antropologia culturale: un approccio per problemi

‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
Capitolo 1 – CULTURA E SIGNIFICATO
[*Paragrafi]:
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Perché gli esseri umani pensano e si comportano in modo diverso?;
Quali criteri seguiamo per giudicare credenze e pratiche altrui?;
Il pregiudizio etnocentrico e il pregiudizio relativista;
Obiettività ed etica;
È possibile vede il mondo attraverso lo sguardo altrui?;
In che modo possiamo interpretare e descrivere i significati che gli altri attribuiscono
all’esperienza?;
Cosa può dirci su noi stessi ciò che impariamo sugli altri?;
L’antropologo balinese ed il football americano;
Comprare e vendere.
La cultura in senso antropologico è quel processo che colloca sullo stesso piano tutti gli individui
aventi certe caratteristiche in un certo tempo ed in un certo spazio. *L’ antropologia culturale
offre una prospettiva che consente di scardinare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi che
occultano i meccanismi di costruzione della realtà. Ad esempio, permette di cogliere il tentativo di
controllare le attività degli studenti dietro ad orologi, campanelli e ad una certa disposizione delle
sedie in aula.Secondo la prospettiva antropologica, i membri di una società vedono il mondo in
modo simile perché condividono la medesima cultura. Conseguentemente gli individui hanno
visioni del mondo diverse perché le loro culture sono diverse. Alcuni eventi dell’esistenza umana
come la nascita e la morte sono comuni a tutti gli uomini; variano invece altri elementi della vita,
ad esempio le regole per il corteggiamento. Da una società all’ altra, inoltre, cambia il significato
che le persone attribuiscono ai suddetti eventi. La morte, ad esempio, per alcuni popoli segna il
semplice passaggio di una persona in un altro mondo; per altri, è l’epilogo della vita. Presso certe
popolazioni è considerata un evento naturale ed inevitabile, in altre si crede che sia sempre
causata da un atto malvagio, così ogni morte suscita il sospetto e la richiesta di vendetta (isole
Trobriand). Presso certi popoli la morte è accompagnata da eclatanti dimostrazioni di dolore e
lutto per la persona scomparsa; altrove, negli Stati Uniti ad esempio, il dolore viene nascosto come
se si trattasse di qualcosa di cui vergognarsi. Quindi l’ uomo, in quanto animale culturale,
attribuisce un significato a cose, eventi, azioni e popoli e gli antropologi designano questo
processo col termine cultura. Quando le persone attribuiscono all’ esperienza uno stesso
significato condividono ed esprimono la stessa cultura, quando ciò non accade si determinano
delle differenze culturali. Uno degli obiettivi degli antropologi è proprio quello di comprendere le
ragioni di tale diversità al fine di superare lo sconcerto iniziale provocato dal confronto tra le varie
culture. Tra tutte le pratiche e le credenze umane esistenti, infatti, parecchie potrebbero apparire
bizzarre o aberranti: ad esempio, l’ infibulazione praticata in alcune comunità di interesse
etnografico. I giudizi che esprimiamo rispetto a credenze e pratiche altrui creano un dilemma.
Infatti, se riteniamo che i significati che gli altri attribuiscono all’ esperienza siano sbagliati
incorriamo nel pregiudizio etnocentrico, che risulta intellettualmente intollerabile e ostacola ogni
tipo di comprensione interculturale. Se, invece, riteniamo che credenze e pratiche vadano
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
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inquadrate nel contesto al quale appartengono e solo relativamente ad esso possano essere
giudicate, incorriamo nel pregiudizio relativistico. L’ idea che è impossibile emettere giudizi morali
su credenze e pratiche altrui sembra moralmente intollerabile poiché indurrebbe ad accettare
qualunque credenza o pratica. Forse allora, prima di condannare credenze o pratiche che risultano
lesive dei diritti umani, bisognerebbe sforzarsi di coglierne il senso nell’ ambito della cultura di
appartenenza. Il conflitto tra etnocentrismo e relativismo ha un risvolto pratico; nel corso della
ricerca, infatti, gli antropologi si trovano di fronte ad un bivio: conservare una “distanza etica” dall’
oggetto del loro studio e restare “obiettivi” o schierarsi moralmente nei confronti delle credenze e
delle pratiche analizzate? Se ogni cultura organizza l’ universo in un certo modo, quella cultura
impedisce o rende difficile comprendere visioni del mondo differenti. Allora l’ antropologo, per
scorgere la realtà che si cela dietro le apparenze, dovrebbe liberarsi dei propri preconcetti su ciò
che è normale o adeguato. Tuttavia, gli antropologi concludono che la comprensione delle altre
culture può essere soltanto parziale, dal momento che si può conoscere solo qualcosa di ciò che
significa essere nativo. *2 (“cogliere il punto di vista dei nativi”, raccomandava Malinowski). Un
modo per descrivere e interpretare i significati che altri popoli attribuiscono all’ esperienza è
considerare una cultura come un testo pieno di simboli di cui è possibile decifrare il significato
(Geertz). Inoltre, guardando la nostra cultura come guardiamo le culture altrui potremmo capire
meglio i significati che attribuiamo ad oggetti, persone ed eventi. Così, ad esempio, potremmo
riscontrare delle analogie tra una partita di football americano ed il combattimento dei galli nell’
isola di Bali.
*1 Notevole rilevanza riveste la nozione di cultura dell’ antropologo Edward Burned Tylor, il quale
in Primitive Culture (1871) scrive: “Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è
quell’ insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’ arte, la morale, il diritto, il
costume e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’ uomo in quanto membro di una
società”. Questa definizione, che considera sinonimi i termini cultura e civiltà, ha una portata
rivoluzionaria dal momento che ingloba nell’ insieme cultura “qualsiasi altra capacità o abitudine”,
riconoscendo a tutti i gruppi umani la capacità di produrre cultura.
*2Lo studioso Ernesto De Martino afferma la validità di una posizione che definisce
“etnocentrismo critico”: sforzarsi di allargare la propria coscienza culturale di fronte ad ogni
cultura “altra” rendendosi conto dei limiti della propria storia culturale, ma senza rinunciare all’
idea del primato della società occidentale.
Capitolo 2 – LA COSTRUZIONE SOCIALE E CULTURALE DELLA REALTA’
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Il problema principale;
In che modo il linguaggio influisce sui significati che vengono attribuiti all’esperienza?;
Metafore e slittamenti di significati;
Le metafore della fame dei Kwaikiutl;
Le metafore della stregoneria e della magia;
In che modo l’azione simbolica rafforza una particolare visione del mondo?;
Morfologia dei racconti: Dorothy incontra Luke Skywalker;
In che modo si arriva a credere ciò che si crede e come si continua a tenere fede alle
proprie credenze, anche se esse appaiono contraddittorie e ambigue?;
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Il processo della deriva interpretativa;
Spiegazione del perché il sole ruota attorno alla terra;
In che modo il nostro modo di vivere influisce su credenze e rituali?;
Amore e classi sociali;
Amore e individualismo;
L’amore romantico e il funzionamento della società;
Come si può riorganizzare la propria visione del mondo se non è più soddisfacente?;
Wovoka e la danza degli spiriti;
La consulenza politica e il poter delle metafore;
Visioni della politica: il matrimonio omosessuale;
Tradurre la teoria in azione
Spesso le persone credono in qualcosa che non si riesce a dimostrare, come l’ esistenza di Dio, di
spiriti invisibili o dei poteri della magia. L’ antropologia recente ha riflettuto sul modo in cui le
persone si convincono della bontà della propria visione del mondo. A tal proposito è stata utile l’
analisi del ruolo del linguaggio, di azioni simboliche come i rituali ed i miti, e di altri aspetti della
vita sociale che contribuiscono a convincere le persone che ciò in cui credono è giusto, a
difenderlo nei confronti degli scettici o a cambiare radicalmente le proprie credenze. Da questo
punto di vista, allora, il linguaggio non è soltanto un mezzo di comunicazione trasparente. Le
ipotesi di Sapir- Whorf (o ipotesi del determinismo linguistico) dimostrano che il lessico di una
lingua può influenzare la percezione di determinate caratteristiche dell’ ambiente e che la
grammatica di una lingua può favorire certi modi di considerare il mondo a scapito di altri. I
significati che vengono assegnati all’ esperienza sono influenzati anche dalla metafora, che
consente di utilizzare espressioni linguistiche appartenenti ad un’ area dell’ esperienza in un’ area
differente per comprendere quest’ ultima nei termini della prima. L’ azione simbolica rafforza una
particolare visione del mondo. Il rituale, ad esempio, raffigura simbolicamente una certa visione
della realtà in modo tale da convincerci della veridicità di essa. La studiosa Tanya Luhrmann ha
esaminato il processo attraverso il quale le persone possono arrivare a prestare fede a certe
credenze e lo ha definito “deriva interpretativa“. Le persone abbracciano le proprie credenze
attraverso la pratica o partecipando a rituali che le invogliano a cercare e a trovare le prove della
loro veridicità, e quindi a difendere le proprie credenze nei confronti degli scettici. Ad un certo
punto si smette di pensare di aver cambiato il proprio sistema di credenze e si arriva a convincersi
che il nuovo credo sia del tutto vero. Il nostro modo di vivere influisce su credenze e rituali. Ad
esempio, le persone si convincono di “essere innamorate”, ma come esse arrivino a crederlo,
come venga articolato l’ amore e di chi esse scelgano di innamorarsi sono in gran parte funzioni di
modelli sociali ed economici. In determinate condizioni le persone possono essere condotte a
cambiare radicalmente il proprio sistema di credenze. L’ esperienza del sovvertimento sociale può
portare, com’ è avvenuto per gli Indiani delle Pianure, ad un nuovo sistema di credenze connesso
alla promessa di un riassetto della società, nel caso della Danza degli Spiriti, di ripristino del
passato.
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Capitolo 3 – LA COSTRUZIONE CULTURALE DELL’ IDENTITA’
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l’importanza del sé;
In che modo varia il concetto di persona da una società all’altra?;
Il se egocentrico e il se sociocentrico;
La personalità in Giappone e in America;
In che modo le società distinguono gli individui gli uni dagli altri?;
Costruire il maschile e il femminile;
Linguaggio, genere e appartenenza etnica;
In che modo gli individui apprendono chi sono?;
Il passaggio all’età adulta;
In che modo gli individui comunicano la propria identità agli altri?;
Doni e merci;
In che modo gli individui difendono la propria identità quando sono minacciati?;
Lo scambio moka in Papua Nuova Guinea;
Fat talk (parliamo di grasso);
Immagine corporea e identità;
Il problema;
Affrontare il problema
Nessuno nasce sapendo quale sia il suo posto nel panorama sociale, ma lo apprende. La società è
un insieme di identità sociali distribuite in un certo contesto, fondamentali per rapportarsi agli altri
in modo adeguato. In tutte le società il nome proprio è un intimo contrassegno della persona e la
differenzia dalle altre. Tuttavia, le società si differenziano per la concezione del sé che può essere
individualistica o olistica. Gli americani, ad esempio, ritengono di essere le stesse persone anche
quando modificano la propria condizione o posizione, per cui sono fortemente individualisti. Nella
società gitksan, invece, la relazione tra la persona e il gruppo, o tra la persona e la sua posizione
sociale è olistica, nel senso che la persona non può essere considerata come un’ entità separata
dalla società o dal proprio ruolo o condizione. Sulla scorta di questa differenziazione, Shweder e
Bourne distinguono il Sé egocentrico dal Sé sociocentrico. Nella visione egocentrica, la persona è
un individuo autonomo e separato. La visione sociocentrica del Sè, invece, è fondata sul contesto,
per cui il Sé è considerato dipendente da una situazione o da uno scenario sociale. Un esempio di
concezione sociocentrica del Sé è quella dei Giapponesi, i quali includono entro i confini del sé
anche il gruppo sociale di cui fa parte la persona. Le società distinguono gli individui l’ uno dall’
altro in base a criteri come età, genere, parentela, appartenenza etnica, lingua e affiliazione
religiosa. Le differenze e le somiglianze nelle caratteristiche individuali sono usate per costruire
panorami sociali nei quali è indicato il posto o l’ identità di ciascuno. Le caratteristiche, o strumenti
identitari, che determinano l’ identità sono considerate in modo diverso nelle varie società. Il
genere, ad esempio, è una creazione culturale: all’ essere maschio e all’ essere femmina si
applicano attributi differenti. Il processo di assegnazione a un genere inizia fin dalla nascita e
procede durante la crescita con un certo tipo di educazione. Anche il numero delle categorie di
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genere riconosciuto nelle diverse società varia. Il Nord America indigeno, ad esempio, riconosceva
tradizionalmente un terzo genere, il berdache. E’ un individuo biologicamente maschio, che non
viene considerato uomo ma neanche donna. In alcune società il berdache è rispettato in modo
particolare. L’ essere berdache non implicava necessariamente un’ attività sessuale con un partner
dello stesso sesso né lo svolgimento esclusivo di mansioni femminili. L’ antropologa Harriet
Whitehead ha sottolineato come gli americani definiscano il genere soprattutto in base alle
preferenze sessuali e i nativi nordamericani, invece, in base alla scelta dell’ occupazione. Ognuno
di noi apprende la propria identità nel corso del proprio sviluppo e la modifica continuamente.
Nel 1906 Arnold Van Gennep introduce il concetto di riti di passaggio. I rituali d’ iniziazione
preparano gli individui ad accettare nuovi modi di considerare se stessi e gli altri; in altre parole,
contraddistinguono il passaggio da un’ identità all’ altra. Van Gennep individuava uno schema
tripartito alla base di molti riti: ad una prima fase di separazione dalla condizione che si abbandona
segue una fase di margine, alla fine della quale avviene l’ aggregazione alla nuova condizione.
Victor Turner, della Scuola britannica, parla di fase preliminare, fase liminare e fase postliminare.
Tipici esempi di riti di passaggio, diffusi nella maggior parte delle società del mondo, sono le
cerimonie che segnalano il passaggio di un maschio dall’ infanzia all’ età adulta. Le persone devono
inoltre essere in grado di comunicare la propria identità agli altri. Comunichiamo con le cose, col
modo in cui parliamo, con le nostre frequentazioni. Un altro modo in cui segnaliamo la nostra
identità agli altri è lo scambio di doni, cui è sotteso quel principio di reciprocità che è alla base
della socialità. Il kula, la circolazione di doni (collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie
bianche) scambiati tra partner commerciali nelle isole Trobriand, ed il potlach, scambio rituale dei
nativi americani della costa nordoccidentale, sono validi esempi di scambio. I beni scambiati nel
kula e nel potlach hanno una storia. Nelle moderne società industriali, invece, le persone devono
affrontare un problema relativo al dono: la necessità di convertire in qualche modo una merce
anonima e acquistata in un negozio in un bene che possa costituire un dono personale e
significativo. Ciò avviene tramite un processo di appropriazione. Gli individui devono poter
difendere la propria identità se si sentono minacciati. Un esempio è il moka dei Big Men presso i
Melpa della Nuova Guinea, i quali in questo rito affermano e difendono la propria posizione nel
panorama sociale attraverso lo scambio cerimoniale di doni. Qualcuno all’ inizio fa un regalo ad un
partner commerciale e in cambio riceve più di quanto ha dato. E’ un modo per stabilire e
mantenere legami tra individui e gruppi e costituire un sistem gerarchico che consente agli uomini
di acquisire status e prestigio e diventare Big Men, ricchi capi indipendenti dagli altri.
Capitolo 4- Modelli di relazioni parentali
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Soap opera e rapporti parentali;
In che modo è costruito il gruppo familiare tipico?;
La composizione della famiglia degli Ju-Wasi;
La composizione della famiglia nelle isole Trobriand;
La composizione della famiglia cinese;
Come si formano le famiglia e come si mantengono i tipi familiari ideali?;
Il ciclo familiare degli Ju-Wasi;
Il ciclo familiare dei Trobriandesi;
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Il ciclo familiare dei cinesi;
Quali sono i ruoli di sessualità, amore e ricchezza?;
Sesso, amore e ricchezza per gli Ju-Wasi;
Sesso, amore e ricchezza per i Trobriandesi;
Sesso, amore e ricchezza per i Cinesi;
Quali elementi minacciano l’unità familiare?;
Minacce per la famiglia Ju-Wasi;
Minacce per la famiglia trobriandese;
Minacce per la famiglia cinese;
Combattere la diffusione dell’aids;
La prevenzione dell’aids in Messico;
Sesso: vietato parlarne;
Relazioni di potere;
Fiducia e fedeltà;
Sesso e amore;
Perché il messaggio dei programmi tradizionali per la prevenzione dell’aids è talvolta
ignorato?;
Preparare dei programmi di prevenzione dell’aids;
Gli Americani hanno un sistema di parentela bilaterale e, per la maggior parte di essi, il più
importante raggruppamento familiare è la famiglia nucleare, costituita da padre, madre e figli
biologici o adottivi. Anche nella famiglia ju/wasi vige un sistema di discendenza bilaterale, per cui i
membri di essa fanno parte sia della linea di discendenza paterna sia di quella materna e l’ unità
sociale più importante è la famiglia nucleare. Gli Ju/wasi sono consapevoli che la gravidanza è il
risultato di un rapporto sessuale. Nelle isole Trobriand, invece, ogni villaggio è costituito da
matrilignaggi, o dala, ossia gruppi di uomini legati l’ uno all’ altro attraverso la linea femminile,
insieme alle mogli e ai figli non sposati. I membri della famiglia trobriandese seguono, quindi, la
linea di discendenza femminile e l’ unità sociale più importante è la famiglia estesa matrilineare.
Nella Cina rurale tradizionale la famiglia ha una dimensione temporale estesa e include diverse
generazioni di antenati vivi e defunti appartenenti alla linea paterna. La discendenza è tracciata,
quindi, secondo la linea maschile (patrilignaggio), per cui l’ unità sociale più importante è la
famiglia patrilineare estesa, composta da una coppia sposata, i figli maschi sposati e le nuore, i
nipoti e le figlie nubili. L’ identità di ciascun maschio è definita dalle sue relazioni con i familiari
defunti e con quelli in vita, e la sua posizione sociale e il suo destino sono solo il risultato delle
azioni dei suoi avi. Data l’ interdipendenza tra i vivi e i morti del patrilignaggio, un maschio cinese
desidera avere dei discendenti maschi che si preoccupino del suo benessere e che si prendano
cura di lui anche dopo la morte. Sono i figli e i nipoti maschi ad assicurare una discendenza all’
uomo ed è per questo che i Cinesi prediligono i maschi. Le figlie femmine, infatti, procurano la
discendenza solo al patrilignaggio del marito. Un tratto comune di tutte le società è che le famiglie
si fondano sull’ unione socialmente riconosciuta di un maschio e di una femmina che, in genere,
prende la forma di matrimonio. Ma il modo in cui questo avviene varia significativamente nelle
diverse società. Gli americani, ad esempio, iniziano a corteggiare nella prima adolescenza e, in
genere, hanno una serie di relazioni prima di scegliere la persona da sposare. Questa scelta è
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influenzata da vari fattori tra cui l’ amore e l’ attrazione sessuale e, come in tutte le altre società,
vige il tabù dell’ incesto che proibisce di contrarre matrimonio con certe categorie di persone. La
cerimonia del matrimonio nella società americana è organizzata in modo tradizionale, a spese
della famiglia della sposa e, dopo la luna di miele, la coppia di solito va ad abitare in un’ altra casa.
La relazione di coppia si trasforma dopo l’ arrivo dei figli. Tra gli Ju/wasi, invece, il matrimonio
viene quasi sempre organizzato dai genitori degli sposi quando i figli sono ancora molto piccoli, ma
se la ragazza si oppone strenuamente il matrimonio viene annullato. Nelle Trobriand l’ attività
sessuale prima del matrimonio è molto diffusa ed è prevista, per cui spesso la coppia inizia a
convivere prima e il matrimonio si limita a formalizzare una relazione preesistente. I giovani si
fanno la corte e spesso scelgono da soli la persona da sposare, ma è necessaria l’ approvazione dei
genitori. I Trobriandesi devono rispettare la regola dell’ esogamia, per cui non possono sposare
una persona appartenente al proprio clan. Il tabù dell’ incesto riguarda tutti i parenti prossimi,
soprattutto fratelli e sorelle, e sono considerati tali tutti i membri del matrilignaggio della stessa
generazione. La famiglia nucleare è fondata sul legame duraturo tra marito e moglie, e il divorzio,
sebbene sia frequente e facile da ottenere, in genere avviene per iniziativa della moglie. Nella Cina
tradizionale il matrimonio non è tanto l’ unione di un uomo con una donna quanto l’ ampliamento
della propria famiglia tramite una persona che assicuri la discendenza. Per questa ragione i
matrimoni sono quasi sempre combinati, spesso molto in anticipo e con l’ aiuto dei sensali, e non
vi è quasi mai il corteggiamento. Talvolta una bambina o ragazzina è adottata da una coppia
perché sposi successivamente il proprio figlio; oppure viene adottato un ragazzo destinato a
diventare il marito della figlia. La cerimonia matrimoniale cinese è molto formale e, per la famiglia
dello sposo, molto dispendiosa. La moglie non acquisisce uno status rilevante nella famiglia del
marito finchè non avrà dato alla luce un figlio maschio. Il divorzio è quasi del tutto inesistente
nella Cina tradizionale. Un marito può avere anche più amanti, mentre, in teoria, è autorizzato ad
uccidere la moglie infedele. Anche l’ impegno economico per l’ organizzazione di un matrimonio
varia. Tra gli Ju/wasi, un uomo è costretto a provvedere al brideservice per la famiglia della moglie,
una forma di compensazione matrimoniale che consiste nel fatto che il futuro sposo si impegna a
lavorare per la famiglia della sposa, presso la quale andrà a vivere, per un periodo che può andare
dai pochi mesi ai dieci anni; nelle Trobriand e nella Cina tradizionale, la famiglia dello sposo è
obbligata a pagare il bridewealth alla famiglia della moglie: un insieme di beni che vanno a
compensare la perdita di un elemento importante in termini di forza lavoro. Anche le relazioni
importanti variano nei diversi tipi di famiglia. Per gli Ju/wasi la relazione chiave è quella tra marito
e moglie, nelle Trobriand tra fratello e sorella, in Cina tra padre e figlio maschio. I ruoli di
sessualità, amore e ricchezza, centrali nella società americana, variano presso questi popoli. La
ricchezza non ha quasi nessun ruolo nella vita degli Ju/wasi; al contrario, sesso, amore e bellezza,
soprattutto per le donne, sono molto importanti. I Trobriandesi pongono l’ accento sull’ attrazione
sessuale e sull’ amore romantico, ma dopo il matrimonio la dimensione sessuale della loro
esistenza viene nascosta, almeno in pubblico, e la donna mette in risalto la propria fertilità e
maternità. Sul versante maschile la sessualità non è mai molto importante, infatti i Trobriandesi
ritengono che gli uomini non hanno alcun ruolo nella riproduzione. La loro attrattiva fisica è
tuttavia rilevante per attirare le amanti e, successivamente, una moglie. La ricchezza è importante
per conservare lo status sociale del matrilignaggio. Nella famiglia rurale tradizionale cinese la
verginità ha molta importanza ed è considerata indispensabile per una sposa. L’ amore romantico
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e il sesso non rivestono alcun valore nella relazione tra moglie e marito, poiché la funzione della
moglie è generare dei figli, preferibilmente maschi. Dunque, la donna viene apprezzata per la sua
fertilità non per la sua sessualità. Il solo caso in cui la maternità non ha un ruolo più importante
della sessualità riguarda la donna che, non essendo in grado di avere un marito o avendolo perso,
diventa una concubina o una prostituta. La ricchezza è necessaria per la famiglia dell’ uomo per
pagare il bridewealth alla famiglia della moglie al momento del matrimonio ed è necessaria anche
per mantenere la famiglia estesa patrilineare di un uomo, i suoi figli maschi e i figli maschi dei suoi
figli. Le forze che minacciano l’ unità familiare variano a seconda del contesto. Nella società
americana le minacce principali sono l’ infedeltà, la malattia, la lotta per il potere e le difficoltà
economiche. Tra gli Ju/wasi l’ infedeltà coniugale o i tentativi del marito di procurarsi una seconda
moglie costituiscono le principali minacce alla famiglia. Nelle Trobriand, invece, le minacce più
pericolose sono quelle al matrilignaggio. Ogni minaccia ad un suo membro viene considerata una
minaccia rivolta a tutti. Per questa ragione la morte di un trobriandese ha un significato
particolare: è attribuita alla stregoneria ed è un segno del fatto che qualcuno appartenente a un
altro lignaggio sta sfidando il potere del matrilignaggio. La minaccia più grande per la famiglia
tradizionale cinese è, ovviamente, l’ assenza di un figlio maschio che mette in pericolo non solo l’
esistenza della famiglia, ma l’ intero patrilignaggio nel tempo. Anche la morte del capo della
famiglia patrilineare estesa costituisce una minaccia. I conflitti tra fratelli per la divisione dei beni
di famiglia, infatti, sono frequenti e spesso si concludono con la ripartizione della proprietà
familiare e la divisione della famiglia estesa.
CAPITOLO 5 – La costruzione culturale della gerarchia sociale
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Le cause della disuguaglianza sociale;
In che modo le società costruiscono le gerarchie sociali?;
Giovani e classi;
Status e angherie nella scuola superiore;
Perché le disuguaglianze economiche e sociali continuano ad esistere?;
Debito e redistribuzione della ricchezza;
La svalutazione del lavoro;
La costruzione di un nuovo razzismo;
Per quale ragione le gerarchie sociali vengono considerate naturali?;
La costruzione dell’ideologia razzista;
La costruzione sociale dell’intelligenza;
La costruzione della stratificazione attraverso il genere;
Quali strategie sviluppano i poveri per adattarsi alle loro condizioni di vita?;
La parentela come tentativo di adattamento alla povertà;
Alla ricerca del rispetto: vendere crack a El Barrio;
Una comunità privata di stratificazione può esistere all’interno di una società
gerarchica più ampia?;
Antropologia e diritti umani;
Antropologia e diritto alle cure mediche: il lavoro di Paul Farmer;
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La salute: un diritto universale
I problemi causati dalla disuguaglianza sociale, politica ed economica affliggono il mondo
moderno. Secondo alcuni l’ appartenenza di persone e gruppi a una gerarchia è inevitabile; altri
ritengono, invece, che può essere evitata ed è contraria alla natura umana. Infatti, esistono
società, come gli Ju/wasi e gli Inuit, relativamente ugualitarie. Due teorie relative alla
stratificazione sociale spiegano in modo dissimile il motivo per cui le società costruiscono delle
gerarchie sociali. Secondo la teoria integrazionista la gerarchia sociale è necessaria per coordinare
le attività all’ interno della società e per assicurare il suo corretto funzionamento. La teoria
conflittualista, invece, è basata sulla convinzione che la gerarchia sociale è determinata dal
dominio politico di un gruppo di individui su un altro finalizzato allo sfruttamento del lavoro e delle
risorse. La teoria conflittualista della stratificazione sociale più celebre è quella elaborata da Marx
ed Engels, i quali conclusero che i capitalisti, usavano il controllo delle risorse per sfruttare i
contadini, lasciati privi di terre. Le classi sociali sono, quindi, un prodotto del capitalismo e non un
aspetto necessario della società moderna. Secondo Marx, le classi si formano quando un gruppo
acquisisce il controllo dei mezzi di produzione e fa aumentare la propria ricchezza attraverso il
plusvalore del lavoro degli individui sfruttati. Questi ultimi accettano la loro condizione a causa
della repressione politica praticata dalla classe dirigente. La rassegnazione aumenta se il gruppo
che sta al comando controlla anche la diffusione delle informazioni creando un’ ideologia di classe
che persuade i lavoratori a sopportare la situazione senza ribellarsi. Secondo Marx ed Engels, l’
unica soluzione a questo stato di cose è la rivoluzione violenta. Uno dei compiti dell’ antropologia
è quello di comprendere in che modo le società elaborano delle giustificazioni per legittimare la
discriminazione sociale. Franz Boas ha tentato di dimostrare l’ infondatezza delle teorie e delle
ideologie razziste e sessiste, che hanno trovato dei sostenitori anche negli scienziati. Samuel
George Morton riteneva che l’ intelligenza di un individuo fosse legata alle dimensioni del cervello
e, dopo aver misurato numerosi crani appartenenti ad individui di diverse etnie, giunse alla
conclusione che i “bianchi”, soprattutto quelli del Nordeuropea, erano superiori non solo
socialmente ma anche biologicamente. Un secolo dopo il biologo Stephen Jay Gould stabilì che le
conclusioni a cui era giunto Morton miravano a supportare la gerarchia costruita dalle società.
Nonostante tutto nel corso del XX secolo molti si richiamarono alla teoria di Morton per sostenere
l’ ideologia che la stratificazione sociale possa essere giustificata da basi naturali. Far dipendere la
disuguaglianza sociale, politica ed economica dal cattivo funzionamento della società, infatti,
dovrebbe portare ad una revisione delle politiche sociali, economiche ed amministrative e coloro
che detengono i privilegi li perderebbero. Nonostante il fallimento della tesi di Morton vi è stato
uno sforzo continuo di fornire prove che l’ intelligenza è ereditaria e varia a seconda del gruppo
razziale. Ma la maggior parte di questi studi non precisa che la stessa intelligenza è una
costruzione sociale che continua ad essere utilizzato come mezzo per legittimare la gerarchia
sociale. Anche la stratificazione di genere è stata collegata alla biologia, per cui si è ritenuto che la
superiorità dei maschi sulle femmine fosse “naturale”. L’ idea che la biologia femminile renda le
donne esseri inferiori rispetto agli uomini è profondamente radicata nella cultura americana.
Infatti le funzioni biologiche femminili spesso sono state descritte in termini che fanno apparire le
donne inferiori rispetto agli uomini: per esempio, il ciclo mestruale era considerato come il segno
della mancata fecondazione dell’ ovulo, piuttosto che come il tentativo riuscito di evitare una
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gravidanza. Per sopravvivere le persone appartenenti agli strati più poveri della società, utilizzano
delle particolari strategie adattative. I neri di “The Flats”, in una cittadina del Midwest, ad
esempio, si sono adattati istituendo dei legami di parentela per garantirsi aiuto economico e
sociale nei momenti di bisogno; i portoricani dell’ Upper East Side di New York, invece, si sono
adattati costruendo un’ economia sommersa centrata sugli stupefacenti nel tentativo di opporsi ai
modelli di oppressione e discriminazione che costituiscono le radici stesse della povertà. Le
persone, quindi, non accettano passivamente la loro posizione ai livelli più bassi di una società
stratificata, ma si adattano alla situazione come meglio possono, pur avendo le stesse aspirazioni
sociali ed economiche di chi sta meglio. Molte persone, pur essendo coscienti degli effetti dannosi
della stratificazione sociale, ritengono che in un moderno paese industrializzato essa sia
inevitabile. Eppure alcuni gruppi hanno dimostrato che è possibile costruire comunità ugualitarie e
non stratificate all’ interno di una grande società industrializzata: gli utteriti, ad esempio. Si tratta
di un gruppo religioso protestante che esalta la proprietà comune e la distribuzione ugualitaria
della produzione e rifiuta la competizione, la violenza e la guerra. Il problema principale di
comunità come questa è di riuscire a motivare i membri a lavorare e a contribuire al bene comune
senza la promessa di un compenso individuale materiale, di uno status o del prestigio. Per questa
ragione molti dei tentativi di creare comunità utopiche hanno avuto esito negativo.
Capitolo 6 – LA COSTRUZIONE CULTURALE DEL CONFLITTO VIOLENTO
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La giustificazione del conflitto violento;
In che modo le società creano una propensione alla violenza collettiva?;
Cavalli, gerarchia e guerra presso i Kiowa;
I bravi ospiti Yanomamo;
La difesa dell’onore nel Kohistan;
La giustificazione della violenza su base religiosa;
In che modo le società creano un rifiuto del conflitto violento?;
Caratteristiche delle società pacifiche;
Quali sono le differenze economiche, politiche e sociali tra le società violente e
quelle pacifiche?;
La necessità di proteggere le risorse e l’onore;
Creare le condizioni per la violenza;
Il sessismo e il conflitto violento;
Quali sono gli effetti della guerra sulle società?;
L’impatto della guerra sulla popolazione;
L’evoluzione dello stato-nazione;
Violenza e solidarietà maschile;
Come è possibile giustificare la creazione di armi di distruzione di massa?;
Il linguaggio della distruzione nucleare;
Decifrare la retorica della guerra e della violenza;
La SOA;
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
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Costruzione di una particolare visione degli stati uniti;
Costruire la minaccia dell’America way of life;
Costruire l’impunità;
La risposta alle critiche
Le persone attribuiscono certi significati alla violenza collettiva e la giustificano, allo scopo di porre
le proprie azioni a distanza dalle conseguenze della violenza. Pur condannando gli atti violenti,
viviamo in un mondo in cui i governi costruiscono sistemi di significati che consentono loro di
progettare e ammettere l’ uso di armi capaci di sterminare milioni di persone. C’ è chi ritiene che
la propensione al conflitto sia parte della natura umana. Ma il fatto che gli esseri umani
costruiscano significati atti a giustificare il conflitto suggerisce che esso abbia poco a che fare con
un istinto naturale verso l’ aggressione. Per capire come le società costruiscono dei significati per il
conflitto violento, mascherandone le conseguenze e convincendo le persone che esso è giusto e
adeguato, bisogna comprendere innanzitutto come le società creino una propensione alla violenza
collettiva che, secondo alcuni, sarebbe una struttura culturale. Presso i nativi americani delle
pianure occidentali, ad esempio, il conflitto violento è giustificato come sistema per acquisire uno
status. Le scorrerie presso altre tribù a scopo di razzia di cavalli erano un modo per accrescere lo
status personale, dal momento che i cavalli erano simbolo di ricchezza e misura dell’ importanza di
un uomo. In casi come questo, dunque, si crea una propensione alla violenza collettiva
premiandola. Presso gli Yanomamo del Venezuela, invece, la violenza collettiva è resa necessaria
per difendere risorse preziose, come donne e bambini. Presso gli abitanti del Kohistan, vige un
codice d’ onore che esige la vendetta ogni volta che un uomo vede il proprio onore minacciato. In
tal caso, quindi, il conflitto violento è giustificato come mezzo di vendetta per difendere l’ onore o
l’ onestà personali. Un altro modo per giustificare la violenza può fare riferimento a questioni di
ordine religioso. Collocando lo scontro ad un livello cosmico, come lotta tra il bene e il male, pare
che esso vada al di là di questioni locali per assumere un’ importanza maggiore. Vi sono, tuttavia,
società relativamente pacifiche in cui l’ uso della violenza viene evitato condividendo le risorse,
costruendo relazioni di dipendenza reciproca tra i vari gruppi, scoraggiando e disapprovando il
comportamento aggressivo e valorizzando i comportamenti collettivi che favoriscono l’ armonia
tra i gruppi e all’ interno del gruppo stesso. Gli Ju/wasi, i Semai, gli Inuit, gli Xinguano e i Buid sono
esempi in tal senso. Tuttavia, anche nelle società cosiddette pacifiche esiste la violenza. Sussistono
differenze di tipo economico, politico e sociale tra le società pacifiche e quelle violente. Il filosofo
T. Hobbes riteneva che l’ inclinazione naturale degli uomini alla violenza potesse essere arginata
attraverso una’ autorità centralizzata. Ma gli antropologi hanno scoperto che le società in cui
manca un governo formale sono tra le più pacifiche al mondo. Tuttavia, vi sono società, come
quella degli Yanomamo e dei Kohistani, in cui viene incitata la competizione riguardo alle risorse,
cosa che costringe gli individui, a causa della mancanza di un’ autorità centrale, a difendere la
proprietà privata con mezzi violenti. E’ stata ipotizzata un’ altra differenza tra società pacifiche e
società violente, ed è quella connessa ai ruoli di genere. Nelle società pacifiche, infatti, uomini e
donne hanno una relativa parità e vi è un basso livello di violenza istituzionalizzata nei confronti
della donna. Viceversa gli Yanomamo e i Kohistani sono caratterizzati da una forte dominanza
maschile e giustificano al violenza contro le donne. E’ stato verificato che le società caratterizzate
dalla violenza sessuale contro le donne tendono ad essere più bellicose ed inclini alla violenza
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
collettiva. Tuttavia, c’è chi ritiene che sia l’ incidenza del conflitto violento a favorire il sessismo.
Riassumendo, alcuni fattori come la mancanza di un controllo centrale, la competizione per le
poche risorse, la proprietà privata e il sessismo possono portare una società ad alimentare una
propensione ideologica per la violenza. Alcuni antropologi ipotizzano che la guerra possa avere
effetti positivi, in quanto limita l’ accrescersi della popolazione, specie nelle piccole società, o
influenza la composizione biologica della specie umana attraverso la selezione naturale. Tuttavia, l’
antropologo Livingstone è giunto alla conclusione che, nonostante l’ enorme numero di morti
causate dalla guerra moderna, essa in apparenza ha avuto effetti trascurabili sull’ aumento della
popolazione. Divale e Harris, invece, sostengono che il conflitto violento agisca da fattore di
regolazione della crescita della popolazione, non tanto uccidendo uomini adulti, quanto
incoraggiando l’ uccisione delle neonate. Gli studiosi concludono che la guerra favorisce il sessismo
solo perché favorisce il controllo selettivo della popolazione. Gli antropologi affermano inoltre che
il conflitto violento può favorire alcune forme di organizzazione politica. Robert Carneiro sostiene,
ad esempio, che nel corso della storia dell’ uomo il conflitto violento è stato il principale fattore di
trasformazione delle società, che sono passate da piccole comunità autonome a grandi e
complessi Stati-Nazione. Oltre ad avere la funzione di controllo della popolazione e di unione delle
società tribali in grandi stati complessi, il conflitto violento può essere considerato un mezzo che
incentiva la solidarietà di gruppo, ad esempio la solidarietà maschile. Tuttavia, alcuni ritengono
che siano proprio la solidarietà maschile e la conseguente dominazione sulla donna a far
aumentare la violenza. Come la capacità di nascondere le conseguenze del conflitto violento può
essere una delle ragioni della sua frequenza, così le persone riescono a nascondere anche a se
stesse le conseguenze della massima forma di violenza: l’ utilizzo di armi nucleari. Coloro che si
occupano di strategie nucleari utilizzano un linguaggio che consente loro di prendere le distanze
dalle conseguenze delle azioni pianificate. Così metafore ed eufemismi offuscano la realtà e la
sistemano in modo che ciò di cui si parla veramente, ossia distruggere ciò che l’ uomo ha creato ed
uccidere altri esseri umani, venga nascosto.
Capitolo 7- Globalizzazione, Neoliberismo e Stato-Nazione
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La mia t-shirt;
Come definiamo la felicità e il benessere? Denaro, ricchezza e benessere;
Breve storia del denaro;
La società della crescita incessante;
Da dove ha origine la ricchezza necessaria a sostenere la crescita?;
Conversione dei capitali;
Quale tipo di sistema economico è necessario per sostenere la crescita?;
La grande trasformazione;
L’emergere del neoliberismo;
Esternalità del mercato;
Qual è il ruolo dello stato-nazione nel sostenere la crescita?;
I percorsi della t-shirt;
Libero scambio;
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
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Evitare di prendere decisione democratiche;
L’uso della forza;
Perché l’economia collassa?;
Bulbi di tulipano e bolle speculative;
La bolla immobiliare del 2007;
I fattori istituzionali che hanno contribuito alla crisi;
Antropologia e politiche pubbliche;
Le esternalità del mercato degli hotel per maiali;
Se pensiamo ad una T-shirt di cotone stampata, distribuita e venduta in Florida, ma prodotta,
cucita e filata in Cina da cotone coltivato in Texas ci rendiamo conto di cosa sia concretamente la
globalizzazione ed in che modo riguarda tutti noi. I Paesi più ricchi consumano sempre di più
arrecando danni enormi all’ ambiente e non pare che la felicità delle persone sia in aumento, anzi
è diminuita rispetto ai decenni precedenti. Eppure sembra “naturale” volere sempre di più e,
quindi, spendere sempre di più. Per la società americana contemporanea il fattore centrale dell’
esistenza è il denaro, ritenuto essenziale per raggiungere il benessere e la felicità anche perchè
spesso è il solo mezzo che consente di avere ciò che si desidera o di cui si ha bisogno. Perchè l’
economia delle cosiddette società avanzate funzioni è necessario chiedere sempre meno a
famiglia e amici e far ricorso esclusivo al mercato. E’ necessario, quindi, lavorare per poter
disporre di denaro da scambiare con qualcos’ altro. Inoltre, le economie che funzionano bene
devono crescere ogni anno del 3%, per cui l’ offerta di moneta e di beni deve crescere. Nella
società ci sono beni che possiamo procurarci soltanto facendo ricorso al mercato ed altri che
stanno al di fuori di esso. Tuttavia, vi è un costante tentativo di trasformare anche questi beni in
merci: ad esempio, le persone vengono indotte dalle campagne pubblicitarie ad associare l’
amicizia alla birra e l’ amore ai diamanti. La moderna economia di mercato riesce, quindi, ad
attuare nei più svariati modi la conversione di capitali, vale a dire la trasformazione del capitale
non monetario (l’ ambiente naturale, i diritti politici e il capitale sociale) in denaro. I sistemi
economici si fondano su regole, meccanismi, istituzioni e sistemi di relazione attraverso i quali le
persone si procurano ciò che vogliono. La nostra moderna economia è costituita da un mercato
globale. Gli stati hanno sempre svolto un ruolo rilevante nell’ economia, ma, ad un certo punto, gli
economisti si dichiararono favorevoli ad una riduzione dell’ intervento dello stato nell’ economia
fiduciosi nella creazione spontanea di un equilibrio tra la domanda e l’ offerta. Così i governi hanno
cercato di mantenere un equilibrio nel funzionamento del mercato tra l’ imposizione di regole e il
non-intervento. Ma negli anni Settanta si è verificato un rallentamento nella crescita, così nacque
una nuova filosofia economica definita neoliberismo, che si proclama a favore della riduzione del
coinvolgimento del governo nell’ economia, ritenendo che il mercato sia in grado di autoregolarsi,
e promuove l’ accelerazione della conversione del capitale. Una via attraverso la quale ridurre il
coinvolgimento dello stato e aiutare la crescita è esternalizzare i costi di produzione, distribuzione
e consumo di beni e servizi, che così non sono inclusi nel prezzo pagato dagli acquirenti, ma
gravano sulle imposte pubbliche, sulle generazioni future o sulle persone di altri Paesi. Tutto
questo è possibile perchè nonostante i limiti imposti all’ intervento dello stato nell’ economia, gli
stati-nazione in realtà rivestono ancora un ruolo molto importante nella crescita economica.
Quando è possibile, fanno rispettare le leggi per proteggere le proprie industrie tentando, al
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
contempo, di ridurre la capacità dei paesi poveri di proteggere le loro. Gli stati-nazione
contribuiscono a creare il consenso sulle politiche economiche che favoriscono la crescita e,
quando lo ritengono necessario, fanno ricorso alla forza per impadronirsi di alcune risorse, come il
petrolio, e per imporre ad altri paesi delle politiche che tornino a proprio vantaggio. Una crescita
continua comporta la perdita di capitale naturale, politico e sociale, aumentando la disuguaglianza
tra ricchi e poveri. L’ economia neoliberista ha altri due importanti effetti sulla società: la
distruzione delle forme di solidarietà sociale e la trasformazione di alcune istituzioni come scuole e
università. Oggi non ci sono corsi universitari che non contemplino la presenza di insegnamenti
relativi alla formazione manageriale e le università tendono a formare cittadini internazionali o
globali. Urge allora un cambiamento che non arrechi danni all’ economia e alla società. L’ Indice
dello Sviluppo Umano e l’ Indice di Progresso Effettivo costituiscono dei tentativi di ridefinire il
benessere.
Capitolo 8 – IL SIGNIFICATO DI PROGRESSO E SVILUPPO
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La fine di un modo di vivere;
Perché le società di cacciatori-raccoglitori passarono all’agricoltura sedentaria?
Vita tra i cacciatori-raccoglitori: gli Hadza e gli JuWasi;
Il passaggio all’agricoltura;
Produrre calorie con le patate;
Perché alcune società sono più avanzate di altre dal punto di vista dell’industrializzazione?;
Gli inglesi in India;
Cotone e schiavitù e allontanamento dei Cherokee;
Perché i paesi poveri non progrediscono e non si sviluppano allo stesso modo dei paesi
ricchi?;
Il caso del Brasile;
Come si possono comparare i moderni standard di salute e di cure mediche con quelli delle
società tradizionali?;
Malattia e disuguaglianza;
Il significato di malattia;
Antropologia e sviluppo;
Progetti di sviluppo e popolazioni indigene nel Delta del Machenzie;
Sviluppo, depoliticizzazione e potere burocratico in Lesotho;
La capacità di avere aspirazioni; la cultura, la politica del riconoscimento e la lotta contro la
povertà negli slums di mumbai
Lungo un arco di 10.000 anni le società hanno abbandonato un modo di vivere che era
sopravvissuto per almeno 100.000 anni. Il passaggio delle comunità di cacciatori-raccoglitori a una
vita di agricoltori sedentari potrebbe essere spiegato dalla necessità di progredire e di sviluppare
modi migliori di vivere. Ma gli studi condotti sulle società odierne di cacciatori-raccoglitori rivelano
che vivono piuttosto bene e, soprattutto, che dedicano al lavoro solo una minima parte del loro
tempo. Forse allora è stato un aumento della popolazione o della densità di popolazione ad aver
favorito il cambiamento e le moderne tecniche agricole si sono rivelate migliori e più efficienti.
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
Tuttavia, l’ analisi di John Bodley relativa al dispendio energetico dell’ agricoltura moderna
suggerisce che in effetti è difficile concludere che questa sia davvero migliore. La fame nei Paesi
poveri non è tanto la conseguenza di una mancanza di tecniche agricole moderne, quanto della
povertà e dei tentativi di industrializzazione. La necessità di ripagare i prestiti bancari contratti per
l’ industrializzazione ha portato certi paesi, come il Brasile, a favorire lo sviluppo di grandi aziende
agricole che coltivano piante i cui prodotti sono destinati all’ esportazione. La gente viene privata
della propria terra e lasciata senza reddito sufficiente a sfamarsi. Si potrebbe pensare allora che le
società moderne possono essere avvantaggiate dal punto di vista dell’ assistenza sanitaria e delle
cure mediche. In realtà, i ricercatori hanno constatato che le malattie infettive sono più comuni
nelle società moderne e che i comportamenti umani connessi all’ industrializzazione, alla
modernizzazione e alla distribuzione diseguale della ricchezza favoriscono spesso la diffusione di
malattie contagiose. Inoltre, le teorie tradizionali della malattia e le cerimonie per la cura possono
essere efficaci nel trattamento di una patologia o di un disturbo. Allora, nonostante tutto ciò che
hanno da offrire, le società più semplici stanno scomparendo non a causa di una scelta, ma in
conseguenza di interventi dei paesi cosiddetti civili. L’ idea di progresso può essere semplicemente
una comoda giustificazione logica perchè una società possa imporre ad altre la propria volontà
economica e politica.
CAPITOLO 9 – La storia degli orientamenti teorici in sintesi
LE PREMESSE STORICHE (CAP 9)
Le discipline antropologiche affondano le proprie radici nei nuovi modi con cui il pensiero
moderno, e l’ Illuminismo in particolare, impostano il problema della natura e della storia del
genere umano. Si valorizzano i risultati dell’ osservazione, descrizione e comparazione “obiettive”
dei costumi di quelle popolazioni scoperte grazie ai viaggi transoceanici. Per tutto il Medioevo e
per i primi secoli dell’ Età Moderna, invece, costumi e credenze erano valutati in rapporto alla
religione cristiana, per cui si aveva un’ opposizione tra ciò che era “cristiano”, e quindi “razionale”
e “civile”, e ciò che era “pagano”, e quindi “barbaro” e “superstizioso”. Ma tra Umanesimo e
Rinascimento, si verificano una nuova attenzione per lo studio dei testi classici, il miglioramento
delle cognizioni tecniche necessarie per affrontare i viaggi transoceanici e la conseguente
produzione di un numero sempre crescente di resoconti di viaggio, la riflessione filosofica valorizza
l’ indagine empirica e la ragione umana si allontana sempre più dai dogmi della fede. La scoperta
dell’ America consente di affrontare in modo nuovo la questione della diversità dei costumi e dei
sistemi di valori. Le Sacre Scritture, cui ancora ricorre Cristoforo Colombo nei suoi diari di viaggio,
costituiscono adesso un punto di riferimento incerto e lacunoso. Nei secoli XVI-XVII, teologi e
giuristi si confrontano sulla legittimità della conquista europea del continente americano e sulla
possibilità di legittimare la riduzione in schiavitù delle popolazioni scoperte. Michel de Montaigne,
nel suo saggio Del Costume, manifesta comprensione nei confronti dell’ alterità, un atteggiamento
non comune tra i suoi contemporanei. Nella sua opera si riscontrano nozioni e questioni centrali
nei dibattiti che stanno all’ origine delle discipline antropologiche. Innanzitutto, l’ uso dei termini
“barbaro” e “selvaggio” per qualificare credenze e comportamenti di popolazioni “altre” da “noi”
per la diversità di alcuni tratti fisici, dei costumi, delle istituzioni sociali, dei modi di pensare, ossia
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
di tutti quegli aspetti che andranno a costituire il contenuto della nozione antropologica di cultura.
Montaigne sostiene che nel designare qualcosa o qualcuno come “barbaro” non si eprime un
giudizio oggettivo di inferiorità rispetto ad un modello di perfezione della natura umana, bensì una
valutazione dipendente dal punto di vista di chi la esprime. Appartenere ad un gruppo
determinato influisce, quindi, sulla formulazioni di giudizi su credenze e modi di vivere di gruppi
umani che sentiamo “altri” da “noi” e porta a riconoscere come pienamente “umani” e “morali”
solo se stessi. Nel 1906 William Sumner, nella sua opera Folkways, definirà questo atteggiamento
etnocentrismo: “la concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e
tutti gli altri sono valutati in rapporto ad esso. Ogni gruppo ritiene che i propri folkways siano gli
unici giusti e, se osserva che altri gruppi hanno folkways diversi, li considera con disprezzo”. Il
giudizio di barbarie esprime una valutazione relativa e non assoluta e dice qualcosa su chi lo
emette, più che su coloro ai quali è riferito. Un altro contributo rilevante allo sviluppo delle
discipline antropologiche è stato fornito dalle teorie contrattualiste del legame sociale, come
quella di Thomas Hobbes nel Leviatano e quella di Jean Jacques Rousseau nel Contratto Sociale. L’
idea comune a queste teorie è che la vita degli uomini in società è il frutto di un contratto stipulato
sulla base dell’ accettazione di regole stabilite per via di convenzione. I padri fondatori della
disciplina saranno i primi a riflettere a partire da questi temi allo scopo di individuare le forme
primitive delle credenze religiose e delle istituzioni sociali e ricostruirne l’ evoluzione storica. Dalla
critica delle teorie razziali della diversità umana, che si sviluppano nei secoli XVIII e XIX, l’
antropologia culturale moderna trarrà parte importante della sua legittimità di disciplina
scientifica che descrive e spiega i rapporti tra unità e diversità della specie umana. Anche le teorie
del progresso della civilizzazione sono alla base dello sviluppo delle discipline antropologiche. Si
tratta dell’ idea che la storia umana può essere vista come un progresso regolato da leggi di
sviluppo, analoghe a quelle che presiedono lo sviluppo di un organismo biologico, valide per tutti i
gruppi umani. Due formulazioni particolarmente importanti della teoria degli stadi di sviluppo
della società e della razionalità umane sono quella del francese Auguste Comte, che formulò la
legge dei tre stadi, e quella dell’ inglese Herbert Spencer, che sostenne la tesi che la realtà era
regolata da un’ unica legge fondamentale di evoluzione da stadi più semplici a stadi più complessi.
In questa prospettiva teorica, le società dell’ Europa continentale dei secoli XVIII e XIX costituivano
lo stadio di sviluppo più avanzato dell’ umanità, mentre le popolazioni extraeuropee erano
considerate inferiori e primitive. Ma un altro principio cardine delle teorie illuministe era quello
dell’ unità psichica del genere umano, l’ idea che tutti gli uomini conoscevano la realtà applicando
gli stessi principi di ragionamento. La differenza degli stadi di sviluppo delle varie popolazioni era
allora spiegata con la nozione di “razza”, per cui le varie razze umane hanno abilità psichiche
diverse. Anche i padri fondatori delle discipline antropologiche Edward Burned Tylor e Henry L.
Morgan ricorreranno a spiegazioni di tipo razziale nell’ ambito delle loro teorie delle leggi di
sviluppo delle forme di razionalità e della società.
I PADRI FONDATORI DELA DISCIPLINA (CAP.9)
L’ orientamento teorico dei padri fondatori dell’ antropologia prende il nome di evoluzionismo
unilineare. Secondo questo filone, l’ evoluzione delle società sarebbe avvenuta per tappe di
sviluppo uguali per tutte, dallo stadio primitivo a quello barbaro per giungere, infine, ai popoli
civilizzati. Questa scuola ha esponenti sia in Inghilterra sia in America: tra i primi Edward Burned
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
Tylor, Maine e James Frazer, tra I secondi Lewis Henry Morgan. La visione dei padri fondatori
restava in gran parte congetturale e spesso sfociava in grandi generalizzazioni. Inoltre, la teoria
darwiniana dell’ evoluzione per selezione naturale mostrava che i principi con cui in natura era
avvenuta l’ evoluzione delle specie viventi erano ben diversi da quelli postulati dai padri fondatori.
Questi ultimi, infatti, vedevano la storia naturale come una sequenza deterministica di stadi di
sviluppo e non come un processo complesso, imprevedibile e casuale. Notevole importanza per lo
sviluppo delle discipline antropologiche riveste la nozione di cultura di Tylor, il quale in Primitive
Culture (1871) scrive: “Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’ insieme
complesso che include la conoscenza, le credenze, l’ arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi
altra capacità o abitudine acquisita dall’ uomo in quanto membro di una società”. Tylor è fautore
di un uso esteso del metodo comparativo e trovò che in società che avevano raggiunto uno stadio
di sviluppo più avanzato potevano permanere elementi culturali che erano sopravvivenze del suo
passato, ossia tracce che avrebbero dovuto dimostrare una società avanzata era passata per
condizioni di vita simili a quelle in cui si trovavano le popolazioni “selvagge” o “barbare”. Tylor s’
interroga anche su quale potesse essere stata la prima forma di religione nella societè primitive e
giunge alla conclusione che deve trattarsi dell’ animismo, elemento comune a tutte le religioni. All’
origine di ogni religione vi sarebbe infatti la credenza che esiste un principio immateriale, l’ anima,
che in certe situazioni, si separa dal corpo. L’ idea di anima sarebbe nata per spiegare la morte e
situazioni come quelle sperimentate nei sogni. L’ approccio di Tylor alla spiegazione delle
manifestazioni culturali è stato chiamato intellettualismo: Tylor tendeva a spiegare tutti gli
elementi che contribuiscono alla formazione della cultura in termini di processi consci, razionali.
Sul versante americano dell’ evoluzionismo unilineare si colloca Lewis Henry Morgan, al quale si
deve un’ indagine comparativa delle terminologie di parentela. Una delle ultime espressioni dell’
evoluzionismo unilineare è quella di James Frazer che, nella sua opera Il ramo d’ oro, spiega come
il pensiero umano si sia evoluto da una forma di pensiero magico ad un pensiero religioso, quindi
ad una forma di pensiero scientifico. Secondo Frazer, i primitivi ritenevano di poter controllare l’
ordine delle cose attraverso il pensiero magico. Con i giusti riti certi uomini dotati di certi poteri
potevano controllare queste forze. Ma ad un certo punto l’ individuo capisce che la realtà non è
controllabile e decide di affidarsi a potenze superiori. Nasce così il pensiero religioso e gli individui
pregano queste entità superiori perché interagiscano benevolmente nelle loro vite. Quando gli
essere umani si rendono conto che le leggi della natura sono conoscibili e sperimentabili nasce il
pensiero scientifico, che si distingue dalla magia, “sorella bastarda della scienza”, per l’ uso del
metodo sperimentale. Il limite principale degli evoluzionisti è stato sicuramente quello di
considerare uno dei modi possibili di sviluppo come l’ unico modello possibile
IL DIFFUSIONISMO E IL PARTICOLARISMO STORICO DI FRANZ BOAS
In Germania tra XIX e XX secolo fiorisce un orientamento noto come diffusionismo, il cui primo
esponente importante è Friedrich Ratzel. Quest’ ultimo di preoccupa di ricostruire i processi storici
di diffusione degli elementi culturali da un’ area all’ altra, in seguito a migrazioni di gruppi o a
prestiti tra gruppi vicini. Si tratta di un fenomeno differente dall’ invenzione indipendente. Altro
studioso di rilievo per l’ antropologia contemporanea è il tedesco Franz Boas che propone un
approccio allo studio dei fenomeni culturali chiamato particolarismo storico. Franz Boas effettuò
lunghe ricerche sul campo partecipando direttamente alla vita delle popolazioni che studiava,
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
instaurando rapporti di estesa collaborazione con alcuni individui al fine di raccogliere
informazioni etnografiche. Produce una documentazione etnografica imponente che include la
trascrizione estesa e integrale di numerose narrazioni e testi verbali indigeni. Celebre è rimasta la
sua descrizione del potlach per l’ utilizzo che ne fecero Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono e
Ruth Benedict in Modelli di cultura. Il potlach consiste nella preliminare accumulazione di beni da
parte di un capovillaggio degli indiani delle praterie che, per un certo periodo di tempo, raccoglie
cibo, pellicce, specchietti, perline e altre cose ritenute di valore, sia in termini di sussistenza sia in
termini simbolici, per poi indire un potlach, in concomitanza di eventi socialmente rilevanti, in cui
distribuirà gli oggetti accumulati ai capivillaggio intervenuti. I beni in eccedenza vengono distrutti.
Dopo un certo lasso di tempo viene indetto un altro potlach da parte di un altro capovillaggio che
dovrà accumulare e distruggere più beni del precedente, e così via. Sono in gioco il prestigio e lo
status del capovillaggio. Si tratta, inoltre, della messa in forma in una modalità drammatizzata
della violenza. Franz Boas non elaborò una teoria sistematica dei processi culturali, ma analizzò
con rigore molti problemi e casi concreti mostrando così il carattere preconcetto ed
empiricamente infondato delle ricostruzioni storiche degli evoluzionisti, le cui ricostruzioni
restavano, in moltissimi casi, semplici congetture smentite dai risultati di un’ indagine storica
concreta. Boas consiglia allora di utilizzare il metodo storico. Il suo apporto teorico è in pratica
consistito nel portare ad escludere le spiegazioni di credenze e pratiche basate, oltre che sul
concetto di sviluppo evolutivo, sui fattori di razza e ambiente naturale. Secondo alcuni critici, alla
fine della sua carriera, Boas assunse una posizione di scetticismo epistemologico secondo la quale
gli antropologi avrebbero dovuto limitarsi a descrivere e documentare i costumi e i modi di vita dei
gruppi umani senza spiegarli alla luce di leggi. Il fine delle ricerche doveva essere quello di fornire
delle descrizioni etnografiche .
I CONTINUATORI DI FRANZ BOAS E LA SCUOLA DI “ CULTURA E PERSONALITA’ “ (CAP 9 )
Due dei più importanti allievi di Boas furono Lowie ed Alfred Kroeber. Lowie sostenne che la
cultura era l’ oggetto di studio specifico dell’ etnologia come disciplina distinta dalla psicologia. In
Primitive Society (1920) paragonò la cultura ad una “cosa formata di stracci e frammenti” dalle
caratteristiche e provenienza le più diverse. Nel saggio The Superorganic (1917), Kroeber sostenne
la tesi che la cultura è l’ oggetto di studio specifico dell’ antropologia e rimanda a fenomeni
collocati ad un livello superorganico. In questo saggio, Kroeber si domanda cosa differenzia i
mammiferi che vivono nell’ artico dagli esseri umani che vivono alla medesima latitudine? Lo
studioso scrive che il cucciolo di orso nasce naturalmente dotato di zanne, artigli e pelliccia
(adattamento organico), il cucciolo di uomo invece deve trarre queste cose dall’ ambiente
circostante (adattamento superorganico). Il cucciolo di uomo è, dunque, naturalmente privo di
caratteristiche che gli consentono di sopravvivere, ma trae gli strumenti culturali necessari dal
contesto. Quella di Kroeber è una visione stratigrafica in cui la cultura è vista come un abito che s’
indossa, che afferisce quindi ad una dimensione superorganica. Un altro concetto elaborato dalla
generazione di antropologi statunitensi successiva a Boas è quello di acculturazione, definita come
l’ insieme di fenomeni che si verificano quando gruppi di persone di culture diverse entrano in
contatto diretto e continuo con modificazioni conseguenti nei modelli culturali di uno o di
entrambi i gruppi. La scuola culturalista di “Cultura e personalità” si occupa della relazione tra
individuo, soggettività e la dimensione in cui si trova e si interroga sul modo in cui si forma la
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
personalità. Ruth Benedict volle mostrare che ogni gruppo umano deriva la propria peculiarità dal
fatto che le manifestazioni della sua cultura sono integrate in base ad un pattern culturale che ne
determina lo stile distintivo. La studiosa confrontò la cultura di quattro popolazioni e giunse alla
conclusione che in ognuna di esse i diversi aspetti dei modi di vita erano contrassegnati da un
particolare modello di disposizione psicologica. L’ importanza della sua opera, Modelli di cultura,
risiede nel fatto di aver inaugurato la riflessione sul rapporto tra sviluppo della personalità
individuale e modelli culturali collettivi. Margaret Mead effettuò ricerche sul campo tra i gruppi di
cui scrisse. In Coming of age in Samoa, la studiosa descrive l’ adolescenza a Samoa, gruppo di isole
della Polinesia, sostenendo che lì non vi fossero quei conflitti che caratterizzavano invece quell’
età negli Stati Uniti. La Mead riteneva che i differenti modelli educativi fossero responsabili di
questa differenza e che Samoa poteva costituire un modello da cui prendere spunto per affrontare
i problemi “di casa”. In Sesso e temperamento in tre società primitive, la Mead comparò le
relazioni tra uomini e donne in tre diverse popolazioni della Nuova Guinea allo scopo di dimostrare
che le indoli femminile e maschile non derivavano semplicemente dalla natura della differenza
sessuale, ma erano un prodotto della cultura particolare di ogni gruppo. Secondo Edward Sapir,
allievo di Boas, il resoconto etnografico della Mead doveva essere accolto con cautela, dal
momento che la studiosa non conosceva la lingua locale. L’ antropologo neozelandese Derek
Freeman mise fortemente in crisi il quadro dipinto dalla Mead ritenendo che a Samoa l’
adolescenza e la sessualità prematrimoniale erano causa di accesi conflitti. Altri due esponenti di
spicco della scuola di Cultura e personalità furono Abraham Kardiner, psicanalista di formazione
che elaborò il concetto di “personalità di base“, e Ralph Linton, il quale elaborò i concetti di analisi
dell’ interazione sociale, in particolare quelli di status e ruolo.
EMILE DURKHEIM E LA SCUOLA SOCIOLOGICA FRANCESE (CAP 9 )
Emile Durkheim si colloca all’ origine dell’ antropologia sociale ed è il fondatore della Sociologia
Classica Francese. Altri esponenti di spicco di questa scuola sono: Lucien Levy-Bruhl, Robert Herzt,
Marcel Mauss ed Arnold Van Gennep. Emile Durkheim spiega i fatti sociali a partire da essi ed in
questo risulta debitore di William Robertson Smith, il quale ravvisa un errore metodologico nell’
evoluzionismo. Lo studioso sostiene che non ha senso interrogarsi sull’ origine della religione,
come aveva fatto Tylor, perché potremmo solo ipotizzarla, non avremmo prove certe. E’ utile,
invece, guardare ai riti concretamente agiti. Il fenomeno religioso è un fatto sociale che ci impone
di guardare nel concreto gli individui quando si riuniscono nella celebrazione di un rito, invece di
ipotizzare. Nel suo libro Le regole del metodo sociologico (1895), Durkheim scrive che “i fatti
sociali vanno trattati come cose e non possono cambiare per la volontà del singolo, sono dei modi
di agire o pensare che esercitano un’ influenza coercitiva sulla coscienza individuale”. Lo studioso
francese sostiene che le rappresentazioni collettive, che rientrano nel novero dei fatti sociali in
quanto stati di coscienza collettiva che si impongono alla coscienza individuale in maniera
inconscia ed apparentemente automatica, sono particolarmente dominanti nelle società semplici.
Queste ultime sono caratterizzate da una solidarietà di tipo meccanico, in virtù della quale
coscienza individuale e coscienza collettiva sono sovrapponibili per cui quando si verifica una
violazione delle norme si mette in crisi l’ intero sistema. Nelle società più articolate, invece, si ha
una solidarietà di tipo organico per cui coscienza individuale e coscienza collettiva non sono
perfettamente sovrapponibili e l’ individuo ha un margine di libertà che gli consente di discostarsi
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
dalla norma senza mettere in crisi l’ intero sistema. Tutta l’ opera degli esponenti della scuola
sociologica francese rappresenta il passaggio da una problematica evoluzionista ad una
funzionalista nello studio dei fenomeni sociali. Il loro obiettivo è stato quello di comprovare l’
ipotesi secondo la quale le forme di pensiero e di socialità affermatesi nell’ Europa moderna erano
il risultato dell’ evoluzione di forme più semplici di cui la sociologia doveva ricostruire i meccanismi
e le tappe. Questi studiosi insistettero sulla natura sociale dei meccanismi di organizzazione della
conoscenza. Ne Le forme elementari della vita religiosa (1912), Durkheim si occupa delle origini e
della natura della religione. Anche in questo caso era necessario condurre un’ analisi su fatti, per
cui lo studioso prese in considerazione le società semplici degli aborigeni australiani. Durkheim
affermò che le credenze religiose si fondano su un’ opposizione irriducibile, fondativa della realtà
stessa, che caratterizza tutte le società arcaiche, ossia l’ opposizione tra il sacro ed il profano, sulla
quale si fonda il sistema delle classificazioni duali. E’ sacro tutto ciò che non è profano e viceversa.
Durkheim non individua contenuti specifici, ma una dimensione speciale a partire dai riti in cui
accade qualcosa di diverso dal solito. Altro esponente della scuola sociologica francese è Lucien
Levy-Bruhl, il quale ne Le funzioni mentali nelle società inferiori (1912) avanzava la tesi secondo
cui la mentalità dei primitivi sarebbe caratterizzata da principi di associazione dei fenomeni diversi
da quelli logici di identità e non contraddizione. Lo studioso sostenne che il pensiero primitivo era
prelogico ed istituiva connessioni tra i dati dell’ esperienza secondo il principio di partecipazione
mistica per cui tutto è in contatto con tutto. Secondo Levy-Bruhl, infatti, il primitivo non distingue
tra realtà sensibile e realtà ultraterrena, ma la realtà tutta si compone di livelli interconnessi in cui
agiscono forze. Il primitivo non ha sviluppato la dimensione dell’ individualità e non riesce a
distinguere il soggetto dall’ oggetto. Nei suoi Quaderni, pubblicati postumi (1949), Levy-Bruhl
rettifica la sua posizione affermando che non esiste una mentalità primitiva che si distingua dalla
mentalità moderna razionale per il fatto di essere mistica e prelogica, ma nei primitivi è più facile
osservare una forma di mentalità mistica presente in ogni mente umana di tutti i tempi e tutti i
luoghi. Comunque Levy-Bruhl si sforza di rintracciare uno spazio differenziale dei primitivi con
procedure altrettando valide quanto quelle dell’ uomo moderno, logiche nei termini del pensiero
simbolico. Anche Robert Herzt rientra nel novero degli antropologi appartenenti alla scuola
sociologica francese. Muore giovane nella prima guerra mondiale, ma lascia due saggi molto
importanti: La preminenza della mano destra e Studio sulla rappresentazione collettiva della
morte. Nel primo saggio Hertz sottolinea come la mano destra sia preminente sulla mano sinistra
in termini di considerazione sociale. La mano destra è una vera e propria istituzione sociale che
gode di considerazione positiva al pari di tutto ciò che è riconducibile al lato destro delle cose. Nel
secondo saggio, lo studioso riflette a partire dal fatto che nonostante la morte sia un fatto
naturale, tutti i gruppi umani non si sono limitati ad accettare il fatto che la vita abbia una fine ma
hanno sentito l’ esigenza di marcare quest’ evento. Hertz s’ interroga sulla rappresentazione
collettiva della morte, su cosa significhi morire. La morte non si limita a mettere fine ad un’
esistenza biologica, ma ad una dimensione sociale che va ripristinata. Presso una popolazione del
Borneo, Hertz osserva un rito che corrisponde a quello delle seconde esequie di individui di un
certo rango. Si tratta di un secondo funerale ed è solo alla fine di esso che si pone realmente fine
al periodo di lutto. La morte di coloro i quali nel panorama sociale hanno una collocazione
rilevante crea un vulnus nel corpo sociale , un vuoto che deve essere colmato. Ma non subito. E’
necessario che la società elabori il lutto ed arrivi gradualmente alla nuova configurazione della rete
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
di relazioni sociali. La morte è, dunque, un fatto naturale che viene fatto oggetto di un
trattamento culturale sia per il morto sia per la società. La transizione deve avvenire in certi tempi,
che variano a seconda delle circostanze. E’ una cosa che si vede anche in certe pratiche rituali,
come quelle di iniziazione degli adolescenti all’ età adulta. In questa cornice Arnold Van Gennep
elabora la nozione di riti di passaggio. Lo studioso individuava uno schema tripartito alla base di
molti riti attraverso i quali si rappresentano passaggi sia di natura sociale (es. riti d’ iniziazione all’
età adulta) sia cosmologica (es. avvento di un nuovo anno). I riti di passaggio si presentano
articolati in una sequenza di atti ed operazioni, in cui ad una prima fase di separazione dalla
condizione che si abbandona, segue una fase di margine, alla fine della quale avviene l’
aggregazione alla nuova condizione. Victor Turner, della Scuola britannica, parla di fase
preliminare, fase liminare e fase postliminare. Il continuatore più noto e originale dell’ indirizzo
durkheimiano è Marcel Mauss, che si preoccupa di esaminare le ragioni del funzionamento
sociale. Il suo lavoro più influente è Saggio sul dono (1923-24) in cui parla di varie forme di dono,
tra cui il kula dei Trobriandesi descritto da Bronislaw Malinowski ed il potlach descritto da Franz
Boas. Lo studioso sostenne che il donare, lungi dall’ essere un atto gratuito e volontario, risponde
al principio della reciprocità per cui all’ atto del donare segue quello di ricevere e, in seguito,
quello di contraccambiare il dono. Il dono è allora un meccanismo di integrazione sociale a mezzo
del quale si stringono alleanze di varia natura. E’ un esempio di fatto sociale totale, ossia un
fenomeno che mette in moto tutte le istituzioni della società e cementa la coesione globale. Il kula
è uno scambio di collane e braccialetti di conchiglie rosse o bianche che si muovono le une in
senso orario gli altri in senso antiorario nelle isole Trobriand compiendo un circolo e tornando al
punto di partenza. Si tratta di uno scambio di ordine simbolico dal valore incommensurabile. Una
volta entrati nel circolo non si può uscire, “una volta nel kula, per sempre nel kula” dicono i
Trobriandesi. Parallelamente al kula si svolge il gimwali, un commercio vero e proprio. Questo
sistema di transazioni mette in moto una grande macchina organizzativa. I beni vengono
trasportati con canoe accuratamente scolpite e dipinte, specificamente deputate al kula. Tutta la
comunità concorre alla realizzazione dell’ evento. Il destinatario non può trattenere gli oggetti
oltre un certo tempo per non scatenare lo hau, una forza impersonale che diventerebbe negativa
e si rivolterebbe contro chi ha trattenuto gli oggetti oltre il tempo previsto. Quest’ ultima è la
spiegazione che gli attori sociali danno, ma Claude Levi-Strauss rimprovera a Mauss di essersi
fermato a livello della spiegazione consapevole che gli stessi attori sociali si danno. Secondo l’
antropologo strutturalista, infatti, lo hau altro non è che la ragione cosciente sotto al quale gli
uomini hanno colto una necessità la cui ragione sta altrove. Questa ragione, dice Levi-Strauss, è un
principio fondativo dell’ ordine sociale, un principio di reciprocità di ordine strutturale
immediatamente dato. Questo discorso si lega alla questione della proibizione dell’ incesto, che
Levi-Strauss riconduce al sociale portando così a compimento al massimo grado la riflessione della
sociologia classica francese. La proibizione dell’ incesto riguarda tutti i gruppi umani di tutti i tempi
e tutti i luoghi, per questo motivo potremmo collocarla a livello della natura. Tuttavia è una regola
per cui afferisce all’ ambito della cultura. La proibizione dell’ incesto ha consentito il passaggio
dalla natura alla cultura. Risponde al principio di reciprocità come principio strutturale
immediatamente dato che sta alla base dello scambio di beni, di donne e di parole, che garantisce
alla società di sopravvivere. Così lo hau costituisce la ragione dello scambio. Il dono sta alla base
del sociale.
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
L’ANTROPOLOGIA SOCIALE IN GRAN BRETAGNA (CAP 9)
A cavallo tra IX e XX secolo in Gran Bretagna si ha un maggiore interesse per gli approcci
diffusionisti. La nuova generazione di etnologi proviene da studi di scienze naturali e ciò si riflette
nella rilevanza che accordano alla ricerca empirica. Tra gli studiosi più importanti che effettuarono
ricerche sul campo emerge William Rivers che partecipò ad una missione scientifica che aveva lo
scopo di raccogliere dati etnografici nelle aree costiere degli stretti di Torres. Si fa strada l’idea che
chi compie ricerche sul campo di carattere etnologico debba avere una formazione specialistica.
Rivers parla di lavoro intensivo, che si caratterizza per il fatto che il ricercatore vive per un anno o
più presso la comunità che studia in maniera dettagliata in tutti i suoi aspetti. Si tratta di
indicazioni simili a quelle fornite da Bronislaw Malinowski in Argonauti del Pacifico occidentale
(1922), frutto di una lunga ricerca sul campo nelle Trobriand. In Argonauti Malinowski analizza il
sistema di scambio kula. (Il kula è uno scambio di collane e braccialetti di conchiglie rosse o
bianche che si muovono le une in senso orario gli altri in senso antiorario nelle isole Trobriand
compiendo un circolo e tornando al punto di partenza. Si tratta di uno scambio di ordine simbolico
dal valore incommensurabile. Una volta entrati nel circolo non si può uscire, “una volta nel kula,
per sempre nel kula” dicono i Trobriandesi. Parallelamente al kula si svolge il gimwali, un
commercio vero e proprio. Questo sistema di transazioni mette in moto una grande macchina
organizzativa. I beni vengono trasportati con canoe accuratamente scolpite e dipinte,
specificamente deputate al kula. Tutta la comunità concorre alla realizzazione dell’ evento. Il
destinatario non può trattenere gli oggetti oltre un certo tempo per non scatenare lo hau, una
forza impersonale che diventerebbe negativa e si rivolterebbe contro chi ha trattenuto gli oggetti
oltre il tempo previsto. Quest’ ultima è la spiegazione che gli attori sociali danno, ma Claude LeviStrauss rimprovera a Mauss di essersi fermato a livello della spiegazione consapevole che gli stessi
attori sociali si danno. Secondo l’ antropologo strutturalista, infatti, lo hau altro non è che la
ragione cosciente sotto al quale gli uomini hanno colto una necessità la cui ragione sta altrove.
Questa ragione, dice Levi-Strauss, è un principio fondativo dell’ ordine sociale, un principio di
reciprocità di ordine strutturale immediatamente dato. Questo discorso si lega alla questione della
proibizione dell’ incesto, che Levi-Strauss riconduce al sociale portando così a compimento al
massimo grado la riflessione della sociologia classica francese. La proibizione dell’ incesto riguarda
tutti i gruppi umani di tutti i tempi e tutti i luoghi, per questo motivo potremmo collocarla a livello
della natura. Tuttavia è una regola per cui afferisce all’ ambito della cultura. La proibizione dell’
incesto ha consentito il passaggio dalla natura alla cultura. Risponde al principio di reciprocità
come principio strutturale immediatamente dato che sta alla base dello scambio di beni, di donne
e di parole, che garantisce alla società di sopravvivere. Così lo hau costituisce la ragione dello
scambio. Il dono sta alla base del sociale.) Secondo Malinowski, che in questo è simile a Rivers, il
lavoro di ricerca sul campo deve consistere in un soggiorno prolungato e isolato dal contatto da
altri bianchi presso la popolazione di cui si deve studiare la cultura e di cui si deve conoscere la
lingua locale. Per mezzo dell’osservazione partecipante il ricercatore doveva scoprire lo scheletro
della vita tribale, annotare in un taccuino gli imponderabili della vita reale e costituire un corpus
documentario delle espressioni idiomatiche e dei discorsi formalizzati. Nella documentazione di
tutti questi aspetti era essenziale cogliere il punto di vista del nativo. Malinowski inoltre consiglia
di studiare i diversi aspetti della cultura tribale nella loro interconnessione. Malinowski diede il
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
nome di funzionalismo al suo orientamento teorico e alla sua teoria scientifica della cultura,
secondo la quale essa doveva essere considerata un grande apparato strumentale, i cui organi
erano le istituzioni e la cui funzione era il soddisfacimento più efficiente dei bisogni fondamentali
degli individui. Dopo la sua morte, la moglie di Malinowski pubblicò il diario privato
dell’antropologo da cui emergeva un immagine di sé e del metodo etnografico diversa da quella
presentata in Argonauti. Malinowski vi manifestava sentimenti di insofferenza verso i nativi
dissonanti rispetto a l’empatia di cui parlava nelle sue pubblicazioni scientifiche. Inoltre, riferiva di
avere rapporti con gli altri europei residenti nelle isole. Alfred Radcliffe- Brown formula un nuovo
quadro teorico: il cosiddetto struttural-funzionalismo. Al di la delle notevoli differenze, gli approcci
teorici di Malinowski e Radcliffe-Brown possono essere definiti funzionalisti poiché condividono
l’idea che tra i costumi, le credenze e le istituzioni di una popolazione esistano delle correlazioni
funzionali, ossia un interdipendenza sistematica. Radcliffe- Brown dedica dei saggi ai rapporti di
parentela, da cui emerge l’idea chiave secondo cui la terminologia di parentela e l’insieme di
diritti, doveri e atteggiamenti connessi a specifici ruoli parentali, formano un sistema integrato in
base ad alcuni principi strutturali. Radcliffe-Brown e alcuni suoi allievi delinearono la teoria della
discendenza, che caratterizzò l’antropologia sociale britannica. Secondo questa teoria
l’organizzazione del sociale passa attraverso le modalità di reclutamento dei parenti, per cui se
voglio conoscere il funzionamento del sociale è necessario che guardi come i gruppi si organizzano.
Levi-Strauss, invece, guarda ai sistemi di parentela in termini di teorie dell’alleanza, a partire dalle
analisi di Mauss. Edward E. Evans-Pritchard capisce che c’è un certo rapporto tra il sistema di
appellativi e il sistema di atteggiamenti. Nel 1940 lo studioso pubblicò una monografia su I Nuer,
una popolazione del Sud del Sudan, che l’ autore descrisse come un modello di società
“segmentaria”, in cui non vi era nessun potere centralizzato e i gruppi definivano la loro coesione
e la loro contrapposizione in base a un principio di “distanza strutturale” tra i “segmenti” in cui la
tribù si suddivideva. Edmund Leach e Max Gluckman, che può essere considerato il fondatore della
Scuola di Manchester, criticarono l’ assunto funzionalista secondo cui le società sono “sistemi
chiusi” normalmente osservabili in una situazione di “equilibrio” e di “stabilità strutturale”.
L’ ANTROPOLOGIA CULTURALE STATUNITENSE NEL SECONDO NOVECENTO: INDIRIZZI
NEOEVOLUZIONISTICI, ANTROPOLOGIA COGNITIVA, ANTROPOLGIA INTERPRETATIVA (CAP 9)
Nell’ antropologia statunitense dagli anni Cinquanta ad oggi non si è verificato tanto l’ abbandono
della “questione della cultura”, come lasciava presagire la rassegna delle 164 definizioni del
termine cultura di Kroeber e Kluckhohn, quanto un rinnovamento, in direzioni disparate, dei
quadri teorici e dei programmi di ricerca secondo cui svilupparla. Alla fine degli anni Quaranta, la
questione dei principi evolutivi delle forme sociali e culturali, sollevata da Morgan, fu ripresa da
Leslie White che, in The Evolution of Culture, sostenne che le diverse manifestazioni della vita
sociale e culturale di una popolazione dipendono casualmente dalla quantità di energia pro capite
che essa è capace di controllare e sfruttare; di conseguenza i cambiamenti della sua “cultura” sono
una conseguenza dell’ aumento di efficienza della tecnologia.
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
Julian H. Steward, che definì il proprio orientamento teorico “ecologia culturale”, riteneva che le
caratteristiche dell’ ambiente naturale costituiscono un limite cui l’ organizzazione dei modi di vita,
e la stessa tecnologia devono adattarsi. Marvin Harris, fautore del “materialismo culturale”, ha
sostenuto che la “scienza della cultura” deve mirare a identificare le determinanti materiali dei
fenomeni culturali, le quali consistono non solo nell’ ecologia e nella demografia, ma nel loro
carattere economico, ossia nel fatto che essi costituiscono soluzioni ottimali per uno sfruttamento
efficiente e quindi “economicamente” razionale. Altro influente indirizzo dell’ antropologia
statunitense è la political economy, i cui rappresentanti più noti sono stati Eric Wolf, Sidney Mintz
e William Roseberry. Secondo questi studiosi, la cultura, lungi dall’ essere una realtà autonoma, è
il risultato di processi più ampi, di scala regionale e globale, di carattere economico e politico, in
cui un determinato gruppo è storicamente inserito, e da cui il gruppo stesso e la sua stessa
“località” sono stati spesso il prodotto. Questo indirizzo di ricerca è stato caratterizzato dalla
posizione secondo cui le regolarità e le diversità dei fenomeni culturali vanno spiegate da principi
di ordine “extraculturale” che appartengono alla sfera delle relazioni ecologiche, tecnologiche,
demografiche ed economiche. L’ interesse per le relazioni tra cultura e linguaggio aveva costituito
un filone importante delle ricerche di Franz Boas. Uno dei suoi allievi più celebri, Edward Sapir,
aveva affermato che “la linguà è una guida alla realtà sociale. Il mondo reale viene costruito, in
gran parte inconsciamente, sulle abitudini linguistiche del gruppo”. Qualche anno dopo
puntualizzerà che “non vi è una semplice corrispondenza tra la forma di una lingua e la forma di
una cultura di coloro che parlano quella lingua”. Benjamin L. Whorf riprende l’ idea per cui parlare
una determinata lingua con una particolare struttura grammaticale determina i modi in cui si
pensa e conosce la realtà. La tesi generale divenne nota come “ipotesi Sapir-Whorf” o ipotesi del
determinismo linguistico.
L’ANTROPOLOGIA STRUTTURALE DI CLAUDE LEVI-STRAUSS (CAP 9)
Claude Lévi-Strauss è il padre dell’ antropologia strutturale. Secondo lo studioso i fenomeni
culturali possono essere visti come dei sistemi simbolici analoghi ai sistemi linguistici la cui
funzione fondamentale è comunicativa. La vita sociale implica infatti per definizione la dimensione
dello scambio e della reciprocità, di cui aveva già parlato Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono.
Sia i sistemi linguistici che i sistemi culturali sono sistemi di segni. Secondo Levi-Strauss, l’ analisi
scientifica dei sistemi sociali e culturali deve ispirarsi all’ analisi dei sistemi linguistici proposta da
Ferdinand de Saussure nel Corso di Linguistica Generale tenuto a Ginevra. Secondo de Saussure, la
lingua è un sistema di segni (unione arbitraria tra significante e significato per fatti interni alla
lingua). All’ interno della lingua è possibile distinguere la dimensione della langue, che è il codice
collettivamente condiviso, dalla dimensione della parole, l’ atto linguistico individuale. La
parentela umana è un fatto sociale al pari della langue, ossia un sistema di segni. Poiché la
parentela presuppone lo scambio tra gruppi diversi è il meccanismo chiave di istituzione del
legame sociale. Le parentele funzionano come una lingua. Come nei segni di una lingua non
possiamo stabilirne il valore in astratto ma per scarti differenziali dagli altri segni, così nella
parentela i termini non si possono conoscere in sé o per un ancoraggio biologico, ma in relazione
al sistema di riferimento. Ne Le strutture elementari della parentela, Claude Levi-Strauss spiega la
proibizione dell’ incesto, che va considerata come il principio che ha consentito il passaggio dalla
natura alla cultura. E’ la regola che fonda la società come sistema di comunicazione e di scambio; è
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
il versante negativo della regola positiva di esogamia, che prescrive di contrarre matrimonio al di
fuori del proprio gruppo familiare. Chiaramente il contenuto della proibizione dell’ incesto può
stabilirsi solo in relazione al sistema di parentela di riferimento, e non in astratto. La ragione della
necessità dei legami di parentela è individuata nei lunghi tempi di svezzamento del cucciolo dell’
uomo, che grazie a questa rete di relazioni può sopravvivere. Levi-Strauss riprende, per certi
aspetti criticandolo per essersi fermato a livello superficiale, Mauss nel suo Saggio sul dono, in cui
espone la sua teoria per cui alla base di ogni legame vi è un principio di reciprocità degli scambi.
Tale principio si ritroverebbe infatti sia nella natura comunicativa del linguaggio in cui si scambiano
parole, sia nella circolazione dei beni che consente di stringere alleanze, sia nei sistemi di
parentela e di matrimonio alla cui base vi sarebbe lo scambio di donne tra gruppi diversi. Quest’
ultimo ha due varianti: scambio ristretto e scambio generalizzato. Le strutture si situano a livello
dell’ attività del pensiero con cui lo spirito umano impone un ordine al flusso continuo della realtà,
opponendo e correlando. L’ antropologia ha per obiettivo generale la scoperta e l’ analisi delle
strutture profonde per mezzo delle quali la mente ordina la realtà naturale e sociale attraverso
una serie di coppie oppositive, analoghe a quelle studiate dalla linguistica strutturale di Ferdinand
de Saussure. L’ idea è quella di una medesima attrezzatura di base e ciò che l’ antropologo deve
fare è cogliere i principi di ordine logico che determinano certi contenuti a livello delle strutture
coscienti.
GLI APPROCCI DINAMISTI, L’ANTROPOLOGIA MARXISTA E ALTRI INDIRIZZI DI RICERCA
DELL’ANTROPOLOGIA FRANCESE CONTEMPORANEA (CAP 9)
Esponenti della cosiddetta “antropologia dinamista” francese sono Roger Bastide e Georges
Balandier, i quali hanno svolto un ruolo pionieristico nello sviluppo di prospettive di analisi che
mettessero al centro lo studio dei processi di cambiamento sociale e culturale nelle società del
“Terzo mondo” e mostrassero la loro irriducibilità all’ alternativa tra la tendenza alla
conservazione invariabile dei propri “ordini” culturali e la passiva assimilazione e integrazione dei
modelli occidentali in seguito alla sottomissione al dominio coloniale. Per entrambi questi studiosi,
le società vanno viste non come sistemi ordinati, stabili e dai confini ben definiti, ma come
processi intrinsecamente dinamici, “formazioni eterogenee” dai confini mutevoli nelle quali
convivono agenti e interessi sociali, regole normative e regole “pragmatiche , strategie di esercizio
dl potere e forme di resistenza, il cui adattamento e la cui interconnessione reciproci sono sempre
imperfetti, provvisori, contingenti, e, in definitiva, intrinsecamente ambigui. Molte delle questioni
sollevate dall’ antropologia dinamista sono state riprese, dagli anni Sessanta in poi, dallo sviluppo
dell’ antropologia marxista che, fino a tutti gli anni Settanta, ha costituito, assieme allo
strutturalismo, l’ indirizzo teorico egemonico, in Francia come altrove. La possibilità di applicare la
prospettiva marxista all’ analisi teorica ed etnografica delle società extraeuropee in Francia ha
visto tra gli esponenti più noti Claude Meillassoux, Maurice Godelier ed Emmanuel Terray. Le loro
ricerche hanno riguardato l’ analisi dei “modi di produzione” propri di queste società e dei rapporti
sociali di produzione che li definiscono. Gli antropologi marxisti hanno sottolineato che anche nelle
società “tribali”, incluse quelle la cui sussistenza si basa sulla caccia e raccolta, esistono forme di
sfruttamento della forza lavoro e restrizioni di accesso alle risorse a favore di certi individui. Da
questo punto di vista, essi hanno contestato la tesi lévi-straussiana della reciprocità come principio
fondamentale delle relazioni sociali, sottolineando che in ogni società, anche in quelle in cui non si
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
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registrano notevoli differenze di ricchezza materiale tra gli individui ed in cui non vi sono vere e
proprie classi sociali, esistono sempre dei rapporti di dominazione e delle disuguaglianze. Già dalla
fine degli anni Sessanta, in Francia, il dibattito suscitato sia dall’ opera di Claude Levi-Strauss che
dall’ antropologia marxista, ha fatto emergere una serie di posizioni che hanno costituito un’
alternativa ad esse. Michel Foucault e Jacques Derrida hanno insistito sulla questione delle forme
del potere e hanno ripensato, in questa chiave, le stesse produzioni linguistiche. Molti antropologi
hanno inoltre sottolineato come “disuguaglianze” e “gerarchie” siano esse stesse dei principi che si
situano al cuore delle strutture di parentela ponendo pertanto dei limiti invalicabili agli aspetti di
reciprocità nelle relazioni sociali. Lo stesso Godelier, nel suo L’ enigme du don, ha ripreso l’ analisi
sul dono di Mauss, su cui Levi-Strauss aveva basato la propria tesi della reciprocità come principio
fondamentale della socialità, sostenendo che essa non tiene conto di certe classi di beni, presenti
in ogni società, il cui carattere sacro li esclude dai circuiti di reciprocità. La critica dell’ universalità
del principio di reciprocità è anche il punto di partenza dei lavori di Louis Dumont sul sistema delle
caste in India. In connessione più diretta con la teoria delle strutture di parentela di Lèvi-Strauss,
Francoise Heritier ha sostenuto che al fondamento di esse, ancor prima della proibizione dell’
incesto, vi è un principio di “valenza differenziale dei sessi”, ossia di gerarchia delle relazioni tra
uomini e donne che istituisce, a livello dell’ ordine simbolico su cui si fonda la natura stessa della
società, la superiorità dei primi sulle seconde. Questo principio spiegherebbe perché in tutte le
società si considera che siano le donne, e non gli uomini, a circolare nello scambio matrimoniale.
Una critica più marcata allo strutturalismo levi-straussiano è stata quella di Pierre Bourdieu e della
sua “teoria della pratica”. Lo studioso ha rimproverato a Lèvi-Strauss di ridurre il ruolo agenti
sociali a quello di semplici esecutori o contravventori di regole di carattere astratto, situate al
livello delle strutture mentali. In questo modo, si impedirebbe una comprensione di come questi
agenti adattano le loro strategie di azione al carattere sempre nuovo e imprevedibile delle
situazioni che si trovano ad affrontare. Per comprendere come la vita sociale segua principi di
regolarità, bisogna inoltre rifiutare l’ idea che le azioni degli individui consistono semplicemente
nella messa in atto di strategie razionali volte al perseguimento cosciente dei propri interessi. Per
Bourdieu è illusorio pensare che le pratiche sociali siano il semplice esercizio di una libertà di
scelta individuale rispetto alle opzioni di azioni disponibili. La “logica della pratica” è piuttosto il
frutto di un habitus, ossia di disposizioni interiorizzate in seguito alle esperienze di socializzazione
all’ interno di specifici “campi” di posizioni e relazioni sociali. Il concetto di habitus, secondo
Bourdieu, consente di comprendere come l’ azione sia soggetta a condizionamenti che operano in
un modo che favorisce una continua ristrutturazione delle relazioni sociali.
L’ANTROPOLOGIA POSTMODERNA (CAP 9)
Marshall Sahlins ha iniziato la sua carriera da posizioni teoriche vicine all’ ecologia culturale e al
neo marxismo, ma presto se ne distacca sostenendo che l’ economia delle popolazioni di
cacciatori-raccoglitori non è casualmente determinata dai fattori generalmente presi in
considerazione dai suddetti orientamenti (condizioni ambientali, demografia, dotazione
tecnologica,etc…). Sahlins ha proposto di chiamare “modo di produzione domestico” quel tipo di
organizzazione economica, dipendente non solo da condizioni materiali, ma da scelte culturali. In
Cultura e utilità, lo studioso rilancia la tesi secondo cui qualsiasi attività pratica degli esseri umani è
mediata dall’ ordine simbolico della cultura. Riprendendo la questione dei tabù alimentari, su cui
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DI R.H. ROBBINS
Harris aveva impostato la sua teoria “materialistica” della cultura ( la “scienza della cultura” deve
mirare a identificare le determinanti materiali dei fenomeni culturali, le quali consistono non solo
nell’ ecologia e nella demografia, ma nel loro carattere economico, ossia nel fatto che essi
costituiscono soluzioni ottimali per uno sfruttamento efficiente e quindi “economicamente”
razionale), Sahlins ha sostenuto che proprio questi costituiscono una delle tante prove possibili
della rilevanza di scelte culturali “arbitrarie” rispetto alle condizioni materiali. Clifford Geertz,
padre dell’ antropologia interpretativa, ha affrontato la questione della “crisi della
rappresentazione etnografica” collegandola alla questione fondamentale dell’ antropologia
culturale statunitense: la natura della cultura come “sistema di significati” che si esprime nella
maniera di agire delle persone. Geertz sostiene che la cultura è sì una “rete di significati”, ma una
rete che esiste e prende forma solo nella dimensione sociale e pubblica, ossia nella misura in cui i
significati si costruiscono, trasformandosi e rielaborandosi continuamente, nella vita sociale delle
persone. Geertz ha sostenuto che l’ antropologia, a differenza della sociologia, non mira alla
spiegazione dei “fatti” registrati dall’ etnografo mediante l’ identificazione delle “leggi” da cui essi
derivano, ma, piuttosto, alla comprensione dei significati con cui le persone interpretano tanto i
loro comportamenti quanto quelli degli altri. Secondo lo studioso, la conoscenza antropologica
risiede fondamentalmente nell’ etnografia, intesa come attività di “descrizione densa” dei diversi
intrecci di significato che il ricercatore è capace di ricostruire nei comportamenti che sta
descrivendo. In questo senso, la descrizione etnografica è dunque una “interpretazione di
interpretazioni” e, non una semplice “raccolta” di fatti oggettivamente “dati”. Secondo Geertz, la
cultura è un testo che l’ etnografo deve ricostruire partendo dallo stato frammentario, incompleto
ed enunciato in una lingua inizialmente ignota, con cui esso gli si presenta. L’ etnografia può
dunque essere assimilata ad un’ attività di “testualizzazione”, che implica operazioni di
“interpretazione” e “traduzione”. Nello scritto Dal punto di vista dei nativi: sulla natura della
comprensione antropologica, Geertz chiarisce il senso della famosa espressione di B. Malinowski
per cui, nelle sue descrizioni, il ricercatore deve cogliere “il punto di vista del nativo” . Non significa
certo che l’ etnografia si esaurisca nel racconto di un’ esperienza di immedesimazione nel mondo
dei significati e dei concetti “indigeni”, ma l’ etnografia ha senso solo se riesce, in modo
convincente per tutti, a costruire un ponte di comprensione tra il senso di quei concetti “indigeni”
e quei concetti che invece, sono “lontani” dall’ esperienza di “nativi” ma “familiari” a quel
pubblico. Il fine ultimo dell’ antropologia è quello di ampliare il campo dell’ esperienza di “essere
umani” condivisa dagli uni e dagli altri, mostrando che la ricchezza di questa esperienza si situa
nella compresenza dei modi diversi che hanno gli uomini di conferirle significato. Nell’ ultimo
ventennio del XX secolo, molte delle questioni sollevate da Geertz sono state riprese dal
cosiddetto movimento “postmoderrno” sviluppatosi nell’ antropologia statunitense. L’ etichetta
“postmoderno” è stata proposta dal filosofo francese Jean-Francois Lyotard. In antropologia, l’
etichetta “postmoderno” è stata spesso accompagnata da quella di “poststrutturalismo”. Quest’
ultima si riferisce alla maniera con cui filosofi come Jacques Derrida e Michel Foucault hanno
argomentato che, diversamente da quanto lo strutturalismo aveva postulato, l’ analisi dei concetti
di “sapere” e di “discorso” è irriducibile all’ identificazione dei codici simbolici da cui essi
sarebbero strutturati. La raccolta di saggi “Scrivere le culture. Poetiche e politiche in etnografia”,
curata da James Clifford e George E. Marcus, è una sorta di manifesto programmatico dell’
antropologia postmoderna. Il tema unificante della raccolta è quello secondo cui le scritture
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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’
DI R.H. ROBBINS
etnografiche non possono più essere considerate un semplice resoconto analitico dei contesti
culturali in cui l’ antropologo ha compiuto la propria ricerca sul campo, ma sono testi in cui si
esprimono particolari “poetiche”, ossia strategie retoriche di rappresentazione di sé e degli “altri”,
che sono connesse alla costruzione di relazioni di potere, ossia a “politiche”. La “fabbricazione”
delle etnografie si basa sulla soggettività del ricercatore, soggettività che non è solo legata alle
condizioni contingenti della sua esperienza di ricerca sul campo, ma anche, a monte, ai diversi
contesti di natura politica preesistenti alla sua esperienza, che la strutturano anche nel momento
della “traduzione” in scrittura. I testi etnografici non sono dunque rappresentazioni realistiche
della realtà di cui parlano, ma “allegorie”, di carattere più letterario che scientifico, delle relazioni
di potere tra i loro autori e i soggetti rappresentati. Clifford sostiene che l’’autorità delle
descrizioni, e dunque delle scritture etnografiche deriva dalle condizioni di potere che rendono
autorevole e retoricamente persuasivo il “racconto” di una “cultura”, di una “società”, di un
“gruppo”. L’ etnografia classica” ha costituito un modello di “autorità monologica”, in quanto
quella dell’ etnografo era l’ unica “voce” legittimata a parlare dei modi di vita degli “altri” e a
ricostruirne l’ unità e la coerenza a partire da indizi frammentari e dalla particolare contingenza
della situazione da lui esperita nel corso della ricerca. Dall’ acquisita consapevolezza del potere
rappresentativo della propria scrittura, l’ etnografo “critico” deve elaborare nuove modalità, meno
asimmetriche e più “dialogiche” e “polifoniche”, di “restituzione” documentaria dei risultati della
propria ricerca, che rendano visibili ai lettori le concrete condizioni e interazioni sociali e politiche
in cui essa si è svolta, dando più spazio alle altre “voci” a partire dalle quali costruisce il suo
“quadro”: non solo quelle dei “nativi” con cui ha interagito, ma anche quelle provenienti da altre
modalità di rappresentazione: letterarie, artistiche, giornalistiche. James Clifford ha insistito sul
fatto che “nel bene e nel male”, le etnografie del Novecento, in modo analogo alla “cultura”
stessa, non sono dei “frutti puri”, ma dei prodotti che sono storicamente derivati dall’ intreccio
dell’ antropologia con ideologie politiche, poetiche letterarie, movimenti di avanguardia. Oggi il
pubblico delle etnografie è costituito anche da persone che provengono dalle “culture” o “società”
descritte, e ciò non può non riflettersi sul modo in cui le rappresentazioni etnografiche sono
considerate o meno “accettabili”, “condivisibili”. La stessa intensificazione e pervasività dei
fenomeni migratori ha radicalmente cambiato i rapporti tra “culture” e “luoghi”, rendendo
improponibile l’ idea di una loro coincidenza assoluta e invariabile. George Marcus e Michael
Fisher ritengono che nel XX secolo il contributo veramente originale dell’ antropologia alla
conoscenza del mondo contemporaneo è consistito in un “progetto” di “critica culturale” delle
rappresentazioni di sé e degli altri, e tale deve restare nel mondo contemporaneo globalizzato.
LA TRADIZIONE DISCIPLINARE IN ITALIA (CAP 9)
Quella degli studi italiani, secondo Alberto Cirese, uno dei suoi maggiori esponenti, può essere
considerata “una vicenda periferica ma forse non irrilevante”. In Italia attualmente si parla di
demo-etno-antropologia, a testimonianza dei percorsi di ricerca seguiti. Questi si muovono in tre
ambiti: la demologia, l’ etnologia e l’ antropologia culturale, indirizzo mutuato dall’ antropologia
culturalista statunitense. Alberto Cirese ha elaborato la teoria dei dislivelli di cultura, secondo cui
lo studio delle manifestazioni folkloriche si colloca all’ interno di un progetto più ampio di analisi
dei processi di circolazione culturale e della loro connessione dinamica con i rapporti, in Italia, tra
classi dominanti e classi subalterne. Altro esponente importante della tradizione disciplinare
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italiana è Ernesto De Martino, ricordato tra le altre cose per il suo etnocentrismo critico, secondo il
quale bisogna sforzarsi di allargare la propria coscienza culturale di fronte ad ogni cultura “altra”
rendendosi conto dei limiti della propria storia culturale, ma senza rinunciare all’ idea del primato
della società occidentale.
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