipata” spiegazione del senso del reale. Di qui la sua critica alle filosofie dogmatiche che intendono l’Altro come infinitamente distante dall’io; di qui la lontananza dell’attualismo da ogni filosofia ridotta a filologia, a distaccata soluzione di problemi, come se i problemi che si affrontano non siano i propri problemi. In questo Gentile è un punto di riferimento con cui ci si deve confrontare, in quanto espressione di una alternativa tra i due poli del dogmatismo e del pragmatismo. Negri. Se per problema della metafisica si deve, come si può, intendere un problema formulabile nei termini “che cosa è l’essere in sé e per sé”, al di là (meta) di ogni contaminazione relativistica con il tempo o la storia, può ben convenire che l’attualismo, per la sua insistita assunzione che l’essere non si dà mai in sé e per sé, giacché è pur sempre quello di un pensiero inteso come prassi conoscitiva (nozione marxista), ritiene improponibile il problema o, certamente, insolubile, sino a persuadere della fine della stessa metafisica o, più esattamente, della metafisica ontologica. Ciò non toglie che l’attualismo, proprio perché non assolutizza alcuna prassi conoscitiva (o “atto”), si umilia nella drammatica consapevolezza che, per l’uomo, c’è sempre una carenza di assoluto, rinviando costantemente ad un essere che trascende il pensiero. Quanto basta per sostenere che l’attualismo non si esalta come un immanentismo assoluto. Di qui, anche, la possibilità di ridurlo, pur quando maggiormente verte sulla inevitabile storicità o temporalità dell’essere (il che ha permesso l’accostamento di Gentile e Heidegger), a qualsiasi forma di idealismo pervicacemente antitrascendentistico e, ciò che più conta, a qualsiasi forma di “pensiero postmetafisico”, almeno se l’orizzonte dell’essere “in sé e per sé” dall’attualismo non è visto offuscato alle spalle, ma splendente di vividi colori davanti agli occhi di ogni uomo che, pur quando esso sembra una fatica di Sisifo, ha la forza di non sottrarsi al lavoro, giacché di questo da ultimo si tratta, del pensiero dell’essere (genitivo oggettivo). La storia della filosofia italiana, letta alla luce del pensiero gentiliano. Camizzi. Non si può intendere la storia della filosofia italiana di Gentile se non si tien conto dell’esperienza da questi vissuta come normalista a Pisa, dove era ancora vivente e operante, attraverso i suoi Maestri, l’esperienza del Risorgimento. Compiuta l’unità politica era necessario portare a compimento l’unità spirituale: bisognava “fare gli italiani”, dare loro una coscienza nazionale, attraverso il recupero della tradizione filosofica della nazione. A questo compito si accinge Gentile, seguendo la linea additata da Bertrando Spaventa. Partendo dal principio che storia della filosofia è quella che si fa alla luce del grado di consapevolezza filosofica raggiunta nel proprio tempo, che riassume in sé tutto il passato e dà significato allo stesso, Gentile ricostruisce la storia della filosofia italiana alla luce del suo incipiente attualismo come un cammino necessario verso l’immanenza. E nel cammino a ritroso si spinge anche oltre il Rinascimento, affermando che già nella filosofia Scolastica si avverte questa esigenza, anche se non può trovare svolgimento essendo priva degli strumenti necessari. Si tratta insomma di una ricostruzione che si muove nel segno del precorrimento. Una storia speculativa della nazione che Sini. Il primato dell’atto del pensiero affermato da Gentile, nonostante molte ambiguità terminologiche e il tono 12 RESOCONTO si muove parallelamente alla storia politica d’Italia e che nella sua formulazione finale, appunto l’Attualismo, rappresenta la legittimazione della stato unitario nato dal Risorgimento. coerenza gentiliana, è anche la fenomenologia con la sua nozione di “intenzionalità”, in forza della quale non si dà mai irrelato l’oggetto rispetto al soggetto, il mondo rispetto all’uomo; o quello di poter accostare, come già si accennava, Gentile e Heidegger (il cui Cavallera. E’ frequente l’affermazione che Gentile, “nazismo” è tutt’altra cosa che il “fascismo” gentiliaattraverso Bertrando Spaventa, forza la storia della filo- no) per la loro comune ricerca, non destinata a finire, sofia. Il che è inesatto. In primo luogo occorre dire che di un essere originario perduto; una ricerca, tuttavia, Gentile è un grande storico della filosofia italiana (e non condotta dall’uno con con la valutazione più “positisolo italiana) non solo per le innegabili capacità di va”, dall’altro con il deprezzamento più “negativo” approccio teoretico, ma anche per le solide basi erudite e del tempo o della storia; o quello di poter individuare metodologiche che egli apprese alla scuola di D’Ancona. il lievito ermeneutico dell’attualismo, più persuaso che, se un essere c’è, fosGentile è uno storico-filose anche solo un testo posofo, ossia capace non solo etico, esso è anche (non di ricostruire la storia del solo) l’essere coinvolto pensiero, ma anche di innella prassi conoscitiva di terpretarla. Pertanto la genun uomo che gli si accosta tiliana storia della filosofia sempre in situazioni culitaliana è più di un affresco; turali diverse. è una lettura unitaria del cammino del pensiero. Non Un ultimo appunto. L’atè una storia di accidenti tualismo è stato sempre casuali, ma è una storia che accusato di non aver ha un senso, l’unica che “compreso” la scienza. può interessare. Per queSenonché la scienza, che sto, ancora oggi, le opere l’attualismo non avrebbe storiche di Gentile si leg“compreso”, è la scienza gono con profitto. di tipo positivistico, orgogliosa di fornire proposizioni universali ed ogNegri. È opportuno, per gettive. Il concetto attuauna risposta criticamente listico di prassi conosciticostruttiva, gettare uno va non autorizza a ritenesguardo, pur rapidissimo, re tali queste proposizioalle “cronache”, più che alla ni, anche quella della “storia” della filosofia itascienza naturale. Quando, liana degli anni che comincon l’ “importazione” delciano con la fine della sele filosofie della scienza, conda guerra mondiale e la soprattutto dall’area culcaduta del fascismo. Quale turale di lingua anglosasfilosofia, questa? Si deve sone, il dibattito episteconvenire (di fatto si è conmologico è diventato più venuto) che, nell’arco dei di moda nel nostro Paese, cinquanta anni trascorsi si è potuto constatare, ad dalla morte di Gentile, non esempio, che l’attualismo si è registrata un’originale Giovanni Gentile alla redazione del Resto del Carlino (1918). e il razionalismo critico produttività teoretica nella Giovanni Gentile e la scuola di filosofia di Roma (1992). popperiano convergono nostra cultura filosofica. Il fenomeno più vistoso che si è potuto osservare è ben almeno su un punto: non c’è proposizione scientifica questo: si sono “importate” innumerevoli filosofie da che non abbia una validità storica e non assoluta. altre aree culturali (dalla fenomenologia all’esistenzialismo e all’ermeneutica, dal neopositivismo al raziona- Sini. Si dice molto male della superficialità o addiritlismo critico). Bene. Proprio mentre Gentile sembra- tura indifferenza storiografica di Gentile. Essa innestò va “cane morto”, o da “far morire” a qualsiasi costo indubbiamente un costume poco raccomandabile e come il filosofo “provinciale”, per altro responsabile fuorviante in molti continuatori e discepoli. Resta di aver coperto ideologicamente il fascismo, passati però il fatto che il vigore speculativo del ripensamento gli esorcismi acritici e falliti molti tentativi di innova- gentiliano della tradizione filosofica italiana è rimasto zione speculativa, sono cominciate le più impensabili ineguagliato. Non si tratta infatti di opporre storiogracommisurazioni critiche tra attualismo e molte tra le fia (o storia delle idee) e filosofia teoretica, come si è filosofie “importate”. fatto per anni, alimentando polemiche non sempre I risultati? Quello, ad esempio, di trovare che una equilibrate e disinteressate. Si tratta del fatto per cui la forma di idealismo, forse nemmeno sviluppato con la pratica storiografica non ha le stesse ragioni della 13 RESOCONTO sunto la responsabilità di esserlo. Che questo sia vero, può dedursi dalla stessa nozione attualistica di prassi conoscitiva. Allo stesso modo in cui questa non presume mai di risolvere definitivamente l’essere nel pensiero, così la prassi etico-politica è concepita da Gentile come quella che non confonde mai lo Stato, quale è, con lo Stato quale deve essere. «Lo Stato nella sua essenza spirituale è sempre e non è mai»: è una proposizionesentenza di Genesi e struttura della società (1943), il testamento morale e speculativo di Gentile. Lo Stato fascista resta, nella coscienza di Gentile, lo Stato che “è”, ma non si è realizzato nella sua “essenza spirituale”. Sì, quello di Gentile è “fascismo-movimento”; e non avrebbe potuto esserlo, se avesse fatto coincidere, più o meno hegelianamente, lo Stato esistente con lo Stato nella sua “essenza spirituale”. Non ci si può nascondere, intanto, che il termine “spirituale” può prestarsi ad una interpretazione equivoca. Ma questo rischio non si corre non appena per Stato, nella sua “essenza spirituale”, s’intenda, come deve intendersi, lo Stato nazionale. Uno Stato, questo, al quale Gentile guarda attraverso Manzoni e Mazzini. Certo, con un’attitudine anche “pedagogica”, quella stessa che lo induce a pensare non tanto ad una “istruzione pubblica”, quanto piuttosto ad una “educazione nazionale”. Da questo punto di vista si può anche rivisitare criticamente la nozione gentiliana di “unità”: una “unità”, si badi, non misticheggiante, volta, certo, a promuovere uno Stato come organismo unitario e nazionale, ma non a stingere, per ciò stesso, le “distinzioni” (culturali, regionali ecc. ). Bisogna tenerne conto, in un momento storico in cui è alto il pericolo di uno smembramento “localistico” (e si dovrebbe dire “materialistico”) del nostro Paese, nel quale l’uomo - il gucciardano “uomo del particolare”, fornito del “carattere” che gli assegna Leopardi - resta pur sempre eticamente da “formare”. Si può concludere: l’attualismo, per sua intrinseca natura speculativa, per la tensione costante verso l’ “essere” che lo caratterizza, non può “assolutizzare” il Potere e, certamente, non celebra il Palazzo, se questo è il pendant etico-politico del “pensiero pensato”. pratica filosofica. La loro reciproca riduzione, dalla prima alla seconda, o viceversa, è un non-senso. Lo Stato, il potere e la pedagogia come atto e prassi della formazione dell’uomo nel pensiero del filosofo Gentile. Camizzi. Pedagogia e filosofia, come noto, fanno per Gentile tutt’uno. Ed è significativo che la sua prima “appassionata” opera sistematica sia proprio il Sommario di pedagogia, scritto in un momento di particolare preoccupazione per la propria salute, con la sensazione di dover mettere in quelle pagine tutto il suo pensiero. E proprio in questo testo si avverte chiaramente come filosofia, pedagogia e politica siano strettamente congiunte. La scuola infatti, che è tale solo in quanto è vita dello spirito, è lo strumento attraverso cui si forma la vita spirituale della nazione. E quindi è uno strumento “politico”, che deve essere gestito dalla Stato etico, espressione della vita morale dei cittadini, formatisi attraverso la scuola “governata dalla filosofia”. Per Gentile, l’unità di maestro e scolaro che si deve verificare nella scuola, se si vuole che sia scuola, è la stessa che si deve verificare nella vita civile tra stato e cittadini, se si vuole essere una nazione. Cavallera. E’ chiaro che tutta la filosofia di Gentile, come già rilevava Ugo Spirito, deve leggersi come etica, o meglio pedagogia; l’atto, infatti, è autoformazione; un’autoformazione che naturalmente non solo investe il singolo individuo, ma tutta la realtà di cui l’individuo fa parte, anzi che costruisce. E’ proprio l’intrinseco carattere educativo a spingere il filosofo nella politica, affermando in quest’ultima il primato dell’etica. E’ proprio l’identificazione di filosofia e pedagogia a legittimare, diversamente da altre filosofie, la politica come dimensione del bene comune e non dell’utile di parte. Non si può capire l’impegno di Gentile come organizzatore di istituti culturali, come legislatore, come uomo politico, se non si comprende che l’attualismo è insieme filosofia e pedagogia. Ne segue che la concezione gentiliana dello Stato è quella di uno Stato che ha autorità in quanto questa è riconosciuta, ossia fatta propria, inverata. In questo il suo pensiero, per chi, paradossalmente, ha una visione precostituita del fascismo gentiliano, è un ribadire la necessaria “partecipazione” responsabile, e quindi libera, alla vita dello Stato. Il grande progetto per il quale Gentile impegnò tutta la sua esistenza era appunto quello di una formazione della persona e della società che superasse il mero individualismo. Figlio dell’esigenza unitaria del Risorgimento, Giovanni Gentile sentiva assai vivo il dovere di una formazione civile. L’attualismo è pertanto una filosofia “forte”, che sa ancora parlare ai giovani. Sini. Domanda assai complessa, che richiederebbe una troppo lunga risposta. Preferisco rinviare al libro di Salvatore Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo (Bollati Boringhieri, Torino 1989), che imposta finalmente il problema al giusto livello di comprensione e perviene a valutazioni che in larga misura condivido. I filosofi italiani pro e contro Gentile. Del Vecchio. Il lungo arco di tempo trascorso dalla scomparsa di Giovanni Gentile ha decantato molte indagini critiche sull’attualismo ed ha consentito l’avvio di ipotesi interpretative più attente alla comprensione delle ragioni di appartenenza di questo indirizzo di pensiero all’orizzonte culturale del Novecento. Gli studi di Antimo Negri, di Augusto Del Noce e di Salvatore Natoli convergono, da differenti percorsi di lettura, nel riconoscimento di incidenza e significatività teoretica alla im- Negri. Non credo che possa continuare a pesare sull’attualismo l’accusa che esso ha, come si diceva, coperto ideologicamente il fascismo. E, in verità, se di un fascismo è stato, il filosofo Gentile, lo è stato del “fascismomovimento” e non del “fascismo-regime”, che si è as14 RESOCONTO ponente architettura concettuale del filosofo dell’atto come teoria generale della natura (e non solo dello puro. I problemi che nel secondo dopoguerra sottendono spirito) che innerva le componenti umanistico-rinascila “questione Gentile” sono sostanzialmente due: il pri- mentali e baconiane in una visione anticontemplativa e mo concerne il rapporto tra fascismo e attualismo e le organicistica, valorizzante la sensibilità e che ha nella implicazioni tra questo indirizzo filosofico e quel potere teoria rosminiano-gentiliana del sentimento il raccordo politico. L’altro problema pone in discussione il profilo tra uomo e mondo, tra pensiero e corpo. teoretico dell’attualismo, imputato di provincialismo L’opera a cui Augusto Del Noce stava lavorando al culturale, di incomprensione delle importanti correnti termine della sua vita è dedicata a Gentile. Essa conclude filosofiche di questo secolo, di arcaismo e arretratezza. il lungo dialogo-confronto del filosofo cattolico con il Antimo Negri, instancabile studioso del pensiero del filosofo dell’atto puro, da cui molte convinzioni lo sepafilosofo siciliano, ha dedicato buona parte delle sue ravano, ma che avvertiva anche, per alcune importanti energie a contrastare la divulgazione di deformanti topoi consonanze, particolarmente vicino alla propria sensibie a ribaltare ricorrenti prelità culturale. Li allontanagiudizi sull’opera di Gentiva inesorabilmente l’orizle. L’esplicitazione delle zonte trascendente dell’uno valenze positive implicite e il radicale immanentismo nell’attualismo richiede la dell’altro e si contrapponedecostruzione del paradigvano nella personale adema della “dittatura dell’idesione alle vicende storiche alismo”, che opera e scandell’Italia contemporanea, disce una rigida periodizovvero nella loro appartezazione della cultura italianenza agli opposti fronti na. Per restituire ricchezza dell’antifascismo e del faal pensiero gentiliano, Nescismo. Ma avevano engri procede alla rivisitaziotrambi un comune modo di ne di rilevanti nuclei teorisentire la vincolante coeci: il rapporto soggetto-ogrenza tra pensiero e azione. getto, la concezione della Le tesi di Del Noce hanno natura e il significato della un respiro epocale, poiché scienza, l’umanesimo del intendono l’attualismo e il lavoro. Alla ricorrente acsuo fondatore come il puncusa di ipertrofia del sogto culminante, e non oltregetto e di annullamento delpassabile, del pensiero mol’alterità del reale, Negri derno e dunque come parareplica valorizzando il condigma di altissima significetto gentiliano di “cognicanza per esplorare gli esiti zione come prassi” che, speculativi e politici del avviato dallo studio giovapensiero dell’immanenza. nile su Marx, approda, ben Del Noce presenta il suo al di là di Gentile, alle moprocedimento di ricerca dalità di ricezione del come “interpretazione tranmarxismo teorico in Italia. spolitica della storia conQuesta categoria della filotemporanea”, ossia analisi sofia dell’atto puro nega delle essenzialità ideali e ogni forma di realismo infilosofiche della storia, che Giovanni Gentile direttore dell’ Enciclopedia Italiana (1939) genuo e afferma il carattere possono dar conto dei conprocessuale e costruttivo creti sviluppi politici e sodel pensiero come formazione di senso nella infinità ciali. Nella prospettiva “transpolitica” l’attualismo rapvarietà del mondo e come fondazione di una positiva presenta il compimento del processo di secolarizzazione; correlazione con il reale che mantiene - e Negri lo e proprio questo carattere ultimativo del pensiero di sottolinea ripetutamente - caratteri di consistenza e soli- Gentile non consente quelle forme di “inveramento” e di dità. La riflessione gentiliana sul lavoro e la realizzazione sincretismo che potrebbero in qualche modo riassorbirlo di un umanesimo integrale di matrice spiritualistica sono e proseguirlo. Esso termina con uno scacco, con una tematizzati, nel recente studio che Negri ha dedicato al sconfitta analoga a quella del pensiero di Marx, di cui filosofo siciliano, come quotidiana fatica del pensiero, l’attualismo rappresenta, per più di un motivo, uno svolnegazione di ogni forma di quietismo e di fissità, come gimento, una espansione: è la tesi delnociana del “suiciincorporarsi dell’uomo nel mondo: è un commento criti- dio della rivoluzione”, è il presupposto per sostenere che co che prelude alla discussione sull’interpretazione at- Gramsci incontrò Gentile, anziché Marx. Il rapporto tualistica della scienza e della natura. Ben lungi dall’es- Gentile-fascismo è un passaggio obbligato e centrale sere un’arcaica sovrastruttura ideologica del mondo prein- nell’interpretazione avanzata del filosofo cattolico. L’adedustriale, la filosofia di Gentile viene intesa da Negri sione al fascismo fu necessitata dalle essenze filosofiche 15 RESOCONTO dell’attualismo, dalle istanze di riforma civile e religiosa (di una religione immanentistica), che sottendono il pensiero del filosofo siciliano a cui il fascismo apparve come continuazione e compimento del Risorgimento, realizzazione della società in interiore homine, superamento delle antinomie dell’individualismo liberale. Ed è proprio questa confluenza all’interno dello Stato totalitario fascista di una abnorme dimensione di spiritualismo idealistico che contrassegna, secondo Del Noce, l’irriducibilità del fascismo alle altre forme di totalitarismo del nostro secolo: quella materialistico-dialettica (comunismo) e quella materialistico-biologica (nazismo). E’ l’interpretazione del fascismo come “errore della cultura” e non “errore contro la cultura”; tesi che Del Noce elabora nello studio dedicato a Giacomo Noventa. La lettura proposta dal filosofo cattolico non è condivisa da Antimo Negri che pur approvandone alcune valutazioni circa le potenzialità riformatrici dell’attualismo («La riforma gentiliana della dialettica non è una controriforma»), non può accoglierne le conclusioni, viziate da un ideologismo religioso, particolarmente evidente nella formulazione delnociniana sulla modernità. Tra il fascismo di Gentile e il fascismo effettuale, sostiene Negri, c’è uno scarto, una divaricazione spiegata con le categorie storiografiche di fascismo-movimento e di fascismo-regime. Anche per Salvatore Natoli è opportuna una riconsiderazione dell’attualismo che lo restituisca a quella pienezza di significati che eccede i giudizi fino ad ora formulati. Lo sfondo in cui Natoli colloca il pensiero gentiliano non è il Neoidelaismo italiano, stereotipo storiografico scarsamente produttivo, ma i grandi indirizzi speculativi europei: «Leggere Gentile in relazione a Husserl, a Heidegger e viceversa significa liberare uno spazio nuovo di riflessione e di discorso». La “questione Gentile” è innanzitutto questione filosofica e nel “Gentile europeo” si radicalizzano le istanze fondamentali della modernità: l’immanentismo, il soggettivismo, l’abbandono della verticalità della trascendenza. E’ una lettura che presenta importanti consonanze con quella delnociana sul tema della costituzione del Soggetto, nell’accostamento Gentile-Gramsci e nel rilievo riconosciuto all’interpretazione della filosofia di Marx. Infine, anche per Natoli l’attualismo approda ad una “dissoluzione” non dissimile, in fondo, allo “scacco” di Del Noce. L’asse GentileGramsci, sostitutivo di quello Gentile-Croce, è motivato dalla presenza di un cripto-attualismo del filosofo comunista, che può essere colto nel “movimento interno” del suo pensiero, in una consonanza, tra i due, nel diagnosticare la crisi italiana del dopoguerra e nell’accentuazione gramsciana del volontarismo e dell’attivismo. Su un altro terreno, invece, Natoli situa il confronto GentileHusserl ed è quello definito dalle tematiche soggettooggetto, in quanto il superamento attualistico della opposizione guadagna un risultato speculativo affine alla “intenzionalità” husserliana. La statura europea di Gentile incrocia Wittgenstein: il Verum et fieri convertuntur è prossimo alla prima proposizione del Tractatus, secondo cui «Il mondo è tutto ciò che accade», e interseca pure Heidegger su «quel passaggio comune che è la fine del moderno», dove si esplicita quella crisi, quella dissoluzione del regno hominis nel dominio neotecnico della contemporaneità. Opere complete di Giovanni Gentile Le opere complete di Giovanni Gentile sono pubblicate dalla casa editrice Le Lettere di Firenze. OPERE SISTEMATICHE I-II. Sommario di pedagogia come scienza filosofica (Vol. I: Pedagogia generale; vol. II: Didattica) III. Teoria generale dello spirito come atto puro IV. I fondamenti della filosofia del diritto V-VI. Sistema di logica come teoria del conoscere (voll. 2) VII. La riforma dell’educazione VIII. La filosofia dell’arte IX. Genesi e struttura della società. Saggio di filosofia pratica OPERE STORICHE X. Storia della filosofia (dalle origini a Platone: inedita) XI. Storia della filosofia italiana fino a Lorenzo Valla XII. I problemi della scolastica e il pensiero italiano XIII. Studi su Dante XIV. Il pensiero italiano del Rinascimento XV. Studi sul Rinascimento XVI. Studi vichiani XVII. L’eredità di Vittorio Alfieri XVIII-XIX. Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi (voll. 2) XX-XXI. Albori della nuova Italia (voll. 2) XXII. Vincenzo Cuoco. Studi e appunti XXIII. Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono XXIV. Manzoni e Leopardi XXV. Rosmini e Gioberti XXVI. I profeti del Risorgimento italiano XXVII. La riforma della dialettica hegeliana XXVIII. La filosofia di Marx. Studi critici XXIX. Bertrando Spaventa (in prep.) XXX. Il tramonto della cultura siciliana XXXI-XXXIV. Le origini della filosofia contemporanea in Italia (Vol. I: I platonici; vol. II: I positivisti; voll. III e IV: I neokantiani e gli hegeliani) XXXV. Il modernismo e i rapporti fra religione e filosofia OPERE VARIE XXXVI.Introduzione alla filosofia XXXVII. Discorsi di religione 16 XXXVIII. Difesa della filosofia XXXIX. Educazione e scuola laica XL. La nuova scuola media XLI. La riforma della scuola in Italia XLII. Preliminari allo studio del fanciullo XLIII. Guerra e fede XLIV. Dopo la vittoria XLV-XLVI. Politica e cultura (voll.2) FRAMMENTI XLVII-XLVIII. Frammenti di estetica e di teoria della storia (voll. 2) XLIX-L. Frammenti di critica e storia letteraria (voll.2) (in prep.) LI-LII. Frammenti di filosofia LIII-LIV. Frammenti di storia della filosofia (voll.3) (in prep.) EPISTOLARI I-II. Carteggio Gentile-Jaja (voll.2) III-VII. Lettere a Benedetto Croce (voll.5) VIII. Carteggio Gentile-D’Ancona IX. Carteggio Gentile-Omodeo X. Carteggio Gentile-Maturi (1899-1917) XI. Carteggio Gentile-Pintor (1895-1944) AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Biografia di Levinas Con il titolo: EMM AN U EL L EVI N AS (Flammarion, Parigi 1994) viene pubblicata in Francia, ad opera di MarieAnne Lescourret, la prima biografia di Levinas, uno dei pensatori più originali del panorama novecentesco. Nato a Kovno, in Lituania, nel 1906 da genitori ebrei, emigrato in Francia, testimone delle tragedie che hanno sconvolto questo secolo Levinas ha fondato la propria riflessione sull’etica, che non considera come «un ramo della filosofia, ma filosofia prima». Esegeta del Talmud, pensatore del giudaismo e soprattutto di una comunità spirituale tra giudaismo e cristianesimo, il filosofo è anche autorevole rappresentante della fenomenologia contemporanea, nonché primo traduttore francese di Martin Heidegger. Il volume consacratogli da Marie-Anne Lescourret permette di comprendere meglio l’unità della sua opera attraverso il racconto della vita e delle numerose amicizie. «Le guerre mondiali - e locali, il nazionalsocialismo, lo stalinismo e anche la destalinizzazione -, i campi di concentramento, le camere a gas, gli arsenali nucleari, il terrorismo e la disoccupazione, è parecchio per una sola generazione», scriveva Emmanuel Levinas in NOMES PROPRES (Nomi propri) nel 1976. La sua patria d’origine, la Lituania, stretta tra Ucraina e Polonia, colonizzata da quest’ultima a partire dal XVII secolo, poi assorbita dalla Russia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, era uno snodo al contempo etnico e culturale dell’Europa orientale. Lituani, polacchi, russi, ebrei, cattolici, luterani, ortodossi convivevano in un fragile compromesso. Come reazione, l’ebraismo lituano diede vita alla Haskala, una corrente socio-politica decisa a uscire dal ghetto senza arrivare però a una de-giudaizzazione. In essa si auspicava una lettura “illuminata” della Torah e del Talmud: «Chi è ignorante in materia scientifica resterà ignorante anche nelle scienze della Torah» - dichiarava il Gaon di Vilna, maestro di Haskala. Levinas è in un certo senso l’erede di questa tradizione; nonostante l’aspirazione verso nuove sintesi speculative, la fedeltà spirituale all’ebraismo lo ha preservato dagli esiti materialisti e positivisti di suoi celebri compatrioti, come lui emigrati in Francia negli anni ’20: Koyré, Kojève, Weil. E’ questa fedeltà a suggerire a Levinas la tematizzazione di una comunità umanista, in cui religione ebraica e cristiana si intreccino alla luce di una ragione intellettuale puramente profana; una filosofia della fede adatta alla fine del XX secolo, una sorta di razionalismo religioso in cui convergono fenomenologia e tradizione talmudica accanto ai furori eroici e metafisici del romanzo russo, di cui si era nutrita la sua adolescenza. Non bisogna, tuttavia, “cristianizzare” troppo Levinas, come invece tende a fare Lescourret: l’espressione “passione di Cristo”, con cui egli descrive il martirio delle vittime del genocidio nazista - tra cui suo padre, sua madre e i suoi due fratelli rimasti in Lituania -, ha un significato analogico, non ontologico. Ne l923, a diciott’anni, Levinas si reca a Strasburgo per seguirvi i corsi di filosofia: sotto la guida di Maurice Pradines, Henri Carteron, Charles Blondel e Maurice Halbwachs, legge Descartes, Pascal, Bergson. Malgrado l’ammirazione per i maestri, eredi della tradizione filosofica razionalista e positivista del XIX secolo, Levinas sente il bisogno di entrare in contatto con le nuove correnti filosofiche tedesche: il soggiorno a Friburgo, presso Husserl e Heidegger, lo influenzerà profondamente. Della fenomenologia, la sua opera conserverà soprattutto il metodo per accostarsi alle grandi questioni dell’esistenza. Inoltre, la “messa tra parentesi” del mondo costituirà, per Levinas maturo, una scuola di pazienza da opporre alla violenza della dialettica hegeliana. La sua traduzione francese dell’ultima Meditazione cartesiana di Husserl - quella relativa all’intersoggetività - per molti versi preannuncia la sua originale interpretazione dell’esteriorità e dell’alterità. Ma il filosofo di cui Levinas è stato 17 incontestabilmente il “traghettatore” in Francia è Martin Heidegger, al quale egli, peraltro, si legò d’amicizia. Levinas è stato anche il solo a tentare una spiegazione filoso fica dell’ad esion e d i Heidegger al nazismo: nel feticismo delle radici e dell’origine, egli individua un culto ben più pericoloso di quello della tecnica, tanto contestato da Heidegger e dagli heideggeriani. Al “sacro” heideggeriano, Levinas oppone il “santo”, “la verità nomade”; alla violenza della dialettica hegeliana, diventata quella dello Stato moderno, egli oppone l’apertura all’altro nell’infinito di una presenza differita, dunque pacifica. Sempre contro Heidegger, Levinas suggerisce di abbandonare l’ontologia a profitto dell’etica per pensare la relazione con l’altro. La giustizia viene sostituita alla verità come disvelamento. L’etica è l’evento eccezionale a partire dal quale gli uomini possono rompere con il loro “egoismo ontologico”: il nomadismo etico sarebbe ciò che può assicurare alla filosofia un avvenire dopo la catastrofe. Nel 1930 Levinas ottiene la cittadinanza francese; nel 1940 viene fatto prigioniero. Passerà tutta la guerra in un campo di prigionia per ufficiali, dove conoscerà Paul Ricoeur, legandosi a lui con un’amicizia destinata a durare fino ad oggi. La fedeltà nell’amicizia è un filo conduttore importante nella vita di Levinas che lo avvicinerà a personalità del calibro di Maurice Blanchot (conosciuto nel periodo della formazione a Strasburgo), Gabriel Marcel, Jean Wahl, ma anche Jacques Derrida, Vladimir Jankélévitch e Jean-Paul Sartre. Nel dopoguerra, Levinas intraprende l’insegnamento nella Scuola Normale Israelita Orientale di Parigi. Le sue letture talmudiche diventeranno celebri anche in ambienti esterni all’ebraismo e saranno riprese in parecchie sue opere in particolare in Quattro letture talmudiche. Alla fine degli anni ’50, inizia ad insegnare all’Università di Poiters, per passare a quella di Nanterre e poi, dal ’73 alla Sorbona, imponendosi, malgrado il carattere schivo, come uno dei pensatori più interessanti del nostro tempo. D.F. AUTORI E IDEE Georg Wilhelm Friedrich Hegel 18 AUTORI E IDEE Hegeliana La ripubblicazione dell’opera di Jean Wahl, LA COSCIENZA INFELICE NELLA FILOSOFIA DI HEGEL (pref. di E. Paci, trad. it. di F. Occhetto, Laterza, Roma-Bari 1994), uno dei classici della letteratura critica hegeliana, dedicato al rapporto tra il pensiero hegeliano e la cultura romantico-religiosa, richiama, per vicinanza tematica, due recenti studi critici, che affrontano, con una diversa prospettiva, un medesimo tema. Nel saggio LA DISCIPLINA DELL ’ANIMA. GENESI E FUNZIONE DELLA DOTTRINA HEGELIANA DELLO SPIRITO (Guerini e Associati, Milano 1993), Pietro Kobau ripercorre lo sviluppo dialettico dello spirito in Hegel, mettendo in evidenza la funzione dello spirito soggettivo all’interno del sistema hegeliano attraverso il confronto tra il pensiero del giovane Hegel con quello dello Hegel maturo. Lo stesso percorso viene ripreso anche da Francesca Menegoni nel suo studio, SOGGETTO E STRUTTURA DELL ’AGIRE IN HEGEL (Verifiche, Trento 1993), con il diverso obiettivo, però, di mostrare l’origine e la struttura dell’azione in rapporto alla questione della soggettività. Ancora in ambito di letteratura critica hegeliana, al tema dell’ontologia come principio della filosofia sono invece dedicati lo studio di Aldo Stella, IL CONCETTO DI “RELAZIONE” NELLA ‘SCIENZA DELLA LOGICA’ DI HEGEL (Guerini e Associati, Milano 1994), e quello di Paolo Valenza REINHOLD E HEGEL (Cedam, Padova 1994). SOGGETTIVO Dal 1951, anno della prima edizione in lingua francese, La coscienza infelice nella filosofia di Hegel costituisce uno dei più autorevoli commenti alla Fenomenologia dello spirito hegeliana. In questa sua opera, Jean Wahl individua il fondamento della filosofia di Hegel nell’elemento tragico, tipico dell’età romantica. La “coscienza infelice” costituisce la figura principale della Fenomenologia; da una parte è portatrice, in modo paradigmatico, della struttura triadica e dialettica, dall’altra rappresenta al meglio l’intreccio tra il pensiero romantico e la tematica religiosa, già presente, peraltro, negli scritti giovanili di Hegel. In quanto sintesi dell’Autocoscienza, la “coscienza infelice” rappresenta il superamento delle precedenti contraddizioni, componendo l’opposizione di signoria-servitù e di stoicismo e scetticismo per duplicarsi in una nuova opposizione, superiore alle precedenti e costitutiva dell’antitesi originaria. La scissione tra finitezza dell’uomo e infinitezza di Dio si pone, così, come l’autentica antitesi, motivo di dolore e lacerazione, ma, al tempo stesso, condizione necessaria per il raggiungimento della felicità. Lo struggimento e la lacerazione per la morte di Dio, divenuto uomo per l’uomo, oltre a determinare l’intreccio di romanti- cismo e teologia nella “coscienza infelice”, preludono ad una nuova opposizione. La “coscienza infelice”, ricorda Wahl, rappresenta, attraverso l’incarnazione di Dio, la vera mediazione dialettica tra il finito dell’uomo e l’infinito di Dio: non più totale identità, non più assoluta lontananza, ma separazione in cui il momento romantico della Sensucht (nostalgia) prelude ad una riconciliazione in cui la morte di Dio e la finitezza dell’uomo diventano momenti costitutivi della sintesi finale. La “coscienza infelice”, in ultima analisi, rappresenta il momento in cui l’individuo comprende la necessità della lacerazione tra finito e infinito per giungere alla sintesi conclusiva che si manifesterà nella ragione, momento della completezza e dell’assoluto. A.S. Oltre la figura tragica della “coscienza infelice” si dirigono gli studi di Pietro Kobau e Francesca Menegoni, che considerano lo spirito libero in Hegel come vertice di un lungo processo dialettico che, passando attraverso lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo, culmina nello spirito assoluto nelle sue tre fasi: arte, religione e filosofia. Il vertice è costituito dal pensiero filosofico che, come mostra Kobau, è totalmente svincolato dalle immagini sensibili e, come sottolinea Menegoni, è produttore di un’azione perfetta e compiuta che ha il suo significato e il suo fine in se stessa, non dipendendo da niente di esterno. In questo orientamento comune, i due autori si propongono tuttavia fini diversi. Kobau analizza la funzione che lo spirito soggettivo ha nella struttura generale del discorso hegeliano, mettendo in evidenza l’evoluzione del pensiero di Hegel da una iniziale adesione al mito di una razionalità perduta ad una posizione più matura, tesa a superare la scissione, come presupposto del filosofare, nell’idea di un’unità differenziata, sintesi delle inevitabili opposizioni. Menegoni si propone invece di mettere in luce la struttura costitutiva dell’azione all’interno del sistema hegeliano, fino a mostrare il suo carattere essenzialmente tragico, in quanto espressione di una continua lacerazione e di un perenne conflitto. Le diverse prospettive filosofiche tratteggiate dai due autori s’intrecciano però quando viene analizzato il movimento dialettico dello spirito, che si articola, all’interno dello spirito soggettivo, nella fase antropologica, fenomenologica e psicologica, e quando vengono delineati i tre momenti dialettici dello spirito assoluto. Entrambi gli autori ripercorrono il cammino evolutivo che conduce l’anima a farsi spirito libero, dispiegandosi in anima, coscienza e spirito attraverso il progressivo abbandono delle sue componenti naturali e sensibili. Il passaggio dal momento antropologico a quello fenomenologico avviene quando l’io assume il carattere di coscienza, incontrandosi con il mondo esterno sul piano conoscitivo e approdando all’instaurazione dello spirito libero attraverso lo sviluppo della 19 memoria come “immaginazione riproduttiva” e “produttiva”. A questo proposito, Kobau mostra in particolare come nelle alte sfere del pensiero spirituale il legame tra il nome e la cosa sensibile venga totalmente perduto in seguito all’attività della memoria che converte il simbolo da segno sensibile a segno ricordato, in cui viene annullata l’immagine del referente concreto. Il pensiero filosofico assoluto si delinea così come il “regno delle ombre” che si distacca sia dall’eidocentrismo, proprio del privilegiamento del senso della vista, che dal fonocentrismo, proprio del privilegiamento del senso dell’udito. In tal senso, è inadeguata, per Kobau, l’interpretazione di Derrida che considera la prospettiva hegeliana come tipica di una visione fonocentrica, contrapposta ad una visione eidocentrica, poiché per Hegel, entrambe le prospettive sono gravate dalla ingombrante presenza del sensibile fenomenico. All’individuazione della struttura e dell’origine dell’azione si rivolge invece Menegoni, che rileva come il processo di liberazione progressiva dalla naturalità e dall’accidentalità venga compiuto dall’anima al fine di generare un’azione che mostri la peculiarità soggettiva dell’essere umano. A questo proposito, Menegoni individua, lungo tutto l’arco concettuale hegeliano, elementi comuni che definiscono l’essenza dell’azione e che si raccolgono nel carattere irrimediabilmente tragico della stessa. La tragicità dell’azione appare connessa al tema della scissione, del conflitto inevitabile che contraddistingue ogni azione umana. Se nell’azione morale il conflitto nasce dal contrasto tra le intenzioni del soggetto agente e l’effetto mondano dell’azione che può sovvertirle e rovesciarle radicalmente nell’opposto, in quella etica il conflitto è dovuto al “farsi natura della libertà” ancora legata ad aspetti esteriori e accidentali. Nell’azione artistica, invece, sebbene il fine ultimo sia la rivelazione spirituale della verità divina, è sempre presente l’aspetto naturale connesso con le forme materiali dell’espressività artistica, mentre nell’azione religiosa permane il dissidio tra finito ed infinito, tra Dio e uomo, nonostante i tentativi e le esigenze di conciliazione. Tutte queste forme di agire sono accomunate da una struttura tragica, imputabile alla conflittualità propria sia della situazione, che del soggetto agente e ascrivibile al rovesciamento della situazione in quella opposta con la conseguente presa di coscienza della situazione attraverso il riconoscimento. Questa duplicità e questo conflitto non sono assenti neppure nella superiore attività dello spirito che, sebbene si realizzi nel pensiero compiuto in sé che pensa se stesso, che ha se stesso come contenuto, pone tuttavia al proprio interno il suo radicale altro, alienandosi nella natura per ritornare in se stesso. Nonostante ciò, l’azione dello spirito, a differenza delle altre azioni, è dotata della consapevolezza dell’alterità che essa deve porre in sé, rive- AUTORI E IDEE lando il suo carattere di “sapere della negatività originaria”, una consapevolezza che in forme diverse è propria di ogni azione umana. M.Mi. Dal punto di vista di una ricerca del principio originario della sistematicità hegeliana, lo studio di Aldo Stella, seguendo la partizione tra intelletto e ragione, si muove alla ricerca di quei principi che costituiscono le condizioni della possibilità di procedere della logica di Hegel. Nella filosofia hegeliana esistono due tipi di principi: i pre-requisiti, cioè quelle ipotesi astratte che si rivelano nel pensiero ordinario, e i presupposti originari, che costituiscono il fondamento del pensiero concreto. Per quanto riguarda i pre-requisiti, osserva Stella, la relazione tra soggetto e oggetto costituisce l’ipotesi di partenza del pensiero ordinario. In una analisi razionale e concreta occorre tuttavia rivolgersi al presupposto originario che è dato dall’Intero, in cui le separazioni non sono poste, e che sfugge al pensiero ordinario. La difficoltà nel circoscrivere il presupposto originario sta nell’impossibilità da parte del linguaggio, che fonda la sua capacità rappresentativa sull’opposizione di soggetto e oggetto, di cogliere tale intero. Di conseguenza, la dialettica tra soggetto e oggetto, che viene posta come origine della sistematicità, si rivela inautentica e, per di più, occultatrice della verità. Distinguendo sistematicamente il soggetto pensante dalle forme oggettivate (i pensati), il pensare ordinario, osserva Stella, oltre a presupporre la specularità del discorso rappresentativo nei confronti del mondo e delle cose, considera il pensare come il mezzo di collegamento tra l’io e la realtà e rappresenta un tipo di logica formale che in Hegel non trova riscontro. Nella filosofia hegeliana, infatti, il presupposto essenziale è l’identità di pensiero ed essere e quindi la negazione del pensare come strumento o mezzo di collegamento tra due realtà eterogenee. Il linguaggio, fondandosi sull’opposizione di soggetto e oggetto, si separa, in tal modo, dal pensiero, che, al contrario, rappresenta l’identità con l’essere della realtà. La dialettica inautentica di soggetto e oggetto, conclude Stella, nasce dunque da esigenze pratiche e linguistiche e non rappresenta, in alcun modo, il fondamento ontologico della sistematicità hegeliana. L’Assoluto come principio originario della filosofia è il tema dominante anche dello studio di Paolo Valenza che, mettendo a confronto l’opera di Hegel con quella di Reinhold, riscontra elementi finora trascurati dallo stesso Hegel e dalla letteratura critica. Valenza prende le mosse da Reinhold e dalla sua analisi di Fichte e Schelling e riscontra nel filosofo due principi essenziali: l’assoluto come fondamento ontologico e la ragione storica come telos insito nel tempo. Queste stesse tematiche vengono riscontrate poi anche nel pensiero hegeliano. Le critiche di Reinhold a Fichte e a Schelling si rivolgono all’Io come principio originario che, secondo Valenza, più che sviluppare il criticismo kantiano, si pone come individualità empirica, incapace di fondare e giustificare la scienza. Al contrario, Reinhold pone come principio l’Assoluto e anticipa, in questo modo, la totalità hegeliana, posta al di qua dell’opposizione tra soggetto e oggetto e quindi della conoscenza. Nell’interpretazione di Valenza l’assoluto diventa il principio fondante e determinante le opposizioni filosofiche ed appartiene pertanto ad un contesto non saputo che rimanda alla sfera morale ed esperienzale, in Reinhold come in Hegel. La relazione tra i due filosofi, osserva inoltre Valenza, è riscontrabile anche nell’analisi della storia della filosofia. Reinhold, infatti, ritiene che l’evoluzione della storia verso la Verità assoluta sia giunta ad un punto cruciale con Kant ed il criticismo. L’apoteosi fichtiana della soggettività non sposta, in ogni caso, il senso razionale e filosofico della storia, indirizzata sempre e comunque verso la realizzazione assoluta. La considerazione di una teleologia razionale intrinseca alla storia avvicinerebbe in tal modo Reinhold a Hegel, teorizzatore del principio della ragione storica e di una filosofia della storia che si identifica con la storia della filosofia. A.S. Feyerabend autobiografico Con il titolo: AMMAZZANDO IL TEMPO (tr. it. di A. de Lachenal, Laterza, Bari-Roma 1994), voluto dall’autore, viene pubblicata l’autobiografia che Paul K. Feyerabend ha completato nel suo ultimo mese di vita, lasciando di sé un ricordo straordinariamente onesto e coerente. Una coerenza, quella di Feyerabend, che lo portò, nella vita privata come in quella professionale, ad assumere posizioni scomode, controverse e controcorrente, al punto di diventare noto come l’ ‘enfant terrible’ dell’epistemologia. Con uno stile limpido e vibrante, Paul K. Feyerabend rievoca, in questa autobiografia, la sua famiglia, l’ascesa del nazismo, gli anni della guerra, la passione per il teatro, la lirica e la filosofia della scienza, le donne della sua vita e le relazioni con alcuni dei grandi intellettuali del Novecento, da Brecht a Wittgenstein a Popper. Pur attratto dalla fisica e dalla matematica, il giovane Feyerabend intraprese con la storia e la sociologia gli studi universitari, poiché la fisica - così pensava allora - «ha poco a che fare con la realtà». Il ritorno alla scienza fu tuttavia immediato, e con esso l’emergere dei suoi veri interessi, che spaziavano dalla fisica teorica alla radioastronomia e all’astronomia sferica. Via via venivano definendosi in lui interessi di tipo 20 speculativo e insieme la necessità di restare sempre vincolato alla realtà, al dato osservabile empiricamente: scienza e vita vissuta dovevano restare in Feyerabend un binomio inscindibile. Fin dalla giovinezza, durante gli studi a Vienna, egli dimostra la propria insofferenza per tutto ciò che rappresenta regole prestabilite, osservanze accademiche e posizioni consenzienti: frequenta i seminari di teologia di padre Otto Mauer con l’intento di smantellarne le convinzioni più certe: «Credere in Dio era una cosa - sosteneva - ma cercare di dimostrare la Sua esistenza era impresa destinata al fallimento... la scienza è la base della conoscenza, la scienza è empirica, le imprese non empiriche sono o logiche o prive di senso». Nell’agosto del 1948, durante un seminario ad Alpach, Feyerabend incontra per la prima volta Karl Popper, che passeggiando su e giù davanti ai partecipanti esordì: «Se per filosofo intendete uno di quei signori che occupano le cattedre di filosofia in Germania, allora di sicuro non sono un filosofo». Feyerabend, ancora studente, rimane colpito dalle parole di Popper, e ancor più dalla sua affermazione che le argomentazioni sulla verità sono «un delirio inconsistente». L’anno seguente, nel 1949, Feyerabend invita Wittgenstein a tenere una conferenza al Circolo Kraft, una “versione studentesca” del vecchio Circolo di Vienna, e due anni dopo vince una borsa di studio del British Council per andare a studiare con Wittgenstein a Cambridge: ma nell’aprile del 1951 Wittgenstein muore, e la scelta del nuovo supervisor cade su Popper. Così Feyerabend diviene casualmente allievo di Popper, per divenirne in futuro il critico più radicale e originale: la riluttanza per le dichiarazioni di fede, private o pubbliche che fossero, porterà Feyerabend ad allontanarsi da quella che era divenuta la “chiesa popperiana”. Seguono anni di intenso lavoro: la prima cattedra di filosofia della scienza a Bristol, le letture più disparate, dai libri gialli a Tennessee Williams, la passione per il teatro, le donne. Eppure una sensazione di spaesamento e di incompiutezza domina la sua esistenza: l’irrequietezza non è solo intellettuale, ma anche sentimentale, e più tardi, con il trasferimento in California, diverrà un’irrequietezza intercontinentale. Verso la fine degli anni ’60, a Friburgo, conosce Jung che tenta di invitarlo a pranzo con Heidegger, ma egli declina l’invito. Qualche anno dopo l’incontro mancato con Heidegger, la pubblicazione dell’opera maggiore, Contro il metodo, (1975) e con essa la denuncia di qualsiasi pretesa d’ingabbiare la realtà, polimorfa e in divenire continuo, entro schemi univoci e totalizzanti: l’unica strategia intellettuale per l’avanzamento della conoscenza scientifica è data, secondo Feyerabend, dall’ “anarchismo metodologico”. Sono questi gli anni dell’insegnamento in Europa, al Politecnico di Zurigo, il breve ritorno a Berkeley e il definitivo distacco AUTORI E IDEE dagli Stati Uniti e, soprattutto l’incontro, nel 1983, con Grazia Borrini, che diverrà la sua quarta moglie. In questi anni, la sensazione di avere ancora «una manciata di anni da vivere» porta Feyerabend a riflessioni esistenziali profonde: «... Non avrei voluto vivere per sempre e sicuramente non a causa dei libri e degli scritti importanti, ma perché mi piacerebbe invecchiare con Grazia, perché mi piacerebbe in futuro amare il suo viso vecchio e rugoso come amo oggi il suo giovane viso... Questi pensieri mi rendono chiaro il fatto che dopo tutto ci sono delle forti inclinazioni, che non vanno verso cose astratte come la solitudine o qualche conquista intellettuale, ma verso un essere umano vivo». L’onestà intellettuale che ha caratterizzato l’intero lavoro scientifico di Feyerabend, in queste ultime pagine di vita diviene onestà umana, autenticità dell’esistenza, atteggiamento etico: «un carattere morale non si crea attraverso discussioni, l’educazione o con un atto di volontà e nemmeno attraverso alcun tipo di azione pianificata, sia essa scientifica, politica o artistica... dipende da un delicato equilibrio tra fiducia in se stessi e attenzione per gli altri. Possiamo creare le condizioni che favoriscono tale equilibrio, non l’equilibrio in sé». La radicalità del pensare, e con essa il desiderio di liberare la gente dalla “tirannia imposta da ottenebratori filosofici”, non lo abbandonerà mai, fino alla fine. Un’energia vitale, quella di Feyerabend, che confluisce in un amore per il mondo vissuto senza cedimenti, sempre autenticamente: «Vorrei che dopo la mia dipartita - sono le sue ultime righe - resti qualcosa di me, “non” saggi, “non” dichiarazioni filosofiche definitive, ma amore. Spero che sia questo che rimarrà e su di esso non pesi troppo il modo in cui me ne andrò, che vorrei lieve... ». E.C. L’ “argomento terapeutico” dell’etica ellenistica Nel suo nuovo saggio THE THERAPY OF DESIRE: THEORY AND PRACTICE IN HELLENI- (La terapia del desiderio: teoria e pratica nell’etica ellenistica, Princeton University Press, Princeton 1994) Martha Nußbaum individua nell’uso dell’ “argomento terapeutico” un elemento comune nelle concezioni etiche delle scuole epicurea, stoica e scettica. Si tratta dell’argomento filosofico con cui i filosofi-terapeuti delle scuole ellenistiche, orientate secondo il modello medico, curavano con strumenti puramente razionali coloro che soffrivano di disagi esistenziali. Facendo riferimento ad autori come Lucrezio, Seneca, Epitteto e Sesto Empirico, Nussbaum cerca di instaurare un dialogo tra questi filosofi e i lettori-malati del ventesimo secolo. STIC ETHICS In questo suo studio Martha Nußbaum ci spiega come chiunque fosse nato tra il 300 a.C. e il 200 d.C. avrebbe potuto seguire un corso di terapia filosofica per curare i suoi disagi esistenziali. Principale obiettivo del testo è creare un dialogo tra i maggiori filosofi ellenisti, greci e romani - Lucrezio, Seneca, Epitteto e Sesto Empirico - e gli attuali lettori, invitati a cercare una risposta ai loro problemi psicologici nell’opera di questi filosofi. A questo proposito Nußbaum prende come esempio i possibili incontri che avrebbero potuto aver luogo, all’epoca, tra un suddito del regno ellenico, che avesse voluto risolvere le proprie insoddisfazioni e frustrazioni, e le varie scuole filosofiche. La scuola epicurea, spiega Nußbaum, gli avrebbe proposto la riformulazione del sistema di valori, per individuare il desiderio innato per il piacere e per una vita senza paura che in lui erano stati distorti dall’etica competitiva del mondo, indicandogli che l’unico modo per riacquistare il desiderio naturale è quello di coltivare una distaccata tranquillità. Se ciò non fosse bastato, aggiunge Nußbaum, il terapeuta filosofico l’avrebbe guidato a scoprire che le ambizioni di salute e potere sono un modo per sfuggire alla paura inconscia della morte, e come terapia gli avrebbe fatto studiare la fisica per dimostrargli che la mente dell’uomo, essendo un organo materiale, non sopravvive dopo la morte. Il risentimento per l’assenza di una vita dopo la morte sarebbe stato quietato dalla corretta comprensione della natura del piacere nella vita finita e della dinamica della morte. Qualora la cura degli epicurei non gli avesse portato giovamento, osserva Nußbaum, il suddito ellenico si sarebbe potuto rivolgere agli stoici che, giudicando naturale e giustificato lo sforzo per giungere al successo mondano, avrebbero individuato la causa del suo malessere nel modo in cui viene perseguito il successo, in particolare nell’eccessiva tensione emotiva. Il terapeuta stoico avrebbe spiegato al suddito che i desideri di successo sono dovuti ad errori di giudizio nella valutazione dell’essenza intrinseca della realtà, e che la loro cura deve includere anche le altre “passioni”, cioè le altre credenze di errata valutazione. La terapia, consistente in esperimenti mentali, gli avrebbe permesso di vedere dall’esterno i suoi desideri passionali e le loro conseguenze e l’avrebbe portato ad intrattenere un atteggiamento non passionale verso gli oggetti. La cura avrebbe incluso la conoscenza dei veri principi per la valutazione, che gli avrebbe insegnato che l’ “indifferenza” è la via per la felicità. Se anche l’approccio stoico fosse fallito, prosegue Nußbaum, il nostro suddito avrebbe potuto chiedersi se la teoria morale fosse veramente la chiave della felicità; tale riflessione l’avrebbe avvicinato agli scettici, i quali sostengono che il non credere a nessuna teoria è l’unica via per giungere alla vera pace della mente. Il terapeuta scettico avrebbe messo a frutto l’esperienza epicurea e stoica e avrebbe indicato nella disillusione il 21 primo necessario passo verso il raggiungimento della felicità. La terapia prescritta per giungere al sentimento di sublime distacco sarebbe stata quella di vivere la vita pubblica senza più credere che ogni successo o fallimento sia in se stesso buono o cattivo. Lo scettico avrebbe tuttavia messo in guardia contro la tentazione di imporre valori oggettivi e di svolgere indagini teoriche, ricordando che non esiste mai una sufficiente base per credere a qualche cosa. L’ “argomento terapeutico”, individuato da Nußbaum nelle filosofie ellenistiche, risulta essere sviluppo pratico di un argomento filosofico puramente razionale per la ricostruzione dei valori personali nel singolo paziente, con l’unico scopo di giungere alla diagnosi e alla cura del malessere. In questo Nußbaum difende e riabilita l’analisi cognitiva delle emozioni svolta dai filosofi ellenistici, riconoscendo nell’approccio terapeutico “empatico” la possibilità di un’interpretazione delle loro teorie. Tuttavia dobbiamo rilevare che l’aggettivo “terapeutico” è usato da Nußbaum, ma non dagli autori presi in considerazione, sebbene anche i filosofi ellenisti, come ogni filosofo morale dell’antichità, utilizzassero la metafora del filosofo come dottore dell’anima. L’individuazione e la categorizzazione del pensiero morale dei filosofi ellenisti secondo il modello “terapeutico”, porta Nußbaum a tracciare un confronto limitato tra questi e gli altri filosofi dell’antichità che presentano caratteri teoretici diversi. Così Aristotele è promotore di un paradigma di santità e di un pluralismo dialettico senza preconcetti; mentre Platone è colui che colloca i valori solo su un piano trascendente, facendo sì che essi non abbiano nulla a che fare con la nostra vita. In realtà accanto all’approccio terapeutico sarebbe opportuno che apparissero altre caratteristiche che non possono essere semplicemente tralasciate, come ad esempio, presso gli stoici, la negazione di gradi della felicità e dell’infelicità, l’uso terapeutico del paradosso e il fatalismo provvidenziale per legittimare, piuttosto che deplorare, la sofferenza umana. L’individuazione dell’argomento terapeutico di Nußbaum ha il merito di permettere il confronto orizzontale tra i diversi metodi di cura nelle tre scuole ellenistiche, ma richiede di essere allargato anche nella direzione verticale, cioè all’interno di ciascuna scuola. In particolare, appare eccessivamente riduttiva la visione della scuola stoica. L’uso di esempi individuali, letterali o storici nell’insegnamento morale, ad esempio, è centrale in Seneca, ma non nella filosofia morale tradizionale stoica, ove il saggio è simbolo paradigmatico. L’interpretazione di Nußbaum, tuttavia, fornisce anche una nuova interpretazione della teoria dell’immortalità in Lucrezio e in Seneca, mettendo in rilievo, nel primo, l’azione reciproca tra concezione positiva e negativa dell’aggressione, nella sua poesia, e la precisa strategia da lui elaborata per combattere le passioni erotiche, nel secondo un’interpretazione filosofica della tragedia Medea. M.G. AUTORI E IDEE Thomas Hobbes Attualità del ‘Leviatano’ Accompagnato da una raccolta antologica di testi, lo studio di Tito Magri, HOBBES (Laterza, Roma-Bari 1994), affronta il pensiero politico del filosofo inglese. Un approfondimento dei rapporti tra il ‘Leviatano’ e l’epoca moderna e contemporanea è invece oggetto di due studi che intendono affrontare l’eredità politica e filosofica lasciataci da Hobbes. Si tratta dello studio di Gianfranco Borrelli, RAGION DI STATO E ‘ LEVIATANO ’ (Il Mulino, Bologna 1993), e di quello di Giacomo Marramao, DOPO IL ‘LEVIATANO’. INDIVIDUO E COMUNITÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA (Giappichelli, Torino 1995). Secondo Tito Magri, la filosofia politica di Thomas Hobbes nasce dall’analisi degli Stati storici e della loro incapacità a legittimare l’ordine costituito. Da questo punto di vista, l’esigenza di fondare razionalmente la giustizia, l’autorità dello Stato e l’obbligo dei cittadini, costituisce il senso dell’opera filosofica e insieme del progetto politico di Hobbes. La demarcazione tra stato di natura e stato civile permette a Hobbes di collocare il diritto di natura, inteso come assoluta libertà individuale, e la ragione naturale, l’autoconservazione, nell’a priori dell’uomo, portato istintivamente e naturalmente verso la guerra. Distinguendo il De cive, in cui la guerra nasce dalla distorsione della ragione, dal Leviatano, in cui la guerra è invece espressione di autoconservazione egoistica, e quindi razionale, Magri riconosce in Hobbes la necessità di costruire e socializzare il diritto naturale, che, se lasciato al suo arbitrio, si fa portatore solo di interessi egoistici. Nasce così la legge di natura, intesa come l’obbligo che trasforma la ragione individuale in ragione concordata. Il patto sociale, infatti, modifica gli interessi individuali ed egoistici del diritto di natura, nel comune accordo sulla legge di natura, costituendo in modo compiuto la giustizia e la razionalità. In questo modo, secondo Magri, Hobbes riesce a fondare razionalmente la giustizia, nata dall’accordo comune di modificare il diritto naturale in legge di natura. La figura del sovrano, a questo proposito, diventa garante del patto sociale, in quanto la condizione necessaria per mantenere la legge di natura è un potere coercitivo che impedisca la violazione, irrazionale ed ingiusta, del patto. La tesi di Magri, che già in Contratto e convenzione (Milano, Feltrinelli 1993) aveva descritto il progetto politico di Hobbes con i caratteri della razionalità, più che dell’assolutismo, viene confermata dall’esigenza dello scambio tra obbligo dei cittadini e autorità del sovrano, che legittimano razionalmente l’esistenza dello stato. La razionalità del Leviatano è riconosciuta anche da Gianfranco Borrelli, che vede nella soluzione politica di Hobbes lo stru22 mento necessario per correggere i limiti presenti nella filosofia della Ragion di Stato del ‘600. A questo proposito Borrelli analizza i modelli politici del ‘500 e del ‘600, tra cui quelli di Giovanni Botero e di Lodovico Settala, dimostrando la loro derivazione filosofica dall’accostamento delle categorie della Ragion di Stato a quelle del Leviatano. Con la caduta delle politiche ecclesiastiche, che durante le guerre di religione avevano mostrato i propri limiti, s’impone il modello della Ragion di Stato che, per conservare l’autorità, si serve della prudenza e della saggezza. Borrelli analizza minuziosamente queste due categorie politiche, riscontrando nella prudenza quella capacità di trovare un fondamento prescrittivo, che utilizzi ogni mezzo (come l’inganno e il trucco) per conservare l’autorità, e nella saggezza la costituzione di quella sfera privata con interessi propri, che attraverso il dominio delle passioni allontana l’individuo comune dalla gestione politica. Secondo Borrelli, tuttavia, la Ragion di Stato è incapace di legittimare totalmente il potere e di impedire il rischio di trasgressione; per questo necessita della dimensione del contratto e dell’autorità, che appartengono al modello di Hobbes. In altre parole, nasce qui l’esigenza dello scambio tra il pubblico, inteso come l’autorità che si serve della coercizione e della prudenza, e il privato, che all’obbedienza e alla disciplina accosta la saggezza degli interessi propri. Il comando e l’obbedienza, il contratto e l’autorizzazione, giustificano, in conclusione, l’operato del principe, che manifesta la sua attività di controllo e di mediazione. La capacità di simulare opinioni e di nascondere ciò che pensa diventa il carattere proprio del principe che, potendo incidere segretamente sui comportamenti umani, si autolegittima come autentica autorità politica. Lo studio di Giacomo Marramao consiste in una raccolta di saggi, scritti in tempi e occasioni diverse. Il presupposto che regge il volume è la crisi dello stato accentratore, tipico della filosofia del Leviatano, e l’apertura ad una filosofia politica ed etica di diverso tipo. In riferimento alla filosofia weberiana e nietzscheana, Marramao individua nel politeismo e nella visione antropocentrica il fondamento dello stato “postmoderno” che, pur non rispecchiando più un ideale universalistico, non si ritrova neppure nelle costellazioni ermeneutiche e “deboliste” della filosofia contemporanea. L’autore, infatti, presenta il liberalismo da una parte come etica del conflitto e della competizione tra gli individui, dall’altra come superamento dello stato sociale, ultimo residuo, ricorda Marramao, dell’eredità marxista. Attraverso autori come Weber, Kelsen o Luhmann, la concezione personalistica e individualistica dello stato diventa il perno attorno al quale far ruotare la res pubblica, non più centralistica, ma sempre determinante l’esistenza politica degli individui. A.S. AUTORI E IDEE Liberalismo politico e teoria del diritto A più di vent’anni di distanza dall’uscita di ‘Una teoria della giustizia’, considerato uno dei classici della filosofia politica contemporanea, John Rawls pubblica LIBERALISMO POLITICO (tr. it. di G. Rigamonti, Edizioni di Comunità, Milano 1994), destinato anch’esso, come il precedente, a costituire un punto di riferimento obbligato nel dibattito all’interno della filosofia politica contemporanea. A quest’opera può essere affiancata, in un significativo confronto, quella recente di Niklas Luhmann, DAS RECHT DER GESELLSCHAFT (Il diritto della società, Suhrkamp, Francoforte s/ M. 1993), in cui la teoria dei sistemi viene applicata a un’analisi del diritto da un punto di vista sociologico, dove contratto e proprietà sono i punti di contatto e di mediazione tra il sistema del diritto e quello dell’economia. Lo studio di Niklas Luhmann, Das Recht der Gesellschaft, inizia con una distaccata descrizione della teoria del diritto dal punto di vista di un osservatore esterno, quasi a voler determinare il luogo teorico del diritto. Si concentra poi sul sistema del diritto nel suo insieme: all’analisi dei tribunali, che per Luhmann costituiscono il centro di questo sistema, segue la trattazione dei livelli dell’ “Argomentazione” (ragioni della distinzione equo-iniquo), della “Politica e Diritto”, degli “Accoppiamenti strutturali”, dell’ “Autodescrizione del sistema del diritto”, con cui l’attenzione di Luhmann torna nuovamente all’autocomprensione che i teorici hanno della teoria del diritto, rendendo comprensibile questa autocomprensione a partire dal sistema e dalla sua funzione. L’ultimo capitolo del suo studio è dedicato all’analisi del rapporto tra diritto e società. Motore del sistema del diritto, e della sua capacità di riprodursi nel tempo, è per Luhmann la distinzione giusto-ingiusto (Recht-Unrecht); questa distinzione è anche la chiave della teoria del diritto. Luhmann conferisce così al sistema del diritto una dimensione temporalmente strutturata, in quanto vi è un passato, a cui fare riferimento, per prendere una decisione nel presente, rispetto a un determinato caso, in modo che tale decisione valga nel futuro per casi ulteriori. Questa concezione del diritto riprende quella luhmanniana di società. Se la società si costituisce nell’elemento della comunicazione, quest’ultima è possibile, però, solo a condizione che un senso comunicabile possa stabilizzarsi al di là del momento in cui viene espresso. In ciò risiede la funzione delle regole; i conflitti sociali nascono quando qualcuno, violando le regole o deviando da esse, delude le aspettative di chi le osserva. In questo contesto, la funzione del diritto non è di appianare i conflitti, ma di rendere stabili determinate aspirazioni e/o proiezioni circa il futuro di una determinata società, distinguendole da quelle illegittime. Uno schema analogo viene anche applicato da Luhmann a una delle parti principali del sistema giuridico - l’argomentazione giuridica. Dall’esposizione di Luhmann risulta che le “motivazioni” (Begründungen) giuridiche hanno al tempo stesso la funzione di rendere ripetibili le regole decisionali per ogni singolo caso e di sviluppare la sensibilità per le differenze di carattere in ogni singolo caso. Importanti, nell’economia del discorso di Luhmann, sono anche le osservazioni sull’ “accoppiamento strutturale”: la proprietà accoppia strutturalmente diritto ed economia; la costituzione diritto e politica. Luhmann si pone al di là della contrapposizione tra i sostenitori di un diritto razionale (che si riferisce a principi fondativi esterni al diritto come la natura o la ragione) e i fautori di un positivismo giuridico (che si riferisce a criteri interni): «in un caso la carenza risiede nell’assenza di un principio di validità nella decisione tra principi in conflitto tra loro. Nell’altro nell’assenza di una giustificazione ultima per ciò che viene applicato in quanto diritto valido. Nessuno di questi approcci è in grado di rendere conto dell’unità del sistema nel sistema: validità e fondazione giustificante non coincidono; di conseguenza bisogna decidersi per il primato dell’una o dell’altra versione. Ma proprio questo è un problema di auto-descrizione del sistema». M.M. Con Una teoria della giustizia (1971) John Rawls intendeva dare una risposta adeguata dal punto di vista etico alla complessità della società contemporanea. Nelle otto lezioni che compongono questo nuovo lavoro di Rawls, Liberalismo politico, l’idea di giustizia come equità, concetto-chiave sul quale si fondava l’intero impianto strutturale dell’opera precedente, viene radicalmente riformulata. La teoria contrattualistica della giustizia come equità, considerata in precedenza una concezione morale e politica insieme, viene ora concepita come una teoria unicamente e propriamente politica che, nel contesto di sfondo della tradizione democratica, agisce nello spazio della ragione pubblica e definisce principi e valori di una società giusta, intesa come un sistema di cooperazione fra cittadini liberi e uguali. Mentre in Una teoria della giustizia la condivisione dei principi di giustizia veniva presentata come partecipazione di una dottrina morale che include tutti i valori e che consente quindi la stabilità nel tempo di una società bene ordinata, Liberalismo politico si basa sull’idea alternativa della mutua compatibilità tra consenso e convergenza sui valori politici e la varietà e la divergenza delle nostre prospettive di valo- Niklas Luhmann 23 AUTORI E IDEE re, dei nostri attaccamenti e impegni. Questo significa che la teoria della giustizia, per una società democratica, deve prendere sul serio la sfida del pluralismo: una società democratica moderna non è caratterizzata soltanto da un pluralismo di dottrine religiose, filosofiche e morali comprensive, ma da un pluralismo di dottrine comprensive incompatibili e tuttavia ragionevoli. Il liberalismo politico assume che, ai fini della politica, una pluralità di dottrine comprensive ragionevoli, ma incompatibili, sia il risultato normale dell’esercizio della ragione umana entro le libere istituzioni di un regime democratico costituzionale. Questo “pluralismo ragionevole”, come lo chiama Rawls, dimostra che l’idea di un società bene ordinata, associata alla giustizia come equità, è irrealistica, in quanto è in contraddizione con la realizzazione dei suoi stessi principi nelle migliori condizioni prevedibili. Di conseguenza quella che Rawls chiamava una “società bene ordinata”, una società stabile, relativamente omogenea nelle sue convinzioni morali di fondo e nella quale esiste un accordo complessivo su cosa costituisca una vita buona, viene ripensata alla luce della effettiva realtà delle moderne società democratiche, entro le quali coesistono una pluralità di dottrine, religiose, filosofiche e morali, inconciliabili tra loro. A questo punto Rawls si chiede: come è possibile che una società di cittadini liberi ed eguali permanga durevolmente nella concordia, quando si trova ad essere così profondamente divisa al suo interno a causa della coesistenza di dottrine ragionevoli, ma incompatibili fra loro? Detto in altro modo: come è possibile che dottrine comprensive profondamente contrapposte, benché ragionevoli, convivano e sostengano tutte la concezione politica di un regime costituzionale? La risposta di Rawsl prende le mosse dalla ridefinizione del concetto di “società bene ordinata”: non si tratta più di una società unita nelle sue convinzioni morali di fondo, ma nella sua concezione politica della giustizia; questa giustizia è al centro di quello che Rawls chiama «un consenso per intersezione di dottrine comprensive ragionevoli». Proprio il fatto che la giustizia come equità possa essere al centro di un consenso per intersezione significa che essa può essere accettata dalle principali dottrine religiose, filosofiche e morali che convivono entro una società bene ordinata. All’interno di questa concezione politica della giustizia, il liberalismo pone ora nuovi quesiti: quali sono gli equi termini di una cooperazione sociale fra cittadini concepiti come liberi ed eguali, ma divisi da profondi conflitti dottrinali? Quali sono la struttura e il contenuto della concezione politica che si richiede a questo scopo, ammesso che una simile concezione sia possibile? Secondo Rawls si tratta di introdurre nelle concezioni che gli uomini hanno del proprio bene un elemento trascendente che non ammetta compromessi e che imponga o un conflitto mortale, o una libertà di coscienza e di pensiero uguale per tutti. Nessuna concezione politica ragionevole della giustizia è possibile, osserva Rawls, se non sulla base di quest’ultima opzione, saldamente fondata e pubblicamente riconosciuta. E il liberalismo politico inizia prendendo sul serio la profondità assoluta di questo inconciliabile conflitto latente, assumendolo come oggetto politico proprio. È in tale contesto che Rawls giunge ad un nuovo modo di intendere la giustizia come equità: non più come concetto morale e politico insieme, ma in quanto forma, essa stessa, del liberalismo politico. Muovendo da un’analisi politica del conflitto religioso moderno nel mondo occidentale, Rawls vede nella tolleranza il nucleo della versione di liberalismo politico che egli predilige. E.C. La metafisica e la produzione del pensiero Sebbene frutto di due approcci differenti, l’opera di Paolo D’Alessandro, ESPERIENZE DI LETTURA E PRODUZIONE DI PENSIERO. INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA TEORETICA (LED, Milano 1994), e quella di Enrico Berti, INTRODUZIONE ALLA METAFISICA (Utet, Torino 1993), appaiono indirizzate verso il medesimo problema: il tentativo di determinare il ‘quid’ della filosofia attraverso l’esame del suo effettivo configurarsi come pratica teorica. Nella sua opera più recente, Esperienza di lettura e produzione di pensiero, Paolo D’Alessandro intende far emergere il quid della filosofia attraverso l’osservazione della pratica del filosofare, delle sue modalità e del “soggetto” del filosofare medesimo. Se le questioni relative al “chi” e al “come” della pratica del pensiero, che risultano connesse nella tradizione filosofica, sembrano rinviare entrambe a un qualche accordo preliminare su ciò che si intende con la nozione di “pensare”, D’Alessandro ritiene invece che l’osservazione degli esiti “filosofici” di quella praticha possa mettere in luce la radice del giudizio, necessariamente non fondato in quanto presupposto, che ritiene di poter elaborare una filosofia partendo dalla sua definizione. Secondo D’Alessandro, l’illustrazione di un sapere filosofico è già di necessità un “fare filosofico”, laddove questo fare sia cosciente del proprio qualificarsi come pratica di linguaggio. Un tale sguardo “teoretico”, d’altra parte, non può che determinarsi come “genealogico”; non può che fare i conti con il problema dell’origine della linguistica e dell’ermeneutica, ovvero con la questione del logos. Lo studio di D’Alessandro appare idealmente diviso in due parti. La prima (i capitoli “linguistica” ed “ermeneutica”) mira a sterrare “archeologicamente” le origini 24 della pratica della scrittura attraverso la questione del rapporto tra linguaggio e comunicazione nel passaggio dalla cultura orale a quella scritta, quella dell’origine della scrittura in Platone e quella dell’origine teologica dell’ermeneutica. La seconda parte è invece tesa a illustrare gli strumenti (le tecniche interpretative della psicoanalisi da un lato, e la “lettura sintomale” althusseriana dall’altro) per la messa in pratica di una lettura decostruttiva - insieme analitica e produttiva - dei testi. Ponendo al centro della propria analisi la questione della lettura, piuttosto che quella della scrittura, D’Alessandro sottolinea il fatto che nel pensiero fin da sempre si ha a che fare con un testo: ogni produzione di pensiero, ogni evento di scrittura si inseriscono nell’interlinea di un testo, in quell’accadere di un “non detto” che, al di là del detto, viene messo in luce dalla pratica della lettura sintomale. Essa fa emergere quella parola che ancora non ha avuto una rappresentazione scritturale al di fuori di qualunque metafisica dell’inconscio, concepita come creatio ex nihilo, e consiste invece in un dare voce a ciò che parla nel silenzio. Per questa via l’interpretazione di D’Alessandro mette in atto (mediante la lettura sintomale e l’osservazione fenomenologica delle dinamiche testuali) una radicalizzazione dell’ermeneutica che, di contro al primato metafisico della vista, privilegia la dimensione dell’ascolto. Muovendo proprio dall’esperienza di pensiero della metafisica, l’ultima opera di Enrico Berti, Introduzione alla metafisica, intende dar conto di quella che appare come l’esperienza filosofica in quanto tale. Secondo Berti, rispondere alla domanda “che cos’è metafisica?” significa affrontare il problema del prodursi di un pensiero che si qualifica come “filosofico”. Per circoscrivere i termini della questione Berti ricorre all’esame di quelle configurazioni teoriche che, a diverso titolo, si sono storicamente dichiarate metafisica - o ad essa sono state ricondotte. Emergono così diverse tipologie della metafisica (immanentistica, partecipativa, dell’esperienza), il cui tratto caratteristico, per definizione, consiste nell’ occuparsi di ciò che sfugge al sapere comune o a quello “scientifico”, nonché alle loro procedure di verifica. Obiettivo non nascosto di Berti, che alla metafisica (quella che si richiama in particolare ad Aristotele) ha dedicato gran parte della propria riflessione, è anche quello di ricondurre a termini storicamente e teoricamente corretti le talora frettolose liquidazioni che, sulla scorta di Heidegger, prefigurano un generico “superamento” della metafisica. Le critiche alla metafisica in quanto tale, osserva Berti, trovano un riscontro molto lontano nella metafisica e nello scetticismo antichi; d’altra parte, da Nietzsche in poi, la polemica antimetafisica ha avuto come suo obiettivo il cosiddetto “platonismo”, ovvero una determinata tipologia di metafisica, AUTORI E IDEE quella “della partecipazione”, lasciando fuori dalla propria portata critica la cosiddetta “metafisica classica”, quella cioè che, richiamandosi a vario titolo ad Aristotele, rientra piuttosto nella tipologia della metafisica dell’ “esperienza integrale”. La metafisica “classica”, aggiunge Berti, si riferisce all’esperienza in quanto tale, all’esperienza nel senso più generale possibile; in una parola, all’esperienza della totalità attraverso una tematizzazione, anziché un’oggettivazione, che è invece il modo con cui le scienze si riferiscono al proprio oggetto. Della nozione di totalità verso cui si indirizza la metafisica “classica”, fa notare Berti, è un esempio Aristotele, la cui riflessione sulla totalità consiste, infatti, nel non semantizzare la nozione di essere (né, per contrapposizione, quella di “nulla”), bensì nell’individuare i suoi molteplici significati, le categorie, nonché le sue proprietà trascendentali, che concorrono a rendere intelligibile l’esperienza. In Aristotele è rintracciabile anche la “scoperta” che l’esperienza, ovvero la “natura”, non esaurisce l’essere, che per questo la trascende. D’altra parte, il concetto stesso di esperienza appare per più versi problematico, sospeso fra il suo carattere definitorio e quello interpretativo. Dalla non assolutizzabilità dell’esperienza deriva il carattere di trascendenza del Principio; in questa trascendenza (anziché nell’identità, postulata da Heidegger con il suo concetto di onto-teo-logia) accade la coincidenza dell’ontologia con la teologia, del senso dell’essere con il suo principio. F.C. Esistenza affermata, esistenza negata Due recenti studi forniscono nuovi spunti per una riflessione sul senso dell’esistenza in chiave esistenzialemetafisica. Si tratta de IL SUICIDIO NELL’ETÀ DEL NICHILISMO (Franco Angeli, Milano 1994), di Roberto Garaventa, che attraverso l’interpretazione dell’opera di Goethe, Leopardi e Dostoevskij analizza il suicidio come risposta ad una crisi di senso dell’esistenza, e di IMPARARE AD ESISTERE (Donzelli, Roma 1994), di Franco Crespi, che propone un’interpretazione del senso dell’esistere sulla base di percorsi filosofici alternativi. Nel suo studio, Il suicidio nell’età del nichilismo, Roberto Garaventa affronta il problema del suicidio, presupponendo che esso sia conseguenza ultima dell’incapacità di cogliere il senso dell’esistere. Attraverso un esame dell’opera di Goethe, Leopardi, Dostoevskij, Garaventa ripercorre i vari significati e le varie interpretazioni che al suicidio sono state assegnate nel corso della storia. Tre sono le epoche prese in considerazione da Garaventa: greca, moderna, contempo- ranea. Nell’antica Grecia, osserva Garaventa, il suicidio veniva visto come un atto eroico; i suicidi più famosi furono commessi in difesa di valori, di ideali, da cui non si poteva prescindere. Ben diverso il suicidio nell’età moderna, dettato da una totale caduta di “senso” dell’esistenza, che colpisce il singolo come la collettività; qui il suicidio, fa notare Garaventa, rispecchia la noia di un vivere quotidiano anonimo, privo di stimoli interiori ed esterni. Per questo suo aspetto, tutt’altro che eroico, il suicidio viene considerato da molti, come ad esempio Goethe, un atto patologico, illeggittimo, scandaloso per la cultura dell’epoca; per altri invece, come Leopardi, esso non è che il prodotto di una specifica atmosfera culturale. Il suicidio “più tragico”, secondo Garaventa, è quello contemporaneo, in quanto frutto di una drammatica elaborazione interiore e di una latente incapacità di riscatto da parte del soggetto, come in particolare ha saputo mostrare Dostoevskij. Nell’analisi di Garaventa, Goethe, Leopardi e Dostoevskij incarnano divergenti modi di intendere e di proporre, attraverso le loro opere, il suicidio. Il Werther di Goethe vede nella morte la realizzazione della propria totalità; una realizzazione che egli non trova nell’esistenza terrena. Il suicidio dei personaggi di Leopardi è invece effetto dell’amor proprio individuale, che preferisce la morte alla consapevolezza del proprio nulla. In Dostoevskij, infine, dove i personaggi sono quasi sempre figure psicologicamente complesse, incapaci di governare se stesse, il suicidio è conseguenza di un dramma interiore e si colloca in un contesto di visione globale del mondo come qualcosa di assurdo e tragico. Sulla necessità esistenziale di conferire un senso a se stessi e a ciò che ci circonda è ciò su cui insiste Franco Crespi in Imparare ad esistere, affermando che il vero riscatto dell’uomo sia accettare se stesso, con tutti i propri limiti, e ricercare un equilibrio tra libertà e necessità, tra dipendenza da contesti socio-culturali e indipendenza dell’individuo come soggetto. Un’esistenza meditata, spiega Crespi, è un’esistenza che progressivamente arricchisce l’individuo e, con lui, la collettività. Vivere secondo un senso, afferma Crespi, è inventarsi attimo dopo attimo; è disporsi nei confronti di sé e del mondo con attenzione e premura; è mettersi in discussione con il rischio di una radicale problematizzazione di e stessi. Una delle cause maggiori dei suicidi passati e attuali, osserva Crespi, è proprio l’illusione di risposte immediate riguardo ai grandi dubbi e interrogativi esistenziali. Nella sua interpretazione, Crespi è ben lungi dal concepire la capacità di esistere come questione morale, dato che non vengono presi in considerazione né precetti, né regole, né modelli sociali. Il vero giudice della propria esistenza è il singolo, che ha la grande responsabilità di “essere se stesso” e di coltivare la propria coscienza. D.M. 25 Marx e il sogno della storia Perché occuparsi di Marx? Non si tratta di cercarvi “massime di vita”, politica o filosofica, utili ai problemi della società contemporanea, né di delineare un’utopia politica, che Marx stesso avrebbe, per primo, rifiutata, ma di recuperare il carattere stesso della riflessione marxiana che, in quanto critica dell’economia politica, si configura come un “pensiero che costruisce”, anziché come un “pensiero che narra”. E’ questa la prospettiva in cui si muove l’opera di Fulvio Papi, IL SOGNO FILOSOFICO DELLA STORIA . INTERPRETAZIONI SULL ’OPERA DI MARX (Guerini e Associati, Milano 1994), alla quale può essere accostata, dello stesso autore, anche se in una diversa prospettiva, la raccolta di saggi dal titolo: PHILOSOPHIA IMAGO MUNDI (a cura di F. Merlini, Edizioni Alice, Comano-CH 1994). Il sogno filosofico della storia di Fulvio Papi è un’opera che riveste i caratteri dell’ “inattualità”, nello specifico senso nietzscheano. Non solo per la ragione, tutto sommato banale, per cui da alcuni anni la riflessione critica e la produzione teoretica intorno all’opera di Marx hanno subito una netta flessione. L’ “inattualità” di quest’opera consiste nel fatto che essa si inserisce nel progetto di una critica delle “pratiche teoriche”, in vista di quella riflessione sulla prassi che costituisce essenza e “inattualità” della filosofia. Nell’analisi di alcune tematiche marxiane, Papi ritrova infatti la questione del rapporto tra teoria e prassi, che in lui assurge a nodo cruciale nella determinazione del senso della pratica di pensiero. Non a caso, Papi considera come contributo decisivo di Marx l’essere pervenuto alla separazione del tema dell’autonomia della filosofia (respinta come illusoria) da quello della coscienza e del soggetto, che costituisce invece un filo conduttore all’interno dello sviluppo della riflessione marxiana, ponendo la questione della possibilità pratica del soggetto di entrare in rapporto con il mondo e determinarsi, in tal modo, come “soggetto storico”. Il discorso filosofico, secondo Papi, deve necessariamente farsi carico del proprio “essere in situazione”, ovvero del proprio essere storicamente determinato, ponendosi la questione dell’orizzonte di mondo in cui esso è iscritto e che esso configura. L’intento configurativo, osserva d’altra parte Papi nella “Prefazione” alla sua raccolta di saggi Philosophia imago mundi, appare infatti finalizzato, da parte del soggetto filosofico che lo persegue, non a una decisione o a una conoscenza, bensì all’incontro del soggetto medesimo con il proprio essere. Nell’interpretazione di Marx da parte di Papi è evidente, d’altra parte, l’influsso del razionalismo critico di Banfi, da cui pure Papi prende le distanze. Una delle AUTORI E IDEE chiavi di accesso alla riflessione papiana, come sottolinea Fabio Merlini nel suo saggio: Ricognizione. Filosofia come pratica configurativa, posto come introduzione a Philosophia imago mundi, può essere individuata nella nozione di “pluralità”. Tale nozione, rintracciabile in Marx nella categoria di “geografia della storia”, che riconosce la specificità delle singole e determinate dinamiche storiche, affiora anche nel saggio Le topologie razionali, contenuto in Philosophia imago mundi, laddove Papi descrive il percorso filosofico che scaturisce dalla rinuncia al tentativo di dare luogo a un modello epistemologico di razionalità, per seguire, invece, i processi costitutivi delle varie estrinsecazioni della ragione, anche al di là della conoscenza positiva. In questa prospettiva, sostiene Papi, ogni singola pratica storica costituisce una storia; e ogni singola storia si presenta come una “storia a sé”. In tal senso non si dà, ad esempio, isomorfismo tra la “storia” e la “storia della filosofia”; e quest’ultima, espressione per eccellenza dell’umanesimo idealista, rappresenta la messa in scena del soggetto, che appare e si dissimula a seconda dei momenti della rappresentazione. Per Papi, come non esiste “la” storia (in quanto “soggetto”, o “oggetto”, sovraindividuale e sovrastorico), se non dal punto di vista puramente narrazionale, ugualmente non è legittimo considerare l’epistemologia nei termini di una teoria generale della conoscenza. Una tale impostazione si fonda sul presupposto, radicalmente anti-idealistico, che muove la riflessione di Papi. Il suo rifiuto del soggettivismo idealista non può non fare i conti con la nozione di soggetto; ovvero, dal punto di vista delle ascendenze hegeliane dell’interpretazione di Marx, con la nozione di autocoscienza. Quest’ultima, osserva Papi, non riveste affatto i caratteri dell’autoevidenza, non rappresenta un dato, bensì appartiene all’orizzonte della volontà: «Essa vuole essere un’autocoscienza intesa come libertà, e questo non è un momento dell’intelletto, ma un’esperienza fondativa della prassi». In questo carattere tensionale, rivolto alla totalità, Papi individua l’ineliminabile radice tragica dello hegelismo e, al contempo, il suo carattere “aristocratico”. Questo aspetto trapassa, in Marx, nell’affermazione della necessità storica e logica dell’avanguardia: categoria, quest’ultima, che individua proprio un soggetto storico che non cessa di considerare l’alterità, sia essa la natura o siano essi gli altri uomini, come una sorta di spazioregione da colonizzare. E’ proprio una tale considerazione dell’alterità, fa notare Papi, che motiva, ad esempio, taluni esiti dei Grundrisse, per certi versi in contrasto con il delinearsi del profilo di una soggettività coerente con la concezione materialistica della storia. F.C. Il filosofo e la storia Considerati nella prospettiva con cui Marx, confrontandosi con Bruno Bauer sulla “questione ebraica”, profilava il compito dell’ “emancipazione” come un’attività intesa a “ricondurre” i rapporti sociali al “mondo dell’uomo” e all’ “uomo stesso”, molti dei saggi, delle conferenze e degli interventi di varia natura, scritti nell’arco di quasi due generazioni, che ora Pasquale Salvucci raccoglie nel volume IL FILOSOFO E LA STORIA (Quattroventi, Urbino 1994), acquistano piena intelligibilità e unità di contenuto. La struttura del volume, diviso per aree tematiche, illustra significativamente l’intero ambito di studi e riflessioni di Salvucci: la filos ofi a s coz z es e, Ka nt , F ic ht e, Schelling, Hegel, Marx e la filosofia contemporanea. Attraverso i vari saggi che compongono il volume Il filosofo e la storia si può ricavare come Pasquale Salvucci propenda senz’altro per un esito ottimistico dell’azione pratica dell’uomo sulla realtà; egli si attiene a ciò che chiama «fiducia nell’uomo» e alla sua facoltà di rendere razionale, cioè adatto alla propria vita, il mondo, e con ciò alla fede che il futuro dell’azione umana sia garantito da un “senso” della storia imposto dalla razionalità delle azioni. E’ evidente in Salvucci l’influenza della “lezione” hegeliana, ma anche quella dell’economia classica scozzese. L’adesione alla finitezza dell’esistenza umana non è per Salvucci - come non lo era neppure per Arturo Massolo, al quale risale la sua formazione filosofica - l’unico discrimine dell’istanza “umana” della filosofia, come invece l’esistenzialismo europeo in generale sembrava aver postulato. Per questo, secondo Salvucci, non solo quella kantiana, ma anche quella postkantiana, «generalmente interpretata come orientata alla distruzione della essenziale finitezza», è invece filosofia dotata di “profonda umanità”. Salvucci dedica il suo volume alla memoria di Cesare Luporini ad un anno dalla sua scomparsa, e vi raccoglie anche la discussione del famoso libro di questi Spazio e materia in Kant (1961); ebbene Luporini, a differenza di Massolo, aveva un’attitudine pessimistica sulla possibilità di umanizzare il mondo e diffidava dagli sviluppi idealistici della filosofia kantiana. Le idee di Salvucci risultano vividamente delineate dai saggi fichtiani. Il “mondo degli uomini” è l’orizzonte dell’esplicazione del circolo di “vita e coscienza” speculativa. Salvucci salda nell’intersoggettività l’irriflesso e l’inconscio della vita con la certezza della coscienza, aderendo a note formule fichtiane; ed è sul nesso di vita e coscienza, realizzato 26 nel “dialogo”, che si regge l’interpretazione di Fichte. Questo tratto peculiare dell’interpretazione fichtiana di Salvucci va sicuramente ricondotto all’intento massoliano di «enucleare la soggettività in senso antisoggettivistico»; e in ogni caso muove dall’originalità e dalla priorità della vita “cosciente”. Per di più, in un saggio del 1990, Fichte, Marx e la prassi emancipatrice, Salvucci sembra imputare in gran parte a Fichte l’idea marxiana di emancipazione e di razionalizzazione del “mondo dell’uomo” e mostra come nel giovane Marx vi siano spie lessicali che tradiscono, se non un’influente lettura di Fichte, certo l’assunzione di un modello simile a quello fichtiano: l’affermazione che «l’uomo è il “mondo dell’uomo”, stato, società» come scriveva Marx in Per la critica della filosofia hegeliana del diritto - ha una genesi che risalirebbe a Fichte, e in parte a Hegel. E’ nel senso comunque di una ricerca delle radici del concetto di emancipazione che Salvucci vede in Fichte e in Marx un modello comune, e nell’intero pensiero politico tedesco un vincolo genealogico tra Fichte, Hegel e Marx. Ora, per Salvucci, l’emancipazione non è mai dissociabile dalla razionalizzazione. Per questo, se la massima carenza del “postmoderno” e del “pensiero debole” risiede nell’idea che scardina il senso della storia e rende il futuro indeterminato e inappetibile ad ogni speranza e progetto, allora la razionalizzazione del degrado presente non appare più neppure auspicabile, né l’uomo può riscattarsi in un mondo proprio, conciliato secondo la forma di una comunità del dialogo nella “città dell’uomo” -, da cui ogni tratto disumano sia stato espunto come irrazionale. Secondo Salvucci, con le teoriche del postmoderno vengono tradite e la filosofia kantiana, che «non lascia il futuro in un’indeterminatezza», e quella hegeliana. In tale contesto, egli trova poco coerente l’assunto di Paul Ricoeur circa la determinazione del futuro «in direzione del desiderabile e del ragionevole» sulla base di un’ “azione strategica”, con la conclusione rassegnata alla “finitezza della comprensione” ed all’impossibilità di garantire un sicuro successo alle azioni umane. Secondo Salvucci, a partire dalla vita cosciente del soggetto - che è costantemente auspicata - la forma comunitaria e dialogica ha bisogno di riporre fiducia in un futuro per potersi inverare, e deve perciò essere costituita in modo differente da un semplice “orizzonte d’intesa” inconscio (come teorizzato da Habermas), che di quella fiducia può anche fare a meno. Soltanto la “destinazione” (Bestimmung) etica e politica del filosofo possono ridurre gradualmente i margini irrazionali del mondo ed umanizzarlo, e possono dare un senso alla storia. Volutamente Salvucci intende AUTORI E IDEE Johann Heinrich Füssli, L'artista a colloquio con J. J. Bodmer (part.) esprimere nell’idea fichtiana, anche comunemente vulgata, di destinazione del dotto la propria concezione dell’ “intellettuale”, che egli propugna ancora, associandola con il progetto di umanizzazione e razionalizzazione del mondo contro le filosofie “popolari” che si definiscono postmoderne. A questo proposito si può qui richiamare il recente studio di Luca Fonnesu, Antropologia e idealismo. La destinazione dell’uomo nell’etica di Fichte (Laterza, Bari-Roma 1993), che imposta l’interpretazione dell’etica di Fichte in rapporto alla nozione di “destinazione dell’uomo”, offrendo la prima ricognizione sistematica dell’origine di questo concetto, dall’opuscolo di Spalding, che nel 1748 mise in voga il termine, alla disputa prevalentemente semantica tra Abbt e Mendelssohn. Fonnesu è attento al nesso costante tra “destinazione dell’uomo” non solo con la dimensione etica e politica, ma anche con quella religiosa: egli ritiene che, sin dall’età dei Lumi, la direzione dell’esistenza dell’uomo sia stata connessa con la dimensione religiosa. Di qui sembra che nell’ultima fase del pensiero di Fichte, dopo le entusiastiche accentuazioni politiche - nella teoria della “morale superiore” -, il senso religioso della determinazione dell’uomo si riveli nuovamente in tenace continuità con la tradizione illuministica. P.M. Arte tra finito e infinito Lo studio di Marco Macciantelli, LETTERATURA E PENSIERO. ESTETICA DEL GENIO E TEORIA DEL ROMANZO NELLA TRADIZIONE ROMANTICA (Alinea Editrice, Firenze 1994) ripercorre lo sviluppo che dalla teoria dell’arte di Schelling, Schopenhauer e Séailles giunge, attraverso Novalis e Schlegel, alla critica letteraria e al romanzo, come totalità organica e vivente, secondo le concezioni di Benjamin, Lukács e Bacthin. L’esigenza, intrinseca all’attività artistica, di conciliare il finito con l’infinito, quale emerge al fondo di questo itinerario evolutivo, la si ritrova nell’opera di Jean Paul: IL COMICO, L’UMORISMO E L’ARGUZIA (a cura di E. Spedicato, Il Poligrafo, Padova, 1994), in cui viene delineata una teodicea del riso, che affida all’opera d’arte il compito di costituire, attraverso il comico, l’umorismo e l’arguzia, un universo di “corrispondenze”, in cui è possibile rinvenire l’unità al di là di ogni dissonanza ed eterogeneità. In Letteratura e pensiero Marco Macciantelli esamina i prodromi di una concezione che affida all’arte il compito di unificare le lacerazioni, le differenze tra io e non io, tra spirito e materia, tra finito e infinito. Tale concezione ha le sue origini nella filosofia di Schelling, di Schopenhauer e di 27 Séailles, che attribuivano al genio, identificato con l’attività creatrice spontanea e inconscia, la capacità di esprimere nel finito l’infinito, e all’arte il carattere di “supremo organo” della conoscenza. Se per Schelling, l’attività artistica del genio è quella che unifica soggetto e oggetto, la cui duplicità viene posta all’interno dell’autocoscienza, per Schopenhauer l’attività creatrice è quella che realizza l’unione dell’ “intuizione particolare” con l’ “universalità sostanziale”. In Séailles, invece, all’attività creatrice del genio viene attribuita la capacità di conferire ordine, non identificandosi con una facoltà eccezionale umana, ma coincidendo con l’attività normale di organizzazione della vita. Questa problematica, osserva Macciantelli, viene ripresa dai protoromantici Novalis e Schlegel. Mentre Novalis, riprendendo la filosofia di Fichte, mostra il legame tra attività e conoscenza, sulla base dell’autolimitazione che l’io impone a se stesso, ed esprime l’esigenza di costruire il sapere della critica, Schlegel, rifacendosi al nesso tra poesia e filosofia istituito da Schelling, si propone di costruire un sapere legato al fare e all’etica della scelta. Questi autori, fa notare Macciantelli, pongono la possibilità della fondazione della critica letteraria. Infatti, l’unità che per un attimo si manifesta nell’opera d’arte non è mai definitiva, poiché essa, in quanto apertura verso l’esterno, è passibile di essere percorsa da una molteplicità ermeneutica nella sfera AUTORI E IDEE della ricezione estetica. Secondo Macciantelli, autori come Benjamin, Lukács, e Bacthin mostrano come questa dimensione ermeneutica, che ridona all’opera d’arte il sigillo dell’infinito, poiché alla sua costruzione partecipa, oltre all’autore, anche il ricettore, determini, già nel primo romanticismo di Novalis e Schlegel, la nascita della critica d’arte come disciplina autonoma. Nel primo romanticismo emerge infatti un concetto di totalità vivente ed organica, come realizzazione dell’attività creatrice, che trova la sua più adeguata esplicazione nel romanzo. Nella concezione di Benjamin, il romanzo costituisce l’unico genere letterario che realizza l’essenza unitaria della poesia. In tale prospettiva la fondazione della critica letteraria rende possibile quell’unione di poesia e filosofia, teorizzata dai primi romantici. Dal suo canto, Bacthin mostra come l’idea protoromantica di un legame indissolubile tra ontologia ed ermeneutica trovi nel romanzo la sua più autentica applicazione, in quanto il romanzo, totalità vivente ed organica, unifica la situazione dell’autore con quella del lettore come parti integranti della sua esplicazione. Il romanzo, sottolinea ulteriormente Lukács, realizza il nesso tra io e non io, tra infinito e finito, avendo come base quella dialettica che nella filosofia romantica era posta all’interno dell’autocoscienza e svolgendosi attraverso il filo della memoria che rappresenta quel registro temporale che avvicina l’autore al lettore. L’esigenza dell’arte di unificare finito e infinito può essere rintracciata anche nell’arte comica di Jean Paul, trovando tuttavia una sua parziale realizzazione solo nell’umorismo e nell’arguzia. Nella definizione del comico come “l’infinitamente piccolo” si coglie in Jean Paul l’influsso della filosofia di Leibniz in relazione al concetto di “infinito potenziale” che si collega al principio della divisibilità all’infinito. Come rileva Eugenio Spedicato, il cosmo artistico di Jean Paul assomiglia al cosmo di Leibniz, dove le monadi costituiscono specchi prospettici di un’unica realtà: un cosmo intessuto di infinite “corrispondenze”, di continue analogie, nel quale l’esigenza di unità convive con la presenza di un’ampia molteplicità. Il cosmo artistico di Jean Paul assume in tal senso la connotazione di una “teodicea del riso” con lo scopo di raggiungere un’ “armonia prestabilita” al di là delle dissonanze e disarmonie presenti. Esaminando la fonte da cui scaturisce il riso, Jean Paul sostiene, al contrario di Kant, che il nulla non genera il riso e che si ride quando ci si trova di fronte a qualcosa, pur non aspettando nulla. Come per Kant, anche per Jean Paul il riso comico deve essere “puro” e “libero”, espressione della libertà “ludica” dell’intelletto in quanto proveniente da una “consapevole autoillusione”. Nonostante ciò, il comico di Jean Paul resta gravato dal marchio insuperabile del finito; l’esigenza di unificazione di finito e infinito si manifesta nel legame “simpatetico” dell’io con l’altro, ma non supera il limite del finito, non accede ad un universale che trascenda il particolare. Nell’umorismo, invece, si può scorgere l’infinito attraverso il suo legame con il sublime. Per Jean Paul, l’umorismo si identifica con il rovesciamento del sublime: se il sublime è “l’infinito applicato al finito”, l’umorismo è, viceversa, “il finito applicato all’infinito”. Nella prospettiva aperta dall’umorismo, infatti, l’uomo non può essere deriso per la sua particolarità, ma solo come paradigma dell’universale umanità. All’interno della teodicea estetica di Jean Paul il vertice viene tuttavia raggiunto dall’arguzia, che rappresenta una facoltà speciale dell’intelligenza, differente dall’attività meccanica dell’intelletto. L’elemento di novità nella concezione dell’arguzia di Jean Paul è l’attribuzione ad essa del concetto di “profondità di pensiero”. Contro ogni apparenza, l’arguzia, istituendo continui paragoni, riesce a cogliere una ottimistica “identità dell’universo nel molteplice”. Autentico obiettivo dell’arguzia è immergersi nel caos del mondo per superarlo, per richiamare l’idea di un’unità, di un ordine invisibile, di un’ “armonia prestabilita” che lega tutto il cosmo, in quanto formato da infinite “corrispondenze” che l’arte si propone di “anagrammare all’infinito”. Per concludere, se il genio creatore è per i romantici colui che con la sua attività riesce a manifestare la possibilità di unificare finito e infinito; se il romanziere, secondo Benjamin, Lukács e Bachtin, realizza con la sua opera una totalità vivente che lega le molteplicità compositive ispirandosi a concetti romantici; l’umorista e l’arguto di Jean Paul, dal canto loro, conservano qualcosa della genialità romantica in quanto con il loro acume, con la loro intelligenza e con la loro “profondità di pensiero” esprimono la “nostalgia” dell’infinito e la possibilità di edificare un’ “armonia prestabilita” che possa realizzare l’agognato abbraccio tra finito ed infinito. M.Mi. Bolzano e la tradizione semantica L’interesse sempre maggiore che nel campo degli studi filosofici si va manifestando per quella che è stata definita “tradizione semantica” ha condotto ad un progressivo aumento dell’attenzione per la figura e l’opera di Bernhard Bolzano. In Francia, una ricostruzione finalmente organica e sistematica della riflessione di Bolzano ci è offerta oggi dallo studio di Jan Sebestik, LOGIQUE ET MATHÉMATIQUE CHEZ B. BOLZANO (Logica e matematica in B. Bolzano, Vrin, Parigi 1993), un lavoro critico di ampio respiro, che costituisce uno strumento indispensabile per coloro che si dedicano in modo specialistico allo studio del pensiero di questo filosofo. 28 Con Logique et mathématique chez B. Bolzano, Jan Sebestik, saggista francese di origine cecoslovacca, porta a compimento il frutto di una pluridecennale ricerca sulla filosofia dell’Europa centrale, realizzando al contempo un’accurata ricostruzione di quel nucleo teoretico della riflessione di Bernhard Bolzano che è dato dalla teoria della scienza e dalla riflessione logica che la sostiene. Troppo spesso ricordato solo per i Paradoxen des Unendlichen (Paradossi dell’infinito, 1851) o, nei migliori casi, per la Wissenschaftslehre (Dottrina della scienza, 1837), Bolzano viene restituito da Sebestik alla complessità della sua opera. E sebbene l’oggetto proprio dello studio di Sebestik sia limitato al pensiero logico e matematico di Bolzano, questi due aspetti vengono tuttavia affrontati in stretta connessione con l’insieme del pensiero bolzaniano, al fine di mostrare come l’intera opera di questo filosofo si nutra della riflessione logica, indicata qui come pièce maîtresse all’interno di una visione strettamente unitaria e sistematica del sapere. In particolare, Sebestik perviene nel suo studio ad una soddisfacente e assai chiara delucidazione di quel vero e proprio nodo teorico della filosofia bolzaniana che è il concetto di proposizione in sé. In stretta relazione con la nozione di rappresentazione in sé, vengono infatti affrontate da Sebestik le differenti questioni legate alla logica della variazione e all’impostazione insiemistica che la caratterizza. Sottolineando la radicale novità e le enormi possibilità che questa concezione aprì alla logica successiva, ma anche i limiti e i punti contraddittori presenti ancora nella trattazione bolzaniana, Sebestik ne mette in luce gli stretti legami con la riflessione matematica di Bolzano, che costituisce il vero e proprio supporto di tale logica. La logica bolzaniana viene presentata non già come un blocco a sé stante, separato dal resto dell’opera dell’autore, ma piuttosto nelle sue relazioni costitutive con l’insieme del pensiero matematico di Bolzano. Quest’ultimo viene d’altra parte analizzato minuziosamente, mettendo in evidenza il processo di aritmetizzazione dell’analisi, avviato da Bolzano, l’importanza della nozione di oggetto spaziale per gli sviluppi della successiva geometria topologica, il lavoro sui numeri reali, sulle funzioni reali e sulla definizione del concetto di infinito attuale. In tal modo Sebestik riesce finalmente a mettere in luce come la riflessione logica bolzaniana sia strettamente legata al suo pensiero matematico e alle profonde innovazioni che egli vi introduce. La “logica della variazione”, vera e propria chiave di volta del pensiero logico nel XIX secolo, viene infatti presentata come il nuovissimo risultato di un approccio di tipo insiemista, che si rivelerà fecondissimo di sviluppi tanto per l’analisi quanto per la logica formale nella seconda metà del secolo. Ed è proprio nella ricchezza della dimen- AUTORI E IDEE sione storica in cui Bolzano viene collocato, che consiste l’altro grande merito del lavoro di Sebestik. Allievo di Suzanne Bachelard e di Georges Canguilhelm, Sebestik eredita infatti l’esperienza epistemologica della tradizione della philosophie des sciences, che tanta importanza ha rivestito nella filosofia francese del ‘900. È allora in particolare a J. Cavaillès che occorre far risalire il primo suggerimento, in ambito di cultura francese, per un preciso inquadramento storico della figura di Bolzano, e in particolare per un suo collegamento con la tradizione logica del ‘700 di origine leibniziana, espressa in particolare da Lambert. Ricevendo in pieno questo suggerimento di Cavaillès, Sebestik lo sviluppa, mettendone in evidenza sia i legami con i predecessori, da Lambert a Kästner a Leibniz, quanto la scarsa ricezione, se non il rifiuto, che il filosofo praghese ebbe nei confronti del kantismo. Assai sviluppata appare altresì la ricostruzione del confronto critico e intellettuale con i filosofi e matematici suoi contemporanei, da Gauss a Cauchy a Galois all’herbartiano Exner, in ciò contribuendo in maniera decisiva a correggerne l’ormai vieta immagine di Bolzano come pensatore isolato. Di fatto Sebestik si spinge assai più in là, mettendone in luce l’enorme influenza sui successivi sviluppi della filosofia austriaca e mitteleuropea. Sebbene la maggior parte degli scritti bolzaniani sia rimasta, per varie ragioni, inedita, Sebestik fa notare opportunamente come l’opera di molti suoi allievi, e di Zimmermann in particolare, abbia contribuito a diffonderne, spesso in forma manualistica e senza diretto riferimento all’autore, le idee e le principali intuizioni. Bolzano viene così a rappresentare, insieme a Brentano, uno dei due poli di cui si nutrirà l’intero pensiero austriaco successivo. Weierstrass, Cantor, Dedekind, e d’altra parte Husserl, Meinong, Twardowski gli saranno debitori, e la riscoperta del suo pensiero, agli albori del nostro secolo, non sarà che il riconoscimento di Bolzano come autore di idee che non avevano mai cessato di circolare. La riflessione logica di Bolzano, le sue ricerche matematiche, la sua Wissenschaftslehre vengono in tal modo collocate all’origine di quella riflessione filosofica, centrale per la comprensione del nostro secolo, che Alberto Coffa ha voluto chiamare “tradizione semantica”. A capo di un gruppo di ricerca sulla filosofia del linguaggio che fa capo al C.N.R.S. e all’Institut d’Histoire des Sciences di Parigi, Sebestik rappresenta l’esponente più autorevole di un nutrito gruppo di ricercatori che da anni dirige le proprie indagini verso lo studio e la promozione di quella tradizione che da Bolzano giunge sino ai Circoli di Vienna e Berlino e al pensiero di Ludwig Wittgenstein. A quest’équipe, cui fanno capo giovani come A. Soulez, Christiane Chauviré, J.-P. Comet- ti e F. Schmitz, va ascritto il merito di aver contribuito in maniera decisiva alla ripresa in Francia del dibattito su tale tradizione di pensiero, attraverso un’intensa attività tanto di insegnamento quanto di traduzione e di discussione. La feconda collaborazione con Centri quali il Collège International de Philosophie o il “Wiener KreisInstitut” di Vienna ha del resto contribuito allo svolgimento di un gran numero di incontri, colloqui e giornate di studio, dedicati in particolare al neopositivismo logico e al pensiero di Wittgenstein, che hanno in larga misura contribuito negli ultimi anni alla diffusione di questi autori in Francia. L.S. Il male nella storia secondo Kant Con il titolo IL PENSIERO POLITICO DI KANT (Laterza, Roma-Bari 1994) vengono raccolti, a cura di Giuseppe Bedeschi, gli scritti politici di Kant, in cui viene affrontato il problema del contrattualismo e della filosofia della storia. In relazione a queste tematiche, è da segnalare lo studio di Bruno Accarino, INGIUSTIZIA E STORIA (Editori Riuniti, Roma 1994), che analizza il rapporto tra storia e senso nel pensiero di Immanuel Kant e di Max Weber. Preceduti da un’ampia introduzione del curatore, i saggi politici di Kant qui raccolti da Giuseppe Bedeschi affrontano il tema della natura antropologica, della genesi e del fine del diritto e della filosofia della storia. Costante in Kant è il richiamo alla “insocievole socievolezza” dell’uomo che, spinto da motivazioni individualistiche che si concretizzano in accese competizioni, sceglie di riunirsi in società proprio per salvaguardare i propri interessi. Il diritto positivo, ricorda Kant, nasce per salvaguardare la libertà di ogni individuo che, nello stato civile, deve necessariamente limitare la propria libertà. In caso di autoritarismo, ricorda Kant, l’individuo deve comunque sottostare all’autorità politica, avendo a disposizione come arma esclusivamente la libertà della penna. Nonostante la natura competitiva e, in fondo, egoista dell’uomo, la storia si dirige, secondo Kant, verso un progresso sempre migliore: il passaggio dalla barbarie iniziale alla civiltà moderna segna, infatti, un miglioramento che rivela il telos insito nella storia. Da questo punto di vista, Kant pone come fine del progresso l’ideale cosmopolita, che dovrà unificare un giorno la totalità degli stati esistenti. L’ideale della “pace perpetua” tra i popoli, infatti, potrà essere attuato solo da una federazione di stati che, retti da rapporti economici e politici, si pongono in una condizione, perpetua, di non ostilità. Kant insiste più 29 volte sulla necessità di una federazione che, agendo sul piano etico, costituisce l’unica possibilità di arginare la natura egoista e malvagia dell’uomo. In questo, sottolinea Bedeschi nell’introduzione al volume, Kant si differenzierebbe da Rousseau, per il quale la natura buona dell’uomo sarebbe sufficiente a fondare il diritto. Per Kant, al contrario, la necessità dell’imperativo categorico è tale, in primo luogo come condizione della moralità e, in secondo luogo, come fondamento del diritto, considerato come l’unica possibilità in grado di vincere sul male antropologico. Ma se per Kant il progresso si pone come realizzazione infinita a causa della natura malvagia dell’uomo, questa visione della storia, osserva Bruno Accarino nel suo Ingiustizia e storia, si scontra necessariamente con la possibilità della Teodicea, che giustifica l’esistenza del male all’interno del progetto divino e che, tuttavia, Kant rifiuta. Infatti, la scelta della contingenza al posto della necessità porta Kant, da una parte, ad una concezione disteleologica della storia, ovvero di una storia in cui l’affaccendarsi dell’uomo e il continuo balenare di scopi diversi interferiscono con la donazione di senso e con il realizzarsi del progetto, dall’altra lo allontana da una filosofia che legittimi in modo metafisico l’esistenza del male. In altre parole, spiega Accarino, data la contingenza e casualità in cui vive l’uomo, non esiste di fatto una filosofia della storia, ma solo la possibilità, da parte dell’individuo, di ricevere quella grazia che, di volta in volta, dia senso agli eventi. Poiché il male, di fatto, appartiene agli eventi del mondo, l’uomo può solo rassegnarsi a questa mancanza di senso, strutturale alla storia, e disporsi ad accogliere un senso nei fatti contingenti. Diversa è invece la concezione della storia in Max Weber, che cerca nel potere politico della borghesia una giustificazione etica. Il calvinismo, infatti, legittima l’ascesa della classe borghese, giustificata in tutte le sue azioni da una premessa etico religiosa. Tuttavia, anche in questo caso, fa notare Accarino, la giustificazione non riesce, in quanto a fianco della gestione del potere si presenta sempre e comunque l’ingiustizia che, anche se mascherata, nasconde la presenza del male nella storia. A.S. TENDENZE E DIBATTITI Voltaire 30 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Voltaire Novità editoriali, ripubblicazioni, convegni e mostre: a trecento anni dalla nascita, Parigi e la Francia festeggiano in Voltaire l’uomo, l’intellettuale e il politico che dell’ ‘ésprit’ francese, «leggero e acuminato» come egli stesso ebbe a dire - è forse il simbolo più compiuto. Tra gli eventi più significativi di questa ricorrenza si segnala innanzitutto VOLTAIRE ET SON TEMPS (Voltaire e la sua epoca, a cura di R. Pomeau, Voltaire Foundation, Oxford 1994), vero e proprio monumento editoriale. Fanno seguito i due volumi del DICTIONNAIRE PHILOSOPHIQUE (Dizionario filosofico, a cura di C. Mervaud, Universitas, Parigi 1994) e il ritratto storico elaborato da Pierre Lepape sullo sfondo in movimento dell’epoca dei Lumi: VOLTAIRE LE CONQUERANT . NAISSANCE DES INTELLECTUELS AU SIÈCLE DES LUMIÈRES (Voltaire il conquistatore. La nascita degli intellettuali nel secolo dei Lumi, Seuil, Parigi 1994). Agli eventi francesi fa eco in Italia la pubblicazione, con il titolo: IL GIARDINO DEI DUBBI (Laterza, Bari-Roma 1994), di un’ “autobiografia apocrifa” di Voltaire, ad opera di Fernando Savater. I cinque volumi curati da René Pomeau, ricalcano in 1500 pagine la vicenda umana e intellettuale di François-Marie Arouet, in arte Voltaire. Con la pubblicazione di questo settantaduesimo titolo dell’opera completa, l’impresa della Voltaire Foundation è solo a metà del suo cammino; l’insieme arriverà a contare 150 titoli, a dire la vastità degli interessi di Voltaire, intelligenza onnivora, ma tutt’altro che enciclopedica, se si provano a rileggere i due volumi del Dictionnaire philosophique (Dizionario filosofico, Universitas, Parigi 1994), ora ripubblicati a cura di Christiane Mervaud, che costituiscono una sintesi disorganica e brillante del modo “militante” di Voltaire di intendere lo spirito illuminista. «Jean-Jacques scrive per scrivere, mentre io scrivo per agire» - ecco un esempio dello stile di Voltaire; una ragione che si appaga del proprio libertinaggio intellettuale; una scrittura limpida e spesso sfrontata, che qualche volta sfiora la provocazione pamphlettistica e si salva in virtù dell’onestà dell’obiettivo. Nel Dictionnaire la cultura filosofica, il sapere teologico e l’arte retorica, unita ad una ironia vincente, sono gli strumenti di un’unica strategia di lotta contro i poteri costituiti del dogma religioso e dell’assolutismo politico. E’ infatti l’ideale della tolleranza e della dignità razionale dell’uomo a muovere la battaglia intellettuale di Voltaire, anche nei suoi accenti più violentemente polemici. Di questo intellettuale paradigmatico dell’Illuminismo, della sua capacità di utilizzare i più diversi saperi e i generi di scrittura più svariati come la saggistica, il racconto morale, il libello, il memoriale o l’articolo di giornale, Pierre Lepape disegna un ritratto vivace sullo sfondo in movimento dell’epoca dei Lumi. Triplice è l’obiettivo della critica al potere politico e religioso che Voltaire persegue insieme a quei letterati, filosofi e scienziati, che proprio a partire dal XVIII secolo prenderanno il nome di intellettuali: la libertà, intesa come autonomia critica; la separazione dei poteri, che in sede politica sottolinea la raggiunta maturazione dell’ideologia borghese; e infine il richiamo alla storia come negazione del diritto divino e assolutistico, che vengono sottoposti al vaglio del pensiero razionale. La nuova classe intellettuale afferma così il “contropotere riformista” dello studium, che si affianca, con funzione critica e orientativa, ai tradizionali poteri politico e religioso, il regnum e il sacerdotium. La leva pratica dell’azione di Voltaire e degli intellettuali illuministi è il ricorso all’opinione pubblica, identificata in quel pubblico parigino che, proprio nel XVIII secolo sta acquisendo consapevolezza della sua forza e del suo compito storico. Nella battaglia politica che si viene svolgendo, il ruolo di Voltaire, virtuoso dell’opinion publique, è quello di affinare, più che fornire gli strumenti di pensiero, presi in prestito dalla filosofia inglese: si tratta di rappresentare in sé un 31 modello di sapere che è insieme lotta per la verità e impegno politico-morale. In un’ “autobiografia apocrifa” del filosofo, scritta da Fernando Savater nella forma del romanzo epistolare, incontriamo Voltaire nella sua residenza di Ferney, vecchio e maltrattato dagli anni, ma ancora attivissimo nel corrispondere con gli ingegni attratti nella sua orbita. Nel gioco di specchi di questo epistolario immaginario con la contessa Carolina di Beau Regard, il risalto maggiore spetta al personaggio Voltaire, che dissimula, con misurato pudore, la figura umana di François-Marie Arouet, figlio illegittimo di un notaio che lo avrebbe voluto destinare a una oscura carriera avvocatizia. Nel ritratto di Savater, Voltaire è innanzitutto uno stile, una scrittura in atto, dove trovano forma e sono condensati i fermenti di un’epoca. Se il vecchio saggio di Ferney si decide alla fine ad adottare la morale del Candide, ritirandosi a coltivare il suo orticello, occorre dire che il lotto di interessi da lui coltivato era almeno a dimensione europea. Dell’ampiezza dell’attività di Voltaire ci offre una significativa testimonianza la mostra: “Voltaire et l’Europe”, che si tiene a Parigi all’Hôtel de la Monnaie, sotto l’egida della Bibliothèque Nationale de France. Il catalogo della mostra raccoglie i contributi di numerosi specialisti e una ricca documentazione iconografica. Si affianca a quest’opera l’album di Guy Chaussinand-Nogaret: Voltaire et le Siècle des Lumières (Voltaire e il Secolo dei Lumi, Ed. Complexe, Parigi 1994) che, in trecento illustrazioni accompagnate da saggi didascalici, disegna il mosaico del secolo di Voltaire. Di intenti antologici, pur fedeli, nell’impianto, al talento discontinuo e variegato di Voltaire, sono invece, rispettivamente, i volumi di André Versaille, Dictionnaire de la pensée de Voltaire (Dizionario del pensiero di Voltaire, Ed. Complexe, Parigi 1994), e Les pages les plus célèbres de Voltaire, a cura di Nicole Masson (Le pagine più famose di Voltaire, Ed. Masson, Parigi 1994). E.N. TENDENZE E DIBATTITI Filosofia politica La discussione sui temi maggiori della politica: lo stato, la nazione, la democrazia, si alimenta oggi in Francia di una produzione editoriale che accoglie e riaggiorna i termini di un dibattito che, in buona misura, è di dominio pubblico. E’ il caso di quattro recenti pubblicazioni di studiose francesi di filosofia politica: LA POLITIQUE DE LA RAISON (La politica della ragione, Payot, Parigi 1994) e PROPOS SUR LA DÉMOCRATIE (Opinioni sulla democrazia, Descartes et C.ie, Parigi1994), entrambi di Blandine Kriegel; LA POLITIQUE ET SES ENJEUX. POUR UNE DÉMOCRATIE PLURIELLE (La posta della politica. Per una democrazia plurale, La Découverte/Mauss, Parigi 1994), di Chantal Mouffe; LA COMMUNAUTÉ DES CITOYENS. SUR L’ IDÉE MODERNE DE NATION (La comunità dei cittadini. L’idea moderna di nazione, Gallimard, Parigi 1994), di Dominique Schnapper. Accanto a questi studi si segnala l’ultimo lavoro di Pierre Bourdieu, RAISONS PRATIQUES (Ragioni pratiche, Seuil, Parigi 1994), che raccoglie le conferenze e i corsi tenuti dallo studioso tra gli anni 19861984 sul tema dello stato. Con il suo studio, La communauté des citoyens, Dominque Schnapper ci offre un chiaro contributo alla ridefinizione del concetto di nazione, proprio in un momento in cui esso sembra usurpato da rivendicazioni di tipo etnico. Per Schnapper, la confusione attorno ai termini di etnia e di nazione è da rintracciarsi nella diversità dei progetti politici che hanno sotteso alla formazione degli stati nazionali: il concetto “elettivo”, di stampo francese, contro quello “etnico”, di tipo tedesco. L’idea moderna di nazione sarebbe così la risultante di un percorso storico e ideale, che coniuga adesione politica e appartenenza etnico-culturale. Mentre la determinazione etnica viene vissuta come una condizione naturale, osserva Schnapper, la nazione è un «progetto politico» che afferma l’uguaglianza formale dei cittadini e mira a trascendere le differenze etniche e culturali: «Il cittadino si caratterizza precisamente per la sua propensione a superare le determinazioni che lo confinerebbero nel cerchio di una cultura e di un destino impostogli dalla nascita». Sotto questo riguardo il termine di nazione spetta unicamente alle società democratiche, le sole che hanno saputo opporre la libertà individuale all’identificazione di tipo etnico e che pertanto hanno istituzionalizzato lo spazio del confronto politico. La vicenda del concetto di nazione, fa notare Schnapper, rimane soggetta a una tensione dialettica tra il carattere razionale e astratto della forma nazione e il valore più originario dell’identità etnica. Da qui l’esigenza di sviluppare il sentimento di appartenenza ad una na- zione attraverso “mitologie” nazionali, con il rischio di una trasformazione del sentimento di nazione in nazionalismo e il conseguente ricorso alla guerra come fattore di integrazione nazionale. Di ordine più attuale sono le minacce di una risoluzione del concetto di cittadinanza in quello di comunità etnica o - in riferimento al processo di costituzione dell’Unione Europea - di una radicalizzazione sciovinista dell’identità nazionale, in risposta all’«integrazione obiettiva» del mercato economico. A giudizio di Schnapper, che intreccia i fili delle analisi di Durkheim, di Mauss e della sociologia anglosassone, lo stato della riflessione sui fondamenti dell’idea di nazione è carente; ciò vale anche per Max Weber che, privilegiando «l’organizzazione del potere politico», risolve nell’unità politica dello Stato l’idea di nazione, mentre è la libera società politica che dà forma e legittimità allo Stato. La tesi secondo cui non è il momento istituzionale e normativo, che fa capo allo Stato, a definire l’idea moderna di nazione, ma il progetto politico che ha il consenso dei cittadini, è ulteriormente sviluppata da Blandine Kriegel, che analizza le difficoltà incontrate dal modello di democrazia di fronte al risorgere di concezioni populistiche o autoritarie di nazione. Concezioni che, in diversa maniera, si rifanno a un’idea di “stato imperiale” che afferma la primazia del potere sul diritto. I teorici con cui Kriegel si misura in confronto critico, sono Carl Schmitt e di Ernst Kantorwicz, secondo i quali lo stato moderno trae la sua legittimità dall’imperium del principe. Si tratta di una riattualizzazione della filosofia politica di Bodin e dei teorici dell’assolutismo. Dal punto di vista storico, fa notare Kriegel, si dovrebbero distinguere due tipi di Stato: quelli usciti dal Sacro Romano Impero, che accolgono l’autorità del diritto romano, e quelli originati dal crollo delle monarchie dell’Ancien Régime, fautori di una legislazione improntata ai diritti dell’uomo e al concetto di cittadinanza. Sono questi ultimi, secondo Kriegel, a costituire quel modello politico e culturale che si può, a buon diritto, chiamare democratico e che, con l’«istituzionalizzazione dei diritti dell’uomo», trapassa in autentico stato di diritto, ovvero in Repubblica. E’ la proposta di un rinnovato giusnaturalismo, fondato sull’«antropologia della natura umana, sull’uguaglianza degli uomini e sul rapporto necessario che li unisce quando è conforme alla ragione». A conclusioni affatto diverse giunge lo studio di Chantal Mouffe, che ritiene necessario misurarsi con gli oppositori più tenaci dell’idea democratica di nazione: i teorici della conservazione. Se il limite di Schmitt, osserva Mouffe, è di avere pensato la politica nei termini di una teologia secolarizzata, negandosi la possibilità di vedere nella rivoluzione democratica «una 32 forma di legittimità fino allora sconosciuta», è nondimeno vero che egli ha il merito di avere evidenziato il carattere conflittuale della vita sociale, che le democrazie liberali tendono a confinare nella sfera privata per assicurare il consenso nella sfera pubblica. Nello stato di diritto deve trovare spazio la lotta per il potere, che del politico costituisce l’energia sostanziale. Secondo Mouffe, il ricorso alla «libera ragione comune» che, nel nome di un ecumenismo irragiungibile e indesiderabile, nega la diversità e il conflitto dei valori e delle culture, avrebbe il carattere di una irreale petizione di principio. Nella sua critica al “pensiero dello stato” o, per meglio dire, al pensiero statalizzato, Pierre Bourdieu si rifà esplicitamente al cartesiano “dubbio iperbolico” e alla lezione di Foucault, secondo cui: «le autentiche rivoluzioni simboliche sono quelle che offendono il conformismo logico, più ancora di quello morale». La critica verte dunque su quelle evidenze percepite dai cittadini come verità naturali, sulle quali riposa il consenso verso la struttura, simbolica e istituzionale, dello Stato. Si tratta, per Bourdieu, di rilevare come «le strutture cognitive non sono le forme della coscienza, ma delle disposizioni del corpo, e l’obbedienza che accordiamo alle ingiunzioni dello Stato non è comprensibile, né come sottomissione meccanica ad una forza, né come consenso consapevole a un ordine (...) ». E.N. Fenomenologia, ermeneutica, teologia In un’opera recente, IL MOVIMENTO FENOMENOLOGICO (trad. it. di C. Sinigaglia, Laterza, Roma-Bari 1994), Hans Georg Gadamer affronta il rapporto che intercorre tra ermeneutica del linguaggio, riferita alla sua stessa concezione e a quella di Wittgenstein, e la fenomenologia di Husserl e Heidegger. Esempio di trattazione fenomenologica da parte di Martin Heidegger è lo scritto, ora disponibile in traduzione italiana, FENOMENOLOGIA E TEOLOGIA (a cura di N. M. de Feo, La Nuova Italia, Firenze 1994), che riporta il testo di una conferenza in cui Heidegger affronta l’interrogazione ontologica nell’ambito della teologia. In questo suo recente lavoro, Hans Georg Gadamer intende analizzare il debito teoretico che l’ermeneutica del linguaggio, elaborata da lui stesso e da Wittgenstein, ha ereditato dalla fenomenologia di Husserl e dall’ontologia di Heidegger. Prendendo le mosse dalla filosofia di Husserl, Gadamer ricorda che la ricerca delle “cose stesse” è stato un tentativo di eludere qualsiasi pregiudiziale, messa sotto epochè, TENDENZE E DIBATTITI affinché potesse essere colto il cuore del fenomeno. La fenomenologia come scienza rigorosa ha tuttavia cominciato a vacillare, osserva Gadamer, quando l’obiettivismo, considerato sino ad allora il criterio universale e assoluto per cogliere la realtà, è entrato in crisi. Ne La crisi delle scienze europee (1954) Husserl mostrava come l’oggettività costituisca già di per sé un qualcosa di elaborato e perciò nulla di originario; da qui la necessità di cogliere un principio, il cogito, che potesse oltrepassare anche l’oggettività. Questo, secondo Gadamer, rappresenta d’altra parte l’obiettivo principale della filosofia di Heidegger: la ricerca del senso originario dei fenomeni al di là della loro cosalità, considerata come una costruzione, tipica della metafisica, e propria del comprendere. Una volta ammesso il circolo ermeneutico e una volta considerato che il comprendere non costituisce un’attività qualsiasi dell’uomo, ma un esistenziale ad esso originario, Heidegger raggiunge il senso del fenomeno, che non è più Gegenstand (oggetto), semplice presenza, ma Sache (cosa), ovvero l’evento che sfugge ad un’interpretazione cosalizzante e si costituisce come orizzonte originario di senso. Solo così, fa notare Gadamer, Heidegger riesce a sfuggire al positivismo oggettivante, che viene oltrepassato mediante il linguaggio in quanto luogo originario in cui è possibile cogliere la differenza ontologica tra essere ed ente. La fenomenologia husserliana dunque, conclude Gadamer, realizza se stessa quando diventa ermeneutica del linguaggio, dove il linguaggio poetico rappresenta l’orizzonte di appartenenza di ogni realtà. L’eredità fenomenologia, allora, si realizza nell’ontologia ermeneutica di Gadamer, dove il linguaggio diventa il trascendentale del senso, e nel gioco linguistico di Wittgenstein, dove la parola amplia la sua funzione puramente denotativa per diventare costitutiva dei significati. Gadamer sottolinea più volte che la fenomenologia husserliana trova il suo compimento nel momento in cui diventa ricerca dell’essere, inteso non più come “semplice presenza”, bensì come evento in grado di svelare i fenomeni. Questo accade durante l’ultima fase del pensiero heideggeriano, che segue alla “svolta” dall’analitica esistenziale di Essere e tempo, con cui Heidegger muta la direzione e l’oggetto della propria ricerca. Lo scritto Fenomenologia e teologia, che presenta il testo di una conferenza del 1970, anticipa, in qualche modo, le tematiche del secondo Heidegger, nella misura in cui viene qui ricercato un modo diverso di cogliere l’essere. L’intreccio tra ontologia e scoperta di Dio si concretizza nella ricerca dell’essere che realizzi l’evento e non più la cosa, superata e negata nell’età del nichilismo. La “morte di Dio”, infatti, segna la fine di Dio come ente cosalizzato, ma apre nuovi orizzonti che ne costitui- scono ulteriori manifestazioni. Heidegger sottolinea come la teologia, in quanto scienza positiva, sia giunta alla sua conclusione e come questo evento offra la possibilità di un nuovo cristianesimo “fenomenologico”, che colga l’essere di Dio, non più cosalizzato, in quanto accadimento. La teologia, in tal modo, diventa ontologia, ovvero ricerca dell’essere che, perduta la dimensione di “semplice presenza”, tipica della metafisica, si accosta a quella dimensione del sacro, che solo il poeta e un diverso tipo di linguaggio, quello fenomenologico ed ermeneutico, possono cogliere. A.S. Diversi significati di libertà Una serie di recenti saggi affronta, da diverse prospettive, il problema di una definizione dell’essenza della libertà. Se in PATOLOGIA DELLA LIBERTÀ (Palomar, Bari, 1993), di Günther Anders, la libertà rivela il suo nesso indissolubile con il soggetto umano nella sua capacità di distacco dal mondo reale, mostrando tuttavia i suoi risvolti patologici, nel saggio LA LIBERTÀ DEI FILOSOFI E LA MELA DI ADAMO (Edizioni Novecento, Palermo 1993), di Marisa Ercoleo, essa viene collegata alla facoltà peculiare dell’uomo di astrazione dal dato sensibile e al suo essere diverso dall’essere delle cose materiali in quanto proiettato sempre oltre l’orizzonte mondano. Anche la raccolta di saggi, L’ETICA E IL SUO ALTRO (Franco Angeli, Milano 1994), a cura di Carmelo Vigna, cerca di delineare, attraverso il contributo di vari autori, la natura della libertà in relazione alla sua rilevanza nell’ambito dell’etica e al significato che assume all’interno della società. Infine nel saggio: LE PASSIONI DEL FINITO (Centro Editoriale Dehoniano, Bologna 1994), di Ugo Perone, la libertà viene associata alla realtà temporale e finita dell’uomo, alla sua capacità di edificare una memoria del passato. Come dimostra il saggio di Günther Anders, Patologia della libertà, quando si affronta il problema della libertà è inevitabile il riferimento al soggetto umano. L’uomo, per Anders, si differenzia dall’animale proprio perché è libero e la libertà è manifestazione della sua capacità di distaccarsi dal mondo naturale per costruirsi un mondo artificiale. La sua libertà coincide in primo luogo con la facoltà di negare, con la possibilità di astrarre dalla realtà fisica, per concepire il nulla. Questo aspetto viene sottolineato anche da Marisa Ercoleo nel saggio La libertà dei filosofi e la mela di Adamo, mostrando come Hegel, nella rilettura e reinterpretazione che ne dà Kojève, si presenti come colui che ha sco33 perto nella negatività il carattere dialettico dell’uomo, sbagliando però nell’applicare questa negatività anche al mondo naturale. Dal canto suo Sartre, fa notare Ercoleo, ha definito la coscienza dell’uomo come libertà proprio perché non è ancorata alle cose materiali, proprio perché è sempre proiettata oltre e non coincide con se stessa. Nell’ottica di Sartre, la coscienza, distaccandosi dalla aderenza alla realtà materiale, può scegliere tra molteplici possibilità. Anche secondo Isabella Adinolfi Bettiolo, nel suo contributo al volume: L’Etica e il suo altro, la libertà dell’uomo si identifica con la scelta, come già aveva mostrato Kierkegaard, per il quale, tuttavia, non tutti gli uomini scelgono responsabilmente e quindi non tutti gli uomini sono veramente liberi. Libero non è l’esteta, che rimane legato all’immediatezza del sensibile. L’uomo etico invece sceglie se stesso con responsabilità e consapevolezza all’interno della famiglia e della società. Ma la scelta più difficile e più nobile è quella dell’uomo religioso, che stabilisce un rapporto assoluto con Dio attraverso il distacco dal finito. Anche per Bergson, interviene Giuseppe L. Goisis nel medesimo volume, la libertà è scelta, ma non sempre l’uomo sceglie; solo in certe occasioni critiche l’uomo sceglie fino in fondo. Per Bergson, di fatto, la libertà è connessa al movimento della coscienza nella sua capacità di superare gli ostacoli posti dalla natura. Che il carattere della libertà sia da ricercarsi nel distacco dalla natura, dalla realtà sensibile, è opinione anche di Italo Sciuto, che nel volume L’Etica e il suo altro analizza le caratteristiche dell’etica del distacco in Meister Eckhart, che si oppone all’etica scolastica basata sul desiderio. Mentre il desiderio è desiderio di qualcosa, il distacco ha come oggetto il nulla. Ma il potere sul nulla e sull’essere, il potere di trarre l’essere dal nulla e quindi di creare, è proprio di Dio e in questa sua attività Dio è libero, libero di scegliere e di creare, come fa notare Vittorio Possenti nel suo contributo al medesimo volume. In particolare, Possenti sottolinea come nella prospettiva di Luigi Pareyson la libertà di scelta sia una peculiarità divina. Ma attribuire una libertà come facoltà di scelta a Dio, osserva Possenti, significa limitare la sua potenza, poiché la vittoria sul male è frutto di una dura conquista e questo confermerebbe che il male ha qualche potere su Dio. Ugualmente in Jonas, Dio perde, secondo Possenti, l’onnipotenza per poter conquistare la bontà. Per Jonas, quindi, Dio non può essere responsabile del male; ha subito il male, non lo ha voluto. In entrambe queste rappresentazioni, osserva Possenti, Dio sembra perdere i propri connotati tradizionali per acquisire caratteristiche umane. Per essere veramente libero, fa notare Possenti, Dio non dovrebbe essere solo libertà, ma sintesi di necessità e libertà. La libertà di Dio è diversa da quella umana; l’uomo è l’essere possibile, TENDENZE E DIBATTITI Dio l’essere necessario; l’uomo è finito, Dio è infinito. Che nella finitezza dell’uomo si esprima la sua libertà, è ciò che mostra Ugo Perone nel suo saggio: Le passioni del finito. Qui l’infinito riceve significato dal finito, non perdendosi in una cattiva infinità. In tale prospettiva, il finito assume un significato positivo come segno della vita umana, che non è finita, in quanto interrotta dalla morte, ma è mortale in quanto vita. L’uomo è libero, osserva allora Perone, anche perché può stabilire un proprio nesso tra passato, presente e futuro, al quale attribuire un senso. In questo, sottolinea Perone, bisogna distinguere tra caotico ricordo e consapevole memoria che, scegliendo tra i ricordi e organizzandoli in direzione di un senso, manifesta la libertà dell’uomo di costruire la sua storia con il suo irripetibile significato. Il legame tra temporalità e libertà è preso in considerazione anche da Marisa Ercoleo in riferimento alle concezioni di Hegel e di Sartre. Per Hegel, infatti, l’essere è temporale in quanto storico e ciò evidenzia la sua libertà. D’altro canto, in Sartre, la coscienza umana è temporale in quanto è apertura verso il futuro come consapevole progettualità. A questo proposito interviene anche Günther Anders, facendo notare che l’uomo storico identifica, costruisce il proprio io, definendosi rispetto al mondo sociale, ritagliandosi un proprio spazio all’interno della società. Nella costituzione della propria identità, l’uomo rivela, per Anders, la propria estraneità al mondo. Tuttavia, ribadisce Ercoleo, la realtà specifica dell’uomo che definisce la sua diversità da tutti gli esseri, che lo costituisce nella sua identità e che rivela la sua eticità è l’essere con altri. La libertà dell’uomo nel suo “essere con altri” è un problema che è stato affrontato da molti filosofi, da Heidegger, Husserl, Sartre, e in primo luogo da Hegel che, secondo Kojève, mostra come la coscienza, per conquistare la dignità del proprio esistere come libertà, abbia bisogno del riconoscimento da parte di un’altra coscienza. Questo aspetto è uno dei temi portanti del volume collettaneo L’Etica e il suo altro. Nel suo contributo, Lucio Cortella sostiene la necessità di instaurare una “razionalità pratica dialogica”, che consenta di sviluppare il paradigma intersoggettivo, superando il modello del consenso a favore di quello del confronto, per potere fondare un’etica che eviti la separazione tra la teoria e l’applicazione pratica. Su questo interviene Carmelo Vigna, secondo il quale l’etica, per essere tale, non deve mai perdere di vista il suo rapporto con la verità altrimenti rischia di rimanere nella sfera del contingente, del finito o addirittura del caos. Analizzando il rapporto tra linguaggio e politica, Rüdiger Bubner indica invece la necessità che la politica si saldi con l’etica, essendo il suo obiettivo quello di stabilire una “forma strutturale dell’agire collettivo”. Una prospettiva, questa, a cui si sente vicino anche Paul Ricoeur, mostrando il primato di un’etica di tipo aristotelico sulla morale dell’imperativo categorico di ispirazione kantiana. Infine, un deciso richiamo a Spinoza come teorico di un’etica fondata sulla concezione religiosa, è ciò che caratterizza il contributo di Jean-Luc-Marion, che in tal modo riporta il problema della libertà umana in ambito religioso. Su questo tema interviene anche Marisa Ercoleo, mostrando come nella concezione ebraico-cristiana l’uomo venga concepito come libero in quanto lavora e trasforma il mondo. Inoltre l’uomo è libero perché è capace di compiere il male. La colpa del male, osserva Ercoleo, è dunque da attribuire solo all’uomo, che tuttavia è anche capace di conversione e può quindi redimersi, salvarsi. Così la libertà per l’uomo mostra il suo duplice aspetto di condanna e di salvezza. Come mostra Sartre, la libertà fa in modo che l’uomo aspiri ad essere Dio, senza poterlo mai essere. Sotto questo profilo, per l’uomo la libertà è una condanna che lo nobilita. M.Mi. Esistenzialismo politico Sotto il concetto di “esistenzialismo politico” Heiner Bielefeldt raccoglie tre grandi autori del Novecento tedesco, profondamente diversi l’uno dall’altro, mettendoli a confronto nel suo recente studio: “ KAMPF UND ENTSCHEIDUNG ”. POLITISCHER EXISTENZIALI SMUS BEI CARL SCHMITT, HELMUTH PLESSNER UND KARL JASPERS (“Lotta e decisione”. L’esistenzialismo politico di Carl Schmitt, Helmuth Plessner e Karl Jaspers, Königshausen & Neumann, Würzbug 1994). L’accostamento proposto da Bielefeldt ha il senso di voler ricollegare i fili sotterranei che attraversano il pensiero filosofico tedesco di questo secolo, anche prendendo come riferimento pensatori che si sono rivolti a interessi del tutto differenti o che, nello stesso ambito di riflessione, hanno preso posizioni antagoniste. Era già capitato in uno studio risalente agli anni cinquanta di Christan von Krockov, che il decisionismo politico di Carl Schmitt venisse accostato al decisionismo filosofico di Heidegger e a quello esistenziale di Jünger. Spunti di confronto in questa direzione venivano, d’altronde, da alcune critiche che su questo tema Karl Löwith aveva già cominciato a svolgere a partire dagli anni ’30. Ciò che invece accomuna i tre autori presi in considerazione da Heiner Bielefeldt in questo suo studio è il fatto che tutti e tre questi autori avvertono la 34 fine delle categorie politiche liberali, del modo in cui queste, singolarmente e nel loro rapporto reciproco, hanno pensato e modellato la società e lo Stato. Con l’avvento della moderna società di massa, il politico viene sempre più caricandosi di istanze totalizzanti, fino a divenire il punto di tensione più alto di cui possa farsi carico la dinamica sociale e la stessa prospettiva di realizzazione degli individui. Il politico, osserva Bielefeldt, non diventa solo «il grado di intensità dei contrasti in cui è in gioco l’integrità della vita comune» ma viene riconfigurato secondo una prospettiva di attese salvifiche, divenendo il campo delle decisioni ultime, a cui ci si vota in virtù di una scelta che non può essere argomentativamente fondata, ma attiene all’ambito dell’esistenziale e non può essere dedotta dalle pratiche discorsive razionali. A partire da questi presupposti, Schmitt considera il campo politico come una totalità che si definisce in virtù della sua contrapposizione rispetto a ciò che sta al di fuori di essa e che essa non può integrare: l’antagonismo amico-nemico è appunto ciò che dà spessore politico a qualsiasi forma di controversia sociale o ideologica. In Schmitt, dunque, il politico vive di un’alterità, che è essenziale alla sua definizione. Contro questa visione, pur restando all’interno di uno stesso ambito problematico e in fondo di una medesima visione delle motivazioni individuali che portano alla scelta politica e che si raccolgono in un comune tratto esistenzialistico, Plessner e Jaspers cercano di delineare invece, al posto di una politica della separazione e dell’esclusione, una politica dell’integrazione e dell’inclusione, in cui ciò che è Altro non costituisce il presupposto attraverso cui il politico giunge ad aggregarsi, ma ciò con cui bisogna riconciliarsi. Politico, insomma, è per Jaspers ciò che soprattutto si determina attraverso la dinamica del riconoscimento dell’altro da sé. La libertà politica diviene allora ciò per cui, a partire da un rapporto di estraneità e di contrapposizione, anzi di lotta, si giunge all’accettazione reciproca in un rapporto che alla fine diviene di solidarietà. Se in Schmitt il politico è contrapposizione tra amico e nemico, qui diventa strategia comunicativa di reciproco avvicinamento. Jaspers sapeva bene, per via, in particolare, della sua conoscenza dei meccanismi della psicologia individuale, come la formazione di identità abbia a che fare più con un processo di mutuo riconoscimento tra i soggetti in gioco, che non con quello di un mutuo rifiuto, che lasci aperta una insanabile contrapposizione. G.B. TENDENZE E DIBATTITI Posidonia (Paestum). Tempio di Era I, detto la "Basilica" Lo spazio del pensiero Spazio vissuto e spazio pensato: ciò che si offre al pensiero, per permettergli di conoscere il reale, è anche ciò che al pensiero resiste, in quanto altro da esso. Con questo enigma si sono cimentati in vario modo gli autori del testo collettaneo, curato da Renaud Barbaras, L’ESPACE LUI MÊME (Lo spazio stesso, Jèrome Millon, Grenoble 1994). Fin dall’antichità lo spazio ha suscitato l’interesse di filosofi e scienziati che, esprimendosi su di esso, finivano inevitabilmente per dire la loro sull’intera realtà. Lo spazio classico, infinito, isotropo, omogeneo, di cui Newton ci fornisce la più compiuta teorizzazione, rappresenta una sorta di rete che avvolge il reale, anzi è il reale stesso, in quanto sottoposto all’atto conoscitivo. Questa concezione dello spazio differisce dall’esperienza di una esteriorità che continuamente sfugge ai nostri tentativi di appropriazione. La difficoltà di pensare lo spazio sorgerebbe dal fatto che non si tratta di un oggetto tra gli altri, ma di ciò che consente di sperimentare gli oggetti e, in generale, l’altro da sé. A questo enigma tentano di rispondere i contributi raccolti nel volume L’espace lui même. Interrogandosi sulla nascita di un sapere geografico e di una pratica cartografica alla fine del XVI secolo, Jean-Marc Besse, nel suo intervento, attribuisce all’immaginazione un ruolo fondamentale nella costituzione dello spazio geografico. Quest’ultimo, osserva Besse, non è un’oggettività precostituita, ma appare legato a un doppio movimento percettivo e rappresentativo: la riduzione in scala della realtà al modello, con lo scopo di riunire il mondo intero in un piccolo spazio di leggibilità, e contemporaneamente l’amplificazione, che consente di cogliere il grande nel piccolo, destinando l’immagine al suo orizzonte di realtà. Attraverso la similitudine, che mette in relazione quantità diverse, l’immaginazione viene così a costituire lo spazio delle operazioni geografiche. Per Besse non c’è differenza di natura ontologica tra mappamondo e globo naturale se ridurre e ingrandire costituiscono lo stesso ordine ontologico percorso in due sensi opposti. Si tratta di una forma “non moderna” di razionalità scientifica. E non solo: l’intelligenza geografica sa cogliere le cose nella loro grandezza, nella duplice accezione matematica e morale del termine. Besse ricorda, a questo proposito, il primo atlante mondiale dell’epoca moderna, datato 1570, ad opera di Abraham Ortelius, che riporta una citazione di Cicerone sulla grandezza d’animo dello stoico: egli sa valutare la piccolezza delle cose umane in rapporto alla grandezza del mondo. Diventa esplicita la destinazione etica del sapere geografico: la conoscenza della 35 natura, allenando lo sguardo a vedere dall’alto il mondo umano aiuta a conquistare un adeguato punto di vista, la giusta distanza per valutarne la grandezza. «La geografia è la scuola di prossimità al mondo» - scrive Besse. All’originalità e ricchezza dell’intuizione spinoziana dello spazio rispetto al paradigma cartesiano e anche in rapporto ad alcuni nostri pregiudizi “scientifici” è dedicato il contributo di Charles Ramond. Adottando un punto di vista quantitativo e qualitativo insieme, Spinoza concepisce un’estensione essenziale, indivisibile, eterogenea, produttiva come fondamento di un’estensione divisibile, omogenea e inerte, rispetto alla quale i movimenti dei corpi estesi sono solo una traccia. Ramond osserva come l’estensione originaria rimanga priva di un’espressione concettule adeguata, mancando un verbo unico transitivo che «stia all’estensione come “pensare” sta al “pensiero”». Spinoza, nota Ramond, ricorre ad altri verbi, come “agire”, che però non sono del tutto appropriati. Quest’assenza, questo “verbo mancante”, potrebbe essere, secondo Ramond, l’indizio di un rifiuto da parte del nostro pensiero di riconoscere un’attività, una produttività all’estensione. Pierre Kerszberg s’interroga invece sul rapporto tra mondo fisico e mondo naturale, chiamando in causa Heidegger, per il quale con la fisica atomica, con la concezione corpuscolare della materia, si è con- TENDENZE E DIBATTITI sumata la distanza tra la cosa teorica e la cosa dell’esperienza naturale, che impediva di pensare lo spazio solo in termini quantitativi. In realtà, osserva Kerszberg, la scienza moderna, soprattutto nel progetto galileiano, è essenzialmente vicina alla vita. Il progetto galileiano di matematizzazione della fisica, basato sulla distinzione tra qualità primarie e secondarie, fa nascere, tuttavia, un’interessante questione: se il calore, il colore, ritenute da Galileo qualità secondarie, sono divenute oggi, grazie allo sviluppo della fisica, qualità primarie, ossia quantificabili, si può ipotizzare che il destino delle qualità sensibili sia quello di scomparire? La domanda, ricorda Kerszberg, era già stata posta esplicitamente da Husserl: come possono concepire le cose, che riempiono lo spazio, sprovviste di qualità sensibili? Per Kerszberg si tratta allora di non intendere il salto compiuto dalla natura alla fisica come passaggio dal non essere all’essere, ma come una posizione di essere che si affianca ad un’altra, con un ruolo differente. Nella sua rilettura del IV libro della Fisica di Aristotele, François Makowski sottolinea l’importanza conferita da questi alla terza accezione di topos, oltre a quella di luogo naturale e di luogo comune: luogo comune in sé, ovvero luogo proprio del mondo e ultimo limite immobile. Questo luogo viene presentato da Makowski come una realtà intermedia, l’ “anello mancante” tra il luogo propriamente detto (“la giustapposizione di corpi” di cui parlava Bergson) e lo spazio di tipo newtoniano (inteso come condizione della giustapposizione e dei movimenti). Questa interpretazione parte dal presupposto che i Greci non disponessero di un concetto di spazio come lo intendiamo noi dopo Newton, e che questa nozione fosse con Aristotele in corso di elaborazione. Sebbene quello di Aristotele non si possa definire un approccio fenomenologico, dal momento che considera il luogo “dal di fuori” e non come qualcosa che si mostra da sé, Makowski è convinto della fecondità della fisica aristotelica per una fenomenologia del luogo, quale è sperimentata da Heidegger. Frédéric Worms analizza la concezione dello spazio in Bergson nelle tre dimensioni, metafisica, trascendentale e psicologica. Evidenziando i tre fondamentali errori che Bergson attribuisce a Kant, Worms individua nel filosofo francese il residuo positivistico, l’alternativa tra spazio puro e intuizione della durata. Questo dualismo pare superato nella prospettiva fenomenologica; proposta da Jean François Lavigne. Riprendendo la concezione di Husserl della spazialità pre-fenomenica, Lavigne coglie lo spazio nella sua origine trascendentale. Questo approccio fenomenologico alla questione dello spazio ha inaugurato una tradizione che, accentuando l’importanza della corporeità, ha colto il movimento al cuore della soggettività. E’ la prospettiva di Jan Patocka, di cui viene proposto, in questo volume, uno scritto inedito: una breve puntualizzazione dei meriti della fenomenologia - il suo studio della corporeità e del movimento ha fatto apparire astratte le posizioni della metafisica moderna -, ma anche un invito ad abbandonare ogni retaggio cartesiano, come la pretesa di certezza di sé della coscienza riflessiva. Diversamente da Husserl, la finitudine, osserva Patocka, legata alla corporeità vivente, non può mai essere penetrata dallo sguardo della coscienza. Non un soggetto trascendentale, ma un soggetto incarnato opera le sintesi d’esperienza attraverso, innanzitutto, la sua facoltà di movimento. Con la nozione di “movimento soggettivo”, che presuppone la coincidenza del soggetto e dell’oggetto, della res cogitans e della res estensa, Patocka fa saltare appunto le posizioni della metafisica tradizionale. Miroslav Petricek, ripercorrendo alcuni testi di Patocka sul movimento, ricostruisce la sua concezione dello spazio ed evidenzia il ruolo centrale giocato dalla problematica dello spazio in fenomenologia. Infine, il contributo di Marc Richir descrive, attraverso il fenomeno del disorientamento, in cui si sperimenta lo svanire di ogni riferimento, l’apparire dello spazio stesso, l’aprirsi di una distanza originaria. Stanislas Breton invece pone il problema del rapporto del pensiero con lo spazio. Questo viene colto attraverso uno “spazio interiore”, descritto come «il vuoto di una distanza presa», definizione che supera ogni dualismo tra materia e spirito. A.M. Su Nietzsche Tra i recenti studi critici su Nietzsche, di cui ricorre il centocinquantenario della nascita, segnaliamo, di Furio Semerari, IL GIOCO DEI LIMITI (Dedalo, Bari 1993), che analizza il concetto di limite nella filosofia nietzscheana; di Dalmazio Rossi, NIETZSCHE: LA VERITÀ DELL’ARTE (Cedam, Padova 1994) che, percorrendo l’opera del filosofo, vi rintraccia la tematica artistica ed estetica; di Ettore Fagiuoli, NIETZSCHE. LA FINITUDINE COME AUTOBIOGRAFIA, (Egea, Milano 1994), che pone l’autobiografia come ambito di fondazione della soggettività. Lo studio di Furio Semerari affronta il concetto di limite in Nietzsche in rapporto alla categoria dell’esistenza. Secondo Semerari, i temi della “morte di Dio” e della fine della metafisica definiscono in Nietzsche il concetto di esistente come quell’ente che trae dal proprio limite e dalla propria finitezza la forza di proporsi come l’Oltreuomo. Premesso questo, Semerari illustra il 36 concetto di “limite” in diverse accezioni. In primo luogo il limite è visto come la consapevolezza del carattere finito e della natura terrena dell’uomo; in secondo luogo costituisce una sprone al continuo superamento del proprio essere, delle proprie abitudini e delle norme esistenti. Semerari sottolinea come il limite sia anche la necessità per l’individuo di porsi delle regole che arginino quel totale abbandono all’istinto, rifiutato da Nietzsche. Infine il limite è visto come elemento caratteristico di ogni epoca morale dell’umanità, che lo intende come strumento di sottomissione dei deboli da parte dei più forti. Ricercare all’interno delle opere nietzscheane una precisa tematica, quella dell’arte, è l’intento di Dalmazio Rossi, che in Nietzsche. La verità dell’arte propone al lettore una raccolta di brani antologici sul tema. La scelta operata da Rossi è volta a mostrare la stretta connessione che lega in Nietzsche il concetto di arte a quelli di vita e di verità, che nel pensiero comune sono considerati spesso in antitesi. Nella filosofia nietzscheana, infatti, il vero pensiero filosofico consiste nell’affermazione della vita, che può avvenire esclusivamente attraverso una concezione estetica dell’esistenza. In base a questo presupposto, Rossi traccia le linee dell’evoluzione del concetto di arte nella filosofia nietzscheana attraverso tre tappe principali. La prima riguarda la Nascita della tragedia, in cui lo spirito dionisiaco del sublime, attraverso il coro, si fa carico del rimedio al dolore dell’esistenza. Con l’eliminazione del coro, operata da Euripide, si afferma la base del pensiero razionalistico, che delimita il concetto di Verità apollinea ed esclude il dionisiaco. Qui entra in gioco, secondo Rossi, la seconda accezione del concetto di arte; smascherando il criterio razionalistico della verità, Nietzsche ritrova, al di là della catena delle metafore, di nuovo l’arte che, con le sue infinite interpretazioni, rappresenta l’autentica Verità. Tutto ciò conduce, osserva Rossi, a quella che può essere considerata l’ultima interpretazione nietzscheana dell’arte, cioè all’identificazione dell’esperienza artistica con la volontà di potenza, che, sola, riesce a scardinare la morale e a produrre nuovi valori e ideali. Lo studio di Ettore Fagiuoli, Nietzsche. La finitudine come autobiografia, ha invece come intento principale quello di mostrare come in Nietzsche l’esplorazione autobiografica sia il metodo interminabile attraverso il quale la soggettività percorre il “proprio” progetto fondativo. Questa progettualità esistenziale sottende, come scenario più o meno implicito del testo, l’analitica dell’Esserci descritta da Heidegger in Essere e tempo. Ma lo sfondo heideggeriano, più che essere una mera chiave interpretativa per la speculazione nietzscheana, trova esso stesso un fondamento a partire dalle pagine di Nietzsche. Fagiuoli vuole così indicarci come le stes- TENDENZE E DIBATTITI se analisi heideggeriane sulla costituzione dell’Esserci sembrino riprendere e, per certi versi, ricalcare quella modalità genealogico-costitutiva, propria della soggettività nietzscheana. Con autobiografia, precisa Fagiuoli, non si deve intendere «il ripercorrimento di alcune tappe essenziali della vita» di un individuo, bensì l’autocirco-scrizione, l’ “ossessione autoriflessiva” che si manifesta in quanto soggettività autoscriventesi nel mondo, scrittura vivente o vita scrivente, soggetto il cui “luogo proprio” è quel confine cieco della scrittura-soggettività sempre da ripetere. Autobiografia non è altro, allora, che la manifestazione dell’ontologia come u-topia. Nello studio di Fagiuoli l’autobiografia viene proposta come quell’ “itinerario impossibile” che accompagna tutta l’attività nietzscheana di riflessione, dalle primissime annotazioni diaristiche alla Nascita della tragedia e alle opere dell’ultima maturità, tra le quali particolare attenzione viene dedicata a Ecce homo. Un certo interesse, data la stretta connessione con la questione del “come si diventa ciò che si è”, è rivolto da Fagiuoli anche ai rapporti di Nietzsche con la musica e, in primo luogo, con quella wagneriana. A.S. Cassirer: tendenze del neokantismo Il rinnovato interesse per la filosofia di Cassirer è testimoniato non solo dalla recente pubblicazione di testi inediti o finora di difficile reperibilità, ma anche dall’apparizioni di nuovi studi critici, tra cui si segnala, di Heinz Paetzold, DIE REALITÄT DER SYMBOLISCHEN FORMEN . DIE KULTURPHILOSOPHIE ERNST CASSIRERS IM KONTEXT (La realtà delle forme simboliche. La filosofia della cultura di Ernst Cassirer nel suo contesto, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1994). L’attuale interesse per il pensiero di Cassirer si inscrive, d’altra parte, in una fase di ripresa internazionale degli studi sul neokantismo, documentata da una crescente attività di pubblicazioni scientifiche. Ne è un esempio il volume NEUKANTIANISMUS. PERSPEKTIVEN UND PROBLEME (Königshausen und Neumann, Würzburg 1994), a cura di Ernst Wolfgang Orth e di Helmut Holzhey, che riprende e sviluppa gli interventi di vari studiosi al convegno omonimo, tenutosi nel settembre 1991 presso l’Università di Trier. Tra le pubblicazioni degli scritti di Cassirer, è apparsa recentemente una raccolta dal titolo: Geist und Leben. Schriften zu den Lebensordnungen von Natur und Kultur, Geschichte und Sprache (Spirito e vita. Scritti sugli ordinamenti vitali di natura e cultura, storia e linguaggio, Reclam, Leipzig 1993), a cura di Ernst Wolfgang Orth, che nella sua introduzione mette in luce come la filosofia di Cassirer sembri avvicinarsi ad una filosofia della vita orientata in senso antropologico-culturale. Di particolare interesse, tra gli scritti di questa raccolta, è il saggio Kant und die moderne Biologie (Kant e la biologia moderna), finora inedito. La raccolta fa seguito ad una precedente, Erkenntnis, Begriff, Kultur (Conoscenza, concetto cultura, Reclam, Leipzig 1993), a cura di Rainer A. Bast, che comprende saggi composti da Cassirer in periodi diversi della sua “odissea” intellettuale. In questo contesto di pubblicazione di scritti cassireriani, segnaliamo, in Italia, la ripubblicazione del saggio Il problema Gian Giacomo Rousseau, apparso per la prima volta nel lontano 1938 per i tipi della Nuova Italia, ed ora compreso nel volume: E. Cassirer, R. Darnton, J. Starobinski, Tre letture di Rousseau (Laterza, Roma-Bari 1994). Tra i recenti studi critici su Cassirer, l’opera di Heinz Paetzold, Die Realität der symbolischen Formen, raccoglie prevalentemente articoli e interventi scritti precedentemente, in cui l’autore svolgeva la sua interpretazione della filosofia di Cassirer come una “semiotica dello spirito”. Secondo Paetzold, a cui si deve anche l’agile studio: Ernst Cassirer. Zur Einführung (Ernst Cassirer. Un’introduzione, Junius, Amburgo 1993), la Filosofia delle forme simboliche di Cassirer non è importante solo per la comprensione della “svolta linguistica” nella filosofia contemporanea, ma anche per i dibattiti sul mito e sulla posizione della scienza, della tecnica e dell’arte nella coscienza contemporanea. Una “filosofia critico-trascendentale della cultura”, capace di corrispondere alla pretesa dell’antropologia filosofica di istituirsi come l’erede della filosofia trascendentale, costituisce, secondo Paetzold, la prospettiva entro cui situare il pensiero di Cassirer. Di particolare interesse è il confronto istituito da Paetzold tra il Mito dello stato, di Cassirer, e la Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno. Di Paetzold segnaliamo infine, in occasione del cinquantenario della morte di Cassirer, che cade nel 1995, la pubblicazione di una complessiva “biografia filosofica” dal titolo: Ernst Cassirer - Von Marburg nach New York. (Ernst Cassirer - Da Marburgo a New York, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1995). A questa biografia fa riscontro la monografia di Andreas Graeser, Ernst Cassirer (Beck, Monaco di Baviera 1994), e il fascicolo monografico della rivista «Dialektik» dal titolo Symbolische Formen, mogliche Welten - Ernst Cassirer (Forme simboliche, mondi possibili - Ernst Cassirer, n. 1, 1995), con interventi di O. Schwemmer, E.O. Orth, J.M. Krais, D. Kaegi, E. Rudolph, D. Paetzold, M. Ferrari, M. Plümacher, H. J. Sandkuhler, J. Seidengart, B. Centi. 37 Con la pubblicazione del volume Neukantianismus. Perspektiven und Probleme, che riporta gli atti del convegno di Trier del 1991, Ernst Wolfgang Orth e di Helmut Holzhey hanno inteso approfondire e allargare la discussione finora sviluppatasi sulla scia del rinnovato interesse per la filosofia neokantiana, nelle sue diverse sfaccettature, intesa come un complesso di tentativi filosofici e scientifici che vanno dalla seconda metà del XIX secolo fino alla prima metà di quello attuale. L’articolazione del volume (che non coincide con la successione effettiva degli interventi del convegno) cerca di seguire - senza nessuna pretesa di sistematicità - quelle che sono attualmente le principali “rubriche” in cui si è tornati a interpretare il neokantismo, inteso come un fenomeno complesso e non riducibile ad una sola tematica filosofica, fosse pure la “teoria della conoscenza”. Il problema di una possibile definizione del neokantismo, che tenga conto della sua interna ricchezza di articolazioni teoriche, è affrontato in particolare, nella prima sezione del volume, “Unità del neokantismo”, da E. W. Orth, N. Hinske, R. Malter e G. Fanke. La seconda sezione, relativa alla filosofia della cultura intesa come una delle prospettive salienti che caratterizzano il fenomeno neokantiano, comprende interventi di F. Tenbuck, di H. Homann, di H. -L. Ollig e di H. Holzhey: se il primo contributo inquadra il neokantismo come “filosofia della cultura moderna”, il secondo mette a fuoco il programma della rivista «Logos», mentre gli ultimi due contributi sono dedicati ai problemi della religione e dell’etica. La terza sezione, “Teoria della scienza”, include interventi di J. Vuillemine, di W. Flach, di J. Petitot e di K. W. Zeitler, relativi al tema della possibilità dell’esperienza alla luce della fisica attuale, al significato del neokantismo per la teoria della scienza, alla legittimità e al senso d’una epistemologia trascendentale, al rapporto di Bauch con Frege. Gli interventi di K. C. Köhnke, P. -U. Merz-Benz, W. Lehrke, M. Havelka, F. Bianco, F. Fellmann compongono invece la quarta sezione, dedicata alla “Metodologia delle scienze sociali”, dove ricorrono in particolare i nomi di Tönnies, Adler, Simmel, Rickert e Weber. La sezione più ampia è quella dedicata ai temi tipici del neokantismo della Scuola del Baden e della Scuola di Marburgo. In particolare: G. Edel, A. Poma, P. Fiorato analizzano aspetti diversi del pensiero di Cohen; K. -H. Lembeck, C. von Wolzogen studiano alcuni motivi del pensiero di Natorp; M. Ferrari, J. Seidengart, T. Knoppe affrontano specifiche tematiche di Cassirer e i loro intrecci con altri orientamenti filosofici e scientifici; W. K. Schulz esamina alcuni presupposti del programma di Windelband di fondazione di una teoria della cultura; M. Signore analizza l’impostazione teorica di H. Rickert; mentre l’intervento di S. Nachtsheim è dedicato al programma filosofico di E. Lask. R.L. PROSPETTIVE DI RICERCA René Descartes Frontespizio delle Meditationes de prima philosophia e dei Principia Philosophiae 38 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Cartesio: le opere filosofiche Riunite in due volumi, sono state pubblicate le OPERE FILOSOFICHE (a cura di E. Lojacono, Utet, Torino 1994) di Reneè Descartes. La raccolta contiene le maggiori opere filosofiche e scientifiche del filosofo insieme a numerose lettere, che tracciano anche un profilo storico-psicologico dell’autore. A questo proposito è da segnalare la recente monografia dedicata a Cartesio da William Shea, LA MAGIA DEI NUMERI E DEL MOTO. RENEÈ DESCARTES E LA SCIENZA DEL 600 (trad. it. di N. Sciaccaluga, Bollati Boringhieri, Torino 1994). L’impostazione di questa edizione delle Opere filosofiche di Cartesio, tradotta direttamente dal latino da Ettore Lojacono, è quella di una ricomposizione degli scritti scientifici e filosofici del filosofo, che, del resto, ha sempre sottolineato l’unità sistematica del proprio pensiero. Ritroviamo, così, accanto alle opere filosofiche, come le Regulae, il Discorso sul metodo o Le passioni dell’anima, il testo scientifico più celebre di Cartesio, e cioè i Principia philosophiae, accompagnati da una fitta corrispondenza con noti personaggi dell’epoca. Proprio da queste lettere si coglie l’atmosfera di profonda apertura culturale che circonda Cartesio all’epoca della stesura di questi scritti. Trasferitosi in Olanda, che egli considera la patria dello scambio culturale e del cosmopolitismo, Cartesio, infatti, entra in rapporto con personaggi come padre Mersenne, uscendo dall’angusto contesto francese che, in una lettera a Balzac, viene descritto come provinciale e insufficiente alla produzione del pensiero. Per quanto riguarda il rapporto delle sue opere filosofiche, in senso stretto, rispetto al Discorso sul metodo, Cartesio utilizza la celebre immagine dell’albero le cui radici sono costituite dalla metafisica, il tronco dalla fisica e i rami dalle altre scienze proprio, sottolineando così la priorità ontologica della filosofia prima, che deve costituire la base per ogni ragionamento. La logica, e dunque il metodo, sono infatti giustificate rigoro- samente a priori: Cartesio procede dalle cause agli effetti, o meglio, da Dio verso la natura, utilizzando sempre le quattro regole dell’evidenza, dell’analisi, della sintesi e dell’enumerazione che, in questo modo, traggono il proprio valore di verità dal metodo stesso. In questa fase, la validità e la consistenza dell’esperienza vengono messe tra parentesi, in quanto il progetto di Cartesio è quello di istituire una sorta di mathesis universale che comprenda l’intero universo, ma da cui possa anche prescindere. In questo modo, Cartesio apriva necessariamente un conflitto con la scolastica; questa, in primo luogo, procedeva con un metodo a posteriori che, partendo dagli effetti, e dalla natura, risaliva alle cause e quindi a Dio; in secondo luogo, attribuiva alla logica una portata ben più ampia delle quattro regole. Ma le polemiche di Cartesio non terminano qui. Largo spazio è dedicato, infatti, anche al contrasto con il medico Regius, che rifiuta il dualismo cartesiano, misconoscendo l’esistenza della ghiandola pineale e riconducendo, materialisticamente, anche lo spirito all’estensione. In ogni caso il progetto cartesiano di ricondurre ogni disciplina al metodo a priori si limiterà alla sola geometria, in quanto per tutte le altre scienze era necessario utilizzare un altro metodo e, come sosteneva lo stesso Cartesio, fermarsi al “sapere autentico”. Si apre così il gruppo degli scritti scientifici, con in testa i Principia philosophiae, che riguardano i fenomeni e la realtà sensibile. Per queste discipline il metodo utilizzato è quello che, partendo dalle ipotesi, non può fornire garanzia di assoluta verità, ma solamente di probabilità. La filosofia naturale viene così indagata a posteriori, anche se la struttura logica dei procedimenti usati è sempre rigorosa. Di fatto, ciò che accomuna gli scritti del primo gruppo a quelli del secondo è la mentalità fortemente scientifica e rigorosa impiegata da Cartesio in ogni sua osservazione, con una costante attenzione per i meccanismi che determinano i fenomeni dietro la loro apparenza: anche delle cose più comuni viene ricercata sempre la spiegazione più profonda. 39 Inoltre, il presupposto che qui guida Cartesio è la certezza dell’esistenza autonoma della realtà, consistente e indipendente dal cogito, responsabile, tuttavia, della ricerca della verità. Il criterio di verità si basa, infatti, sull’accordo tra ragione ed esperienza che, al di là dei pregiudizi e dell’inganno dei sensi, possono fornire l’unico mezzo per formulare la visione scientifica del mondo. La risonanza che gli scritti di Cartesio ebbero al momento della loro prima pubblicazione, parallelamente al configurarsi del profilo psicologico del filosofo, sono tra gli elementi che emergono dalla raccolta epistolare presente in questa edizione delle Opere filosofiche. Dalle lettere emerge, inoltre, l’importanza dell’ambiente e del contesto storico che fecero da sfondo all’opera di Cartesio. Di questo ci offre una interessante testimonianza la monografia di William Shea, che descrive Cartesio nei suoi tratti caratteriali come un individuo ombroso e difficile, dedicando particolare attenzione agli incontri del filosofo con personaggi autorevoli dell’epoca, che lo influenzarono nella formulazione del proprio pensiero. Ricordiamo, a questo proposito, l’incontro con Isac Beekman, il fisico matematico che spinse Cartesio alla ricerca di una scienza nuova e universale che utilizzasse la quantità e che necessitasse della mente suprema di Dio per legittimarla. Oppure il viaggio a Roma, durante il quale Cartesio assistette alla condanna a morte di un eretico, bruciato in Campo dei Fiori, che gli fece capire quale rischi potesse correre un filosofo in quell’epoca. La monografia di Shea, inoltre, intende offrire una testimonianza obiettiva di tutte le iniziative filosofiche, scientifiche e teologiche, più o meno giustificate, di cui fu artefice Cartesio. Troviamo, così, ripetutamente menzionati, l’uso delle quattro regole, ma anche la dieta di Cartesio per vivere cinque secoli o l’invenzione di un telescopio per osservare gli abitanti della luna. A.S. PROSPETTIVE DI RICERCA Heidegger e la filosofia antica Schemi e appunti, preparati e redatti da Heidegger per le sue lezioni del 1926 sui fondamenti della filosofia antica, sono stati pubblicati, nell’ambito dell’edizione completa dell’opera di Heidegger, con il titolo: GRUNDBEGRIFFE DER ANTIKEN PHILOSOPHIE (Concetti fondamentali della filosofia antica, «Gesamtausgabe», II Abteilung, Bd. 22, Klostermann, Francoforte s/M. 1993). E’ nota l’importanza che Martin Heidegger attribuisce al confronto del pensiero filosofico con la sua storia come quella dimensione propria in cui emerge e scompare, appare e si occulta il problema dell’essere. La storia della metafisica occidentale coincide per Heidegger con la storia dell’ “oblio dell’essere” e della riduzione dell’essere all’ “ente”; un tratto di strada importante sulla via di un pensiero capace di un nuovo atteggiamento nei confronti del problema dell’essere è la “distruzione” della storia della metafisica, annunciata (ma non realizzata) in Essere e tempo. Anche l’interesse di Heidegger per il pensiero greco ha questa valenza: non è un interesse di carattere filologico o erudito - per questo aspetto Heidegger riprende la polemica di Nietzsche e di P. Yorck von Wartenburg nei confronti della storia “antiquaria” -, ma è un tentativo di risalire alle origini della metafisica occidentale e dunque della riduzione dell’essere all’ente intramondano. Negli anni Venti, al centro degli interessi di Heidegger figura Aristotele, alla cui Etica nicomachea egli aveva dedicato l’introduzione del corso sul Sofista platonico, pubblicato nel vol. 19 della «Gesamtausgabe» (cfr., «Informazione filosofica», n. 11). Alla concezione aristotelica dell’azione e della ragione pratica (phronesis) sono dedicate anche le riflessioni contenute nella cosiddetta Aristoteles-Einleitung, in cui gli studiosi ravvisano il nucleo originario di Essere e tempo. Nel corso del semestre estivo 1926 sui Grundbegriffe der antiken Philosophie, Aristotele viene definito «culmine scientifico della filosofia antica». Coerentemente con questa valutazione, Heidegger presenta in questo corso una visione panoramica e di carattere introduttivo del pensiero greco dai suoi inizi (Anassimandro e Talete) fino ad Aristotele. Il testo del corso ha un carattere frammentario, e si riduce in alcuni punti a una serie di parole e concetti-chiave e di titoli. Ma nonostante questi limiti, questo testo ci offre un’immagine degli studi heideggeriani del periodo precedente Essere e tempo, in cui emerge, in particolare, il confronto di Heidegger con pensatori che talvolta anticipano il più articolato e approfondito confronto degli anni successivi alla cosiddetta “svolta”. I pochi appunti dedicati a Eraclito, ad esempio, mostrano come già in questi anni la lettura heideggeriana di questo autore si concentri sul concetto di logos, nel duplice senso di “ragione” e di “linguaggio”. Dal confronto con i filosofi pre-socratici emergono poi alcuni temi che passeranno in primo piano in Essere e tempo. Così, dall’interpretazione di Eraclito Heidegger ricava la tesi che ciò che può essere disvelato e che si mostra (il fenomeno in senso fenomenologico) - ciò che in Essere e tempo sarà la comprensione dell’essere può essere portato alla dimensione del linguaggio; ugualmente, l’opposizione in Parmenide tra l’orientamento in base all’ente molteplice e il tentativo di portare ad espressione linguistica l’unità dell’essere prefigura l’opposizione in Essere e tempo tra l’inautenticità del “si” e l’autenticità della decisione anticipatrice. M.M. Inediti di Althusser Malgrado il sopraggiungere della follia, Louis Althusser continuò la sua attività teorica elaborando intuizioni feconde e innovative rispetto ai suoi lavori precedenti. E’ questa la nuova prospettiva che la recente apparizione di una serie di inediti del filosofo francese ha fatto maturare nei confronti della sua vita e del suo pensiero nel periodo oscuro della malattia che lo condusse all’uxoricidio. Oltre alla ripubblicazione dell’autobiografia di Althusser arricchita di alcuni materiali inediti, L’AVENIR DURE LONGTEMPS (L’avvenire dura a lungo, a cura di D. Grisoni, Stock-Imec, Parigi 1994), segnaliamo altre due opere postume del filosofo, rese da poco disponibili: SUR LA PHILOSOPHIE (Sulla filosofia, a cura di O. Corpet, Gallimard, Parigi 1994) e ÉCRITS PHILOSOPHIQUES ET POLITIQUES (Scritti filosofici e politici, a cura di F. Matheron, Stock-Imec, Parigi 1994). Delle tre sezioni in cui è ripartito il volume degli Ecrits philosophiques et politiques, ognuna corrispondente a un diverso periodo della vita di Louis Althusser (la giovinezza, il periodo dopo il ’68, gli anni della malattia), l’ultima è indubbiamente la più significativa: ci restituisce un Althusser che, contrariamente a quel che si pensava, aveva ancora qualcosa di prezioso da raccontarci. I testi presenti nella raccolta sono tutti pressoché sconosciuti e consentono di seguire l’evolversi del pensiero di Althusser dalla giovinezza alla morte, con un “buco” relativo al periodo della maturità - ma non è escluso che questa lacuna sia colmata nel secondo volume, attualmente in preparazione. Con una suddivisione che appare piuttosto artificiosa, il curatore, François Matheron, distingue un Althusser, “soggetto politico-filosofico”, quello della maturità, 40 come spartiacque tra un “soggetto in divenire”, che lo precede, e un “soggetto in crisi”, che lo segue, dando luogo, a partire dal 1980 (ovvero dopo l’uccisione della moglie e la malattia) ad “un soggetto filosofico-politico”. Tra i lavori del periodo della formazione (1946-51), che vedono un Althusser intellettuale e marxista, cristiano e comunista, hegeliano e marxista, compare innanzitutto la tesi di laurea su Il contenuto nel pensiero di Marx, in cui è già abbozzata la questione del rapporto tra il teorico del materialismo storico e Hegel. Il rifiuto della lettura esistenzialista di Hegel, allora in voga, è ribadito da Althusser più esplicitamente nell’articolo Le retour à Hegel (Il ritorno a Hegel), pubblicato in «La nouvelle Critique», e nella Lettre à Jean Lacroix (Lettera a Jean Lacroix, 1950-51), suo vecchio professore, autore di un testo su marxismo ed esistenzialismo. Per poter pensare la verità, sembra suggerire Althusser nella lettera, è necessario farsi simili a «quelli che la fanno - quelli che lavorano e lottano», occorre cioè spogliarsi delle proprie comodità materiali, per fare opera di fraternità. Di qui l’invito a distaccarsi dal “cattolicesimo reazionario” e ad unirsi al movimento proletario; invito contenuto nell’articolo Une question de faits (Una questione di fatto), che non costituisce una sconfessione della sua fede, ma un modo più autentico di viverla. Il secondo gruppo di testi (1972-78), quelli degli anni di crisi del dopo ’68, tra i quali troviamo Marx dans ses limites (Marx nei suoi limiti), ci restituisce il tentativo althusseriano di pensare il marxismo all’interno e ai margini del PCF in seguito alla crisi del movimento comunista internazionale. Nonostante alcune variazioni apportate al proprio pensiero, in questi scritti Althusser rimane sostanzialmente fedele al modello di “lettura sintomale”, messo a punto in Lire le Capital (Leggere il Capitale). È invece nei due saggi della terza parte (1982-86) che si dischiude un Althusser inedito. Se dopo il dramma del 1980 e a seguito della sua malattia, Althusser appariva spacciato come teorico, già quasi dimenticato e trascinato dal disprezzo per Marx, diffusosi con il fallimento degli Stati comunisti, le stimolanti riflessioni contenute in questi saggi rivelano un pensatore ancora fervido. Accanto ad un approfondimento della sua riflessione su Marx, sviluppato in Le courant souterrain du matérialisme de la rencontre (La corrente sotterranea del materialismo dell’incontro), nell’ultimo scritto della raccolta, Portrait (Ritratto), troviamo una breve, ma incisiva, descrizione del filosofo del futuro come «filosofo non materialista dialettico, che sarebbe un orrore, ma materialista aleatorio». Sulla nuova versione aleatoria del materialismo insistono diffusamente gli inediti althusseriani pubblicati da Olivier Corpet nel volume: Sur la philosophie. Se PROSPETTIVE DI RICERCA precedentemente Althusser partiva dal presupposto che bisognasse rimediare al vuoto teorico lasciato da Marx ed elaborarne la filosofia “latente”, il non detto, ora giudica questo suo tentativo di rendere pensabile il marxismo come una filosofia da manuale tra le altre. Il problema era come definire il materialismo senza farne un sistema immobile, un’astrazione opposta all’idealismo, ma altrettanto artificiosa. La proposta di Althusser è quella di un materialismo “aleatorio”, erede del pensiero di Democrito ed Epicuro. Marx non compare; l’unico filosofo della politica cui Althusser si ispira è Machiavelli. Ma anche Pascal e Spinoza assumono un ruolo importante: se Spinoza è partito da Dio stesso per criticare l’idealismo, Althusser, imitandolo, parte da Marx per criticare il Partito Comunista. La metafora del treno permette ad Althusser di far intravvedere quel che lui intende per materialismo aleatorio senza farlo degenerare in concetto da manuale. Il filosofo idealista, osserva Althusser, conosce la stazione di partenza e di arrivo: che si tratti della storia, dell’uomo, di Dio, dell’Essere, egli si interessa all’origine e alla fine ultima, vuole possedere la verità. «Al contrario - afferma Althusser - il filosofo materialista è un uomo che prende sempre il “treno in marcia” come gli eroi dei film westerns americani». Egli osserva le persone; guarda dalla finestra, ma non ha l’ossessione di conoscere il punto di partenza e di arrivo. Insomma, sintetizza Althusser, «il filosofo materialista registra delle sequenze aleatorie e non, come il filosofo idealista, delle conseguenze derivanti da una Origine fondatrice di ogni senso, da un Principio assoluto o da una Causa prima». In questo, la lotta di classe non viene rinnegata, ma assogettata ad un andamento “congiunturale”, dove per congiuntura Althusser intende un «incontro aleatorio di elementi in parte esistenti ma anche imprevedibili». Sur la philosophie comprende anche una lunga intervista con la messicana Fernanda Navarro, realizzata tra il 1984 e il 1987, un’appassionata corrispondenza tra i due, e il testo di una conferenza, La trasformation de la Philosophie (La trasformazione della filosofia), tenuta a Granada nel 1976. L’assenza di leggi nella storia, la lotta dei concetti nel pensiero, il rapporto tra filosofia e corso del mondo, la distinzione tra verità e pratica sono alcuni dei temi affrontati in questi inediti che rivelano l’effervescenza del pensiero di Althusser dietro una vita “ritirata e ben limitata”, come rivelano le lettere a Navarro e la sua autobiografia del 1985. Proprio quest’ultimo testo è ora disponibile con allegati uno scritto del 1964, Lettres sur l’enfance et rêves premonitoires (Lettere sull’infanzia e sogni premonitori), e il tentativo autobiografico del 1976, Les Faits (I fatti), già pubblicato. Nell’inedito Althusser racconta, sedici anni prima che il dramma si consumasse, la ricorrenza di sogni omicidi nei confronti della donna (poi divenuta sua moglie). Era il periodo in cui il filosofo si trovava in cura per una seria depressione da quello che era stato l’analista della sua compagna, permessasi “fraternamente” e ingenuamente di redigere la sua anamnesi. Un altro tassello si rende dunque disponibile per cogliere, al di là del brutale fatto di cronaca, tutto lo spessore di una vita. A.M. L’esistenza impossibile di Kierkegaard Di Kierkegaard è apparso recentemente, a cura di Dario Borso, un ‘panphlet’ che tratta del problema politico in chiave ironica. Si tratta di DUE EPOCHE (Millelire, Viterbo 1994). Sempre di Kierkegaard è stato recentemente pubblicato, tradotto per la prima volta integralmente in italiano, lo scritto: STADI SUL CAMMINO DELLA VITA (a cura di L. Koch, trad. it. di A. M. Segala, Rizzoli, Milano 1993), una raccolta di saggi che affrontano, attraverso l’ironia, temi cari al filosofo danese come l’angoscia, il valore del matrimonio, del sentimento e della religione. Strutturato come una sorta di simposio platonico, ambientato però in età contemporanea, Stadi sul cammino della vita prende spunto da un banchetto organizzato da cinque libertini danesi, convenuti per affrontare i problemi dell’amore e del matrimonio. Concentrato di psicologia, filosofia e religione, i saggi che compongono la raccolta affrontano le diverse tematiche attraverso un uso insistito dell’ironia, da cui traspare l’angoscia di fondo che caratterizza questi scritti. Come lo Zarathustra di Nietzsche che, di fronte all’evento della morte di Dio, sprofonda in un’amara risata, per testimoniare l’assurdità della vita senza quel Dio che in fondo non è mai esistito, così i personaggi di Kierkegaard affrontano la disperazione dell’esistenza muovendosi in spazi beffardi e ironici. Elemento comune a tutti questi saggi è il fatto di caratterizzarsi come prefazioni, come prologhi ad un contenuto che non compare e che, attraverso questo espediente letterario, manifesta la sua assurdità. In fondo, anche la vicenda del lungo fidanzamento con Regina Holsen, rotto da Kierkegaard poco prima del matrimonio, costituisce un esempio di come i percorsi definiti, che non riescono mai a giungere alla meta desiderata, rivelino, ironicamente, la loro mancanza di senso. Tutta l’esistenza, d’altra parte, appare in Kierkegaard come una lunga attesa di un qualcosa che, necessariamente, non arriverà mai e che, tuttavia, ci fornisce il senso della vita. Tra gli scritti contenuti nel volume, quello 41 dal titolo: Colpevole, non colpevole, racconta, con accenti autobiografici, le vicende di un fidanzamento in cui il protagonista, consapevole della propria infelicità, decide comunque di nasconderla all’amata e di procedere ugualmente verso il matrimonio, trovandosi però a vivere ogni situazione come prova della precarietà dell’esistenza e della necessità del dolore. In questo scritto, l’assurdità del matrimonio, che contrasta fortemente con il desiderio di entrambi i protagonisti, è una testimonianza dell’impossibilità dell’esistenza, volta, sempre e comunque, ad una meta necessariamente irraggiungibile. Diversa è l’impostazione di un’altro scritto sul medesimo tema, Considerazioni varie sul matrimonio che, al contrario del precedente, rappresenta, in apparenza, un’apoteosi delle gioie del matrimonio, mentre nasconde, sempre attraverso l’uso dell’ironia, la dimostrazione della sua insensatezza. Parlando in prima persona, in questo saggio Kierkegaard descrive il matrimonio «il più importante viaggio di scoperta che un uomo possa intraprendere», durante il quale tutti gli eventi quotidiani diventano gioie sublimi e infinitamente arricchenti. Attraverso una notevole forza argomentativa, che nello stile iperbolico conduce tuttavia il lettore a dubitare della validità del matrimonio, l’esaltazione della vita di coppia si contrappone alla descrizione della vita individuale, che diventa esclusivamente il luogo delle chiacchiere e dell’arroganza soggettiva. Privata, in tal modo, delle gioie effimere della vita estetica, l’esistenza diventa patrimonio esclusivo della vita etica e come tale una meta da inseguire, anche se alla fine si rivela irraggiungibile e viene rifiutata, come accade nella biografia stessa di Kierkegaard. Ancora l’ironia fa da sfondo allo scritto Le due epoche, che affronta il problema del livellamento politico e, indirettamente, esistenziale degli individui. Le due epoche, la prima rivoluzionaria e appassionata e la seconda, riflessiva e ragionevole, nascondono, secondo Kierkegaard, una dimensione di totale livellamento, che distorce i valori apparenti. Se la prima, infatti, dietro l’impulso vitale maschera decoro e forma, la seconda, dietro l’illusione della moderazione, può nascondere anche, almeno nei propositi, progetti eversivi, pur incapaci di prendere forma. In conclusione, epoca attuale e epoca rivoluzionaria risultano essere ambigue dissimulazioni, smascherate dall’ironia tragica kierkegaardiana che, al “pericolo della maggioranza” per dirla con Dario Borso che, nell’introduzione si riferisce a Tocqueville - non vede alcun rimedio. Riflessione e rivoluzione, infatti, non nascono da convinzione ed interiorità, ma esclusivamente dal livellamento che impedisce all’uomo di scegliere. Ecco perché la maggioranza, diventata livellamento e omologazione, sottrae al singolo la possibilità di vivere sino in fondo il proprio progetto esistenziale. A.S. PROSPETTIVE DI RICERCA Per un’estetica fenomenologica In uno scritto dell’epoca di Weimar, PLASTICA (trad. it. di G. Maragliano, Aesthetica Edizioni, Palermo 1994), Johann Gottfried Herder delinea una concezione estetica di tipo fenomenologico, che si distacca dalle estetiche speculative di stampo hegeliano, affermando l’autonomia e la superiorità della scultura rispetto alle altre arti per via del suo legame con l’organo di senso del tatto come quell’organo che consente una primitiva conoscenza della realtà nelle sue forme e nei suoi corpi. Il privilegiamento di questa iniziale dimensione fenomenologica del sentire tattile può essere individuato anche nella LETTERA SULLA SCULTURA (trad. it. di I. Crispini e D.Scalabrino, Aesthetica, Palermo 1994) del filosofo olandese Frans Hemsterhuis, in cui si esprime una concezione della bellezza come unità della molteplicità, come sintesi del ‘minimum’ di tempo e del ‘maximum’ di idee, unità che raggiunge il suo culmine e la sua perfezione proprio nella scultura. Johann Gottfried Herder, in Plastica (1778), e Frans Hemsterhuis, nella Lettera sulla scultura (1769), propongono una visione estetica del bello di tipo “fenomenologico”, legata alla percezione delle cose tramite gli organi di senso, dove il soggetto è il presupposto della ricezione estetica. Entrambe queste concezioni si distaccano da una visione classicistica del bello come ideale, privilegiando piuttosto una fenomenologia del sentire, fondata sull’organo del tatto, che attribuisce alla bellezza una dimensione conoscitiva. In tale prospettiva, la distinzione tra le arti avviene, per Herder, in base all’organo di senso che in ciascuna arte viene in primo luogo esercitato. La vista permette all’uomo di percepire figure che vengono rappresentate in pittura attraverso il colore e la luce; nella pittura s’incontrano quindi solo figure evanescenti, appiattite, prive di solidità terrestre. Nella scultura è invece l’organo del tatto che coglie le forme, i corpi nella loro solidità e pregnanza, nella loro plasticità e sostanzialità reale, nella loro verità “palpabile”. Creature del cielo appaiono dunque, per Herder, le figure dipinte nei quadri; creature terrestri, invece, appaiono le forme scultoree. E se la pittura coincide con il sogno, la scultura mostra il suo legame sostanziale con la verità. Herder considera l’organo del tatto quello che maggiormente consente la conoscenza della realtà, del mondo nella sua pie- Artista cicladico, Testa di kouros da Thera, VI sec. a. C. 42 nezza, nell’intrico di corpi e forme. Solo toccando le cose, sentendole nel loro essere plastico, è possibile anche vederle. Il vedere senza il sentire, osserva Herder, rimane illusorio perché determina un’immagine del mondo priva di forma e solidità, realtà fatta di contorni che delimitano immagini vuote. L’estetica di Herder mira quindi a mostrare la superiorità della scultura sulle altre arti non solo in relazione al tipo di bellezza che essa realizza, ma anche per il tipo di conoscenza che essa solo rende possibile. La scultura nella prospettiva herderiana supera dunque la dimensione segnica, cioè la distinzione tra segno e designato, in quanto crea forme che significano di per se stesse, senza rinviare ad altro. Le sculture s’impongono con la loro semplice realtà come dei; creano la propria luce, edificano il proprio spazio: sono realtà a sé stanti, che non necessitano di significati simbolici, poiché in esse significato e significante coincidono. Ciò non significa, aggiunge tuttavia Herder, che esse debbano essere identificate con realtà puramente materiali, prive di spirito; è l’attività dello scultore che forma l’anima, lo spirito della scultura; li imprime e li suggella nelle forme corporee e allo stesso tempo li rende eterni. Assai affine a questa prospettiva estetica è la concezione espressa da Hemsterhuis nella Lettera sulla scultura, in cui ugualmente si afferma il primato della scultura sulle altre arti. Hemsterhuis costruisce la propria teoria della bellezza attraverso una rielaborazione della tradizione estetica settecentesca, che attribuiva alla bellezza l’unità nella molteplicità. Per Hemsterhuis questo significava che la bellezza realizza una sintesi estetica tra l’unità, fondata sulla temporalità, e la molteplicità, dovuta alla quantità delle idee richiamate: un’opera d’arte è tanto più perfetta quante più idee riesce a evocare nel più breve spazio di tempo, infondendo una sensazione sublime di totalità unitaria come sintesi del molteplice. Secondo Hemsterhuis, l’arte che maggiormente raggiunge questo obiettivo è proprio la scultura, in quanto presenta contemporaneamente più parti dello stesso corpo nello svilupparsi del suo intero contorno. Così, la percezione che consente la scultura è totale, poiché da un lato l’occhio riesce ad abbracciare l’interezza della sua forma, dall’altro la mano può sentire la sua solidità terrestre. La conoscenza che la scultura realizza è quindi, anche per Hemsterhuis, legata ad un sentire che non è disgiunto dal vedere, producendo un soddisfacimento estetico dato dall’unione del senso della vista con il senso del tatto. È evidente qui la distanza di una concezione estetica che rivaluta il sentire contro ogni astratta ricezione della bellezza da una concezione di matrice spiritualistica e metafisica che, basandosi su con- PROSPETTIVE DI RICERCA cetti ideali del bello, svaluta la scultura, in quanto non è in grado di far emergere quel “sentire oscuro”, che permette di conoscere le forme; in particolare, è evidente la differenza sostanziale con l’estetica di Hegel, che concepiva il bello come identità di spirito e corpo. D’altro canto, pur nella vicinanza con la teoria dell’arte di Winckelmann, rinvenibile nell’esaltazione dell’arte greca e nella celebrazione della fisicità terrestre della bellezza corporea, l’estetica di Hemsterhuis, ma anche quella di Herder, si distacca da essa nel concepire l’arte come oltrepassamento, come superamento della natura. Le concezioni estetiche di Herder e Hemsterhuis fondano un’antropologia estetica della bellezza basata sulla percezione differenziale propria della corporeità, che avrà un’influenza notevole sulle estetiche moderne. In questa prospettiva, la scultura diviene una forma di conoscenza e la sua verità viene attribuita alla possibilità di cogliere nella sua totalità la concretezza della forma. Così, se nell’estetica di Hemsterhuis lo scultore cerca la luce di quella bellezza che dona l’unità del molteplice, in quella di Herder lo scultore va alla ricerca, nell’oscurità della notte, delle figure degli dei. M.Mi. Primi scritti di Nietzsche Nel centocinquantenario della nascita, due edizioni in lingua francese degli scritti giovanili di Nietzsche regalano agli appassionati, che non possono accedere all’edizione tedesca, gli esordi letterari del filosofo. Si tratta del volume degli ECRITS AU TOBIOGRAPHIQUES (Scritti autobiografici, a cura di M. Crépon, PUF, Parigi 1994), che copre gli anni dal 1858 al 1864, e di quello dei PREMIERS ÉCRITS (Primi scritti, a cura di Jean-Louis Backès, Le Cherche Midi, Parigi 1994), che raccoglie gli scritti che vanno dal 1856 al 1869, anno che vede la nomina di Nietzsche a ordinario di filologia greca all’Università di Basilea. I lavori preparatori ai corsi del giovanissimo docente di filologia ci vengono ora riproposti nel volume: INTRODUCTION AUX LEÇONS SUR L ’ OEDIPE ROI DE SOPHOCLE - INTRODUCTION AUX ÉTUDES DE PHILOLOGIE CLAS SIQUE, (Introduzione alle lezioni sull’Edipo Re di Sofocle - Introduzioni agli studi di filologia classica, a cura di F. Dastur e M. Haar, Encre Marine, La Versanne 1994). Queste recenti pubblicazioni degli scritti giovanili giungono sulla scia di una nuova traduzione francese, in due volumi, delle opere di Nietzsche, OEUVRES (a cura di J. Lacoste e J. Le Rider, Robert Laffont, Parigi 1993). Friedrich Nietzsche, 1861 Piccoli autoritratti di un filosofo adolescente, i primi scritti di Nietzsche ci restitutiscono l’immagine sorprendente di una personalità in divenire, ma già consapevole del proprio valore. Certo non pecca di modestia il dodicenne che scrive: «ho insomma preso la decisione di tenere un diario attraverso il quale verrà trasmesso ai posteri tutto ciò che riempie il mio cuore di gioia o di pena». Senza seguire un preciso ordine cronologico, Nietzsche registrerà con cura nei suoi quaderni personali tutti gli avvenimenti importanti. Eventi intellettuali, per la maggior parte: le letture di Tacito, Eschilo e i classici; le recensioni dei testi e lavori letterari e musicali. In queste pagine torna sovente il ricordo della morte del padre, «primo momento fatidico - scrive Nietzsche -, a partire dal quale tutta la mia vita ha preso una svolta». L’assenza della figura del padre, pastore protestante, segna profondamente il carattere del giovane Nietzsche, 43 rampollo disciplinato di una famiglia di credenti; a quindici anni il futuro annunciatore della morte di Dio scrive: «La religione è il fondamento di ogni sapere». Le anticipazioni del Nietzsche degli anni a venire non mancano nei brevi, ma già intensi saggi su La libertà della volontà e il fato, redatto a diciannove anni, dove si annunciano i temi della volontà di potenza e dell’eterno ritorno, e in Fato e storia, scritto col quale Nietzsche prende commiato dal cristianesimo e apre un capitolo nuovo di una vita all’insegna del “divieni te stesso”. Ma la definitiva presa di coscienza del proprio valore si compie negli anni dell’università. Allievo di Ritschl, che ne ammira il rigore e la forza intellettuale, Nietzsche si immerge nello studio dei Greci e compie le sue prime letture filosofiche sistematiche: Platone, i presocratici; ma anche Emerson e la rivelazione di Schopenhauer. L’Introduzione alle lezioni sull’Edipo Re di Sofocle è del 1870, due anni prima PROSPETTIVE DI RICERCA della pubblicazione della Nascita della tragedia, e, sotto diversi riguardi, ne costituisce il lavoro preparatorio. In questo scritto Nietzsche utilizza appieno il proprio sapere filologico, in particolare nelle lezioni dove sono messe a confronto le strutture della tragedia classica e di quella moderna in un’analisi di grande rilievo critico, che si chiude con la tesi che riconduce la nascita della tragedia al “lirismo delle Dyonisie”. E.N. «Quel che è più difficile far passare da una lingua all’altra è il movimento dello stile» - scriveva Nietzsche. Secondo Jean Lacoste e Jacques Le Rider, curatori della nuova edizione delle Oeuvres di Nietzsche in due volumi, furono proprio i primi traduttori francesi di Nietzsche, in particolare Henri Albert e Marie Baumgarten, che ebbero questa rara capacità. Rifacendosi a tali traduzioni, ormai quasi centenarie, opportunamente riviste e corrette, Lacoste e Le Rider puntano a riprodurre quella modulazione del pensiero di Nietzsche che lo rese un canto travolgente, una melodia trascinante, al punto da far esclamare a Valéry: «Nietzsche non è un alimento, è un eccitante». Questa nuova edizione non è dunque il risultato di una mera operazione storiografica, di un semplice gesto regressivo, archeologico; come spiega Le Rider nella Prefazione al primo volume, Nietzsche e la Francia. Presenza di Nietzsche in Francia, riproporre il Nietzsche che ha sedotto la Francia all’inizio del secolo significa riaffermare, come Nietzsche stesso ha sostenuto per primo, che un’opera consiste nelle interpretazioni che se ne danno. Se si intende l’interpretazione come espressione di un modo di esistere e non come puro esercizio intellettuale, rileggere le vecchie traduzioni significa allora porre in luce quel che Nietzsche chiamerebbe un «regime» d’esistenza. Nell’Avvertenza, Lacoste e Le Rider dimostrano come queste prime traduzioni siano più fedeli alla cadenza della prosa nietzscheana; e che il ritmo non sia qualcosa di accessorio per il pensiero appare evidente, per esempio, quando Nietzsche afferma che il «grande desiderio» di Zarathustra deve essere cantato, più che parlato. Efficace, in tal senso, risulta l’espressione di Georges Liébert che, nella Postfazione al secondo volume, Nietzsche, la musica, parla di «intuizione auditiva» del pensatore tedesco verso la filosofia: è attraverso l’ascolto della lingua, del suo ritmo, che si schiude il rapporto al pensiero. Trova spiegazione così l’affermazione nietzscheana: «Mi rivolgerò solo a coloro che hanno una parentela immediata con la musica, coloro per i quali la musica è il grembo materno». Potere di sconfinamento tra culture differenti e di oltrepassamento delle fron- tiere, la musica, che in modi diversi abita le lingue, autorizza allora le più svariate dislocazioni interpretative: Il caso Wagner dovrebbe così essere letto in francese e Schopenhauer apparterrebbe alla Francia dello spirito, come troviamo scritto in Al di là del bene e del male. Lacoste lancia a questo proposito la sua ipotesi interpretativa riguardo alla precoce penetrazione di Nietzsche in Francia: essa fu così fulminea perché il filosofo tedesco per primo si era francesizzato, incarnando quel destino di essere “anfibio” che aveva riconosciuto a Baudelaire. Peraltro, l’esistenza di un “vocabolario francese” di Nietzsche, dove i termini corrispondono a concetti fondamentali del suo pensiero, è rilevata da Lacoste nella sua Postfazione al primo volume. A rendere originale e preziosa questa edizione delle opere di Nietzsche in due volumi (1552 pagine l’uno, 1792 l’altro), oltre agli studi critici, alle note e alla presenza di una “Cronologia” della vita e delle opere del filosofo, è l’indice dei nomi e delle nozioni che consente di individuare un tema, un soggetto, una problematica all’interno dell’intera opera nietzscheana. A.M. Florenski: dalla tradizione all’avanguardia L’opera dello scrittore russo Pavel Florenski (1882-1937), interessante e insolita figura di prete, filosofo e scienziato, è da qualche anno all’attenzione del pubblico tedesco. Di recente è stata avviata, a cura di Sieglinde e Fritz Mierau, la pubblicazione in dieci volumi delle sue opere, di cui sono finora apparsi il terzo, DENKEN UND SPRACHE (Pensiero e linguaggio, Kontext, Berlino 1993) e il quarto, NAMEN (Nomi, Kontext, Berlino 1994). La pubblicazione dell’opera di Pavel Florenski non giunge oggi, in Germania, del tutto nuova e isolata. Già nel 1988 era stato tradotto un importante testo teorico di Florenski, Die Ikonostase. Urbild und Grenzerlebnis im revolutionären Russland (L’iconostasia. Immagine ideale ed esperienza al limite del vissuto nella Russia rivoluzionaria, Urachhaus, Stoccarda 1988), a cui aveva fatto seguito, l’anno successivo, Die umgekehrte Perspektive (La prospettiva capovolta, Matthes & Seitz, Monaco di Baviera 1989). Nel 1991 Sieglinde e Fritz Mierau pubblicavano, di Florenski, An den Wasserscheiden des Denkens (Sullo spartiacque del pensiero, Kontext, Berlino 1991), e nel 1993 veniva pubblicata una sua raccolta di frammenti autobiografici, Meinen Kindern. Erin44 nerungen an eine Jugend im Kaukasus (Ai miei figli. Ricordi di una gioventù nel Caucaso, Urachhaus, Stoccarda 1993), Questo interesse si deve principalmente alla figura singolare di Florenski e all’originalità del suo pensiero, che dietro una prima apparente impressione di eclettica bizzaria si rivela invece una chiave di lettura non solo per la complessa e travagliata vicenda della cultura russa di questo secolo, ma perfino dello stesso quadro problematico e contraddittorio in cui si colloca l’intera avventura intellettuale del Novecento. Florenski, infatti, si presenta come un pensatore che riesce a coniugare nella loro più piena radicalità avanguardia e tradizione. Nell’intento di trovare un’alternativa al mondo borghese occidentale, Florenski si colloca nel punto di tensione più alto che ha animato la cultura russa intorno alla svolta di fine secolo e poi negli anni successivi, fino alla prima guerra mondiale, e ancora dopo, fino al culmine della vicenda rivoluzionaria. Certo, in Florenski è presente un ripudio completo di qualsiasi istanza emancipativa; la liberazione dell’individuo dai legami tradizionali corrisponde per lui ad una pura e semplice opera di distruzione. Ma nella corrente infuocata di quegli anni non è facile individuare dove lo slancio, largamente condiviso in Russia, per un superamento dell’Occidente fosse effettivamente segnato dal desiderio di un suo oltrepassamento, che ne conservasse nello stesso tempo le istanze di fondo, e dove invece non agisse, magari posto più in profondità, il rimpianto per le forme di aggregazione comunitaria e per quel mondo vivente di simboli, ad esse legato, su cui il processo di modernizzazione faceva pesare la sua inesorabile minaccia di estinzione. All’interno di questo crogiolo e intrisa di questo magma spirituale vive l’opera di Florenski. Sulla sua estraneità, ed anzi sulla sua vera e propria ostilità, all’utopia sociale che ha animato la rivoluzione russa, non vi è alcun dubbio. Tuttavia è significativo che mentre oggi egli viene riscoperto per le affinità che il suo pensiero mostra con la temperie spirituale post-comunista, tesa alla ricerca delle radici e delle tradizioni, per altro verso risulta bloccata ogni sua interpretazione in senso russo-nazionalista e non tanto per la sua predilezione della tradizione culturale bizantina a scapito di quella strettamente russo-ortodossa, che è quella a cui principalmente si legano le tendenze nazionalistiche, quanto per i tratti di forte modernità che presenta la sua interpretazione dei valori della tradizione. Per Florenski, infatti, la tradizione non si identifica con un universo contenutistico di valori da salvaguardare di fronte alle nuove pretese di valore con cui la modernità cerca di legittimare se stessa. La validità della tradizione per PROSPETTIVE DI RICERCA Florenski consiste piuttosto nel suo universo di forme, per cui la sua stessa sostanza materiale non è cosa ontologicamente diversa dai segni di cui si compone e con cui si manifesta. Il mondo è una foresta di simboli diceva Baudelaire, e allo stesso modo per Florenski il mondo della tradizione non è altro che una struttura codificata di segni che si pone significativamente per se stessa. Se ora consideriamo, per esempio, che tutta l’attività moderna di scrittura e di produzione pittorica si pone all’insegna dell’assorbimento del significato nel significante o della figura nel colore, con Florenski ci troviamo già in pieno movimento avanguardistico. Di fatto, l’analisi del linguaggio biblico o del rituale cristiano-bizantino è condotta da Florenski con quella stessa stupefacente sensibilità che lo pone in sintonia con le più spregiudicate forme di sperimentazione artistica. Per questo l’opera di Florenski sembra in grado di fornire una nuova chiave di lettura della vicenda intellettuale del nostro secolo, ben più complessa ed intricata di quanto finora ci sia sembrata. G.B. Opere complete di Gadamer Con la pubblicazione del volume VIII, ÄSTHETIK UND POETIK. I . KUNST ALS AUS SAGE (Estetica e poetica. I. Arte come asserzione, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1993), e IX, ÄSTHETIK UND POETIK. II. HERMENEUTIK IM VOLLZUG (Estetica e poetica. II. Ermeneutica in esecuzione, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1993), prosegue l’edizione delle opere complete di Hans-Georg Gadamer. Contemporaneamente, nel «Dilthey Jahrbuch für Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften» (vol. VIII, 199293) è stata pubblicata la parte iniziale del manoscritto originario dell’opera principale di Gadamer, ‘Verità e metodo’. Sono pochi i filosofi a cui sia toccato il privilegio di vedere pubblicata in vita un’edizione completa delle proprie opere. E’ questo il caso di Hans-Georg Gadamer che, dopo il grande interesse suscitato dalla pubblicazione di Wahrheit und Methode (Verità e metodo, 1960), la sua opera di maggiore impegno sistematico, ha iniziato a raccogliere i propri scritti nei «Gesammelte Werke», l’edizione completa delle opere. Ad aprire questa pubblicazione furono, nel 1985, i volumi V e VI, Griechische Philosophie I e II (Filosofia greca I e II), che raccolgono i saggi e gli scritti dedicati da Gadamer al pensiero greco, a cui fece seguito, nel 1991, il volume VII, Grie- chische Philosophie. III. Plato im Dialog (Filosofia greca. III. Platone in dialogo), interamente dedicato a Platone. Nel 1986 fu la volta dei volumi I e II, apparsi rispettivamente con il titolo: Hermeneutik I. Wahrheit und Methode (Ermeneutica I. Verità e metodo), che riportava l’opera maggiore di Gadamer, e Hermeneutik. II. Wahrheit und Methode. Ergänzungen, Register (Ermeneutica II. Verità e metodo. Integrazioni, indici), che raccoglie le integrazioni al testo principale. I volumi III, Neuere Philosop hie. I. Hege l. Husserl. Heidegger (Filosofia moderna. I. Hegel, Husserl, Heidegger), e IV, Neuere Philosophie. II. Probleme-Gestalten (Filosofia moderna. II. Problemi-figure), apparsi entrambi nel 1987, raccolgono saggi e studi dedicati a quei pensatori, Hegel, Husserl, Heidegger, e a quelle correnti di pensiero, tra cui in particolare la fenomenologia, e in generale a figure e problemi (la storia, il tempo, l’etica e l’antropologia) della filosofia moderna e contemporanea, nel confronto con i quali Gadamer è venuto costruendo la propria concezione filosofica. Questi ultimi due volumi dei «Gesammelte Werke», dedicati all’estetica e alla poetica, presentano un aspetto rilevante dell’attività filosofica di Gadamer, che non ha un interesse solo per l’estetica, ma coinvolge l’intera elaborazione gadameriana di un’ermeneutica generale. Con Verità e metodo Gadamer si proponeva, partendo da Husserl e Heidegger, di liberare la teoria della conoscenza filosofica dal predominio di una concettualità legata alle scienze empiriche e di far valere la specificità dell’esperienza del “comprendere”. A tal proposito, un tipo d i con oscen za c he, se con do Gadamer, poteva fungere da modello alternativo era quello della phronesis di Aristotele, espressione di una razionalità legata non alla contemplazione dell’ente, ma alla dimensione della prassi. Accanto a questa conoscenza, l’arte svolge per Gadamer un ruolo fondamentale. I saggi e gli studi raccolti in questi volumi non presentano variazioni sostanziali rispetto alle tradizionali tematiche affrontate da Gadamer, in particolare in Verità e metodo. Piuttosto, come afferma Gadamer stesso nella “Prefazione”, questi scritti intendono riaggiustare «l’equilibrio tra arte e scienza, che costituisce la ragione comune di tutte le scienze dello spirito». Gli studi presentati nel volume VIII, tra cui: Estetica e verità, Poetica e attualità del bello, La trascendenza del bello, Dal bello all’arte - Da Kant a Hegel, L’arte della parola, Sull’arte figurativa, Ai confini del linguaggio - circoscrivono un orizzonte problematico in cui è centrale l’analisi del rapporto tra i linguaggi dell’arte e la concettualità della filosofia. Il volume contiene inoltre testi inediti, come Von der Wahrheit des Wor45 tes (La verità della parola, 1971), Wort und Bild - “so wahr, so seiend” (Parola e immagine - “così vero, così essente, 1991), Zur Phänomenologie von Ritual und Sprache (Per la fenomenologia del rituale e del linguaggio, 1992). Nella “Prefazione” ai volumi Gadamer esprime la convinzione che «ogni teoria, e così anche la teoria ermeneutica, deve avere il proprio sostegno nella prassi ermeneutica». Così, i saggi presenti nel volume IX, dedica ti tra l’altro a Hölderlin, Goethe, George, Rilke, Celan, intendono, da una parte, verificare i principi generali dell’ermeneutica, elaborata in Verità e metodo, dall’altra, si propongono di «servire al compimento, attraverso il quale la poesia può diventare l’interlocutrice di un dialogo di riflessione». Convinzione di fondo che guida questi saggi è che «tra il linguaggio della poesia e l’invenzione linguistica del pensiero filosofico corrano fili particolari». In tal senso, la prospettiva proposta da Gadamer è più quella di una «partecipazione alla poesia», che quella di rendere quest’ultima oggetto di una considerazione “scientifica”. Nel suo Erkenntnis des Erkannten. Zur Hermeneutik des 19. und 20. Jahrhunderts (Conoscenza del conosciuto. Sull’ermeneutica del XIX e del XX secolo, 1990) Frithjof Rodi critica la contrapposizione sviluppata da Gadamer tra ermeneutica “tradizionale” e “filosofica”, dov e l’ermen eutica filoso fica d i Heidegger e dello stesso Gadamer costituisce un superamento dell’ermeneutica di Schleiermacher, Boeckh, Dilthey, ancora legata all’ambito particolare delle scienze dello spirito. Nel contestare la costruzione gadameriana della storia dell’ermeneutica, l’intenzione di Rodi è quella di affermare il significato che Dilthey e Georg Misch, prosecutore di una linea “diltheyana” dell’ermeneutica, rivestono ancora oggi per la discussione filosofica. Le osservazioni di Rodi sono state parzialmente recepite e accettate da Gadamer in una sua recensione dell’opera di Rodi (e di altri testi legati all’ambito della Dilthey-Schule) apparsa nella rivista «Philosophische Rundschau» (n. 38, 1991). A proseguire questo dialogo tra Gadamer e i pensatori e gli studiosi che si preoccupano di tenere viva l’eredità della filosofia di Dilthey viene ora, con il titolo Wahrheit und Methode. Der Anfang der Urfassung (Verità e metodo. L’inizio della stesura originaria), a cura di Jean Grondin e Hans-Ulrich Lessing, la pubblicazione nel “Dilthey-Jahrbuch für Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften” della parte iniziale della prima versione di Verità e metodo, databile attorno al 1956. M.M. PROSPETTIVE DI RICERCA Wittgenstein: psicologia, etica, estetica e architettura Con il titolo LETZTE SCHRIFTEN ÜBER DIE (19491951). DAS INNERE UND DAS AUSSERE (Ultimi scritti sulla filosofia della psicologia, 1949-1951. L’interno e l’esterno, a cura di G. H. von Wright e H. Nyman, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1993) sono stati pubblicati in Germania gli appunti manoscritti inediti di Lugwig Wittgenstein sulla grammatica dei concetti psicologici. Manoscritti e appunti dattiloscritti sull’estetica e l’etica sono invece pubblicati nel volume VORLESUNGEN UND GESPRÄCHE ÜBER ÄSTHETIK, PSYCHOANALYSE UND RELIGIÖSEN GLAUBEN (Lezioni e discorsi sull’estetica, psicoanalisi e fede religiosa, Pererga, Düsseldorf 1994). Un’ulteriore testimonianza dei molteplici interessi scientifici di Wittgenstein, questa volta impegnato nel campo dell’architettura, ci viene dalla monografia di Paul Wijdeveld, LUDWIG WITTGENSTEIN, ARCHITECT (Ludwig Wittgenstein, Thames and Hudson, London 1993), che ci informa del progetto, elaborato da Wittgenstein, nell’estate del 1926, insieme all’architetto Paul Engelmann, per la costruzione della nuova casa della sorella Margarethe Stonborough-Wittgenstein. PHILOSOPHIE DER PSYCHOLOGIE Dopo aver terminato la prima parte delle Ricerche filosofiche, Ludwig Wittgenstein lavorò dal 1947 al 1948 alla stesura di nuovi manoscritti, contenenti osservazioni quasi esclusivamente dedicate alla natura dei concetti psicologici. La maggior parte del materiale elaborato venne pubblicato con il titolo: Bemerkungen über die Philosophie der Psychologie (Osservazioni sulla filosofia della psicologia), rielaborato in seguito insieme ad alcuni abbozzi dattiloscritti precedenti, che vennero pubblicati come seconda parte delle Ricerche filosofiche, mentre le versioni precedenti vennero pubblicate con il titolo: Letzte Schriften über die Philosophie der Psychologie (Ultimi scritti sulla filosofia della psicologia). Nel 1992 Elizabeth Auscombe e Georg Henrik von Wright, ne hanno pubblicato un secondo volume, che raccoglie gli appunti preparatori ai manoscritti da cui Wittgenstein trasse la seconda parte delle Ricerche. I manoscritti delle versioni preliminari della seconda parte delle Ricerche sono invece presenti nel recente volume: Letzte Schriften über die Philosophie der Psychologie (1949-1951). Das Innere und das Außere Il tema di fondo delle analisi presenti in questi manoscritti riguarda la “grammatica dei concetti psicologici”, che rappresenta il tentativo di Wittgenstein di avvicinarsi alla capacità dell’uomo di abbracciare il proprio spazio psichico privato, mentre agli altri esseri è dato di coglierlo solo in modo mediato, attraverso manifestazioni esteriori. Tuttavia, fa notare Wittgenstein, se il problema della conoscenza del nostro spazio interiore privato viene posto acriticamente in questi termini, si cade nell’errore di credere nella capacità denotativa del nostro stato interno. In sostanza, Wittgenstein sostiene che i significati linguistici, fissati attraverso «atti spirituali interiori», sono fittizzi. Se prendiamo, ad esempio, la parola “sapere”, risulta chiaro che noi non “conosciamo” l’uso significativo di questa parola a partire dai nostri pensieri, sensazioni o percezioni, ma «semplicemente l’abbiamo». Anche qui Wittgenstein utilizza l’esempio paradigmatico dell’esperienza del dolore: «se vogliamo “sapere” il dolore degli altri, non possiamo, nello stesso tempo, saper nulla del nostro proprio dolore», proprio perché in questo modo, riterremmo giustificabili i dubbi sulla “nostra” sensazione di dolore, che sono però cancellati dal nostro “sapere”. Questo naturalmente non significa, come per i comportamentisti, che il dolore non sia altro che «il comportamento del dolore». Le manifestazioni del dolore di un’altra persona non hanno, per Wittgenstein, il carattere di una deduzione che dai sintomi giunge ad una interiorità nascosta. L’interno (Innere) non è altro che una «finzione grammaticale»: i sintomi esterni semplicemente “mostrano” che una persona prova dolore, ma questo non permette la loro attribuzione ad un’interiorità che è “conosciuta” solamente come esperienza propria. Naturalmente queste osservazioni riguardano la distinzione tra “esterno” e “interno”, una distinzione che ha solo un carattere logicogrammaticale, perché è solo il nostro atteggiamento che dà i criteri per l’attribuzione di predicati psicologici. L’indeterminatezza dello psichico si chiarisce per Wittgenstein attraverso l’uso della parola “psichico”. Il problema del rapporto “interno-esterno”, rimanda alla distinzione, in un certo senso costitutiva dell’intero pensiero di Wittgenstein, tra ciò che può essere “detto” e ciò che può essere solo “mostrato”. Proprio all’interno di questa distinzione si inseriscono le ricerche in ambito estetico ed etico, pubblicate con il titolo: Vorlesungen und Gespräche über Ästhetik, Psychoanalyse und religiösen Glauben. In queste ricerche, Wittgenstein mette in dubbio la possibilità di giungere a un fondamento sicuro per la filosofia, la scienza e l’etica, per la quale «non è data alcuna proposizione che per un senso elevato sia importante o insignificante». Ciò che fonda il significato è l’uso linguistico delle proposizioni. M.C. Accanto all’impegno scientifico, tra i molteplici interessi intellettuali di Wittgenstein figura anche l’architettura, che egli ebbe modo di praticare in particolare, secondo quanto ci riferisce Paul Wijdeveld, in occasione della progettazione, nell’estate del 1926, insieme all’architetto Paul Engelmann, della nuova casa della sorella Margarethe Stonborough-Wittgenstein. Nella Ludwig Wittgenstein 46 PROSPETTIVE DI RICERCA Casa di Margarete Stonborough Wittgenstein a Vienna sua monografia, Ludwig Wittgenstein, Architect, Wijdeveld ci presenta, con una dettagliata documentazione fotografica e disegni tecnici, gli stadi di sviluppo del progetto, con i vari problemi di progettazione, estendendo l’analisi anche al contesto biografico e culturale dei filosofi, degli artisti, dei pittori e dei musicisti nella Vienna di inizio secolo, per cercare le connessioni tra l’opera di Wittgenstein architetto e il suo pensiero estetico. Engelmann, uno dei primi allievi della scuola privata di architettura fondata da Adolf Loos a Vienna nel 1911, conobbe Wittgentein nell’autunno del 1916 a Olmütz in Moravia, dove il filosofo era giunto dopo aver studiato ingegneria meccanica alla Technische Hochschule di Berlin-Charlottenburg, ingegneria aeronautica all’Università di Mancester ed aver approfondito i suoi interessi filosofici dal 1911 all’Università di Cambridge con Bertrand Russell e George Edward Moore. Del progetto della villa Stonborough-Wittgenstein Wijdeveld individua due prototipi in un progetto di Engelmann, ancora studente, pubblicato da Loos nel 1913, e in un progetto di Loos non realizzato del 1921 per il Palais Bronner di Vienna. Entrambi i progetti si ispiravano alla concezione spaziale di Loos, secondo cui una casa deve essere progettata dall’interno verso l’esterno, cioè la planimetria e la volumetria di una casa deve essere l’organizzazione di una serie di spazi cubici concepiti secondo la loro specifica funzione, piuttosto che come anonimi spazi condizionati dalle necessità della facciata. Quando, nell’estate del 1926, Wittgenstein iniziò ad occuparsi della progettazione della villa della sorella, la forma essenzialmente cubica, data da Engelmann alla casa, era già stata definita. Al progetto Wittgenstein era stato invitato dalla sorella a collaborare con Engelmann, con l’intento terapeutico di dare sfogo alla sua maniacale attenzione per i particolari. In questa prospettiva, e anche tenendo conto dalla dichiarata ammirazione di Wittgenstein per l’architetto barocco viennese Fischer von Erlach, Wijdeveld conclude che il vero contributo progettuale del filosofo viennese sta nella sua abilità di trascendere il modello della moderna villa suburbana, proposta da Engelmann, per giungere a un equivalente moderno del barocco “palazzo cittadino” (Stadtpalais). Gli altri interventi di Wittgenstein si concentreranno essenzialmente sulla proporzione, la simmetria e i dettagli della costruzione, nella proposta di un linguaggio architettonico di grande esattezza e precisione, che rimuovesse ogni decorazione classica presente nel progetto di Engelmann, che veniva ridotto «a un’austera composizione di linee, piani e volumi». Egli stesso espresse questa concezione architettonica nel 1930, nei Vermischte Bemerkungen (Osservazioni varie), affermando che «quello che differenzia un cattivo architetto da uno buono è che il primo 47 soccombe ad ogni tentazione, mentre il secondo vi resiste». In questa concezione degli strumenti architettonici come afferenti ad attività di vita, non si può non vedere in trasparenza le premesse del Tractatus («quanto può dirsi, si può dire chiaro, e su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere») e la sua teoria della significazione (solo se una espressione si riferisce a qualche cosa è significante). In particolare, ciò che attirò maggiormente l’attenzione di Wittgenstein fu la progettazione degli oggetti metallici, porte metalliche e accessori delle finestre, serrature e saliscendi. Wijdeveld individua la ragione per cui questi oggetti semplici e pratici dovevano essere perfetti nella teoria estetica di Wittgenstein, nel loro essere potenzialmente oggetti di pensiero e di contemplazione estetica. In data 7 ottobre 1916 Wittgenstein annota nel suo diario: «l’opera d’arte è l’oggetto visto sub specie aeternitatis; e la vita buona è il mondo visto sub specie aeternitatis. Questa è la connessione tra arte ed etica». In un altro brano dei Vermischte Bemerkungen Wittgenstein afferma che «l’architettura è un gesto. Non ogni movimento del corpo umano guidato da uno scopo è un gesto. Niente è più progettato e costruito per uno scopo del gesto architettonico». Il concetto di gesto, così inteso, si avvicina ai concetti di stile e buone maniere che Wittgenstein formulerà nelle lezioni di este- PROSPETTIVE DI RICERCA tica del 1938 a Cambridge, dove l’esempio proposto sarà quello del taglio di un abito. A questo proposito, Wittgenstein spiega che il giudizio estetico sta in questo caso nell’apprendimento delle regole della sartoria e nella comprensione delle tecnologie usate, della possibilità data dai materiali e della tradizione della confezione degli abiti. In alcuni luoghi della casa il conflitto tra il concetto ideale intellettuale di equilibrio e simmetria e la realtà non totalmente malleabile dell’edilizia, che chiede ogni sorta di compromessi, venne risolto dal filosofo con muri artificialmente spessi o con l’introduzione di falsi muri. Così Wittgenstein arrivava a confidare ai suoi studenti del corso di estetica che le difficoltà a cui deve fare fronte la filosofia non sono niente rispetto a quelle dell’architettura. Wijdeveld conclude il suo saggio affermando, di Wittgenstein, che «tutto ciò che egli poté raggiungere nella ricerca dell’autenticità fu l’affermazione della purificazione come risposta alla debole e inautentica architettura contemporanea». Questo giudizio si pone in linea con la riflessione che Wittgenstein svolse nei Vermischte Bemerkungen, dove da una parte osserva che la casa costruita per la sorella fu più il «prodotto di un indubbio orecchio, di buone maniere e espressione di una grande comprensione (di una cultura ecc.)», che non l’espressione di una forza di «vita primordiale, di vita selvaggia»; dall’altra afferma che «l’architettura rende immortale e glorifica una cosa. E non ci può essere nessuna architettura, quando non c’è nulla da glorificare». M.G. Scholem tra Berlino e Gerusalemme E’ uscita di recente in Germania la traduzione tedesca della versione ampliata dell’autobiografia di Gershom Scholem VON BERLIN NACH JERUSALEM. JUGENDERINNERUNGEN (Da Berlino a Gerusalemme. Ricordi di gioventù, trad. ted. dall’ebraico di M. Brocke e A. Schatz, Jüdischer Verlag im Suhrkamp-Verlag, Francoforte s/M. 1994). Contemporaneamente, di Scholem è apparso il primo volume dei BRIEFE (Lettere, vol. I: 1914-1947, C. H. Beck, Monaco di Baviera 1994). A metà strada tra il biografico e il teorico, entrambe le pubblicazioni documentano la maturazione dell’appassionata ricerca dello studioso tedesco di origine ebraica sulla questione del sionismo nel XX secolo. I ricordi autobiografici degli anni giovanili di Gershom Scholem sono la rimemorazione storica di uno scambio di luoghi, dello scambio tra Berlino, dove egli nacque nel 1879, e Gerusalemme, sua residenza dal 1923. Già nel 1974, a settantasette anni, Scholem aveva rievocato, nel corso di un’intervista in ebraico, la sua giovinezza a Berlino, la sua vocazione allo studio della cabbala e la sua decisione di emigrare a Gerusalemme. Questa intervista costituì la base per la versione tedesca delle Jugenderinnerungen, che lo studioso pubblicò in occasione del suo ottantesimo compleanno. Cinque anni dopo, nel 1982, nell’anno della sua morte, Scholem presentò al pubblico israeliano la traduzione dell’opera in ebraico, arricchita di numerose aggiunte rispetto all’edizione originaria. Tale versione ampliata appare ora nella traduzione tedesca di Michael Brocke e Andrea Schatz. Così quest’opera trova la propria effettiva collocazione tra due lingue e due mondi culturali. Le reciproche traduzioni ci restituiscono la storia di una vita, della lunga strada che da Berlino porta a Gerusalemme, dello scambio di luoghi, di cui Scholem ripercorre le tracce nel ricordo. Ma Von Berlin nach Jerusalem è anche molto di più: è la storia degli ebrei berlinesi, la storia del sionismo, della lingua e della scienza ebraica, della rinata ricerca sulla cabbala, della nascita della Palestina; è storia di testi, ma soprattutto di esperienze vissute, di incontri e di uomini, molti dei quali protagonisti ancora oggi; altri ormai dimenticati. La stessa stimolante atmosfera, a metà strada fra il biografico e il teorico, emerge dai Briefe di Scholem. Il primo volume (ne sono previsti altri due) documenta in particolare gli anni 1916-1918, decisivi per la formazione culturale e spirituale di Scholem. Nella forma specifica dello scambio epistolare, luogo di riflessione non meno che mezzo di comunicazione, affiorano gli stessi temi e problemi che caratterizzano l’opera autobiografica. Una sola questione, complessa e drammatica, ha attratto l’interesse di Scholem fin dalla giovinezza e ha rappresentato l’oggetto privilegiato dell’appassionata ricerca di una vita: la “questione ebraica”, vissuta come recupero della tradizione ebraica, quale luogo intellettuale, religioso e politico di un autoritrovamento spirituale. Cresciuto in una famiglia piccolo borghese di ebrei assimilati, Scholem presto si rese conto che la sopravvivenza della propria cultura nella Berlino dell’epoca era affidata a pochi relitti: qualche modo di dire, qualche espressione tipica, conservata e tramandata nel linguaggio quotidiano. Fu proprio, invece, l’apprendimento solerte e appassionato della lingua ebraica (Scholem studiò anche matematica e filosofia) a costituire l’occasione per percepire la straordinaria ricchezza di quel passato dimenticato. E proprio la lingua rappresentò per Scholem la prima grande provocazione. La traduzione in tedesco di testi biblici e neoebraici non significò per lui soltanto un’esperienza intellettuale, ma influenzò profondamente il suo punto di vista nella definizione di una corretta forma di sionismo da parte degli ebrei tedeschi. La lingua 48 ebraica diviene per Scholem molto di più che un mezzo di trasmissione culturale: è il punto di vista privilegiato da cui iniziare la ricerca del nucleo mistico della tradizione ebraica. Secondo Scholem, erano tre le soluzioni possibili per l’ebraismo tedesco: l’assimilazione civile, che nel crescente antisemitismo gli apparve non solo irrealizzabile ma anche illusoria e autorinunciataria (di qui la dura polemica con Cohen e il suo discepolo Franz Rosenzweig); il socialismo, mutuato dal confronto con Walter Benjamin, documentato da un epistolario, e con il fratello Werner, assassinato dai nazisti a Buchenwald; e infine, ciò per cui opta Scholem, il sionismo. Scrive infatti Scholem nei Jugenderinnerungen: «Io non ho più alcuna speranza nell’amalgama ebreo-tedesca, e attendo il rinnovamento dell’ebraismo solo dalla sua rinascita nella terra di Israele». Tuttavia il sionismo di Scholem non era principalmente politico, quanto piuttosto culturale. Il sionismo a cui egli si ispirava, infatti, non era quello tipico del XIX secolo, teso ad affrancare gli ebrei dal loro estraneamento sociale e politico, ma quello sviluppatosi nel XX secolo, un sionismo cioè estraniato dalla propria tradizione e desideroso di ritornare all’origine. Da questo punto di vista risulta comprensibile il severo giudizio di Scholem su Horkheimer, cui fa da contrappunto la decisione di dedicarsi allo studio della Cabbala, la filosofia «segreta» dell’ebraismo. Nel 1923 Scholem lascia la Germania e l’Europa per stabilirsi in Palestina, dove può sperimentare il sionismo in una forma più concreta, le differenti strategie politiche del movimento per la liberazione della Palestina e l’inizio del confronto con gli Arabi. E proprio in questa terra, presa nel vortice degli eventi, la sua speranza per il futuro del sionismo comincia a incrinarsi. Il confronto tra l’anima mistico-religiosa e quella politica del sionismo sembrava non poter generare altro che sangue. Alla fine della seconda guerra mondiale l’Università di Gerusalemme assegna a Scholem una missione di grande significato. Nel corso di un viaggio attraverso l’Europa, che dopo Praga, Londra e Parigi lo riporta per breve tempo anche in Germania, egli deve ritrovare ciò che resta delle migliaia di libri saccheggiati dalle biblioteche ebraiche. L’impressionante resoconto di quel viaggio è pubblicato nel primo volume dei Briefe sotto forma di brevi annotazioni. Rientrato in patria, il 5 Dicembre del 1947 Scholem festeggia con amici e studenti il suo cinquantesimo compleanno, mentre in Palestina domina il terrore. In questi giorni drammatici lo studioso rileva come nella fondazione di uno stato ebraico «ci viene posta ancora una volta e in forma più rigorosa la domanda sull’ebraismo e sulla tradizione ebraica, e su chi sia consapevole di ciò che accade e di quale via gli ebrei seguiranno nel loro stato. Io vivo nella disperazione, e solo fuori dalla disperazione posso fare qualcosa». A.Mo. NOTIZIARIO Risale al 1976 l’iniziativa della Bayerische Akademie der Wissenschaft di pubblicare un’edizione storico-critica delle opere di Schelling; da allora l’impresa, che si concluderà solo dopo aver dato la luce a ben ottanta volumi, è andata avanti piuttosto lentamente (il che non deve stupire, considerata la cura con cui essa viene portata avanti). Si giunge ora, intanto, come ultimo prodotto di questa iniziativa editoriale, alla pubblicazione del volume integrativo agli SCRITTI DI NOTIZIARIO FILOSOFIA DELLA NATURA DI SCHELLING: Wissenschaftshistori- scher Bericht zu Scxhellings naturphilosophischen Schriften 17971800, «Historisch-kritische Ausgabe», Ergänzungsband zu den Bänden 5 bis 9 (Relazione storico-scientifica sugli scritti di filosofia della natura di Schelling 1797-1800, «Edizione storico-critica», Volume integrativo ai volumi 5-9, Verlag Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1994). Con questo volume, frutto di un decennio di attento lavoro, Manfred Durner, Jörg Jantzen e Francesco Moiso hanno voluto dare un quadro degli orientamenti scientifici, o para-scientifici, e comunque inerenti alla ricerca fisica, presenti al tempo in cui Schelling dava vita alla sua filosofia della natura. Chimica, magnetismo, elettricità, galvanismo, fisiologia sono le discipline che vengono esplorate nella condizione in cui dovettero presentarsi a Schelling come base per le sue riflessioni sulla filosofia della natura. Finora, non era stato mai stato indagato lo sfondo su cui si staglia la filosofia della natura di Schelling, anche perché si tratta di un approccio alla conoscenza della natura che doveva ben presto essere accantonato in nome di altri paradigmi scientifici, ritenuti più adeguati, poiché proponevano un rapporto di indifferenza qualitativa, se non di vera e propria ostilità pratica, tra l’uomo e la natura, ai fini di una migliore possibilità di dominio di quest’ultima. Così, attraverso le riflessioni di Schelling, emerge un universo di ricerca e di approccio alla natura che costituisce una sorta di rimosso della nostra razionalità scientifica. Il volume si chiude con un’ampia e dettagliata bibliografia. G.B. Dopo i due volumi consacrati all’economia di Marx e quello dedicato alla filosofia, Maximilien Rubel riunisce in Politique (Politica, Gallimard, Paris 1994) alcuni degli SCRITTI POLITICI DI MARX. Trattandosi di testi che Marx ha redatto tra i 24 e i 30 anni, non hanno la notorietà de Il Capitale, ma sono utili per capire l’ultimo tratto della sua formazione. La rivoluzione e controrivoluzione in Europa intorno al 1848, il senso della Rivoluzione del 1789, le lotte di classe in Francia, sono questi alcuni dei temi più ricorrenti nei vari scritti, trattati in modo incisivo, come dimostra l’esordio di uno di questi, 18 Brumaio di Luigi Buonaparte: «Gli uomini fanno la loro storia, ma non la fanno in circostanze liberamente scelte; queste, al contrario, le trovano già fatte, date. Eredità del passato. La tradizione di tutte le generazioni morte pesa come un incubo sulle teste dei vivi». La perspicacia di queste analisi non è annullata dalla presenza in esse di previsioni o profezie non realizzate: sono anzi proprio questi errori che, come voleva Popper, conferiscono a un Marx fallibile il suo statuto scientifico, liberandolo da quello leggendario o agiografico. Di grande interesse l’elaborazione dei pensieri di Marx sullo Stato, che non sono mai stati riuniti in un trattato e che Rubel analizza e commenta con cura nell’ “Introduzione”. “L’opera di Marx è nella sua interezza una lotta teorica e politica contro l’assolutismo”, sintetizza Rubel parlando di colui che ha dovuto subire l’esilio perché ritenuto un sovversivo, a causa degli articoli pubblicati nella sua «Neue Rheinische Zeitung», che ora compaiono in questo volume. Che gli scritti del giovane Marx sono soprattutto scritti di lotta lo dimostra anche un’altra recente pubblicazione in area francese a cura di Kostas Papaioanou, Ecrits de jeunesse (Scritti giovanili, Quai Voltaire, Parigi 1994). Lotta di Marx contro la filosofia, contro Hegel, contro se stesso e le sue produzioni, che abbandonava senza portare a termine. Il volume comprende la Critica del diritto hegeliano (manoscritto del 1943/44) e la Critica dell’economia politica (manoscritto del 1844). A.Mo. lo. L’epoca barocca, con la sua polifonia infinita, costituisce una sorta di sottofondo dello spirito dei Lumi. L’idea totalizzante di una conoscenza autenticamente enciclopedica si sposa, nella collana, a un pluralismo di analisi e posizioni che offre al lettore non solo strumenti di informazione, ma anche di costruzione di «sistemi di comprensione del mondo» - in filosofia, si passa da Leibniz, a Spinoza, a Hobbes (il volume sulla sua etica politica è curato anch’esso da Angoulvent); in ambito religioso, dallo studio del giansenismo a quello di anglicanesimo e cattolicesimo. Allo scopo di evidenziare tale dimensione, è stato da poco pubblicato un indice tematico generale che, in 530 pagine, fa lo spoglio dei titoli disponibili, attraverso un sistema di riferimento per nomi, dottrine, scuole e concetti, consentendo a ciascuno di intrecciare la propria personale trama conoscitiva. La formula di questa collana di successo - in cui grafica, dimensioni e numero di pagine (128) dei volumi sono rimasti invariati da cinquant’anni a questa parte - non ha mancato di stuzzicare altri editori, che hanno cercato di riproporne le caratteristiche vincenti: una sintesi che tiene conto dell’attualità delle conoscenze sull’argomento trattato, a firma di specialisti di chiara fama. Ecco allora apparire altre quattro collane dalla comune vocazione enciclopedica: «Découvertes» di Gallimard, «Optiques» di Hatier, «Dominos» di Flammarion e «Repères» de La Découverte. Nata tre anni fa per coprire l’ambito delle scienze umane, «Optiques» ha pubblicato una cinquantina di titoli e da un anno si è arricchita di una sezione di filosofia. Destinata a un pubblico universitario - la scelta degli argomenti riposa anzitutto sui programmi dei corsi - è caratterizzata da grande chiarezza espositiva. I prezzi contenuti hanno come conseguenza l’assenza di illustrazioni e la tiratura limitata (con possibilità però di ristampa a richiesta). «Repères», creata nel 1983, si sviluppa in cinque sezioni: storia, economia, sociologia, diritto e gestione. 200 i titoli in programma, 152 pubblicati, di cui 140 tutt’ora disponibili e tutti aggiornati con regolarità: ogni edizione ha meno di due anni. Gli La nota collana «QUE SAIS-JE?», edita dalle Presses Universitaires de France, celebra i 54 anni della propria esistenza con l’uscita del tremillesimo titolo: L’Esprit baroque (Lo Spirito barocco), a cura di Anne-Laure Angoulvent, nipote dell’ideatore della collana, nonché attuale direttrice editoriale. Questo numero celebrativo mette in luce come lo spirito dell’enciclopedia tascabile più famosa di Francia non vada ricercato solo nell’ideale illuminista, ma altresì nel miscuglio di insaziabile curiosità erudita, inventività politica, sensibilità estetica e morale del periodo che immediatamente precede il XVIII seco- 49 autori sono specialisti della materia, spesso legati da un rapporto continuativo con la casa editrice, La Découverte, come è il caso di Etienne Balibar. Il prezzo è contenuto: 128 pagine, nessuna illustrazione e tiratura limitata a 7000 copie con ristampa a richiesta. Il pubblico è quello studentesco, presso cui la collana gode di ottima reputazione. «Dominos», diretta a Michel Serres e Nayla Farouki, ha introdotto le illustrazioni a colori in una formula a duplice approccio: un’esposizione dell’argomento, finalizzata alla comprensione, e un saggio, finalizzato alla riflessione, redatti da uno stesso autore, specialista della materia. Fondata da un anno, ha raggiunto da poco la quarantina di titoli. Ciò che la avvicina a «Que sais-je?» è il fatto di mirare a un pubblico il più vasto possibile e il ricorso alle migliori firme, oltre, ovviamente, il prezzo economico e il tetto delle 128 pagine. Pur conservando gli stessi principi delle precedenti collane (numero di pagine e prezzo fissi), «Découvertes» di Gallimard è quella che ha maggiormente puntato sull’illustrazione e la quadricromia. In attesa degli adeguamenti alle nuove tecnologie (edizioni in CD-Rom di tutto il catalogo) e dell’introduzione di illustrazioni a colori (cosa che Angoulvent prevede di fare entro due anni), la storica «Que sais-je?» può vantare di aver risvegliato l’ideale enciclopedico dei Lumi e quello eclettico del Barocco nel mondo dell’editoria francese. D.F. Con il titolo: La Recherche de la langue parfaite è stata tradotto in francese da Jean-Paul Manganaro, con prefazione di Jacques Le Goff, LA RICERCA DELLA LINGUA PERFETTA di Umberto Eco, in cui l’autore prodiga con virtuosismo il suo sapere enciclopedico. La ricerca della lingua perfetta è un’ossessione molto antica: secondo alcuni, essa è esistita in origine e bisognerebbe ritrovarla. Secondo altri, è da inventare e, benché in perdita, molti grandi spiriti si sono impegnati nell’impresa Bacone, Comenius, Leibniz. In Occidente, i primi tentativi sono stati ispirati dai versetti biblici in cui si parla di una lingua unica, precedente alla dispersione della torre di Babele. Il plurilinguismo sarebbe stato effetto della maledizione divina. Eco descrive gli sforzi instancabili di cabalisti, mistici e filosofi per ritrovare e identificare la lingua originaria nel corso dei secoli. Vi è poi il versante di coloro che, come Lullo e Nicolò Cusano cercano un lingua filosofica universale, fondandosi su una combinatoria matematica: l’ars magna vanterebbe tra le proprie prerogative anche quella di riuscire a convertire gli infedeli. Accanto a questo non mancano tentativi di inventare una lingua volgare universale - volapük o esperanto - che non escluda dalla possibilità di comprensione nemmeno le classi più umili. Se, già per Dante, il genere umano si NOTIZIARIO caratterizza in termini positivi per la comune facoltà di apprendere il linguaggio (a prescindere quindi dai differenti idiomi), nel ‘700 si afferma la concezione per cui la pluralità delle lingue è un fatto naturale e socialmente positivo. Ma sarà con i Romantici che la lingua diventerà il segno più prezioso dell’identità di ogni singolo popolo, il fondamento della sua coesione: «Le lingue naturali sono perfette proprio per il fatto di essere molteplici, perché la verità è multipla e la menzogna consiste nel fatto di crederla unica e definitiva.» D.F. Il 1 novembre del 1755 il clima di sereno e fiducioso ottimismo che aveva caratterizzato i primi decenni del secolo dei Lumi fu improvvisamente oscurato da una catastrofe naturale: IL TERREMOTO DI LISBONA . La risonanza di questo evento su poeti e filosofi fu enorme. Horst Günther ne ripercorre le tappe nel suo libro Das Erdbeben von Lissabon erschüttert die Meinungen und setzt das Denken in Bewegung (Il terremoto di Lisbona scuote le opinioni e mette in moto il pensiero, K. Wagenbach Verlag, Berlino 1994). La necessità di confrontarsi con la sciagura di Lisbona ha prodotto secondo Günther un’ “involontaria solidarietà” fra autori anche molto distanti tra loro, ognuno dei quali ha offerto ai contemporanei un’interpretazione dell’accaduto. Così, ad esempio, il commento di Voltaire al terremoto: «Filosofi illusi, tutto è buono! Venite e guardate le orrende rovine...», rappresentò una sorta di “ritrattazione dell’Illuminismo”, il congedo di Platone e Leibniz per riabilitare lo scetticismo di Boyle. La liquidazione dell’ottimismo poteva però sfociare in esiti assai meno incerti: una sorta di “sismoteologia” interpretò il terremoto di Lisbona quale punizione divina per un’umanità troppo sicura di sé, dunque come un segno tangibile dell’esistenza di Dio e della sua volontà di intervenire personalmente nella natura e nella storia. Kant, dal canto suo, giudicò lo sfruttamento morale della catastrofe un’imperdonabile impertinenza, e nello scritto Il fallimento di tutti i tentativi filosofici nella ‘Teodicea’ dichiarò che la possibilità di riconoscere e interpretare il giudizio divino oltrepassa ampliamente i confini dell’intelletto umano. Ancora differenti furono le reazioni di Rousseau, di Schopenhauer e di altri autori, esaminati da Günther. Forse non è esagerato affermare che solo nel nostro secolo Auschwitz e Hiroschima hanno rappresentato per poeti e filosofi una provocazione più grande del terremoto di Lisbona. A.Mo. «PER COMINCIARE» è il titolo di una collana edita dall’editore Feltrinelli di Milano, che intende proporre, attraverso una biografia intellettuale a fumetti, le tematiche fondamentali di personaggi celebri, appartenenti al mondo della filosofia, della psicanalisi e della letteratura. La collana, che in Inghilterra si chiama «For Begginners» e che sta riscuotendo un successo notevole, ha già prodotto in Italia quattro volumi: Freud, Jung, Kafka e Wittgenstein (Feltrinelli, Milano 1994), con l’aiuto di disegnatori e scrittori diversi. Ogni volume contiene una biografia a fumetti che scorre parallela alla genesi e alla presentazione delle opere e del pensiero dell’autore in questione. Il volume su Freud, ad esempio, presenta contemporaneamente la vita dell’autore, ben inserita nel contesto storico, e i principi psicanalitici attraverso il loro sviluppo cronologico. In questo modo, si inizia con la risoluzione dei primi casi di isteria e si termina con la teorizzazione della pulsione di morte. Senza dubbio di facile comprensione, i volumi riescono a presentare in poche battute concetti complessi che, se talvolta rischiano di essere ridotti nella loro profondità, acquistano in generale immediatezza e capacità di comunicazione. Come già Platone se il paragone non è azzardato - aveva teorizzato la necessità di accostare il mito, con le sue immagini, al lògos, affinchè i lettori comprendessero meglio il progetto filosofico, così questa collana si propone di comunicare e diffondere idee, forse ritenute, sino ad ora, per pochi, attraverso l’uso comparato dell’immagine, caratterizzata dal fumetto, e dei concetti che accompagnano i disegni. L’uso dell’immagine spesso facilita la sistematicità e il primo impatto con un autore. Ad esempio in Wittgenstein, dove la classificazione visiva di “fatti” e “cose” risulta chiara ed evidente; o ancora in Freud, dove immagini più che eloquenti mostrano la sessualità nel bambino. A volte, l’uso dell’immagine rischia di tradire, anche se parzialmente, le intenzioni autorali; si pensi, ad esempio, alla Metamorfosi kafkiana e a come l’autore si sia sempre raccomandato di non mostrare assolutamente l’insetto, pur così dettagliatamente descritto. Nel fumetto, ovviamente, l’insetto appare in tutta la sua mostruosità e ci mostra quello che, secondo l’autore, avremmo dovuto solamente immaginare. In ogni caso, l’idea del fumetto filosofico segue la tendenza, piuttosto radicata in questi ultimi tempi, di semplificare per comunicare un patrimonio culturale rimasto, sinora, in un alone, quasi, esoterico. Si pensi, ad esempio, al Mondo di Sophie, di Jostein Gaardner, o al Ritrattino di Kant ad uso di mio figlio, di Massimo Piatelli Palmarini. In tutti questi casi la proposta è quella di fornire un aiuto alla comprensione di argomenti ampliamente articolati e di difficile accesso. Per questo, anche se non con l’intento di esaurire la complessità dei concetti proposti, questi volumi offrono sicuramente un più che valido strumento, da usare insieme all’esposizione concettuale, per la diffusione della filosofia. A.S. Il sogno di condurre a buon fine un’opera architettonica e la difficoltà della realizzazione segnarono la vita di Leon Battista Alberti, da sempre ritenuto uno dei massimi ingegni del Quattrocento: teorico, storico, filologo, letterato e padre, con il De re aedificatoria, della teoria architettonica moderna. La difficoltà di portare a compimento le proprie idee - solo due progetti furono conclusi durante la sua vita: il tempietto del Santo Sepolcro nella chiesa fiorentina di San Pancrazio e la facciata di Santa Maria Novella - ha suscitato un dibattito che si trascina da secoli, tanto che fino ad oggi nessuno aveva tentato di presentare collegamento tra le opere e il pensiero dell’Alberti. Si è rivelato dunque un appuntamento importante la mostra dedicata a LEON BATTISTA ALBERTI, allestita a Mantova - città che rappresentò per il «Vitruvio fiorentino» l’utopia del vivere “idealmente” - nelle Fruttiere di Palazzo Te dall’11 settembre all’11 dicembre 1994. Curata da Joseph Rykwert e dall’Alberti Group di Edimburgo, diretto da Robert Tavenor, la mostra interpreta la figura dell’umanista, «umanissimo di umana eccellenza», percorrendone l’opera e il tempo alla luce delle possibilità di conoscenza che gli anni presenti consentono. La presentazione in forma organica del pensiero albertiano è il risultato di un lavoro di rigorosa costruzione filologica, storica e tecnica con l’ampio ricorso delle tecnologie informatiche, presenti accanto a disegni, incunaboli, medaglie, manoscritti, dipinti e sculture del tempo provenienti da oltre cinquanta musei e biblioteche d’Europa e degli Stati Uniti. Attraversando le sale si intraprende il “cammino” del De re aedificatoria: dall’arte antica, come base di riferimento, all’armonia presente nella «musica dei numeri». I numeri sono quelli elaborati dal computer dopo che un’indagine fotogrammetrica preliminare ha consentito ai ricercatori di creare una banca dati contenente il più preciso corpus oggi esistente di misurazioni delle costruzioni albertiane. Sulla base delle misurazioni effettuate, sono stati creati modelli computerizzati (computer aid design) dei progetti originali dell’Alberti, realizzati in modo assolutamente innovativo utilizzando tecnologie a controllo numerico di grande efficacia rappresentativa. I modelli tridimensionali in legno si presentano come “progetti originali” che permettono un confronto tra le diverse ipotesi progettuali. Ciò permette di ripercorrere con rigore scientifico lo sviluppo “logico” dell’idea albertiana originaria, riuscendo a scomporre la realtà architettonica per analizzarla ed elaborarla allo scopo di verificare le varie ipotesi, introdurre nuovi elementi, via via derivati dai progressi della ricerca, e consentire continui confronti con i canoni albertiani di riferimento. I monumenti sono così ripensati nelle loro componenti fondamentali e costruiti coerentemente con i dettami 50 teorici dell’Alberti. Proprio per questo i modelli, che rappresentano l’aspetto più suggestivo della mostra, non si presentano semplicemente come riproduzioni, ma come “ricostruzioni”. In un certo senso dunque l’informatica ha dato “consistenza” al pensiero dell’Alberti con una ricostruzione virtuale dei principi della prospettiva maggiormente utilizzati nella pittura del Rinascimento, che introduce il pubblico nel mondo della proporzione delle opere architettoniche del maestro, proponendone inoltre una traduzione in termini musicali del mottetto di Dufay, composto nel 1436 per l’inaugurazione della cupola del Brunelleschi a Firenze, che mirabilmente riproduce nella sua struttura armonica le proporzioni numeriche dell’Alberti. E’ questo un esempio suggestivo dell’ intreccio di vecchio e nuovo, delle numerose opere presenti e della presenza tangibile delle ricostruzioni delle ipotesi albertiane, che rispettano le direttive dell’Alberti: l’edificio è come un reticolato matematico e qualsiasi modifica dei piani rovinerebbe la «musica dei numeri». L’ultima sezione della mostra è dedicata all’Alberti umanista, un paragrafo significativo con l’esame della “città ideale” che per trattatisti (Leonardo Bruni), architetti (Filarete) e pittori dell’epoca (i maestri delle “tavole” di Urbino, Berlino e Baltimora), diviene un tema di investigazione cruciale. La città ideale del Quattrocento rimane una “visione”, un regno fuori del tempo e dello spazio, le cui elaborazioni teoriche risentono in larga misura del pensiero albertiano: la sintesi albertiana delle cosiddette “due culture”, che presuppone e riflette quella del rapporto tra uomo e natura, religione e filosofia, tradizione e progresso, teoria della luce e poetica del colore, pitagorica metafisica del numero e magico ritmo della musica, e della bellezza come valore assoluto determinato dalle leggi naturali. Collegando la bellezza architettonica con le leggi naturali che governano l’uomo, l’Alberti assegna all’architetto la più grande delle aspirazioni umane, la ricerca dell’armonia universale. M.C. E’ stato pubblicato, di MARTIN BUBER , un testo autobiografico: Incontro. Frammenti autobiografici (Città Nuova Editrice, Roma 1994). Il titolo Incontro, come ha sottolineato l’autore in una recente intervista, suggerisce un itinerario a ritroso, ripercorso fino all’età della giovinezza, attraverso gli interrogativi, gli scambi culturali e filosofici con gli intellettuali del tempo. Il ricordo di un viaggio interiore, la scoperta dell’amore per la filosofia nella Vienna del primo Novecento, le divergenze con il pensiero nietzscheano, caratterizzano i capitoli del breve scritto, che si struttura in poco più di 100 pagine. La problematica chiave affrontata da Buber in questo testo è quella del NOTIZIARIO significato e l’applicazione della parola nella realtà. Ne scaturisce un lungo itinerario di ricerca, che si arricchisce di venature psicologiche, un “incontro” con il proprio linguaggio e il linguaggio di altri, confronto che si apre con interrogativi e dubbi e termina con risposte autentiche, seppur divergenti. La passione di Buber per il significato della parola si ripropone anche nella tematica religiosa-esistenziale, nella ricerca di un principio divino, che dia significato alla vita terrena e ultraterrena: un ulteriore profondo “incontro” fra la propria anima e Dio, arricchito dalla fede, ma conquistato anche con la forza dell’intelletto; un iniziale enigma che può trasformarsi in illuminazione. D.M. La FONDAZIONE NAZIONALE “VITO FAZIO-ALLMAYER” bandisce un concorso nazionale per saggi inediti sul pensiero di Vito FazioAllmayer o su tematiche strettamente aderenti ai suoi interessi. Saranno assegnati due premi da lire 10.000.000 (dieci milioni) ciascuno, intitolati rispettivamente a Vito e a Bruna Fazio-Allmayer. La domanda di partecipazione dev’essere inviata, unitamente a due copie del lavoro, entro e non oltre il 12 luglio 1995, al seguente indirizzo: Fondazione Nazionale “Vito Fazio Allmayer”, Via Sammartino, 134, 90141 Palermo. Il giudizio della Commissione giudicatrice, costituita dalla Commissione scientifica operante in seno alla Fondazione, è insindacabile. I testi inviati non saranno restituiti. I saggi dei vincitori saranno pubblicati a cura della stessa Fondazione. L’assegnazione dei premi sarà effettuata nel corso di una cerimonia indetta dal Presidente della Fondazione, Prof. Epifania Giambalvo L’ACCADEMIA DI STUDI ITALOTEDESCHI DI MERANO comunica che sono messi a Concorso, per l’anno accademico 1994/95, sei premi di studio a favore di laureati o diplomati di Istituti di grado universitario del biennio 1993/94 e 1994/ 95 e sei premi di studio a favore di studenti universitari laureandi dell’ultimo anno del corso universitario. L’ammontare di ogni premio è di lire 3.000.000. I lavori di tesi e le eventuali pubblicazioni, che concorreranno al conferimento dei premi annuali messi a concorso dall’Accademia, dovranno contribuire all’approfondimento dei reciproci rapporti tra la cultura italiana e quella di lingua tedesca, vale a dire che dovranno essere argomenti che contribuiscano allo sviluppo delle finalità dell’Accademia stessa, apportando così un contributo all’unità culturale europea. I temi trattati nei vari volumi degli Atti e l’attività stessa dell’Accademia possono costituire materia per tesi di laurea. Il termine di presentazione delle domande è il 30 novembre 1995. I moduli di partecipazione al Concorso sono disponibi- li presso la segreteria dell’Accademia stessa, via Innerhofer 1, Merano (tel. 0473/ 237737.) mi ad un terreno più ampio di dibattito culturale. Nella scelta dei testi si presterà particolare attenzione a criteri di leggibilità e di chiarezza espositiva. Questa esigenza si esprime nel tentativo di proporre libri “leggibili”, anche nel senso letterale del termine, reagendo, con l’integrazione di elementi illustrativi, decorativi ed ornamentali, a quell’editoria che non tiene in alcun conto della noia della pagina questo elenco nudo e crudo di lettere disposte l’una dopo l’altra. Tra i titoli in programmazione si segnala: Teoria della visione, di George Berkeley (a cura di P. Spinnici), e Mondrian e la musica, di Giovanni Piana. Con il titolo SENSIBILIA, l’editore Guerini e Associati di Milano propone una nuova collana, diretta da Giovanni Piana, che intende conciliare una grande apertura tematica con la convergenza verso un unico centro: le cose sensibili, appunto, ciò che viene colto e affermato nella percezione, nel movimento degli occhi e della mano; ciò che viene toccato, udito e in generale “avvertito” vivamente e direttamente con i nostri organi corporei. Questa convergenza non deve tuttavia far pensare alla falsa contrapposizione tra astratto e concreto; ed ancor meno alla retorica della concretezza, da cui così a stento sembra ci si possa liberare. Le cose sensibili serpeggiano dappertutto, e tuttavia esse non suggerirebbero certo nessuna riflessione se non vi fosse un pensiero che, prendendo le giuste distanze, sappia impossessarsene, traendone problemi. Gli argomenti trascorreranno così dalla filosofia generale all’estetica, alla psicologia della forma, alle tematiche di fenomenologia della percezione e dell’immaginazione, in un’apertura a tutto campo per ciò che concerne la varietà di direzioni in cui questi temi possono essere trattati. Particolare spazio verrà dato agli interessi di teoria e filosofia della musica. Si tratta di un campo ricco di problemi, troppo a lungo trascurato, oppure considerato da punti di vista unilaterali, che merita invece di essere coltivato al di fuori di linee di discorso preconcette, nella sua interazione con le discipline musicologiche, così come nei suoi richia- La proposta di un’associazione di studio sul tema “SIMBOLO, CONOSCENZA, SOCIETÀ” nasce da un gruppo di studiosi delle Università di Siena e di Bologna, che nei giorni 24-26 novembre 1994 hanno organizzato il convegno “Il simbolo oggi. Teorie e pratiche”, oltre che da studiosi dell’Università di Lecce, che hanno organizzato il convegno su “Metafora simbolo e senso nella cultura contemporanea”, tenutosi appunto a Lecce nei giorni 27-29 ottobre (gli Atti di entrambi i convegni sono in corso di preparazione). Fine dell’ “associazione” sarà organizzare incontri di studio e work shops; promuovere pubblicazioni individuali e collettive; avviare contatti con associazioni analoghe a livello internazionale; costituire un centro bibliografico specializzato; organizzare iniziative di ricerca specifiche; pubblicare un periodico con saggi, notizie di attività e recensioni di libri e saggi riguardanti il tema del simbolo. APPUNTI Nel numero 21 di «Informazione Filosofica», nell’articolo dal titolo: Herzen e la sua filosofia (p. 22), Franco Melandri individua alcune incongruenze laddove si dice che «Herzen prende in considerazione soprattutto la storia dell’Unione Sovietica e il post-comunismo marxista», o che egli abbia «rivolto particolare attenzione alla caduta del marxismo come un cambiamento globale del mondo». Infatti, osserva Melandri, quando Herzen, nel 1850, scriveva Lo sviluppo delle idee rivoluzionarie in Russia (questo il titolo originario della Breve storia dei russi) non solo il marxismo era ancora ben lungi dall’affermarsi sia come teoria rivoluzionaria che come filosofia del regime socialista sovietico, ma lo stesso Marx era scarsamente conosciuto e considerato, tant’è che non viene nemmeno citato nel testo della Breve storia...(mentre lo sono Saint-Simon, Bakunin, Proudhon). Detto tutto questo, aggiunge Melandri, va dato atto ai recensori che le linee essenziali del pensiero di Herzen vengono presentate, nell’ovvia sommarietà che una recensione permette, in modo tutto sommato corretto, anche se la frase conclusiva, laddove recita: «L’assunto principale del pensiero di Herzen è che Natura e storia non (sottolineatura di Melandri) appartengono a due ordini diversi, ma formano un’unica realtà in cui le esistenze umane si trovano immerse e dalle quali sono determinate», contraddice non solo quanto affermato precedentemente («Storia e natura sono sfere separate, secondo Herzen, e hanno leggi completamente diverse e un orizzonte completamente diverso...»), ma rischiano di confondere lo stesso pensiero herziano che, come detto in altra parte del testo, rifiuta ogni filosofia della storia ed ogni lettura finalistica del mondo, rivendicando per gli uomini un agire che faccia perno su scelte e valori (quali la libertà e la giustizia) che, anche se contraddetti da una lettura storicistico/finalistica del corso storico, non per questi vanno abbandonati o pensati come falsi. 51 La definizione della nozione di “simbolo” è al centro oggi di un dibattito che, se è la dimostrazione della sua importanza, prova anche come si sia lontani da risultati universalmente accettati. Proprio questa “confusione terminologica” può tuttavia servire da punto vivo di contatto tra semiologi, studiosi di letteratura e di comunicazioni di massa, antropologi, psicologi e filosofi del linguaggio, per una più precisa definizione comparativa delle “competenze” delle diverse discipline, ma anche per l’individuazione di possibili luoghi di integrazione e reciproco sostegno delle differenti prospettive. La discussione teorica dovrebbe accompagnarsi ad “applicazioni”, a fenomeni in cui il simbolo agisce “oggi”, come strumento di conoscenza, di comunicazione, di socializzazione, di evasione, di persuasione: dove per simbolo non s’intenderà solo una realtà del linguaggio verbale “naturale”, o/e dei linguaggi “artificiali”, ma anche la simbolicità dei linguaggi non verbali, degli oggetti, dei comportamenti, delle istituzioni. All’Associazione, come suo “supporto” organizzativo, si collegherà, probabilmente, un “Centro interuniversitario di ricerca” sul tema del simbolo, che intende collegarsi ad un “Programma di mobilità ricercatori” (TMR), finanziato da “Erasmus”. Promosso dalla Stiftung Weimarer Klassik si è svolto a Weimar dal 21 al 24 marzo 1994 un convegno sul tema: “ERNST CASSIRER: KULTURKRITIK IM 20. JAHRHUNDERT”. Finalità saliente di questa iniziativa è stata quella di approfondire il pensiero di Cassirer tanto nella sua unità sistematica, quanto nella sua polimorfa ricchezza di temi. Il convegno, che si è svolto sotto la direzione scientifica di Bernd-Olaf Küppers (Jena) e di Enno Rudolph (Heidelberg), ha visto la partecipazione di numerosi studiosi sia europei che di altri continenti, impegnati in una discussione sul significato e l’attualità del concetto di cultura proprio della filosofia cassireriana; una filosofia che non solo ha cercato di riproporre il tema dell’unità della realtà attraverso l’impresa di una teoria delle forme simboliche, capace di stabilire un nesso fra il sapere scientifico e le altre forme della comprensione del mondo, ma che ha tracciato anche nuove vie d’indagine sia sul piano della storia spirituale (Rinascimento, Illuminismo), che su quello relativo ai problemi della nuova fisica (meccanica quantistica, teoria della relatività). Da qui la varietà stessa dei contributi presentati nel convegno di Weimar. Oltre alle relazioni introduttive di Küppers e di Rudolph, sono stati svolti interventi da parte di A. Bolaffi, H. G. Dosch, M. Ferrari, H. Holzhey, J. M. Krois, S. Mayer, Yoshihito Mori, E. W. Orth, H. Paetzold, P. Paret, S. Poggi, O. Schwemmer, J. Seidengart, I.-O. Stamatescu, H. Turk, F. Volpi. R.L. CONVEGNI E SEMINARI Arnold Böcklin, Vita somnium breve, 1888 (part.) 52 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Etica e retorica Nell’ambito del Corso di Formazione Superiore in “Teoria e Storia della retorica e della poetica”, da 13 al 16 settembre 1994 Francesca Rigotti dell’Università di Göttingen ha tenuto all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un seminario dal titolo: “ETICA E RETORICA”. In occasione della pubblicazione del suo saggio: IL POTERE DELLA METAFORA (Feltrinelli, Milano 1994), Rigotti ha sviluppato la tesi dal punto di vista argomentativo della retorica in ambito etico attraverso un ‘excursus’ filosofico sulla differenza fra vero e probabile, fra dimostrazione logica e ragionevolezza discorsiva, giungendo a mostrare come il nesso di verità e giustizia rappresenti nella filosofia sociale contemporanea, nell’etimologia e nella mitologia un ‘primum’ concettuale che attraversa le metafore del vero, del buono e del giusto. Se retorica ed etica sembrano escludersi a vicenda, questa contraddizione, ha osservato Francesca Rigotti, deriva dall’irrisolto malinteso che la questione del vero pone in primo luogo nel campo della filosofia pura e della scienza. Sia per i detrattori, che per i suoi fautori, la retorica occupa il margine che separa il vero dal verosimile, dall’incerto e dal probabile. E’ su tale margine che la ritrova Descartes prima di scacciarla dal metodo critico, suscitando le reazioni di Vico, che nella Prima Filosofia respinge il tentativo razionalistico di confinare il verosimile nell’universo del falso, invece di ricercare le sue radici nel terreno del senso comune e delle facoltà umane della fantasia e della memoria. Per la sua funzione liminare, la retorica riaffiora in tempi di crisi e di trasformazioni, durante i quali è proprio il discorso “aletico” a rendersi problematico, mentre sull’arte della persuasione ricadono le accuse di falsificazione del reale, di volontà di potenza, di manipolazione del consenso, di scambio fra essenza e apparenza, di futilità, ecc. La reintegrazione della retorica e del suo più ricorrente topos, la metafora, nell’ambito delle discipline della filosofia pratica non può dunque avvenire, ha proseguito Rigotti, senza la loro reintegrazione nell’intero processo della conoscenza. Riferendosi all’ “atto filosofico unico” di H. Johnstone, per il quale scoperta e comunicazione non sono momenti separati e successivi, Rigotti ha fatto presente come una retorica per l’etica miri al superamento del contrasto fra discorso aletico, fondato su concetti che sono elaborati alla luce dell’interiorità prima di essere veicolati nella sfera pubblica, e discorso ornamentale, che ordina ed espone tali concetti per il puro piacere comunicativo. Questo contrasto è ineliminabile solo se si resta nella concezione del vero come evidenza e rivelazione. Nel mito platonico della caverna fra luce ed ombre non vi è posto per quella mediazione argomentativa che i principi del probabile e del verosimile potrebbero fornire. Con l’esilio dei poeti si consuma anche il rifiuto per la retorica, bollata per la sua appartenenza al regno delle opinioni. Nel Gorgia, Platone separa doxa e aletheia e paragona la retorica alle arti femminili del belletto e della cucina, al contrario di Aristotele che vi scorgerà un metodo, la facoltà di trovare in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere, anticipando secondo Rigotti quella concezione consensualistica della verità che oggi rivive nella Teoria della giustizia (1971) di J. Rawls e nell’Etica del discorso di J. Habermas (1985). L’esigenza di ribadire il punto di vista retorico in filosofia, ha sostenuto Rigotti, si esplica sotto il segno di Peithò, dea delle arti forensi. Ma se nella raffigurazione classica Peithò dispone di una parola dolce ed appiccicosa come il miele, questo non vuol dire necessariamente che la persuasione sia l’arte di ingraziarsi il pubblico con l’inganno, essa apre anche la strada opposta, affinché il piacere e la seduzione siano posti al servizio di una verità in progress, intersoggettiva e di ricerca. La svolta retorica in etica, ha osservato Rigotti, si realizza, pertanto, nel rinvenimento di principi d’azione che sono validi per la volontà di ogni persona ragionevole e che si ritrovano nel sapere, socialmente diffuso e distribuito. In tal senso, l’enfasi va posta sull’inventio, intesa come atto di sutura fra tradizione e individuo, durante il 53 quale l’oratore non è affatto “fuor di metafora”, poiché le metafore toccano il nucleo concettuale dei problemi affrontati. Come ha notato Rigotti, questo modello dell’inventio (del creare/ritrovare) non può più costituire un privato serbatoio di verità astratte, categoriche o ipotetiche, a cui poi aggiungere in modo strumentale il rinvestimento delle metafore. L’inventio acquista una dimensione pubblica ed aperta, richiamandosi al ruolo che “la situazione linguistica ideale” svolge in Habermas, secondo il quale quando gli individui sono in disaccordo sulla verità o sulla giustizia di un’asserzione, essi devono impegnarsi a ricercare una norma che assolva ai requisiti di simmetria e bilateralità del discorso e che metta a fuoco le distorsioni e le censure che impediscono ad ogni comunicazione fattuale di divenire il luogo utopico della circolazione delle idee. L’appello a fondare i giudizio di valore sulla ragionevolezza e sulla tradizione storica, ha proseguito Rigotti, viene dalla lezione di C. Perelman il quale, in opere come Retorica e Filosofia (1952), Trattato dell’argomentazione (1958) e Giustizia e ragione (1963), ha inteso sottrarre le dottrine “pratiche” al dogmatismo e all’irrazionalità e tenerle distinte dalla filosofia speculativa. Tuttavia Perelman, pur riconoscendo la validità del ragionamento che presiede ad una deliberazione e che deve condurre all’azione non vede che un’etica retorica; il logos che vuole agire, non si distingue dal logos che pretende di conoscere: di fatto, entrambe le filosofie hanno bisogno di argomentare per arrivare alle conclusioni. La filosofia morale, in quanto mira ad influenzare gli atteggiamenti di uditori particolati, si trova esclusa dalla nozione perelmaniana di “uditorio universale”, al quale il parlante si rivolge senza ricorrere agli “attrezzi” metaforici e confidando nell’evenienza delle ragioni fornite e nel loro valore extratemporale e assoluto. A questa iconografia del vero, Rigotti preferisce sostituire quella della Giustizia che soppesa le diverse istanze e si decide per la ragione migliore, cioè più probabile. Le due idee, ha osservato Rigotti, sono in realtà imparentate, sia nella comune radice etimologica, sia nella mitologia classica, dove Dike e Aletheia sono sorelle. CONVEGNI E SEMINARI Riferendosi a Mosè, che dopo aver ricevuto le Tavole della Legge si copre il volto raggiante per non accecare il suo popolo, Rigotti ha associato questo episodio al “velo di ignoranza” che, nella teoria della giustizia di Rawls, è necessario, affinché il patto, che gli individui decidono di contrarre durante la situazione originaria, sia libero dalle preoccupazioni dei loro particolari interessi. Il gioco del velo sembra segnalare, ha concluso Rigotti, l’esistenza di un motore primo metaforico che la cultura ha assegnato al Sole come simbolo dell’unità delle sue sfere dell’essere e del dover essere: esso illumina il vero, sprona all’azione riscaldando i cuori, giudica con la sua sovrana distanza. F.M. Il segreto, la testimonianza, la responsabilità Dal 23 al 27 maggio 1994, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Jacques Derrida ha tenuto un ciclo di incontri seminariali sul tema: “IL SEGRETO, LA TESTIMONIANZA , LA RESPONSABILITÀ”. Durante queste giornate, il filosofo francese ha tematizzato alcuni dei nodi concettuali della sua ricerca più recente, che non hanno ancora trovato esito in una pubblicazione. Aprendo il seminario, Jacques Derrida ha spiegato come attualmente la sua riflessione si rivolga soprattutto alla questione della responsabilità, un concetto a cui egli attinge attraverso le direttrici indicate dalle nozioni di segreto e di testimonianza. Secondo Derrida, il segreto mette in gioco, anzitutto, la questione di una possibilità di principio, e non fattuale - del dire, poiché il dire viene presupposto nel segreto, che in tal modo riceve un vincolo indissolubile con la parola. Sottoposto a un’interrogazione radicale, il segreto deve essere dunque svincolato dalla parola, deve essere sottratto all’alternativa fra dicibilità e indicibilità, tra affermazione e negazione. Il segreto si manifesta come ciò che non risponde a una domanda; soltanto quest’ultima - non la sua verbalizzazione rappresenta, perciò, l’unica autentica precondizione, affinché il segreto si manifesti. “Segreto” è anche ciò che disobbedisce a un ordine, sottraendovisi. Prendendo spunto dal racconto di Melville Bartleby, lo scrivano, Derrida ha mostrato come l’eroe melvilliano rappresenti l’archétipo dell’atto di autosottrazione all’alternativa tra imposizione e rifiuto. La celebre affermazione di Bartleby di fronte a qualunque richiesta di collaborazione, «preferirei di no», fa della parola un luogo sottratto alla realtà effettuale, propria tanto dell’obbedienza all’ordine, quanto della sua trasgressione: l’atto di ribellione, il rifiuto, è escluso dall’orizzonte di una tale affermazione, che d’altra parte trascende, con tutta evidenza, anche la mera subordinazione, l’obbedienza pura e semplice. Riprendendo le analisi di Blanchot, Derrida ha sottolineato come l’affermazione di Bartleby consista in un’abdicazione, inespressa, all’identità, all’unità del sé, alla categoria dell’Io volente, o agente. La risposta di Bartleby è legata a un segreto, che egli porta con sé fino alla tomba e che lo identifica; la responsabilità del proprio segreto colloca Bartleby, in quanto individuo, in una posizione duplice, se non ambigua, nei confronti dei rapporti sociali e, in senso lato, politici, essendo egli depositario di un segreto che, alla stregua di un funzionario dello stato, di un consigliere del re o di un umile servitore, non può rivelare e nei confronti del quale è responsabile. D’altra parte, ha fatto notare Derrida, proprio nel fatto che tale segreto non viene rivelato a nessuno risiede la peculiarità di una posizione che, anziché a quella del servitore, del subordinato, è piuttosto da rapportare a quella del re. Tuttavia, che la posizione di subordinato e quella regale siano identificabili, ha aggiunto Derrida, è possibile solo a patto che questo segreto consista in un “nulla” e che questa responsabilità equivalga anch’essa a un “nulla”: quel nulla in cui scompaiono tutti i singoli segreti, tutte le singole responsabilità, ricadendo nell’alternativa fra dire e non dire, fare e non fare. Ogni dire, ogni agire, ogni “testo”, ha proseguito Derrida, provengono da un segreto, rappresentano suoi effetti. Dal punto di vista delle relazioni sociali e di quelle politiche, il segreto si pone, al contempo, come l’origine della politica e come suo scacco: è ciò per cui nasce la politica e di fronte al quale la politica, in quanto “cosa pubblica” (res publica), deve arrestarsi. Inoltre questo segreto, in quanto nulla, rappresenta anche l’identità dell’individuo, ma non lo costituisce come io; proprio in forza del suo inesplicabile segreto, l’individuo, pur facendo parte di una moltitudine sociale di individui ad esso simili, si determina come ab-soluto nei loro confronti. La questione del segreto, ha sottolineato Derrida, fonda dunque quella dell’identità del suo proprietario e, come in un gioco di specchi, quest’ultima rinvia a sua volta alla questione della verità, che riguarda, nel contempo, la verità del segreto e la verità dell’identità di colui che, del segreto, è depositario. La questione della verità, posta in questi termini, viene ricondotta da Derrida a quella di testimonianza. Come quella di segreto e di responsabilità, anche la nozione di testimonianza mette infatti in questione l’oggettivabilità di un’identità, intersoggettiva e universale, di ciò che viene attestato, e di colui che attesta. Commentando alcuni versi di Paul Celan, Derrida ha sottolineato, infatti, l’appartenenza della testimonianza all’ambito della fede e del giuramento. Ciò che separa la prima dalle 54 seconde è il carattere di oggettività, di cui la testimonianza non gode: la testimonianza può non corrispondere a fatti reali e, d’altra parte, non consistere in una «falsa testimonianza». La testimonianza, ha osservato Derrida, risiede nell’esperienza, singola e irripetibile, di un individuo che, nella sua insostituibilità, appare come assoluto: la testimonianza non afferma un fatto, bensì “la credenza in un fatto”. Che il fatto sia o meno accaduto, nelle modalità riferite dalla testimonianza, è un segreto, di cui solo il testimone è responsabile: una responsabilità che accade, però, verso un nulla, proprio perché il testimone medesimo, se è veramente tale, cioè in buona fede, non può vantare, nei suoi confronti, la certezza del cogito: non può, cioè, vantare il possesso della verità, bensì soltanto un impegno verso l’una e verso l’altra. F.C. Poincaré, filosofo della scienza In occasione del centoquarantesimo anniversario della nascita di Poincaré, dal 14 al 18 maggio 1994, si è tenuto all’Università di Nancy II il “CONGRESSO INTERNAZIONALE HENRI POINCARÉ”. Il congresso è stato organizzato dall’ACERHP (Archives et Centre de Recherche Henri Poincaré), di concerto con le Università di Nancy I “Henri Poincaré” e Nancy II, l’Institut National Politechnique de Lorraine, oltre che l’Università di Saarbrücken. Il programma dell’assise contemplava centoquattro comunicazioni e dodici conferenze che sono state articolate in due sessioni parallele, dedicate rispettivamente alla filosofia e alla logica, alle matematiche e alla fisica. In occasione del convegno, è stata allestita una ricca esposizione di materiale d’archivio inedito nelle sale della mediateca di Nancy. Il congresso è stato organizzato secondo due filoni d’indagine teorica e storicocritica; il primo verteva sulle matematiche, la fisica e la filosofia di Henri Poincaré; il secondo invece su pragmatismo e fenomenologia in rapporto alle scienze formali. La mostra era articolata in base a documenti biografici dai risvolti talora poco conosciuti, come un romanzo, che impegnò Poincaré nel 1878 e di cui non sono rimasti che alcuni paragrafi, già pubblicati a cura di André Bellivier con il titolo: Henri Poincaré ou la vocation souveraine (1956), o come la presa di posizione in favore della revisione del “processo Dreyfus”. Ulteriori informazione biografiche sono venute dall’intervento al convegno dello storico François Roth, che ha ricostruito l’albero genealogico della famiglia Poincaré dal 1700, ripercorrendo CONVEGNI E SEMINARI parallelamente l’ascesa sociale che portò la famiglia a trasferirsi dalla cittadina lorena di Neufchâteau a Nancy e, dalla generazione di Henri in poi, a Parigi. In rapporto alla questione della scoperta della relatività ristretta, sollevata dalla celebre memoria di Poincaré del 1905 sulla dinamica dell’elettrone che formulava il postulato della relatività ristretta prima di Einstein, Arthur I. Miller ha preso posizione per l’attribuzione della scoperta a Einstein. Le ragioni di tale paternità, secondo Miller, sarebbero da ricercare essenzialmente nella diversità di vedute dei due scienziati su “nozioni-chiave” quali esperimento, spiegazione scientifica e immaginazione mentale. Contro questa opinione hanno argomentato Jules Leveugle e Enrico Giannetto, riprendendo, per taluni aspetti, motivi espressi negli anni Cinquanta dal matematico inglese E. Whittaker e, in seguito, dallo scomparso J. Giedymin, da Ubaldo Sanzo e da E. G. Zahar. Leveugle ha sottoposto ad un esame critico simultaneo gli apporti teorici di Lorentz, Poincaré e Einstein alla nuova teoria dello spazio-tempo, resi noti tra il 27 maggio 1904 e il 26 settembre 1906. Il primo di questi documenti è rappresentato dalla memoria sui fenomeni elettromagnetici, che Lorentz presentò all’Accademia delle scienze di Amsterdam; l’ultimo dal celebre articolo di Einstein sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, pubblicato negli «Annalen der Physik». Tra le cause della minimizzazione dei meriti di Poincaré, almeno sino agli anni Cinquanta, Leveugle ha individuato principalmente due ordini di ragioni: la non-appartenenza di Poincaré alla “scuola di fisica dominante” all’inizio del secolo, che tendeva a ignorare la produzione scientifica francese; la distinzione accademica che a quell’epoca separava i fisici francesi dai matematici, per cui i primi avrebbero passato sotto silenzio quella che appariva loro come una semplice incursione del Poincaré matematico nel dominio loro riservato. La concezione di Poincaré relativa alle ipotesi in fisica è stata riletta da Ubaldo Sanzo alla luce della controversia con Pierre Duhem e anche in relazione agli sforzi compiuti da Heinrich R. Hertz per introdurre in fisica un tipo di ipotesi simili a quelle usate in geometria. La riflessione di Poincaré sullo “spazio geometrico”, e le sue connessioni con l’analysis situs, con le teorie dei gruppi di Sophus Lie, con lo spazio cosiddetto “rappresentativo” e con i dati della fisiologia, sono state l’oggetto degli interventi di Luciano Boi, di Gregory Nowak e di Jules Vuillemin, uno dei più autorevoli curatori delle edizioni delle opere di Poincaré. Il nome di Poincaré è stato spesso associato a due controversie filosofiche degli inizi del Novecento: il confronto di Poincaré con Edouard Le Roy sul ruolo e sui limiti del convenzionalismo in campo scientifi- co; la disputa con Bertrand Russell sulle ragioni del logicismo, avviatasi con la pubblicazione su «Mind» della recensione di Russell a La science et l’hypothèse (La scienza e l’ipotesi) di Poincaré, a cui fece seguito la replica di quest’ultimo. In relazione a queste dispute, Luc J. M. Bergmans ha sottolineato che verso la fine del XIX secolo, vale a dire nel momento in cui Poincaré esprimeva le proprie riserve nei riguardi del logicismo, la critica della logica era una corrente che con Ch. Born e il cosiddetto “gruppo degli olandesi” (F. van Eeden, G. Mannoury, L. E. J. Brower) percorreva la vie de l’esprit. Charles S. Chihara ha invece criticato il tentativo di Mark Steiner di confutare le numerose obiezioni epistemologiche al logicismo, sollevate per la prima volta da Poincaré. Rispondendo a Chihara, Janet Folina, ha ricondotto la posizione antilogicistica di Poincarè a un estremo tentativo di difendere la filosofia della matematica kantiana dagli attacchi di Russell e, più ancora, alla rivendicazione dell’anteriorità dell’aritmetica rispetto alla logica. Anssi Korhonen ha suggerito, per meglio comprendere il confronto con Poincaré, di seguire le prime prese di posizione teoriche di Russell nei riguardi dell’intuizionismo, espresse nei Principles of Mathematics (Principi di matematica) del 1903. Ad un convenzionalismo sistematico e generalizzato, come quello formulato da Edouard Le Roy, che riduceva tutte le proposizioni scientifiche a convenzioni arbitrarie prive di verità assoluta, Poincaré rispose, ne La science et l’hypothèse, restringendo il carattere convenzionale ai soli assiomi geometrici e alle leggi della meccanica. Sul convenzionalismo di Poincaré è intervenuto Gilles G. Granger che, seguendo il percorso argomentativo di Poincaré, ha dimostrato come il requisito della convenzionalità non alteri lo statuto di verità degli enunciati scientifici. Seguendo una linea interpretativa inaugurata da Giedymin in rapporto alla filosofia di Kazimierz Ajdukiewicz, Mario H. Otero, prendendo come riferimento la filosofia di Ludwik Fleck, ha messo in rilievo la persistenza, anche in contesti filosofici del Novecento apparentemente estranei, di alcuni argomenti di tipo convenzionalistico utilizzati da Poincaré nel confronto con Le Roy. Infine Andrej Siemianonwki ha voluto distinguere in Poincaré un convenzionalismo radicale, applicato agli assiomi della geometria, e un convenzionalismo moderato, applicato alle scienze empiriche, in base al quale le asserzioni di queste scienze servono come mezzi di classificazione e di predizione dei fatti. Tra i tentativi di far interagire la filosofia di Poincaré con la fenomenologia husserliana, ma anche con altri autori estranei a Poincaré, Krzysztof Szlachcic si è soffermato sulla ricezione del convenzionalismo di Poincaré da parte di due tradizioni epistemologiche divergenti, quella marxia55 na e quella popperiana, sulla base dell’adesione di entrambe le tradizioni ad una “visione della scienza” che Szlachcic chiama “modern ideal of science” (ideale moderno di scienza). In tal senso, il punto di vista di Poincaré avrebbe rappresentato per i metodologi della scienza marxisti e per Popper un esempio di “oscurantismo gnoseologico”, in grado di minacciare l’ideale di una scienza fondata sulla verità obiettiva e sull’avanzamento conoscitivo. Manfred Meyer ha voluto reinterpretare il convenzionalismo di Poincaré come una sorta di condivisione del problema di Husserl circa le relazioni esistenti fra mondo della vita e mondo delle scienze, ovvero fra esperienza pre-scientifica e teoria, e come affinità di vedute con la critica husserliana al formalismo matematico, colpevole di misconoscere le origini storiche della matematica e di degenerare in una riduzione logicistica, senza legami con l’intuizione. L’intervento di Richard Tieszen ha invece messo a confronto alcune asserzioni di Poincaré sul riduzionismo, sull’intuizione e sulla dimostrazione matematica con alcune riflessioni omologhe di Husserl, con l’obiettivo di dimostrare la loro “superiorità” di vedute rispetto ai teorici del logicismo. Su motivi dell’attualità e della vitalità del pensiero filosofico e scientifico di Poincaré si sono pronunciati Otero, Beltran e Grünbaum. Mario H. Otero ha ascritto a Giedymin il merito di aver sottolineato come Poincaré, nel confronto con Le Roy, avesse elaborato alcuni concetti che solitamente sono accreditati come eredità del post-neopositivismo. Pilar Beltran ha segnalato che in Poincaré si può trovare, allo stato germinale, quella linea di pensiero sui fondamenti della matematica inaugurata da Imre Lakatos col nome di quasiempirismo. Nella sua conferenza sugli equivoci teologici della fisica cosmologica attuale, Adolf Grünbaum ha insistito sull’attualità delle riflessioni poincareiane sulla conservazione dell’energia fisica, proponendo un confronto con quelle teorie cosmologiche contemporanee secondo cui l’esistenza del mondo esige ad ogni istante la creazione divina ex nihilo. L’intervento di Louis Vax, dedicato all’accertamento dello stato in cui versavano gli studi di logica sillogistica all’epoca di Poincaré, e quello di Adrian Dufour, si sono segnalati per l’attenzione rivolta alle istanze culturali che trapelano dagli scritti di Poincaré e per i suoi interlocutori intellettuali privilegiati. Secondo Dufour, nonostante che lo statuto epistemologico della geometria, dopo la scoperta delle geometrie non-euclidee, avesse annullato la caratterizzazione leibniziana delle proposizioni geometriche come “verità di ragione”, il razionalismo geometrico di Poincaré avrebbe finito con il riabilitare l’idea leibniziana secondo la quale, dal punto di vista logico, il mondo esistente non è che uno fra i molteplici mondi possibili. L.G. CONVEGNI E SEMINARI Manoscritto del VII secolo d.C., noto come Durham Book Semiotica medievale: lo stato dell’arte Organizzato dal Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, si è tenuto al Teatro Titano di San Marino, dal 24 al 27 maggio 1994, un convegno dal titolo: “ VESTIGIA , IMAGINES , VER BA . SEMIOTICS AND LOGIC IN MEDIEVAL THEOLOGICAL TEXTS ( XII - XIV CENTURY )”. Negli ultimi anni ci si è resi conto che proprio l’ambito teologico era il luogo privilegiato di elaborazione della semiotica medievale. La teoria dei segni costituiva infatti la premessa necessaria a qualsiasi discorso sulle relazioni tra visibile e invisibile, creato e increato, mondo e Dio, in funzione soprattutto della teoria dei sacramenti concepiti come segni della grazia divina e della vita eterna. Il convegno, promosso e organizzato da Costantino Marmo, era suddiviso in quattro sezioni: semiotica generale, semantica e sintassi, logica e modalità, uso dei segni. Nella sezione di semiotica generale Marmo ha scoperto che in un testo di Simone di Tournai, teologo parigino della seconda metà del XII sec., viene presentata, come introduzione alla teoria dei sacramenti, una classificazione dei segni in cui per la prima volta appaiono esplicitamente i “segni inferenziali”; si tratta di una riscoperta della tradizione stoica del segno come antecedente di un condizionale valido. M. Sirridge ha parlato dell’influenza, su alcune teorie duecentesche, delle interiectiones, della duplice concezione agostiniana del linguaggio: quella convenzionalistica del De doctrina christiana, che considera il linguaggio come uno strumento umano di comunicazione, e quella anticonvenzionalistica del De trinitate, maggiormente legata a considerazio56 ni teologiche, che vede il rapporto tra verbum cordis e espressione vocale in analogia con il rapporto tra la Parola di Dio e l’Incarnazione. J. Halverson ha affrontato il problema della possibilità di comprendere e significare la perfezione divina attraverso concetti e parole del linguaggio umano in alcuni scritti di Pietro Aureolo. L. O. Nielsen ha parlato della definizione dei sacramenti in quanto segni di istituzione divina e del loro statuto in relazione alla importante distinzione tra signa naturalia e signa positiva in alcuni autori francescani del XIV secolo e in particolare in Ockham. Di Ockman si è occupato anche M. Kaufmann e della sua concezione dei signa naturalia, che per il francescano, in contrasto con tutti i pensatori a lui contemporanei, hanno carattere linguistico e costituiscono il linguaggio mentale perfetto e universale che è la forma della conoscenza umana. Per la sezione dedicata a questioni di semantica e sintassi L. M. De Rijk ha parlato della nozione di ens copulatum nel Commento alle Sentenze del francescano Guiral. Ot. I. Rosier, A. De Libera e P. Bakker si sono occupati del dibattito medievale sulla analisi logicogrammaticale della formula eucaristica “Hoc est corpus meum” e sul rapporto tra il suo significato e il suo valore operativo. In particolare, Rosier ha parlato delle teorie della demonstratio del pronome hoc e del suo riferimento; De Libera si è occupato del dibattito sul valore di verità della formula in relazione alla distinzione tra il momento in cui viene pronunciata (tempus in quo) e il momento per cui viene pronunciata (tempus pro quo) e della teoria della restrictio temporale; Bakker ha discusso del rapporto tra formula e transustanziazione nei teologi del XIV secolo. L. Valente ha parlato dell’uso delle nozioni di consignificatio e connotatio nelle opere teologiche della seconda metà del XII secolo. La teoria dei nomi vuoti nel Commento alle Sentenze di Riccardo Rufo di Cornovaglia e nelle Abstractiones e la critica di queste teorie fatta da Ruggero Bacone sono state il tema della relazione di P. Streveler. C. H. Kneepkens ha trattato il problema dell’enuntiabile in Alexander Neckham. R. Friedman si è soffermato sulla rielaborazione delle nozioni di modus concipiendi e modus significandi fatta da Pietro Aureolo. H. Thijssen ha parlato delle pratiche ermeneutiche di tipo letteralista degli occamisti e della loro condanna nel 1340 da parte di uno Statuto della facoltà delle Arti di Parigi. Per la sezione dedicata a logica e teoria delle modalità K. H. Thacau ha presentato la concezione di Aureolo riguardo alla portata della onnipotenza divina in riferimento alle verità matematiche, analizzando la definizione di necessità e CONVEGNI E SEMINARI possibilità proposta da Aureolo. A. D’Ors ha trattato del rapporto tra insolubilia e alcuni testi teologici di Bonaventura. E. P. Bos ha mostrato e discusso il testo di un anonimo scotista sul concetto di propositio per se nota riferito alla proposizione “Deus est”. A. Back si è occupato delle proposizioni reduplicative nella teologia di Duns Scoto. La relazione di Y. Iwakuma ha offerto un quadro d’insieme sull’uso delle instantiae nella teologia della seconda metà del XII secolo. S. Knuttila e Ch. J. Martin hanno parlato del tipo di obligatio chiamata positio impossibilis e del suo uso nelle questioni teologiche. S. Ebbesen ha mostrato come la tecnica dei sophismata abbia prodotto alcuni effetti nelle discussioni teologiche del XIII e XIV secolo. Nell’ultima sezione del convegno, dedicata all’uso dei segni, S. Vecchio ha trattato della menzogna, della simulazione e della dissimulazione nella teologia morale del Basso Medioevo: dalla concezione di Agostino della menzogna come atto esclusivamente di parola si passa, con Tommaso, a una concezione in cui la simulazione non verbale viene affiancata alla menzogna, quanto a illiceità, e solamente la dissimulazione viene ritenuta lecita. G. Panaccio ha illustrato il dibattito medievale sul linguaggio degli angeli mostrando come questo fosse in realtà uno degli ambiti privilegiati per l’elaborazione di problemi di filosofia della mente, come quello dei modelli mentali di rappresentazione della conoscenza. Il convegno ha costituito l’undicesimo incontro di una serie di simposi sulla logica e la semantica medievali, a cadenza più o meno biennale, promossi da Jan Pinborg, Lambert M. De Rijk e da altri celebri studiosi. Esso contribuisce inoltre a quel progetto di “archeologia semiotica”, che ebbe inizio nel 1979, al II Convegno Internazionale di Semiotica a Vienna, per iniziativa di R. Jakobson e U. Eco. Quest’ultimo in particolare ha sottolineato la rilevanza teoretica che lo studio della storia della semiotica ha per la semiotica contemporanea e soprattutto per una semiotica generale di natura filosofica, che cerca di fondare il discorso sul segno e sulla significazione. «Non si tratta - afferma Eco - di ricercare una “verità” tradizionale rimasta sino ad ora occultata, ma di costruire le nostre risposte, probabilmente le risposte che solo noi possiamo dare oggi, sulla base di altre risposte dimenticate e di molte domande eluse». G.M. Eredità culturale del Rinascimento Organizzato dal Centre de recherche philologique di Lille, diretto da Pierre Judet de la Combe, e dal Groupe de recherche sur l’Histoire de la philologie et la science des oeuvres (MSH), diretto da Jean Bollack, dal 14 al 16 giugno si è tenuto alla Maison Suger e all’Institut Italien de Culture di Parigi un convegno internazionale , che ha affrontato il problema della tradizione dell’Antichità e delle sue differenti interpretazioni nel Rinascimento. L’epoca designata da Michelet e da Burckhardt come “Rinascimento” non presenta certamente un’unità così netta quale retrospettivamente le è stata, talvolta, accordata . Se il progetto di un ritorno all’antico o meglio, d’un ritorno degli Antichi, rinnovati e trasformati dalla progressiva riscoperta della loro cultura, è il tratto caratteristico del Rinascimento, quest’ultimo è ben lungi dal suscitare un consenso sulle modalità di questa impresa, che si vuole, al contempo, come interpretazione della tradizione e come auto-costituzione dell’epoca “moderna”. Il nodo problematico insito nella ripresa dell’eredità classica è costituito dalla coesistenza tra una necessaria trasmissione della tradizione e una costitutiva critica della medesima, che trova nel Rinascimento una irripetibile varietà di soluzioni pratiche e teoriche. Dal punto di vista di un’interpretazione del pensiero rinascimentale nel suo insieme, due letture hanno tentato di proporre approcci orientati da un progetto filosofico globale, mettendo a profitto, ciascuna a suo modo, le intuizioni di Ernst Cassirer. Enno Rudolph ha cercato di superare la contraddizione tra l’ “umanesimo” universalista di Pico e il “realismo politico” di Machiavelli, prodotta dal razionalismo delle Lumières, a cui Rudolph rimprovera di proiettare retrospettivamente su Pico un pensiero anacronistico del soggetto universale e su Machiavelli inceve una politica razionale non meno universalista, che, non essendo in grado di comprendere, non può che rifiutare. Se Pico è irriducibile alle Lumières, ma difende un individualismo e non un pensiero del soggetto, Machiavelli, ha osservato Rudolph, insiste sull’idea di misura compresa come virtù, che distingue il politico machiavelliano da ogni logica del potere per il potere e lo avvicina piuttosto all’umanità artistica di Pico. Malgrado il suo chiaro debito nei confronti di Cassirer e di Kristeller, Rudolph si oppone all’idea di una prima “epoca illuministica”, sviluppatasi nei secoli XV e XVI, preferendo un modello estetico più prossimo al pensiero nicciano. In una prospettiva molto diversa, anche Pico della Mirandola (presunto ritratto, 1480) 57 CONVEGNI E SEMINARI Bruno Pinchard attinge dall’impostazione di Cassirer alcune linee interpretative. Operando un raffronto serrato fra Paracelso e Rabelais, Pinchard ha illustrato la propria interpretazione del Rinascimento a partire dall’idea di soggetto quale s’incontra nell’Idealismo tedesco e nel Romanticismo, in cui egli scorge “effetti secondi” del Rinascimento. Il principio della scoperta della coscienza di sé come fine di un processo di formazione viene identificato da Pinchard nel mito. La coesistenza, nel Romanticismo, di uno strato mitico e di un livello riflessivo, diviene oggetto della ripresa critica e comica di Parecelso da parte di Rabelais. Contro il cliché di un’influenza dominante di Platone nel Rinascimento, da una ventina d’anni, grazie anche all’opera di Charles B. Schmitt, si assiste a una riscoperta della straordinaria vitalità dell’aristotelismo nel Rinascimento. In questa prospettiva, ha sostenuto Victoria von Flamming, si può comprendere l’originalità dei Dialoghi d’amore di Leone Ebreo, in cui s’intrecciano motivi del Simposio platonico, filtrati dalla ripresa operata da Aristotele nel VII libro dell’Etica a Nicomaco. La presenza aristotelica nel Rinascimento è stata messa in luce anche da Luca Bianchi. Contro lo schema canonico dell’ermeneutica che attribuisce alla Riforma il merito di aver soppiantato la dottrina dei sensi multipli della Scrittura e di aver inaugurato un metodo rigoroso, Bianchi ha dimostrando, alla luce della ricezione rinascimentale di Aristotele, come la riflessione ermeneutica non fosse meno sviluppata nella continuazione critica d’una certa tradizione scolastica. In rapporto alla pratica e alla teoria dell’interpretazione filologica, che guida l’accesso all’eredità della tradizione, Luce Giard ha richiamato l’attenzione sul rapporto di Lorenzo Valla con la tradizione antica, mostrando come la sua formazione giuridica influisca sull’elaborazione di un “primo umanesimo” rinascimentale, che riprende un Aristotele connesso a Quintiliano contro quello di un Boezio e dei suoi successori, mettendo in evidenza un concetto di linguaggio molto più interessato alla ricostruzione della coerenza di un testo che al rispetto ossequioso dei manoscritti. Sull’ermeneutica virgiliana, dalle glose di Petrarca fino a Landino, ha richiamato invece l’attenzione Frank La Brasca, sottolineando, tuttavia, come Landino si tenga a distanza dall’approccio filologico inaugurato da Petrarca, così come dalla lettura allegorica di Boccaccio, per proporre, con Platone, una via intermedia, prima che la fioritura dei commenti paralizzasse l’esegesi. Infine Mayotte Bollack si è interrogata sulla filologia lucreziana di Marullo, poeta neolatino e al contempo critico eccellente, che stabilisce un nesso tra pratica della correzione e della congettura e attività di poeta, completando il testo o rettificandolo in funzione della sua perce- zione dell’opera nella sua individualità. Sul terreno più propriamente letterario, il rifiuto della poetica del Tasso da parte di Galileo è stato analizzato da Giovanni Careri. Per contro, come ha fatto notare Nuccio Ordine, nei Raggionamenti dell’Aretino troviamo un’inversione sistematica dei dialoghi di corte di Bembo o di Castiglione. Il caso del latino macaronico nel Baldus di Teofilo Folengo è tato affrontato da Paolo Fabbri, che ha mostrato la complessità che può raggiungere una ripresa e modificazione dell’eredità classica, come avviene, per esempio, nel rifacimento di Folengo della discesa agli Inferi descritta nell’Eneide. Il rapporto con l’antico si esprime anche nello stile delle iscrizioni monumentali, come ha dimostrato Pierre Laurens, che ha analizzato il processo di questa ripresa trasformatrice nella città di Roma attraverso i diversi livelli della grafia, con il ritorno al XV secolo, della messa in scena dei monumenti, in cui l’antico è ripreso, ma in senso inverso, per le feste pontificali, della stilistica dell’iscrizione, infine, che prepara l’invenzione d’un nuovo stile lapidario e barocco, ispirato più dalla concisione di un Tacito che non da un Cicerone. Mario Pozzi ha proposto invece un panorama della dinamica dei conflitti nel Rinascimento seguendo il filo della problematica res/verba, fino alla sua esposizione più complessa in Sperone Speroni, che supera in parte l’estenuazione formalista dell’eredità degli antichi e opera una rielaborazione dei modelli classici nel senso di una originale filosofia del linguaggio. All’Accademia fiorentina ha dedicato il suo intervento Michel Plaisance, che ha mostrato come in questa sede molto particolare il principio della lezione pubblica s’impone, dal punto di vista letterario, su soggetti estremamente diversificati (il mondo, il corpo umano). Non solamente il linguaggio, ma anche lo spazio e il tempo sono indicatori preziosi delle varie utilizzazioni, talvolta perfino contraddittorie, dell’eredità antica. Yves Hersant è intervenuto sul divenire del mito dell’Età dell’Oro nel Rinascimento, insistendo sulla presenza d’ispirazioni contraddittorie: tra attesa e ritorno, origine e tempo perduto, millenarismo e nostalgia (e melanconia), gli usi di questo mito traducono desideri e speranze di un’epoca, ma anche esprimono una coscienza della storia nella sua globalità, che include una coscienza del presente. La rottura epocale presente nelle concezioni del tempo di Dante e Petrarca è stata affrontata da Horst Gunther, che ha ritracciato qui due distinte direzioni della filosofia della storia. Come Agostino, con la sua concezione intensiva del tempo, rompe con la continuità estensiva della storia di Roma, Petrarca, che lo riprende nel Secretum, è estraneo al tempo integrativo di Dante e opera su un tempo storico in cui il presente è ormai separato da un abisso dal passato 58 e dal futuro e afferma la propria consistenza a detrimento della continuità. Fosca Mariani Zini ha invece ripreso l’opposizione tra Ficino e Pico, quale si profila sul piano della loro immaginazione eterocosmica, secondo un’espressione di Baumgarten. La pluralità delle opinioni ammesse da Ficino apre uno spazio in cui l’iniziativa umana può inserirsi, mentre la posizione privilegiata attribuita all’uomo da Pico rinvia a una teologia finalizzata che tende a subordinare l’uomo a un evento ontologico che lo trascende. Tale opposizione, secondo Mariani Zini, si avvale dell’idea di mondo, ossia di totalità ordinata, presente nei due autori e permette di cogliere la pertinenza filosofica delle loro opzioni teoriche riguardo al problema filosofico del rapporto fra cosmo naturale e cosmo artistico. D.T. Filosofia italiana, filosofia spagnola L’Istituto della Enciclopedia Italiana di Roma ha ospitato dall’8 all’11 giugno 1994 un convegno dal titolo: “FILOSOFIA ITALIANA E FILOSOFIA SPAGNOLA NEGLI ANNI ’80: DUE TRADIZIONI FILOSOFICHE A CONFRONTO”, organizzato dal Diparti- mento di Filosofia dell’Università di Torino, dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dal Ministero della Cultura spagnolo in collaborazione con l’Ambasciata di Spagna in Italia e la Società Iberia. Scopo del convegno è stato quello di far conoscere reciprocamente i temi e le riflessioni che le due tradizioni filosofiche hanno sviluppato nel decennio scorso, ma che si è poi allargato alla storia della filosofia dei due Paesi lungo tutto questo secolo. A dir la verità, i filosofi spagnoli presenti al convegno erano molto più aggiornati sulla realtà filosofica italiana di quanto non lo fossero i filosofi italiani su quella spagnola. Ma su una cosa italiani e spagnoli si sono trovati subito d’accordo: nel fatto che Italia e Spagna sono terre di conquista da parte delle altre filosofie europee e, di recente, anche dell’ultima filosofia americana. Aprendo il convegno, Carlo Augusto Viano ha ricostruito da un punto di vista storico-filosofico le ragioni della dipendenza della filosofia italiana e spagnola dalle altre filosofie, ponendo la questione del concetto stesso di filosofia nazionale. In Italia, dal Rinascimento in poi, si assiste a un continuo venir meno del potere di influenza della filosofia. In tal senso Viano ha parlato del Rinascimento e dell’Umanesimo come di veri e propri miraggi, continuamente reiterati, del primato perduto, proprio quando Francia e Inghilterra trovavano nell’unità politica la forza di CONVEGNI E SEMINARI opporsi all’imperialismo spagnolo, dando vita, in quegli anni, a una cultura filosofica indipendente e alternativa al cattolicesimo dominante della Spagna. L’Italia, invece, si è trovata a subire la dominazione spagnola, iniziando quel lungo cammino di “provincia” europea, che ancora oggi la caratterizza, con l’adeguamento all’ascesa politica e culturale della Germania che, a partire dal XVIII secolo, divenne paese dominante e fondamentale per l’intera cultura filosofica europea. All’avvento del XX secolo, Francia, Inghilterra e Germania si trovano su posizioni di incontrastato dominio culturale, mentre in Italia si riscontra una totale e rassegnata dipendenza accademica verso l’imperante filosofia tedesca. La situazione odierna, secondo Viano, vede i filosofi italiani impegnati in problemi che sono sì internazionali, ma mancano di quella originalità che li spingerebbe oltre i confini nazionali per imporsi sui “mercati filosofici”. Xavier De Ventós ha discusso del concetto di dipendenza culturale, rivendicando quello che ha chiamato il carattere mediterraneo della cultura. Elementi di questo carattere, peculiari della Spagna ma presenti anche in Italia, sono le istanze intuitive e immediate tipiche dell’intimismo agostiniano, la capacità di produzione e propaganda della spiritualità, uno spirito antiindustriale e antimodernista. Per De Ventós la cultura mediterranea si è sviluppata in senso espressionistico, misticogotica, in alternativa alla linea austro-ungarica della mediazione e del dominio ontologico della parola sulla vita. Secondo Felix Duque non esiste, in quanto tale, una filosofia spagnola, come non esiste una filosofia nazionale in generale, in quanto i problemi affrontati da una comunità filosofica sono gli stessi di altre comunità in altri paesi. La distinzione, semmai, può esser fatta tra scuole di pensiero, tra orizzonti problematici diversi o tra affinità tematiche. Anche Salvatore Veca ha richiamato l’attenzione sui modi di intendere una comunità filosofica, sui rapporti tra istituzione e modo di far filosofia e sulla formazione di un “noi” come forma di identificazione collettiva. È errore degli storici della filosofia, ha aggiunto Veca, voler vedere lo sviluppo del pensiero in termini geo-politici, secondo uno sviluppo storico, piuttosto che nei termini di una sincronica problematicità. Enrico Berti ha mostrato come la filosofia della religione in Italia si sia sviluppata secondo due linee, una neoscolastica e l’altra spiritualistica, di ascendenza agostiniana e rosminiana. La prima, iniziata da Agostino Gemelli e proseguita da Olgiati, Chiocchetti, Masnovo, diede vita ad una reazione contro il neoidealismo di Croce e l’attualismo gentiliano, rivendicando le ragioni della trascendenza ontologica contro l’idealismo. Per certi versi più feconda è stata la seconda linea di sviluppo, che sorse a partire dalla crisi dell’attualismo e che portò verso esiti esistenzialistici dal volto cattolico. Ai filosofi di questa corrente, Carlini, Guzzo, Sciacca e Stefanini, si opposero i fuoriusciti dall’attualismo verso direzioni liberalistiche o marxistiche, De Ruggiero, Saitta, Spirito, Calogero. Un’altra tendenza della filosofia della religione fu quella di orientamento aristotelico di Bontadini e M. Gentile. Nella sua ricostruzione Berti ha ricordato la fondazione del “Centro di studi filosofici cristiani” di Gallarate, il pensiero ermeneutico-esistenziale di Pareyson, gli allievi di Bontadini, Severino e Mancini, e i risvolti religiosi del “pensiero debole” di Vattimo. Secondo Berti il pensiero filosofico-religioso italiano denota un carattere antimetafisico dominante nel rifiuto del presupposto storicistico. In Spagna invece, ha fatto notare Reyes Mate, la filosofia della religione si è sviluppata in direzione di una esplicazione antropologica e sociologica del fenomeno religioso, i cui aspetti simbolici sono valutati secondo la loro ricaduta sociale. Tale riflessione è entrata in dialogo sia con le istanze etiche contemporanee, sia con le teologie della liberazione e le tradizioni umanistico-cattoliche del cattolicesimo liberale. Nel suo intervento sulla logica e la filosofia della scienza italiana Massimo Mugnai si è lamentato del ruolo subalterno di queste discipline nella tradizione filosofica italiana, il cui carattere antiscientifico è risultato ostile nei confronti di ogni pensiero che si presenti come attività conoscitiva, fondata su ragionamenti rigorosi e procedimenti analitici. Mugnai ha poi ricordato le figure di Geymonat e Preti, e l’attuale distinzione, all’interno della filosofia della scienza italiana tra coloro che discutono della “nuova filosofia della scienza”, muovendosi esternamente alle competenze di una scienza particolare, e coloro che invece fanno leva sulle competenze di tale scienza. La logica spagnola, presentata da Jesus Mosterin di Barcelona, risulta perfettamente inserita nel dibattito internazionale, sviluppando studi sulla teoria della dimostrazione, della deduzione, dell’insieme. Nel campo dell’ermeneutica è intervenuto Franco Bianco, che ha fatto riferimento a quelle riflessioni più recenti che si sviluppano tra pensiero ermeneutico e pensiero tragico, su quella linea che va da Gadamer a Pareyson, padre dell’ermeneutica in Italia, fino a Ruggenini, ultimo esito dell’ermeneutica italiana. I temi dell’ascolto, dell’originarietà del linguaggio, della coappartenenza originaria di essere e linguaggio, della mortalità, della memoria destinale, sono stati al centro dell’analisi di Bianco. Un richiamo, infine, è stato fatto anche all’ontologia del declino e al definitivo svuotamento del fondamento, su cui Bianco ha innestato una riflessione sul fondamento dell’ermeneutica stessa. Felix Duque ha a sua volta ripercorso le tappe dell’ermeneutica in Spagna, partendo dall’influenza di Heidegger, di Husserl 59 e delle filosofie della vita di Dilthey e Simmel su Ortega y Gasset, e sull’influenza del romanticismo e di Kierkegaard su De Unamuno. Ridimensionando il principio della dipendenza dell’ermeneutica spagnola dalla filosofia tedesca e dal pensiero debole italiano, Duque ha esposto il proprio pensiero ermeneutico, basato sui temi della comprensione dell’alterità e del testo come esperienza Sulla storia del marxismo in Italia è intervenuto Giuseppe Bedeschi. Da Luporini a Salvadori, da Colletti a De Giovanni, da Schiavone a Bobbio, Bedeschi ha ripercorso le tappe del declino dell’ideologia marxista, o quanto meno della sua trasformazione, tutt’ora in corso. Prendendo in considerazione il fallimento del progetto scientifico-politico e politico-rivoluzionario di emancipazione del marxismo, Bedeschi ha richiamato l’esigenza di pensare il marxismo come risposta al terzo capitalismo, quello dell’informatica e delle nuove forme tecnologiche, con il venire meno definitivo delle categorie di partito-Stato e l’adeguamento alla realtà storica del comunismo europeo. Salvador Giner ha invece ripercorso le tappe dell’uscita della filosofia spagnola dal franchismo, sottolineando come la filosofia in Spagna fosse chiusa in se stessa, priva di contatti con l’esterno, nonostante i filosofi spagnoli, tranne alcuni casi, abbiano continuato a godere di una certa autonomia dal regime. L’uscita dal franchismo, che secondo Giner non ha causato traumi eccessivi, ha tuttavia portato la Spagna ad essere terra di conquista filosofica. Salvatore Veca, intervenendo sull’etica pubblica, ha analizzato i termini del dialogo tra élite culturali e filosofiche e le strutture e gli apparati dei partiti. Secondo Veca, i problemi dell’etica nascono oggi prevalentemente fuori dalle istituzioni accademiche: per esempio le etiche ambientali o ecologiche, i rapporti tra etica e economia, le questioni bioetiche e lo sviluppo di etiche applicate. Comune denominatore di queste problematiche è il fatto che queste etiche pubbliche implichino ragioni penultime, ossia ragioni che hanno a che fare con chiunque, senza implicare ragioni ultime o ontologiche. Javier Sabada, da parte sua, ha fatto un bilancio delle riflessioni in Spagna sull’etica pubblica negli ultimi anni, mettendo l’accento sui rapporti tra etica pubblica ed etica individuale, sul concetto di “amor proprio”, sulla critica pubblica alla democrazia, sulla la teoria dei giochi e sugli ultimi esiti della discussione sul marxismo. Hanno concluso il convegno Pietro Rossi e Manuel Cruz, che hanno richiamato il fatto che la filosofia italiana e spagnola debbono la sostanza del loro lavoro all’importazione di tematiche e problemi dalle comunità filosofiche tedesche, inglesi, francesi e americane, e che in entrambe manchi una forza originale che possa affermarsi all’estero. L.D. CONVEGNI E SEMINARI Goethe scienziato Come devono essere considerate gli scritti scientifici di Goethe: un’eredità o un’opera? L’immagine della natura che emerge dagli studi morfologici di Goethe, quello stile teorico che sa ricollegare la scienza all’arte, la coscienza alla natura, sono stati nel tempo rivalutati e ripresi da percorsi di ricerca diversi. In linea con questo sviluppo della ricezione dell’opera di Goethe si è posto il recente Convegno internazionale: “GOETHE SCIENZIATO. PERCORSI GOETHEANI TRA SCIENZA, ETICA E ARTE ”, tenutosi dal 20 al 22 maggio 1994 presso Villa Grifani di Castelfranco (CR) e organizzato dall’Associazione Scientifica Goetheanistica Italiana e dalla Cattedra di Filosofia della scienza dell’Università degli Studi di Milano. Il 18 agosto del 1787 Goethe scriveva dall’Italia a Knebel: «Dopo quanto ho veduto di piante e di pesci, presso Napoli e in Sicilia, sarei molto tentato, se fossi più giovane di dieci anni, di fare un viaggio in India, non già per scoprire cose nuove, ma per contemplare a modo mio quelle già scoperte». In queste parole troviamo indicata la prospettiva di lettura delle opere scientifiche di Goethe: l’adozione di un nuovo punto di vista per l’osservazione della natura. Nello studio della natura vivente, il metodo morfologico «non cerca nulla dietro ai fenomeni», ma si misura anzitutto con ciò che appare, nella convinzione che «tutto ciò che è deve anche dare cenno di sé e mostrarsi». Il cammino dell’impresa scientifica ha invece tendenzialmente trascurato lo statuto della “forma” e quindi la possibilità di una morfologia in senso goethiano, che tenda ad un approccio globale nello studio dei fenomeni naturali. È stata anzi privilegiata Johann Wolfgang Goethe, 1828 60 un’indagine di tipo analitico-casuale di impronta fortemente riduzionistica, che ha messo da parte il lato qualitativo dei fenomeni, in quanto “resto” di quello quantitativo. Ripercorrendo la storia del pensiero scientifico dell’ultimo secolo risulta chiaro però che le forme primordiali o “archetipe” di Goethe non sono mai tramontate. In questo senso gli scritti scientifici di Goethe possono essere letti non solo come una sfida alla “razionalità quantitativa”, ma come il nucleo di una più ricca concezione della ragione scientifica, che comporta un nuovo rapporto tra il soggetto che “conosce” e la natura. Si può ricordare, a questo proposito il saggio di Gottfried Benn, Goethe e le scienze naturali, che compare all’interno di una raccolta di scritti di questo autore, recentemente pubblicata in Italia, a cura di Luciano Zagari, con il titolo: Lo smalto sul nulla (Adelphi, Milano 1993). Benn osserva come attraverso tutta l’opera scientifica di Goethe permanga una tensione tra intuizione e analisi, che risalendo fino alla concezione primitiva di Talete, per il quale tutto è acqua, cioè tutto è uno, arriva all’inno Alla natura del 1782, alla concezione dei fenomeni originari. In Goethe si congiungono, per Benn, due manifestazioni epocali: «la base della matafisica antica, secondo cui l’uomo sarebbe la misura di tutte le cose, l’uomo, la sua physis, torna a echeggiare nelle parole di Goethe sull’esperienza: “se io non avessi già portato in me il mondo come anticipazione, sarei rimasto cieco con gli occhi veggenti, e tutta l’esperienza non sarebbe stata altro che un vano affaticarsi”». Il “pensiero intuitivo” di Goethe, contrapposto come principio euristico al principio fisico-matematico, rappresenta dunque il contrasto, divenuto oggi così familiare, tra il coordinamento delle cose all’uomo e il coordinamento dei concetti in serie matematiche, prive di contraddizioni. In un intreccio singolare di platonismo e esperienza, in Goethe si è in presenza di un cogliere con la sensibilità connessioni e origini in termini prospettici: «un pensiero immerso nel mare della corporeità» - scrive Benn; un pensiero oggettivo molto vicino a quello poetico che tende al “tipo”, al grande motivo, al leggendario. In tal senso Benn si trova d’accordo con Helmholtz nel ritenere che a Goethe spetti il merito di aver per primo intuito le idee guida verso le quali tendeva la linea di sviluppo lungo la quale si erano incamminate le scienze naturali. Lo “stile di pensiero” goetheano sembra oggi porsi come nuovamente fecondo nella cultura contemporanea. La critica di Goethe contro le ipostatizzazioni delle ipotesi per una libertà di “culto”, la responsabilità della ricerca scientifica nei confronti della natura e l’aspetto fenomenologico del suo pensiero - che sembrano dischiudere l’orizzonte ad un nuovo “umanesimo scientifico” - sono stati al centro del Con- CONVEGNI E SEMINARI vegno internazionale su “Goethe scienziato”, in cui filosofi, biologi, fisici e matematici hanno analizzato, da diverse prospettive, l’eredità epistemologica lasciataci da Goethe: il metodo morfologico; il rapporto tra pensiero e percezione, tra il soggetto e i fenomeni, alla luce di quel metodo goethiano, definito da Schiller “empirismo razionale”. Se la convinzione dell’unità del mondo si basa sul nostro desiderio di coglierlo entro una connessione significativa, con la teoria delle metamorfosi e il concetto di “forma”, Goethe offre un modo nuovo per indagare il rapporto tra universale e particolare. Gerry C. Webster lo ha paragonato al principio della definizione matematica attraverso la rappresentazione di una serie: la rappresentazione è in questo caso simbolica e permette di dare una nuova forma al concetto “universale”. Per Francesco Moiso, la base della scienza della natura di Goethe è l’unità formale del reale: le infinite forme della realtà rappresentano quel continuo (ogni singolo fatto ha un carattere “irraggiante”) che è discontinuo nel suo divenire. Ciò che dunque deve essere spiegato non è la variazione fenomenica, ma la stabilità, l’individuo. In questo senso Giuseppe Sermonti ha sottolineato nel suo intervento come la scienza per Goethe si configuri come ricerca delle relazioni e non delle cause. Il suo motto è darstellen und nicht erklären: rappresentare e indicare le scansioni tipiche del vivente e non spiegarlo individuando le cause, i motivi e i fini. L’epistemologia goethiana non “rimuove” il soggetto, ma anzi coinvolge completamente l’uomo. Per Hermann Schmitz, è proprio l’anticipazione intuitiva della realtà il punto di partenza della scienza: solo con l’aiuto del proprio “intero” io si può scoprire come procede la natura. In questa ricerca di un pensiero organico che rimanda Husserl, Martin Basfeld ha preso spunto dalla Farbenlehre (Teoria dei colori) per indicare come, per Goethe, la nostra coscienza partecipi alla realtà: l’effetto psicologico del colore fa parte del fenomeno stesso del colore. Una realtà al di là della nostra percezione non esiste. In questo senso Renatus Ziegler ha ricordato che per Goethe il concetto di empiria comprende anche l’attività del pensiero: non c’è solo il contenuto, ma anche la forma, le idee. Queste non sono astrazioni dei fenomeni, non sono generate in termini di assenza, ma principi costitutivi di ciò che è percepito a livello sensoriale. Il problema del rapporto parte-tutto rimanda, per Carlo Sini, allo spinozismo di Goethe. Merito di Goethe è l’aver chiarito il rapporto tra sostanza e attributi: se può apparire paradossale pensare che il finito partecipa dell’infinito, l’universale è tuttavia presente solo nella comprensione del singolo, anche se non lo esaurisce. M.C. Friedrich Nietzsche (Friedrich der Unzeitgemässe) Nietzsche e la cultura europea Si può porre la fine di questo millennio sotto il segno di Nietzsche? In che misura e in quali forme la sfida, di cui Nietzsche è il simbolo, può essere proseguita e sviluppata nel mondo di oggi? Questi alcuni degli interrogativi che sono stati al centro del convegno internazionale “L’ENIG MA , IL SUONO E GLI DEI. FRIEDRICH NIETZSCHE E LA CULTURA EUROPEA 1994-2000", tenutosi al Palazzo delle Esposizioni di Roma il 30 e 31 maggio 1994 e organizzato a cura di Mario Perniola e Alessandro Berdini dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma e dalla compagnia teatrale Teatroinaria Stanze Luminose, in collaborazione con l’Università di Roma “Tor Vergata”, la Freie Universität Berlin, il Deutsches Seminar dell’Università di Basilea, l’Istituto de Estética y Teoria de las Artes di Madrid e il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il convegno fa parte di una più vasta iniziativa, dedicata a Nietzsche nel 150° anniversario della nascita, che dovrebbe giungere fino al 2000, centenario della morte, e che ha già presentato la messa in scena di uno spettacolo teatrale, “EMPEDOCLE TIRANNO”, di Maurizio Grande, tratto dai frammenti su Empedocle di Nietzsche per la regia di Alessandro Berdini, ed un concerto del 61 musicista tedesco Klaus Schulze dal titolo: “GÖTZEN DÄMMERUNG”, ispirato a Nietzsche. Aprendo i lavori, Gianni Borgna, Assessore alla Cultura del Comune di Roma, ha insistito sulla figura di Nietzsche come illuminista, vale a dire come smascheratore delle ideologie, grande demistificatore che, come prima di lui, Feuerbach e Marx e, dopo di lui, Freud, mostra la natura istintuale, “umana, troppo umana” di ogni ideologia e della metafisica, smantellandone così ogni pretesa totalizzante. Presiedendo la tavola rotonda su “Nietzsche e la cultura italiana”, nella sua relazione iniziale Mario Perniola, ideatore e curatore del convegno, ha evidenziato l’immagine di Nietzsche come Freigeist, spirito libero, che oggi sollecita l’idea di una società di spiriti liberi, in cui si rinnovano forme alternative di sentire e di pensare in opposizione ad una società dell’omologazione e del conformismo, e ha colto la specificità della filosofia nietzscheana nella critica tanto del moralismo di derivazione kantiana, quanto dello storicismo di discendenza hegeliana. Perniola intravvede la ripresa del pensiero di Nietzsche nella cultura italiana di questo secolo sia nella filosofia del presente di Carlo Michelstaedter, sia in forme di sentire più intenso, all’opera nella musica, nel cinema, nel teatro degli ultimi decenni. Gianni Vattimo ha rivolto delle obiezioni a questa interpretazione di Perniola, giudicandola sostanzialmente estetica, estetiz- CONVEGNI E SEMINARI zante, poiché accentuerebbe la dimensione artistica, eccentrica, vitalistica della filosofia nietzscheana con il rischio di isolamento, di autoesclusione della filosofia; obiezioni cui Perniola ha tuttavia risposto sostenendo che la posizione di Vattimo tradirebbe ancora la pretesa tutta metafisica e moderna che il filosofo sia l’unico interprete autorizzato della propria epoca e incarni pienamente gli ideali del proprio tempo. Per capire dove stiamo andando, ha aggiunto Perniola, occorrerebbe invece guardare con sempre maggiore attenzione anche a fenomeni ed eventi diffusi nella società contemporanea. Dal canto suo Vattimo ha comunque insistito su una interpretazione “politica” di Nietzsche, ricordando anche che in Italia il filosofo tedesco è stato letto come portavoce delle ragioni antiborghesi delle avanguardie primonovecentesche e delle esigenze di critica della società di massa. Il Nietzsche che oggi ci parla, ha ribadito Vattimo, è comunque il filosofo del nichilismo e non del dionisiaco, cioè colui che chiama all’indebolimento dei fondamenti ultimi e delle strutture forti, nonché - paradossalmente - il teorico dell’ “uomo moderato”. Contrario alla prospettiva di un Nietzsche politico è invece stato l’intervento di Giacomo Marramao, che ha evidenziato la base fondamentalmente impolitica del pensiero nietzscheano, sostenendo un Nietzsche filosoficamente più forte e politicamente più debole, un pensiero dell’esperienza e della soluzione e non del rimedio e della cura, una filosofia affermativa che rompa con la morale della massa. I rapporti tra Nietzsche e la cultura letteraria italiana sono stati affrontati da Giulio Ferroni che ha inteso sottolineare soprattutto la vicinanza speculativa e ideale tra il filosofo tedesco e il pensatore Leopardi, accomunati tra l’altro da quella dimensione illuministica di critica dei fondamenti assoluti, di smascheramento degli errori e svelamento delle illusioni. Isabella Vincentini invece si è soffermata sulla circolazione del pensiero di Nietzsche nella poesia contemporanea e in particolare nelle cosiddette neoavanguardie, in cui sono riscontrabili alcune importanti tematiche nietzscheane, nonché la ripresa di un certo nichilismo attivo, positivo, che in questa poesia diviene assenza della tragicità propria degli spiriti eroici. I più ampi legami tra Nietzsche e la cultura europea sono poi stati oggetto di altre relazioni. Sergio Moravia, che è intervenuto polemicamente con Vattimo, ha ricordato la dimensione più marcatamente filosofica e tutt’altro che “moderata” del filosofo dell’ “oltreuomo”, del grande smantellatore e decostruttore dei principi e dei valori portanti della modernità; Giorgio Penzo, parlando su nichilismo e sacro, ha messo l’accento sul pensiero tragico di Nietzsche, che nasce dalla critica della metafisica occidentale, in quanto platoni- co-cristiana, e che è tale, cioè pensiero tragico, in quanto avverte l’assenza di Dio; ma è anche pensiero del sacro in quanto riflette liberamente e senza illusioni su quell’oltre che sta al di là dell’umano. Josè Jimènez ha con grande efficacia evidenziato la natura iconica del pensiero nietzscheano, attraversato e costruito da immagini e visioni, e soprattutto la sua natura metamorfica, dal momento che tutta la riflessione nietzscheana è una critica serrata della fissità (del tempo, del linguaggio, della storia, della vita...), della stasi, della quiete e, al contrario, un elogio del movimento, della trasformazione, del divenire. Su Nietzsche e Georges Bataille si è incentrata la relazione di Marie Christine Lala, che ha fatto notare come Bataille guardi a Nietzsche per affrontare i problemi intorno alla morale e all’arte, cercando di pensare la morale senza moralismo e l’arte a partire dalla vita e dalla danza, giungendo in tal modo a coniare le nozioni di “odio della poesia” e di “ipermorale” e a ripensare alle condizioni dell’esperienza nelle situazioni dell’estremo, del limite e dell’eccesso e ripensando su tali nuove basi lo statuto stesso del pensiero. François Laruelle ha mostrato come nel caso di Nietzsche la sua identità di pensatore non sia comprensibile a partire dal semplice orizzonte filosofico creato da Nietzsche stesso. Alain de Benoist, considerato il maggior teorico della nuova destra francese, è poi intervenuto parlando della ricezione di Nietzsche in autori come Klages, Jünger, Spengler ecc. , evidenziando il trattamento non solo di parte, ma anche parziale che il filosofo tedesco ha subìto nell’ambito di questa temperie culturale. Tra gli altri interventi, Christoph Wulf si è soffermato sul problema del male in Nietzsche, sottolineando la critica dell’ideologia della morale, così come del bene e del male nel filosofo tedesco; mentre Peter Sloterdijk ha riflettuto sul concetto di “cambio di secolo”, cioè sulla fine del millennio in cui viviamo e sul suo significato. Più filologiche le relazioni di Joachim Latacz sulla Nascita della tragedia nel contesto della ricerca moderna e contemporanea sulla tragedia greca; di Giuliano Campioni su aspetti della fisiologia dell’arte e della decadenza in Nietzsche; e di Andrea Ermano, sull’idea dell’eterno ritorno in rapporto a Eraclito. Sotto il segno di Nietzsche, Michel Maffesoli ha posto la sua critica del punto di vista economicistico e produttivistico della modernità ed ha rivendicato lo spazio per una dimensione onirico-ludica di forte valenza rituale e collettiva. Camille Dumoulié si è soffermata invece sul rapporto tra Nietzsche e Artaud in relazione all’idea di teatro sottesa alle loro opere, mostrando la vicinanza tra i due pensatori 62 nelle nozioni di contraddizione, dissonanza, differenza. Ha chiuso il convegno una tavola rotonda sull’idea di spettacolo dopo Nietzsche, sull’idea di arte e di teatro in questo secolo, cui hanno preso parte Mario Perniola, Gillo Dorfles, Maurizio Grande, Claudio Vicentini e Giovanni Scipioni. G.P. I generi del pensiero rinascimentale Il Centro di Studi sul Classicismo, diretto da Roberto Cardini, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, organizza da due anni, da primavera a estate, una serie di convegni dedicati a temi differenti, incentrati sull’idea di “classico” e sulla sua eredità. Essenziale all’idea di “classico” è certo la riflessione sul rapporto tra norma e innovazione: quando le regole diventano normative? Come innovare pur restando nella “classicità”? Come si formano i generi letterari in quanto forme del pensiero? Questi e altri interrogativi sono stati al centro degli interventi al convegno: “UMANESIMO E RETORICA , POESIA, STORIA ”, tenutosi nel Centro di San Gimignano il 27 e il 28 maggio 1994. Alla radice dei generi del discorso c’è la grande tradizione retorica, la quale però non è univoca, anzi sottende norme letterarie e visioni del mondo differenti. Secondo Francesco Tateo, la retorica umanistica pare percorsa da una tensione, se non un conflitto, tra i modelli di Cicerone e Quintilliano: il primo passa per un modello che propone la convergenza tra res e verba, affermando soprattutto la persuasione; il secondo appare, invece, meno esposto ai pericoli sofistici e più attento all’arte del dire, allo “stile”. Al centro delle tensioni tra i due modelli, ha osservato Tateo vi è la concezione dell’elocutio e della varietas dei generi. Trapezunzio è l’esempio di un’impresa retorica che sostiene la varietas dei generi letterari all’interno di una struttura “classica”, aprendo la retorica alla poetica, alla combinazione delle forme, alla letterarizzazione dei generi del discorso. Donatella Coppini ha presentato invece il rapporto fra auctoritas e innovazione nella poesia latina dell’Umanesimo, in particolare in Marullo. Interrogandosi sulla concezione filosofica o retorica della poesia, Coppini ha individuato e analizzato il paradosso della poesia latina nell’epoca fra la concezione del furor poetico e il carattere artificioso della poesia stessa. Tra gli interventi sulla storiografia, Paolo Viti e Giuliana Cravatin hanno affrontato il problema delle origini della storiografia rinascimentale. Viti ha sottolineato l’im- CONVEGNI E SEMINARI portanza del genere biografico nella genesi della storiografia critica, e in particolare si è soffermato su Bruni e Polenton. Crevatin ha ricostruito il dibattito sulla storia dal XII secolo a Petrarca, sottolineando i caratteri originali di quest’ultimo, il quale si pone come imitator degli antichi e non collector né pacificator, e insiste sulla necessità di rifondare la storia tramite un racconto il cui fine sia la virtù. Sul terreno concreto della storiografia in atto, Liliana Monti Sabia ha voluto ricostruire filologicamente la figura del Pontano come storico; mentre Anna Maria Cabrini ha tracciato l’itinerario dell’idea di Firenze negli storici dell’epoca, da Villani a Guicciardini. Mariangela Regoliosi è invece intervenuta sul dibattito umanistico sulla storia, affrontando i nodi della teoresi della storia, e non della sua pratica, e ricostruendo, da un lato, l’idea di storia nel quadro concettuale della retorica e dell’arte oratoria, che privilegia il genere epidittico ed è volta a fini moralizzanti, dall’altro, un’idea di storia nutrita dalla lettura in particolare di Tucidide, che sancisce una cesura fra verosimile e vero, fra storia e poesia e rivendica il carattere “nudo”, oggettivo del racconto storico. Qui, ha osservato Regolioso, occorre che lo storico sia il più possibile fedele al “vedere”. In tal senso si possono richiamare le figure di Lapo e di Valla, rappresentanti di una concezione per molti versi “classica” della storia, consapevole del carattere storico della verità e della necessità che il giudizio s’incarni in una esperienza concreta, e soprattutto dell’idea che la vera filosofia è storiografia, al contempo narrazione e riflessione. F.M.Z. Bayle: sincerità di uno scettico In un momento in cui rinvigorisce l’affermazione dei particolarismi religiosi, il pensiero di Pierre Bayle, in cui coesistono fede e ragione, ritrova una sorprendente attualità. Alla luce di una tale considerazione, presso l’Ecole Normale Supérieure di Fontenayaux-Roses, il 20 maggio 1994, la Facoltà di Teologia protestante di Parigi e l’Ecole Normale Supérieure di Fontenay-Saint Cloud hanno organizzato una giornata di studio dedicata al pensiero di Bayle. Nel pensiero di Pierre Bayle (1647-1706) possiamo ritrovare, al di là della riflessione religiosa sulla tolleranza, i lineamenti di una filosofia laica in cui la libertà di una propria confessione religiosa si accorda con l’apertura alla discussione pubblica, i cui soli criteri validi sono quelli della ragione. Critico, filosofo, storico, poligrafo; calvinista, convertito al cattolicesimo e ritornato poi alla fede protestante; espulso dalla Francia, in cui torna clandestinamen- te per esercitare il suo mestiere di “professore di filosofia” a Sedan; da Rotterdam, dove viene esiliato nel 1681, Bayle propugna una “République des lettres” europea in grado di riunire gli spiriti “savants” e critici dell’epoca. A Rotterdam porta anche a compimento la sua opera principale, il Dictionnaire historique et critique (169597), in cui attacca sistematicamente le tradizioni e i dogmi, analizzandone in un primo momento le contraddizioni storiche per poi passare a una critica razionalista, confinante con lo scetticismo e ancorata a un profondo fideismo, anche se la sua azione è generalmente interpretata come quella di un precursore delle “Lumières”. L’interpretazione di Bayle ha conosciuto molteplici variazioni, a seconda degli interessi di lettura e delle circostanze. Mentre nel XVIII secolo il Dictionnaire e i Pensées sur la comète (1682) erano le opere più diffuse in Europa - lette e medidate da Hume e Kant; tradotte in Germania da Gottsched; rifatte da Voltaire nel suo Dictionnaire philosophique e nei Contes l’interpretazione impostasi dopo le “Lumières”, e soprattutto nella storiografia positivistica, fu quella di un pensatore scettico, nemico giurato delle religioni e dei dogmi, portavoce dell’Illuminismo e complice del moderno movimento di secolarizzazione. Talvolta fu anche interpretato come precursore d’un certo empirismo positivista. La dimensione religiosa del suo pensiero, nell’articolazione con il suo “scetticismo”, non è apparsa che una trentina d’anni fa, soprattutto con i lavori di Elisabeth Labrousse (Pierre Bayle, 1963-64; Bayle et l’instrument critique, 1965; Notes sur Bayle, 1990), che sulla scia di Cornelia Serrurier dimostrò la necessità di comprendere Bayle a partire dalla sua duplice eredità, religiosa (calvinista) e filosofica (cartesiana, malebranchista). a questa ambiguità erano stati sensibili già alcuni lettori tedeschi del XVIII secolo: per Zinzendorf, Bayle era, dopo la Bibbia, la sua lettura preferita; Kant e Schleiermacher erano grandi utilizzatori del Dictionnaire. In Italia, un rinnovato interesse è apparso in questi ultimi anni con i lavori di C. Senofonte, P. Bayle, dal Calvinismo all’Illuminismo (1978), che si appoggia a Bayle per difendere la tesi delle “Lumières” come “autosuperamento del Cristianesimo”, e di R. Cortese, P. Bayle, l’inquietudine della ragione (1981); più recentemente G. Paganini. Su invito di Pierre-François Moreau e Olivier Abel e con la partecipazione di Elisabeth Labrousse, nella giornata di studio dedicata a Bayle sono state messe in evidenza originalità e ambiguità di questo pensatore in rapporto al nesso tra pensiero e fede, mascheramento retorico e comunicazione pubblica, scetticismo e convinzione, critica ed etica. Oscar Kensuhr ha analizzato la connessione fra scetticismo e fede nel Dictionnaire, mettendo in evidenza ciò che si può dire una “sincerità obli63 qua” di Bayle dietro l’arsenale scettico da lui messo in opera e l’incommensurabilità, nello scetticismo, tra ragione e fede. Evocando il rapporto tra Bayle, J. Craig e J. Brown, e richiamando soprattutto pensatori sospetti, tra cui Spinoza, Kensuhr ha rilevato come la sincerità di Bayle si esprima attraverso una enciclopedia di opinioni frammentarie, dove il fideismo non è solo il superamento dello scetticismo, bensì la sua espressione continua. Olivier Abel ha sviluppato i contorni di un’etica del dubbio (contro il fanatismo) e della compassione, connessa allo scetticismo, mettendo in evidenza la relazione tra la coscienza conoscitiva, necessariamente limitata, e la coscienza morale, in cui il soggetto è direttamente posto davanti a Dio. Il vuoto delle opinioni che risulta dal dispositivo pirroniano, ha osservato Abel, prefigura quella kenosis in cui il soggetto calvinista appare anch’esso svuotato davanti a Dio. D’altra parte, l’indissolubilità dell’appello alla fede e alla grazia distoglie la riflessione di Bayle da ogni attitudine passiva, nel senso del quietismo, e equilibra il pensiero critico e polemico con un’etica della compassione e della tolleranza. Hubert Bost, autore di un recente studio: Pierre Bayle et la religion (1993), ha invece analizzato alla luce delle metafore del cibo, del viaggio e della biblioteca il ruolo della lettura in Bayle, scorgendovi, in modo immaginoso ma poco concettuale, un fondamento epistemologico originale, un lego, così come esiste un cogito in Descartes. Sull’intolleranza in Bayle si è pronunciato J.-M. Gros, curatore, nel 1992, di un’edizione del Commentaire philosophique di Bayle. In quest’opera, ha osservato Gros, l’argomento fideista è quasi del tutto assente: Bayle non cerca di predicare la tolleranza ai teologi, ma sviluppa la sua riflessione in un quadro giuridico e politico; la “République des lettres” mette in opera il principio della tolleranza sottomettendo tutte le opinioni al giudizio della critica. Infine, G. Paganini ha affrontato il problema della localizzazione degli spiriti, in particolare nell’interpretazione humiana (Trattato, I, 4-5). L’adesione di Bayle al dualismo cartesiano, ha fatto notare Paganini, motiva la sua incomprensione della fisica newtoniana e le numerose aporie a cui va incontro. Così, per Descartes come per Bayle, l’identificazione dello spazio con la res extensa dipende da una “rivoluzione naturale”, laddove la fisica di Newton rimetteva in questione tale identità e rifiutava l’ “evidenza”. D’altra parte, se Bayle mette alla prova nel suo laboratorio scettico le nozioni di sostanza immateriale o di un unione locale dell’anima e del corpo, Hume riutilizza certi argomenti, applicandoli alle qualità, procedendo verso la costatazione di una connessione nell’esperienza, che supera le contraddizioni e le incoerenze di Bayle nel senso dello scetticismo filosofico. D.T. CONVEGNI E SEMINARI Religione e scienza. Nella cornice prestigiosa della Heidelberger Akademie der Wissenschaften, con il titolo: “Scienza e religione” si è svolto a Heidelberg, dal 12 al 14 maggio 1994, il XXI Simposio della Gesellschaft für Wissenschaftsgeschichte, dedicato ad una ricostruzione problematica del rapporto tra religione e scienza da Agostino a Kant. Aprendo i lavori, Wolf-Dieter MüllerJahncke ha sottolineato come la questione proposta per questo Simposio richieda una visione globale dell’insieme dei rapporti tra teologi e scienziati, tra cui sono da includere i medici e i philosophi naturales. Il difficile rapporto tra religione e scienza nella prima patristica è stato affrontato da Christoph Heitmann (“religione e scienza nell’antichità cristiana”), che ha messo a fuoco in primo luogo il rifiuto della scienza della natura greca a favore della fedeltà alla Scrittura in Basilio di Cesarea; in secondo luogo la critica di fatuità formulata da Agostino nel De ordine e nella Epistula 118 nei confronti di una scienza vista come in sé priva di valore; infine, la citazione dei più importanti trattati di Euclide, Apollonio, Archimede e Tolomeo nel Vivarium di Cassiodoro. La tradizione ebraica è stata presa in considerazione da Friedrich Niewöhner (“Natura-scienza e conoscenza di Dio: il modello ebraico), che ha proposto un modello per interrogare tre millenni di pensiero religioso e filosofico ebraico attraverso la “dottrina negativa degli attributi”, quale si trova formulata in Maimonide e nella tradizione della Haskala: un modello ripreso anche nella “casa di Salomone” della Nova Atlantis di Bacone e che si ripercuote nell’antitrinitarismo aporetico di Newton, come pure nelle metafisiche critiche di Mendelssohn e Kant, fino a Wissenschaft und Religion (Scienza e religione, 1930) di Einstein. David A. King (“Astronomia nelle moschee e nei conventi”) ha fornito ricco materiale documentario e iconografico per ricostruire le implicazioni teologiche degli strumenti astronomici della tradizione mussulmana. Richiedendo preliminarmente alla preghiera l’individuazione della linea di congiungimento tra il luogo nel quale si trova il fedele e la Mecca, la tradizione mussulmana determinò una stabile affermazione dell’astronomia e della geografia anche a livello pop olare . Mieczy slaw Markowski (“I liberi spazi universitari nel tardo Medioevo come promotori della scienza naturale moderna”) ha ricostruito alcuni momenti nodali del rapporto tra religione e scienza nel pensiero del basso Medioevo a partire dagli statu- ti delle Università di Parigi, Cracovia, Erfurt, e Copenhagen, determinando il ruolo dell’astronomia nelle facultates artium. Dell’ambito protestante si è occupato Riccardo Pozzo (“Scienza e religione. Gli esempi delle Università di Königsberg e Helmstedt”), che ha messo in luce il ruolo di primo piano svolto dal teologo e filosofo Melantone nello stabilire il sostrato dal quale ha poi preso avvio la rivoluzione scientifica del Seicento. L’opposizione di Melantone, ha osservato Pozzo, riguardava non solo e non tanto la portata speculativa dell’ipotesi eliocentrica, ma la possibilità di valutarla criticamente rispetto alla sua fruibilità nell’ambito dell’insegnamento nelle rifondate università della Germania protestante. Paul Richard Blüm (“Gesuiti tra religione e scienza”) ha aperto il discorso sulla theologia naturalis, disciplina che fu introdotta dai gesuiti all’inizio del XVII secolo e che meglio di ogni altra, nonostante le numerosissime riserve avanzate da più parti, rappresentò un punto di congiunzione tra l’insegnamento praticato nella facultates theologicae e quello nelle facultates artium. Di G. F. Meier, un filosofo dell’illuminismo poco noto, ma assai importante per l’influenza esercitata sui contemporanei, si è occupato Günter Schenk (“Ragione vs rivelazione: la concezione di Meier dell’impossibilità di una dimostrazione matematica contro l’immortalità dell’anima”), che ha messo in evidenza l’efficace ruolo di mediazione esercitato da Meier tra il wolffismo conservatore di S. J. Baumgarten, maestro di Meier, e la critica razionalistica alla religione di T. Abbt e J. S. Semler, tra i piú importanti allievi di Meier. Herbert Breger (“Matematica e religione nella prima modernità”), ha richiamato le applicazioni della matematica a fini apologetici in J. Craig, B. Nieeuwendtijt e Berkeley. Chiudendo il discorso sulle implicazioni epistemologiche delle metafisiche critiche, Hans-Joachim Washkies (“Scienza come compensazione della religione”), si è soffermato sulla storia dello sviluppo della fisicoteologia kantiana. Infine, Harry A. M. Snelders (“Scienza naturale e religione nei Paesi Bassi intorno al ‘600"), ha fatto notare che tra scienze naturali e religioni non vi è stata solo lotta, ma anche alleanza, fornendo con ciò nuovi punti d’appoggio a quelli proposti a suo tempo da A. Kojéve nel 1964 su L’origine chrétienne de la science moderne (L’origine cristiana della scienza moderna). Ha chiuso il Simposio una tavola rotonda, diretta da Wolfgang U. Eckhart e Stefan Rhein sul rapporto tra religione e scienza. Gli atti usciranno tra breve, a cura di Fritz Krafft, in un fascicolo monografico dei «Berichten zur Wissenschaftsgechichte». R.P. 64 XXI Conferenza della Hume Society Tra il 20 e il 24 giugno 1994 si è svolta a Roma, con il titolo: “TWENTY-FIRST HUME SOCIETY CONFERENCE”, la XXI Conferenza della Hume Society, organizzata da Eugenio Lecaldano, dell’Università “La Sapienza” di Roma, e David Fate Norton della Mc Gill University. Nell’arco di cinque giorni si sono svolte ben ventinove sessioni di studio, a cui hanno partecipato studiosi del pensiero humiano provenienti da vari paesi. Il prossimo incontro della Hume Society si svolgerà nella città di Park City, dal 25 al 29 luglio 1995, presso la University of Utah. Grande attenzione è stata dedicata ai rapporti di Hume con autori e correnti di pensiero più strettamente collegabili alla sua opera. Julia Annas ha cercato di evidenziare la complessità e la problematicità del rapporto di Hume con lo scetticismo antico, giungendo alla conclusione che il filosofo scozzese non avrebbe compreso correttamente il senso dello scetticismo a causa di un dogmatismo naturalistico, di cui non vi è invece traccia nella filosofia degli antichi. Peter Fosl, al contrario, ha sostenuto la necessità di leggere Hume come un pensatore pirroniano, sia per i suoi contatti con i testi di Sesto Empirico e della corrente pirroniana, sia per la connessione con lo scetticismo antico dei temi humiani del “natural belief” (credenza naturale) e della “common life” (vita comune). Sempre nell’ambito della filosofia greca Marcia L. Homiak ha voluto collegare Hume ad Aristotele sulla base della nozione di carattere, in cui sarebbe presente un principio di deliberazione indipendente dalle motivazioni della ragione pratica. In una diversa prospettiva di ricerca, Thomas M. Lennon ha parlato delle possibili influenze esercitare su Hume dal teologo Pierre Jurieu, interpretato attraverso il Dizionario storico-critico di Pierre Bayle. Emilio Nazza ha tenuto invece una relazione su Hume e Huet, riproponendo contemporaneamente i problemi storiografici legati all’utilizzo delle fonti di un autore. Sui legami che uniscono Hume e il libero pensatore John Trenchard, riguardo soprattutto ai temi della superstizione religiosa e della critica ai miracoli, si è soffermata Paola Zanardi mentre Jane L. McIntyre ha messo a confronto le teorie delle passioni di Hutcheson e Hume, riscontrando sostanziali differenze e individuando nelle passioni indirette (orgoglio, amore), non in quelle dirette (egoismo, benevolenza), la fonte dell’approvazione morale secondo Hume. A Thomas Reid e alle sue critiche a Hume sono stati dedicati diversi interventi. Michael Karlsson ha notato che sul problema del ruolo della ragione e dei principi razionali nella determinazione dei fini, la teoria di Reid e quella di Hume non solo entrano CONVEGNI E SEMINARI David Hume 65 CONVEGNI E SEMINARI in collisione, ma talvolta coincidono apertamente. Stephen F. Barker ha invece dedicato la sua relazione all’analisi in Hume e Reid dei temi della necessità, della libertà e della responsabilità morale, rilevando una maggiore accuratezza nelle analisi di Reid sulla libertà morale, ma criticando poi le sue conclusioni controcausali sulla responsabilità individuale. Luca Parisoli ha preferito dedicarsi a un autore meno conosciuto della “scuola del senso comune” scozzese, James Gregory, evidenziando la sua critica all’anatonia e al riduzionismo di Hume. Non sono mancati collegamenti tra Hume e la cultura tedesca. Simon Blackburn ha messo a confronto le teorie etiche di Kant e Hume, mentre George di Giovanni ha chiarito il modo in cui Hume fu utilizzato da Jacobi nella sua polemica sullo spinozismo con Mendelssohn. Giancarlo Carabelli, Franco Restaino e Antonio Santucci hanno invece dedicato le loro relazioni all’influenza di Hume in Italia. Nell’800 viene studiato principalmente lo Hume economico e politico dei Saggi, anche a causa della censura cattolica delle sue opere filosofiche, di cui vengono rigettati lo scetticismo e la teoria dei miracoli. L’interesse per lo Hume gnoseologico viene risvegliato dalle correnti neokantiane e positiviste e trova in Italia, agli inizi del ‘900, riscontri nelle opere di autori vicini all’attualismo, quali Carlini e Della Volpe. Nel dopoguerra Dal Pra e altri esponenti milanesi producono finalmente una serie di studi capaci di analizzare l’opera del filosofo scozzese nella totalità dei suoi temi. Una lunga e complessa relazione è stata dedicata da Jean-Pierre Cléro alla teoria humiana delle passioni, viste come giochi dinamici di forze che fanno dello spirito umano una realtà in costante evoluzione. Elizabeth S. Radcliffe ha riflettuto sul rapporto ragione-passioni, vedendo solo nelle passioni dirette gli unici principi motivanti dell’azione. Fabio Todesco ha invece collegato alle passioni il tema dello scetticismo, mostrando come nel Trattato sulla natura umana lo scetticismo rivesta la funzione metodologica, propedeutica al lavoro dello scienziato, di sospensione delle passioni. Sempre a proposito delle passioni, la relazione di John P. Wright ha esaminato come la schiavitù della ragione rispetto alle passioni, teorizzata da Hume nella sua opera maggiore, possa essere applicata anche al tema della religione e della sua influenza su individui e società. Sulla concezione strumentale della ragione in Hume, Jean Hampton ha proposto una lettura che mostra l’impossibilità di intendere strumentalmente la ragione da parte di Hume sulla base del suo naturalismo. Christine M. Korsgaard ha ulteriormente criticato l’ipotesi di leggere in Hume una concezione strumentalista della ragione, perché se la ragione non può prescrivere fini, non può neppure prescrivere i mezzi per ottenere questi fini. David Fate Norton ha dimostrato che Hume non è uno scettico in quanto rifiuta di fondare la morale sul relativismo, il convenzionalismo o il volontarismo. Elvio Baccarini ha a sua volta negato l’interpretazione scettica della morale di Hume, sostenendo invece la possibilità di intenderla come una forma di realismo naturalistico. L’analisi dell’opera di Hume alla luce di principi guida come il naturalismo e il convenzionalismo (un convenzionalismo di tipo pragmatico) è stata condotta da Alessandra Attanasio. Tito Magri ha invece fatto notare come la motivazione dell’essere morale e razionale dipende da regole generali che modificano in senso astratto e generale i motivi naturali e che risultano costitutive della virtù della giustizia e del nostro obbligo ad essere morali e razionali. J. P. Monteiro ha sottolineato il fatto che per Hume le relazioni causali possono essere stabilite attraverso esperienze ripetute o anche attraverso esperienze singole che, comunque, necessitano di speciali circostanze per poter costituire il fondamento delle inferenze causali. Nathan Brett ha cercato di difendere la posizione humiana di derivazione berkeleyana, circa le idee generali, la cui funzione di idee astratte nel ragionamento è resa possibile solo dal fatto di essere collegate a termini generali. Dela Jacquette ha discusso invece la teoria di Hume che rifiuta la divisibilità infinita di spazio e tempo e la sua idea che l’estensione sia costituita da elementi inestesi e indivisibili. Corliss Swain ha negato elementi scettici nella giustificazione humiana dell’inferenza. Robert Shaver ha preso spunto da un brano della Ricerca sui principi della morale per sostenere in Hume la presenza di un principio non hobbesiano di superiorità dell’umanità sulla giustizia. Cicero Araujo ha indagato nel Trattato la relazione tra i concetti di virtù e diritto, soprattutto in funzione della teoria della giustizia di Hume. La relazione di Kiyoshi Shimokawa ha cercato da un lato di collegare la nozione di proprietà alla teoria humiana della causalità, dall’altro di vederla in contrasto con la precedente tradizione dei diritti soggettivi. Al saggio di Hume Sulla popolosità delle nazioni antiche ha dedicato il suo intervento Domenico Musti, analizzandolo anche in riferimento agli studi demografici e statistici dell’800. M.P. Bruno Bauer Dal 5 all’8 settembre 1994 presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Antonio Gargano, segretario generale dell’Istituto, ha tenuto un seminario su “BRUNO BAUER, 1809-1882”, con l’intento di riproporre all’attenzione critica il pensiero di questo filosofo e biblista tedesco, a lungo trascurato soprattutto per la nota “stroncatura” marxiana del suo pensiero, ma anche per la scarsa reperibilità delle sue opere. 66 Contro le idee della “destra” hegeliana, Bruno Bauer rifiutava di considerare conchiuso il sistema di Hegel e, di conseguenza, sostanzialmente compiuta la storia dell’umanità; al contrario, ha osservato Antonio Gargano, Bauer sottolineava il carattere rivoluzionario della dialettica hegeliana, che comportava il superamento di ogni condizione storicosociale determinata. In tal senso Bauer, in connessione con la dissoluzione della vecchia Europa, considerava “la fine della filosofia” come conclusione di uno sviluppo storico, ma anche, una svolta verso una nuova vita. Infatti, in vista di un’imminente catastrofe, Bauer auspicava il “disvelamento”, ossia un’ampliamento della coscienza, che può essere in sostanza considerato un recupero della prospettiva illuministica. Bauer insisteva sulla considerazione della storia quale svolgimento dell’autocoscienza. Il sistema hegeliano, interpretato da Bauer in senso soggettivistico, diventava la premessa a tale compimento dell’autocoscienza. Bauer intese esercitare la filosofia come critica di ogni “oggettività”, sia religiosa, sia politica, per promuovere la liberazione dell’uomo, laddove l’autocoscienza diventava il baluardo di una filosofia libera dalle mitologie religiose. In tale senso, ha osservato Gargano, si capisce la chiara opposizione di Bauer all’Essenza del Cristianesimo (1841) di Feuerbach, nella quale i predicati dell’Uomo sono i predicati di Dio. In effetti, per Bauer, Feuerbach non fa altro che sostituire alla “sostanza-Idea” di Hegel, o alla “sostanza-Dio” dei teologi, la “sostanza-Umanità”. Al contrario Bauer contrapponeva nettamente la progressiva “filosofia dell’autocoscienza”, quale identità di teoria e prassi, alla “filosofia della sostanza”. Proprio il rapporto tra teoria e prassi divenne il centro della polemica tra Marx e Bauer. Pur partendo entrambi da una comune volontà di cambiamento del mondo, Bauer confidava, a tal fine, in una trasformazione della coscienza comune nell’ “autocoscienza” libera e “vera”, mentre Marx cercava invece di ancorare il cambiamento a forze storico-sociali concrete, individuate nel proletariato. Una tesi peculiare del lavoro storico di Bauer è quella della “scoperta” del Cristianesimo, che raggiungeva la sua purezza soltanto con il Protestantesimo, che non ammetteva alcun elemento di mediazione tra Stato e Chiesa, ma soltanto lo Stato doveva semplicemente esistere. Bauer sottolinea però la distinzione tra Stato ideale e Stato reale: il primo si pone come una sorta di “fusione” della polis greca con i principi federali americani e quelli repubblicani francesi, consentendo una riconciliazione dell’individuo con se stesso e con la sua attività sociale; il secondo, invece, non è in grado di rendere l’uomo “uomo”, per- CONVEGNI E SEMINARI ché non si presenta come Stato della libertà, ma si affida alla credenza religiosa e fa di se stesso una sorta di Chiesa, mentre fa della Chiesa una sorta di Stato. Di fronte alla dissoluzione della vecchia Europa, ha poi fatto notare Gargano, Bauer, in uno scritto del 1853 Russland und das Germanentum (La russia e il germanesimo), si poneva il problema se soltanto la nazione russa, o anche il germanesimo dovevano determinare la nuova civiltà. Già Hess, nella sua Triarchia europea (1841), sosteneva che Germania, Francia e Inghilterra rappresentavano i perni della storia europea: la prima, pervasa dall’interiorità, ha dato all’Europa, col Protestantesimo, la libertà spirituale; la seconda, con la Rivoluzione francese, ha dato la libertà politica e la terza, come paese economicamente più avanzato, dovrà dare la libertà sociale. In questo Hess ritiene che la Russia rappresenti la massa che fa slittare l’Europa verso l’illibertà e la passività orientale. Al contrario Bauer vede nella Russia la nazione che, proprio per l’assenza in essa di una tradizione filosofica, porterà l’Europa a risorgere. Ma con questo, ha osservato Gargano, la parentesi giovanile di Bauer è finita e ci si ritrova di fronte ad uno spirito conservatore, che giungerà all’accettazione del regime bismarckiano. R.I. Feuerbach e l’immagine del passato Dal 14 al 18 settembre 1994, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, si è svolto il convegno “ LUDWIG FEUERBACH E L’IMMAGINE DEL PASSATO ”, organizzato dall’Istituto napoletano e dalla Società Internazionale di Studi Feuerbachiani. Il riferimento al passato, in un pensatore che troppo spesso è stato identificato con un presente declamatorio e superficiale, doveva servire a recuperarne lo spessore teoretico e culturale nel senso più ampio. A tale compito si sono cimentati più di trenta studiosi, provenienti da undici paesi del mondo. Nella prima Sezione del convegno, dedicata al tema: “Il mondo classico e la sua critica”, Francesco Tomasoni ha tratteggia to l’evolu zion e in Ludwig Feuerbach di due importanti categorie storiografiche: quella di paganesimo e quella di giudaismo. Mentre nell’Essenza del cristianesimo queste categorie sarebbero in netta antitesi, lasciando intravvedere una posizione precostituita di idealizzazione o di avversione, nella Teogonia finirebbero per avvicinarsi e per svelare fondamentali tratti comuni. Monika Ritzer ha approfondito il mito del destino nella Teogonia, sottolineando l’acutezza di determinate intuizioni di Feuerbach nella lettura di Omero. La seconda Sezione, dal titolo: “Critica delle forme storiche del cristianesimo”, ha visto concentrarsi l’attenzione soprattutto sul rapporto di Feuerbach col protestantesimo e col cattolicesimo. Ryszard Panasiuk ha confrontato la posizione di Feuerbach con quella di Ruge rispetto al cattolicesimo; John Glasse ha stabilito un paragone con D. F. Strauss; Maciej Potepa ha esaminato il rapporto di Feuerbach con Lutero, toccando anche l’argomento del pietismo. Nella terza Sezione: “Concezione della filosofia della storia”, Andreas Arndt è ritornato sul tema della mediazione e dell’immediatezza per mettere a fuoco la particolare storiografia di Feuerbach. Takayuki Shibata ha evidenziato il principio metodologico dell’ Entwicklung (sviluppo) come concetto fondamentale nella ricostruzione feuerbachiana delle filosofie del passato. Muovendo da un approccio ermeneutico, Adriana Verissimo Serrao ha invece visto nella storiografia di Feuerbach l’attenuarsi del momento della successione a favore di un rapporto di dialogo con il singolo pensatore. Andràs Gedö ha confrontato i modelli di storia della filosofia in auge all’epo ca. Infin e Wern er S chu ffenhauer, curatore dell’edizione critica delle opere di Feuerbach, ha rivelato nuovi dati relativi all’impegno storicopolitico del filosofo. Nella quarta Sezione, dedicata al tema: “Discussione con la filosofia della storia”, Nicola Badaloni ha mostrato la rilevanza per Feuerbach della lettura di Bruno, Campanella e più in generale della filosofia italiana del Cinque-Seicento. Tale lettura subirebbe tuttavia il condizionamento di Jacobi e perderebbe di peso dopo l’Essenza del cristianesimo. Karol Bal ha confrontato l’interpretazione di Böhme in Hegel e in Feuerbach. Se in Hegel Böhme ha la funzione di mettere in rilievo le differenze rispetto all’illuminismo e al romanticismo, in Feuerbach è piuttosto la via per recuperare l’uomo nella sua integrità. In Feuerbach diventa perciò significativo il tema del misticismo e della sensibilità. Vesa Oittinen e Endre Kiss hanno approfondito i rapporti con Spinoza; mentre Tamara Dlougatsch e Ursula Reitemever hanno ribadito le influenze illuministiche e, in particolare, di Rousseau. Infine Christine Weckwerth ha esaminato le relazioni del giovane Feuerbach con la Fenomenologia di Hegel. Nella quinta Sezione: “Feuerbach nella storia della filosofia contemporanea”, W. F. Niebel ha rilevato l’importanza storiografica della filosofia dell’io; mentre Lawrence S. Stepelevich ha ripreso le critiche di Stirner a Feuerbach. Junji Kanda ha indicato un parallelismo fra le 67 critiche di Feuerbach all’idealismo e quelle di Popper alla filosofia della storia. Giuseppe Cantillo ha messo in discussione la tesi di Barth secondo cui Feuerbach sarebbe l’esito conseguente della teologia di Schleiermacher e ha indicato nella filosofia di Troeltsch un altro possibile riferimento per quanto riguarda l’autonomia e la storicità del fenomeno religioso. Giuseppe Cacciatore ha illustrato la particolare interpretazione di Bloch, secondo cui Feuerbach si troverebbe sulla linea che porta da Hegel a Marx rispetto alla linea del nichilismo che da Schopenhauer conduce a Nietzsche. Secondo Cacciatore, Bloch si ricollegherebbe a Feuerbach nella sua eliminazione dell’ipostasi teistica, ma sottolineerebbe maggiormente la proiezione verso il futuro, il dinamismo della speranza. Infine Claus-Artur Scheier ha applicato modelli linguistici contemporanei a importanti passaggi logici di Feuerbach, mettendo a fuoco il modificarsi dei rapporti concettuali. Un ruolo importante è stato svolto al convegno da Hans-Martin Sass e Walter Jaeschke, durante le discussioni e i lavori. F.T. Sul concetto di amicizia Organizzato dall’Accademia di Studi Italo-Tedeschi di Merano (BZ), dal 9 all’ 11 maggio 1994, presso la Sala Convegni del Complesso delle Terme di Merano si è tenuto il XXII Convegno Internazionale di Studi Italo-Tedeschi sul tema: “IL CONCETTO DI AMICIZIA NELLA STORIA DELLA CULTURA EUROPEA”. I numerosi studiosi convenuti, espressione delle più differenti esperienze culturali in ambito filosofico, storico e linguistico, hanno offerto un tentativo di analisi del concetto di amicizia finalizzato alla ricerca di una prospettiva contenutistica. Nelle relazioni, nelle comunicazioni e negli interventi dei partecipanti al Convegno è emersa spesso la tendenza a non vedere nell’amicizia l’oggetto di una mera analisi, bensì lo strumento per risolvere i problemi suscitati dalla disgregazione della società contemporanea. L’amicizia è stata considerata come via (se non come metafora) per accedere ad una visione metafisica e internamente coerente del Mondo, dell’Anima e di Dio. Spesso l’amicizia è stata vista come strumento (o surrogato) per la politica, mai come categoria di comprensione del Politico. Non è stato un caso che in tre giorni di lavori congressuali nessuno dei partecipanti abbia richiamato l’attenzione su Carl Schmitt e sugli antonomi amico-nemico che caratterizzano la sua filosofia politica. Questo, ovviamente, CONVEGNI E SEMINARI non è indice di disinteresse, bensì frutto di una precisa scelta dei partecipanti. In questo l’amicizia traduce, più che la necessità dell’Identità, l’aspirazione alla Mediazione, l’apertura verso l’Altro. Nel suo intervento Mario Scotti ha letto la storia e la natura del concetto di amicizia come quella di una idea che sussume in sé tanto la riflessione etica quanto la rappresentazione estetica, sia pure spesso quale estetica del dolore. In tale prospettiva, centrata soprattutto sulla lettura della Iliade, e sulle opere di Euripide e Cicerone, Scotti è apparso incline a vedere nell’amicizia uno strumento per la condivisione del Piacere, in cui si pone tanto l’apertura all’Etica, quanto, in ultima analisi, la manifestazione del Trascendente. Muovendo da una prospettiva linguistica, Guntram A. Plangg ha invece analizzato la semantica dei termini Freundschaft e “Amicizia”, dimostrando come questi due termini semanticamente non identici - attraverso l’interscambio culturale, si siano progressivamente avvicinati, passando dal riferimento a vincoli di sangue, al significato di legami affettivi. Enrico Berti ha ricondotto l’amicizia ad una valenza categoriale di segno eticopolitico, attraverso la trattazione del concetto di amicizia in Aristotele come condizione per la felicità. Per Berti, l’amicizia così intesa è superiore alla stessa giustizia: l’amicizia non ha infatti bisogno della giustizia, mentre la giustizia ha bisogno dell’amicizia. L’amicizia aristotelica, analizzata da Berti, non è fondata sul piacere, o sull’utile, ma su una considerazione generale della persona. Questa valutazione suscita il sentimento del bello - che è quindi, rispetto all’amicizia, effetto e non causa e insieme la motivazione per il sacrificio. Contro tale visione, vista quale manifestazione di una filia totalizzante in quanto riflesso di una concezione metafisicodogmatica, è intervenuto Giorgio Penzo che, richiamando il pensiero di Max Stirner, vede nell’amicizia la categoria per attingere una dimensione esistenziale, tesa verso l’Essere, contrapposta alla sua entificazione. Sulla contrapposizione fra l’amicizia come riflesso della virtù e l’amicizia come metafora dell’utile si è espresso anche Werner Suerbaum che ha indicato in Cicerone l’alfiere dell’amicizia quale riflesso della natura socievole dell’uomo, e in Epicuro il rappresentante dell’amicizia come via per conseguire l’utile e la felicità. La figura di Agostino di Ippona è stata al centro del tentativo di Luigi Alici di sondare le visioni dell’amicizia proposte da Suerbaum come riflesso di un processo intrinsecamente unitario. Nelle Confessioni Agostino scopre che il piano affettivopsicologico dell’amicizia, vissuto immediatamente come condivisione della felicità, trapassa nella condivisione del- la ricerca della Sapienza, come ricerca dell’Anima e di Dio. Silvestro Marcucci ha concentrato la sua attenzione sull’amicizia “morale” in Kant. L’amicizia viene qui vista come manifestazione della moralità dell’uomo, assolutamente infondabile al di fuori dei “Postulati” della Ragion Pratica e della loro comprensione. A tale visione dell’amicizia si è implicitamente richiamato anche Horst Seidl che è giunto alle stesse conclusioni di Marcucci, partendo dalla lettura del rapporto Men und Friendschip di Stuart Miller (Boston 1983). Ciò dimostra che la fondazione empirica converge con quella trascendentale, e che nella prassi si trova la necessità di una fondazione etica della categoria dell’amicizia. A tale proposito Adolf Schurr, partendo dalla fondazione a priori della Critica della Ragion Pura kantiana, ha rinvenuto nei suoi sviluppi in Fichte, Schelling e Hegel la possibilità di ricostruire un concetto di amicizia colto allo stesso tempo nel suo valore essenziale e nel suo valore esistenziale. In particolare tale possibilità viene vista da Schurr nella formulazione fichtiana della teoria dell’impersonalità. Gli Atti del Convegno, a cura dell’Accaddemia di Studi Italo-Tedeschi, sono stati pubblicati sotto la direzione di Luigi Cotteri. D.B. Convegno mondiale di sociologia Tra il 18 e il 23 luglio 1994 si è tenuto presso l’Università di Bielefeld (RFT) il XIII Convegno mondiale di sociologia, un evento che viene organizzato ogni quattro anni dalla ISA (International Sociological Association). Il tema dell’incontro: “CONTESTED BOUNDARIES AND SHIFTING SOLIDARITIES” (Confini contestati e solidarietà che cambiano), costituisce già una dichiarazione riguardo alle molteplici sfide che la sociologia istituzionalizzata intende attualmente affrontare: contribuire alla comprensione del nuovo mondo uscito dalla fine della guerra fredda, partendo dall’elaborazione di nuovi concetti e prospettive e dall’assunzione della sfida intellettuale, proveniente dalle impostazioni post-moderne e dalle altre discipline sociali e umane. Più di 4000 partecipanti da tutto il mondo; più di 2000 relazioni presentate in 6 simposi, 47 comitati di ricerca, 7 gruppi di lavoro, 6 gruppi tematici e 6 sezioni specifiche: bastano queste cifre per rendersi conto delle dimensioni di questo convegno e conseguentemente dell’alto livello di specializzazione, di differenziazione interna e di varietà tematica raggiunto oggi dalla sociologia; un pro68 cesso giunto a un punto tale da mettere in discussione i suoi limiti e la sua stessa unità. Tuttavia, lo “spirito” del convegno è stato quello di dimostrare come la sociologia sia divenuta una scienza modesta, nella misura in cui muove dal riconoscimento della crescente complessità del mondo e al tempo stesso, in termini epistemologici, nega la possibilità di formulare ipotesi forti, che spieghino ostensibilmente, chiariscano o illuminino totalmente lo sviluppo del reale. Compito della sociologia è oggi, piuttosto, di riconoscere la tensione esistente tra tendenze generali alla globalizzazione e all’internalizzazione a diversi livelli e la rinascita di particolarismi regionali, locali, nazionali, dai fondamentalismi religiosi alle moderne forme del razzismo. La domanda, dunque, che oggi si pone ai sociologi, per quanto riguarda il campo della politica pratica e degli agenti sociali, è come pensare strategie per il futuro, come assumere la particolarità e la diversità delle domande, siano esse di carattere sessuale, etnico, linguistico, nazionale, sovranazionale, ecologico o di classe. Una prima risposta è venuta da Niklas Luhmann, che ha posto la domanda circa la possibile unità di una sociologia altamente differenziata come quella contemporanea. Secondo Luhmann, il concetto di stratificazione è stato il criterio principale di differenziazione nella storia del pensiero sociologico. Ma in questa fine di secolo tutte le varie concezioni che si sono succedute lungo la storia del progresso umano sono cadute una a una: oggi è impossibile parlare di felicità, di solidarietà, di uguaglianza delle condizioni di vita, come è invece avvenuto per le epoche passate. Luhmann riconosce il vuoto di certezze, oggi emergente, ma non si lascia tuttavia sedurre da nessuna delle offerte concettuali attualmente disponibili, come quelle della “post-modernità” e della “società civile”, o da nozioni che rivitalizzino in termini più attuali la vecchia idea di “comunità”. Egli propone piuttosto di trasferire l’attenzione dal concetto di stratificazione a quello di differenziazione funzionale, al fine di ricostruire concettualmente l’unità della nostra società. Luhmann riconosce le tensioni esistenti tra la società regionale e la società mondiale: un sistema finanziario internazionale che costituisce la base del sistema economico internazionale; un ordine politico in cui lo stato non è più l’istanza centrale privilegiata a partire da cui si devono trattare i problemi. Si tratta di sistemi di funzioni altamente separati, operazionalmente chiusi, privi di meccanismi centrali di coordinamento, che non possono essere superati né da un sistema politico nuovo, né da un sistema naturale umano, basato su nozioni come quella di “diritti umani”. Per pensare CONVEGNI E SEMINARI dall’interno un’unità della società, Luhmann vede un’unica possibilità nel “neglecting system” e nel “to look what can happen”, cioè nel vedere quali possibilità esistono di adattare e trattare le flessibilità del sistema. Assumere concettualmente questa problematica significa per Luhmann ridefinire la nozione di razionalità, che non deve essere intesa come sicuro standard razionale dell’intelletto umano, come efficienza in termini di equilibrio tra costi e benefici o in termini di produzione, ma come razionalità limitata, che realizzi “l’impossibile richiesta” di riferire l’ambiente al sistema. Se abbiamo una società differenziata funzionalmente, ha affermato Luhmann, dobbiamo prendere in considerazione le risorse disponibili nei sistemi di funzioni e non più l’insostenibile unità morale e politica della società mondiale. Il sociologo francese Alain Touraine ha osservato, da una parte, la tendenza alla disintegrazione delle società centralistiche, caratterizzate storicamente da una crescita economica autosostenuta; dall’altra ha messo in luce come un numero crescente di paesi mobiliti le proprie risorse nazionali e culturali per rifiutare la modernizzazione, percepita come un’invasione, favorendo in questo modo l’instaurazione di regimi autoritari. In queste situazioni, ha rilevato Touraine, tende a sparire ciò che i sociologi hanno chiamato e continuano a chiamare società. L’ossessione del profitto, nel primo caso, e il problema dell’identità nel secondo, sono le forze che hanno prodotto questo “breakdown” della società tra un’economia sempre più aperta e una cultura sempre più chiusa, priva di mediazioni politiche e istituzionali. In questa situazione, la società, ha concluso Touraine, può essere ricostruita solo con una ripresa delle idee di soggetto e di democrazia. La soggettivazione appare per Touraine l’unico modo possibile per combinare razionalità e identità. Jeffrey Alexander ha cercato di sviluppare una teoria dei movimenti sociali come istituzioni comunicative che svolgono un ruolo simbolico fondamentale nella definizione e ricostruzione della solidarietà sociale che sta alla base della società civile. Secondo Alexander, i movimenti sociali creano tensioni nella mediazione tra un’immagine idealizzata della società civile e la reale società civile. Questa scissione nella società civile fa sì che i movimenti sociali possono risultare tanto escludenti e disgreganti quanto includenti e integranti. Rudolf Andorka ha invece sviluppato alcune riflessioni di carattere generale, confrontando le società comuniste e quelle postcomuniste in rapporto al problema dei confini e della solidarietà. Nella concezione di Andorka, il concetto di confine viene esteso ai confini infrasociali, caratterizzati da privilegi differenziali, economici e di classe, e ai confini che separano sempre più le nazioni ricche da quelle povere. Anche il concetto di solidarietà viene differenziato da Andorka, stabilendo influenze reciproche tra solidarietà etnica, religiosa, nazionale e internazionale con la necessità, in una società mondiale, risultato di grandi processi di globalizzazione, di stabilire un equilibrio tra i diversi tipi di solidarietà. In disaccordo con Luhmann, Andorka ha considerato l’analisi della stratificazione come uno dei compiti importanti della sociologia, almeno per quanto riguarda le società dell’Est europeo. Rispetto all’analisi del problema della solidarietà, Shmuel N. Eisenstadt ha fatto notare che se da una parte sono stati realizzati numerosi studi sulle microsolidarietà in gruppi primari, vi è stata, dall’altra, la tendenza a trascurare il processo di formazione delle macrosolidarietà, che sono il risultato di complessi processi di costruzione, nei quali si combinano quelli che egli chiama “elementi primordiali”. Secondo Eisenstadt, è necessario, da una parte, chiarire i processi attraverso cui si costituiscono queste solidarietà e quali sono i loro portatori e i loro agenti; dall’altra, però, è necessario analizzare questi processi in base al fatto che mentre si verificano grandi tendenze alla globalizzazione e alla mondializzazione, si cristallizzano anche tipi molto diversi di identità, solidarietà e collettività, che possono addirittura giungere ad assumere forme aggressive ed escludenti. Tuttavia, ha osservato Eisenstadt, resta il fatto solidarietà e identità sono sempre un qualcosa di flessibile, sono sottomesse a processi variabili di mutamento e vengono permanentemente messe in discussione. Nella sua diagnosi della società alla fine del secolo, Neil Smelser ha individuato quattro rivoluzioni, che nel mondo moderno si presentano come tendenze generali. In primo luogo la rivoluzione nella crescita economica: in tutto il mondo si sviluppa una rinascita del capitalismo fondato sul mercato e contemporaneamente un collasso di quelle che furono le sue diverse alternative storiche. In secondo luogo, e in connessione con il primo aspetto, Smelser ha osservato una continua rivoluzione democratica. Il capitalismo fondato sul mercato e la democrazia politica coincidono nel conferire un ruolo di rilievo all’azione e alla scelta individuale, sia nel mercato economico, che in quello politico. In terzo luogo, Smelser ha messo in rilievo, sul terreno della solidarietà e dell’identità, una rivoluzione culturale basata sulla religione, l’etnia, il sesso, la lingua, lo stile di vita, o su diverse domande sociali (antinucleare, ecologista ecc. ). Queste nuove solidarietà, di cui sono protagonisti i movimenti sociali, ridefiniscono le tradizionali solidarietà di classe, e competono 69 con esse. Infine Smelser si è riferito alla rivoluzione ambientale, a suo avviso la più debole delle quattro, sebbene sia essa quella che ha un carattere più universalistico, poiché attraversa i confini delle classi, delle nazioni e dei gruppi particolari. Franco Crespi, nel suo tentativo di comprensione del processo di globalizzazione e di differenziazione che ha luogo nella società contemporanea, critica tanto il relativismo quanto il fondamentalismo, considerandoli inadeguati per affrontare la crisi dei fondamenti tradizionali della solidarietà sociale. Una nuova fondazione della solidarietà sociale deve essere ricercata nel riconoscimento della priorità della dimensione ontologica, attraverso le linee analitiche sviluppate dall’impostazione ermeneutica. La coscienza dei limiti della conoscenza condurrebbe, secondo Crespi, da una parte a riconoscere il carattere riduttivo di qualsivoglia definizione dell’identità, dall’altra a optare per un pragmatismo nell’elaborazione delle contraddizioni della condizione umana. Richiamando l’attenzione su una disciplina particolare come la sociologia del contratto sociale, Dario Melossi ha messo a fuoco la problematica dell’immigrazione in Europa, rilevando come l’identità europea accusi l’impatto derivante dall’ingresso di vaste legioni di immigranti. Muovendo dal riconoscimento del fatto che le comunità ridefiniscono le loro identità in quanto conferiscono a certi individui o gruppi un carattere deviante, Melossi ha fatto notare come il declino dei vecchi stati nazionali e la contemporanea emergenza di una burocrazia europea e di autonomismi localisti non siano stati accompagnati dallo sviluppo di una cultura, di un’identità e di una democrazia europee. In chiusura del convegno, Immanuel Wallerstein, nuovo presidente della International Sociological Association, ha assunto come compito concreto del suo mandato quello di giungere a un’autentica partecipazione delle comunità sociologiche di tutto il mondo, e non solo dei paesi del “primo” mondo. Come esempio di questo vasto processo di differenziazione dell’impresa sociologica Wallerstein ha richiamato l’importanza di aree tematiche come la sociologia dell’ozio, del corpo, del tempo, la sociocibernetica, il rapporto tra etnicità e statonazione, il processo di globalizzazione, l’analisi della società civile, le alternative alle società post-comuniste. Tra le prospettive teoriche particolare attenzione meritano, secondo Wallerstein, le discussioni sulla teoria della “rational choice”, sulla teoria femminista, sulla teoria dei sistemi di Niklas Luhmann, sulla sociologia delle figurazioni di Norbert Elias e sulla teoria della strutturazione di Anthony Giddens. P.de M. (trad. it. di M.M.) CONVEGNI E SEMINARI Paul Klee, Paesaggio con uccelli gialli, 1923 (part.) Vedere l’arte, l’arte di vedere «Da buon tedesco, Klee comincia col dipingere paesaggi: ben presto però si rende conto che la natura non è qualcosa di esteriore, ma è in stretto rapporto con l’artista che la vede. Da qui l’idea di estrarne le leggi interne, per arrivare alla completa autonomia dell’arte». Gli anni della formazione di Paul Klee e il suo rapporto con Vasilij Kandinskij sono stati al centro degli interventi di Dino Formaggio, Rossana Bossaglia e Francesco Moiso per il ciclo: “VEDERE L’ARTE, L’ARTE DI VEDERE”, organizzato dal Centro culturale “Casa Zoiosa” di Milano dal 9 al 27 maggio 1994. «Nell’arte non si tratta di elementi formali, ma di un’aspirazione interiore, che determina in modo imperioso la forma», scriveva Kandinskij nel 1913 in Rückblicke (Sguardi sul passato). Il passaggio dal significato al significante, dal figurativo al non oggettivo rappresenta per Kandiskij una penetrazione nei segreti del reale, che è, allo stesso tempo, indagine all’interno di noi stessi. La pittura “astratta”, insegnando a “vedere” e non a riconoscere semplicemente, è dunque in grado di estendere l’esperienza che l’uomo fa della realtà. Nel suo intervento nel ciclo d’incontri dedicato dalla “Casa Zoiosa” di Milano a Paul Klee e Vasilij Kandinskij, Rossana Bossaglia ha introdotto l’opera pittorica dei due artisti, ne ha esaminato la matrice sensibilistica e la comune concezione sinestesica dell’arte; in particolare la forte tendenza alla “musicalizzazione” della pittura è stata analizzata da Bossaglia in riferimento alle Improvisations di Kandinskij. Prendendo come riferimento i testi delle lezioni tenute al Bauhaus, Francesco Moiso ha definito l’arte di Klee non astratta, ma “concreta”, autenticamente naturalistica, in quanto rappresentazione della natura nel suo concreto “fare”: «l’arte è una cosmogonia ripetuta», un ricreare il mondo ripetendone l’atto generativo. Se la scienza ha contribuito alla progressiva perdita di senso del mondo, ha osservato Moiso, è tuttavia attraverso una “risimbolizzazione” dell’ambito naturalistico della scienza che il senso del mondo viene ricostruito. La nuova espressione simbolica ricava i suoi elementi semantici dalla “materia” stessa dell’opera: forme e colori che attraverso infinite combinazioni costituiscono una nuova retorica dell’espressione. In questa prospettiva, la premessa teorica dell’avanguardia artistica del ‘900 risale, secondo Moiso, alla fine del ‘700 e nei primi anni dell’800, quando si esaurisce il valore semantico delle immagini ereditate dalla tradizione. Più precisamente Moiso vede in Goethe, che distingue l’allegoria dal simbolo in quanto espressione di un “significato” attraverso il suo stesso essere sensibile, 70 il precursore dell’Avanguardia novecentesca. Il far parlare direttamente forme e colori è ciò che collega la Farbenlehre (Teoria dei colori) di Goethe alla pittura romantica di Caspar David Friedrich fino a quella del nostro secolo, in un progressivo avvicinamento alla musica in quanto fenomeno “simbolico” per eccellenza. D’altro canto, gli stessi Kandinskij e Klee assumono proprio da Goethe la concenzione dell’ “indistinzione” tra vista e udito, che comporta l’equivalenza tra colore e suono. Tuttavia, se l’eco di Goethe è palese nella definizione di Klee della forma come «il risultato di una somma di forze elementari», nell’affermazione che la forma «nasce dal progressivo differenziarsi dall’informe dello sfondo» forte è il richiamo a Schelling. Se poi prendiamo il concetto di struttura come parte dello sfondo e dell’elemento che viene generato nel fare artistico, dove il soggetto che appare risulta un’ “emergenza”, allora, ha osservato Moiso, si può collegare Klee a tutta quella tradizione che da Paracelso fino a Nietzsche sostiene l’accidentalità della soggettività, in opposizione alla concezione cartesiana. Infine, ha aggiunto Moiso, se l’opera dell’artista consiste nel porsi al servizio dell’energia del foglio che ha di fronte e ciò che fa muovere la mano è l’infinito rammemorare l’infinità attività passata e futura della “formazione”, forte è allora il richiamo a CONVEGNI E SEMINARI Frierich Schlegel e Novalis: «l’opera d’arte contiene in sé l’infinito». Per Dino Formaggio, che ha proposto quale tema del suo intervento un confronto tra Klee, Wittgenstein e Husserl, esiste una matrice comune nel movimento della cultura, che fa sì che le arti si muovano negli stessi moduli con cui si muovono le scienze. La logica del rapporto tutto-parti presente nel Tractatus di Wittgenstein può così essere accostata al concetto di “punto”, tematizzato da Klee, come punto di energia che dà origine al tutto secondo le leggi dei “compossibili” - con un esplicito richiamo a Leibniz - o “giochi di forze”. L’accostamento di Klee a Husserl consiste per Formaggio nella comune necessità di “mettere tra parentesi” la scienza naturalistica, mettendo in primo piano il bisogno di cogliere l’essenza delle cose nella loro corporeità costitutiva. Ciò comporta il passaggio dalla pittura naturalistica alla pittura astratta, che tende alla rappresentazione della realtà “in divenire”, con la conseguente perdita del senso naturalistico dell’oggetto in base al mutamento di prospettiva. In modo simile al divenire di tutte le cose, ha rilevato Formaggio, l’opera di Klee si presenta come un ciclo concrescente di sapere e fare, che attraverso una fenomenologia (attivo formare) e filosofia delle forme, di un rigo re simile a quello d i Wittgenstein, riproduce nell’arte il mondo come “genesi di forme”. In un articolo del 1920 intitolato Confessioni del creatore, Klee parla della pittura astratta come «penetrazione profonda del naturalismo secondo le sue leggi». Secondo Formaggio è da Van Gogh che Klee assume l’atteggiamento di una visione “attiva” della natura; tuttavia, le sue considerazioni sul rapporto spiritomateria hanno per Formaggio un carattere “cosmico mistico freddo”, in forte opposizione con l’espressionismo. E se con Goethe, nell’ analisi fenomenologica della natura, Klee sostiene che tutto è tensione al possibile, rispetto al colore Klee non segue Goethe, poiché nella Teoria dei colori è ancora presente quell’oggettivismo scientifico sul quale bisogna esercitare l’epoché fenomenologica per sentire la soggettività creativa che partecipa del farsi delle forme di tutto l’universo in una continua Gestaltung: l’opera d’arte è un organismo vivente che attraverso successioni temporali si “organizza” nell’accostamento dei compossibili. M.C. Le arti e la città Presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli si è svolto, dal 16 maggio al 16 giugno 1994, il Corso di perfezionamento in estetica, poetica e teoria della critica dal titolo: “LA NASCITA DELLA COSCIENZA MODERNA. LE ARTI E LA CITTÀ”, con interventi di estetologi, filosofi, storici e critici di diversa formazione e provenienza, che hanno affrontato il tema del rapporto tra ‘polis’ e ‘poiesis’ come uno dei momenti fondamentali della coscienza estetica moderna. La relazione inaugurale di Aldo Trione, principale promotore e organizzatore del corso, ha tracciato le coordinate dell’intero itinerario di lezioni, mettendo in evidenza come il rapporto polis-poiesis si riveli determinante per capire l’immaginario moderno. La città è il luogo dell’abitare e del costruire umano e l’architettura è l’arte in grado di fornirne il nomos, la misura. Ma come nasce e si caratterizza tale costruire? L’alternativa è tra una città come luogo reale, chiuso da una progettazione improntata al bisogno del momento, e una città come luogo ideale, sganciato dall’effettività storico-geografica e per questo chiuso alla quotidianità dell’abitare. Il costruire della poiesis, così come l’abitare della città, ha rilevato Trione, apre lo spazio umano all’originario che in esso si radica: un’interiorità inscritta nella presenza e che la rende possibile. Rifiutando la riduzione del limite del luogo ad esteriorità, ne viene messa allo scoperto la sua interiorità, come mancanza, vuoto della costruzione; il nessun-dove del topos sollecita l’infinita poiesis di un costruire che non può più ergersi ad autonomia. Cesare de Seta ha sottolineato la progressiva messa in crisi di limiti, confini e paratie all’interno del sistema delle arti, sotto Umberto Boccioni, Rissa in galleria, 1910 (part.) 71 CONVEGNI E SEMINARI la spinta dell’estetica moderna di sperimentare un diverso rapporto tra gli ambiti della creatività. A partire dalla fine dell’Ottocento il luogo emblematico di tale sperimentazione è Parigi: il radicarsi di una cultura della tecnica, sollecitata dal rafforzarsi dell’economia industriale, cambiava il volto della città che, come mostrano i quadri di Boccioni, allontana via via la presenza della natura, rivelandosi, con Sironi, il luogo triste della misera esistenza di chi lavora e aprendo, con Carrà, al mistero e all’irrazionale, attraverso emblematiche presenze storiche. Anche Angelo Trimarco mette in evidenza lo sconfinare come normalità per l’arte moderna. La costruzione senza fine della colonna-scultura di Schwitters, che rompe il soffitto superando via via i limiti esterni, rappresenta il rifiuto da parte dell’opera d’arte del luogo perimetrante della cornice, che finisce col determinare due realtà, due mondi, autonomi e inaccessibili. La lezione di Giuseppe Limone ha proposto una lettura simbolica dell’Iliade e dell’Odissea, con l’intento di superare il principio dualistico, privilegiando la forma della contraddizione. Così l’Iliade diviene, attraverso il riconoscimento di un vinto da parte di un altro vinto, espressione di una vita sociale che si regge sul valore di parità e di simmetria; mentre l’Odissea, poema della memoria, della fedeltà e della vecchiezza, rivela rapporti dissimetrici tra i personaggi, irrimediabilmente divisi tra vinti e vincitori. Franco Fanizza si è invece concentrato sul ruolo prioritario dell’esercizio della vista nell’estetica moderna. D’altra parte, già Benjamin faceva notare che il modo dei moderni di abitare la città è essenzialmente improntato all’attività del vedere. Nell’estetica moderna si tratta però di un vedere che implica un non-vedere, di un’attività della vista che ha a che fare con la passività dell’essere-visti. Solo recuperando la recettività della vista, è possibile evitare le insidie dell’evidenza cartesiana. Nell’intento di superare l’opposizione tra Sein e Schein, essere e apparire, Sergio Givone è risalito alle origini stesse della coscienza estetica moderna. Se con Baumgarten il tentativo è stato quello di dimostrare la teoreticità della conoscenza estetica, bisogna tuttavia riconoscere che questa nuova disciplina, pur ricercando una propria autonomia, si è il più delle volte mantenuta all’interno dell’orizzonte metafisico. Occorre invece, secondo Givone, individuare nella storia quei luoghi del pensiero in cui si dà il superamento dell’opposizione sensibile-intelligibile. Gli scritti di S. Giovanni della Croce e di Meister Eckhart mostrano come la mistica costituisca quell’eredità del pensiero, in cui si fa esperienza dello sconfinamento del limite, del silenzio del linguaggio, del vuoto e del nulla dell’essere. Giacomo Marramao ha fatto rilevare come diversi studiosi di filosofia politica canadesi e statunitensi stiano tentando di leggere l’estetica, intesa come aisthesis, da un punto di vista poetico. Facendo riferimento all’Ari- stotele del De anima, in cui si afferma che l’aisthesis è presupposto del logos, e dell’Etica Nicomachea, in cui si parla di una percezione del giusto e dell’ingiusto, si può notare come il riferimento alla percezione presupponga il rapportarsi, all’interno di contesti storici simbolicamente determinati, di individui e gruppi sociali eterogenei. Il vivere associato presupporrebbe dunque una struttura estetica, la sola in grado di portare al riconoscimento e alla valorizzazione dell’altro in quanto altro. All’arte e alla polis ha dedicato la sua lezione Emanuele Severino, secondo il quale la festa arcaica costituisce la tradizione più antica della tragedia, aristotelicamente indicata come l’origine comune delle singole arti. Durante la festa arcaica, vero e proprio atto sociale della polis, la vita quotidiana si blocca improvvisamente e il grido erompe, come un suono violento che accompagna ogni azione con cui l’uomo flette le cose, ne piega la flessibilità, incrinandola. Il tempo festivo diviene l’occasione in cui la comunità, attraverso la pratica dell’arte, prende coscienza della propria capacità di flettere. R.M. Il futuro, la sociologia e la teologia Anticipato da una lunga preparazione e da un ‘workshop’ di studio, si è tenuto a Trento nei giorni 11 e 12 maggio 1994, un Convegno interdisciplinare sul tema: “SOCIOLOGIA E TEOLOGIA DI FRONTE AL FUTURO”, promosso dall’Istituto di Scienze Religiose e dall’Istituto Trentino di Cultura. Ponendo a confronto alcuni tra i più autorevoli sociologi e teologi italiani ed europei riguardo all’analisi della società di fine secolo, i la vori del convegno si sono sviluppati secondo tre interrogativi di fondo: quale futurologia è possibile nella società postmoderna? Qual’è il futuro della religione? Come va interpretata l’ipotesi del post-cristianesimo? Il dibattuto workshop di preparazione al convegno ha confermato che il problema cruciale del confronto tra teologi e sociologi è di ordine epistemologico e metodologico. Il confronto sulla fondazione teoretica della sociologia e della teologia è stato il tema d’apertura del convegno, esposto negli interventi di Pierpaolo Donati e Salvatore Privitera. Partendo dal punto di vista sociologico, Donati ha esaminato i rapporti tra le due discipline in base al modello offerto da Niklas Luhmann di una sociologia che si propone di sostituire la teologia e che nella sua versione più radicale la relega a puro fenomeno sociale; lo stesso modello, ma capovolto, è presente nel “socialismo cristiano” di Saint-Simon. Da questo confronto emerge una terza figura, che Donati chiama “di reciproco distacco”. La proposta che ne 72 emerge è quella di un conceptual framework, costruito su “concetti di confine”, che permetta un terreno comune di confronto a due discipline che se si sono poste come punti di vista mutualmente escludentesi, per l’assunzione dell’ateismo metodologico da una parte e del pregiudizio ermeneutico dall’altra, hanno nella relazione “conoscenza-credenza” un punto cruciale di analisi. La differenza metodologica rappresenta invece per Privitera la linea di demarcazione delle due discipline: se la teologia non può operare alcuna descrizione del futuro se non all’interno della dimensione escatologica, la sociologia, come descrizione del presente in riferimento al passato, può “anticipare” il futuro come programmato dall’uomo. Privitera ha inoltre sottolineato le responsabilità etiche della sociologia e della teologia di fronte al futuro dell’uomo e del mondo. Se una sociologia aperta al futuro deve trasferire il suo sguardo da una relazionalità sincronica ad una diacronica, con uno sguardo cioè rivolto anche al futuro, non le compete però la programmazione, moralmente dimensionata, del futuro ecologico dell’uomo, come in parte sta avvenendo col fenomeno della bioetica. Il futuro dell’umanità deve giocarsi sul piano dell’impegno etico. Sul tema delle prospettive future delle due discipline, Giuseppe Capraro ha sottolineato che se la teologia, da Karl Rahner in poi, ha conosciuto la svolta antropologica, tocca ora alla sociologia incamminarsi verso la svolta che la porti al di là dell’«ateismo e dell’agnosticismo metodologico», per poter analizzare, in termini scientifici, la relazione con il trascendente, intesa come “esperienza religiosa” attribuibile a fattori antropologici, primo fra tutti il limite esistenziale dell’uomo, che rinvia alla sua dimensione spirituale sottoforma di una “nostalgia” del trascendente. Se il “futuro” delle scienze è commensurabile al presente, ha osservato Severino Dianich, quello della fede risulta incommensurabile, segnato dall’irruzione nella storia dalla grandezza disomogenea del Regno di Dio. La fede si presenta come più “sicura” e nello stesso tempo più reticente rispetto al futuro, subendo il condizionamento della “memoria”, che racchiude già in sé il futuro. Sulla questione della complessità del «passaggio al futuro», Italo De Sandre ha rilevato che è preferibile interrogarsi sulla chiarificabilità del futuro piuttosto che sulla sua prevedibilità, resa estremamente complessa dalla presenza di nuove soggettività sociali. Il futuro deve essere inteso come metonimia del tempo, che considera il presente come strategia simbolica e strumentale di azione, dove il tempo funge come vincolo e il “senso” del tempo come risorsa culturale e psicologica. Il passaggio al futuro esige per De Sandre la valorizzazione del “pensiero complesso” di Edgar Morin: la connessione dialogica di ordine e disordine, la ricorsività organizzativa, il principio oleogrammatico. M.C. CALENDARIO E’ stato dedicato alla Storia filosofica del concetto di «sensus» il VII convegno del Lessico Intellettuale Europeo, che si è tenuto dal 6 all’ 8 gennaio 1995 presso l’Università La Sapienza di Roma, organizzato in collaborazione con l’ Istituto Italiano di Studi Filosofici e la Fondazione Ibm Italia. Interventi di E. Jeauneau: “Sensus dans l’exégèse biblique du Haut Moyen Age”; G. Spinosa: “Tra platonismo e aristotelismo: semantica greca del sensus medievale”; R. Busa: “Vocis sensus, -us apud S. Thomam Aquinatem documentis”; J. Pepin: “Augustin et Origène sur les sensus interiores”; E. Ciliberto: “Senso e intelletto nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno”; A. Robinet: “Sens/ sensation dans l’oeuvre de Malebranche”; G. Costa: “Sensus/ sensatio in Vico”; N. Hinske: “Kants neue Theorie der Sinnlichkeit”. ● Informazioni: Università La Sapienza di Roma, Prof. Tullio Gregori, tel. 06 49917216. Organizzato dal Centro Studi Iniziative Culturali di Siracusa, dal Collegio Siciliano di Filosofia Sociale e dall’Istituto Gramsci del Veneto, si è tenuto il 20 gennaio 1995 a Siracusa un convegno di studi filosofici su: Nietzsche e Heidegger tra metafisica e nichilismo. Alla organizza- zione dell’incontro, a cui hanno partecipato tra gli altri U. Curi, V. Vitiello, F. Volpi R. Esposito, R. Bodei, hanno collaborato l’Istituto di Scienze Filosofiche dell’Università di Catania e l’Istituto di Filosofia “A.Attisani” dell’Università di Messina. In occasione della edizione italiana degli scritti di B. Lonergan pubblicati da Città Nuova, sabato 28 gennaio 1995, presso la sede del Centro Culturale San Fedele di Milano, è stato organizzato un incontro su: Bernard Lonergan S.I. Un gesuita filosofo (1904 - 1984). Vi hanno partecipato N. Spaccapelo, G. B. Sala, F. E. Crowe e il cardinale C. M. Martini. ● Informazioni: Centro Culturale San Fedele, via Hoepli, 3/b, Milano, tel. 02 86352.231. Sul tema Filosofia e Scienza, Homo Hominis Homo? Conflitto e comprensione tra uomini in questa aiuola che ci fa tanto feroci, il Centro Culturale La Casa Zoiosa di Milano ha organizzato nel mese di gennaio 1995 quattro lezioni con G. Galli, “Uomini e donne”; don A. Chieregatti, “Religione e cultura in dialogo”; G. Martinotti, “Una città di stranieri?”; F. Moiso, “Montesquieu o della moderazione”. Questo il programma degli incontri di maggio: giovedì 4: E. Berti, “Attualità della filosofia pratica di Aristotele”; mercoledì 9: F. Moiso: “Diderot e l’ Enciclopedia”; martedì 16: A. Burgio, “Rousseau tra democrazia delle regole e democrazia sostanziale”; martedì CALENDARIO a cura di Luisa Santonocito 23: M. Cingoli, “Marx: tra arsenico , vecchi occhiali e altri utili arnesi”; martedì 30: L. Sichirollo, “Erich Weil: la tradizione della filosofia politica”; martedì 6 giugno: C. Sini, “Spinoza e l’arte della tolleranza”. ● Informazioni: Centro Culturale La Casa Zoiosa, corso di Porta Nuova, 34, 20121 Milano. Tel. 6551813; fax 6551448 Philosophie et démocratie dans le monde è stato il tema delle due Due conferenze sulla modernità Nel quadro del progetto pluriennale Culture della Tecnica , l’ Istituto Banfi di Reggio Emilia ha promosso tra marzo e maggio 1995 un ciclo di seminari su “Le tecniche e le sue immagini”. Il 20 marzo P. Rossi è intervenuto su “Il Progresso, le macchine e le filosofie”; il 21 marzo M. Nacci ha parlato di “Ritratti e caricature, immagini della tecnica” e C. Galli di: “Le idee, tecnica e modernità”. Martedì 11 e mercoledì 12 aprile sono intervenuti V. Marchis: “L’ingegnere, tecnologie per l’uomo” e J.Mokyr: “Le storie, tecnologia ed economia”. Questo il programma dei prossimi incontri: 8 maggio, D. Noble: “Fantasie tecnologiche”: 9 maggio, M. Palazzi: “Lavoro femminile e tecnologia”; P. Manacorda: “Tecnologia e vita quotidiana”. ● Informazioni: Istituto Banfi, via Pasteur 11, Reggio Emilia. Tel/fax: 0522 554360. giornate internazionali di studio organizzate dall’Unesco il 15 e il 16 febbraio 1995 su: “L’insegnamento, la Ricerca e l’Educazione filosofica all’interno del processo democratico”. ● Informazioni: Maison de L’Unesco, Salle IV 125, Avenue de Suffren, Paris 7, fax: 33 1 45676791. sono state organizzate dall’ Istituto Banfi di Reggio Emilia nei giorni 4 e 18 febbraio 1995. Interventi di G. Vattimo: “L’ esperienza estetica tra modernità e postmodernità” e T. Maldonado: “Critica alla critica della modernità”. ● Informazioni: Segreteria dell’Istituto, via Pasteur 11, tel: 0522 55 4360. Cinque giornate con Xavier Tilliette (Institut Catholique di Parigi) riflettendo su Bibbia e Filosofia sono state promosse dal 6 al 10 febbraio 1995 dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, via Balbi 4, 16126 Genova. Tel. 010 2099772. Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Goethe Institut di Milano, la Società Filosofica Italiana e l’ I.S.U. dell’Università degli Studi di Milano hanno organizzato il 14 e il 15 febbraio 1995 un colloquio internazionale su: Frie- Per il ciclo di incontri “Le narrazioni, riflessioni sulla storia”, organizzato da marzo a maggio 1995 dal Centro Culturale Polivalente di Cattolica in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici sul tema Che cosa fanno oggi i filosofi?, sono intervenuti: venerdì 10 marzo, E. Severino: “Che significa ‘Storia dell’Occidente’?”; venerdì 17 marzo, U. Galimberti: “Le figure del tempo”; venerdì 24 marzo, G. Celli: “Il racconto degli animali”; venerdì 31 marzo, F. Cardini: “Modulo narrativo e modulo problematico. Il caso del processo ai Templari”; venerdì 7 aprile, M. Viroli: “Storia delle nazioni o storia delle repubbliche?”; venerdì 14 aprile, G. B. Bozzo: “Il racconto divino”; venerdì 21 aprile, G. Dossena: “Storie di giochi e storie di letteratura”; venerdì 5 maggio, R. Bodei: drich Hölderlin filosofo. Incursioni di un poeta nella “terra incognita” della filosofia. Al convegno, svoltosi presso l’Aula “Crociera Alta” dell’Università degli Studi di Milano e che ha visto interventi di R. Bodei, M. Franz, D. Henrich, F. Moiso, M. Ruggenini, A. Thomasberger, R. Ruschi, era abbinata la mostra “Holderlin a Jena”, realizzata dalla Holderlin-Gesellschaft di Tubinga. ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, via Festa del Perdono 7, tel. 02 58352720. 73 “Pensare gli eventi: congetture su passato e futuro”; venerdì 12 maggio, L. Canfora: “Storia, racconto, archivio”. ● Informazioni: Biblioteca Comunale di Cattolica, tel. 0541 967802 Sei prospettive, neurofisiologica, psicologica, sociologica, antropologica, metafisica ed etico-teologica, hanno caratterizzato il IV Convegno di Studio su “Le Dimensioni della Libertà” che si è tenuto il 23 e il 24 febbraio 1995 presso l’ Aula Magna del’Ateneo Romano della Santa Croce. Per la ‘prospettiva metafisica’ è intervenuto E. Forment su: “Essere, persona e libertà”; per quella ‘etico-teologica’ R. Réal Tremblay: “La verità, condizione di realizzazione della libertà dell’uomo”; J. Cervos: “Libertà umana e neurofisiologia”; A. Malo: “La libertà nell’atto umano”. ● Informazioni: Rev. prof. Javier Villanueva, Ateneo Romano della Santa Croce, piazza di Sant’Apollinare 49, 00186 Roma, tel. 06 68803752, fax 6897021. Nove incontri con docenti e ricercatori per approfondire la conoscenza del pensiero democratico liberale sul tema Le fonti della liberaldemocrazia, sono stati organizzati dall’ Istituto G. Pascoli di Milano con il patrocinio della sezione lombarda della Società Filosofica Italiana. Le date degli incontri: mercoledì 8 febbraio, L. Rizzi: “Liberalismo e democrazia in De Tocqueville”; 15 febbraio, V. Lora: “Libertà e individualità in John Stuart Mill”; 15 marzo, T. Arenare: “Libertà, mercato, istituzioni”; 22 marzo, V. Lora: “Libertà, uguaglianza ed impegno politico in Kelsen”; 29 marzo, S.Creperio: “Libertà ed equità in Rawls”; 26 aprile, L. Rizzi: “Le due vite dell’unità politica italiana”; 3 maggio, S.Creperio: “La tradizione liberaldemocratica in Italia”. Mercoledì 10 maggio è prevista, presso la sede dell’Università degli Studi di Milano alle 17.30, una tavola rotonda sul tema: “Le prospettive di una teoria e di una pratica democratico-liberale in Italia”. ● I nf or maz ion i: I s titut o G . Pascoli, via Poerio 14, Milano. Tel. 02 29.51.83.247. Si è articolato in due sessioni il seminario di studio su “Modelli per la teoria e la storia delle culture: Norbert Elias e Michel Foucault”, organizzato da febbraio a marzo 1995 dalla Fondazione Collegio San Carlo di Modena. La prima, dedicata al tema “Epoche del processo di civilizzazione. Economia pulsionale, figurazione sociale e storia in Norbert Elias”, ha visto interventi, mercoledì 8 e mercoledì 22 febbraio, di C. Ossola: “Norbert Elias: cerimonie tra rito e secolarizzazione” e A. Roversi: “Processi di de-civilizzazione. Linee di ricerca nell’ opera di Norbert Elias”. Nella seconda sessione, “Dall’epi- CALENDARIO steme alle tecniche del sé. Michel Foucault su ragione e potere” sono invece intervenuti: venerdì 17 marzo, M. Vegetti: “L’arte di vivere: Foucault e gli antichi”; mercoledì 29 marzo P. Pasquino: “La teoria politica della guerra e della pace, Michel Foucault e la storia del pensiero politico moderno”; A. Honneth: “Potere e critica. Foucault e Adorno”. Su “Tecnica e Cultura, come le tecnologie fanno mondo” la Fondazione ha inoltre organizzato un ciclo di lezioni con P. Bozzi: “La Tecnica modifica la percezione? Sull’arte di inventare esperimenti”; P. Odifreddi: “Visioni letterarie e miraggi tecnologici”; M. Perniola: “Sentire naturale e sentire artificiale”; venerdì 5 maggio, D. Noble: “La questione tecnologica e le differenze di classe, religione, genere”; venerdì 19 maggio, M. Augé: “E’ possibile un’antropologia del mondo contemporaneo?”. ● Informazioni: Segreteria della Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena, tel. 059 222315. A Firenze, l’11 e il 12 marzo 1995, si è tenuto il “2nd annual meeting: Current issues in the Philosophy of Science” , promosso dalla Stanford University in Florence, il Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza e la Provincia di Firenze. Sono intervenuti P. Suppes: “The nature and measurement of freedom”; M.C. Galavotti: “Commentary to Suppes’ talk”; J. Butterfield: “Worlds, minds and quanta”; Y. Guttmann: “The pragmatist approach to statistical mechanics”. E’ stata inoltre tenuta una tavola rotonda di presentazione dei testi Sull’etica di kant di S. Landucci e Kant and Contemporary Epistemology di P. Parrini, alla quale hanno partecipato S. Nannini. M. Pera, S. Veca e V. Verra. Occasione per un approfondimento del rapporto tra scienza e strumenti nel Settecento e per alcune considerazioni filosofiche ed epistemiologiche sullo sperimentalismo e la misurazione nella scienza, è stato invece il convegno su: La “Mal-aria” dei Filosofi. Filosofia, ecologia e strumenti scientifici nella cultura illuminista, promosso dal Centro Fiorentino in collaborazione con il Centro Studi Lazzaro Spallanzani di Scandiano, il 7 aprile 1995 a Firenze. Relazioni di P. Rossi: “Cose prima mai viste: la nuova scienza e gli strumenti”; F. Capuano: “Il rilevamento della qualità dell’aria nelle aree urbane: le tecniche attuali”; W. Bernardi: “Strumenti scientifici e filosofie della vita: il microscopio di Lazzaro Spallanzani”; F. Abbri: “Scoperta e manipolazione delle arie nel Settecento”. ● Informazioni: Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza, Villa Arrivabene, piazza Alberti 1/a, 50136 Firenze, tel. 055 677109, fax 667573. Sul tema “What we do not know”, si è tenuto a Salle dal 14 al 17 marzo 1995 il forum filosofico annuale dell’ Unesco. Sono intervenuti: B. Williams: “Can philosophy help in understanding ignorance?; P. Ricoeur: “How and when do I learn that I do not know?”; M. Safouan: “How can we say what we do not know?”; C. Romano: “Should journalists generalize?”; L. Floridi: “Internet: which future for organized knowledge, Frankestein or Pygmalion?”. ● Informazioni: Unesco Philosophy Forum , Maison de l’Unesco, Salle XI 7, Place de Fontenoy, Paris 75007. Tel: 33 1 45676791. Nel ricco programma di seminari organizzati dal College International de Philosophie dell’ Università di Parigi , per la sezione di filosofia segnaliamo le conferenze di A. Badiou: “L’ antiphilosophie contemporaine (III); J. Lacan”; P. Statius: “De l’institution des enfants”; philosophies et pratiques. Elements pour une histoire de l’éducation au 16éme s.”; J. Vaysse: “Heidegger et le probléme de la métaphisique”. Si sono inoltre tenute due giornate di studio su Hannah Arendt, dal titolo: “Hannah Arendt: Elucidation philosophique de la condition politique” . ● Informazioni: Segreteria del College International de Philosophie, Carré des sciences 1, rue Descartes 75005, Paris. Tel: 44 41 46 85/44 41 46 80. “Les nouvelles datation patriarcales et la question des couches rèdactionnelles”, “Lacordaire et ‘L’Avenir’, 1830-1832", “Parcours eckhartien: spéculation et mystique” : questi i titoli Nel cinquantesimo anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer, il Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche dell’Università degli Studi di Trento ha organizzato un convegno su: Dietrich Bonhoeffer. Dalla dei tre seminari promossi nel mese di marzo 1995 dal Centre d’ Etudes du Saulchoir e l’Ecole Biblique et Archéologique Francaise al Couvent Saint-Jacques 20, rue des Tanneries di Parigi. ● Informazioni: Centre d’ Etudes du Saulchoir, Parigi. Tel. (1) 44 08 71 97, fax (1) 43 31 07 56. debolezza di Dio alla responsabilità dell’uomo, a Trento dal 5 al 7 aprile 1995. Relazioni di B. Forte: “Dietrich Bonhoeffer fra teologia della crisi e crisi della teologia”; G. Moretto: “Etica e Liberalitat. Bonhoeffer e il pensiero religioso liberale”; U. Perone: “L’essere nel tempo: la tensione fra ultimo e penultimo come contesto dell’etica”; H. Pfeifer: “Die Gesataltung der Wirklichkeit. Beitrage Dietrich Bonhoeffer zu einer Ethik des «neuen Menschen»”; F. Donadio: “Il problema della secolarizzazione in Paul York von Wartenburg e Dietrich Bonhoeffer”. ● Informazioni: Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche, via S. Croce, 65 - 38100 Trento. Tel. 0461/881753; fax 0461/881715. ll dipartimento di Filosofia Morale dell’Università di St. Andrews ha organizzato, dal 23 al 26 marzo 1995, una conferenza su “Ethics and Practical Reason”. Tra i relatori: R. Audi, D. Brink, B. Hooker, T. Irwin, C. Korsgaard, O. O’Neill, P. Railton, J. Raz, J. Skorupski, M. Smith, D. Velleman. ● Informazioni: G. Cullity e J. Skorupsky, Department of Moral Philosophy, University of St. Andrews, St. Andrews, Fife KY16 9AL, U.K. Tel: 0334-62486/62487; fax 0334-62485; E-mail gmc st-andrews.ac.uk. Il Dipartimento degli Studi sulla Storia del Pensiero Europeo Michele Federico Sciacca dell’ Università di Genova ha promosso a Roma, dal 5 all’8 aprile 1995, un Congresso Internazionale su Michele Federico Sciacca e la filosofia oggi. Mercoledì 5 aprile M. A. Raschini ha parlato di “Ragione critica e pensare critico”; A. Negri è intervenuto su: “Uomo, corpo e mondo nella ‘filosofia della integralità’ e giovedì 6 aprile P. Rostenne su: “La métaphysique du fini selon Sciacca”; P. Mazzarella discuterà invece “La ‘filosofia dell’azione’ in Sciacca” e P. P. Ottonello terrà invece una conferenza su: “Gentile Heidegger Sciacca”. Venerdì 7 e sabato 8 aprile sono previsti interventi di J. Trigeaud: “L’idée personnaliste de la justice”; M. D’Addo: “La filosofia della cultura in Sciacca”; M.L. Facco: “Essere e atto nel pensiero di Sciacca”; E. Moutspoulos: “Sciacca e il platonismo”; M. Manganelli: “La scienza in Sciacca”; V. Stella: “Nozione ed esemplari dell’estetismo in Sciacca”. ● Informazioni: Dipartimento degli Studi sulla Storia del Pensiero Europeo Michele Federico La British Society for the History of Philosophy Foundation for Intellectual History ha organizzato dal 10 al 13 aprile 1995 al Newnham College di Cambridge una conferenza su: 16th & 17th Century Philosophy: Conversation with Aristotle. Sono intervenuti: L. Panizza e N. Streuver: “Reading Aristotle in the Renaissance; L. Giard, U. Baldini, N. Jardine: “Scientific Method”; C. Lohr: “Aristotle and Lull”; P. Barker: “Aristotle and Lipsius”; S. Murr: “Aristotle and Gassendi”; I. Maclean: “The Probability Debate”; P. Lardet e A. Brett: “Aristotle’s ‘Politics”; A. Gabbey e S. Hutton: “Aristotle and the Cambridge Platonist”; J. Rogers: “Aristotle and Hobbes”; M. Ayers: “Aristotle and Locke”; L. Brockliss e M. Feingold: “Aristotle in the Universities”. ● Informazioni: Catherine Fuller, 22 Prideaux Road, London SW9 9LH. 74 Sciacca, Università degli Studi di Genova, via Bensa 2/6 C, 16124 Genova, tel. 010 20 99 514. “Il mistero del male e la libertà possibile: lettura del De Civitate Dei di Agostino” è il tema del VII° Seminario di Studio organizzato dal Centro di Studi Agostiniani di Perugia in collaborazione con l’Istituto di Filosofia dell’Università di Perugia, il 5 e 6 aprile nel capoluogo umbro presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Relazioni di R. Dodaro, I. Sciuto, G. Dotto, A. Campodonico, M. Bettetini, L. Tuninetti, A. Ghisalberti. ● Informazioni: Istituto di Filosofia, via Aquilone 8, 06123 Perugia, tel. 075 58 54 715 Sarà su Il concetto di tempo il XXXII Congresso Nazionale di Filosofia, promosso dalla Società Filosofica Italiana che si terrà a Caserta dal 28 Aprile al 1 Maggio 1995 nelle sale del «Reggia Palace Hotel». Inaugureranno il convegno, venerdì 28 aprile, G. Giannantoni con una relazione su: “Il concetto di tempo in Platone e nei presofisti” ed E. Berti: “Il tempo in Aristotele”. Sabato 29 sono previsti interventi di: M. Cristiani, “Il concetto di tempo in Plotino e Agostino”; P. Rossi, “Il tempo in Newton e Leibniz”; C. Sini, “Husserl e Heidegger: tempo e fenomeologia”. Domenica 30, P. Salvucci: “Kant e la temporalità”; A. Rigobello: “Il tempo in Bergson e nello spiritualismo francese”; G. Cacciatore: “La dimensione del tempo nello storicismo”. Concluderanno il congresso, lunedì 1 maggio, A. Masullo: “Il tempo e l’etica”; F. Remotti, “Tra flusso e struttura: il senso dell’irreversibilità del tempo in alcune culture africane”; C. Bernardini: “Il tempo nella fisica moderna”. ● Informazioni: Prof. Emidio Spinelli, Società Filosofica Italiana, tel. 06 86320523. Dal 6 aprile al 19 luglio 1995, presso l’Istituto napoletano Suor Orsola di Benincasa , si terrà un seminario di specializzazione su temi e problemi di filosofia sociale volto ad analizzare alcune delle tendenze più rappresentative nell’ambito del pensiero contemporaneo. Il ciclo di incontri su La filosofia sociale oggi afferiranno al corso di filosofia morale tenuto dal prof. S. Maffettone. Tra gli interventi: giovedì 20 aprile, G. Duso: “Profili storico-concettuali del federalismo. La filosofia politica di Althusius”; venerdì 28 aprile P. Grossi: “Pluralismo isituzionale e ordine giuridico nell’esperienza medievale”; venerdì 19 maggio, G. Penzo: “Politica e ‘sovrapolitica’ in Jaspers”; martedì 30 maggio, C. Roehrssen: “La concezione dello stato federale in Hans Kelsen”; lunedì 19 giugno, A. Cavarero: “Hannah Arendt: il federalismo delle repubbliche elementari”; G. CALENDARIO Marini: “L’idea kantiana di una repubblica mondiale”. Sono inoltre previsti interventi di A. Honneth e J. Raz. ● Informazioni: Istituto Suor Orsola di Benincasa, via Suor Orsola 10, 80135 Napoli, tel. 081 400070-412641 Due giornate di studio su Luigi Scaravelli, organizzate dal Diparti- mento di Ermeneutica e Tecniche dell’Interpretazione dell’Università degli Studi di Torino e dall’Università di Catania, si terranno a Torino presso la Fondazione Guzzo il 2 e il 3 maggio 1995. Tra i relatori che interverranno su: “L’autonomia della scienza e della filosofia nella via italiana del neokantismo: Luigi Scaravelli” V. Mathieu, F. Barone, S. Marcucci, M. Pinottini, S. Nosari. ● Informazioni: Prof. Marzio Pinottini, Dipartimento di Ermeneutica, Università degli Studi di Torino, tel. 011 8182111. Una pedagogia nuova per la ricerca scientifica, questo il titolo del Congresso Internazionale che si terrà all’Accademia delle Scienze di Torino il 4 e 5 maggio 1995. Interventi di (10-13 aprile 1995 Raymond Klibansky Università di Oxford The platonic tradition A newly discovered Platonic text of Classical Antiquity - The foundation of the Platonic tradition - Peter Abailard and the School of Chartres From Albertus Magnus to Petrarch and Nicholas of Cues 10-14 aprile 1995 Enrique Dussel Università di Città del Messico Rilettura di Marx (a partire da Hegel e Shelling) Le quattro redazioni de il Capitale (1857-1882) e l’influenza di Hegel L’«essere» come fondamento (Hegel) e la «fonte creatrice» (Shelling) nel pensiero di Marx - La struttura della Logica di Hegel e quella de il Capitale di Marx - Le metafore teologiche in Marx - Attualità della filosofia di Marx (replica a P. Ricoeur, K. -O.Apel e J. Habermas). 18-22 aprile 1995 Hermann Lubbe Università di Zurigo Gegenwartsschrumpfung zeitschranken des fortschritts Die Gegenwart der Vergangenheit. Zivilisationsdynamik und Historismus - Fortschritt und Terror. Rückblick auf das Zeitalter des Totalitarismus - Avantgarde und Postmoderne. Kunst unter Fortschrittsdruck Informationsdynamik. Erfahrungsverluste und erschöpfte Kapazitäten der Innovationsverarbeitung - Freie Zeit und knappe Zeit . Ueber Zeitumgangskultur. L. Gallino, G. Giorello, A. Oliverio, T. Regge, P. Singer, V. Reynolds. ● Informazioni: Prof. M. Talamp, Dipartimento di Sociologia, Università di Torino, tel. 011/8182111. me’ della creatura. L’antropologia soprannaturale come ‘ristorazione’ della persona”; A. Russo: “Rosmini: verso un nuovo modello ecclesiologico”. Venerdì 5 maggio: P. Renner: “Fedeltà e profezia nell’ecclesiologia di Rosmini”. Giovedì 4 maggio ci sarà inoltre la presentazione, a cura di G. Beschin, del volume di Atti “Antonio Rosmini, filosofo del cuore?”. ● Informazioni: Istituto di Scienze Religiose, via S. Croce 77, 38100 Trento, tel. 0461 981617. A Rovereto dal 4 al 6 maggio 1995 si tiene il V Convegno Internazionale di Studi Rosminiani, promosso dall’Istituto Trentino di Cultura con il patrocinio del Comune di Rovereto su: Credere Pensando. Domande della teologia contemporanea nell’orizzonte del pensiero di Antonio Rosmini. Mercoledì 3 maggio, Un colloquio su Carl Vogt (1817 1895) si terrà all’Università di Ginevra dal 4 al 6 maggio 1995. Tra i relatori: H. Best, C. Blanckaert, M. Buscaglia, J. Dreifuss, F. Dubosson, L. Fischer, I. Herrmann, T. Leoir, R. Mazzolini. ● Informazioni: Department d’historie generale de la medecine, Universitè de Geneve. Tel. +41 22 7026329, fax +41 22 781 5193. relazioni di: H. J. Verweyen: “Punti cruciali della teologia contemporanea: per una mediazione filosofica dell’unicità salvifica di Gesù Cristo”; K. Menke: “Il contributo di Rosmini sulla questione circa la risposta della fede di fronte alla ragione”; A. Staglianò: “Teologia, fede e ragione: l’apporto di Antonio Rosmini all’epistemologia teologica”; G. Ferrarese: “L’’auditus fidei’ e la genesi della teologia rosminiana”; F. Conigliaro: “Rosmini, precursore della ‘nouvelle théologie”. Giovedì 4 maggio: X. Tilliette: “Il Cristo Sapienza incarnata nel pensiero di Antonio Rosmini”; G. Colzani: “Il compimento ‘deifor- A Merano l’8 e il 9 maggio 1995 si terrà il XVII Simposio Internazionale di Studi Italo-tedeschi su “Giambattista Vico (1688-1744)” . Relazioni Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio 14, Napoli. 18-22 aprile 1995 Giovanni Stelli Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Plutarco - Il Platone di Alcino - Il Platone di Diogene Laerzio Il Fondamento perduto: alle origini dell’etica moderna 2-6 maggio 1995 Paul Ricoeur Università di Parigi X-Nanterre L’ontologia teleologica classica e la sua dissoluzione nel pensiero moderno - Hume e l’incommensurabilità di essere, vero e bene: la critica della morale tradizionale - Hume e il recupero della morale tradizionale: la natura come «normalità» fattuale e fattualità del «normativo» - Sade e la distruzione dell’etica: la verità del naturalismo - Tentativi di ricostruzione del nesso essere-valore nel pensiero moderno e contemporaneo. Memoire, Oubli, Historie Répetition et remémoration - Mémoire traumatique et mémoire thérapeutique - Fonctions negatives et positives de l’oubli - La dialectique de la mémoire et de l’histoire - De la mémoire individuelle à la mémoire collective. 8-11 maggio 1995 Marc Fumaroli Collége de France, Parigi Chateaubriand poéte et penseur 24-28 aprile 1995 Jean -Luc Marion Ecole Normale Supérieure, Parigi L’état sauvage et l’état social: Chateaubriand et Rousseau - Poésie, politique et religion: Chateaubriand et Fénelon - La «prisca theologia» dans le Génie et les Martyrs - Chateaubriand entre Rome et Paris: les Mémoires. Questions d’interpretation et d’historie conceptuelle des Meditationes de Prima Philosophia de Descartes Les arguments du doute de la Meditatio I - Les schèmes du cogito dans la Meditatio II - Le statut et les prolongement du principe de causalité dans la Meditatio III - L’infinité de la volonté, ses indécisions et son rôle d’apres la Meditatio IV - Les occurences et la fonction de la «regula veritatis» selon les Meditationes III - V. 8-12 maggio 1995 Pietro Rossi Università di Torino La teoria della Weltanschauung nella cultura tedesca pre-1933 La filosofia come Weltanschauung e come teoria della Weltanschauung (Dilthey) - Il rifiuto della Weltanschauungsphilosophie e la filosofia come «scienza rigorosa» (Husserl) La filosofia tra intuizione del mondo e critica «tecnica» dei valori (Weber) - La teoria della Weltanschauung tra filosofia e analisi psicologica (Jaspers) - La teoria della Weltanschauung e la sociologia del sapere. 2-5 maggio 1995 Margherita Isnardi Parente Università di Roma «La Sapienza» Momenti della Storia del Platonismo Il Platone di Seneca - Il Platone di 75 di G. Cotroneo: “La confutazione de’ principi della dottrina politica fatta sopra il sistema di G. Bodino”; J. Seifert: “Versteht der Mensch sich selbst besser als die Natur? Einige Gedanken zu Giambattista Vicos Scienza Nuova”; K. Flasch: “Vico und die Metaphysik”; D. Barbieri: “Vico e Kant: due prospettive politiche a confronto”; F. Barbieri: “L’estetica del Vico e la Storia dell’Arte”; G. Patella: “Poesia e filosofia nel pensiero di Giambattista Vico”. ● Informazioni: Accademia di Studi Italo-tedeschi, Merano, tel. 0473 237737. Filosofi, architetti, storici dell’arte, urbanisti a confronto sul futuro delle nostre città, il 27 maggio 1995 a Potenza, Università degli Studi della Basilicata, al convegno organizzato dall’ Istituto Gramsci del Veneto e dalla rivista “Anfione Zeto” su: “La Forma della Città” Interventi di Umberto Curi, V. Vitiello, M. Petranzan, B. Secchi, R. Fuccella. ● Informazioni: Prof. Giuseppe Biscaglia, Istituto Gramsci del Veneto, tel. 0971 441348. 15-18 maggio 1995 Aldo Gargani Università di Pisa La filosofia americana contemporanea La filosofia del linguaggio nella cultura americana contemporanea - Paradigmi, modi di fare il mondo, schemi di decidibilità razionale nell’epistemologia americana - Il neo-pragmatismo americano e la storicizzazione del discorso filosofico - La scienza come solidarietà nell’opera di Richard Rorty. 22-25 maggio 1995 Carlo Augusto Viano Università di Torino La leggenda della filosofia Una madre generosa - Il filosofo e il principe - L’oggetto della filosofia L’utile e l’onesto. 22-26 maggio 1995 Boghos Levon Zekiyan Università di Venezia La dialettica tra valore e contingenza La problematica del valore nel contesto culturale del XX secolo: il processo di relativizzazione neotico-assiologica - Le storie e l’«apriori storico». La questione dei modelli culturali La proposta umanistica: ipotesi, limiti, orizzonti - Alla ricerca di un principio di equilibrio dinamico e di armonia pluricontestuale. 29 maggio - 1 giugno 1995 Franco Chiereghin Università di Padova Le aporie dell’agire e le condizioni di una vita buona La dialettica della coscienza morale Gli elementi costitutivi dell’agire - la vita buona. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari La didattica come sapere applicato Con il volume FILOSOFIA E LETTERATURA. FUNZIONE DELLA METAFORA NEL PENSIERO DI ALCUNI POETI E PENSATORI DEL ‘600 (a cura di G. Sidoni, Irrsae Lombardia, Edizione dell’ARCO, Milano 1994), ha preso avvio la pubblicazione dei risultati dei gruppi di ricerca che hanno fatto capo al “Progetto ISPER” su “FILOSOFIA E NUOVI LINGUAGGI PER LA PROFESSIONALITÀ DOCENTE” (cfr. «Informazione Filosofia» n. 5, dicembre 1991). Ideato da Gianna Sidoni, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e l’I.R.R.S.A.E. Lombardia, il Progetto ha coinvolto circa quaranta docenti di liceo e nove docenti universitari nell’attività di sette gruppi di ricerca, dedicati rispettivamente ai rapporti della filosofia con la letteratura, le scienze, le scienze dell’educazione, l’arte, il cinema, la storia, la musica. Ogni gruppo di ricerca è stato coordinato da un responsabile della coerenza teoricodidattica del lavoro complessivo e un responsabile scientifico, docente di università e specialista dei temi della ricerca in atto. In particolare il gruppo di ricerca sul tema “Filosofia e letteratura”, coordinato da Eros Barone, è stato affiancata da Paolo D’Alessandro, come responsabile scientifico, e da Giovanni Bottiroli come consulente scientifico per le questioni di linguistica. Il direttore scientifico dell’intero progetto, Gianna Sidoni, ha coordinato l’attività dei sette gruppi, curando che fosse rispettata la metodologia storica quale criterio-prova per la selezione delle ermeneutiche testuali e quale proposta per una sensibilizzazione corretta e rigorosa alla contemporaneità. Il supervisore scientifico, Maria Assunta Del Torre, ha curato i rapporti con i responsabili scientifici e con gli organismi istituzionali e ha svolto un lavoro di verifica complessiva dell’attività dei gruppi, mentre il responsabile I.R.R.S.A.E., Silvio Restelli, ha curato, in particolare, l’aspetto organizzativo complessivo e ha tenuto i rapporti con le scuole medie superiori. A conclusione dei lavori, gli sviluppi dell’attività di studio dei vari gruppi hanno consentito di individuare elementi per formulare nuove ipotesi tanto nel campo della didattica, quanto su un piano scientifico. In particolare il rapporto tra didattica e ricerca scientifica ha aperto le porte della ricerca universitaria verso la contemporaneità, i suoi problemi e i bisogni di una società fortemente scossa da profonde ragioni di mutamento. Il confronto con i livelli astratti del rigore scientifico ha evidenziato invece, nella didattica, un insieme di competenze per tradurre e mediare le acquisizioni della ricerca pura in risposte culturali adeguate ai bisogni storico-sociali. Poiché la ricerca scientifica è per lo più delegata all’Università e la didattica ad operatori delle scuole medie superiori, ne consegue che molti mali sono derivati alla cultura e alla società italiane dalla separazione tra Università e scuole secondarie. Gli insegnanti di liceo tendono infatti, nei casi migliori, a sacrificare lo specialismo per aprire il dibattito culturale ad una sempre maggiore quantità di problemi concreti; per i docenti dell’università interessi e competenze si dirigono invece verso ambiti più precisi e specialistici. Gli insegnanti di liceo sono tenuti a rispettare i limiti epistemici del sapere che trasmettono, ma anche a selezionare e mediare i contenuti e le modalità di trasmissione in funzione di bisogni formativi, legati alla dinamica delle esigenze sociali e alle prospettive di trasformazione della realtà storica. Per l’insegnante di liceo il confronto con la contemporaneità è elemento fondamentale della propria professionalità; è aspetto integrante del proprio ruolo. Il docente universitario è più attento invece alla preparazione culturale dei giovani, alle strutture epistemiche dei saperi che trasmette, alle metodologie della ricerca, alle proposte critiche, alla poiesi teorica. Nella ricerca pura, le istanze storiche e le relazioni con la contemporaneità sono presenti all’interno di concettualizzazioni e questioni, che difficilmente sono riconoscibili o riconducibili immediatamente a piani di ordine sociale o storico-materiale. Se, dunque, nella ricerca accademica prevale l’asse dello sviluppo “interno” dei 76 saperi, nella prassi dell’insegnamento secondario prevale il problema del senso per l’altro delle teorie. Così, se la libertà di pensiero è pressoché assoluta sul piano della ricerca, nel caso dell’insegnamento nelle scuole superiori e nei licei la libertà si esprime per lo più nell’esercizio di operazioni selettive dei mezzi, degli obiettivi, delle metodologie e dei valori. Con queste strategie di selezione l’insegnante di liceo mette in pratica una libertà che è responsabilità e misura e può farsi tramite per l’università di questioni inerenti alla dialettica tra società e cultura. Un’altro male, a cui si è cercato di ovviare nel “Progetto ISPER”, è la separazione tra pedagogisti, psicologi e sociologi da un lato, a cui si devono precise competenze nelle problematiche psico-pedagogiche giovanili inerenti alla formazione della personalità, e gli insegnanti delle scuole superiori, dall’altro, competenti nei saperi delle discipline curricollari. Nel “Progetto ISPER”, la presenza istituzionale dell’I.R.R.S.A.E. ha consentito che le tematiche pedagogiche si inserissero adeguatamente nell’incipit stesso della ricerca; l’intero progetto è stato ideato secondo un iter che saldasse modelli formativi e conoscenze culturali e che semplificasse al massimo le procedure burocratico-organizzative. La tesi fondamentale del progetto, per quanto attiene a questa questione, è stata che l’insegnante in nessun momento della sua attività si sostituisca al pedagogista o allo psicologo, ma che le linee pedagogiche essenziali di un modello formativo vengano tradotte in criteri di selezione di percorsi culturali, metodologie, tematiche, materiali didattici, libri di studio e di testo. Le sette équipes ISPER si sono formate attraverso una selezione di docenti aspiranti e sulla base dei seguenti criteri: disponibilità di tempo da dedicare alla ricerca, capacità di lavoro autonomo, possesso di adeguati titoli scientifici. I docenti selezionati hanno poi liberamente scelto i settori di ricerca e di studio secondo i loro interessi e competenze, dando vita a gruppi di lavoro, che col progredire della ricerca si sono andati sempre più riconoscendo in équipes. Lo stile di lavoro delle équipes ha altresì valorizzato le finalità comuni DIDATTICA della ricerca, la positività delle differenze culturali e degli approcci ai problemi come condizioni per la ricchezza e la vivacità degli approfondimenti scientifici e dello scambio di idee. La ricerca ha richiesto un impegno particolare da parte dei partecipanti, che hanno scambiato risorse e competenze culturali. Tra pluralismo di idee e libertà teoretica e critica i “limiti” si sono andati configurando per tutti attraverso l’attivazione della metodologia storica. Pensare “entro i limiti della storicità” vuol dire scegliere criteri di controllo, di confronto e documenti, accreditando adeguatamente le ermeneutiche testuali e le ipotesi teoriche che nel corso dell’attività venivano proposte. Sulla base di una storicità coerente con il pluralismo delle ipotesi e delle soluzioni, il “Progetto ISPER” ha evitato che la creatività come proposta fosse considerata capacità già acquisita, o che essa potesse confondersi con la spontaneità (anche se geniale), realizzando invece un modello di lavoro diretto ad approfondire le analisi ed estendere le conoscenze, a comparare teorie. Grazie alle metodologie scelte, il livello della ricerca si è mantenuto su livelli elevati. Con il titolo: Filosofia e letteratura. Funzione della metafora nel pensiero di alcuni poeti e pensatori del ‘600, è apparso recentemente il volume collettivo che raccoglie i saggi prodotti a conclusione della ricerca del gruppo “Filosofia e Letteratura”, formato da Eros Barone, Roberto Diodato, Gianfranco Gavianu, Roberto Mosconi, Giovanna Romanelli. I percorsi di ricerca di questo gruppo si sono incentrati sulla “metafora” quale luogo di incontro e di scarto tra i due saperi, la filosofia e la letteratura. Utilizzando la “metafora” quale chiave di lettura dei testi, la struttura della ricerca ha voluto evitare tutte quelle forme a-logiche, intuitive, spontanee, attraverso le quali i due saperi vengono spesso collegati. La “metafora”, quale figura logico-retorica e portatrice dell’immaginario, ha svolto egregiamente il suo compito di intermediario per un’educazione alla ragione critica, quella che sa spiegare i processi, istituire le regole necessarie, evitando tanto il dogmatismo quanto gli sterili esercizi logici fine a se stessi. I percorsi proposti nei vari saggi che compongono il volume costituiscono altrettanti itinerari per attivare la creatività negli insegnanti e nei giovani e non soltanto e studi di approfondimento storico-critico. I percorsi, inoltre, possono essere utilizzati sia a partire da studi letterari che filosofici, sia in un contesto di collaborazione tra le due discipline che separatamente. G.S. Con l’obiettivo di proporre alle scuole della Regione Lombardia gli strumenti di lavoro elaborati dai gruppi di ricerca del “Progetto ISPER” per una didattica multidiscilpinare, promosso dall’I.R.R.S.A.E. Lombardia in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, si tiene a Milano dal 20 al 21 aprile 1995, presso la sede dell’I.R.R.S.A.E. Lombardia, un convegno dal titolo: Filosofia: nuovi linguaggi per la professionalità docente, dedicato al rapporto tra filosofia, arti e scienze in una società complessa. Questo il calendario dei lavori: giovedì 20 aprile, ore 9.00: M. A. Del Torre, “Il rapporto tra Università e scuola secondaria superiore”; G. Sidoni, “L’educazione alla creatività: l’introduzione alla filosofia negli Istituti Tecnici”; Silvio Restelli, “L’innovazione scolastica e la formazione in servizio degli insegnanti di scuola media superiore”; L. Corradini, “Il docente di filosofia di fronte al problema giovanile”. Ore 11.00: G. Micheli, A. Monti, M. Sacchi (a cura di), “Filosofia e matematica”, presentazione del volume omonimo e proposta di itinerari didattici multidisciplinari. Ore 14.30: P. D’Alessandro, E. Barone, G. Gavianu (a cura di), “Filosofia e letteratura”, presentazione del volume omonimo e proposta di itinerari didattici multidisciplinari. Venerdì 21 aprile, ore 14.30-17.30: tavola rotonda sul tema: “Ricerca e didattica”, con la partecipazione di D. Bigalli (coordinatore) e dei responsabili scientifici dei sette gruppi di ricerca: Botturi, D’Alessandro, Franzini, Gori, Melchiorre, Micheli, Pizzetti, Zecchi. Convegni Si è svolto a Brescia, nei giorni 4 e 5 novembre 1994, il XXVII Convegno Nazionale per l’aggiornamento degli insegnanti sul tema: “FILOSOFIA ANALITICA E NEOPOSITIVISMO”, organizzato dall’A.R.I.F.S. (Associazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia) di Brescia, in collaborazione con l’Università di Firenze. Dopo l’indirizzo di saluto di Giancarlo Conti, presidente dell’A.R.I.F.S., il coordinatore del convegno, Paolo Parrini, ha spiegato le ragioni della scelta del tema. Oltre alla scarsa attenzione che la filosofia del Novecento desta ancora nelle scuole italiane, Parrini ha in primo luogo fatto rilevare la particolare carica oppositiva che filosofia analitica e neopositivismo hanno avuto in Europa e in Italia nei confronti di orientamenti speculativi sedimentati e di tradizioni accademiche consolidate. In secondo luogo Parrini ha richiamato il processo di ridefinizione dell’immagine culturale in corso nella filosofia analitica e nel neopositivismo: innanzitutto l’empirismo logico non s’identifica con tutto il Circolo di Vienna; l’accezione ampia del termine di filosofia analitica va a comprendere, come sua componente, il neopositivismo, che pure mantiene caratteri propri. Nel suo intervento, Ettore Casari ha con77 siderato alcuni momenti di storia della logica e della matematica, giungendo fino agli anni della costituzione del Circolo di Vienna, quando ancora vivo era il dibattito sui fondamenti della matematica. Dopo aver ripercorso il doppio processo di matematizzazione della logica e di logicizzazione della matematica, con richiami a Fries, Boole, Frege, Peano, Peirce, Husserl, Casari ha sottolineato come il passaggio tra Ottocento e Novecento comportò un’apertura della prospettiva di applicazione degli strumenti logici oltre l’ambito matematico. Fu in particolare Carnap a sottolineare l’importanza della logica nella trattazione filosofica, quale mezzo per fornire le forme dei concetti, mentre la ricerca di Hilbert, affluendo nella carnapiana sintassi logica del linguaggio, mostrava che la logica non può prescindere da uno studio di carattere metalogico. Muovendo da una definizione non limitata alla cultura anglosassone, Pierre Jacob ha richiamato nell’ambito della filosofia analitica i contributi dei positivisti logici austro-tedeschi e, in epoca più recente, quelli di studiosi provenienti da diverse aree geografiche. Della doppia nascita, a Jena e a Cambridge, della filosofia analitica, Jacob ha considerato aspetti relativi al secondo momento, quando Russell e Moore operavano in Inghilterra intorno al 1900. Jacob ha così passato in rassegna tre fasi. Una prima, denominata atomismo platonico, si costituì sulla base di un pluralismo ontologico di atomi e di relazioni e su di una significativa distinzione tra essere ed esistere delle proposizioni, a cui si aggiunse la giustificazione del carattere sintetico delle leggi logiche. Alla seconda fase, quella dell’atomismo logico, Russell approdò attraverso l’abbandono del carattere sintetico delle leggi logiche in favore di quello analitico o tautologico delle stesse, dopo che la frequentazione di Wittgenstein lo aveva orientato verso un’interpretazione linguistica delle verità logiche e matematiche. La questione dei limiti del linguaggio sta al centro della terza fase, laddove per Russell l’analisi filosofica manteneva un valore costruttivo, mentre per Wittgenstein essa doveva mirare a sciogliere pseudoproblemi e confusioni, secondo un fondamentale compito terapeutico. Gereon Wolters ha richiamato l’attenzione sul programma di cultura filosofica moderna che si espresse nell’empirismo logico, la cui impresa si ricollegava al lavoro di scienziati-filosofi, tra cui Mach e Einstein, così come, per gli aspetti più specificatamente logico-filosofici, a Frege, Russell e Wittgenstein. Alla luce di un’idea della filosofia come attività destinata a chiarire il significato delle espressioni scientifiche, ha osservato Wolters, la critica di Einstein ai concetti di tempo, spazio e movimento si rivelò un fondamentale riferimento per il lavoro filosofico generale della filosofia della scienza DIDATTICA nell’ambito dell’empirismo logico. Prima di Einstein, Ernst Mach aveva sviluppato una critica dello spazio assoluto newtoniano, inserendo tra concetti fisici che hanno legame con l’esperienza e quelli che escludono in linea di principio ogni rapporto con l’esperienza, una terza classe di concetti, a carattere metafisico, almeno temporaneo, capaci di contribuire al chiarimento dei fenomeni fisici. Sul rapporto tra teoria ed esperienza, ha sottolineato Wolters, Mach elaborò l’idea che il grado di scientificità di una teoria è proporzionale alla sua diretta relazione con l’esperienza. Da ultimo, Wolters ha indicato il «carattere genuinamente storico della concezione machiana della scienza e della filosofia della scienza», a cui fa riscontro la transitorietà delle opinioni e la provvisorietà del sapere, elementi che non furono adeguatamente considerati dagli empiristi logici. Nel suo intervento, Armando De Palma ha assunto come dato di partenza la nonomogeneità delle posizioni dei membri del Circolo di Vienna sin dal 1929, anno ufficiale della sua nascita. Schlick era pervenuto a identificare il problema della verità del sistema scientifico mediante un raccordo tra fatti e giudizi: i giudizi sarebbero segni dei fatti. L’univocità con cui un segno simbolico si raccorda a un solo oggetto, conduce alla verità, intesa come coordinazione univoca e, su tale base, alla conoscenza come coordinazione di giudizi. Le proposizioni connesse in modo diretto coi fatti, ovvero i giudizi percettivi, costituirebbero i giudizi fondamentali e la procedura di verificazione consisterebbe nella constatazione dell’identità di due giudizi mediante una derivazione logica: una previsione per il futuro, a cui seguirebbe appunto l’effettiva constatazione. Se ora ammettiamo con Wittgenstein che «capire una proposizione vuol dire sapere che cosa accade se è vera», verificazione e determinazione del senso si equiparano, allo stesso modo di inverificabilità e insensatezza. In questo sviluppo teorico, ha osservato De Palma, Carnap intervenne nell’elaborazione di un programma costruttivo, che muovesse dai dati empirici e facesse ricorso agli strumenti della logica simbolica fino a ottenere un linguaggio universale proprio dell’unica scienza globale. Tra le prospettive di Schlick e Carnap per la realizzazione di una filosofia scientifica, si inserì Neurath, che assegnò un ruolo preminente al linguaggio “fisicalistico”, proponendo un’idea di verità che, in luogo di una indubitabile e univoca relazione tra proposizione e fatto, affermava la concordanza tra una proposizione e il sistema scientifico di proposizioni acquisite in un determinato tempo. Il sistema delle leggi scientifiche, più le proposizioni di osservazione, costituirebbero appunto in Neurath la scienza unificata. Da ultimo, ha notato De Palma, Popper supera il problema humeano sostenendo l’inesistenza dell’in- duzione e dunque l’ingiustificabilità delle leggi scientifiche e risolve il problema kantiano dei limiti della conoscenza scientifica ricorrendo al concetto di scienza come sistema di proposizioni solo falsificabili a partire dalle proposizioni basilari, a loro volta falsificabili. Pietro Rossi ha preso in esame l’esperienza dell’Enciclopedia internazionale della scienza unificata, progetto di collaborazione tra filosofi e scienziati avviato a Chicago nel 1938, in cui confluirono differenti percorsi intellettuali, rappresentati da diversi pensatori, tra cui anche Dewey e Morris. Il primo sottolineava la distinzione tra la scienza come atteggiamento e la scienza come corpo di nozioni, la cui unità era da intendersi nel senso di una cooperazione tra studiosi e di una riforma dell’educazione per sottrarre la scienza al rischio dell’isolamento. Il secondo puntava ad un metalinguaggio che avesse valore unificante rispetto ai linguaggi parziali delle singole scienze, orientandosi pertanto verso l’elaborazione di una teoria dei segni, articolata in sintattica, semantica e pragmatica. Di Neurath Rossi ha rimarcato l’opzione antisistematica nei confronti del sapere scientifico e l’intento di realizzarne l’unificazione sul piano del linguaggio. Una prospettiva forte di unità, ha osservato Rossi, fu quella riduzionistica di Carnap, la cui realizzazione era affidata al linguaggio cosale-fisico. Per Neurath e Carnap, si trattava di riproporre la chiarificazione del linguaggio come compito della filosofia. Neurath aveva dichiarato intrascendibile il piano del linguaggio, indicando le proposizioni, non i fatti, come dati ultimi. L’”Enciclopedia” non portò a compimento il proprio programma e già col secondo volume venne delineandosi una liberalizzazione del neopositivismo e una ricerca dell’unità della scienza sulla base dell’unità del modello di spiegazione, integrando modelli di tipo deterministico con altri di tipo statistico-probabilistico. Nel suo intervento, Paolo Leonardi ha preso in considerazione la filosofia del linguaggio ordinario, sorta ad Oxford in epoca successiva al neopositivismo. Pur nella tendenza ad opporsi al linguaggio esatto e artificiale della scienza, tale filosofia non deriverebbe dal secondo Wittgenstein; in essa traspare piuttosto l’influenza di Moore e della sua filosofia del senso comune, ripresa dagli oxoniensi con il proposito di sostituire ad un criterio introspettivo (senso comune) un criterio intersoggettivo (linguaggio ordinario). L’attività dei filosofi del linguaggio ordinario, ha sottolineato Leonardi, prende di mira le cattive argomentazioni filosofiche, ricorrendo a un metodo affine e in concorrenza con quello scientifico. Leonardi ha richiamato, tra i principali esponenti di tale filosofia, John L. Austin e H. Paul Grice. Secondo Austin il linguaggio ordinario non è fenomenistico ed è diffici78 le immaginarne una revisione fenomenistica coerente. Grice sostiene invece che ogni nostra percezione può essere riportata, parlando degli oggetti percepiti o esplicitando gli aspetti soggettivi, più fenomenici, del percepire. Punto di partenza dell’intervento di Paolo Parrini è stata la complessità della critica neoempiristica alla metafisica, che ha richiamato l’attenzione sulla natura ambivalente del principio di verificazione come principio metodologico di carattere empiristico, che si traduce pure in principio semantico. Il nucleo essenziale della critica antimetafisica, ha osservato Parrini, è costituito dalla negazione del kantiano principio sintetico a priori, dal momento che ciò che si può dire a priori non è che una esplicitazione tautologica degli enunciati. Il problema di che cosa sia in generale la conoscenza, ha fatto notare Parrini, fu affrontato dagli empiristi logici come conoscenza di rapporti strutturali. Il conoscere, per gli empiristi logici, è un processo di riconoscimento a struttura triadica, con un soggetto, degli oggetti e un apparato di concetti; in questo processo non si dà conoscenza diretta, ma solo conoscenza per descrizione, anche se in termini diversi da quelli della descrizione eidetica husserliana. Tre sarebbero allora i tipi di metafisica: quella intuizionistica, che pretende per sé un valore sintetico; quella tautologica, che non ci dice niente sul mondo; e quella induttiva, in linea di continuità con la scienza, a cui si offre come repertorio di modelli. Data come impraticabile la prospettiva metafisica, ha continuato Parrini, l’interrogativo si sposta su ciò che rimane della filosofia. Secondo Neurath, l’istanza antimetafisica equivale a un’istanza antifilosofica; neanche l’attività di chiarificazione dei concetti sarebbe, per Neurath, attribuibile alla filosofia come suo compito specifico. Per Schlick, invece, la scienza è ricerca della verità, mentre la filosofia è appunto attività chiarificatrice dei significati delle asserzioni. Infine, nella prospettiva costruttivistica di Carnap, la filosofia diventa analisi logica del linguaggio scientifico, a carattere esplicativo-eliminativo. Da ultimo, Mauro Sacchetto ha mostrato l’inadeguatezza dei manuali in rapporto alla compressione dell’intreccio di problemi interni al neopositivismo, tenuto conto della ridotta dimensione con cui viene trattato il Circolo di Vienna. Un’auspicabile rettifica storiografica in tal senso, ha osservato Sacchetto, comporterebbe una ridefinizione degli sviluppi del neopositivismo nel secondo dopoguerra e della sua relazione col falsificazionismo popperiano. I.V. DIDATTICA Interventi, proposte, ricerche Con l’apparizione del “numero zero” del suo «Bollettino», il C.R.I.F (Centro di Ricerca per l’Insegnamento Filosofico) tenta di affiancare al proprio progetto didattico uno strumento di divulgazione, di documentazione, di informazione e di scambio con tutti coloro che sono interessati alla “filosofia per bambini”. Il C.R.I.F. è un’associazione sorta principalmente con lo scopo di approfondire la conoscenza del curriculum elaborato da Matthew Lipman e dai suoi collaboratori all’Università di Monclair (New Jersey) e divenuto noto come “filosofia per bambini”. L’idea del bollettino è confortata dalle esperienze e dal lavoro di numerosi altri centri che operano in questo ambito in paesi di tutto il mondo. Nella maggioranza dei casi, il bollettino, oltre a svolgere l’importante compito di strumento di comunicazione all’interno di una determinata area linguistica, serve anche da ponte per lo scambio interculturale. Per questa sua natura, il bollettino intende nutrirsi dei contributi provenienti da insegnanti e alunni italiani e degli apporti di provenienza esterna, selezionati e tradotti a cura della redazione. Questo primo fascicolo del Bollettino rappresenta un tentativo di dare corpo al progetto del C.R.I.F. e costituisce anche un invito a suggerire correzioni e nuove idee. Oltre a un messaggio di M. Lipman, esso ospita una presentazione del curriculum della “filosofia per bambini”, un articolo di M. Sasseville su “Il primo capitolo de Il prisma dei perché. Logicità e creatività del pensiero” (cfr. M. Lipman, Il prisma dei perché, Armando, Roma 1992), una raccolta di materiale di documentazione elaborato nelle scuole medie e superiori, un organigramma dei centri di “filosofia per bambini” nel mondo, l’annuncio che la VII Conferenza internazionale dell’International Council for Philosophical Inquiry with Children sarà tenuta a Melbourne, in Australia, dal 10 al 15 luglio 1995, e infine un articolo conclusivo di M. De Pasquale, dal titolo A proposito di insegnamento della filosofia. La quota annuale di associazione al C.R.I.F. è di lire 20.000 ed è comprensiva dell’abbonamento al «Bollettino». Comunicazioni e materiali per la pubblicazione devono essere mandati al seguente indirizzo: C.R.I.F., Via S. Francesco 46, 87022 Cetraro (CS), Italia (tel./fax: 098292084 - ccp n. 13469879). Su richiesta di gruppi di insegnanti o della scuola di appartenenza, il C.R.I.F. offre seminari di formazione specifica all’utilizzazione del programma di “filosofia per bambini”. Alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell’UNESCO e dell’Anno delle Nazioni Unite per la tolleranza, l’organismo dell’ONU per l’educazione, le scienze e la cultura - che ha sempre prestato un’attenzione particolare al ruolo dell’insegnamento della filosofia nello sviluppo degli individui e delle società - ha deciso di avviare un nuovo progetto intitolato: “FILOSOFIA E DEMOCRAZIA NEL MONDO », le cui linee di fondo sono descritte nel documento 144 EX/16 del Consiglio esecutivo dell’UNESCO. Questo progetto della Divisione di Filosofia ed Etica dell’UNESCO si basa su un’inchiesta internazionale che concerne il posto della filosofia nella vita culturale di ciascun paese e si dà, per primo obiettivo, quello di redigere un quadro il più completo possibile dei rapporti fra l’insegnamento della filosofia e i sistemi politici. I dati riuniti in questa inchiesta costituiranno il materiale per l’analisi della questione relativa ai mezzi attraverso cui la filosofia e il suo insegnamento possono aiutare a promuovere gli ideali universali della democrazia e della tolleranza. Il questionario dell’inchiesta si articola in 82 punti, suddivisi nei seguenti capitoli: 1) situazione d’insieme dell’insegnamento filosofico; 2) posto dell’insegnamento filosofico nei diversi sistemi di studio; 3) programmi; 4) metodi di insegnamento; 5) strumenti di lavoro; 6) formazione degli insegnanti; 7) esami, diplomi concorsi; 8) insegnamento della filosofia nel quadro di altri discipline; 9) insegnamento della filosofia nella vita politica e culturale. Sulla rivista «LETTURE» (anno 49, quaderno 511, novembre 1994) sono apparse alcuni utili riflessioni sui manuali di filosofia nella scuola a cura di Gianna Sidoni, di Dario Antiseri e di Giovanni Fornero. In «SENSATE ESPE RIENZE» (n. 24, ottobre 1994), Gianmaria Ottolini presenta un’originale proposta di “drammatizzazioni filosofiche sulle filosofie ellenistiche”, nata da un’esperienza effettivamente attuata nella scuola. Nel suo articolo: Se la scuola è presa con filosofia, Gianna Sidoni avanza una riflessione complessiva sulle funzioni che la filosofia svolge nella formazione generale di un giovane e avanza alcune precisazioni sui recenti “Programmi Brocca”, che prevedono l’estensione dell’insegnamento filosofico anche agli istituti tecnici. Interessante è soprattutto il tentativo di suddividere l’attuale manualistica filosofica in tre tendenze: «la prima è finalizzata a soddisfare soprattutto le esigenze del docente che desidera trovare nel manuale tutti gli autori che 79 le occasioni dell’iter didattico portano a considerare, oltre ovviamente alla trattazione dei classici»; la seconda tendenza è quella «che presuppone che uno studio della filosofia nei licei, per potersi concretamente incentrare sulla lettura degli autori, necessita di manuali agili, sintetici»; la terza tendenza è quella dei «manuali che intendono far parlare soprattutto i filosofi attraverso le loro opere». Dario Antiseri ricostruisce invece, con il suo articolo: La ragione aperta e i suoi problemi, le motivazioni che lo hanno guidato, insieme con Giovanni Reale, alla realizzazione del manuale Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, ora ripubblicato in edizione ampliata e aggiornata (voll. 3, Editrice La Scuola, Brescia 1993). Dal canto suo, Giovanni Fornero, ne L’obiettività educa. L’ideologia violenta, offre analoghe motivazioni per il manuale legato al nome di Nicola Abbagnano e aggiornato da Fornero stesso fino all’ultima edizione del ’92 (cfr. N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, voll. 3, Paravia, Torino 1992). Lontano dal potere. Competitività, cooperazione, creatività e filosofie ellenistiche è il titolo di un resoconto apparso su «Sensate esperienze», in cui Gianmaria Ottolini “narra” l’esperienza di un gruppo-classe dell’ITIS “L. Cobianchi” di Verbania, nata dal tentativo di superare una situazione di crisi, emersa da un questionario di autovalutazione dove si evidenziavano i sintomi di uno scarso coinvolgimento degli alunni alle attività didattiche. L’insegnante ha proposto con successo alla classe di sperimentare una nuova modalità di studio della filosofia attraverso una lettura di gruppo e la produzione di brevi testi drammatizzabili. Tale progetto ha inoltre permesso di introdurre le classi del biennio allo studio della filosofia ed è stato anche presentato al convegno di Reggio Emilia, dell’aprile 1994, sulla creatività. Nella medesima rivista viene poi offerta una selezione delle drammatizzazioni filosofiche realizzate dalla classe IV, Indirizzo Scienze Umane e Sociali, a.s. 1993-94, dell’ITIS “L. Cobianchi” di Verbania (NO), dal titolo: Lontano dal potere. Filosofia e vita nell’età ellenistica: scettici-epicurei-stoici. Chi fosse interessato a ricevere il testo completo delle drammatizzazioni può richiederlo a: ITIS «Lorenzo Cobianchi», indirizzo di Scienze Umane, Piazza Martiri di Trarego, 28044 Verbania Intra (NO). R.L. STUDIO STUDIO Fenomenologia dello spirito L’opera recente di Franco Chiereghin, LA ‘FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO’ DI HEGEL . INTRODUZIONE ALLA LETTURA, (La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994), offre una sintesi articolata di questo testo hegeliano, indicando non solo uno stimolante percorso di lettura, ma anche un’efficace proposta di contestualizzazione del medesimo all’interno dell’intera riflessione di Hegel. Il dichiarato intento che guida questo studio di Franco Chiereghin, dedicato alla Fenomenologia dello spirito di Hegel, non è tanto, o non solo, quello di offrirne un commento, né quello di individuarne la struttura interna a partire dall’esame del connettersi delle varie “figure” del testo hegeliano, bensì quello di «enucleare il principio che sta alla base dell’organizzazione concettuale dei suoi contenuti». Come è noto, uno dei problemi cruciali posti dalla Fenomenologia dello spirito è rappresentato dalla sua collocazione nel sistema hegeliano, anche considerato con riguardo alla sua evoluzione. Questo obiettivo richiede, anzitutto, un chiarimento degli scopi teoretici che Hegel si era prefisso con quest’opera (il “sapere assoluto”) e la loro comparazione con i risultati effettivamente raggiunti, nonché con l’evoluzione teorica che l’opera stessa subì nel corso della sua gestazione, protrattasi fino alla lavorazione in bozze. In questo processo, sottolinea Chiereghin, il principale elemento di continuità consiste nella convinzione hegeliana del carattere di scienza del sapere assoluto, nel suo configurarsi come una struttura concettuale dal procedere metodicamente autoconsapevole. L’evoluzione si colloca, dunque, non in un mutamento radicale del progetto teoretico, bensì in uno spostamento di accenti: dal carattere di esperienza della coscienza, proprio del sapere, a quello che lo riconduce al fenomenizzarsi e al pervenire a sé dello spirito. La prima parte del testo di Chiereghin è dedicata al metodo e all’organizzazione concettuale della Fenomenologia; qui viene anzitutto messo a fuoco il tema dell’opera, l’esame dell’apparenza, ovvero delle modalità del manifestarsi del sapere. All’interno di questo campo tematico, Chie- reghin ribadisce il carattere decisivo della questione dell’esperienza, nella sua connessione con quella relativa alla nozione hegeliana di scienza. A partire da qui, vengono ripercorse e analizzate, fra l’altro, le problematiche relative alle nozioni di “momento”, “figura” e “totalità” fenomenologici, per come esse appaiono non solo nella Fenomenologia, ma anche nel problematico rapporto con la “logica di Jena”. La seconda e la terza parte dello studio di Chiereghin mettono a fuoco le tappe attraverso le quali l’itinerario hegeliano, partendo dal momento della coscienza, perviene alle due opposte totalità (quella della coscienza medesima e quella della religione), la cui riunificazione articola il contenuto del sapere assoluto. La linea interpretativa percorsa da Chiereghin prevede che, per ciascuno dei momenti fenomenologici, venga rintracciata una forma logica di giudizio che dia conto delle vicende dialettiche che in essa si svolgono. Questa prassi interpretativa rinvia all’assunto secondo il quale la Fenomenologia costituisce non solo una propedeutica al posteriore sviluppo sistematico della riflessione hegeliana, ma anche (oltreché un presupposto storicoteoretico del medesimo) un abbozzo della struttura della futura scienza della logica. In particolare, il momento della religione, rileva Chiereghin, impone ai momenti precedenti una ristrutturazione logica, tanto che in ciascuno di essi è possibile rintracciare la determinazione di “essere”, “essenza” e “concetto”, tripartizione che costituisce lo “scheletro” della logica hegeliana successiva (peraltro, a quella data, nient’affatto presente come tale agli occhi di Hegel). D’altra parte, nell’interpretazione di Chiereghin assume particolare rilievo il rapporto tra la Fenomenologia e i Topici aristotelici, concepiti come il modello del processo ascendente di una coscienza che, attraverso le proprie partizioni, guadagna la propria essenza. A partire da questa ipotesi, che intende dar conto del profondo intrecciarsi dell’aspetto logico e di quello fenomenologico, nonché dei diversi piani di logicità presenti nella Fenomenologia, quest’ultima appare come la difficoltosa paideia del soggetto che, attraverso la conoscenza del proprio limite e il sacrificio di sé, perviene al sapere assoluto. F.C. 80 Bergson e Fichte: due introduzioni Con INTRODUZIONE A BERGSON (Laterza Roma Bari- 1994), di Adriano Pessina, e INTRODUZIONE A FICHTE (Laterza, Roma-Bari 1994), di Claudio Cesa, sono a disposizione dei lettori due ulteriori strumenti di studio nella ben nota collana “I filosofi”, che raccoglie da anni monografie dedicate a singoli autori, di cui vengono ricostruiti, attraverso un’esposizione sistematica, il pensiero, la produzione letteraria, il contesto storicofilosofico della loro opera. L’esordio filosofico di Henri Louis Bergson, padre dell’evoluzionismo spiritualistico, avviene, nel 1889, con la pubblicazione del Saggio sui dati immediati della coscienza, in cui vengono delineati i caratteri essenziali della concezione bergsoniana della temporalità. La teoria di Bergson rappresentò quasi una sorta di rivoluzione nel pensiero francese del primo Novecento, trovando il suo completamento ne L’evoluzione creatrice (1907), l’opera di maggior rilievo scritta da Bergson, nella quale il concetto di tempo subisce un radicale cambiamento, passando da temporalità oggettiva a temporalità soggettiva, più precisamente ad una temporalità coscienziale che si manifesta nell’intuizione. Questo mutamento di vedute coinvolge l’intero sistema filosofico bergsoniano, in particolar modo il concetto di persona, che acquista rilievo in tema di libertà, un aspetto largamente trattato da Adriano Pessina in questa sua introduzione al pensiero di Bergson. In questa concezione Bergson prende le distanze, da una parte, dai sistemi deterministici della natura, dall’altra dal determinismo psicologico, riproposto in quegli anni da John Stuart Mill. Ciò che Bergson rivendica è la coscienza come unità in divenire, eterna possibilità di scegliere e scegliersi, di esperire il proprio vissuto interiore quale atto libero e unico. La coscienza sconfina ora in percorsi che non hanno niente a che vedere con le regole di causa-effetto, che implicano STUDIO Henri Bergson e Johann Gottlieb Fichte una ripetizione dell’esperienza; è piuttosto l’intuizione, intesa come elaborazione creativa della realtà, la responsabile di azioni che si rinnovano e si arricchiscono ogni volta in piena armonia con l’evoluzione del soggetto, anzi, ne costituiscono la più autentica espressione. Il passaggio da una conoscenza matematica prevedibile ad una coscienza umana imprevedibile, che è passato-presente-futuro, implica l’affermarsi dello spirito e di una concezione spiritualistica che apporta nuovi strumenti per riflettere sulla scienza, l’arte e l’esistenza nei suoi molteplici aspetti. D.M Nella sua introduzione Claudio Cesa affronta la filosofia fichtiana suddividendola in quattro tematiche, che costituiscono l’oggetto delle quattro sezioni del testo, che si conclude, come gli altri della stessa collana, con un’ampia bibliografia critica sull’autore. Ripercorrendo il cammino seguito dallo stesso Fichte nelle opere principali, Cesa parte dalla genesi dei principi primi, passa poi a trattare la filosofia della libertà, il problema del diritto e della morale, la teoria della verità e, in conclusione, il rapporto tra religione e politica. Punto iniziale di questa ricostruzione diventa così il rapporto con Kant e le critiche rivoltegli da Fichte: la differenza tra la filosofia teoretica e quelle pratica, e l’io inteso semplice- mente come unità formale e appercettiva, impediscono a Kant, secondo Fichte, di giungere a quella sistematicità che possa fondare ogni sapere. Da qui l’esigenza di costituire una soggettività infinita che fornisca certezza e sistematicità. La seconda parte di questa introduzione si occupa, appunto, di tale soggettività che, in quanto intuizione intellettuale, costituisce la forma e il contenuto della realtà. Cesa non distingue in modo esplicito le tre ipostasi dell’io, bensì le deduce concettualmente e teoreticamente dall’attività dell’io. Il soggetto assoluto, infatti, diventa auto-attività e auto-intuizione assolutamente immediata che, necessariamente, si estrinseca nella produzione del non-io. A questo punto Cesa si occupa della ragione che spinge l’io a produrre la natura e affronta il tema della libertà. Differenziando la libertà fichtiana, che si ritrova nei contenuti, da quella kantiana, esclusivamente formale, Cesa sottolinea il primato della moralità colta dinamicamente e mai staticamente. Se la morale è costituita dai contenuti, a maggior ragione lo è il diritto che rappresenta l’applicazione dell’eticità radicata nella legislazione, nella società e nello stato. Ritroviamo qui la missione del dotto nella società e l’ideale statale di Fichte, che si concretizza in un forte potere esecutivo, limitato solo dal potere di veto dell’eforato. La quarta parte affronta il problema del81 la verità nella teoria della rappresentazione e ribadisce la scelta fichtiana per la filosofia idealista rispetto a quella realista-dogmatica, costitutiva dell’uomo subordinato alle cose e incapace di giungere alla libertà. Due conseguenze della scelta dell’idealismo rappresentano l’oggetto dell’ultima parte dell’esposizione di Cesa e cioè la religione e la politica. Se le prime opere fichtiane individuavano la libertà esclusivamente nella moralità e nel dovere, le ultime cercano una dimensione che trascenda l’etica stessa e che si ritrovi in un oggetto ulteriore: è questa l’epoca della religione che sembra essere, alla fine della filosofia fichtiana, il compimento e la conclusione del senso originario dell’io. I Discorsi alla nazione tedesca, trattati da Cesa separatamente dall’esposizione sullo stato, si rifanno invece alla libertà vissuta dai tedeschi durante l’occupazione napoleonica, incapace, secondo Fichte, di sradicare nel popolo germanico la spiritualità originaria e quindi la libertà. A.S. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXV, n. 3, dicembre 1994 Il Mulino, Bologna La fine di un’egemonia: il marxismo italiano negli anni Ottanta, di G. Badeschi: l’articolo ricostruisce il dibattito che ha individuato e determinato la crisi della cultura marxista in Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’70, dopo un’egemonia incontrastata fin dagli anni ’50. Roberto Ardigò e l’inconscio fisiologico, di L. Lanzoni: la concezione di inconscio in Ardigò nel rapporto tra fisico e psichico e l’influenza della psicologia fisiologica inglese. La realtà del futuro e la relatività speciale, di M. Dorato. Linguaggio, pensiero, intenzionalità: la controversia sugli animali, di S. Gozzano: le ricerche sul possibile uso di un linguaggio da parte di un essere non umano. Buchanan sostengono la tesi che solo l’esistenza di regole può garantire la sicurezza dei rapporti che consente ad ognuno di “stare al tavolo del gioco” senza entrare in conflitto con gli altri. L’articolo intende fornire un’interpretazione di questo scritto, individuandone elementi fondativi, risultati raggiunti, problemi aperti. Alla ricerca di Alter. Proposta di un percorso attraverso le scienze dell’uomo, di F. Sarcinelli: un approccio interpretativo all’Altro come dimensione epistemologica costitutiva delle scienze dell’uomo. Dato e interpretazione, di L. Ponticelli: l’articolo illustra la tesi secondo cui l’interpretazione si costituisce attraverso i dati della conoscenza immediata entro cui siamo immersi. Alfred Wallace tra evoluzionismo e spiritualismo, di L. Gallo: recensione di G. Scarpelli, Il cranio di cristallo. Evoluzione della specie e spiritualismo (Bollati Boringhieri, Torino 1993). Ferdinand Fellmann e la filosofia della vita, di M. Mezzanzanica: recensione di F. Fellmann, Lebensphilosophie. Elemente einer Theorie der Selbsterfahrung (Filosofia della vita. Elementi di una teoria dell’esperienza di sé, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1993) FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ’ Anno XVI, n. 3, 1993 Rosenberg & Sellier, Torino Le regole e il contratto, di A. Villani: in La ragione delle regole (1985) Brennan e La dialettica platonica, di G. Giannantoni: recensione di P. Stemmer, Platons Dialektik: Die frühen und mittleren Dialoge (La dialettica di Platone: i primi dialoghi e quelli intermedi, W. de Gruyter, Berlin New York 1992). AQUINAS Anno XXXVII, n.2, maggio-agosto 1994 Facoltà di Filosofia Pontificia Università Lateranense Pensare il moderno: Natura e Storia nell’antico pensiero cinese. La lezione di Xunzi, di F. Avanzini. Kant, la razza e la storia, di P. Pellecchia: alla luce delle moderne migrazioni dal Sud verso il Nord, vale la pena rileggere le riflessioni di Kant nei saggi: Delle diverse razze degli uomini (1775) e Determinazione del concetto di razza (1785). ELENCHOS Le questioni inedite “Siena, biblioteca comunale degl’Intronati, L XI 24". Contributo alla storia della posterità di Giovanni Capreolo, di P. Conforti: sul XV secolo nella storia della Scolastica; periodo poco conosciuto a causa della preponderanza degli interessi per l’Umanesimo da parte della storiografia. In realtà in questo periodo i testi aristotelici o tomisti vengono letti e commentati secondo schemi letterari e didattici tradizionali. Ricordo di Uberto Scarpelli, di N. Bobbio. Nuove edizioni di testi leibniziani, di M. Mugnai. Gassendi et le texte de Diogène Laërce, di K. A. Algra: la riabilitazione della filosofia epicurea operata da Gassendi in Animadversiones in decimum librum Diogenis Laërti. Anno XV, n. 1/1994 Bibliopolis, Napoli La storia impossibile nel ‘Politico’ di Platone, di M. Tulli: il mito dei cicli del cosmo nel dialogo platonico come tentativo di andare al di là del racconto di fantasia per compiere una ricerca sulla storia. Aspectos de la crítica de Plotino a las categoríias de Aristótele, di M. I. Santa Cruz. Aspetti della critica di Jan Lakasiewicz al principio aristotelico di non contraddizione, di A. Schiaparelli: risale al 1910 l’articolo Sul principio di non contraddizione in Aristotele, in cui il filosofo polacco Lakasiewicz, servendosi dei risultati della moderna logica simbolica (è l’anno della pubblicazione dei Principia Mathematica), mostra come questo principio non possa essere considerato come assolutamente primo e innegabile, ma sia bisognoso di altri principi per essere formulato e provato. 82 Fenomenologia y metafisica, di A. Lobato: l’articolo si occupa della filosofia cristiana di Edith Stein come tentativo di superamento della distanza che sembra separare Husserl e San Tommaso. Edith Stein fenomenologa, di A. M. Pezzella: all’interno della complessità delle prospettive culturali presenti nella Stein, l’articolo privilegia il ruolo della fenomenologia e più in particolare del metodo della fenomenologia come la via più adatta per valutare la produzione della sua filosofia. RASSEGNA DELLE RIVISTE Filosofia cristiana, fenomenologia e metafisica secondo E. Stein, di B. Mondin: alcune considerazioni sulla concezione della filosofia cristiana e sulla metafisica fenomenologica che emergono dalla lettura dell’antologia degli scritti di E. Stein, La ricerca della verità: dalla fenomenologia alla filosofia cristiana (a cura di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 1993) La filosofia cristiana secondo Edith Stein, di X. Tilliette. zioni: quella monista, di ispirazione neopositivistica, secondo cui il sapere sociologico deve mirare alla scoperta di leggi generali, incrementando le capacità predittive; quella neo-dualista, ispirata a Wittgenstein, che rifiuta il modello delle scienze naturali e vede lo scopo delle scienze sociali nella chiarificazione del significato che un’azione può assumere per chi vi è coinvolto; quella di Rorty e Foucault, che mette in luce l’inadeguatezza metodologica della bipartizione tra scienze della natura e scienze dell’uomo. Edith Stein-fenomenologia e/o metafisica, di A. Molinaro: il problema della capacità fondativa della fenomenologia in rapporto alla metafisica secondo E. Stein. “Ho il gusto del segreto” (Cinquant’anni di vita intellettuale cosciente), intervista di M. Ferraris a J. Derrida. La fenomenologia, uno sguardo sulla verità, di C. Bettinelli: la lettura della fenomenologia husserliana da parte di E. Stein. La modernizzazione contro il progresso, di V. Camps: la prospettiva di un progressismo umanista. Una ricerca sullo Stato di Edith Stein, di F. D’Agostino: recensione di E. Stein, Una ricerca sullo Stato (Città Nuova, Roma 1993). Progresso, progressista, di S. Lukes: l’articolo delinea la storia semantica del concetto di progresso per poi analizzare quale significato esso abbia nell’attuale congiuntura storica. Il fantasma di Turing e l’incancellabilità del soggetto, di P. Turpia: considerazioni sulla relazione di G. Blandino, “L’antropologia in indirizzo agostiniano” (11-13 gennaio 1993, Colloquio Internazionale sull’antropologia, Pontificia Università Lateranense). The vocation to be a philosopher, di P. Andrews. M. Heidegger (e U. Eco) contro la definizione dell’uomo come animale razionale, di L. Chitarin: contro Husserl, Heidegger tenta di riformulare un’antropologia unitaria a partire dall’analitica esistenziale, che sfocia, però, in una serie di aporie. L’attacco alla concezione dell’uomo come animale razionale è stato poi di recente riproposto sul piano logico-categoriale da Eco. IRIDE Anno VII, n 12, agosto 1992 Il Mulino, Bologna Morale ermeneutica; l’istanza morale dell’ambito estetico, di H. R. Jauss: l’articolo spiega, da un punto di vista storico ed ermeneutico, perché dal recente dibattito sul rapporto tra etica ed estetica emerga una semplificazione, se non una liquidazione, del problema morale connesso all’ambito estetico. Scienza unificata, neo-dualismo e genealogia delle scienze sociali, di D. Sparti: una delle problematiche aperte dell’epistemologia delle scienze sociali è il rapporto tra quest’ultime e le scienze naturali; in quest’ambito è possibile individuare tre posi- De progressu rerum cogitata et visa, di P. Rossi: considerazioni sul progresso e sulla tecnica. AUT AUT n. 262-263, luglio-ottobre 1994 La Nuova Italia, Firenze Dramma dell’appartenenza e paradosso del proprio, di P. A. Rovatti: la questione dell’appartenenza alla luce di una nuova idea di verità. Appartenere a questo presente?, di G. Comolli. L’origine condivisa, di R. Prezzo. La piega e il pensiero. Sull’ontologia di Merleau-Ponty, di P. Gambazzi: il tema dell’essere e del pensiero nell’ultimo Merleau-Ponty. Ethos e lex. Paganesimo e cristianesimo in Croce e Gentile, di V. Vitiello: la filosofia morale di Croce e Gentile alla luce del conflitto, presente in entrambi, tra etica pagana e legge cristiana. Gentile e la riforma del trascendentalismo kantiano, di M. Ferraris: il tema della riforma gentiliana del trascendentalismo kantiano, da intendersi come riforma vera e propria o come controriforma, e i rapporti con la riflessione di Heidegger. Nietzsche, Freud e Marx, di M. Foucault. Artificio (e natura), di S. Givone: l’artificio come medio nel passaggio tra lavoro ed arte. Mito e secolarizzazione nella cultura tardo-moderna, di C. Formenti. La natura costruibile: rinaturizzazione, riruralizzazione, riurbanizzazione, di R. Wiggershaus. Incanto, tecnica e rischio nel mondo moderno. Karl Marx e la seconda creazione, di R. Grundmann: la questione ecologica alla luce della critica globale del capitalismo e della critica radicale di ragione e scienza, che trova espressione nel fondamentalismo ecologico. Proust e Lukács su Flaubert. Sulla dissoluzione della forma-romanzo, di F. Fortini. Situazione, di F. Jarauta: considerazioni sulla nostra epoca. Concezioni dell’eguaglianza e pregiudizio sessuale nelle teorie liberali della giustizia, di F. Miucci: le teorie liberali della giustizia, in relazione al concetto di imparzialità, sembrano imporre un’astrazione dai caratteri personali, sociali e culturali dell’esperienza individuale che genera discriminazione. “Fare verità”. Una forma del pensiero biblico, di M. C. Laurenzi; Teologia nella crisi. Figure contigue non comunicanti, di G. Bonola; Scrittura biblica e scrittura filosofica, di P. C. Bori: questi tre interventi trattano il tema del rapporto tra pensiero filosofico e il pensiero proveniente dalla verità biblica. Se il pensiero del nostro secolo sembra aver scisso il rapporto tra piano veritativo, proprio della Bibbia, e piano filosofico, riducendo la Sacra Scrittura a mera origine della cultura occidentale, l’ermeneutica contemporanea ripropone la questione se la scrittura biblica sia da archiviare o rappresenti piuttosto ancora un problema per la nostra cultura. Gli interventi spaziano da un confronto con la teologia di Barth alle riflessioni su Rosenzweig e Heidegger. I sentieri di Bateson, di R. De Biasi: recensione di G. Bateson, A sacred unity. Further steps to an ecology of mind (Un’unità sacra. Ulteriori passi verso un’ecologia della mente, Harper Collins, New York 1991). La mente incarnata, di G. Leghissa: recensione di F. J. Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza (Feltrinelli, Milano 1991). Sulla destinazione, di S. Petrosino: la figura della destinazione attraverso la tematizzazione operata da Derrida. La morte, la parola, lo spettro. Nota su Jacques Derrida, di F. Cassinari. 83 RASSEGNA DELLE RIVISTE CON-TRATTO Anno III, n. 1-2, ottobre 1994 Il Poligrafo, Padova Una parte della rivista è dedicata al tema: “Metafisica della comunità: il bonum commune in San Tommaso d’Aquino e nella scuola tomista”, a cura di V. Possenti. L’altra parte è dedicata al tema: “Carl Schmitt: simbolo tra teologia e politica”, a cura di C. Bonvecchio. L’obbligo per legge, il governo e il bene comune: considerazioni metafisiche in Tommaso d’Aquino, di S. L. Brock: la nozione di obbligo in Tommaso. L’idea di bene comune nella filosofia politica di J. Maritain, di R. Gatti. Le insidie al bene comune nel ‘De Regno’ di S. Tommaso d’Aquino, di L. Perotto: l’operetta scritta da Tommaso per il sovrano di Cipro nel 1266. La questione del bene comune, di V. Possenti: le linee principali della teoria del bene comune e la sua presenza nel pensiero contemporaneo. La metafisica del bene comune e l’etica della solidarietà, di R. Spiazzi: il cardine filosofico e teologico della dottrina sociale della Chiesa basato sul concetto tomista di “Sommo Bene”. Il Bonum Commune nella ‘Summa Theologiae’ “. Brani antologici, a cura di E. Morandi. La teoria politica del mito, di C. Schmitt. Imperium e imperator in Carl Schmitt: spunti di teologia politica, di C. Bonvecchio: le ragioni che spiegano la reticenza di Schmitt sul tema dell’imperialità. La nudità simbolica. Un’interpretazione della schmittiana “ex captivitate salus”, di T. Tonchia. Primato e rappresentazione: una riflessione su cattolicesimo romano e forma politica, di G. Parotto: la Chiesa cattolica come modello politico paradigmatico in Schmitt. Il romanticismo politico e lo stato fondamentale del filosofare. Heidegger e Carl Schmitt a confronto, di R. Panattoni: il ripensamento fondamentale della modernità in questi due autori. SEGNI E COMPRENSIONE Anno VIII, n. 23, settembre-dicembre 1994 Capone Editore, Lecce L’etica del discorso di fronte alla sfida della filosofia latino-americana della liberazione, di K. O. Apel. Filosofía como arte y experiecia de la vida, di D. Innerarity. L’etica della liberazione di fronte all’etica del discorso, di E. Dussel. Tre teorie sulle emozioni: cognitiva, fenomenologica e comportamentistica (II), di A. Malo. G. H. Mead e l’intenzione di una psicologia “scientifica”, di R. M. Calcaterra: le analisi di Mead sulla coscienza soggettiva. Comunicazione, mass media e critica della ideologia: la filosofia del linguaggio di Ferruccio Rossi-Landi, di S. Petrilli: le ricerche di un filosofo (1921-1985) che ha aperto nuovi orizzonti nella filosofia del linguaggio e nella semiotica. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER Ungaretti traduttore di se stesso, di C. Testa. Est-il vrai que la science ne pense pas?, di A. Boutot: una riflessione sulla celebre affermazione di Heidegger del 1950: la scienza non pensa. ACTA PHILOSOPHICA L’écriture, di A. Juranville: un’analisi filosofica della scrittura attraverso il contributo della psicanalisi. Vol. III, n. 2, 1994 Armando Editore, Roma Dieu dans la philosophie de Descartes, di N. Grimaldi: l’idea di Dio è un concetto centrale di tutta la filosofia cartesiana e per certi aspetti ne costituisce il fondamento. La ricerca di Dio, secondo Cartesio, non è comunque un movimento dimostrativo che faccia a meno del principio primo della sua filosofia, il cogito. L’articolo esamina le prove cartesiane per la dimostrazione dell’esistenza di Dio e come quest’ultimo problema sia basilare per il principio stesso dell’evidenza. Dieu en la filosofía de Malebranche, di J. L. F. Rodrìguez: secondo Malebranche la nostra conoscenza di Dio è immediata e ciò ci obbliga a rivedere sia le prove a priori che a posteriori, essendo tutte e due discorsive. Ma immediatezza non vuol dire che la nostra conoscenza della Natura Divina sia perfetta. La potenza Divina e tutti gli attributi di Dio non possono essere compresi perfettamente. n. 2, aprile-giugno 1994 PUF, Parigi Tema della rivista: “Pensare? Scrivere?” La “clef” de Job. Pascal: la liberté/le mal, di D. Leduc-Fayette. Actualité de Rosmini, di M. Adam. La notion de samskara, di F. Chenet: recensione di L. Kapani, La notion de Samskara dans l’Inde brahmanique et buddhique (La nozione di samskara nell’India brahmanica e buddista, Institut de civilisation indienne, Parigi 1992), in cui viene analizzata una nozione che rimanda anche a temi fondamentali della filosofia occidentale la natura delle cose, la struttura del reale, la condizione umana nella sua dimensione ontologica. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE n. 3, agosto 1994 Universa, Wetteren J. G. Fichte: l’affermazione dell’Assoluto, di D. Gamarra. Tema della rivista: “Le passioni”. Dio nella modernità: Husserl, di A. Rigobello: l’idea di Dio nel contesto dell’attività costitutiva dell’io fenomenologico; la garanzia intersoggettiva e la garanzia divina; l’istanza di infinito nel compito teleologico della ragione. De la passionalité, di A. Kremer-Marietti: recensione di M. Meyer, La philosophie et les passions. Esquisse d’une histoire de la nature humaine (La filosofia e le passioni. Schizzo di una storia della natura umana, Le livre de Poche, Parigi 1991). Dio e la questione dell’essere in Heidegger, di L. Omera Oñate: l’articolo analizza i temi che si sviluppano nella heideggeriana questione di Dio: l’assenza di Dio nel nostro tempo; il motivo per cui Dio è sparito; la modalità di pensiero che può cercare il Dio nascosto; l’esito del sentiero heideggeriano. Le timbre de l’affect et les tonalités affectives, di H. Parret: la trattazione kantiana della passione nelle tre Critiche e gli orientamenti della fenomenologia husserliana e posthusserliana. Sobre el origen del ser y la nada, di R. Echauri. 84 Action et passion, di M. Wetzel: la coppia azione-passione e la comune sorgente nell’emozione. RASSEGNA DELLE RIVISTE Descartes et Spinoza: de l’admiration au désir, di B. Timmermans: la concezione cartesiana, che considera l’ammirazione come la prima di tutte le passioni, e l’idea di Spinoza, secondo il quale il desiderio è la prima ed essenziale passione, indicano una diversa concezione dell’uomo. Modalisation et modulations passionnelles, di J. Fontanille: la teoria semiotica delle passioni, che ha mutato la concezione di modalizzazione. Le problème des passions chez Saint Thomas d’ Aquin, di M. Meyer. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 57, n. 3, luglio-settembre 1994 Beauchesne, Paris Tema della rivista: “Spinoza, Epicuro, Gassendi”. Épicure et Spinoza: la physique, di P. F. Moreau: lo statuto, il contenuto e l’uso della fisica nei due pensatori. Épicurisme et spinozisme: l’éthique, di L. Bove: epicureismo e spinozismo sono accomunati dalla lotta contro un avversario strutturalmente comune: la concezione dualistica e teleologica della morale, dell’uomo e del mondo e le conseguenze pratiche di questa concezione del mondo. Spinoza, lecteur des Objections de Gassendi à Descartes: la “métaphysique”, di B. Rousset. Épicurisme et saducéisme dans la communauté sépharade d’Amsterdam pendant la première moitié du XVII siècle, di G. Albiac: il pensiero di Uriel da Costa, marrano d’origine spagnola, che mette in discussione la concezione tradizionale dell’immortalità dell’anima. Style épicurien, style spinoziste, di A. Suhamy. Gassendi contre Sponoza selon Bayle: ricochets de la critique de l’âme du monde, di J. C. Darmon: l’analisi della nota A dell’articolo “Spinoza” del Dizionario storicocritico di Bayle, importante per la storia dell’interpretazione dello spinozismo, perché in esso si trova un riferimento ad una dottrina poco conosciuta di Gassendi, quella dell’anima del mondo. Spinoza “athée & épicurien”, di J. Lagreé: l’articolo intende delineare l’origine della formula “ateo ed epicureo”, usata per definire in maniera dispregiativa la concezione religiosa di Spinoza. DAIMON n. 7, 1993 Università di Murcia, Murcia INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXIV, n. 2, giugno 1994 Fordham University, New York Tema della rivista: “L’illuminismo”. Qué es las Ilustracion?, di M. Foucault: un inedito. La justicia en Kant, di R. Brandt: la giustizia all’interno dell’etica kantiana non è analizzata come una virtù specifica, anche se l’etica esposta nelle tre Critiche dipende in realtà proprio da una giustizia distributiva di Dio e la stessa istituzione giuridica dello Stato è descritta come giustizia pubblica. Kant: Ilustrción jurídica versus razón de Estado, di J. Villacañas. Gleichzeitigkeit des Ungleichzeitigen: zur Frühen Lessingrezeption bei Friedrich Schlegel, di R. Münster: la recezione di Lessing da parte di Schlegel come tentativo di risoluzione della crisi della modernità. El concepto de “Bildung” en el primer romanticismo alemán, di D. Sánchez Meca: l’attualità della cultura del Romanticismo coincide con l’esigenza di un assoluto inerente alla condizione umana al di là della trascendenza ontologica; il concetto di Bildung in questa prospettiva si inscrive perciò all’interno di una dialettica finito-infinito. De Sade o la subversión de/en la Ilustración, di G. Mayos. La dialéctica hegeliana de la Ilustración, di C. Aranda Torres: la funzione della nozione speculativa di Illuminismo nella dialettica della Fenomenologia dello Spirito, come episodio della soggettività astratta dello spirito. La Ilustración y el problema del pasado. La reflexión de Nietzsche en torno a la memoria y el olvido, di R. Avila Crespo: l’articolo intende collocare la figura di Nietzsche all’interno della cornice dell’Illuminismo alla luce di due chiavi di lettura: il significato della figura di Zharatustra e l’attitudine del filosofo al passato ed alla memoria. “Nuestro más actual pasado”. Foucault y la Ilustración, di F. Vazquez García. Habermas y el universalismo moral, di A. Prior Olmos: relazioni tra l’etica del discorso di Habermas e l’universalismo morale, soprattutto nella sua forma kantiana. De la crisis de la racionalitad a la racionalidad de la crisis. Una nota sobre G. Vico, di J. M. Sevilla: categorie vichiane per la comprensione della modernità. John Toland et l’épicuisme, di P. Lurbe. 85 The neoscholastic analysis of freedom, di J. M. McDermott: la concezione della libertà umana proposta dalla neoscolastica. Human nature and moral understanding in Xunzi, di P. J. Ivanhoe: la diversità tra la concezione morale del filosofo cinese Xunzi (310 - 219 a. C), basata sul concetto di cattiveria dell’uomo, e quella di Mencius (391 - 308 a.C), secondo cui la natura dell’uomo è buona. Unity and university: the neo-humanist perspective in the age of post-modernism, di G. K. Beker. Knowledge, skepticism and the diallelus, di D. Jacquette. Moral philosophy as a hermeneutics of moral experience, di P. J. M. Van Tongeren: partendo dal presupposto che l’etica è un’ermeneutica dell’esperienza morale, l’articolo vuole chiarire cosa sia il soggetto dell’etica ed in quale modo esso proceda. The body comes all the way up, di R.P. Doede: l’analisi della posizione del corpo nello sviluppo della mente umana secondo Michael Polanyi. Spinoza and the problem of suicide, di S. Barbone e L. Rice. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXXII, n. 2, aprile 1994 University of St. Louis, St. Louis Aristotle’s natural slaves: incomplete praxeis and incomplete human beings, di E. Garver: la questione aristotelica della naturalità della schiavitù a partire dal concetto di necessità della schiavitù e dell’esistenza di uomini naturalmente schiavi. Locke on the intellectual basis of sin, di V. Chappell: le obiezioni di Molyneux alla posizione di Locke nella prima edizione del Saggio. Intellect and illumination in Malebranche, di N. Jolley. Hume’s ‘Dissertation on the passions’, di J. Immerwahr: la Dissertazione del 1757 è una delle opere più ignorate di Hume, ma fornisce interessanti spunti per la comprensione dell’estetica e della teoria dell’origine della religione. RASSEGNA DELLE RIVISTE Hegel contra Hegel in his Philosophy of Right: the contradictions of international politics, di A. Peperzak. Reinterpreting Ryle: a nonbehavioristic analysis, di S. M. Park: sulle diverse interpretazione di Ryle come behaviorista ontologico e logico con un’analisi non behaviorista della teoria del linguaggio di Ryle. JOURNAL OF THE HISTORY OF IDEAS Vol. 55, n. 3, luglio 1994 Hopkins University Press, Baltimore The making of a social ethic in latemedieval England: from gratitudo to “kyndenesse”, di A. Galloway. Adam’s noble children: an early modern theorist’s concept of human nobility, di A. Arriaza: il concetto di nobiltà in Moreno de Vargas, filosofo del XVII secolo. Jonathan Richardson, Thomas Gray and the genealogy of art, di D. Mannings: analisi della Teoria della pittura, pubblicata da Richardson nel 1715, dove viene compilato un interessante elenco dei maggiori pittori di tutti i tempi. Palingénésie philosophique to palingénésie sociale: from a scientific ideology to a historical ideology, di A. McCalla: l’articolo esamina una particolare ideologia scientifica, la teoria della palingenesi nel filosofo svizzero C. Bonnet (1720-1793), in rapporto alla teoria della palingenesi sociale di P. S. Ballanche (1776-1847). The bishop-eaters: the publicity campaign for Darwin and ‘On the origin of species’, di E. Caudill. Durkheim on occupational corporations: an exegesis and interpretation, di M. J. Hawkins: la celebre dottrina di Durkheim nel corso del suo sviluppo. IL CANNOCCHIALE (n. 1/2, gennaio- agosto 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) affronta il tema: “Sulla tradizione”, e contiene una serie di saggi inediti, in cui viene affrontato il problema dell’intraducibilità, sostenuto da chi intende difendere la pluralità delle culture, e della necessità del tradurre, sostenuto da chi è consapevole dell’intrinseca dinamicità delle culture. Se la traduzione è oggi un elemento portante della nostra civiltà, si pone il problema del valore extralinguistico e non semplicemente comunicativo della traduzione, cioè il problema delle condizioni di possibilità della traduzione. Il fascicolo è suddiviso in quattro sezioni: “La tradizione”, “È possibile tradurre?”, “Che cosa significa tradurre?”, “Il lavoro del traduttore”. INTERSEZIONI (Anno XVI, n. 2, agosto 1994, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di G. Scarpelli dal titolo: Bergson e la techne. Le origini della precisione, in cui si delinea il legame tra l’elaborazione teoretica di Bergson e la tradizione filosofica greca, relativa, in particolare, all’introduzione della matematica e della tecnica come strumenti attraverso cui i greci hanno trasformato il mondo visibile naturale in un mondo manipolabile e scomponibile. Appare inoltre: Esistenzialismo e neurobiologia: complementarietà, di C. U. M., Smith in cui si delinea come l’analisi esistenzialistica dell’esperienza umana concordi e sia complementare a quella fornita dalle neuroscienze. PRATICA FILOSOFICA 3 (CUEM, Mila- no) presenta un numero monografico sul tema: “Tra Benjamin e Kafka”, a cura di G. Scaramuzza. Il fascicolo raccoglie i saggi relativi ad interventi ad un seminario sulla lettura di Kafka da parte di Benjamin, tenuti nell’anno accademico 1993/94. Scopo di questi interventi è stato non solo fornire una serie di contributi per la discussione degli scritti di Benjamin su Kafka, ma anche ricostruire il dibattito fiorito attorno ad essi. RO SMI N IA N A (Anno LXXXVIII, n. 3, luglio-settembre 1994, Centro Internazionale Studi Rosminiani) presenta un intervento di M. L. Facco: Metafisica, logica e matematica, alcune prospettiva a confronto: Leibniz, Boole, Rosmini. Segnaliamo inoltre: L’esposizione dei testi pneumatologici neotestamentari nell’Antropologia soprannaturale di Rosmini, di G. Ferraro. RI V I STA Lighthouse bodies: the neutral monism of Virginia Woolf and Bertrand Russell, di J. A. Wood. Ortega and ecological philosophy, di W. Kim Rogers: il ruolo, nella storia della filosofia, di Ortega Y Gasset come iniziatore di un nuovo approccio ecologico, che ha costituito la base del moderno approccio al problema ecologico. FILOSOFIA OGGI (Anno XVII. n. 67, luglio-settembre 1994, L’arcipelago, Genova) presenta un articolo di G. Galeazzi, L’opera completa di Jacques Maritain, in cui, presentando i primi tredici volumi dell’opera di Jacques e Raissa 86 Maritain (Editions Universitaires e Editions Saint Paul, Friburgo, Parigi 19861993), si mette in evidenza l’importanza dell’appello alla ragione proposto dal filosofo per risolvere la crisi della contemporaneità. HERMENEUTICA 1994 (Morcelliana, Brescia) presenta un intervento di M. Bozzetti, Le prove dell’esistenza di Dio come paradigma del sistema hegeliano. Segnaliamo inoltre: Il “Dio della metafisica” secondo Heidegger, di A. Pieretti, e Dire Dio in prospettiva atea. Sartre e la fenomenologia della preghiera, di S. Miccoli. RI V I STA D I PSI CO LO GI A (Anno LXXVIIII, n. 1/3, gennaio-dicembre 1994, Il Poligrafo, Padova) presenta i riassunti delle comunicazioni al XIII Congresso della Divisione di Ricerca di Base in Psicologia (Padova, 29-30 settembre 1994) FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VIII, n. 2, maggio-agosto 1994, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un numero monografico dal titolo: “Ebraismo e modernità”. Tra gli altri segnaliamo l’articolo di A. Klein, Cabbala ebraica. “Pia philosophia” e modernità, in cui, pur rilevando come il carattere teosofico-speculativo della Cabbala ebraica sia antitetico al carattere empirico-pragmatico della modernità, si sottolinea come la sua presenza nella tradizione culturale occidentale abbia indirettamente contribuito a consolidare alcune importanti conquiste della modernità, quali la critica al principio di autorità, la tolleranza, il pluralismo. AESTHETICA (n. 41, agosto 1994, Cen- tro Internazionale Studi di Estetica, Palermo) presenta un numero monografico dal titolo: Strategie macro-retoriche: la “formattazione” dell’evento comunicazionale. DIALEKTIK (n. 3, 1994, F. Meiner Ver- lag, Amburgo) presenta un numero monografico dedicato alla filosofia della matematica. Segnaliamo: Naturalism in der Philosophie der Mathematik?, di H. P. Schütt; Was ist und was soll die Abstraktion?, di P. Simons; Empirismus und die Bedeutung matematischer Zeicher, di M. Emödy; Die intensionalität der Göde lschen Theoreme, di R. Rheinwald; Mechanisches Rechnen und reflektierendes Denken in der Mathematik, di U. Majer; Mathematics, infinity and the physical world, di M. Arsenijevic; Zum Verhältnis von Objektkonstitution und Darstellung in der Mathematik im Anschluss an Henri Poincaré di G. Heinzmann; Arithmetik: ein A priori der Erfahrung?, di H. Tetens. NOVITÀ IN LIBRERIA AA. V.V. Metzler Philosophen Lexikon. Dreihundert biographisch-werkgeschichtliche Porträts von den Vorsokratikern bis zu den Neuen Philosophen Metzler, novembre 1994 pp. 858, DM 39,80 AA.VV Neue Realitäten: Herausforderungen der Philosophie. Akademie Vlg., ottobre 1994 pp. 450, DM 98 Il volume raccoglie i testi delle conferenze e dei colloqui del XVI Deutscher Kongress für Philosophie, tenutosi a Berlino nel settembre del ’93. Le “nuove realtà” della società, della politica, della cultura e della situazione europea vengono trattate nel corso di discussioni filosofiche, contributi delle scienze neurologiche e della cognizione, delle scienze che si occupano della struttura dei sistemi dinamici e delle discipline importanti per lo studio e l’esame scientifico della mente e dello spirito umani. AA.VV. Friedrich Nietzsche: Werke auf CD-ROM de Gruyter, novembre 1994 DM 2.000 Tutte le opere ed i testi non pubblicati di Nietzsche, sulla base della Kritische Gesamtausgabe (KGW) sono disponibili su CD-ROM. Il testo viene gestito dal programma Folio (VIEWS). E’ necessario avere un pc IBM compatibile con 512 KB di RAM (si consiglia 1 MB) o un Macintosh, con il drive per CD-ROM. Aceti, Enrico Abitare la soglia Tranchida, novembre 1994 pp. 130, L. 28.000 Sostare tra i linguaggi e i saperi significa comprendere gli opposti, ritrovando l’origine di una rappresentazione del mondo che arbitrariamente usiamo per discriminare fra realtà e immaginario, tra scienza e arte. Alesse, Francesca Panezio di Rodi e la tradizione stoica Bibliopolis, novembre 1994 pp. 312, L. 35.000 Panezio di Rodi rappresenta un punto cruciale nella storia del pensiero stoico: successore di Antipatro e spettatore delle grandi dispute tra la sua scuola e l’Accademia di indirizzo scettico, a lui si debbono modificazioni della dottrina che gli valsero nell’antichità il riconoscimento di un notevole prestigio e di una grande autorità. Tali modificazioni, tuttavia, specie per quel che riguarda il pensiero morale, sono state spesso sottovalutate dagli interpreti moderni, che vi hanno visto non molto più che un compromesso fra il rigorismo dell’antica Stoa e la maggiore “flessibilità” di altre tradizioni filosofiche. NOVITÀ IN LIBRERIA Althusser, Louis Ecrits philosophiques et politiques vol. I Stock, novembre 1994 pp. 580, F 198 Il volume è composto da tre parti: gli “Scritti giovanili” (1946-1952), gli “Scritti sulla crisi del marxismo” (1972-1978); gli “Ultimi scritti” (1982-1986), redatti dopo la morte della sua compagna, Hélène, e che elaborano una nuova teoria filosofica, il materialismo aleatorio. Bartels, Andreas Bedeutung und Begriffsgeschichte. Die Erzeugung wissenschaftlichen Verstehens Schöningh, novembre 1994 pp. 350, DM 68 Amadio, Carla Fichte e la dimensione estetica della politica. A Partire da “Sullo spirito e la lettera nella filosofia” Guerini, novembre 1994 pp. 128, L. 25.000 Gli elementi più significativi del contributo fichtiano al dibattito attorno al nesso fra dimensione estetica, intesa quale primo avvertirsi dell’io nella sua libertà e la sfera politica, proposta quale spazio della relazione fra le libertà. Béchilon, Denys de (a cura di) Les Défis de la complexité: vers un nouveau paradigme de la conaissance. Groupe de réflexions transdisciplinaires L’Harmattan, ottobre 1994 pp. 211, F 120 Le sfide della complessità sono quelle di un equilibrio delicato: pensare senza ridurre e pensare senza perdersi. L’idea della complessità attraversa il pensiero contemporaneo e porta lo scompiglio in molte rappresentazioni antiche. Ma non tutti i pericoli sono scongiurati. Esistono resistenze un po’ dappertutto, che immobilizzano, deformano o manipolano la conoscenza. Basso, Maria Luisa Filosofia dell’esistenza e storia. Karl Jaspers e Nikolaj Berdjaev Clueb, novembre 1994 pp. 188, L. 23.000 Saggio sulla filosofia della storia di Jaspers e Berdjaev. Amery, Carl Die Botschaft des Jahrhunderts. Von Leben, Tod und Würde List, novembre 1994 pp. 178, DM 34 Questo secolo sta terminando e Carl Amery si chiede quale sia l’eredità che ci ha lasciato. Rispondendo a questa domanda, l’autore ritorna al lavoro della filosofia verde e sostiene che essa debba essere di nuovo posta al vertice delle problematiche attuali, a causa dell’urgenza di provvedimenti in questo senso e dopo anni di rimozione, dovuta alle cosiddette attualità politiche. Beierwaltes, Werner Eriugenia. Grundzüge seines Denkens Klostermann, ottobre 1994 pp. 364, DM 138 Giovanni Scoto Eurigena è una figura di rilievo del pensiero speculativo dell’alto Medioevo; filosofia e teologia vengono concepite in un rapporto di unità da affermare e consolidare argomentativamente e che viene relizzato molto compiutamente nelle opere di questo autore. Aristotele Fisica a cura di Luigi Ruggiu Rusconi, novembre 1994 pp. 500, L. 16.000 Il divenire dell’universo in tutte le sue componenti: dai moti dei singoli pianeti e delle varie regioni del cielo fino agli elementi sensibili che costituiscono la Terra. Bellebaum, Alfred (a cura di) Vom guten Leben. Glücksvorstellungen in Hochkulturen Akademie-Vlg., novembre 1994 pp. 200, DM 68 Il libro si occupa dei desideri e delle idee di felicità delle grandi culture che hanno condizionato il nostro tempo e la nostra cultura: l’Egitto, l’Ebraismo, la Cina, l’India ed il Giappone. Audretsch, J. - Mainzer Kl. (a cura di) Philosophie und Physik der Raum-Zeit Bl-Wiss.-Vlg., ottobre 1994 pp. 232, DM 38 87 Benoist, Jecelyn Autour de Husserl: l’ego e la raison Vrin, ottobre 1994 pp. 319, F 198 Si tratta di una serie di saggi indipendenti uno dall’altro, che coprono un arco di sette anni. L’autore si interroga nel senso dello statuto della soggettività fenomenologica, che si radica nella tradizione della scuola francese di fenomenologia. Birnstein, U. - Lehmann, K.-P. (a cura di) Phänomen Drewermann. Politik und Religion einer Kultfigur Eichborn, novembre 1994 pp. 176, DM 24,80 Profeta, eretico o ciarlatano? Due protestanti analizzano il sistema di pensiero del famoso critico della chiesa, il quale è adorato ciecamente dai suoi discepoli e tacciato di essere un eretico dai suoi nemici clericali. Non si tratta di un appassionato pamphlet cattolico, ma di una critica attenta ad un capo religioso. Bobbio, Norberto Elogio della mitezza e altri scritti morali Ed. Linea d’ombra, novembre 1994 pp. 208, L. 15.000 Una serie di considerazioni filosofiche che possono aiutarci a capire cosa sta succedendo nella nostra società e guidarci nelle scelte che siamo costretti a fare ogni giorno. Elogio della mitezza e altri scritti morali è una raccolta di testi apparsi, dal 1960 al 1994, in edizioni fuori commercio, interventi a convegni e dibattiti, lezioni tenute in varie occasioni. Boelderl, Artur R. Alchimie, Postmoderne und der arme Hölderlin. Drei Studien zur philosophischen Hermeneutik Passagen-Vlg., novembre 1994 pp. 144, DM 46 Böhler, D. (a cura di) Ethik für die Zukunft. Im Diskurs mit Hans Jonas C.H. Beck, ottobre 1994 pp. 450, DM 48 Questo volume contiene contributi di e su Hans Jonas e documenta la vivace discussione sollevata dal pensiero di questo importante filosofo e protagonista dell’etica dell’era tecnologica. Böhme, Gernot Weltweisheit, Lebensform Wissenschaft. Eine Einführung in die Philosophie Suhrkamp, novembre 1994 pp. 400, DM 27,80 Böhringer, Hannes Six conférence en philosophie brute Ed de la Villette, ottobre 1994 F 45 “Filosofia bruta: etimologia forzata, filosofia alla Jean Dubuffet... disegnare con la mano sinistra e pensare con la mano destra, ad occhi chiusi.” Si tratta di conferenze tenute in lingua francese NOVITÀ IN LIBRERIA da H. Böhringer, professore di psicologia alla Gesamthochschule di Kassel ed alla Ecole d’Architecture di Parigi-La Villette nel ’92-93. Bondolfi, Alberto (a cura di) Mensch und Tier. Ethische Dimensionen ihres Verhältnisses Universitäts-Vlg., ottobre 1994 pp. 180, DM 32 Borsche, T. - Gerratana, F. Venturelli, A. (a cura di) ’Centauren-Geburten’. Wissenschaft Kunst und Philosophie beim jungen Nietzsche de Gruyter, novembre 1994 pp. 545, DM 280 Si tratta delle relazioni tenute nel corso del convegno su Nietzsche di Urbino, nel marzo del ’92. La maggior parte delle relazioni è in lingua tedesca. Borutti, Silvana - Papi, Fulvio Confini della filosofia. Verità e conoscenza nella filosofia contemporanea Ibis, novembre 1994 pp. 251, L. 28.000 Raccolta di interventi sul problema della conoscenza e della verità. Saggi di A. Badiou, G.G. Granger, M. Ruggenini, G. Semerari, C. Sini, V. Vitiello e altri. Bouquiaux, Laurence L’Harmonie et le chaos: le rationalisme leibnizien et la nouvelle science Peeters: Institut supérieur de philosophie, ottobre 1994 pp. 327, F 247 Pochi sistemi filosofici si prestano con così tanta compiacenza come quella presente nel sistema di Leibniz alla pluralità di interpretazioni. Filosofo del panlogismo o del panmatematismo per alcuni, Leibniz è per altri un metafisico teso a conservare alle interrogazioni metafisiche la loro specificità, la loro irreducibilità. Il volume getta luce sui testi leibniziani. Braun, Hans-Jürgen (a cura di) Solidarität oder Egoismus. Studien zu einer Ethik bei und nach Ludwig Feuerbach sowie eine kritisch revidierte Edition ’Zur Moralphilosophie’ (1868), besorgt von W. Schuffenhauer Akademie-Vlg., ottobre 1994 pp. 454, DM 68 Lo stato attuale della ricerca su Feuerbach viene documentato da questo volume, così come dai due precedenti libri. Brisson, Luc Platon, les mots et les mythes: comment et pourquoi Platon nomma le mythe La Découverte, ottobre 1994 pp. 256, F 155 Il volume presenta le interpretazioni del mito in Platone, basandosi su di un’inchiesta lessicologica sulla frequenza del muthos e dei suoi derivati e composti. Si tratta di una nuova edizione rivista ed aggiornata di questo libro. Brunner, Reinhard Fragmentierung der Vernunft. Rationalitätskritik im 20. Jahrhundert Campus, ottobre 1994 pp. 400, DM 84 Il fenomeno del “rendere concreto” ed anche dell’”oggettivazione” è diventato un importante tema filosofico nel corso dell’epoca moderna. Chevalier, Jean Les Voies de l’au-delà Félin, novembre 1994 pp. 361, F 145 Le rivelazioni delle religioni, i pensieri dei filosofi, dei razionalisti e dei dotti convergono in direzione di questa rassicurazione: la morte non si capisce se non in relazione alla vita e si iscrive nella relatività complessa dell’universo. Bruno, Giordano Le Souper des cendres a cura di Giovanni Aquilecchia pref. di Adi Ophir trad. di Yves Hersant Belles lettres, novembre 1994 pp. 394, F 240 Quest’edizione bilingue dei cinque dialoghi, in cui Giordano Bruno propone una triplice riflessione: sullo stato dell’universo, sullo stato di Inghilterra e sullo stato dei discorsi, si rivela essere la sua cosmologia, in cui egli si muove ai limiti della vita che si sviluppa nelle strade di Londra, ne abbozza il racconto e sferza un attacco ai sapienti di Oxford, alla loro scienza ed alla loro retorica aristoteliche. Cicchitti, Mario Materia e spirito. Saggio sulla realtà della ragione e della fede Nuovi autori, novembre 1994 pp. 304, L. 24.000 Teoria esistenziale sull’uomo, sul tempo fisico e psichico nella sua dinamica sino alla trascendenza dagli atti umani. Cleary, Thomas (a cura di) La saggezza di Confucio Mondadori, novembre 1994 pp. 160, L. 8.000 Riflessioni sul pensiero del grande filosofo cinese. Colli, Giorgio Nature aime se cacher tr. dall’italiano di Patricia Farazzi Eclat, ottobre 1994 pp. 352, F 200 Per quello che riguarda il pensiero dei primi Greci, bisogna innanzi tutto, secondo quanto sostiene Colli in questa sua opera pubblicata per la prima volta nel ’48, sbarazzarsi di “quasi tutta la critica moderna che interpreta i presocratici sulla base di ciò che Aristotele crede di aver capito di loro.” Burri, Alex Hilary Putnam Campus, novembre 1994 pp. 150, DM 24,80 Questa introduzione inserisce le problematiche del pensiero di Putnam nel contesto storico e sistematico ed illustra il suo “realismo interno”, elaborato nel corso degli anni ’80, con cui cerca di integrare i problemi della filosofia moderna all’interno di un tutto sistematico. Cardini, Franco Il limbo delle modernità Guaraldi, novembre 1994 pp. 160, L. 25.000 Critica alla modernità che contrabbanda il conformismo “belante e strisciante” per il suo contrario. Courtine-Denamy, Sylvie Hannah Arendt Belfond, ottobre 1994 pp. 435, F 150 Nessuno degli avvenimenti tragici e decisivi per l’uomo di questo secolo non fu considerato dal pensiero appassionato di Hannah Arendt. L’autrice di questo libro, dopo una presentazione centrata sull’identità e sulla memoria, riassume e commenta i diciotto titoli che compongono l’opera di questa personalità dalle molte sfaccettature. Casini Paolo Scienza, utopia, progresso. Profilo dell’illuminismo Laterza, novembre 1994 pp. 90, L. 9.000 Saggio sui valori e le idee degli illuministi e sul segno che hanno lasciato nella nostra storia e nella nostra mentalità. Coutagne, Marie-Jeanne (a cura di) L’Action: une dialectique du salut Lettre Jean Paul II Beauchesne, novembre 1994 pp. 292, F 120 Nel momento in cui la filosofia contemporanea si domanda se la questione principale non sia quella di sapere se la libertà è compatibile con il determinismo, la lettura di Maurice Blondel, che non offre né etica né critica separate, insegna che l’azione dell’uomo si eleva alla dignità se è dotata di uno statuto metafisico. Si tratta degli interventi del Colloque du centenaire, tenutosi a Aix-en-Provence nel marzo del ’93. Cauquelin, Anne Aristote Seuil, ottobre 1994 pp. 201, F 65 Viene tracciato il ritratto del filosofo, a partire dalle sue opere: i luoghi, gli incontri, gli episodi di una vita caratterizzata da sconfitte ed esili. Cherniavsky, Vladimir Die Virtualität. Philosophische Grundlagen der logischen Relativität Kovac, novembre 1994 pp. 350, DM 108 88 Daddesio, Thomas C. On Minds and Symbols. The Relevance of Cognitive Science for Semiotics Mouton de Gruyter, novembre 1994 pp. 263, DM 148 Secondo l’autore, l’antimentalismo nella semiotica corrisponde al diffuso scetticismo nei confronti dei concetti mentali, da cui furono influenzate la filosofia e la psicologia, nel corso del XX secolo. Dami, Roberto I tropi della storia. La narrazione nella teoria della storiografia di Hayden White Angeli, novembre 1994 pp. 192, L. 26.000 I problemi della storia e della storiografia si risolvono tutti all’interno dell’impianto narrativo del discorso; l’essenza della scienza storica consiste esclusivamente, o quasi, nella qualità specificatamente narrativa dei suoi prodotti. Sulla base della strategia prefigurativa topologica quadripartita, formula quattro modi di intreccio e quattro di argomentazione storica, base di un protocollo linguistico con cui prefigurare il campo storico. Daub, U. - Wunder, M. (a cura di) Des Lebens Wert. Zur Diskussion über Euthanasie und Menschenwürde Lambertus, novembre 1994 pp. 140, DM 24 De Rijk, L.M. Nicolas of Autrecourt. His Correspondence with Master Giles and Bernardo of Arezzo. A Critical Edition from the Two Parisian Manuscripts with an Introduction, English Translation, Explanatory Notes and Indexes E.J. Brill, ottobre 1994 pp. 292, FOL 150 Decharneux, Baudoin L’Ange, le devin et le prophète: chemins de la parole dans l’oeuvre de Philon d’Alexandrie dit le Juif Université de Bruxelles ottobre 1994 pp. 159, F 120 Filone d’Alessandria, che si situa all’incrocio tra la filosofia greca e quella alessandrina, ha sviluppato, all’alba dell’era cristiana, un pensiero originale imperniato su di una lettura allegorica ed una comprensione platonica dell’Antico Testamento tradotto in lingua greca. Dixsaut, Monique Proust, Françoise (a cura di) Rue Descartes, n° 11 Foucault dix ans après Penser en Nietzsche Albin Michel, novembre 1994 pp. 168, F 120 La prima parte del libro raggruppa tre articoli sull’opera di Michel Foucault; il secondo gruppo di articoli è consacrato all’opera di Jeanne Delhomme ed alla sua interpretazione dell’opera di Nietzsche. NOVITÀ IN LIBRERIA Ducamp, Jacques Histoire de la pensée occidentale à partir des grandes philosophie: Antiquité et Moyen Age Mame, novembre 1994 pp. 71, F 55 Questo libro, consacrato al periodo dall’Antichità fino al XIV secolo incluso, cerca di definire le basi concettuali che saranno poi della filosofia occidentale, insistendo in particolar modo sui due orientamenti principali: quello platonico e quello aristotelico. Dumont, Fernand Le Lieu de l’homme: la culture comme distance et mémoire Bibliothèque québécoise ottobre 1994 pp. 296, C$ 10,95 Che cos’è l’uomo? Che cos’è la cultura? In questa sua opera fondamentale, apparsa nel 1968, F. Dumont ripropone queste domande già poste da sempre dalla filosofia, dalle religoni, dalla storia e, recentemente, anche dalle scienze dell’uomo. L’autore rimane però lontano dalle ideologie e dalle mode intellettuali. Dupuis, Michel (a cura di) Levinas en contrastes pref. di Paul Ricoeur De Boeck-Wesmael, ottobre 1994 pp. 202, F 160 Sono qui raccolti i contributi di filosofi dai diversi orizzonti che forniscono numerosi punti di vista sui testi e le opere di questo filosofo. Gli interventi si sviluppano sia sulla base di un tema problematico che accomuna diversi testi sia a partire da un testo a cui si richiede di rivelare delle supposizioni di minor portata. Durst, David C. Zur politischen Ökonomie der Sittlichkeit bei Hegel und der ästhetischen Kultur bei Schiller Passagen-Vlg., novembre 1994 pp. 232, ÖS 49,80 Dworkin, Ronald Die Grenzen des Lebens. Abtreibung, Euthanasie und persönliche Freiheit Rowohlt, ottobre 1994 pp. 416, DM 48 Questa citazione illustra le concezioni dell’autore rispetto a temi importanti come l’aborto, l’eutanasia e la libertà individuale: “Quando una creatura umana acquisisce interessi e diritti? Dobbiamo considerare la vita di un feto come qualcosa di sacro, sia che il feto abbia o meno degli interessi?” Eichenberg, R. - Gerlach, H.-M. Schmidt, J. (a cura di) Nietzsche-Forschung. Eine Jahresschrift vol. I Akademie Vlg., novembre 1994 pp. 350, DM 84 Questa nuova pubblicazione annuale, voluta dalla Förder- und Forschungsgemeinschaft Friedrich Nietzsche, si occuperà di tutte le questioni legate alla filosofia nietzschiana ed al suo influsso, considerando le nuove tendenze della critica, in modo aperto e non legato a nessuna scuola in particolare. Falkenburg, B. (a cura di) Naturalismus in der Philosophie der Mathematik? Meiner, novembre 1994 pp. 187, DM 36 Fassò, Guido La filosofia del diritto dell’Ottocento e del Novecento Mulino, novembre 1994 pp. 360, L. 36.000 Sommario: Le teorie della codificazione; Gli utilitaristi inglesi; La filosofia giuridica postkantiana; Hegel; Le dottrine socialiste; Gli irrazionalisti; Il positivismo; Il diritto nella filosofia del primo Novecento; Le dottrine nordamericane; Le teorie giuridiche dei regimi totalitari. Eisler, Rudolf Kant Lexikon a cura e trad. dal tedesco di Anne-Dominique Balmès e Pierre Osmo Gallimard, ottobre 1994 pp. 1104, F 250 Si tratta di un dizionario di tutte le nozioni ed i concetti kantiani, spiegati tramite i testi dell’autore stesso e presentati nell’ordine cronologico della loro redazione. Questa edizione non si è accontentata di prendere il Lexikon nella sua forma originale: la scelta delle nozioni è stata riattualizzata ed i testi sono stati ritradotti. Faye, J et al. (a cura di) Ligic and Casual Reasoning Akademie-Vlg., novembre 1994 pp. 300, DM 98 Il volume contiene quindici saggi inediti ed un’introduzione ai principali approcci alla logica causale ed alle sue interpretazioni. Gli autori del libro sono logici, filosofi, statisti e studiosi di informatica. Ellul, Jacques - Chastenet, Patrick Jacques Ellul, un penseur libre: entretiens avec Patrick Chastenet Table ronde, ottobre 1994 pp. 110, F 250 Si tratta di un viaggio in compagnia dell’autore, ma anche di un dialogo, a volte critico, tra il maestro ed il suo discepolo. Jacques Ellul, non avendo redatto le sue memorie, ci lascia in questo libro delle confidenze che hanno il valore di un testamento intellettuale. Faye, Jean-Pierre Le Piège: la philosophie heideggerienne et le nazisme Balland, novembre 1994 F 135 Il libro mette in evidenza l’implicazione filosofica di Heidegger per il Reich nazista, con le sue dissimulazioni e le sue scaltrezze, fino agli effetti filosofici contemporanei. Emanuele, Pietro Plebe, Armando Filosofi senza filosofia Laterza, novembre 1994 pp. 160, L. 20.000 Come nel passato i filosofi non si curarono dell’avvento del nazismo, così oggi non si sono preoccupati di trasferire nel pensiero l’avventura del mondo che cambia: nel 1989 il crollo del muro di Berlino, nel 1991 il golpe a Mosca, nel 1992 la fine della partitocrazia in Italia, oggi il venir meno del mito di uno sviluppo economico senza limiti. Il rischio dei filosofi è quello di diventare editorialisti e commentatori televisivi, in sostanza di rimanere senza filosofia. Eraclito Fragments trad. dal greco e note di Frédéric Roussille Findakly, novembre 1994 pp. 120, F 60 Questa edizione bilingue riveduta e corretta riprende la numerazione dell’edizione Diels-Kranz, Berlino, 1934. Erasmo Eloge de la folie pres. e trad. dal latino di Claude Barousse Actes sud. Labor,Aire, ottobre 1994 pp. 192, F 39 L’elogio della follia (1509), che occupa un posto fondamentale nel pensiero del Rinascimento, è presentato sotto forma di una declamazione retorica e fa sorgere per assurdo, nel mondo chiuso dei teologi, il mondo infinitamente aperto dell’interrogazione umana. Fornet Betancourt, Raul Ein anderer Marxismus? Die philosophische Rezeption des Marxismus in Lateinamerika Matthias-Grünewald, novembre 1994 pp. 336, DM 56 Forst, Rainer Kontexte der Gerechtigkeit. Politische Philosophie jenseits von Liberalismus und Kommunitarismus Suhrkamp, ottobre 1994 pp. 448, DM 64 Il volume delinea una teoria differenziata dell’etica, del diritto, della democrazia e della morale, che lega tra di loro, in una prospettiva complessiva, i diritti universali ed il bene, la comunità politica e la differenza etica, l’universalismo morale e la particolarità culturale. Fedrowitz, J. et al. (a cura di) Neuroworlds. Gehirn - Geist Kultur Campus, novembre 1994 pp. 400, DM 39,80 Scienziati, medici, filosofi, teologi, politici e cittadini si sono riuniti per pensare a quali possono essere le conseguenze etiche e culturali del boom neurologico. Qui si incomincia il dibattito su questo tema. Foucault, Michel Dits et écrits: 1954-1988 vol. I: 1954-1969 vol. II: 1970-1975 vol. III: 1976-1979 vol. IV: 1980-1988 a cura di D.Defert, F. Ewald Gallimard, ottobre 1994 F 215 al volume L’opera raccoglie più di 360 testi sparsi, non disponibili o poco accessibili, pubblicati in Francia ed all’estero: conferenze e prefazioni, articoli e saggi apparsi su giornali e riviste, conversazioni in cui l’autore ha spesso commentato la sua opera o quella di altri ed ha giustificato i suoi interventi. Fehling, Detvlev Materie und Weltbau in der Zeit der frühen Vorsokratiker. Wirklichkeit und Tradition Univ. Innsbr., ottobre 1994 pp. 200, ÖS 640 Fraling, Bernhard Vermittlung und Unmittelbarkeit. Beiträge zu einer existenzialen Ethik a cura di A.-P. Alkofer Herder, novembre 1994 pp. 310, DM 58 Feyerabend, Paul K. Ammazzando il tempo. Un’autobiografia trad. di Alessandro Lachenal Laterza, novembre 1994 pp. 220, L. 20.000 Autobiografia, completata proprio negli ultimi mesi di vita, in cui si percorre il cammino di un filosofo e lo sviluppo del suo pensiero. Frank, Semen L. Das Unergründliche. Ontologische Einführung in die Philosophie der Religion a cura e trad. dal russo di Alexander Haardt Alber, novembre 1994 pp. 430, DM 98 Fleischer, H. (a cura di) Der Marxismus in seinem Zeitalter Reclam, novembre 1994 pp. 252, DM 22 89 Fontenelle, Bernard Le Bouvier de Entretiens sur la pluralité des mondes pref. di François Bott Ed de l’Aube, ottobre 1994 pp. 144, F 45 La grande novità del libro di B. Le Bouvier de Fontenelle (1657-1757) risiedeva nel commercio singolare tra il sapere e l’urbanità. Il primo si rendeva amabile, mentre il secondo si mescolava alla saggezza. Frewer, A. - Rödel, Cl. (a cura di) Prognose und Ethik. Theorie und klinische Praxis eines Schlüsselbegriffs der Ethik in der Medizin Palm & Enke, novembre 1994 pp. 110, DM 28 Si tratta dei contributi alla seconda edizione degli Erlanger Studientage zur Ethik in der Medizin. NOVITÀ IN LIBRERIA Frey, Gerhard Anthropologie der Künste Karl Alber, ottobre 1994 pp. 360, DM 78 Frosini Riccobono, Vittorio (a cura di) L’ermeneutica giuridica di Emilio Betti Giuffrè, novembre 1994 pp. 212, L. 24.000 Giornate di studio sulla “Teoria generale dell’interpretazione di E. Betti”, 13-14 dicembre 1991 - Roma. Gander, H.-H. (a cura di) ’Verwechselt mich vor allem nicht’. Heidegger und Nietzsche Klostermann, ottobre 1994 pp. 208, DM 58 Nell’ottobre del 1993, la MartinHeidegger-Gesellschaft ha organizzato un simposio. Questo volume documenta di cosa si trattò: non di un riassunto del dibattito tra Heidegger e Nietzsche, ma di una prospettiva che offra nuovi modi di confronto su questa problematica. Gardt, Andreas Sprachreflexion in Barock und Frühaufklärung. Entwürfe von Böhme bis Leibniz de Gruyter, novembre 1994 pp. 520, DM 240 Il saggio si occupa della riflessione sulla lingua in Germania, nel corso del XVII secolo ed agli inizi del XVIII, analizzando i suoi tratti caratteristici, gli esponenti e la sua collocazione all’interno della tradizione europea. Gehlhaar, S.S. Friedrich Nietzsche (1844-1900). Beiträge zur Nietzsche-Forschung anläßlich des Jubiläumsjahres Junghans, novembre 1994 pp. 120, DM 19 Gerl-Falkovitz, Hanna-B. Die zweite Schöpfung der Welt. Sprache, Erkenntnis, Anthropologie in der Renaissance Matthias-Grünewald-Vlg. novembre 1994 pp. 296, DM 56 Germer, Andrea Wissenschaft und Leben. Max Webers Antwort auf eine Frage Friedrich Nietzsches Vandenhoeck & Ruprecht ottobre 1994 pp. 232, DM 38 Nietzsche è stato il primo pensatore che ha messo in discussione, in maniera radicale, il valore della verità scientifica per la vita, mentre per Max Weber questa problematica era un tema centrale delle sue ricerche. Geymonat, Ludovico - Sini, Carlo Minazzi, Fabio La ragione Piemme, novembre 1994 pp. 144, L. 22.000 La ragione è ancora in grado di aiutare l’uomo a comprendere un mondo sempre più complesso e labirintico? La ragione è in contrasto con il sentimento? Girard, Louis L’Argument ontologique chez Saint Anselme et chez Hegel (Elementa) Ed. Rodopi, ottobre 1994 pp. 250, FOL 75 Hansen, Franck-Peter G.W.F. Hegel: Phänomenologie des Geistes. Ein einführender Kommentar UTB, novembre 1994 pp. 130, DM 17,80 Il commento segue e chiarisce passo a passo il contesto di questo difficile testo filosofico, analizzandolo in profondità. Goetschel, W. (a cura di) Perspektiven der Dialogik. Zürcher Kolloquium zum 80. Geburtstag von Hermann L. Goldschmidt Passagen-Vlg., novembre 1994 pp. 224, ÖS 49,80 Hayoun, Maurice-Ruben Maïmoide et la pensée juive PUF, ottobre 1994 pp. 336, F 198 L’autore rintraccia i primi sviluppi della filosofia ebraica medioevale prima dell’era maïmonidiana, espone le grandi dottrine del saggio del vecchio Caire (Fostat) su Dio, l’universo e l’uomo, illustra, infine, quale fu la risonanza di questa opera gigantesca che copre l’insieme del pensiero e del vissuto ebraico. Gröbl-Steinbach, Evelyn Fortschrittsidee und rationale Weltgestaltung. Die kutlturellen Voraussetzungen des Politischen in der Moderne Campus, novembre 1994 pp. 330, DM 63 L’autrice ricostruisce l’idea di progresso come un racconto legittimante dell’epoca moderna, che conferisce identità e garantisce unità, ne segue il disincanto - ovvero l’erosione dei suoi contenuti moralo-pratici ed utopici sulla base dell’esempio fornito dalle teorizzazioni che iniziano nell’Illuminismo e vanno fino all’epoca moderna. Heitsch, Ernst Xenophanes und die Anfänge kritischen Denkens Steiner, novembre 1994 pp. 24, DM 19,80 Herrmann, Friedrich-W. von Wege ins Ereignis. Zu Heideggers ’Beiträgen zur Philosophie’ Klostermann, ottobre 1994 pp. 388, DM 98 Il volume costituisce un mezzo di sicuro orientamento per l’approccio ermeneutico ai testi di Heidegger, partendo dall’inizio degli anni 30. Großheim, M. (a cura di) Wege zu einer volleren Realität. Neue Phänomenologie in der Diskussion Akademie-Vlg., ottobre 1994 pp. 240, DM 84 Il volume illustra come può essere resa fruttuosa, nel campo delle diverse scienze, la protesta fenomenologica contro il reduzionismo, in nome di una realtà non distorta. Hersch, Jeanne Menschenrechte und Menschsein Warum hat der Mensch besondere Rechte? Heymanns, ottobre 1994 pp. 30, DM 15 Il volume raccoglie la conferenza ed il resoconto della tavola rotonda tenutesi a Salisburgo il 22 ottobre 1993, presso l’Österreichisches Institut für Menschenrechte. Grunnet, Sanne Elisa Die Bewußtseinstheorie Friedrich Schlegels Schöningh, novembre 1994 pp. 187, DM 58 Haacke, Stefanie Zuteilen und Vergelten. Figuren der Gerechtigkeit bei Aristoteles Turia & Kant, novembre 1994 pp. 29, ÖS 198 Hildesheimer, Françoise - Pieroni Francini, Marta Il giansenismo San Paolo, novembre 1994 pp. 30, L. 18.000 Perché la pubblicazione di un trattato teologico del vescovo di Ypres, Cornelis Jansen l’ “Augustinus”, segnò l’inizio di una controversia che, muovendo da motivazioni eminentemente religiose, influì con il suo grande rilievo culturale sulla maturazione della coscienza politica europea per quasi due secoli. Haar, Michel La Fracture de l’histoire: douze essais sur Heidegger J. Millon, novembre 1994 pp. 304, F 150 Se qui si parla di “frattura della storia” è perché niente di ciò che ha fatto storia è compiuto fino in fondo: le lacune della storia non si colmano, ma si ricompongono impercettibilmente lasciando intravedere dell’ “extra storico” o dell’incompiuto. Hirsch, Alfred Der Dialog der Sprachen. Studien zum Sprach und Übersetzungsdenken Walter Benjamins und Jacques Derridas W. Fink, ottobre 1994 pp. 320, DM 78 Habermas, Jürgen Chiarimenti all’etica del discorso trad. di Enzo Tota Laterza, novembre 1994 pp. 300, L. 28.000 Il filosofo del “discorso” per eccellenza torna a ribadire che una morale davvero universale può nascere solo da una partecipazione e da un confronto alla pari di tutta l’umanità. 90 Hobbes, Thomas L’arte della retorica a cura di Rosaria Carotenuto Liguori, novembre 1994 pp. 112, L. 18.000 Traduzione della Retorica di Aristotele. Hofmeister, H. (a cura di) Braucht Wissen Glauben? Erste Heidelberger Religionsphilosophische Disputation Neukirchener, novembre 1994 pp. 150, DM 39,80 Holderegger, Adrian Grundlagen der Moral und der Anspruch des Lebens. Themen der Lebensethik Herder, novembre 1994 pp. 290, DM 54 Hollis, Martin Introduzione alla filosofia Mulino, novembre 1994 pp. 216, L. 20.000 Un percorso nella filosofia attraverso i problemi, gli interrogativi, gli oggetti della riflessione filosofica e le intersezioni disciplinari. Holz, Hans Heinz China im Kulturvergleich. Ein Beitrag zur philosophischen Komparatistik Dinter, novembre 1994 pp. 121, DM 29,80 Honnefelder, L. - Kieger, G. Philosophisches Propädeutikum. vol. I: Sprache und Erkenntnis UTB, ottobre 1994 pp. 280, DM 29,80 Il primo volume di questo compendio della filosofia in quattro volumi contiene un’introduzione sul rapporto tra filosofia e teologia, logica, teoria della conoscenza, filosofia del linguaggio e teoria della scienza. Questo libro di testo è indicato per il curriculum costituito da quattro semestri, in particolare per quello previsto per lo studio della teologia cattolica. Horkheimer, Max Crépuscule: notes en Allemagne Payot, novembre 1994 pp. 192, F 160 Si tratta di un’opera pubblicata nel 1934, sotto lo pseudonimo di Heinrich Regius, a causa della censura nazista. Horkheimer denuncia le operazioni di trasfigurazione della metafisica e non cessa di collegare i piccoli fatti della vita contemporanea al grande fatto indelebile della divisione sociale. Hühn, Lore Fichte und Schelling oder: Über die Grenze menschlichen Wissens J.B. Metzler, ottobre 1994 pp. 200, DM 48 Ecco la tesi di Lore Hühn: la perdita di forza del soggetto nel tardo idealismo deriva, anche se questo può sembrare paradossale, dalla sua precedente condizione di autonomia. NOVITÀ IN LIBRERIA Iber, Christian Das Andere der Vernunft als ihr Prinzip. Grundzüge der philosophischen Entwicklung Schellings mit einem Ausblick auf die nachidealistischen Philosophiekonzeptionen Heideggers und Adornos de Gruyter, ottobre 1994 pp. 408, DM 228 Questa tesi di abilitazione fornisce una presentazione critica generale della filosofia di Schelling che, insieme alle teorie di Hegel e Fichte, caratterizzò il periodo dell’idealismo tedesco (fino al 1850 circa). Imhof, A. - Weinknecht R. (a cura di) Erfüllt leben in Gelassenheit sterben. Geschichte und Gegenwart Duncker & Humblot, ottobre 1994 pp. 507, DM 148 Il volume raccoglie i contributi presentati nel corso del simposio interdisciplinare tenutosi nel novembre del ’93 presso la Libera Università di Berlino. Irigaray, Luce La democrazia comincia a due Bollati Borin., novembre 1994 pp. 176, L. 20.000 La parola democrazia si usa molto oggi. Ma spesso è diventata uno slogan che non significa granché. Per dare un futuro alla democrazia, si deve rifondarla fino in fondo e, per prima cosa, nella relazione fra l’uomo e la donna dove l’identità naturale non ha ancora raggiunto uno status civile. Cambiare le relazioni fra l’uomo e la donna nella coppia, nella genealogia, in tutti gli incontri privati e pubblici sarebbe un cammino per rendere più democratiche le famiglie culturali, religiose, politiche. La democrazia che incomincia a due si propone di iniziare la strada, e di scoprire un nuovo alfabeto e una nuova grammatica politici. Jabri, Mohamed Abed Introduction à la critique de la raison arabe La Découverte, ottobre 1994 pp. 180, F 120 In questa fine di secolo, il pensiero arabo sembra dilaniato tra un pensiero fondamentalista che vuole ricostruire il presente sul modello di un passato idealizzato e un modernismo importato che rifiuta la tradizione senza essersene liberato attraverso una vera compresione. Questo libro esplora una via d’accesso filosofico originale alla modernità araba. Joisten, Karen Die Überwindung der Anthropozentrizität durch Friedrich Nietzsche Königshausen & Neumann ottobre 1994 pp. 330, DM 68 Si tratta della tesi di laurea, tenuta da Joisten presso l’Università di Magonza nel ’93. Jolibert, Bernard Platon: l’ascèse éducative et l’intérêt de l’âme L’Harmattan, ottobre 1994 pp. 117, F 75 Tra l’accettazione servile dell’opinione e la fuga verso qualche ideale disincarnato, Platone propone un modello educativo di saggezza fatto di equilibrio e di armonia in se stessi, con gli altri e con il mondo. Kolmer, Petra - Korten, Harald Konhardt Klaus Schönrich Gerhard Wildfeuer, Armin G. Zwenger, Thomas (a cura di) Grenzbestimmungen der Vernunft. Philosophische Beiträge zur Rationalitätsdebatte Karl Alber, novembre 1994 pp. 460, DM 96 König, Josef Der logische Unterschied theoretischer und praktischer Sätze und seine philosophische Bedeutung a cura di Fr. Kümmel Karl Alber, novembre 1994 pp. 544, DM 128 Jouary, Jean-Paul L’Art de prendre son temps: essai de philosophie politique Temps des cerises, ottobre 1994 pp. 167, F 90 In questa serie di sei conferenze, tenute nel 1993 presso il Collège international de philosophie, l’autore propone alcuni percorsi di riflessione sui diversi modi di negare il tempo nel pensiero politico, a partire dall’Antichità. König, Joseph Kleine Schriften a cura di G. Dahms Karl Alber, ottobre 1994 pp. 248, DM 64 Kant, Emmanuel Remarques touchant les ‘Observations sur le sentiment du beau et du sublime’ trad. dal tedesco di B. Geonget Vrin, ottobre 1994 pp. 274, F 130 Il volume costituisce la prima traduzione francese integrale delle indicazioni monoscritte apportate da Kant sul suo esemplare delle Osservazioni. Il testo è disorientante per i lettori abituati all’analisi strutturata della sua filosofia. Il testo comunque riporta molte precisazioni sulla terminologia di Kant. Il suo stile pertinente e ludico lo rende accessibile ad un vasto pubblico. Kotzmann, E. (a cura di) Gotthard Günther - Technik, Logik, Technologie. Klagenfurter Symposium in ‘Transklassische Logik’ im November 1993 in St. Georgen/Längsee bei Klagenfurt Profil, novembre 1994 DM 44,80 Krämer, Felix Der Zusammenhang der Wirklichkeit. Problem und Verbindlichkeitsgrund philosophischer Theorien. Eine Untersuchung in Auseinandersetzung mit Fichte und Whitehead Ed. Rodopi, novembre 1994 FOL 90 Kant, Immanuel Prolegomeni ad ogni metafisica futura a cura di M. Roncoroni Rusconi, novembre 1994 pp. 450, L. 16.000 Un riassunto che Kant stesso fa dei punti fondamentali della sua nuova filosofia, esposta nella più complicata Critica della ragion pura. Kulenkampff, Jens Kants Logik des ästhetischen Urteils Klostermann, ottobre 1994 pp. 252, DM 88 Nel volume, viene illustrato ciò che ha motivato Kant ad una “critica del gusto con intenzione trascendentale” e come egli, sotto forma di un’analisi rivelatrice, ricerchi una spiegazione al fatto che i giudizi puramente estetici si possano presentare con una pretesa validità generale, anche se non la possono mantenere. Si tratta della seconda edizione ampliata di questo volume. Keller, Albert Philosophie der Freizeit Vlg. Styria, ottobre 1994 pp. 320, ÖS 398 Knodt, Reinhard Ästhetische Korrespondenzen. Denken im technischen Raum Reclam, ottobre 1994 pp. 164, DM 7 Lagrée, Jaqueline Juste Lipse et la restauration du stoïcisme: étude et traduction des traités stoïciens Vrin, ottobre 1994 pp. 268, F 134 E’ impossibile capire Cartesio, Leibniz o Spinoza senza conoscere Lipsio (1547-1606), l’ultimo dei grandi umanisti cristiani. Editore di Tacito e di Seneca, egli ispirò la politica moderna, resuscitò la fisica degli stoici per opporla a quella di Aristotele. Il volume analizza la sua vita e il suo pensiero. Koecke, Christian Zeit des Ressentiments, Zeit der Erlösung. Nietzsches Typologie temporaler Interpretation und ihre Aufhebung in der Zeit de Gruyter, novembre 1994 pp. 242, DM 128 Questo studio, alla base del quale vi è la tesi di laurea di Koecke, tenuta presso l’Università di Bonn nel ’92, presenta le posizioni rispetto al tempo ed alle interpretazioni delle opere di Nietzsche. 91 Lameer, Joep al Farabi and Aristotelian Syllogistics. Greek Theory and Islamic Practice Brill, ottobre 1994 FOL 130 Le Moigne, Jean-Louis Le Constructivisme vol. I: Des Fondaments ESF édituer, novembre 1994 pp. 252, F 168 In reazione al positivismo del secolo scorso ed in seguito ai lavori di J. Piaget, il costruttivismo si pone come una nuova alternativa di fronte alla complessità del mondo attuale ed ai problemi epistemologici creati dallo sviluppo delle scienze dette esatte. Le Ru, Véronique D’Alembert philosophe Vrin, ottobre 1994 pp. 312, F 198 Si può considerare D’Alembert un filosofo? Quale fu il suo ruolo all’interno del piccolo gruppo fedele a Voltaire? Quali rapporti si crearono tra Diderot e D’Alembert? Queste sono le domande poste dall’autrice. Lesch, W. - Bondolfi, A. (a cura di) Theologische Ethik im Diskurs. Eine Einführung UTB, ottobre 1994 pp. 320, DM 34,80 I contributi raccolti in questo volume documentano la ricezione dell’etica del discorso nella teologia fondamentale , nella pedagogia della religione, nella teologia morale e nell’etica sociale. I saggi qui riuniti indagano anche rispetto alle prospettive interculturali della costituzione dell’etica e al carattere provocatorio o di sfida insito nell’etica applicata. Leuze, Reinhard Christentum und Islam J.C.B. Mohr, ottobre 1994 pp. 380, DM 80 Questi gli argomenti trattati nel volume: Cristianesimo ed Islamismo, un excursus storico; Mohammed, un profeta?; l’Islamismo, una religione della rivelazione?; la valutazione cristiana del Corano; cristiologia cristiana ed islamica; l’idea di Dio; Dio ed il male, predestinazione e Provvidenza; la visione dell’uomo: l’antropologia cristiana ed islamica; l’etica cristiana ed islamica. Levinas, Emmanuel L’Intrigue de l’infini a cura di Marie-Anne Lescourret Flammarion, novembre 1994 F 48 Il pensiero dell’infinito si arricchisce in Levinas di determinazioni estetiche, linguistiche e politiche. I concetti inediti vengono avvicinati dal filosofo: la stanchezza, il viso, la traccia. Tutti gli argomenti vengono rimodellati attraverso un altruismo concettuale. NOVITÀ IN LIBRERIA Lombard, Jean Aristote: politique et éducation L’Harmattan, ottobre 1994 pp. 151, F 75 La riflessione pedagogica di Aristotele è di sovente considerata come una testimonianza sulla scuola ateniese e non come un contributo alla problematica dell’azione educativa. In realtà Aristotele trasforma l’educazione in un capitolo della politica. Losurdo, Domenico La Seconda Repubblica. Liberismo, federalismo, postfascismo Bollati Borin., novembre 1994 pp. 224, L. 20.000 Liberismo, federalismo e postfascismo si fondono in una miscela esplosiva che ha già segnato il destino della Iugoslavia e che ora minaccia anche l’Italia, dove gran parte della sinistra, incapace di opporre valida resistenza all’ondata di revisionismo storico, sembra per di più riecheggiare, in modo subalterno, le parole d’ordine “federaliste” e “antistataliste” dell’ideologia dominante. Lübbe, W. Kausalität und Zurechnung. Über Verantwortung in komplexen kulturellen Prozessen de Gruyter, novembre 1994 pp. 314, DM 58 Si tratta dei contributi presentati durante la seduta del Zentrum für Philosophie und Wissenschaftstheorie, tenutasi a Costanza nel marzo ’93. Vengono discussi i problemi legati alla teoretica della causalità e delle azioni, ci si interroga sulla responsabilità dei complessi processi storici. Lukes, Steven - Rawls, John MacKinnon, Catharine A. Rorty, Richard Lyotard,Jean-François Heller, Agnes -Elster, Jon I diritti umani. Oxford Amnesty Lectures 1993 Garzanti, novembre 1994 pp. 280, L. 30.000 Lukes sostiene la necessità di un elenco breve e preciso di diritti umani, Rawls riprende un aspetto che una teoria della giustizia aveva lasciato in secondo piano, per risolvere il problema dell’estensione dei diritti umani dalle società liberali alle società tradizionali e gerarchiche. Per MacKinnon e Rorty cercare un fondamento razionale per i diritti umani è fuorviante e superfluo. Al centro della riflessione di Lyotard sono invece il principio dialogico e il diritto alla libertà d’espressione che ne deriva. Heller centra la sua analisi sugli atroci crimini dei regimi totalitari e sulla necessità di punire gli individui che li hanno perpetrati. Elster mette infine in relazione i diritti umani con il problema della salvaguardia dei diritti delle minoranze attraverso meccanismi contromaggioritari. Macherey, Pierre Introduction a l’ ‘Ethique’ de Spinoza PUF, ottobre 1994 pp. 240, F 128 Il volume propone le spiegazioni indispensabili alla lettura guidata della quinta parte dell’opera di Spinoza, pubblicata nel 1677, dove sono esposti gli aspetti propriamente etici del suo approccio. In appendice si trova una tabella che permette di avere una visione d’insieme delle cinque parti dell’Etica. conduttore di una storia più intima, ricordo storico e letterario, spunto di un futuro lavoro, o nuovo documento di un tema già svolto. Tutta la biblioteca rispecchia, in un certo modo, l’opera molta e varia del Croce, dagli studi storici e letterari a quelli filosofici ed etici. Marx, Wolfgang Bewußtseins-Welten. Die Konkretion der Reflexionsdynamik Mohr, novembre 1994 pp. 484, DM 200 Le relazioni che gli esseri umani hanno con la reltà, siano esse teoretiche, pratiche od estetiche, non sono isolate tra di loro, nascono invece in un rapporto di dipendenza reciproca e di influsso. Marx analizza i fondamenti e le forme che sono importanti per la comprensione delle strutture specifiche della realtà frammentata in settori particolari. Magri, Tito Hobbes Laterza, novembre 1994 pp. 200, L. 25.000 Il pensiero politico di Hobbes. La sua riflessione, concentrata soprattutto sul tema dell’autorità e del potere assoluto del re, come unica via per sottrarsi alla violenza di tutti contro tutti che regna nello stato di natura. Maler, Henri Congédier l’utopie? L’utopie selon Karl Marx L’Harmattan, ottobre 1994 pp. 286, F 150 Il riferimento a Marx si imporrà finché, all’orizzonte della nostra storia, resteranno irrisolti i problemi che Marx si è posto ed i problemi che ci pongono le barbarie della modernità. E’ in questo spirito che l’autore ha scelto di fare della critica marxiana delle utopie il filo conduttore di una critica dell’utopia marxiana. Masi, Giuseppe Lo spiritualismo egiziano antico. Il pensiero religioso egiziano classico Clueb, novembre 1994 pp. 356, L. 40.000 La documentazione, sia filologica che storica, sia filosofica che religiosa, del fondamentale contributo dell’Egitto alla formazione della spiritualità occidentale. Mann, Christian Wovon man schweigen muß. Wittgenstein über die Grundlagen von Logik und Mathematik Turia und Kant, ottobre 1994 pp. 262, ÖS 298 Matteucci, Nicola (a cura di) La cultura civile. L’Italia e la formazione della civiltà europea UTET, dicembre 1994 pp. 368, L. 150.000 I diversi saggi si ispirano alle discipline più diverse: la filosofia, il diritto, il pensiero politico, la storiografia, la scienza della politica o quella della finanza pubblica... Questo è un volume di storia delle idee; e le idee non sopportano compartimenti stagni. Marolda, Paolo (a cura di) Segno, comunicazione, azione FrancoAngeli, novembre 1994 pp. 256, L. 35.000 Il problema del linguaggio è centrale all’interno del pur vastissimo e intricato panorama della riflessione filosofica del Novecento. Anche se in essa non si è imposto un punto di approdo o lo stabilirsi di una salda cornice comune di riferimento. Piuttosto l’apertura di un nuovo e amplissimo orizzonte problematico, con alcune aree tematiche maggiormente aggreganti, e alcune prospettive salienti. A queste ultime, viste attraverso i loro rappresentanti più significativi (Peirce, Dewey, Ricoeur, Derrida, Deleuze, Bloch, Jankélevitch, Kohlberg), è dedicata la presente raccolta di saggi, tesa ad offrire un’approfondita ricognizione ed uno stimolante confronto di posizioni e percorsi tuttora di grande vitalità. Mazel, Jacques Socrate Fayard, novembre 1994 F 170 Questa biografia si interessa soprattutto al giovane Socrate. Il filosofo viene presentato non come un mutante miracoloso, ma come un soggetto maturo che prende coscienza della situazione ateniese. McCarty, George E. (a cura di) Dialectics and Decadence. Echoes of Antiquity in Marx and Nietzsche Rowman & Littlefield, ottobre 1994 pp. 250, £ 20 Il volume analizza gli influssi della filosofia e della letteratura greche sullo sviluppo del pensiero sociale in Germania nel XIX secolo in generale e su Marx e Nietzsche in particolare. Questo studio indaga sui modi in cui gli ideali della Grecia classica, simili per i due pensatori, li hanno portati a reazioni simili di fronte all’avanzare della modernità. Marra, Dora Beth La biblioteca di Benedetto Croce. Le note autografe ai libri Bibliopolis, dicembre 1994 pp. 320, L. 50.000 Da sottolineare la singolarità della biblioteca raccolta da uno studioso così eccezionale quale era Benedetto Croce, perché gli fosse materia e strumento di lavoro; ogni volume, ogni opuscolo era stato acquistato e conservato non tanto per la sua rarità, o non solo per essa, ma perché filo 92 McGinn, Bernard Die Mystik in Abendland vol. I: Ursprünge Herder, ottobre 1994 pp. 576, DM 128 Quest’opera, concepita da McGinn come un lavoro in quattro volumi, fornisce la prova di come la pura rappresentazione letteraria e scientifica di questo tema, la mistica in Occidente, non sia sufficiente. Lo sviluppo della mistica viene tratteggiato anche considerando le idee religiose e filosofiche e viene così sottratto al buio della storia. Mervaud, Christiane Le Dictionaire philosophique de Voltaire Universitas, ottobre 1994 pp. 243, F 125 Il volume studia la storia del testo, ne rivela la portata, analizza alcuni aspetti della sua arte e mostra come il Dizionario filosofico sia un mezzo a cui ricorrere contro i pensatori dei conformismi e delle ortodossie. Lo studio riprende anche i sette primi capitoli dell’introduzione all’edizione critica di quest’opera nelle Opere complete di Voltaire. Michon, Cyrille Nominalisme: la théorie de la signification d’Occam Vrin, ottobre 1994 pp. 524, F 299 L’etichetta nominalista è spesso stata attribuita a dottrine molto diverse, a partire dal XV secolo. Se Guglielmo di Occam non ha inventato il nominalismo, ha però senz’altro meritato questa etichetta. Il volume offre una presentazione e discute gli argomenti occamisti, considerati a parte e per ciò che sono, ne valuta la portata per la filosofia della spirito, la teoria semantica e l’ontologia. Minazzi, Fabio L’onesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti FrancoAngeli, novembre 1994 pp. 368, L. 44.000 Oltre ad analizzare alcuni dei momenti più significativi del pensiero di Preti, il volume illustra le ragioni in virtù delle quali il programma pretiano ha rappresentato, soprattutto nel dibattito italiano del secondo dopoguerra, un’interessante ma misconosciuta alternativa sul terreno del dibattito culturale e civile. In questa prospettiva il volume si chiude con la pubblicazione di un breve ma decisivo inedito dal quale riemerge tutta l’originalità della posizione di Preti e le ragioni profonde del suo “isolamento” culturale, civile e filosofico dal quadro del dibattito italiano. Misrahi, Ribert La Problématique du sujet aujourd’hui Encre marin, ottobre 1994 pp. 272, F 160 Il testo è un’analisi critica della dottrine del soggetto, da Kierkegaard a Ricooeur, passando per Husserl, Heidegger, Buber, Block, Sartre e Levinas; una ouverture su di una dottrina del soggetto sia esistenziale che riflessiva. NOVITÀ IN LIBRERIA Mittelstaedt, P. (a cura di) Gentechnologie. Ethik und wissenschaftlicher Fortschritt Bouvier, novembre 1994 pp. 100, DM 24 Nel corso del Forum Internazionale tenutosi presso l’Università di Colonia è stato analizzato il tema della ricerca scientifica dal punto di vista dei criteri etici, delle aspettative e delle pretese da parte della società. Montaigne, Michel Eyquem de Dizionario della saggezza Newton Compton, novembre 1994 pp. 100, L. 1000 Le massime e gli aforismi contenuti nel dizionario sono tratti dai “Saggi”, il capolavoro dell’autore, e offrono al lettore una sorta di guida al buon vivere e al lieto morire. Montanari, Bruno (a cura di) Filosofia del diritto: identità scientifica e didattica oggi Giuffrè, novembre 1994 pp. 146, L. 18.000 Atti del seminario di studio svoltosi a Catania nei giorni 8-10 maggio 1992. Morin, Edgar Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana? Feltrinelli, novembre 1994 pp. 224, L. 20.000 Il rapporto fra biologia e antropologia attraverso la teoria fondata sull’idea di auto-organizzazione e su una logica della complessità che smentisce l’immagine unidimensionale dell’homo sapiens. Müller, Severin Phänomenologie und philosophische Theorie der Arbeit vol. II: Rationalität - Welt Vernunft Karl Alber, novembre 1994 pp. 620, DM 118 Müller, Tilmann Wahrheitsgeschehen und Kunst. Zur seinsgeschichtlichen Bestimmung des Kunstwerks bei Martin Heidegger Scaneg, novembre 1994 pp. 167, DM 40 Narbert, Jean L’Experience intérieure de la liberté: et autres essais de philosophie morale PUF, ottobre 1994 pp. 480, F 199 Questa prima opera di J. Narbert (1881-1960), ispirata dalla filosofia morale di Kant e pubblicata nel 1924, studia la causalità della coscienza e le sue forme di indipendenza rispetto alle condizioni in cui si è realizzata. Nietzsche, Franziska Der entmündigte Philosoph. Briefe von Franziska Nietzsche an Adalbert Oehler aus den Jahren 1889-1897 a cura di G.U. Gabel e C.H. Jagenberg Gabel Vlg., ottobre 1994 pp. 128, DM 38 Nietzsche, Friedrich Filosofare col martello Mondadori, novembre 1994 pp. 180, L. 8.000 Raccolta di pensieri e aforismi su religione e filosofia, su arte e letteratura, su Dio e diavolo, ecc. giovane Bloch, Heidegger ed Adorno, le cui opere lasciano intravedere affinità strutturali con il pensiero gnostico. Pausch, Eberhard Martin Wahrheit zwischen Erschloßenheit und Verantwortung. Die Rezeption und Transformation der Wahrheitskonzeption Martin Heideggers in der Theologie Bultmanns de Gruyter, novembre 1994 pp. 366, DM 178 Si tratta di una monografia sul concetto di verità filosofica in Heidegger e sulla sua ricezione nella teologia di Rudolf Bultmanns. Nietzsche, Friedrich La Naissance de la tragédie Denoël, ottobre 1994 pp. 368, F 65 Per Nietzsche, la totalità dello sviluppo dell’arte è legata alla dualità dell’apollineo e del dionisiaco: da una parte il mondo immaginario e ideale, dall’altra la follia distruttrice. Si tratta della ristampa di questa traduzione in francese dell’opera di Nietzsche. Peschl, Markus F. Repräsentation und Konstruktion. Kognitions- und neuroinformatische Konzepte als Grundlage einer naturalisierten Epistemologie und Wissenschaftstheorie Vieweg, novembre 1994 pp. 328, DM 86 Come nasce il sapere, come viene rappresentato il sapere, qual’è il substrato neuronale della rappresentazione del sapere, in quale rapporto sono le strutture del sapere e le strutture dell’ambiente, come nascono i significati... Il volume si interroga su queste ed altre tematiche. Nietzsche, Friedrich Werke in drei Bänden a cura di K. Schlechta Hanser, ottobre 1994 pp. 4032, DM 198 Noti, Odilio Kant - Publikum und Gelehrter. Theologische Erinnerung an einen abgebrochenen Diskurs zum Theorie-Praxis-Problem Univ.-Vlg., novembre 1994 pp. 256, SFR 42 Orth, E.W. - Pfafferott, G. (a cura di) Studien zur Philosophie von Max Scheler Karl Alber, novembre 1994 pp. 360, DM 96 Si tratta dei contributi all’Internationales Max-Scheler-Colloquim ‘Der Mensch im Weltalter des Ausgleiches’, tenutosi presso l’Università di Colonia nel ’93. Pessina, Adriano Introduzione a Bergson Laterza, novembre 1994 pp. 200, L. 18.000 La complessa e ancora attuale riflessione di Bergson sui temi della libertà, sul rapporto mente-cervello, sul problema della temporalità nel vissuto personale così come nelle scienze, sulla domanda riguardante il rapporto tra la dimensione biologica e quella spirituale e religiosa della vita. Pagès, Frédéric Frühstück bei Sokrates. Philosophie als Lebenskunst Elster, ottobre 1994 pp. 192, DM 34 Pagès descrive lo stile di vita del grande filosofo in aneddoti tesi, morbidi e vivi, per strapparla all’ambito astratto e teoretico e riportarla in quello terreno. Philonenko, Alexis Bergson ou De la philosophie comme science rigoureuse Cerf, ottobre 1994 pp. 400, F 170 IL volume esplora il percorso sperimentale di Bergson seguendo l’ordine delle sue grandi opere. Lo studio si è sviluppato seguendo la logica bergsoniana intesa come logica dei significati. Panis, Daniel Il y a le il y a: l’énigme de Heidegger Ousia, ottobre 1994 pp. 244, F 99 Il volume è incentrato su un aspetto del pensiero di Hedegger che dovrebbe permettere di avere una visione, non sull’enorme insieme della gigantesca impresa di Heidegger, ma sul senso estremamente nuovo del suo percorso. Pensare che ci sia il “c’è”, è esattamente quello che chiamiamo il senso dell’”essere”. Pizzini, Rolando La religione ribelle Nuovi autori, novembre 1994 pp. 80. L. 16.000 Breve saggio a sfondo filosofico-religioso, con specifici riferimenti a Romano Guardini, filosofo-teologo dei grandi temi religiosi. Plotino Les Ecrits de Plotin: publiés dans l’ordre chronologique vol. III: Traité 9: VI, 9 a cura di Pierre Hadot Cerf, ottobre 1994 pp. 252, F 150 Questo scritto è interamente dedicato all’approccio ed alla ricerca dell’Uno, un approccio teologico senza dubbio, ma soprattutto mistico. Si tratta della seconda edizione corretta di questo volume, arrivato ormai alla terza tiratura. Pauen, Michael Dithyrambiker des Untergangs. Gnostizismus in Ästhetik und Philosophie der Moderne Akademie-Vlg., novembre 1994 pp. 440, DM 84 Il libro si occupa dello gnosticismo nella filosofia moderna. Al centro del lavoro si trovano Ludwig Klages, il 93 Poly, Henri Le Renversement platonicien: logos, épistémè, polis Vrin, ottobre 1994 pp. 405, F 198 Questo testo non è né un commento di tipo filologico, né un approccio di stile idealista. Interrogando, leggendo ed interpretando i testi, si è voluto produrre una semantica filosofica. Il risultato, per la filosofia platonica è che il platonismo appare come metafisica astorica ed eternizzante. Popper, Karl La lezione di questo secolo Intervista di Giancarlo Bosetti Marsilio, novembre 1994 pp. 128. L. 8.000 Nel libro intervista La lezione di questo secolo rilasciata a Giancarlo Bosetti, Karl Popper, il filosofo della “società aperta” appena scomparso, pone tra i temi cruciali del nostro tempo l’educazione dei bambini, sottoposti alle suggestioni della violenza attraverso la TV e gli altri mezzi di comunicazione. I bambini sono la nostra ricchezza e il nostro futuro, perciò Popper non esita a invocare la censura per i programmi che ne minacciano una corretta formazione. Censura è una parola che scandalizza, e tuttavia può far riflettere se la propone il più prestigioso pensatore liberale dei nostri tempi. Popper, Karl R. Vermutungen und Widerlegungen. Das Wachstum der wissenschaftlichen Erkenntnis parte I: Vermutungen Mohr, novembre 1994 pp. 368, DM 49 L’edizione tedesca della prima parte di Conjectures and Refutations contiene diverse modifiche dell’autore, rispetto all’edizione inglese. La seconda parte, che includerà anche l’indice, verrà pubblicata tra uno o due anni. Prechtl, P. - Burkard, Fr. P. (a cura di) Metzler Philosophie Lexikon. Begriffe und Definitionen Metzler, ottobre 1994 pp. 480, DM 58 Il volume contiene 3000 concetti e definizioni della filosofia occidentale, indiana e cinese. Fornisce informazioni concise sulla storia dei concetti e delle voci riportati, indica i testi fondamentali e la letteratura secondaria. Proust, Françoise Point de passage Kimé, ottobre 1994 pp. 160, F 120 Esistono dei punti di passaggio tra la politica (giustizia), l’estetica (bellezza) e la filosofia (verità)? Ogni passaggio è una scommessa, cioè un’accettazione del rischio, la sola possibilità per cogliere un’occasione. Questo saggio si propone di rendere accessibili delle piste in cui la giustizia, la bellezza e la verità potrebbero incrociarsi. NOVITÀ IN LIBRERIA Quillien, Philippe-Jean Dictionnaire politique de René Descartes Universit. de Lille, novembre 1994 pp. 261, F 140 I testi di Cartesio sulla politica sono numerosi, ricchi e spesso ignorati, perché dispersi in tutta l’opera e nell’abbondante corrispondenza. Quest’opera li riunisce in un dizionario, comprendente 170 voci. Due studi ricordano il contesto storico ed evidenziano l’attualità della politica cartesiana. Rao, B. Nahari A Semiotic Reconstruction of Ryle’s Critique of Cartesianism de Gruyter, ottobre 1994 pp. 165, DM 120 Si tratta di un’analisi critica della teoria del sapere scientifico proposta e diffusa dal filosofo francese, scienziato e matematico Cartesio (1595-1650). Rapp, Friedrich Die Dynamik der modernen Welt. Eine Einführung in die Technikphilosophie Junius, ottobre 1994 pp. 200, DM 29,80 Rath, Matthias Der Psychologismusstreit in der deutschen Philosophie Karl Alber, ottobre 1994 pp. 240, DM 74 Richmond, Sheldon Aesthetic Criteria. Gombrich and the Philosophies of Science of Popper and Polanyi Ed. Rodopi, novembre 1994 pp. 152, FOL 45 Anche se Gombrich, per ciò che riguarda l’arte e gli argomenti ad essa collegati, è un seguace della filosofia razionalista di Karl Popper, nell’estetica egli segue le idee della filosofia della scienza irrazionale proposte da M. Polanyi. Ricken, Friedo Antike Skeptiker C.H. Beck, novembre 1994 pp. 160, DM 22 Attraverso un’analisi precisa dei testi, il volume elabora i diversi volti dello scetticismo antico e lo interpreta come una posizione di rassegnazione nei confronti della vita, come una terapia delle malattie dell’intelletto e come un contributo, che rimane insuperato, alla discussione teoretica intorno alla conoscenza. Ricoeur, Paul Persona, comunità e istituzioni. Dialettica tra giustizia e amore Ed. Cult. d. pace, novembre 1994 pp. 176, L. 20.000 Persona, comunità e istituzioni è un’antologia di testi di Paul Ricoeur sulle tematiche dell’ethos della persona, delle esigenze della comunità, dell’etica pubblica. L’attualità della riflessione ricoeuriana emerge soprattutto nel confronto tra etica e politica e nella riaffermazione della confluenza tra i due ambiti. Robinet, André Dom Deschamps: le maître des maîtres du soupçon Vrin, ottobre 1994 pp. 338, F 225 Il potere civile ha costretto Deschamps (1716-1774) a tacere. Rousseau, Diderot, Voltaire, buttatisi a sinistra, hanno soffocato l’opera. Hegel ci insegna a leggere questi scritti acidi: disappropriazione più radicale di quella che si trova in Marx, crepuscolo dei valori... Per l’eguaglianza anarcoide, contro il mio ed il tuo, quando il mio libro avrà avuto il suo effetto, esige Deschamps, che lo si bruci a sua volta. Safranski, Rüdiger Ein Meister aus Deutschland. Heidegger und seine Zeit Hanser, ottobre 1994 pp. 538, DM 58 Questo volume è un capolavoro stilistico che, attraverso l’arte del raccontare, seduce e porta al filosofare. Si tratta di uno studio esemplare sul rapporto tra ciò che è pensabile e ciò che è vivibile in questo secolo pericoloso e sulla capacità di seduzione del potere nei confronti della mente e dello spirito. Schiefenhövel, W. (a cura di) Der Mensch in seiner Welt. Anthropologie heute Trias, ottobre 1994 3 voll. pp. 700, DM 89 Questo libro ha la sua origine nel corso radiofonico “L’uomo, antropologia oggi”. Il primo volume tratta questi argomenti: “Dalla scimmia a semi-dio. Il percorso dell’uomo per allontanarsi dalla natura”; il volume secondo: “Tra natura e cultura. L’uomo ed i suoi rapporti”; il terzo volume:”I mondi creati e pensati. L’uomo e le sue idee”. Römelt, Josef Anthropozentrische Aporie und christliches Gewissen Herder, novembre 1994 pp. 144, DM 32 Roth, Gerhard Das Gehirn und seine Wirklichkeit. Kognitive Neurologie und ihre philosophischen Konsequenzen Suhrkamp, ottobre 1994 pp. 320, DM 48 In questo volume vengono presentate le più recenti conoscenze sui fondamenti biologici, evolutivo-biologici e neuro-biologici della percezione e delle prestazioni conoscitive, della coscienza, dello spirito e della mente. Schlanger, Jacques Gestes de philosophes Aubier, novembre 1994 pp. 176, F 100 Partendo da un’analisi dell’utilizzo da parte dei filosofi della loro persona all’interno della loro opera, il volume definisce i tre tipi di uso di sé in filosofia che manifestano il modo di agire e di reagire, i toni, gli stili, le posture, i comportamenti, i modi dell’attività filosofica. Rousseau, Jean-Jacques Lettere sulla botanica Guerini, novembre 1994 pp. 160, L. 26.000 Nel pensiero e nella vita del filosofo ginevrino, la botanica occupa un posto di rilievo. Nello studio delle piante egli cercò suggestioni per la soluzione di alcune questioni filosofiche: la capacità della ragione intuitiva, il legame tra conoscenza immediata e morale, l’ordine dell’universo, l’esistenza di Dio. Schlechta, Karl Nietzsche-Index zu den Werken in drei Bänden Hanser, ottobre 1994 pp. 520, DM 98 Schmitz, Hermann Selbstdarstellung als Philosophie. Metamorphosen der entfremdeten Subjektivität Bouvier, novembre 1994 pp. 450, DM 120 L’estraniamento della soggettività a cominciare da Fichte viene compensato, in modo diverso, da Stirner, Nietzsche e Wittgenstein e preparato da Schopenhauer. Una nuova teoria della soggettività supera l’estraniamento. Rozenberg, Jacques J. Philosophie et folie: fondaments psychopathologiques de la métaphysique L’Harmattan, novembre 1994 pp. 239, F 130 La metafisica designa la scienza dell’essere in quanto essere, come affermava Aristotele, oppure rivela un’esperienza delirante, come mostrava Kant? Il volume rintraccia la storia di questo problema e tenta di sviluppare un modello operativo capace di integrare i dati concettuali appartenenti ad ambiti molto diversi come l’ottica, la biologia e la psicoanalisi... Schnapp, Jan Freiheit, Moral und Recht. Grundzüge einer Philosophie des Rechts Mohr, novembre 1994 pp. 310, DM 70 Schapp elabora le questioni fondamentali dell’etica e della filosofia del diritto. Egli interpreta l’etica sulla base del modello di Stato e di leggi elaborato da Platone. I bisogni degli uomini devono essere soddisfatti attraverso la ragione. Alle mancanze della ragione deve sopperire la costrizione attraverso la legge. Russell, Bertrand Dio e la Religione a cura di Al Seckel Newton Compton, novembre 1994 pp. 320, L. 3.900 Il pensiero del filosofo inglese sulla religione, il libero pensiero e il razionalismo. La sua critica nei confronti della fede nell’esistenza di Dio e in generale di ogni forma di dogmatismo. 94 Schönberger, Rolf Relation als Vergleich. Die Realationstheorie des Johannes Buridan im Kontext seines Denkens und der Scholastik Brill, ottobre 1994 FOL 190 Si tratta della tesi di abilitazione tenuta da Schönberger presso l’Università di Monaco nel ’90. Schramm, Michael Der Geldwert der Schöpfung. Theologie - Ökologie - Ökonomie Schöningh, ottobre 1994 pp. 302, DM 68 Schulz, Peter Edith Steins Theorie der Person. Von der Bewußtseinsphilosophie zur Geistmetaphysik Karl Alber, ottobre 1994 pp. 280, DM 86 Schulz, Walter Der gebrochene Weltbezug. Aufsätze zur Geschichte der Philosophie und der Analyse der Gegenwart G. Neske, ottobre 1994 pp. 288, DM 88 Schulze, St. - Binder, J. Kants Verteidigung der Metaphysik. Eine Untersuchung zur Problemgeschichte des Opus postumum Tectum-Vlg., novembre 1994 pp. 248, DM 39,80 Si tratta della tesi di laurea, tenuta a Monaco nel 1994. Schumacher, Ralph John Stuart Mill Campus, ottobre 1994 pp. 150, DM 24,80 Accanto agli scritti di John Stuart Mill sul liberalismo politico ed economico, sono importanti soprattutto i suoi lavori sulla filosofia teoretica e pratica, che sono al centro di questa introduzione. Schweidler, Walter Geistesmacht und Menschenrecht. Der Universalanspruch der Menschenrechte und das Problem der Ersten Philosophie Karl Alber, novembre 1994 pp. 600, DM 158 Scilironi, Carlo In cammino verso l’uomo. Saggio di antropologia filosofica San Paolo, novembre 1994 pp. 166, L. 18.000 Che cosa significhi pensare e agire, dove l’audacia della libertà di pensiero si coniuga effettivamente col coraggio dell’azione liberatrice. Seidel, Helmut Spinoza zur Einführung Junius, novembre 1994 pp. 180, DM 24,80 Seneca, Lucio Anneo Breviario a cura di Giovanni Reale Rusconi, novembre 1994 pp. 350, L. 16.000 NOVITÀ IN LIBRERIA Da tutti i dialoghi e i trattati sono stati estratti, rifatti e tradotti i brani e gli aforismi più significativi ordinandoli in 35 temi, in modo da renderli più accessibili al pubblico. Seneca, Lucio Anneo Tutti gli scritti a cura di Giovanni Reale Rusconi, novembre 1994 pp. 1500, L. 70.000 L’opera di Seneca presentata in un solo volume contenente tutti gli scritti in prosa. I dieci dialoghi tradotti da Aldo Marastoni, e i quattro trattati tradotti da Monica Vialli. Sesto Empirico Outlines of Scepticism a cura di Julia Annes et al. Cambridge UP, novembre 1994 £ 11 Gli Outlines of Scepticism del filosofo greco Sesto Empirico sono un documento dello scetticismo antico, una delle fonti più esaustive riguardo alle filosofie ellenistiche. Si tratta di una traduzione in inglese delle Outlines of Scepticism, con un’introduzione e delle note. Seuses, Heinrich Philosophia spiritualis. Quelle, Konzept, Formen und Rezeption a cura di R. Bumrich e Ph. Kaiser Reichert, novembre 1994 pp. 320, DM 110 Sieg, Ulrich Aufstieg und Niedergang des Marburger Neukantismus. Die Geschichte einer philosophischen Schulgemeinschaft Königshausen & Neumann novembre 1994 pp. 582, DM 98 Siegler, Hans Georg Der heimatlose Arthur Schopenhauer. Jugendjahre zwischen Danzig Hamburg, Weimar Droste, novembre 1994 pp. 300, DM 39,80 Sini, Carlo Scrivere in silenzio. Wittgenstein e il problema del linguaggio Egea, novembre 1994 pp. 120, L. 60.000 Resoconto di un ciclo di lezioni sulla concezione di Wittgenstein che afferma che le proposizioni filosofiche sono illustrazioni. Il resoconto dunque si presenta con una serie di immagini, percorsi topologici, dove scrittura alfabetica, tracce e tratti, immagini e acquarelli si intrecciano e si integrano. Slings, Simon R. Plato’s Apology of Socrates. A Literary and Philosophical Study with a Running Commentary. Edited and Completed from the Papers of the Late E. de Strycker Brill, ottobre 1994 pp. 280, FOL 180 Spierling, Volker Arthur Schopenhauer. Die Philosophie als Kunst und Erkenntnis. Die Biographie eines anhaltend aktuellen Weltbilds Haffmans Vlg., ottobre 1994 pp. 256, CHF 48 Il commento prende in considerazione il testo capitolo dopo capitolo esaminando in questo modo le posizioni centrali della filosofia di Hume. Strohmeyer, Ingeborg Philosophische Gespräche. Leibniz und Kant über das Individuenproblem Königshausen & Neumann novembre 1994 pp. 192, DM 38 Stadler, Christian Maria Transzendentale Deduktion zwischen Theorie un Praxis. Vorüberlegungen zu einer Staatstheorie nach Kant Junghans, novembre 1994 pp. 160, DM 35 Suhr, Martin John Dewey zur Einführung Junius, novembre 1994 pp. 180, DM 24,80 Stanguennec, André Etudes post-kantiennes vol. II: Raison analytique et raison dialectique dans la pensée post-kantienne Age d’homme, novembre 1994 pp. 181, F 140 Si tratta di uno studio sulla concettualizzazione della materia, della vita e dello spirito in Kant, Hegel, Fichte, Schelling e nei romantici tedeschi. Szlezynger, Jehuda Zur Philosophie der Psychologie. Ein Versuch über die Wesenslogik Bouvier, ottobre 1994 pp. 228, DM 58 Che cosa accade quando la filosofia e la psicologia, liberate dalla loro posizione di reciproca estraneità, vengono poste in un rapporto di scambio? Taranto, Domenico Pirronismo ed assolutismo nella Francia del ‘600. Studi sul pensiero politico dello scetticismo da Montaigne a Bayle (1580-1697) FrancoAngeli, novembre 1994 pp. 208, L. 30.000 Snodandosi lungo il percorso che va dagli Essais di Montaigne al Dictionnaire di Bayle, il volume ricostruisce la teoria politica di alcuni pensatori francesi dubbiosi verso antiche tradizioni e strategie di fondazione del potere. Il risultato di questo processo consiste nella rifondazione di una teoria dell’ordine e, conseguentemente, dell’obbedienza, svincolata da ogni garanzia di tipo metafisico e, comunque, da ogni carattere di naturale oggettività. Stegmaier, Werner Nietzsches ‘Genealogie der Moral’ Wiss. Buchgess., ottobre 1994 pp. 260, DM 49,80 Quest’interpretazione del discusso scritto di Nietzsche La genealogia della morale lo colloca all’interno del contesto generale delle opere di Nietzsche, delinea l’etica che prepara questo testo e delinea i sui principali tratti filosofici. Stein, Edith La vita come totalità. Scritti sull’educazione religiosa Città Nuova, dicembre 1994 pp. 240, L. 28.000 Il volume raccoglie diciassette saggi, alcuni inediti, risalenti agli anni 19261938. Dopo aver parlato dei fondamenti teorici dell’insegnamento, offre una panoramica sugli scopi e i metodi della psicologia e il suo significato per la pedagogia. Taviani, Elena L’apparenza da salvare. Saggio su Th. W. Adorno Guerini, novembre 1994 pp. 193, L. 28.000 Saggio sulla natura del pensiero adorniano: la dialettica negativa, la provocazione linguistica, ecc. Steinmetz, Rudy Les Styles de Derrida De Boeck-Wesmael, ottobre 1994 pp. 249, F 175 Interrogando il presupposto secondo il quale la verità è interiore ed esteriore ai suoi modi di espressione, l’opera di Jacques Derrida intende portare alla luce l’impensato della metafisica tradizionale, vuole far sapere che il senso saprebbe esistere al momento della sua messa in opera attraverso e dentro il linguaggio. Taylor, Charles Quellen des Selbst. Die Entstehung der neuzeitlichen Identität Suhrkamp, ottobre 1994 pp. 880, DM 160 E’ possibile farsi un’idea della situazione precaria dell’io moderno solamente se le considerazioni di tipo sistematico e storico si compenetrano nel corso dell’analisi. Questa unione e cooperazione dell’approccio sistematico e storico casratterizza il libro di Charles Taylor sullo sviluppo dell’identità moderna. Stietencron, H. - Rüpke, J. (a cura di) Töten im Krieg Karl Alber, ottobre 1994 pp. 460, DM 124 Streminger, Gerhard David Hume: Eine Untersuchung über den menschlichen Verstand. Ein einführender Kommentar UTB, ottobre 1994 pp. 220, DM 22,80 Tchouchang-Tseu Le Rêve du papillon: oeuvres trad. dal cinese di J.J. Lafitte Albin Michel, ottobre 1994 pp. 339, F 120 95 E’ Tchouchang-Tseu che sogna di essere una farfalla o è la farfalla che sogna di essere Tchouchang-Tseu? Tebartz-van Eist, Anne Ästhetik der Metapher. Zum Streit zwischen Philosophie und Rhetorik bei Friedrich Nietzsche Karl Alber, novembre 1994 pp. 240, DM 74 Si tratta della tesi di laurea, tenuta presso la Technische Hochschule di Aquisgrana nel ’93. Terrel, Jean Hobbes: matérialisme et politique pref. di Bernard Bourgeois Vrin, ottobre 1994 pp. 397, F 240 Mentre Aristotele ipotizza la città in cui i cittadini siano governanti e governati, Hobbes pensa ad uno Stato, dove uno comanda e l’altro obbedisce. Egli fornisce così dei principi essenziali (l’autorità dello Stato fondata sulla rappresentazione, il riconoscimento agli individui di diritti inalienabili) alla democrazia liberale, rifiutando l’esigenza democratica: la repubblica, creata dai cittadini, li priva dell’esercizio del potere politico. Tietz, Udo Sprache und Verstehen in analytischer und hermeneutischer Sicht Akademie-Vlg., novembre 1994 pp. 250, DM 74 L’autore formula una teoria del contesto positiva, che risulta da una ricerca riguardo all’avvicinamento tra la tradizione analitica e quella ermeneutica, tenendo presenti la loro storia, le loro premesse e le conseguenze che ne derivano e che vengono messe a fuoco nella problematica “lingua e comprensione”. Troude-Chastenet, Patrick (a cura di) Sur Jacques Ellul L’Esprit du temps, ottobre 1994 pp. 320, F 150 J. Ellul ha pensato al Contratto naturale prima di Michel Serres, ha praticato la decodificazione semiologica prima di Barthes e criticato la società moderna prefigurando le principali tesi di Jean Baudrillard. Egli ha aperto la strada a Ivan Illich, il quale, insieme agli altri, gli rende qui omaggio in maniera vibrante. Tsirintanis, Alexandre Savoir où nous allons Universit. de Nancy, novembre 1994 pp. 170, F 80 Il volume presenta il tentativo di elaborare una teoria cristiana del Tutto, da parte di un giurista cretese, docente di diritto commerciale presso l’Università di Atene tra il 1942 ed il 1968. Tudge, Colin Wir Herren der Schöpfung. Gen-Technik und Gen-Ethik Spektrum, ottobre 1994 pp. 540, DM 58 NOVITÀ IN LIBRERIA In quali casi non è possibile rinunciare alla tecnica dei geni, dove può essere utilizzata in modo sensato? Come è possibile controllare l’utilizzo della tecnica dei geni? E dove si può porre il confine tra queste due tematiche. Queste sono alcune delle problematiche affrontate in questo volume. Valdman, Edouard Les Juifs et l’argent: pour une métaphysique de l’argent Galillée, ottobre 1994 pp. 95, F 92 Il denaro è la potenza rivoluzionaria per eccellenza: è il segno indelebile della sete di assoluto dell’uomo. Partendo da una lettura di Derrida, Levinas, Nietzsche..., l’autore mostra come l’ebreo abbia conservato, attraverso la simbologia del denaro, lo spazio dell’alterità e della libertà. Vattimo, Gianni Oltre l’interpretazione. Conseguenze dell’ermeneutica Laterza, novembre 1994 pp. 200, L. 18.000 Saggio sul pensiero debole e sul suo possibile sviluppo. Lezioni svolte presso l’Università di Bologna. Vaysse, Jean-Marie Totalité et subjectivité: Spinoza dans l’idéalisme allemand Vrin, ottobre 1994 pp. 302, F 198 Il volume intende elucidare il funzionamento e la portata del pensiero di Spinoza all’interno di quest’epoca della metafisica, che è quella del suo compimento nel corso del processo di assoluzione della soggettività moderna. Vigna, Carmelo (a cura di) L’etica e il suo altro Angeli, novembre 1994 pp. 272, L. 38.000 L’etica serve agli uomini come strumento per convivere anche senza condividere alcunché, ma bisogna fare in modo che resti fermamente rapportata al proprio “altro”, ossia che l’etica non sia isolata astrattamente dalla contestualità che le compete: il rimando è alle strutture fondative della verità e alla realtà indiscutibile delle cose buone. Virilio, Paul Esthétique de la disparition LGF, ottobre 1994 pp. 123, F 30 La visione dipende dalla luce e dall’immortalità delle cose, il reale è un movimento continuo che si mostra in piena luce. Qual’è dunque il reale che noi percepiamo? Non sarà forse un’allucinazione permanente? Partendo dal caso Howard Hughes, l’autore offre la sua riflessione sulla velocità e l’illusione all’interno della società. Waldenfels, Bernhard Antwortregister Suhrkamp, ottobre 1994 pp. 500, DM 78 L’atto del rispondere sembra un modo di confrontarsi con ciò che ci è estraneo, senza neutralizzarlo attraverso l’appropriazione. Anche le ricerche contenute in questo volume, un Antwortregister (un elenco di risposte), si muovono in questa direzione. Virilio, Paul Esthétique de la disparition LGF, ottobre 1994 pp. 123, F 30 La visione dipende dalla luce e dall’immortalità delle cose, il reale è un movimento continuo che si mostra in piena luce. Qual’è dunque il reale che noi percepiamo? Non sarà forse un’allucinazione permanente? Partendo dal caso Howard Hughes, l’autore offre la sua riflessione sulla velocità e l’illusione all’interno della società. Wallner, Fritz Constructive Realism. Aspects of a New Epostemological Movement Braumüller, ottobre 1994 pp. 400, ÖS 160 Weil, Simone Oeuvres complètes vol. VI:Cahiers a cura di A. Devaux e F.de Lussy Gallimard, ottobre 1994 pp. 563, F 280 Questo primo volume dei quaderni permetterà di leggere dei testi inediti che chiarificano il periodo-cerniera tra il periodo precedente la guerra e l’esodo, e poi il trasferimento a Marsiglia. Si troverà anche una cronologia esaustiva delle opere e della vita dell’autrice. Voisine-Jechova, Hana La Visualitation des choses et la conception philosophique du monde dans l’oeuvre de Comenius Université de Paris-Sorbonne ottobre 1994 pp. 216, F 145 Il volume documenta sull’apporto di Comenio (1592-1670) allo sviluppo della cultura europea. Quest’esiliato insieme cosmopolita e profondamente ancorato alla tradizione ceca, pensatore religioso, pedagogo, linguista e scrittore, rappresenta uno dei vertici della cultura del suo paese. Weissmahr, Béla Philosophische Gotteslehre Kohlhammer, ottobre 1994 pp. 174, DM 29,80 Si tratta della seconda edizione rivista di questo libro. Voltaire Dictionnaire philosophique a cura di Béatrice Didier Impr. nationale, ottobre 1994 F 250 Questo libro è un’opera di lotta, un’impresa che portò Voltaire ad umiliare l’infamia, il fanatismo, la superstizione, l’intolleranza. L’edizione riprodotta è quella del 1769, la sesta edizione, rivista ed ampliata dall’autore. Welsch, Wolfgang Vernunft. Die zeitgenössische Vernunftkritik und das Konzept der transversalen Vernunft Suhrkamp, ottobre 1994 pp. 1000, DM 148 Questa ragione dei passaggi ci fornisce delle competenze specifiche per i nostri giorni. Ci permette di passare tra le diverse configurazioni di significato e le differenti dimensioni della realtà e di considerare le esigenze divergenti. Essa permette quindi l’orientamento attraverso i fondamenti oscillanti ed una costituzione complessiva del disordine. Vorlaufer, Johannes Das Sein-Lassen als Grundvollzug des Daseins. Eine Annährung an Heideggers Begriff der Gelassenheit Passagen-Vlg., ottobre 1994 pp. 208, ÖS 280 Si tratta della prima edizione tedesca di quest’opera. Wilson, James Q. Il senso morale Comunità, novembre 1994 pp. 320, L. 40.000 Saggio sulla moralità e la natura umana. 96 Wischke, Mirko Die Geburt der Ethik. Schopenhauer - Nietzsche - Adorno Akademie-Vlg., novembre 1994 pp. 240, DM 64 Con questo studio, l’analisi critica del pensiero fondamentale dell’etica di Schopenhauer, Nietzsche ed Adorno, che è impregnato di teoria, e della sua messa in pratica sistematica rivela un contesto di motivazioni sotterraneo, che era fino ad ora rimasto escluso dalle discussioni contemporanee. Wittgenstein, Ludwig Vermischte Bemerkungen. Eine Auswahl aus dem Nachlaß Suhrkamp, novembre 1994 pp. 160, DM 36 Wuthenow, Ralph-Rainer Nietzsche als Leser. Drei Essays Europ. Verlagsanst., novembre 1994 pp. 96, DM 26 Zurawska, Jolanta (a cura di) Il Rinascimento in Polonia. Atti dei Colloqui italo-polacchi 1989-1992 Bibliopolis, novembre 1994 pp. 457, L. 40.000 Parte di una collana che in base a nuove indagini e nuove riflessioni ristudia i “Rinascimenti” fuori d’Italia nei loro caratteri, nelle loro interrelazioni e nel rapporto col Rinascimento italiano, questi Atti (che riassumono quattro anni di collaborazione tra l’I.U.O. di Napoli e l’Università di Varsavia) sono dedicati alla specificità del Rinascimento polacco. Zwierlein, E. (a cura di) Verantwortung in der Risikogesellschaft. Ethische Herausforderung in einer veränderten Welt Schulz-Kirchener, novembre 1994 pp. 152, DM 26,80 (a cura di A.M.; trad. it. di L.T.)