Moti nei campi centrali - Dipartimento di Matematica e Fisica

Capitolo 6
Moti nei campi centrali
6.1
Campi di forze centrali e costanti del moto
Questo capitolo è dedicato allo studio del moto di un unico punto materiale di
massa m sotto l’azione di una forza centrale. Con tale espressione si designa un
campo di forze posizionali la cui determinazione nel generico punto dello spazio è
diretta verso un punto O fisso in un riferimento inerziale, il centro di forza, e ha
modulo che dipende esclusivamente dalla distanza del punto da O. Se si conviene
di riferire i vettori posizione x a tale punto la legge di forza relativa a un campo
centrale si rappresenta attraverso un’equazione della forma
f (x) = f (r)er
(6.1.1)
nella quale
r = |x|
e
er =
x
r
(6.1.2)
rappresentano, rispettivamente, la distanza del punto dal centro di forza e il versore
parallelo e concorde al vettore posizione; il campo di forze è pertanto completamente determinato quando si assegni la funzione f : R+ → R che ne determina il
verso e l’intensità. La forza f è attrattiva se diretta verso O (f < 0), repulsiva in
caso contrario (f > 0).
Fissiamo un riferimento inerziale R, il riferimento dell’osservatore, con origine
nel centro di forze O ed assi individuati dai tre elementi di una base ortonormale
(e1 , e2 , e3 ). Il moto di una particella in un campo di forze centrali, nel riferimento
R è governato dall’equazione differenziale vettoriale
mẍ =
f (|x|)
x.
|x|
215
(6.1.3)
216
Teorema 6.1.1
Ogni campo di forze centrali f = f (r)er è potenziale con energia potenziale
Z
U (r) = − f (r) dr.
(6.1.4)
Dimostrazione - Il Teorema si dimostra per verifica diretta. Infatti, si ha
∇U = U 0 ∇r = −f ∇r.
Per calcolare il gradiente della distanza r dall’origine, denotando con x1 , x2 e x3
le componenti del vettore posizione nel riferimento dell’osservatore, si ha
q
r = x21 + x22 + x23
e dunque
∂r
2xi
xi
= p 2
= ,
2
2
∂xi
r
2 x1 + x2 + x3
Pertanto
∇r =
i ∈ {1, 2, 3}.
3
3
X
x
∂r
1X
xi ei = = er .
ei =
∂xi
r i=1
r
i=1
Introducendo questa espressione in quella di ∇U si ottiene, in definitiva,
∇U = −f er = −f .
Ricordando le considerazioni svolte in Sezione 2.9, possiamo senz’altro osservare che il Teorema 6.1.1 comporta che un punto materiale in moto in un campo
di forze centrali costituisce un esempio di sistema lagrangiano, la cui funzione di
Lagrange è
1
L = m|v|2 − U (|x|).
(6.1.5)
2
L’espressione esplicita di L dipende dalla scelta che si opera per le variabili lagrangiane; se in particolare le si identifica con le coordinate cartesiane x1 , x2 e
x3 della particella allora le componenti lagrangiane della velocità coincidono con
quelle cartesiane e si ha dunque
q
1
L = m(v12 + v22 + v32 ) − U ( x21 + x22 + x23 ).
2
È semplice controllare che in tal caso le equazioni di Lagrange si identificano con
le tre componenti dell’equazione newtoniana
mẍ = −∇U.
(6.1.6)
217
Peraltro la circostanza che l’energia potenziale dipende esclusivamente dalla distanza dall’origine del riferimento suggerisce che si possano adottare le coordinate
sferiche r, θ e φ quali variabili lagrangiane; le formule di trasformazione dalle
coordinate sferiche a quelle cartesiane sono
x1 = r sin θ cos φ,
x2 = r sin θ sin φ,
x3 = r cos θ.
La matrice jacobiana corrispondente a queste relazioni è


sin θ cos φ r cos θ cos φ −r sin θ sin φ


 sin θ sin φ r cos θ sin φ r sin θ cos φ 
cos θ
−r sin θ
0
e pertanto le componenti delle velocità lagrangiane sono legate dalle formule di
trasformazione
v1 = sin θ cos φvr + r cos θ cos φvθ − r sin θ sin φvφ ,
v2 = sin θ sin φvr + r cos θ sin φvθ + r sin θ cos φvφ ,
v3 = cos θvr − r sin θvθ .
Quadrando e sommando queste tre identità si determina l’espressione del modulo
quadro della velocità in coordinate sferiche e si perviene alla scrittura della funzione
di Lagrange
1
(6.1.7)
L = m(vr2 + r2 vθ2 + r2 sin2 θvφ2 ) − U (r).
2
La funzione di Lagrange (6.1.5) è autonoma e pertanto il sistema possiede l’integrale primo della funzione di Hamilton che si identifica con l’energia meccanica
totale.
Teorema 6.1.2 (conservazione dell’energia)
L’energia meccanica totale
E=
1
m|v|2 + U (|x|)
2
(6.1.8)
di un punto in moto in un campo di forze centrali rimane costante durante il moto.
Mostriamo adesso come anche il momento della quantità di moto della particella si conservi durante il moto.
Teorema 6.1.3 (conservazione del momento della quantità di moto)
Il momento della quantità di moto di un punto in moto in un campo di forze
centrali si mantiene costante durante il moto.
218
Dimostrazione - Derivando rispetto al tempo l’espressione
h = x × mv
del momento della quantità di moto e tenendo conto della (6.1.3), si ha
ḣ = x × mẍ = x × f er = 0.
6.2
Moti radiali in un campo centrale
Nella precedente sezione si è provato che il momento della quantità di moto costituisce una costante del moto per un punto che si muove in un campo centrale. Il
valore di tale costante è determinato dai dati iniziali, la posizione x0 e la velocità
v 0 , in base alla relazione
h = x0 × mv 0 .
La presente sezione è dedicata allo studio del caso particolare che si realizza quando
i dati iniziali sono scelti in modo tale che il momento della quantità di moto della
particella sia nullo; escludendo l’eventualità che la particella sia inizialmente posta
nel centro di forza, ciò accade quando la velocità iniziale è nulla o parallela al
vettore posizione iniziale.
Teorema 6.2.1
Se un punto si muove in un campo di forze centrali e il suo momento della quantità
di moto è nullo, il moto avviene sulla semiretta con origine nel centro di forza e
contenente la posizione iniziale.
Dimostrazione - Osserviamo preliminarmente che si ha
ėr =
r2 ẋ − rṙx
d x rẋ − ṙx
=
=
dt r
r2
r3
D’altra parte, essendo
x = rer ,
ẋ = ṙer + rėr ,
e osservando che er · er = 1 comporta er · ėr = 0, si ha
r2 = x · x,
rṙ = x · ẋ
e quindi
ėr =
(x · x)ẋ − (x · ẋ)x
x × (x × ẋ)
=−
,
r3
r3
219
dove si è tenuto dell’identità vettoriale a×(b×c) = (a·c)b−(a·b)c. Moltiplicando
e dividendo per la massa m della particella si ha infine
ėr = −
x×h
mr3
(6.2.1)
In virtù della (6.2.1) e dell’ipotesi h = 0, si ha
ėr = 0
che è quanto basta a provare la proposizione.
Il teorema appena dimostrato rende pienamente giustificata la denominazione
di moti centrali radiali con cui si designano i moti di una particella in un campo
centrale quando il momento totale della quantità di moto è nullo. Il loro studio
risulta particolarmente agevolato dalla scelta di un sistema di riferimento con il
primo versore diretto dal centro di forza verso la posizione iniziale, poiché in tal
modo l’intero moto ha luogo sul primo asse, dal lato delle ascisse positive. Le
configurazioni del punto in moto sono descritte da un’unica coordinata positiva
x ed il sistema si riduce ad uno a un sol grado di libertà; i suoi moti si studiano
utilizzando i metodi descritti nella Capitolo 4, identificando l’ascissa curvilinea s
con l’ordinaria ascissa x.
La legge oraria x(t) si determina risolvendo l’equazione differenziale del primo
ordine
1
mẋ2 + U (x) = E.
2
In queste pagine ci limitiamo a considerare il caso di un punto in moto in un campo
newtoniano, cosicché l’energia potenziale è
k
U (x) = − ,
x
con k costante positiva nel caso delle forze attrattive e negativa per quelle repulsive,
e l’equazione del moto diventa
1
k
mẋ2 − = E.
2
x
(6.2.2)
Consideriamo, per cominciare, il caso attrattivo; la figura 6.2.1 (a) mostra il
grafico dell’energia potenziale che corrisponde a tale caso. Appare evidente che
le caratteristiche del moto variano a seconda che sia E < 0, E = 0 o E > 0.
Analizziamo separatamente le tre diverse situazioni.
• Moti in un campo newtoniano attrattivo con energia negativa
Se E < 0 la funzione E − U (x) ammette lo zero x̄ = k/|E| ed il moto avviene
nell’intervallo (0, x̄]: immaginando, per fissare le idee, che all’istante iniziale si
220
v
E
E>0
E<0
E>0
s
E<0
s
(b)
(a)
Figura 6.2.1: moti radiali in un campo newtoniano attrattivo.
abbia x0 = x̄ e v0 = 0, per t < 0 la particella si dirige dal centro di forze verso il
punto x̄ che raggiunge all’istante t = 0 e dove inverte verso del moto per dirigersi
nuovamente verso il centro di forza.
Determiniamo esplicitamente la legge oraria iniziando con lo scrivere l’equazione (6.2.2) nella forma
k
1
mẋ2 − = −|E|.
(6.2.3)
2
x
Separando le variabili e integrando si ottiene
r
Z x
2
1
q
t=∓
dξ
k
m
k/|E|
− |E|
ξ
dove va fissato il segno − quando t > 0 e quello + per t < 0. L’integrale si calcola
elementarmente e si perviene in tal modo alla seguente espressione implicita della
legge oraria:
s
r
p
2|E|3
k − |E|x
±
t = |E|x(k − |E|x) + k arctan
.
(6.2.4)
m
|E|x
Quando x → 0 la variabile temporale tende ai due valori ±t̄, con
s
mk 2
π,
t̄ =
(2|E|)3
(6.2.5)
che definiscono gli estremi dell’intervallo di definizione della soluzione massimale;
in tali istanti risulta
lim x(t) = 0,
t→±t̄
lim ẋ(t) = ∓∞.
t→±t̄
221
• Moti in un campo newtoniano attrattivo con energia positiva o nulla
Se l’energia del sistema è positiva o nulla allora l’equazione E − U (x) non ammette
alcuna soluzione di modo che il moto avviene su tutta la semiretta (0, +∞) ed è
sempre progressivo o sempre retrogrado in accordo col segno della velocità iniziale.
Posto che, ad esempio, sia v0 > 0, la particella p proviene dal centro di forza,
raggiunge la posizione iniziale e se ne allontana indefinitamente; in modo del tutto
analogo si discute il caso v0 < 0.
Determiniamo nel caso E > 0 l’espressione esplicita della legge oraria; separando le variabili nella (6.2.2) e integrando si ottiene
r
Z x
2
1
q
t=±
dξ
k
m
x0
+E
ξ
dove va fissato il segno + o quello − s
a seconda che il moto sia progressivo o
ξ
retrogrado. Eseguendo la sostituzione
= s si perviene all’espressione
k + Eξ
implicita della legge oraria
r
r
p
2E 3
Ex
±
(t − t̄) = Ex(k + Ex) − k settanh
(6.2.6)
m
k + Ex
nella quale t̄ è una costante di integrazione da fissare in modo che al valore x =
x0 dell’ascissa corrisponda quello t = 0 della variabile temporale. La soluzione
massimale è definita nell’intervallo (−t̄, +∞) se il moto è progressivo, ovvero in
(−∞, t̄) se è retrogrado e pertanto t̄ si può interpretare come il tempo che la
particella impiega per raggiungere il centro di forza a partire dalla posizione x0 .
Nel caso in cui l’energia totale sia nulla, l’integrale primo dell’energia diventa
semplicemente
1
k
mẋ2 =
2
x
ed è un facile esercizio verificare che la legge oraria si esprime nella forma
!2/3
r
k
x= c+3
t
(6.2.7)
2m
con la costante di integrazione c da determinare in modo che per t = 0 si abbia
x = x0 .
In figura 6.2.1 (b) sono mostrate due curve di livello dell’energia nel piano delle
fasi corrispondenti a un generico livello negativo e ad uno positivo. I moti che
corrispondono al caso E < 0 si dicono legati, poiché la particella non si allontana
dal centro di forza al di là di un certo limite, quelli relativi ai livelli E ≥ 0 si dicono
liberi, dal momento che essa si allontana indefinitamente dal centro di forza.
222
• Osservazione 6.2.1
Se la particella è posta inizialmente in x0 , la sua energia dipende dalla velocità
iniziale v0 secondo la relazione
E=
1
k
mv02 − .
2
x0
(6.2.8)
Posto che sia v0 = 0, risulta senz’altro E < 0 ed il moto è dunque legato; al crescere
di v0 aumenta l’energia fino a annullarsi quando la velocità iniziale raggiunge la
soglia
r
2k
vf =
mx0
che si determina ponendo E = 0 in (6.2.8). A partire da tale valore in poi il moto
della particella è libero. Per tale motivo vf viene denominata velocità di fuga in
corrispondenza della posizione iniziale x0 .
• Moti in un campo newtoniano repulsivo
La figura 6.2.2 (a) mostra l’andamento dell’energia potenziale newtoniana nel caso
di una forza newtoniana repulsiva. I soli valori dell’energia realizzabili sono quelli
positivi e i moti che a essi corrispondono vedono la particella avvicinarsi al centro
di forza, invertire il senso di marcia nel punto x̄ = −k/E per poi allontanarsi
indefinitamente da quel punto. La soluzione massimale è globale e verifica le
condizioni asintotiche
lim x(t) = +∞.
t→±∞
E
v
E>0
s
E>0
(a)
s
(b)
Figura 6.2.2: moti radiali in un campo newtoniano repulsivo.
223
Le corrispondenti curve di livello nel piano delle fasi sono rappresentate in figura
6.2.2 (b).
6.3
Studio qualitativo dei moti centrali
Dopo avere analizzato il caso particolare dei moti radiali, completiamo lo studio
dei moti di un punto in un campo di forze centrali assumendo senz’altro che il suo
momento della quantità di moto h non sia nullo. In tal caso i moti non sono più
unidimensionali, ma sussiste il seguente
Teorema 6.3.1
Se un punto si muove in un campo di forze centrali e il suo momento della quantità
di moto non è nullo, il moto è interamente contenuto nel piano individuato dal
centro di forze e dai vettori che esprimono la posizione iniziale e la velocità iniziale
del punto (piano di Laplace).
Dimostrazione - Il piano di Laplace si identifica con il piano perpendicolare al vettore h contenente il centro di forza. Moltiplicando scalarmente il vettore costante
e non nullo h per il vettore posizione, si ha
h · x = (x × mv) · x = 0
e pertanto, x è sempre perpendicolare ad h, ciò che prova il teorema.
Il teorema appena dimostrato suggerisce di affiancare al riferimento dell’osservatore R un nuovo riferimento inerziale R0 = {O, e01 , e02 , e03 }, il riferimento
orbitale, che abbia uno dei piani coordinati — diciamo quello individuato dai primi due versori — coincidente con il piano di Laplace. Conseguentemente il terzo
versore e03 è perpendicolare al piano di Laplace; esso ha quindi la stessa direzione
del momento della quantità di moto e può anzi scegliersi in modo da avere pure il
suo stesso verso. Pertanto nel sistema di riferimento orbitale si ha
h = he03
(6.3.1)
con h > 0. Inoltre durante il moto risulta identicamente
x03 = 0.
Osserviamo esplicitamente che, allo stato attuale, il sistema di riferimento orbitale
è definito a meno di una rotazione attorno al versore e03 ; nel contesto dei moti
newtoniani la scelta dei primi due versori sarà effettuata in relazione alle proprietà
delle orbite che in quel caso si determineranno.
Sulla scorta delle precedenti osservazioni, possiamo riguardare un punto in un
campo centrale come un sistema a due gradi di libertà con funzione di Lagrange
L=T −U =
1
m|v|2 − U (|x|).
2
(6.3.2)
224
Per completare il quadro descrittivo, è necessario effettuare una scelta di coordinate lagrangiane ed esprimere T ed U in funzione di tali coordinate e delle corrispondenti velocità lagrangiane. La circostanza che l’energia potenziale U dipenda solo
dalla distanza della particella dal centro di forza O suggerisce di assumere come
coordinate nel piano del moto non già quelle cartesiane, bensı̀ quelle polari (r, φ)
con polo in O ed asse polare arbitrario. Con tale scelta, denotate con (vr , vφ ) le
corrispondenti velocità lagrangiane e indicata con m la massa della particella, la
funzione di Lagrange ha l’espressione
1
1
mv 2 + mr2 vφ2 − U (r)
2 r 2
L(r, vr , vφ ) =
(6.3.3)
e le equazioni che da essa conseguono sono sono
m(r̈ − rφ̇2 ) = −U 0 ,
d
(mr2 φ̇) = 0.
dt
(6.3.4)
La funzione di Lagrange (6.3.3) è autonoma e dunque, in virtù del Teorema
5.3.1, la funzione di Hamilton (5.3.2) ad essa associata è un integrale primo del
sistema; d’altra parte la (6.3.3) è una lagrangiana naturale e dunque, come abbiamo già osservato in Sezione 5.7, la funzione di Hamilton coincide con l’energia
meccanica totale del sistema
E(r, vr , vφ ) =
1
m(vr2 + r2 vφ2 ) + U (r).
2
(6.3.5)
Durante un moto (r(t), φ(t)) risulta pertanto
1
m(ṙ2 + r2 φ̇2 ) + U (r) = E,
2
(6.3.6)
essendo E il particolare valore numerico dell’energia associato al moto considerato
e che si desume dai dati iniziali.
Oltre a essere autonoma la funzione (6.3.3) non dipende in forma esplicita dalla
variabile angolare φ che risulta cosı̀ ignorabile; per il Teorema 5.2.1 il momento
cinetico ad essa associato,
pφ (r, vφ ) = mr2 vφ ,
(6.3.7)
è un integrale primo del sistema. Lungo ogni moto si ha dunque l’identità
mr2 φ̇ = h,
(6.3.8)
con h costante valutabile in termini dei dati iniziali, che segue immediatamente
dalla (6.3.4)2 integrando ripsetto al tempo. Si verifica agevolmente che la quantità
mr2 φ̇ esprime, in coordinate polari, il modulo del momento della quantità di moto
e pertanto la costante h conserva il significato attribuitole nella (6.3.1).
225
Gli integrali primi (6.3.5) e (6.3.7) permettono l’integrazione per quadrature del
sistema (6.3.4); tale integrazione può ricondursi ad un’applicazione dei metodi di
riduzione descritti nel Capitolo 5. Rimandando alle Sezioni seguenti lo studio delle
orbite descritte dalla particella sulla base del metodo di riduzione di Whittaker,
chiudiamo la presente Sezione applicando il metodo di ignorazione delle variabili
cicliche con l’intento di determinare le principali caratteristiche qualitative comuni
ai moti nei campi centrali.
La lagrangiana (6.3.3) dipende dalla sola variabile essenziale r; in virtù del
Teorema di Routh 5.2.2 la componente r(t) del moto si determina integrando un
sistema lagrangiano ad un sol grado di libertà. Per determinare la funzione di
Lagrange ridotta L∗ è necessario esprimere l’integrale primo del momento cinetico
associato alla variabile ciclica φ,
mr2 vφ = h,
e risolverlo rispetto alla velocità lagrangiana vφ corrispondente alla coordinata φ,
ottenendo cosı̀
h
.
(6.3.9)
vφ =
mr2
La lagrangiana L∗ , che si ottiene particolarizzando la (5.2.7), è allora
L∗ = L − hvφ ,
dove vφ va espresso tramite la (6.3.9). In definitiva risulta
L∗ (r, vr ) =
h2
1
mvr2 − U (r) −
2
2mr2
(6.3.10)
e la funzione r(t) si determina risolvendo l’equazione di Lagrange
mr̈ = −U 0 +
h2
.
mr3
(6.3.11)
La soluzione r(t) di quest’ultima equazione va poi sostituita nella relazione
φ̇ =
h
,
mr2
(6.3.12)
ottenuta scrivendo la (6.3.9) lungo un moto, che riconduce la determinazione della
componente del moto φ(t) alla ricerca della primitiva di una funzione nota.
D’altra parte la (6.3.10) è interpretabile come la funzione di Lagrange di un
punto vincolato a muoversi su una semiretta sotto l’azione di una forza derivante
dall’energia potenziale efficace
V (r) = U (r) +
h2
2mr2
(6.3.13)
226
E
E
h2
mk
−
mk 2
2h2
s
(b)
(a)
s
Figura 6.3.1: energia potenziale efficace di un campo newtoniano.
e l’equazione (6.3.11), cui possiamo dare sinteticamente la forma
mr̈ = −V 0 ,
equivale dunque al suo integrale primo dell’energia
E=
1 2
mṙ + V (r).
2
(6.3.14)
che consente la determinazione della funzione r(t) per mezzo di una quadratura.
Le caratteristiche qualitative del moto di un punto in un campo centrale possono desumersi da quelle del sistema ridotto. Desideriamo, in particolare, soffermarci ad analizzare l’importante caso dei sistemi newtoniani per i quali l’energia
potenziale efficace si particolarizza nella forma
V (r) = −
k
h2
+
.
r
2mr2
(6.3.15)
Nel caso attrattivo (figura 6.3.1 (a)), l’energia potenziale efficace possiede un
minimo nel punto di ascissa
h2
R=
(6.3.16)
mk
il cui valore Ē si stabilisce sostituendo il valore (6.3.16) di R nella (6.3.15):
Ē = −
mk 2
.
2h2
(6.3.17)
Tale valore rappresenta il minimo che l’energia meccanica totale può assumere,
in dipendenza dalla scelta dei dati iniziali, a parità di momento della quantità di
moto.
Se l’energia vale esattamente −mk 2 /2h2 allora il sistema ridotto è in equilibrio
in R. Conseguentemente, il punto soggetto alla forza centrale si muove nel piano
227
di Laplace su un’orbita circolare avente centro nel centro di forza e raggio R.
Ponendo r(t) = R nella (6.3.12) si verifica poi che il moto è circolare uniforme con
velocità angolare
mk 2
(6.3.18)
ω= 3 .
h
Se l’energia è compresa nell’intervallo (−mk 2 /2h2 , 0), allora il livello di energia interseca il grafico dell’energia potenziale efficace in due punti i cui valori si
determinano risolvendo l’equazione E − V (r) = 0 che, essendo E < 0, può scriversi
h2
k
−
r
2mr2
2
−2m|E|r + 2mkr − h2
=
;
2mr2
0 = −|E| +
le sue soluzioni sono
!
r
k
2h2
R1 =
|E| ,
1− 1−
2|E|
mk 2
k
R2 =
2|E|
r
1+
!
2h2
|E| . (6.3.19)
1−
mk 2
La traiettoria del punto è interamente contenuta nella corona circolare compresa
tra le circonferenze di raggi R1 e R2 , le quali vengono toccate a intervalli di tempo
costanti. I punti della traiettoria posti sulla circonferenza di raggio R1 identificano
le posizioni di minima distanza dal centro di forze e sono detti pericentri, quelli
sulla circonferenza di raggio R2 , che sono invece le posizioni di massima distanza
dal centro di forze, si denominano apocentri.
Nel caso l’energia del sistema sia positiva o nulla, il moto del sistema ridotto
avviene, rispettivamente, nell’intervallo semilimitato il cui estremo inferiore vale
R=
nel caso E = 0 e
k
R=
2E
r
h2
2mk
!
2h2
1+
E−1
mk 2
quando E > 0. In questi casi l’orbita del punto è tutta esterna alla circonferenza
di raggio R che tocca una sola volta, provenendo da una distanza infinitamente
grande e dirigendosi nuovamente verso infinito.
Infine, se il sistema è di tipo repulsivo (figura 6.3.1 (b)), allora l’energia è
senz’altro positiva e i moti hanno caratteristiche qualitative simili a quelli del
sistema attrattivo con energia positiva.
6.4
Orbite nei moti centrali
In questa Sezione vogliamo descrivere un metodo per l’integrazione delle equazioni (6.3.4) alternativo a quello sviluppato nella parte conclusiva della Sezione
228
precedente e che prende le mosse dalla considerazione che la funzione di Lagrange
(6.3.3) è autonoma e che pertanto si può applicare ad essa il metodo di riduzione di
Whittaker, sviluppato in Sezione 5.3, per separare il problema della determinazione
dell’orbita nella forma polare
r = r(φ),
(6.4.1)
da quello della individuazione della legge oraria, identificata dalla componente
angolare del moto
φ = φ(t).
(6.4.2)
Le considerazioni che seguono sono volte a mostrare come anche tale procedimento
conduca alla completa risoluzione del problema con operazioni di quadratura.
In accordo con il Teorema 5.3.2 la funzione (6.4.1) si determina come soluzione
di un sistema lagrangiano a un grado di libertà nel quale la variabile φ funge da
parametro, r è la variabile lagrangiana e la corrispondente velocità si identifica
con la componente u del vettore (u, 1) tangente all’orbita; tale vettore risulta proporzionale a quello (vr , vφ ) delle componenti lagrangiane delle velocità attraverso
il fattore vφ di modo che, in particolare, risulta
vr = vφ u.
(6.4.3)
Al fine di fornire la forma della lagrangiana ridotta L∗ occorre innanzi tutto
introdurre la (6.4.3) nell’integrale primo dell’energia, ottenendo
1
m(u2 + r2 )vφ2 + U (r) = E,
2
e ricavare da questa identità la velocità vφ in funzione delle restanti variabili:
s
2(E − U (r))
vφ =
.
(6.4.4)
m(u2 + r2 )
La funzione L∗ è allora
L∗ =
1
2T
(L + E) =
vφ
vφ
nella quale occorre operare la sostituzione (6.4.3) per poi esprimere vφ tramite la
(6.4.4). Si ottiene cosı̀
p
L∗ = 2m(E − U (r))(u2 + r2 ).
(6.4.5)
La funzione (6.4.1) si determina integrando l’equazione di Lagrange relativa
alla lagrangiana (6.4.5); per stabilire poi la legge oraria (6.4.2) esprimiamo la
(6.4.4) lungo un moto ottenendo in tal modo l’equazione differenziale a variabili
separabili
s
2(E − U (r))
(6.4.6)
φ̇ =
m(r02 + r2 )
229
che consente di ottenere la legge oraria mediante una quadratura.
Di fatto la determinazione della equazione polare dell’orbita non richiede l’integrazione dell’equazione di Lagrange associata alla funzione (6.4.5); questa, infatti,
è autonoma in quanto non vi compare esplicitamente l’anomalia φ e quindi possiede
l’integrale primo della funzione di Hamilton
∂L∗
u − L∗
∂u
p
2m(E − U (r))u2
− 2m(E − U (r))(u2 + r2 )
=p
2
2
2m(E − U (r))(u + r )
s
2(E − U (r)) 2
r .
= −m
m(u2 + r2 )
H∗ =
Quando si tenga conto della (6.4.6) e della (6.3.9), si conclude che la funzione di
Hamilton del sistema ridotto si identifica, a meno del segno, con l’integrale primo
del momento angolare del sistema originale, cosicché, conservando le notazioni
della precedente sezione, lungo l’orbita avremo
s
2(E − U (r)) 2
m
r = h.
(6.4.7)
m(r02 + r2 )
La (6.4.7) è un’equazione differenziale del primo ordine a variabili separabili la
cui soluzione fornisce la traiettoria del moto. Quadrando ambo i membri si ha
1 h2 r02
h2 1
m 2 4 + U (r) +
= E,
2 m r
2m r2
da cui, introducendo la nuova variabile
ρ=
h
,
mr
(6.4.8)
segue
1
h
m
mρ02 + U
+ ρ2
2
mρ
2
1
h
= mρ02 + V
.
2
mρ
E=
Posto allora
W (ρ) = V
si ottiene in definitiva
h
mρ
=U
h
mρ
1
mρ02 + W (ρ) = E.
2
+
m 2
ρ ,
2
(6.4.9)
(6.4.10)
230
L’equazione (6.4.10) è a variabili separabili e consente la determinazione della
funzione ρ(φ) con una quadratura. D’altra parte essa coincide, a meno dell’interpretazione delle variabili, con la (4.3.2) e pertanto le traiettorie di un punto in
un campo centrale di energia potenziale U (r) coincidono con le leggi orarie di un
sistema a un grado di libertà in moto sotto l’azione di una forza di energia potenziale (6.4.9). In particolare, in virtù dei Teoremi 4.3.3 e 4.3.5 possiamo affermare
che l’intera orbita si ottiene raccordando uno o più archi di equazione
Z ρ
dξ
r
.
(6.4.11)
φ = φ0 ±
2
ρ0
(E − W (ξ))
m
Gli esempi che seguono sono volti a mostrare come sia effettivamente possibile
desumere le caratteristiche qualitative delle orbite in un campo di forze centrale a
partire da quelle delle leggi orarie dei sistemi a un grado di libertà.
• Esempio 6.4.1
Si consideri il caso di un’energia potenziale efficace W (ρ) e di un livello di energia
E che abbiano l’aspetto mostrato in figura 6.4.1 a sinistra. La funzione ρ(φ) oscilla
periodicamente tra i valori a e b con periodo che è dato dal doppio dell’integrale
Z b
dξ
r
Φ=
;
(6.4.12)
2
a
(E − W (ξ))
m
conseguentemente, la funzione r(φ) oscilla con il medesimo periodo tra i due valori rmin =
h/mb e rmax = h/ma. La traiettoria è dunque compresa nella corona circolare contenuta
rmax
rmin
E
a
b
Figura 6.4.1: orbite contenute in una corona circolare.
tra le due circonferenze con centro nel centro di forze e aventi raggi r = rmin e r = rmax ;
le intersezioni con la prima costituiscono i pericentri, quelle con la seconda gli apocentri.
Nel passaggio da un apocentro a un pericentro l’anomalia riceve un incremento pari a
Φ mentre il doppio di tale valore rappresenta l’angolo tra due successivi apocentri o
231
pericentri (figura 6.4.1 a destra). Se esso è commensurabile con 2π, allora la traiettoria
è chiusa, poiché, dopo un opportuno numero di periodi, ripassa per un medesimo punto
(stesso valore della variabile r e variabile φ incrementata di un multiplo di 2π) con uguale
vettore tangente. In caso contrario che essa riempie densamente la corona circolare, nel
senso che passa arbitrariamente vicino ad ogni suo punto.
• Esempio 6.4.2
Se l’energia potenziale efficace e l’energia totale hanno l’aspetto di figura 6.4.2a, allora
la variabile ρ varia tra a e +∞; la traiettoria è pertanto contenuta nella circonferenza con centro nel centro di forza e raggio rmax = h/ma (figura 6.4.2b). L’incremento
dell’anomalia fra i valori che essa assume nel punto di massima distanza e nel centro vale
Z +∞
dξ
r
;
(6.4.13)
2
a
(E − W (ξ))
m
il rapporto fra tale valore e 2π fornisce il numero di avvolgimenti della traiettoria attorno
al centro. Se tale numero, in particolare, è infinito, allora la traiettoria ha un andamento
spiraliforme.
rmax
E
a
Figura 6.4.2: orbite interne a una circonferenza.
• Esempio 6.4.3
Nel caso descritto dalla figura 6.4.3a, σ varia in [0, a] e, conseguentemente, la traiettoria
è interamente contenuta nella regione esterna alla circonferenza di raggio rmin = c/ma.
La figura 6.4.3b mostra alcune possibili forme della traiettoria che corrisponde a questa
situazione.
• Esempio 6.4.4
In particolari condizioni, la traiettoria di un punto in un campo centrale può essere una
circonferenza; ciò accade quando, con un’opportuna scelta dei dati iniziali, il livello di
energia è critico per l’energia potenziale efficace W e la distanza iniziale r0 coincide con
232
Figura 6.4.3: orbite esterne a una circonferenza.
l’ascissa del corrispondente estremale di W . In figura 6.4.4a è mostrato il caso di un
massimo di W ; accanto alla traiettoria circolare, sono possibili altre due traiettorie le
quali si avvicinano sempre più a quella, avvolgendosi infinite volte attorno a essa ma
rimanendo sempre al suo interno o al suo esterno (figura 6.4.4b).
Figura 6.4.4: orbite spiraloformi.
6.5
Orbite in un campo newtoniano
In questa sezione consideriamo il caso di un punto che si muove in un campo
centrale newtoniano. L’energia potenziale vale
U (r) = −
k
r
(6.5.1)
e dunque, in corrispondenza, l’energia potenziale efficace, in termini della variabile
ρ definita nella (6.4.8), assume la forma
W (ρ) = −
km
m
ρ + ρ2 .
h
2
(6.5.2)
233
Il grafico di questa funzione è una parabola con la concavità rivolta verso l’alto e
con vertice nel punto di ascissa k/h e ordinata −k 2 m/2h2 . Se la forza è attrattiva
(k > 0), l’ascissa del vertice è positiva e l’andamento dell’energia potenziale efficace, per valori positivi della variabile ρ, è quello mostrato nella figura 6.5.1 (a); al
contrario, quando la forza è repulsiva (k < 0), il vertice possiede ascissa negativa
e l’andamento di W per valori positivi di ρ è del tipo mostrato in figura 6.5.1 (b).
E
α2
−
E
k
h
α1
ρ
α
ρ
mk 2
2h2
α
Figura 6.5.1: l’energia potenziale efficace di un campo newtoniano.
L’analisi qualitativa delle orbite è a questo punto assai semplice da effettuarsi.
Nel caso della forza attrattiva il livello di energia E = −mk 2 /2h2 è critico e in
corrispondenza ad esso la variabile ρ si mantiene costante al variare di φ; l’orbita è
pertanto una circonferenza. Se l’energia è strettamente maggiore di quella critica
ma resta negativa la variabile ρ oscilla periodicamente tra il valore α2 e quello
α1 ; la traiettoria è pertanto contenuta in una corona circolare. Se poi l’energia
è non negativa, tanto nel caso della forza attrattiva quanto in quello della forza
repulsiva, ρ varia tra 0 e un certo valore α; la corrispondente traiettoria è esterna
a una circonferenza e si allontana indefinitamente dal centro di forza.
In ogni caso, al di fuori degli eventuali livelli critici, l’equazione polare r(φ)
dell’orbita si determina raccordando archi di curva le cui espressioni si ottengono
invertendo relazioni della forma
Z ρ
dξ
q
φ = φ0 ±
(6.5.3)
,
km
m 2
2
ρ0
m E+ h ξ− 2ξ
ottenuta introducendo la (6.5.2) nella (6.4.11). La funzione integranda nel secondo
membro della (6.5.3) è integrabile in termini di funzioni elementari e una sua
primitiva è data dalla funzione
k
ξ−
h
r
f (ξ) = arcsin
.
|k|
2h2
1+
E
h
mk 2
234
Possiamo dunque esplicitare l’equazione (6.5.3) ed eseguire uno studio più dettagliato delle orbite possibili in un campo newtoniano. Analizziamo caso per caso le
diverse situazioni che si presentano in ragione del segno di k e del valore dell’energia
E.
• Il caso attrattivo: orbite circolari
Se il campo è attrattivo e l’energia assume il valore minimo
E=−
k2 m
,
2h2
(6.5.4)
la variabile ρ assume il valore stazionario k/h; in corrispondenza, la variabile
radiale r prende il valore costante
R=
h2
.
mk
(6.5.5)
In accordo con quanto già stabilito con le (6.3.16) e (6.3.18), il punto descrive
in questo caso un’orbita circolare con centro nel centro di forza e raggio R con
velocità angolare costante
mk 2
ω= 3 .
(6.5.6)
h
• Il caso attrattivo: orbite ellittiche
Riferiamoci ancora al caso di un campo newtoniano attrattivo e consideriamo i livelli d’energia compresi nell’intervallo (−mk 2 /2h2 , 0). La variabile ρ assume allora
tutti e soli i valori compresi in un intervallo i cui estremi α2 e α1 si determinano
risolvendo l’equazione algebrica di secondo grado E − W (ρ) = 0 e valgono
!
!
r
r
k
2h2
k
2h2
α2 =
1− 1−
|E| ,
α1 =
1+ 1−
|E| .
(6.5.7)
h
mk 2
h
mk 2
In corrispondenza, la distanza del punto dell’orbita dal centro di forza varia periodicamente tra i valori
R1 =
h
mα1
e
R2 =
h
mα2
che determinano le distanze dei pericentri e degli apocentri dal centro di forza.
È immediato verificare che, sostituendo nelle precedenti relazioni le espressioni
(6.5.7) di α1 e α2 , si ritrovano per R1 e R2 i valori (6.3.19).
235
Il periodo di oscillazione della funzione φ(ρ) vale
Z α1
dξ
q
Φ=2
= 2[f (α1 ) − f (α2 )]
2
km
m 2
α2
−|E|
+
ξ
−
ξ
m
h
2
da cui, avendosi
f (α1 ) =
segue
π
,
2
π
f (α2 ) = − ,
2
Φ = 2π.
Cosı̀, quando la variabile angolare viene incrementata di 2π, la variabile radiale
riassume il medesimo valore: ciò implica che la traiettoria è una curva chiusa.
Inoltre, l’incremento della variabile angolare tra un pericentro ed un apocentro,
che coincide con il semiperiodo della funzione ρ(φ), vale π e pertanto la traiettoria
contiene un solo pericentro ed un solo apocentro i quali risultano allineati con il
centro di forza.
Quest’ultima considerazione consente di particolarizzare la scelta del sistema
orbitale introdotto in Sezione 6.3 definendo il versore e01 come quello diretto dal
centro di forza verso il pericentro. In tal modo il pericentro coincide con il punto
della traiettoria di anomalia 0 mentre l’apocentro è il punto avente anomalia π.
L’intera orbita si determina raccordando due archi, nel primo dei quali la variabile
ρ decresce da α1 ad α2 mentre φ varia tra 0 e π, laddove nel secondo ρ cresce dal suo
minimo α2 fino a raggiungere nuovamente il valore massimo α1 con φ che spazia
nell’intervallo [π, 2π]. Tutto ciò premesso, l’equazione dell’orbita nell’intervallo
[0, π] va determinata invertendo l’equazione
φ=−
Z
ottenendo cosı̀
ρ
α1
k
ρ−
π
h
= 2 − arcsin r
m 2
k
2h2
−|E| + km
ξ
−
ξ
h
2
1−
|E|
h
mk 2
dξ
q
2
m
k
π
h
r
= sin( − φ) = cos φ
2
k
2h2
|E|
1−
2
h
mk
ρ−
e dunque
k
ρ=
h
r
1+
2h2
1−
|E| cos φ
mk 2
!
Sostituendo infine a ρ la sua espressione (6.4.8) si ottiene
h2
mk
r
r=
.
2h2
1+ 1−
|E| cos φ
mk 2
(6.5.8)
236
Per completare la determinazione dell’orbita occorre scrivere l’equazione del tratto
corrispondente all’intervallo [π, 2π]. A questo scopo nella (6.5.3) va posto φ0 = π
e ρ0 = α2 e va inoltre fissato il segno positivo. È immediato verificare come
ancora una volta si pervenga alla (6.5.8) che pertanto fornisce la rappresentazione
completa dell’orbita quando l’anomalia φ varia nell’intervallo [0, 2π].
La (6.5.8) si pone nella forma
r=
a(1 − e2 )
1 + e cos φ
(6.5.9)
a patto di operare le identificazioni
r
k
a=
,
2|E|
e=
1−
2h2
|E|.
mk 2
(6.5.10)
La (6.5.20) è l’equazione di un’ellisse di semiasse maggiore a ed eccentricità e.
Invertendo le (6.5.10), si determinano le espressioni delle costanti del moto in
funzione dei parametri che caratterizzano geometricamente l’orbita:
|E| =
k
,
2a
h2 = mka(1 − e2 ).
(6.5.11)
• Il caso attrattivo: orbite paraboliche
Consideriamo ora il caso di un punto che si muove in un campo newtoniano attrattivo con energia totale nulla. In questo caso la variabile ρ varia nell’intervallo
di estremi 0 e α = 2k/h; l’orbita del punto è dunque contenuta nella regione del
piano esterna alla circonferenza di raggio
h2
2km
che viene toccata in un unico punto che rappresenta il pericentro. Fissiamo il
versore e01 diretto verso il pericentro, cosicché tale punto corrisponda al valore
φ = 0; l’intera orbita si decompone in due rami di equazioni
Z ρ
dξ
q
φ=±
,
2k
2
2k/h
ξ
−
ξ
h
R=
nei quali va fissato il segno negativo quando φ > 0 e quello positivo quando φ < 0.
Come si controlla senza difficoltà, l’equazione dell’orbita si pone, in definitiva,
nella forma
h2
mk
(6.5.12)
r=
1 + cos φ
con φ ∈ (−π, π). La (6.5.8) è l’equazione di una parabola di parametro h2 /mk
con fuoco coincidente con il centro di forza.
237
• Il caso attrattivo: orbite iperboliche
Per completare l’analisi dei potenziali newtoniani attrattivi resta da considerare il
caso delle orbite che corrispondono a livelli di energia positivi. La situazione che
si presenta è del tutto analoga a quella appena descritta quando E = 0. Infatti la
variabile ρ spazia tra 0 e il massimo
!
r
2h2
k
1+ 1+
E .
(6.5.13)
α=
h
mk 2
Ne consegue che le orbite sono contenute nella regione non limitata del piano di
Laplace esterna alla circonferenza di raggio
h
mα
che viene toccata in un sol punto che rappresenta il pericentro. Fissiamo dunque il
versore e01 diretto verso tale pericentro, che avrà, in virtù di tale scelta, anomalia
nulla. L’orbita è allora composta di due rami rappresentati dalle due determinazioni positiva e negativa della (6.5.3) nella quale va posto φ0 = 0 e ρ0 = α.
Esplicitando quella relazione e ponendo
r
2h2
k
,
e= 1+
E
(6.5.14)
a=
2E
mk 2
R=
si perviene alla seguente espressione della traiettoria
r=
a(e2 − 1)
1 + e cos φ
(6.5.15)
nella quale φ varia nell’intervallo (− arccos(−1/e), arccos(−1/e)). La (6.5.15) è
l’equazione del ramo di un’iperbole contenente il centro di forza all’interno della
propria concavità.
Invertendo le (6.5.14), si determinano le espressioni delle costanti del moto in
funzione dei parametri che caratterizzano geometricamente l’orbita:
E=
k
,
2a
h2 = mka(e2 − 1).
(6.5.16)
• Il caso repulsivo: orbite iperboliche
Per completare lo studio delle orbite in un campo newtoniano resta da considerare
il caso della forza repulsiva (k < 0). Questa situazione si presenta del tutto analoga
a quella appena discussa per le orbite in un campo attrattivo con energia positiva.
Ragionando allo stesso modo si determina la seguente espressione della traiettoria
r=
a(e2 − 1)
−1 + e cos φ
(6.5.17)
238
nella quale φ varia nell’intervallo (− arccos(1/e), arccos(1/e)). Il legame tra i
parametri geometrici a ed e e quelli meccanici è stavolta espresso dalle relazioni
r
2h2
|k|
E
(6.5.18)
a=
,
e= 1+
2E
mk 2
le cui inverse sono
|k|
,
h2 = mka(e2 − 1).
(6.5.19)
2a
La traiettoria è in questo caso un ramo di iperbole avente il centro di forza al
proprio esterno.
E=
• Considerazioni riepilogative
Le considerazioni appena esposte possono sintetizzarsi in una forma unitaria che
racchiude tutti i diversi possibili moti in un campo newtoniano. Assumendo che
la forza sia attrattiva, abbiamo visto che la traiettoria può essere una ellisse (in
particolare una circonferenza), una parabola o una iperbole a seconda che sia
E < 0, E = 0 oppure E > 0. Eccezion fatta per il caso particolare della traiettoria
circolare, l’orbita possiede in ogni caso un unico pericentro che definisce la direzione
ed il verso delle ascisse positive.
Le orbite ellittiche si esprimono nella forma (6.5.9) che, quando si ricordi la
relazione (A.1.6)3 , può scriversi
r=
ep
1 + e cos φ
(6.5.20)
nella quale 0 < e < 1. Se l’orbita è iperbolica, la sua espressione è fornita dalla
(6.5.15) che, per la (A.2.6)3 , si scrive ancora nella forma (6.5.20) con e > 1. Infine, le traiettorie paraboliche si rappresentano nella forma (6.5.12) che, operando
l’identificazione
h2
p=
mk
e ricordando che l’eccentricità di una parabola vale 1, si riconduce nuovamente
alla (6.5.20).
In definitiva la (6.5.20) racchiude, in un’unica espressione, tutti i possibili moti
in un campo di forze newtoniano attrattivo quando si compiano le identificazioni
r
h2
2h2
ep =
,
e= 1+
E.
(6.5.21)
mk
mk 2
Osserviamo esplicitamente che la (6.5.20) descrive anche le orbite circolari (e = 0)
a condizione di non porre e = 0 nel numeratore ma di effettuarvi l’identificazione
(6.5.21)1 .
239
È immediato verificare che nel caso di una forza repulsiva l’orbita si pone nella
forma
ep
(6.5.22)
r=
−1 + e cos φ
con
r
h2
2h2
ep =
E.
(6.5.23)
,
e= 1+
m|k|
mk 2
6.6
Legge oraria: l’equazione di Keplero
Per completare la soluzione del problema del moto di un punto materiale in un
campo di forze newtoniane, dopo avere determinato le orbite in corrispondenza a
tutti i possibili dati iniziali non resta che stabilire la legge oraria con cui tali orbite
vengono percorse. Il metodo di riduzione di Whittaker riconduce la determinazione
di tale legge oraria nella forma φ(t) ad una quadratura. Nelle pagine seguenti
desideriamo illustrare una variante di quel metodo che consiste nell’introdurre un
parametro ausiliare α e rappresentare la traiettoria attraverso le due equazioni
r = r(α),
φ = φ(α)
per poi ricercare la legge oraria nella forma
α = α(t).
Lungo un moto le componenti lagrangiane della velocità possono allora esprimersi
nella forma
ṙ = r0 α̇,
φ̇ = φ0 α̇
nella quale l’apice denota la derivata rispetto al parametro α. Inserendo queste
ultime identità nell’integrale dell’energia
k
1
m(ṙ2 + r2 φ̇2 ) − = E
2
r
questo assume la forma
k
1
m(r02 + r2 φ02 )α̇2 − = E
2
r
dalla quale segue
k
α̇ =
m
2
2 2E
+
r
k
(r02 + r2 φ02 )−1 .
Supponiamo da ora che la forza sia attrattiva e che l’energia sia negativa, di
modo che l’orbita sia un’ellisse. Questo è senz’altro il caso di massimo interesse
e che analizzeremo pertanto con maggiore dettaglio. Identifichiamo il parametro
240
α con l’anomalia eccentrica in modo che la traiettoria si esprime attraverso le
equazioni parametriche
r
φ
1+e
α
r = a(1 − e cos α),
tan =
tan
(6.6.1)
2
1−e
2
dalle quali, per derivazione, segue
0
r = ae sin α,
0
φ =
√
1 − e2
.
1 − e cos α
(6.6.2)
Riscriviamo allora l’espressione di α̇2 nella forma
k 2 2|E|
2
α̇ =
−
(r02 + r2 φ02 )−1 ;
m r
k
sostituendovi le (6.6.1) e le (6.6.2) e tenendo conto delle relazioni (6.5.10) tra i
parametri fisici e quelli geometrici si ottiene
−1
2
1
1 − e2
k
−
a2 e2 sin2 α + a2 (1 − e cos α)2
m a(1 − e cos α) a
(1 − e cos α)2
k
2
=
− 1 (e2 sin2 α + 1 − e2 )−1
3
ma
1 − e cos α
α̇2 =
=
=
=
k 2 − 1 + e cos α
1
ma3 1 − e cos α 1 − e2 cos2 α
k 1 + e cos α
1
ma3 1 − e cos α (1 − e cos α)(1 + e cos α)
k
1
.
3
ma (1 − e cos α)2
Posto, dunque,
σ2 =
k
ma3
(6.6.3)
ed assumendo che il moto avvenga nel verso delle anomalie crescenti, si perviene,
in definitiva, alla seguente equazione differenziale per la legge oraria:
(1 − e cos α)α̇ = σ.
(6.6.4)
La costante σ prende il nome di moto medio.
Separando le variabili nella (6.6.4) e integrando, si peviene ad esprimere la
legge oraria nella forma implicita
α − e sin α = σ(t − τ ),
(6.6.5)
241
dove τ è una costante di integrazione che rappresenta l’istante in cui la particella
passa per il pericentro. Definita l’anomalia media con la posizione
ν = σ(t − τ ),
(6.6.6)
α − e sin α = ν.
(6.6.7)
la (6.6.5) si scrive
La (6.6.7) è l’equazione di Keplero. In particolare, quando la particella compie
un periodo l’anomalia media assume il valore 2π; indicato allora con T il periodo
temporale del moto, la (6.6.5) e la (6.6.6) comportano le seguenti espressioni per
il moto medio e per l’anomalia media:
σ=
2π
,
T
ν=
2π
(t − τ ).
T
(6.6.8)
• Osservazione 6.6.1
L’equazione di Keplero può determinarsi, con un procedimento alternativo a quello
appena seguito, semplicemente come conseguenza della legge delle aree e della
ellitticità dell’orbita. Assumiamo per semplicità quale istante iniziale quello in cui
la particella transita per il pericentro (τ = 0) e indichiamo con P la sua posizione
ad un generico istante t. Facendo allora riferimento alla figura 6.6.1, indichiamo
con A il pericentro, con O il fuoco contenente il centro di forza, con C il centro
dell’ellisse, con X la proiezione di P sull’asse delle ascisse e chiamiamo A l’area del
triangoloide delimitato dai segmenti OA e OP e dal segmento di ellisse di estremi
A e P . In virtù della legge delle aree, A sta al tempo t come l’intera area dell’ellisse
Q
a
C
α
P
r
φ
OX
A
Figura 6.6.1: determinazione geometrica dell’equazione di Keplero.
242
sta al periodo T ; in formule si ha
A=
p
πab
1
t = νa2 1 − e2 ,
T
2
dove si è tenuto conto della (6.6.8)2 e del fatto che l’area dell’ellisse vale
πab = πa2
p
1 − e2 .
D’altra parte si ha
A = A0 + A00
con A0 area del triangolo di estremi O, P e X e A00 area del triangoloide individuato dai due segmenti XP e XA e dal segmento di ellisse di estremi A e P .
Evidentemente, risulta
A0 =
1 2p
a 1 − e2 (cos α − e) sin α.
2
Al fine di determinare A00 , consideriamo la circonferenza con centro in C e raggio a
e indichiamo con Q il punto in cui tale circonferenza interseca la retta contenente
i punti A e P ; chiamiamo infine A000 l’area del triangoloide delimitato dai segmenti
XQ e XA e dall’arco di circonferenza di estremi A e Q. Si ha
b
A =
a
00
Z
A
p
a2
X
−
x2 dx,
000
A
Z
A
=
p
X
a2 − x2 dx
e quindi
A00 =
b 000 p
A = 1 − e2 A000 .
a
L’area A000 può calcolarsi come differenza tra quella del settore circolare sotteso
dall’arco di estremi A e Q e quella del triangolo di estremi C, A e Q:
A000 =
1 2
1
a α − a2 sin α cos α.
2
2
Raccogliendo tutti i risultati abbiamo, in definitiva,
A = A0 + A00
√
= A0 + 1 − e2 A000
1 p
= a2 1 − e2 (α − e sin α).
2
L’equazione di Keplero si ottiene cosı̀ uguagliando le due espressioni ottenute per
A.
243
Il procedimento descritto nel caso dei moti ellittici può riprodursi, con le dovute
modifiche, nel caso l’energia sia positiva e il moto avvenga su traiettoria iperbolica.
Si ottiene, in tal caso,
k 2 2E
2
α̇ =
+
(r02 + r2 φ02 )−1
m r
k
−1
k
2
1
e2 − 1
2
2 2
2
2
=
+
a e sinh α + a (e cosh α − 1)
m a(e cosh α − 1) a
(e cosh α − 1)2
k
2
=
+ 1 (e2 sinh2 α + e2 − 1)−1
ma3 e cos α − 1
=
=
=
k 2 + e cosh α − 1
1
ma3 e cosh α − 1 e2 cosh2 α − 1
k e cosh α + 1
1
3
ma e cosh α − 1 (e cosh α − 1)(e cos α + 1)
k
1
3
ma (e cosh α − 1)2
e dunque
(e cosh α − 1)α̇ = σ
(6.6.9)
dove il moto medio σ è ancora definito dalla (6.6.3). Un’integrazione dà poi la
legge oraria nella forma implicita
e sinh α − α = σ(t − τ ).
(6.6.10)
L’equazione di Keplero assume cosı̀ la forma
e sinh α − α = ν.
Infine, se l’energia è nulla e dunque il moto avviene su una traiettoria parabolica, si ha
k 2 02
α̇2 =
(r + r2 φ02 )−1
mr
−1
k
4
1
4p
2 2
2
=
α + (p + α )
m p + α2
4
(p + α2 )2
=
da cui segue
con
k
4
m (p + α2 )2
1
(p + α2 )α̇ = σ,
2
r
k
σ=
.
m
(6.6.11)
244
L’equazione implicita della legge oraria si scrive allora
p
1
α + α3 = σ(t − τ )
2
6
(6.6.12)
mentre l’equazione di Keplero si specializza nella forma
p
1
α + α3 = ν.
2
6
6.7
Gli elementi orbitali nei moti newtoniani
Fin qui, lo studio del moto di un punto in un campo di forze centrali è stato eseguito
assegnando i dati iniziali e, successivamente, fissando un sistema di riferimento
(e01 , e02 , e03 ), il riferimento orbitale, opportunamente scelto a partire da quei dati.
Cosı̀, nel caso dei moti radiali, si fa coincidere uno degli assi con la retta contenente
il moto, mentre nel caso generale si fissa un piano coordinato coincidente con il
piano di Laplace; se il moto avviene su traiettoria circolare la scelta del riferimento
nel piano di Laplace resta completamente arbitraria mentre in tutti gli altri casi
si prende il primo versore diretto verso il pericentro.
Nel riferimento orbitale l’equazione dell’orbita ha la forma
x = x01 e01 + x02 e02 ,
dove
(6.7.1)
x01 = r cos φ,
x02 = r sin φ.
Riferendoci ancora una volta al caso delle orbite ellittiche, la coordinata radiale r
si esprime in funzione dell’anomalia eccentrica attraverso la (6.6.1)1 mentre il seno
ed il coseno dell’anomalia φ hanno le espressioni (A.1.14). La (6.7.1) assume cosı̀
la forma
p
(6.7.2)
x = a[(cos α − e)e01 + 1 − e2 sin αe02 ]
cui va associata la legge oraria
α = α(t, τ ).
(6.7.3)
Nella pratica, però, la descrizione del moto va riferita ad un sistema (e1 , e2 , e3 )
assegnato una volta per tutte indipendentemente dai dati iniziali, il riferimento dell’osservatore. Al fine di trasformare le posizioni della particella in ciascun istante
dal riferimento orbitale a quello dell’osservatore è necessario introdurre le grandezze angolari che definiscono la relativa trasformazione di coordinate, ovvero i tre
angoli di Eulero che portano i versori (e1 , e2 , e3 ) in quelli (e01 , e02 , e03 ). I primi due
di essi, l’angolo di nutazione e quello di precessione, sono necessari per individuare
245
e3
e′3
ι
e′2
e′1
ω
e1
Ω
e2
n
Figura 6.7.1: gli elementi della traiettoria ellittica.
la direzione e03 e, con esso, il piano di Laplace; il terzo angolo, quello di rotazione
propria, determina poi, nel piano di Laplace, la direzione del pericentro e01 .
Nel contesto dei moti newtoniani gli angoli di Eulero acquistano delle specifiche
denominazioni che ne rispecchiano il significato. Cosı̀, l’angolo formato dai versori
e3 ed e03 — che rappresenta l’inclinazione del piano di Laplace rispetto al primo
piano coordinato dell’osservatore — viene appunto chiamato angolo di inclinazione e rappresentato col simbolo ι. Se il piano di Laplace ed il piano individuato
dai versori e1 e e2 non coincidono, essi si intersecano allora in una retta, la linea dei nodi, che l’orbita interseca in due punti, i nodi; in uno di essi — il nodo
ascendente — la particella passa dalle quote negative a quelle positive. Se allora
denotiamo con n il versore della linea dei nodi diretto verso il nodo ascendente,
la determinazione del piano di Laplace si completa assegnando l’angolo Ω che n
forma con e1 e che è chiamato longitudine del nodo ascendente. Infine l’angolo
formato da n ed e01 , che concretamente individua il pericentro, si denota con ω ed
è chiamato argomento del pericentro.
Un ulteriore parametro geometrico che spesso si introduce nelle applicazioni
all’astronomia è rappresentato dalla longitudine del pericentro definita come
$ = Ω + ω.
(6.7.4)
Osserviamo esplicitamente che $ è la somma di due angoli appartenenti a piani
diversi, fatta eccezione per il caso particolare ι = 0 nel quale la linea dei nodi non
è definita e pertanto gli angoli Ω ed ω perdono significato mentre la loro somma
$ diviene l’angolo che il versore e01 forma con e1 .
I versori della terna orbitale si esprimono rispetto a quelli della terna dell’os-
246
servatore in funzione degli angoli ι, Ω e ω per mezzo delle relazioni
e01 = (cos ω cos Ω − sin ω sin Ω cos ι)e1
+(cos ω sin Ω + sin ω cos Ω cos ι)e2 + sin ω sin ιe3 ,
e02
= −(sin ω cos Ω + cos ω sin Ω cos ι)e1
(6.7.5)
+(− sin ω sin Ω + cos ω cos Ω cos ι)e2 + cos ω sin ιe3 ,
e03
= sin Ω sin ιe1 − cos Ω sin ιe2 + cos ιe3 .
Sostituendo le espressioni di e01 e e02 nella (6.7.2) si perviene in definitiva
all’equazione cartesiana dell’orbita nel riferimento dell’osservatore:
x = a[(cos ω cos Ω − sin ω sin Ω cos ι)(cos α − e)
√
− 1 − e2 (sin ω cos Ω + cos ω sin Ω cos ι) sin α]e1
+a[(cos ω sin Ω + sin ω cos Ω cos ι)(cos α − e)
√
+ 1 − e2 (− sin ω sin Ω + cos ω cos Ω cos ι) sin α]e2
√
+a sin ι[sin ω(cos α − e) + 1 − e2 cos ω sin α]e3 .
(6.7.6)
La (6.7.6) insieme alla legge oraria (6.7.3) individua una famiglia di soluzioni
dell’equazione differenziale
k
mẍ = − 3 x
|x|
dipendente dalle sei costanti di integrazione ι, Ω, ω, a, e e τ . L’assegnazione di
tali costanti individua una particolare soluzione che corrisponde ai dati iniziali x0
e v 0 che si ottengono ponendo t = 0 nella (6.7.6) e nella sua derivata temporale.
Chiameremo le costanti ι, Ω, ω, a, e e τ gli elementi del moto e, più in particolare,
i primi cinque gli elementi dell’orbita ellittica. Essi infatti individuano l’orbita
in maniera univoca fornendone il piano di giacitura, tramite gli angoli ι e Ω,
l’orientamento in tale piano, attraverso l’angolo ω, e le dimensioni attraverso il
semiasse maggiore a e l’eccentricità e.
Lasciamo come esercizio l’estensione delle considerazioni appena svolte al caso
delle orbite iperboliche.
Il problema ai valori iniziali per un punto che si muove in un campo centrale
newtoniano consiste nella determinazione della posizione e della velocità relative
x e v ad un assegnato istante t, posto che siano conosciute la posizione relativa
x0 e la velocità relativa v 0 ad un dato istante t0 .
Riferendoci al caso delle orbite ellittiche in un campo attrattivo, la soluzione del problema ai valori iniziali equivale alla determinazione dei sei elementi cui
corrispondono quei dati. Assumiamo dunque che ad un istante t0 siano assegnate la posizione e la velocità della particella per mezzo delle loro componenti nel
riferimento dell’osservatore:
x0 = x10 e1 + x20 e2 + x30 e3 ,
v 0 = v10 e1 + v20 e2 + v30 e3 .
(6.7.7)
247
A partire dai dati (6.7.7) si determinano immediatamente i valori che assumono
le costanti del moto ed in particolare il momento della quantità di moto
h = h1 e1 + h2 e2 + h3 e3
(6.7.8)
= x0 × mv 0
ed il vettore di Laplace–Runge–Lenz
e = e1 e1 + e2 e2 + e3 e3
=
(6.7.9)
x0
1
v0 × h −
;
k
r0
il valore dell’energia E è poi calcolabile dalla (??):
E=
mk 2
(|e|2 − 1).
2h2
(6.7.10)
Supponiamo senz’altro che il vettore di Laplace–Runge–Lenz abbia modulo
minore di 1 e che l’energia risulti dunque negativa, di modo che la traiettoria sia
un’ellisse. Il calcolo del semiasse maggiore a, per mezzo della (6.5.10)1 , e quello
dell’eccentricità e, come modulo di e, sono a questo punto immediati.
Per determinare gli elementi angolari iniziamo con l’osservare che, tenendo
conto della (6.7.5)3 , si ha
h = he03 = h(sin Ω sin ιe1 − cos Ω sin ιe2 + cos ιe3 ).
Confrontando questa espressione di h con la (6.7.8) si trova
p
h21 + h22
h3
cos ι =
,
sin ι =
.
h
h
(6.7.11)
(6.7.12)
La prima di queste relazioni determina univocamente l’inclinazione ι che è compresa tra 0 e π.
Sempre dal confronto tra la (6.7.8) e la (6.7.11) si trae
h sin Ω sin ι = h1 ,
−h cos Ω cos ι = h2
donde segue
h2
cos Ω = − p 2
,
h1 + h22
sin Ω = p
h1
h21
+ h22
.
(6.7.13)
La prima di tali relazioni consente la determinazione di Ω tenendo conto che, dalla
seconda, si conclude che Ω ∈ (0, π) se hx > 0, Ω ∈ (π, 2π) se hx < 0.
Passiamo alla determinazione di ω. Si ha
cos ω = n · e01 ,
− sin ω = n · e02 .
(6.7.14)
248
D’altra parte, da e3 × e03 = sin ιn, tenendo conto della (6.7.12), si ricava
e3 × h
.
n= p 2
h1 + h22
Ancora
e
h×e
,
e02 = e03 × e01 =
.
e
he
Introducendo le espressioni appena determinate per n, e01 e e02 nelle (6.7.14) si ha
e01 =
e3 × h · e
.
cos ω = n · e01 = p 2
e h1 + h22
e
(6.7.15)
− sin ω = n · e02
=
(e3 × h) · (h × e)
p
he h21 + h22
(e3 · h)(h · e) − h2 e3
p
he h21 + h22
da cui, tenuto conto che h ed e sono ortogonali, segue
=
he3
sin ω = p 2
.
e h1 + h22
(6.7.16)
Il valore di ω si determina dalla (6.7.15), tenendo conto che, per la (6.7.16), risulta
ω ∈ (0, π) se e3 > 0 o ω ∈ (π, 2π) se e3 < 0.
Gli elementi orbitali sono cosı̀ calcolati; in particolare, i loro valori risultano
univocamente determinati dai due vettori ortogonali h ed e. Resta da valutare la
costante di integrazione τ che, scrivendo l’equazione di Keplero (6.6.5) all’istante
t0 , può porsi nella forma
1
(α0 − e sin α0 )
σ
Il moto medio σ si calcola direttamente attraverso la (6.6.3). Per determinare il
valore iniziale dell’anomalia eccentrica deriviamo l’equazione (6.6.1)1 rispetto al
tempo tenendo conto della (6.6.4):
τ = t0 −
ṙ = aeα̇ sin α = aeσ
Allora, ricorrendo ancora alla (6.6.1)1 , si ha
sin α
.
1 − e cos α
x · v = rṙ = a2 eσ sin α.
Da quest’ultima relazione e dalla (6.6.1)1 si ricavano infine le identità
1
r0 x0 · v 0
cos α0 =
1−
,
sin α0 = 2
e
a
a eσ
che univocamente individuano α0 .
(6.7.17)
249
6.8
Il problema dei due corpi e le leggi di Keplero
Denotiamo, dunque, con pi il generico punto del sistema, con mi ed xi la sua massa
ed il suo vettore posizione in un riferimento inerziale che chiameremo riferimento
dell’osservatore; durante il moto sono soddisfatte le equazioni di Newton
mi ẍi =
N
X
f ij ,
j=1
j6=i
i ∈ {1, . . . , N }
(6.8.1)
nelle quali ciascun vettore f ij , che denota la forza esercitata dalla j–ma particella
sulla i–ma, si esprime mediante leggi di forza della forma
f ij =
fij (|xi − xj |)
(xi − xj )
|xi − xj |
(fij = fji ). Introducendo tali espressioni nelle (6.8.1) si ha
mi ẍi =
N
X
fij (|xi − xj |)
j=1
j6=i
(xi − xj ),
|xi − xj |
i ∈ {1, . . . , N }.
(6.8.2)
Le (6.8.2) costituiscono un sistema di 3N equazioni differenziali del secondo
ordine, la cui integrazione fornisce il moto del sistema. La complessità del problema
cosı̀ formulata è tanto più elevata quanto più grande è il numero N delle particelle
che costituiscono il sistema. In ogni caso, poiché il sistema è chiuso, si conservano
durante il moto la quantità di moto ed il momento della quantità di moto totali del
sistema (Teorema 2.3.2). In particolare, la conservazione della quantità di moto
comporta la costanza della velocità del baricentro del sistema il quale si muove
pertanto di moto rettilineo uniforme. Ne discende che il sistema baricentrale è a
sua volta inerziale e nulla vieta, dunque, di far coincidere il sistema dell’osservatore
e quello baricentrale.
Posto poi
Z
Uij (r) = fij (r)dr,
è un semplice esercizio controllare che la funzione
U (x1 , . . . , xN ) =
N
1 X
Uij (|xi − xj |)
2 i,j=1
i6=j
è un’energia potenziale per il sistema degli N corpi che ha dunque natura conservativa, nel senso che la sua energia meccanica totale
E =T +U =
N
X
1
j=1
2
mj |ẋ2j | − U (x1 , . . . , xN )
250
rimane costante durante il moto.
Il problema dei due corpi è la particolarizzazione del problema degli N corpi
al caso più semplice N = 2. Il sistema di equazioni (6.8.2) si riduce in tal caso
semplicemente a
f (|x1 − x2 |)
m1 ẍ1 =
(x1 − x2 ),
|x1 − x2 |
(6.8.3)
f (|x1 − x2 |)
m2 ẍ2 =
(x2 − x1 ).
|x1 − x2 |
In virtù del suo carattere conservativo, possiamo affermare che il sistema dei
due corpi è di tipo lagrangiano con funzione di Lagrange
L=
1
1
m1 |ẋ1 |2 + m2 |ẋ2 |2 − U (|x1 − x2 |)
2
2
con
U (r) = −
(6.8.4)
Z
f (r)dr.
In particolare, se assumiamo quali variabili lagrangiane le coordinate dei due punti
in un riferimento cartesiano ortonormale {O, (e1 , e2 , e3 )}, le equazioni di Lagrange
si riducono alle proiezioni delle (6.8.3) in quello stesso riferimento.
D’altra parte, il sistema è simmetrico rispetto alle traslazioni, ciò che suggerisce
una differente scelta di coordinate lagrangiane, fra le quali è utile che figurino le
tre coordinate del baricentro
xG =
m1 x1 + m2 x2
.
m1 + m2
Ad esse vanno poi aggiunte altre tre variabili che possono identificarsi con le coordinate di uno dei due punti o, per maggior simmetria, con le componenti del
vettore
x = x2 − x1
(6.8.5)
che esprime la posizione relativa delle due particelle.
Per esprimere la funzione di Lagrange in termini di queste nuove variabili,
osserviamo in primo luogo che, per il teorema di König si ha
T =
1
1
1
(m1 + m2 )|ẋG |2 + m1 |ẋ01 |2 + m2 |ẋ02 |2
2
2
2
(6.8.6)
dove
x01 = x1 − xG ,
x02 = x2 − xG
(6.8.7)
sono i vettori posizione delle particelle rispetto al baricentro. Sostituendo in tali
relazioni l’espressione di xG , si ottengono le identità
x01 = −
m2
x,
m1 + m2
x02 =
m1
x,
m1 + m2
(6.8.8)
251
derivando le quali si perviene, in definitiva, alla seguente espressione dell’energia
cinetica
1
1
T = M |ẋG |2 + µ|ẋ|2 ,
2
2
nella quale si sono introdotte la massa totale M e la massa ridotta µ del sistema
con le posizioni
m1 m2
.
M = m1 + m2 ,
µ=
m1 + m2
La funzione di Lagrange si scrive, allora, nella forma
L=
1
1
M |ẋG |2 + µ|ẋ|2 − U (|x|).
2
2
(6.8.9)
Le coordinate del baricentro non figurano esplicitamente in L e sono quindi
ignorabili; in corrispondenza, sussistono tre integrali primi che coincidono con le
componenti della quantità di moto totale del sistema. In particolare, nel sistema
di riferimento baricentrale la funzione di Lagrange si riduce a
L=
1
µ|ẋ|2 − U (|x|).
2
(6.8.10)
Il problema dei due corpi è cosı̀ ricondotto allo studio del moto di un punto di massa
pari alla massa ridotta del sistema nel campo centrale di energia potenziale U . Più
precisamente, nel riferimento non inerziale con origine nella prima particella ed in
moto traslatorio rispetto a quello dell’osservatore, il moto della seconda particella
appare essere quello di una particella di massa µ sotto l’azione di una forza centrale
con centro nella prima particella ed energia potenziale U . Una volta che tale moto
sia noto, è immediato risalire, attraverso le (6.8.8), a quello delle singole particelle
rispetto al baricentro. Infine, le (6.8.7) consentono la determinazione del moto
nel riferimento dell’osseravatore, quando si tenga conto che il baricentro si muove
rispetto a questo di moto rettilineo uniforme.
Il problema dei due corpi modella, tra l’altro, i sistemi costituiti da coppie di
oggetti celesti (ad esempio, le stelle doppie). La legge di gravitazione universale,
formulata da Newton, prevede infatti che due corpi dotati di massa esercitano sempre l’uno sull’altro una forza attrattiva proporzionale al prodotto delle rispettive
masse, inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza e diretta come
la congiungente delle loro posizioni. In formule,
f 12 = −f 21 = −G
m1 m2
(x1 − x2 ).
|x1 − x2 |3
La costante di proporzionalità positiva G che figura nelle legge di gravitazione
prende il nome di costante gravitazionale universale.
In virtù di delle precedenti considerazioni, il moto relativo della seconda particella rispetto alla prima è quello di un punto di massa µ in un campo centrale
di tipo newtoniano attrattivo la cui costante caratteristica k è data dal prodotto
252
Gm1 m2 . Lo studio eseguito in Sezione 6.5 si applica al caso in esame a condizione
di operare le identificazioni
m→
m1 m2
,
m1 + m2
k → Gm1 m2 .
(6.8.11)
Cosı̀, se l’energia dei due corpi nel riferimento baricentrale è negativa, la seconda
particella descrive un’orbita ellittica con un fuoco occupato dalla prima. In particolare, assegnato il momento della quantità di moto h nel riferimento baricentrale,
il moto è circolare uniforme quando l’energia assume il valore
E=−
G2 m31 m32
2h2 (m1 + m2 )
(6.8.12)
che si determina operando le identificazioni (6.8.11) nella (6.5.4). Operando le
stesse sostituzioni nella (6.5.5) e nella (6.5.6) si determinano poi il raggio e la
velocità angolare di tale moto
R=
h2 (m1 + m2 )
,
Gm21 m22
ω=
G2 m31 m32
.
1 + m2 )
h3 (m
(6.8.13)
Il moto dei due corpi rispetto al baricentro si determina attraverso le (6.8.8); entrambe le particelle descrivono, con velocità angolare (6.8.13)2 , traiettorie circolari
i cui raggi valgono
R1 =
m2
h2
R=
,
m1 + m2
Gm21 m2
R2 =
h2
m1
R=
.
m1 + m2
Gm1 m22
(6.8.14)
Nel XVI secolo l’astronomo danese Tyge Brahe eseguı̀ una lunga serie di osservazioni astronomiche di grandissima precisione e senza l’ausilio del cannocchiale,
non ancora conosciuto. Il suo allievo Johannes Kepler lavorò molti anni sui dati
di tali osservazioni fino a giungere alla formulazioni delle tre leggi che portano il
suo nome e che descrivono, sia in termini geometrici che cinematici, il moto dei
pianeti del sistema solare:
i - ciascun pianeta descrive un’orbita ellittica che ha il sole in uno dei suoi
fuochi;
ii - il vettore posizione di ciascun pianeta rispetto al sole descrive aree uguali in
tempi uguali;
iii - il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione ed il cubo del semiasse
maggiore dell’orbita ha lo stesso valore per tutti i pianeti del sistema solare.
Le tre leggi di Keplero possono desumersi dalle equazioni che descrivono il moto
del sistema solare a condizione di assumere certe opportune approssimazioni. Osserviamo, per cominciare, che il sistema solare è composto dal sole, da nove pianeti
253
maggiori e dai loro satelliti (oltre quaranta) nonché da un imprecisato numero di
corpi di dimensioni e massa via via più piccole. Tutti questi oggetti interagiscono
tra di loro, cosı̀ come con i corpi esterni al sistema solare, attraverso le mutue
forze gravitazionali. Una prima semplificazione scaturisce dalla considerazione che
queste ultime forze, a paragone di quelle interne, sono assai piccole a causa della
grande distanza che separa il sistema solare dagli oggetti ad esso esterni. Pertanto il sistema solare può considerarsi chiuso. Se indichiamo con mS e xS la
massa e la posizione del sole e con mi e xi (i ∈ {1, . . . , N }) quelle del generico
corpo, l’evoluzione del sistema solare risulta governata dal sistema di equazioni
differenziali
mS ẍS = −
N
X
j=1
G
mS mj
(xS − xj ),
|xS − xj |3
N
X
mS mj
mi mj
mi ẍi = −G
(x
−
x
)
−
(xi − xj ).
G
i
S
3
|xi − xS |3
|x
i − xj |
j=1
(6.8.15)
j6=i
La determinazione dell’evoluzione del sistema solare richiede dunque la soluzione
di un problema di N + 1 corpi, dove N vale nove, se consideriamo solo i pianeti maggiori, ma può crescere notevolmente se teniamo conto anche degli oggetti
minori che popolano il sistema solare.
Le approssimazioni che consentono di semplificare la forma del sistema (6.8.15)
e di derivare le leggi di Keplero scaturiscono dalla considerazione che la massa del
sole è circa mille volte più grande della somma delle masse di tutti gli altri corpi
del sistema. Una prima cosenguenza di tale osservazione è che il baricentro del
sistema solare risulta pressoché coincidente con la posizione del sole:
xS = 0.
Una seconda conseguenza del grande squilibrio tra le masse in gioco sta nel
fatto che la forza che il sole esercita su un qualsiasi altro corpo del sistema è
prevalente rispetto a quelle esercitate sullo stesso corpo da tutti gli altri, a meno
che non ve ne sia uno di massa adeguata e a distanza molto più piccola rispetto
al sole (come accade nel caso di un satellite e del suo pianeta). In particolare,
nello studio del moto dei pianeti è lecito, in prima approssimazione, trascurare
le forze dovute agli altri pianeti e ai corpi minori e prendere in considerazione
esclusivamente l’attrazione del sole. L’equazione del moto dell’i–mo pianeta si
riduce allora a
mS mj
mi ẍi = −G
xi .
(6.8.16)
|xi |3
Nelle approssimazioni introdotte ogni pianeta si muove in un campo di forze
centrale di tipo newtoniano attrattivo, la cui costante k coincide con il prodotto
GmS mi e con il sole che occupa il centro.
La prima legge di Keplero è allora una immediata conseguenza dei risultati
stabiliti in Sezione 6.5.
254
rmax
rmin
φ
Figura 6.8.1: la legge delle aree.
La seconda legge di Keplero costituisce invece la manifestazione di una proprietà comune a tutti i campi di forze centrali che è conseguenza diretta dell’integrale primo del momento della quantità di moto.
Teorema 6.8.1 (legge delle aree)
L’area che il vettore posizione di un punto in un campo centrale descrive nell’intervallo di tempo tra due istanti t e t + ∆t non dipende dai particolari valori degli
istanti ed è proporzionale alla durata ∆t dell’intervallo.
Dimostrazione - Denotiamo con A(t1 , t2 ) l’area spazzata dal raggio vettore tra due
generici istanti t1 e t2 . Posto
Ȧ(t) = lim
∆t→0
A(t, t + ∆t)
∆t
si ha evidentemente
A(t, t + ∆t) =
Z
t+∆t
t
Ȧ(s) ds.
(6.8.17)
Indicate con rmin e rmax la minima e la massima distanza del punto dal centro
di forza nell’intervallo di tempo considerato, semplici considerazioni geometriche
mostrano che deve aversi
1 2
1 2
r [φ(t + ∆t) − φ(t)] ≤ A(t, ∆t) ≤ rmax
[φ(t + ∆t) − φ(t)]
2 min
2
essendo φ(t) l’anomalia del punto all’istante t (figura 6.8.1). Dividendo la precedente relazione per ∆t e facendo tendere tale grandezza a 0, si ottiene
Ȧ =
1 2
r φ̇
2
255
che, per la (6.3.9), comporta
h
.
2m
Inserendo tale espressione nella (6.8.17) si ha cosı̀
Ȧ =
A(t, t + ∆t) =
h
∆t
2m
ed il Teorema è provato.
La costante di proporzionalità
h
(6.8.18)
2m
tra l’intervallo di tempo e l’area spazzata prende il nome di velocità areale.
Per provare la terza legge di Keplero, cominciamo con l’osservare che dalle
(6.5.10) segue
h2i
h2
.
ai (1 − e2i ) = i =
m i ki
GmS m2i
D’altra parte, quadrando la (A.1.6)2 , si ha
ai (1 − e2i ) =
b2i
.
ai
Uguagliando i secondi membri delle due ultime relazioni si ottiene
b2i
h2i
=
.
ai
GM m2i
Ora, per la seconda legge di Keplero, l’area che il raggio vettore spazza in un
intervallo temporale è proporzionale alla durata dell’intervallo e la costante di
proporzionalità è la velocità areale (6.8.18). In particolare, il prodotto di tale
costante per il periodo Ti del moto dell’i–mo pianeta è pari all’area πai bi dell’ellisse
che esso descrive:
hi
πai bi =
Ti .
2mi
Ricavando bi da questa identità e sostituendo il valore cosı̀ determinato in quella
precedente, si perviene alla relazione
Ti2
4π 2
=
3
ai
GM
(6.8.19)
la quale mostra, in accordo con la terza legge di Keplero, l’indipendenza del
rapporto al primo membro dal pianeta considerato.
La prima e la seconda legge di Keplero caratterizzano l’orbita dei pianeti identificandone l’orbita e descrivendone la legge oraria; più riposto il significato della
256
terza legge che istituisce un legame tra la distanza del pianeta dal Sole ed il suo
periodo. Le conseguenze di questo legame possono indagarsi ipotizzando un sistema di pianeti che descrivano orbite esattamente circolari attorno a un Sole posto
nel suo centro; in tal caso le orbite sono percorse con velocità costante
r
v = 2π ,
T
(6.8.20)
essendo r la distanza del pianeta dal Sole e T il suo periodo di rivoluzione. D’altra
parte, in un’orbita circolare i semiassi della traiettoria si identificano con il raggio
della circonferenza e la terza legge di Keplero (6.8.19) assume la forma
r3 = cT 2 ,
(6.8.21)
nella quale abbiamo sinteticamente denotato con c la costante di proporzionalità.
In un moto circolare uniforme l’accelerazione è diretta verso il centro ed ha
intensità;
v2
a=
r
una forza che debba determinare una tale accelerazione, in accordo con l’equazione
newtoniana del moto, deve essere a sua volta rivolta verso il centro dell’orbita e
deve avere intensità
v2
F =m .
r
Sostituendo a v l’espressione (6.8.20) e tenendo conto della terza legge di Keplero
(6.8.21) abbiamo
v2
F =m
r
r
2
= 4π m 2
T
1
2
= 4π cm 2
r
ovvero
k
F = 2.
r
La terza legge di Keplero comporta dunque che la forza gravitazionale con cui i
corpi si attraggono debba essere inversamente proporzionale al quadrato della loro
distanza.
6.9
Il problema dei tre corpi
Una volta risolto il problema di due masse che si attraggono vicendevolmente per
mezzo delle loro mutue forze gravitazionali, per i fisici e i matematici del XVIII
257
secolo fu naturale accingersi a compiere il passo successivo e rivolgere la propria
attenzione al problema dei tre corpi che Whittaker cosı̀ formula:
Tre particelle si attraggono l’una con l’altra in accordo con la legge newtoniana,
cosicché tra ogni coppia di particelle vi è una forza attrattiva che è proporzionale al
prodotto delle masse delle particelle e all’inverso del quadrato della loro distanza;
esse sono libere di muoversi nello spazio e sono note le loro posizioni e velocità ad
un dato istante: determinare il loro moto susseguente.
Il sistema di equazioni differenziali che governa il moto di un sistema di tre
corpi si scrive, per esteso, nella forma
x1 − x3
x1 − x2
− Gm1 m3
,
|x1 − x2 |3
|x1 − x3 |3
x2 − x1
x2 − x3
m2 ẍ2 = −Gm1 m2
− Gm2 m3
,
3
|x1 − x2 |
|x2 − x3 |3
x3 − x1
x3 − x2
m3 ẍ3 = −Gm1 m3
− Gm2 m3
,
3
|x1 − x3 |
|x2 − x3 |3
m1 ẍ1 = −Gm1 m2
(6.9.1)
nella quale x1 , x2 e x3 sono i vettori posizione dei tre corpi rispetto all’origine
del sistema di riferimento dell’osservatore. Si tratta di un sistema di tre equazioni
vettoriali del secondo ordine il cui rango complessivo è pari a 18.
Sommando le tre equazioni (6.9.1) si stabilisce l’identità
m1 ẍ1 + m2 ẍ2 + m3 ẍ3 = 0.
Una prima ed una seconda integrazione danno rispettivamente
m1 ẋ1 + m2 ẋ2 + m3 ẋ3 = q
(6.9.2)
m1 x1 + m2 x2 + m3 x3 = qt + c
(6.9.3)
e
con q e c vettori costanti le cui determinazioni sono esplicitamente calcolabili sulla
scorta dei dati iniziali.
Il primo membro della (6.9.2) rappresenta la quantità di moto del sistema e
dunque quella relazione esprime la costanza di tale grandezza durante il moto.
Analogamente, il primo membro della (6.9.3) definisce il prodotto della massa
totale del sistema di particelle per la posizione del suo centro di massa G e dunque
la (6.9.3) esprime la circostanza che G si muove di moto rettilineo uniforme:
xG =
1
(qt + c).
M
(6.9.4)
Risultando in tal modo completamente noto il moto del baricentro, il problema
dei tre corpi si riduce alla determinazione del moto attorno al baricentro, descritto
dalle variabili
x0i = xi − xG ,
i ∈ {1, 2, 3}.
(6.9.5)
258
P2
x2
x23
x12
x3
G
P3
x1
x31
P1
Figura 6.9.1: il sistema di tre corpi.
Poiché il riferimento baricentrale è inerziale queste variabili sono anch’esse soluzioni del sistema di equazioni (6.9.1); in particolare, esse verificano le relazioni (6.9.2)
e (6.9.3) che prendono la forma particolare
e
m1 ẋ01 + m2 ẋ02 + m3 ẋ03 = 0
(6.9.6)
m1 x01 + m2 x02 + m3 x03 = 0.
(6.9.7)
Quest’ultima identità mostra come il moto di due particelle rispetto al baricentro
determini quello della terza.
Sommiamo nuovamente le equazioni (6.9.1) dopo averle moltiplicate vettorialmente per x1 , x2 e x3 rispettivamente, cosı̀ da ottenere
x1 × m1 ẍ1 + x2 × m2 ẍ2 + x3 × m3 ẍ3 = 0.
Integrando questa relazione si ha
x1 × m1 ẋ1 + x2 × m2 ẋ2 + x3 × m3 ẋ3 = hO ,
(6.9.8)
con hO vettore costante. Poiché il primo membro di quest’ultima relazione rappresenta il momento della quantità di moto del sistema di particelle rispetto all’origine
del riferimento, essa esprime la costanza di tale grandezza durante il moto.
Nel riferimento baricentrale l’integrale del momento della quantità di moto si
pone nella forma
x01 × m1 ẋ01 + x02 × m2 ẋ02 + x03 × m3 ẋ03 = h,
(6.9.9)
indipendente dalla scelta del polo. La costante h coincide con il momento della
quantità di moto nel riferimento dell’osservatore calcolato assumendo il baricentro
259
quale polo:
(x1 − xG ) × m1 ẋ1 + (x2 − xG ) × m2 ẋ2 + (x3 − xG ) × m3 ẋ3 = h.
(6.9.10)
L’energia cinetica del sistema di tre particelle nel riferimento dell’osservatore è
T =
1
1
1
m1 |v 1 | + m2 |v 2 | + m3 |v 3 |.
2
2
2
In virtù del Teorema di König si ha
T =
1
M |v G |2 + T 0
2
nella quale
M = m1 + m2 + m3
è la massa totale del sistema, v G la velocità del baricentro e T 0 l’energia cinetica
nel riferimento baricentrale, la cui espressione è del tutto analoga a quella di T
con le velocità v 0i nel riferimento baricentrale in luogo delle v i .
Definiamo adesso la funzione
m2 m3
m3 m1
m1 m2
+
+
(6.9.11)
U = −G
r12
r23
r31
nella quale rij è la distanza tra le particelle pi e pj . Si controlla senza difficoltà che,
introdotte in questa funzione le espressioni di tali distanze in termini dei vettori
posizione delle particelle,
r12 = |x1 − x2 |,
r23 = |x2 − x3 |,
r31 = |x3 − x1 |,
si perviene alla definizione di una funzione U (x1 , x2 , x3 ) che è un’energia potenziale per il sistema, nel senso che la forza agente sulla generica particella pi è l’opposto
del gradiente di U rispetto al vettore xi . Le equazioni del moto si scrivono dunque
nella forma
m1 ẍ1 = −∇1 U,
m2 ẍ2 = −∇2 U,
(6.9.12)
m3 ẍ3 = −∇3 U.
Moltiplicando scalarmente ciascuna equazione per la velocità della corrispondente
particella e sommando si perviene alla seguente identità:
m1 ẍ1 · ẋ1 + m2 ẍ2 · ẋ2 + m3 ẍ3 · ẋ3 + ∇1 U · ẋ1 + ∇2 U · ẋ2 + ∇3 U · ẋ3 = 0.
La somma dei primi tre termini rappresenta la derivata temporale dell’energia
cinetica; analogamente i secondi tre termini danno la derivata rispetto al tempo
dell’energia potenziale. La precedente relazione può dunque esprimersi nella forma
d
(T + U ) = 0
dt
260
Ricordando che la somma dell’energia cinetica e di quella potenziale definiscono
l’energia meccanica totale del sistema, la precedente equazione mostra che tale
quantità resta costante durante il moto; più precisamente, indicato con E il valore
di tale costante, determinabile in funzione dei dati iniziali del problema, si ha
identicamente
1
1
m1 m2
m2 m3
m3 m1
1
m1 |ẋ1 |2 + m2 |ẋ2 |2 + m3 |ẋ3 |2 −G
+
+
= E. (6.9.13)
2
2
2
r12
r23
r31
In Sezione 6.9 abbiamo osservato lo studio del sistema a tre corpi possa eseguirsi nel sistema baricentrale che è inerziale. Per tale motivo a partire da questo
punto assumeremo senz’altro che i vettori posizione delle particelle siano riferiti al
baricentro evitando l’uso degli apici per semplificare le notazioni.
Il moto delle particelle è governato dal sistema di equazioni (6.9.1) e fra i tre
vettori posizione sussiste la relazione
m1 x1 + m2 x2 + m3 x3 = 0
(6.9.14)
dalla quale segue immediatamente
1
(m1 x1 + m2 x2 ).
(6.9.15)
m3
Il moto della particella p3 è cosı̀ completamente determinato da quello delle altre
due. In particolare, possiamo eliminare la variabile x3 dalle equazioni (6.9.1)1,2
sostituendo in esse la sua espressione (6.9.15) per ottenere un sistema di due equazioni differenziali vettoriali del secondo ordine nelle due sole variabili vettoriali x1
e x2 . In tal modo il rango del sistema risulta abbassato dal valore 18 originale al
valore 12.
È peraltro possibile pervenire ad un risultato analogo attraverso un diverso procedimento che costituisce la particolarizzazione al caso dei tre corpi di quello con
cui, nello studio del sistema solare, abbiamo eseguito il trasferimento dell’origine
nel Sole.
Poniamo preliminarmente
x3 = −
xij = xi − xj
per ogni coppia di indici i e j distinti e compresi tra 1 e 3. In particolare le
posizioni della prima e della seconda particella rispetto alla terza sono espresse dai
due vettori
x13 = x1 − x3 ,
x23 = x2 − x3 .
(6.9.16)
Dividendo le tre equazioni (6.9.1) rispettivamente per m1 , m2 e m3 e sottraendo
poi la terza equazione alla prima e alla seconda si perviene al seguente sistema di
due equazioni vettoriali nelle funzioni incognite x13 e x23 :
x13
x13 − x23
x23
ẍ13 = −G(m1 + m3 )
−
Gm
+
,
2
|x13 |3
|x13 − x23 |3
|x23 |3
(6.9.17)
x23
x23 − x13
x13
ẍ23 = −G(m2 + m3 )
− Gm1
+
.
|x23 |3
|x13 − x23 |3
|x13 |3
261
La soluzione di questo sistema equivale alla determinazione del moto attorno
al baricentro. Infatti, introducendo l’espressione (6.9.15) nelle (6.9.16) si ha
1
[(m1 + m3 )x1 + m2 x2 ],
m3
1
=
[m1 x1 + (m2 + m3 )x2 ];
m3
x13 =
x23
risolvendo queste equazioni rispetto a x1 e x2 e sostituendo le espressioni che cosı̀
si determinano nella (6.9.15) si ottiene poi
1
[(m2 + m3 )x13 − m2 x23 ],
M
1
x2 =
[−m1 x13 + (m1 + m3 )x23 ],
M
1
(−m1 x13 − m2 x23 ).
x3 =
M
x1 =
(6.9.18)
Una ulteriore forma del sistema che governa il moto del sistema di tre corpi fu
stabilita da Jacobi e si basa su una nuova scelta di coordinate che, in suo onore, si
denominano coordinate di Jacobi. Le prime tre coordinate sono le componenti del
vettore che individua la posizione relativa di due di esse, diciamo la prima rispetto
alla seconda, che per semplicità denoteremo
x = x12 = x1 − x2
(6.9.19)
omettendo gli indici. Le rimanenti coordinate di Jacobi sono le componenti del
vettore che individua la posizione della terza particella rispetto al baricentro delle
prime due:
1
(6.9.20)
ξ = x3 − (m1 x1 + m2 x2 ),
m
dove è
m = m1 + m2 .
Tenendo conto della (6.9.15), la precedente definizione diventa
ξ=
M
x3 .
m
(6.9.21)
Le equazioni differenziali per le variabili di Jacobi si determinano, rispettivamente, sottraendo la (6.9.1)2 alla (6.9.1)1 e moltiplicando la (6.9.1)3 per M/m.
Osservato che la (6.9.19) e la (6.9.20) comportano
x3 − x1 = ξ −
m2
x,
m
x3 − x2 = ξ +
m1
x,
m
(6.9.22)
262
in definitiva si ottiene
ẍ = −Gm
x
+ Gm3
|x|3
1
2
ξ+ m
ξ− m
m x
m x
−
m2
m1
3
|ξ − m x|
|ξ + m x|3
2
1
Gm1 M ξ − m
Gm2 M ξ + m
m x
m x
ξ̈ = −
−
.
m2
m1
3
m |ξ − m x|
m |ξ + m x|3
,
(6.9.23)
La soluzione di quest’ultimo sistema equivale alla risoluzione del problema dei
tre corpi; infatti, sostituendo nelle (6.9.22) l’espressione di x3 che si ottiene dalla
(6.9.21) e tenendo conto di questa stessa equazione, si perviene alle identità
m3
m2
x−
ξ,
m1 + m2
M
m1
m3
x2 = −
x−
ξ,
m1 + m2
M
m1 + m2
ξ,
x3 =
M
x1 =
(6.9.24)
che esplicitano le posizioni delle particelle in funzione delle variabili di Jacobi.
6.10
Il problema dei tre corpi ristretto
Il presente Capitolo è dedicato allo studio di un caso particolare del problema dei
tre corpi la cui formulazione risale ad Eulero e che da Poincaré in poi si denomina
problema ristretto dei tre corpi. Esso si definisce nel modo seguente:
Due corpi ruotano attorno al proprio centro di massa su orbite circolari per effetto
della loro interazione gravitazionale; un terzo corpo subisce l’attrazione dei primi
due corpi ma non ne influenza il moto. Il problema consiste nella determinazione
del moto del terzo corpo assumendo che esso abbia luogo nel medesimo piano
contenente le orbite dei primi due.
Dunque, il primo requisito da soddisfare affinché il problema dei tre corpi si
specializzi nella sua versione ristretta è che uno dei corpi, che etichetteremo p3 ,
abbia massa assai più piccola di quella di ciascuno degli altri due, di modo che il
moto di questi due corpi, etichettati p1 e p2 , non sia influenzato da esso. Per tale
motivo i corpi p1 e p2 sono usualmente chiamati primari.
La precedente assunzione comporta, tra l’altro, che il baricentro del sistema,
che assumiamo quale origine dei vettori posizione, praticamente coincide con il
baricentro dei corpi primari. Tale circostanza suggerisce di adoperare le coordinate
di Jacobi e riferirsi al sistema di equazioni differenziali (6.9.23) per lo studio dei
moti del sistema.
263
Formalmente l’indipendenza del moto dei due corpi primari dal terzo si ottiene
ponendo m3 = 0 nell’equazione (6.9.23)1 , che in tal modo si riduce a
ẍ = −
G(m1 + m2 )
x.
|x|3
La forma di questa equazione mostra che il moto relativo dei due corpi primari si determina risolvendo il problema dei due corpi. La seconda condizione da
soddisfare perché si realizzino le circostanze previste dalla definizione del problema ridotto è che tra il valore h del momento della quantità di moto e quello Ē
dell’energia sussista la relazione (6.3.17); i due corpi descrivono allora traiettorie
circolari attorno al loro baricentro con velocità angolare ω costante espressa dalla
(6.8.13)2 su circonferenze di raggi R1 e R2 dati dalle (6.8.14).
Consideriamo un primo sistema di riferimento, inerziale, con origine nel baricentro delle masse primarie ed avente il terzo versore con direzione e verso comuni
al momento della quantità di moto, cosicché il primo piano coordinato si identifica
con il piano del moto (piano di Laplace). Possiamo senz’altro fissare il primo asse
coordinato in modo che esso contenga le posizioni iniziali dei corpi primari, il primo nel verso positivo ed il secondo in quello negativo. Il riferimento cosı̀ definito
viene detto riferimento siderale poiché in esso le stelle occupano posizioni fisse.
In virtù delle scelte effettuate il moto delle masse primarie nel riferimento siderale
è dunque espresso dalle equazioni finite
x1 = R1 cos ωte1 + R1 sin ωte2 ,
x2 = −R2 cos ωte1 − R2 sin ωte2 .
(6.10.1)
La terza ed ultima assunzione prevista nella definizione del problema ristretto
è che il moto del terzo corpo avvenga nel piano di Laplace; in virtù della scelta
dell’origine del riferimento, il vettore che esprime la posizione della particella p3 si
identifica con ξ e dunque, durante il moto, deve risultare
x3 = ξ = ξ1 e1 + ξ2 e2 .
(6.10.2)
La soluzione del problema ristretto dei tre corpi è rimandata a quella dell’equazione differenziale vettoriale (6.9.23)2 la quale, tenendo conto che il rapporto
M/m va posto uguale ad 1 e osservando che sussistono le identità
x1 =
m2
x,
m
x2 = −
m1
x,
m
assume la forma
ξ̈ = −Gm1
ξ − x1
ξ − x2
− Gm2
.
|ξ − x1 |3
|ξ − x2 |3
(6.10.3)
264
ξ2
p3
ωt
p1
ξ1
p2
Figura 6.10.1: il moto delle due masse finite nel riferimento siderale.
L’equazione (6.10.3) va proiettata nel riferimento siderale; ricordando la (6.10.1)
e la (6.10.2), le due componenti non nulle danno
ξ1 − R1 cos ωt
ξ1 + R2 cos ωt
ξ¨1 = −Gm1
− Gm2
,
3
3
r13
r23
ξ2 + R2 sin ωt
ξ2 − R1 sin ωt
ξ¨2 = −Gm1
− Gm2
,
3
3
r13
r23
dove
r13 =
p
(ξ1 − R1 cos ωt)2 + (ξ2 − R1 sin ωt)2 ,
r23 =
p
(ξ1 + R2 cos ωt)2 + (ξ2 + R2 sin ωt)2 .
(6.10.4)
(6.10.5)
Le (6.10.4) costituiscono, in definitiva, il sistema differenziale del secondo ordine di due equazioni che conduce alla determinazione delle due funzioni incognite ξ1 (t) e ξ2 (t) in corrispondenza ad assegnati dati iniziali per la posizione e la
velocità.
L’equazione (6.10.3) descrive il moto di una particella di massa unitaria sotto l’azione dell’attrazione gravitazionale delle due masse primarie, la cui energia
potenziale
m1
m2
U = −G
+
(6.10.6)
r13
r23
è una funzione delle posizioni x1 , x2 e ξ delle tre particelle; componendola con le
equazioni finite (6.10.1) del moto dei corpi primari si perviene alla definizione di
una funzione, che continueremo a chiamare U , che dipende dalla posizione della
terza particella ξ e dal tempo. Il secondo membro della (6.10.3) è il gradiente di
265
questa funzione rispetto al vettore ξ, cosicchè possiamo scrivere quell’equazione
nella forma
ξ̈ = −∇U (ξ, t).
(6.10.7)
Il problema ristretto dei tre corpi conduce dunque alla definizione di un sistema
lagrangiano con funzione di Lagrange
L=T −U =
1 2
|ξ̇| − U (ξ, t)
2
che, assumendo quali variabili lagrangiane le coordinate (ξ1 , ξ2 ) di p3 nel riferimento siderale, si esplicita nella forma
1
m1
m2
L = (ξ˙12 + ξ˙22 ) + G
+
(6.10.8)
2
r13
r23
con r13 e r23 espressi dalle (6.10.5). Le (6.10.4) sono le equazioni di Lagrange
corrispondenti alla scelta di coordinate lagrangiane ξ1 e ξ2 .
È opportuno osservare esplicitamente che il sistema appena definito non è autonomo e dunque la sua energia meccanica non si conserva durante il moto. Infatti
si ha
dL
dT
dU
=
−
dt
dt
dt
dT
dT
dU
=2
−
−
dt
dt
dt
dT
∂U
=2
− ξ̈ · ξ̇ − ∇U · ξ̇ −
dt
∂t
dT
∂U
=2
−
dt
∂t
da cui
dT
dL
dT
dU
∂U
=2
−
=
+
∂t
dt
dt
dt
dt
ovvero, in definitiva
∂U
Ė =
.
∂t
6.11
Il problema dei tre corpi ristretto nel riferimento sinodico
La circostanza che le due masse primarie ruotino attorno al loro centro di massa
con la medesima velocità angolare rende spontanea l’idea di descrivere il moto
del sistema ridotto dei tre corpi in un nuovo riferimento, non inerziale, nel quale
le masse primarie risultano in quiete. Tale riferimento si costruisce scegliendo il
versore e01 con direzione comune al vettore x e diretto, ad esempio, verso p2 , versore
e02 perpendicolare al primo e ancora contenuto nel piano di Laplace e infine terzo
266
versore comune con quello del riferimento stellare. Chiameremo (O, {e01 , e02 , e3 })
riferimento sinodico.
Il moto relativo del riferimento sinodico rispetto a quello siderale è rotatorio
uniforme con velocità angolare
ω = ωe3 .
Pertanto l’equazione del moto in tale sistema si ottiene considerando, accanto alle
forze di attrazione gravitazionale dovute alle masse primarie, anche le cosiddette
forze d’inerzia che nel caso presente si riducono a quella centrifuga e a quella di
Coriolis.
In alternativa, possiamo riguardare il cambiamento di riferimento come un cambio di coordinate lagrangiane da quelle (ξ1 , ξ2 ) che rappresentano le componenti
del vettore ξ nel riferimento siderale alle nuove variabili (ξ10 , ξ20 ) che forniscono
invece le componenti dello stesso vettore nel riferimento sinodico:
ξ = ξ10 e01 + ξ20 e02 .
I vettori di base si trasformano secondo la legge
e01 = cos ωte1 + sin ωte2 ,
e02 = − sin ωte1 + cos ωte2 ,
e pertanto le formule di cambiamento delle variabili sono
ξ10 = ξ1 cos ωt + ξ2 sin ωt,
(6.11.1)
ξ20 = −ξ1 sin ωt + ξ2 cos ωt.
Invertendo le (6.11.1) si ha poi
ξ1 = ξ10 cos ωt − ξ20 sin ωt,
(6.11.2)
ξ2 = ξ10 sin ωt + ξ20 cos ωt.
Per stabilire l’espressione di L nel riferimento sinodico osserviamo innanzi tutto
che le masse primarie occupano le posizioni di coordinate (R1 , 0) e (−R2 , 0) e
pertanto le distanze tra tali corpi e la terza valgono
p
r13 = (ξ10 − R1 )2 + ξ20 2 ,
p
r23 = (ξ10 + R2 )2 + ξ20 2 .
L’energia potenziale assume dunque l’espressione
U = −G
m2
m1
p
+p 0
(ξ10 − R1 )2 + ξ20 2
(ξ1 + R2 )2 + ξ20 2
nella quale non figura esplicitamente il tempo.
!
267
Per determinare l’energia cinetica, deriviamo rispetto al tempo le (6.11.2):
ξ˙1 = ξ˙10 cos ωt − ξ˙20 sin ωt − ωξ10 sin ωt − ωξ20 cos ωt,
ξ˙2 = ξ˙10 sin ωt + ξ˙20 cos ωt + ωξ10 cos ωt − ωξ20 sin ωt.
Quadrando queste identità, sommandole membro a membro e semplificando i
termini simili si ottiene
T =
1 ˙2 ˙2
1
1
(ξ1 + ξ2 ) = (ξ˙10 2 + ξ˙20 2 ) + ω(ξ10 ξ˙20 − ξ20 ξ˙10 ) + ω 2 (ξ10 2 + ξ20 2 ).
2
2
2
Inserendo le espressioni dei T e di U cosı̀ determinate nella (6.10.8) si stabilisce
infine l’espressione della funzione di Lagrange nel riferimento sinodico:
L=
1
1 2 02
ω (ξ1 + ξ20 2 ) + ω(ξ10 ξ˙20 − ξ20 ξ˙10 ) + (ξ˙10 2 + ξ˙20 2 )
2
2
+G
m1
m2
p
+p 0
(ξ10 − R1 )2 + ξ20 2
(ξ1 + R2 )2 + ξ20 2
!
.
Le equazioni di Lagrange derivanti da questa funzione sono
ξ¨10 = 2ω ξ˙20 + ω 2 ξ10 − G
ξ¨20 = −2ω ξ˙10 + ω 2 ξ20 − G
m (ξ 0 + R2 )
m (ξ 0 − R1 )
p 1 1
p 2 1
+
[ (ξ10 − R1 )2 + ξ20 2 ]3
[ (ξ10 + R2 )2 + ξ20 2 ]3
!
m1 ξ20
m2 ξ20
p
+ p 0
0
0
2
2
3
[ (ξ1 − R1 ) + ξ2 ]
[ (ξ1 + R2 )2 + ξ20 2 ]3
,
!
e possono sintetizzarsi nella relazione vettoriale
ξ̈ = −2ω × ξ̇ + ω 2 ξ − Gm1
ξ − x2
ξ − x1
− Gm2
|ξ − x1 |3
|ξ − x2 |3
che è l’equazione newtoniana del moto in un riferimento non inerziale: accanto alle
forze gravitazionali, rappresentate dal gradiente dell’energia potenziale U , figurano
i due termini inerziali rappresentativi della forza di Coriolis e della forza centripeta.
Lo studio del moto della particella secondaria nel riferimento sinodico viene
usualmente eseguito ponendo le equazioni in forma adimensionale. In vista di tale
scopo introduciamo come massa di riferimento la somma m1 + m2 delle due masse
primarie, come lunghezza la distanza R tra le particelle e come tempo il reciproco
della velocità angolare ω; conseguentemente, ad ogni massa m, ad ogni lunghezza l
e ad ogni tempo t associamo le analoghe grandezze adimensionali m∗ , l∗ , t∗ definite
dalle posizioni
m
l
m∗ =
,
l∗ = ,
t∗ = ωt.
m1 + m2
R
268
In virtù di tale scelta, le due particelle hanno masse
m∗1 =
m1
,
m1 + m2
m∗2 =
m2
.
m1 + m2
D’altra parte, si ha m∗1 + m∗2 = 1 e dunque è sufficiente specificare una delle due
masse adimensionali per determinare l’altra; in particolare, porremo
µ=
m1
,
m1 + m2
1−µ=
m2
m1 + m2
e assumeremo, convenzionalmente, che la particella p1 sia di massa non maggiore
di p2 , di modo che risulterà
1
0≤µ≤ .
2
Nel caso limite µ = 0 il problema ristretto dei tre corpi degenera nel problema a
due corpi con p3 che descrive dei moti newtoniani sotto l’attrazione della particella
p2 ; il caso limite µ = 1/2 corrisponde invece alla situazione in cui le due masse
primarie sono uguali.
Le distanze delle due particelle primarie dal baricentro sono
R1∗ =
R1
= 1 − µ,
R
R2∗ =
R2
= µ.
R
Nel riferimento sinodico la prima particella p1 è in quiete in (1 − µ, 0), p2 è in
quiete in (−µ, 0).
ξ2′
p3
r23
p2
r13
ξ1′
p1
Figura 6.11.1: il sistema dei tre corpi ristretto nel riferimento sinodico.
La funzione di Lagrange per unità di massa ha le dimensioni del quadrato
di una velocità cosicchè la sua forma adimensionale si determina dividendola per
269
R2 ω 2 . Per l’energia cinetica si ha
"
2 0 2
#
0
0
1
dξ10
T
dξ2
∗
2 02
02
0 dξ2
0 dξ1
T = 2 2= 2 2
+
+ ω (ξ1 + ξ2 ) + 2ω ξ1
− ξ2
R ω
2R ω
dt
dt
dt
dt
#
"
2
2
dξ2∗
dξ ∗
1
dξ1∗
dξ ∗
+
+ (ξ1∗ 2 + ξ2∗ 2 ) + 2 ξ1∗ ∗2 − ξ2∗ ∗1
.
=
∗
∗
2
dt
dt
dt
dt
Continuando ad indicare le derivate rispetto al tempo adimensionale t∗ con la
notazione del punto possiamo scrivere
T∗ =
1 ˙∗ 2 ˙∗ 2
1
(ξ + ξ2 ) + ξ1∗ ξ˙2∗ − ξ2∗ ξ˙1∗ + (ξ1∗ 2 + ξ2∗ 2 ).
2 1
2
Passiamo adesso alla valutazione dell’energia potenziale per unità di massa
nella sua forma adimensionale. Si ha
G
m1
m2
U
∗
+
U = 2 2 =− 2 2
R ω
R ω
r13
r23
G(m1 + m2 ) µ
1−µ
=−
+
;
∗
∗
R3 ω 2
r13
r23
ricordando le espressioni (6.3.16) e (6.3.18) di R e ω si trova
G(m1 + m2 )
=1
R3 ω 2
e quindi
U∗ = −
dove
∗
r13
=
q
µ
1−µ
− ∗ ,
∗
r13
r23
(ξ1∗ − 1 + µ)2 + ξ2∗ 2 ,
∗
r23
=
q
(ξ1∗ + µ)2 + ξ2∗ 2 .
In definitiva, la funzione di Lagrange assume la forma
L∗ =
µ
1−µ
1 ˙∗ 2 ˙∗ 2
1
(ξ + ξ2 ) + ξ1∗ ξ˙2∗ − ξ2∗ ξ˙1∗ + (ξ1∗ 2 + ξ2∗ 2 ) + ∗ + ∗ .
2 1
2
r13
r23
Una volta determinata questa espressione rinunciamo, per semplicità di notazione, all’uso degli asterischi per distinguere le variabili adimensionali da quelle
ordinarie; il problema ristretto dei tre corpi è dunque ricondotto allo studio di un
sistema lagrangiano con funzione di Lagrange
L=
1 ˙0 2 ˙0 2
1
µ
1−µ
(ξ + ξ2 ) + ξ10 ξ˙20 − ξ20 ξ˙10 + (ξ10 2 + ξ20 2 ) +
+
2 1
2
r13
r23
con r13 e r23 espressi da
q
r13 = (ξ10 − 1 + µ)2 + ξ20 2 ,
r23 =
q
(ξ10 + µ)2 + ξ20 2 .
(6.11.3)
(6.11.4)
270
Le equazioni di Lagrange che discendono dalla funzione (6.11.3) sono
(ξ 0 − 1 + µ)
(ξ 0 + µ)
− (1 − µ) 1 3
,
ξ¨10 = 2ξ˙20 + ξ10 − µ 1 3
r13
r23
ξ0
ξ0
ξ¨20 = −2ξ˙10 + ξ20 − µ 32 − (1 − µ) 32
r13
r23
(6.11.5)
e possono sintetizzarsi nell’equazione vettoriale
ξ̈ = −2e3 × ξ̇ + ξ − ∇U
(6.11.6)
nella quale ξ̇ e ξ̈ rappresentano la velocità e l’accelerazione relative della particella infinitesima nel sistema ruotante. I termini che figurano al secondo membro
rappresentano le forze gravitazionali agenti su p3 e le forze d’inerzia: la forza di
Coriolis, dipendente dalla velocità della particella, e quella centripeta, dipendente
solo dalla sua posizione.
Prima di dedicarci allo studio del sistema (6.11.5) è interessante fare alcune
considerazioni sull’espressione (6.11.3) che abbiamo determinato per la funzione
di Lagrange nel riferimento sinodico. L’energia cinetica T , in particolare, risulta
decomposta nella somma di tre termini. Il primo,
1 ˙0 2 ˙0 2
(ξ + ξ2 ),
(6.11.7)
2 1
è quadratico nelle componenti della velocità e rappresenta l’energia cinetica di p3
nel riferimento sinodico. Il termine
T2 =
T1 = ξ10 ξ˙20 − 2ξ20 ξ˙10 ,
(6.11.8)
lineare sia nelle componenti della velocità che nelle coordinate lagrangiane, è
l’energia potenziale generalizzata della forza di Coriolis. Infine, il terzo termine
1 02
(ξ + ξ20 2 )
(6.11.9)
2 1
dipende solo dalle coordinate lagrangiane e rappresenta l’energia potenziale della
forza centripeta; essa può associarsi all’energia potenziale gravitazionale, definendo
la funzione
1
V (ξ10 , ξ20 ) = − (ξ10 2 + ξ20 2 ) + U (ξ10 , ξ20 )
2
ovvero, più esplicitamente,
T0 =
1
µ
1−µ
V (ξ10 , ξ20 ) = − (ξ10 2 + ξ20 2 ) −
−
.
2
r13
r23
(6.11.10)
In virtù di tale definizione la funzione di Lagrange può scriversi
1 ˙0 2 ˙0 2
(ξ + ξ2 ) + ξ10 ξ˙20 − ξ20 ξ˙10 − V (ξ10 , ξ20 )
2 1
e l’equazione (6.11.12) assume la forma
L=
ξ̈ = −2e3 × ξ̇ − ∇V.
(6.11.11)
(6.11.12)
271
6.12
Equilibrio relativo nel riferimento sinodico
Una classe di moti particolarmente rilevante nel problema ristretto dei tre corpi
è quella che corrisponde alle configurazioni di equilibrio relativo nel riferimento
sinodico, i cosiddetti punti lagrangiani, e che vedono, nel riferimento siderale, i
tre corpi ruotare tutti con la medesima velocità angolare come fossero rigidamente
connessi. Applicando la condizione per la ricerca delle soluzioni costanti al sistema
(6.11.12), siamo condotti alla ricerca delle soluzioni dell’equazione ∇V = 0 che si
esplicita nel sistema
ξ0 + µ
ξ0 − 1 + µ
∂V
= −ξ10 + µ 1 3
+ (1 − µ) 1 3
= 0,
0
∂ξ1
r13
r23
µ
1−µ
∂V
=
− 1 ξ20 = 0.
3 + r3
∂ξ20
r13
23
(6.12.1)
• Soluzioni collineari
L’equazione (6.12.1)2 è senz’altro soddisfatta in tutti i punti dell’asse delle ascisse,
per i quali risulta ξ20 = 0; i punti lagrangiani appartenenti a tale asse sono pertanto
le soluzioni dell’equazione
f (ξ10 ) = −ξ10 + (1 − µ)
ξ10 + µ
ξ10 − 1 + µ
+
µ
=0
|ξ10 + µ|3
|ξ10 − 1 + µ|3
(6.12.2)
che si determina ponendo ξ20 = 0 nella (6.12.1)1 .
La figura 6.12.1 mostra il grafico della funzione f definita dalla (6.12.2), la
quale possiede tre zeri, denominati punti lagrangiani L1 , L2 ed L3 , le cui ascisse
`1 , `2 e `3 verificano le disuguaglianze
`3 < −µ < `1 < 1 − µ < `2 .
(6.12.3)
• Soluzioni triangolari
Per determinare eventuali altre configurazioni di equilibrio, al di fuori dell’asse ξ10 ,
occorre risolvere il sistema
−ξ10 + µ
ξ0 + µ
ξ10 − 1 + µ
+ (1 − µ) 1 3
= 0,
3
r13
r23
µ
1−µ
− 1 = 0.
3 + r3
r13
23
272
ℓ2
ℓ1
ℓ3
1−µ
−µ
Figura 6.12.1: grafico della funzione f .
Moltiplicando la seconda relazione una volta per (ξ10 + µ) e una per (ξ10 − 1 + µ) e
sottraendo i risultati dalla prima, si ottengono le due equazioni
µ
3 = µ,
r13
1−µ
=1−µ
3
r23
che comportano
r13 = r23 = 1.
I punti del piano che soddisfano queste due condizioni si determinano con una
semplice costruzione, illustrata in figura 6.12.2, che consiste nel tracciare due circonferenze entrambe di raggio unitario e centrate rispettivamente nella posizione
occupata dal primo corpo ed in quella del secondo; la prima di esse raccoglie i punti
per i quali risulta r13 = 1 e la seconda quella per cui è r23 = 1. Le intersezioni
di queste circonferenze individuano quindi due punti ulteriori lagrangiani, L4 e
L5 , la cui ascissa ` si determina come punto medio di quelli occupati dalle masse
primarie e le cui ordinate si determinano come altezza del triangolo equilatero di
lato unitario i cui vertici sono le posizioni delle masse primarie e il punto L4 . Si
ottiene cosı̀
√
3
1
` = − µ,
d=±
2
2
dove va fissato il segno + per il punto L4 e quello − per L5 .
In corrispondenza ai punti L4 e L5 i tre corpi, nello spazio inerziale, si muovono
come i vertici di un triangolo equilatero, di lato unitario, che ruota uniformemente
attorno al baricentro delle prime due masse con velocità angolare unitaria. In
273
ξ2′
L4
ξ1′
L5
Figura 6.12.2: punti lagrangiani L4 e L5 .
particolare, la terza particella descrive una circonferenza di raggio
p
p
R3 = `2 + d2 = 1 − µ + µ2 .
La figura 6.12.3 sintetizza le considerazioni sin qui svolte mostrando, per un
valore fissato di µ, le posizioni delle masse primarie e quelle dei cinque punti
lagrangiani.
6.13
L’integrale di Jacobi e le superfici di velocità relativa nulla
Le soluzioni di equilibrio sono le sole esplicitamente note del sistema (6.11.5).
Peraltro, è possibile stabilire alcune notevoli proprietà generali del moto della particella infinitesima a partire da un suo integrale primo che si stabilisce osservando
che nella funzione di Lagrange (6.11.3) non figura esplicitamente la variabile temporale e che pertanto il sistema è autonomo. Esso possiede conseguentemente
l’integrale primo di Jacobi (Teorema 5.3.1); durante il moto si conserva dunque la
funzione di Hamilton
∂L
∂L
H(ξ10 , ξ20 , ξ˙10 , ξ˙20 ) = 0 ξ˙10 + 0 ξ˙20 − L.
˙
∂ ξ1
∂ ξ˙2
(6.13.1)
Come abbiamo già osservato nella Sezione 6.11 l’energia cinetica T si decompone nella somma di tre termini T2 , T1 e T0 , definiti nelle (6.11.7), (6.11.8) e (6.11.9),
e quindi alla funzione di Lagrange può darsi la forma
L = T2 + T1 + T0 − U,
274
ξ2′
L4
L1
L3
L2
ξ1′
1−µ
−µ
L5
Figura 6.12.3: i cinque punti lagrangiani nel riferimento sinodico.
ovvero, ricordando la definizione della funzione V ,
L = T2 + T1 − V.
La dipendenza dalle componenti della velocità è contenuta solo nei termini T2
e T1 che sono entrambi omogenei in tali variabili, il primo di grado 2, il secondo di
grado 1; possiamo dunque applicare il Teorema di Eulero sulle funzioni omogenee
e scrivere
∂L ˙0
∂L
∂T2 ˙0
∂T2
∂T1
∂T1
ξ1 + 0 ξ˙20 =
ξ1 + 0 ξ˙20 + 0 ξ˙10 + 0 ξ˙20 = 2T2 + T1 ;
∂ ξ˙10
∂ ξ˙2
∂ ξ˙10
∂ ξ˙2
∂ ξ˙1
∂ ξ˙2
inserendo questa relazione nell’espressione (6.13.1) della funzione di Hamilton si
ottiene
H(ξ10 , ξ20 , ξ˙10 , ξ˙20 ) = 2T2 + T1 − L = T2 + V.
In conclusione, esplicitando le espressioni di T2 e V , siamo in condizione di affermare che i moti della massa secondaria in un problema ristretto dei tre corpi
verificano la legge di conservazione
1 ˙0 2 ˙0 2
1
µ
1−µ
(ξ1 + ξ2 ) − (ξ10 2 + ξ20 2 ) −
−
= E0
2
2
r13
r23
(6.13.2)
nella quale le distanze r13 e r23 sono espresse dalle (6.11.4).
La scelta di utilizzare il simbolo E 0 per denotare il valore costante che assume
la funzione di Hamilton durante il moto scaturisce dalla considerazione che essa
275
può interpretarsi come l’energia totale per unità di massa della particella p3 nel
riferimento sinodico. Infatti la velocità relativa di p3 nel riferimento sinodico è
u = ξ˙10 e01 + ξ˙20 e02
e pertanto T2 è l’energia cinetica di p3 per unità di massa. Analogamente, V rappresenta l’energia potenziale per unità di massa, somma di quella gravitazionale,
causata dall’interazione con le due masse primarie, e di quella della forza centripeta. La circostanza che l’energia totale si mantenga costante, pur in presenza della
forza di Coriolis dipendente dalla velocità, riflette la proprietà di quest’ultima di
avere potenza nulla, essendo diretta perpendicolarmente alla velocità.
All’integrale di Jacobi è associato il metodo di riduzione di Whittaker che consente di separare il problema della determinazione dell’orbita da quello della legge
oraria. La prima si stabilisce risolvendo una singola equazione del secondo ordine;
una volta nota l’orbita, la legge oraria si determina con una quadratura. Il problema originariamente del quarto ordine si riduce in tal modo ad uno del secondo
ordine. Peraltro, l’equazione per la determinazione dell’orbita non è integrabile e pertanto non ci soffermeremo ulteriormente su questo aspetto del problema
ma, piuttosto, rivolgeremo la nostra attenzione allo studio delle caratteristiche
qualitative sul moto di p3 che si desumono dall’integrale di Jacobi.
Osserviamo, per cominciare, che la (6.13.2) può riscriversi nella forma
u2 = ξ10 2 + ξ20 2 +
2(1 − µ)
2µ
+
+ 2E 0
r13
r23
(6.13.3)
nella quale u2 = ξ˙10 2 + ξ˙20 2 è il quadrato del modulo della velocità relativa. La precedente equazione sancisce un legame fra le coordinate della particella infinitesima
e la sua velocità nel riferimento sinodico, di modo che, una volta calcolato il valore
di E 0 sulla scorta dei dati iniziali, è possibile determinare l’intensità della velocità
quando essa transita in una data posizione. D’altra parte la quantità u2 non può
risultare negativa e pertanto dalla (6.13.3) segue immediatamente la condizione
ξ10 2 + ξ20 2 +
2µ
2(1 − µ)
+
≥ −2E 0
r13
r23
che deve essere soddisfatta dalle coordinate della particella p3 durante il moto;
se sommiamo, per motivi che saranno chiari tra breve, a entrambi i membri la
costante µ(1 − µ) e definiamo la funzione
Ω(ξ10 , ξ20 ) = ξ10 2 + ξ20 2 +
2µ
2(1 − µ)
+
+ µ(1 − µ),
r13
r23
(6.13.4)
la precedente disuguaglianza si scrive
Ω(ξ10 , ξ20 ) ≥ C,
dove abbiamo posto C = µ(1 − µ) − 2E 0 .
(6.13.5)
276
Assegnati i dati iniziali relativi alla posizione e alla velocità di p3 nel riferimento
sinodico possiamo immediatamente calcolare il valore di E e dunque quello di C.
La diseguaglianza (6.13.5) definisce nel piano un luogo di punti che sono i soli
per i quali la particella p3 può effettivamente transitare in corrispondenza a quel
valore della costante C; per tale motivo ci riferiremo a tale luogo chiamandolo
la regione consentita al moto e chiameremo vietate quelle posizioni del piano che
non la soddisfano. Le proprietà qualitative del moto della particella che siamo in
grado di desumere dall’integrale di Jacobi sono dunque quelle che scaturiscono da
una analisi della forma della regione consentita al moto in funzione del parametro
C. Tale analisi si riconduce a quella dei luoghi geometrici definiti dalla famiglia di
equazioni
Ω(ξ10 , ξ20 ) = C
(6.13.6)
che rappresentano gli insiemi di livello della funzione Ω e che delimitano la regione
in cui la (6.13.5) è verificata da quella in cui, al contario, non lo è. Poiché Ω differisce da V solo per un fattore di proporzionalità, i suoi punti singolari sono quelli
dell’energia potenziale e si identificano pertanto con i cinque punti lagrangiani; al
di fuori di tali punti le equazioni (6.13.6) definiscono, al variare di C, una famiglia
di curve regolari che prendono il nme di curve di Hill o anche curve di velocità
nulla dal momento che quando la particella transita per uno dei suoi punti la sua
velocità deve necessariamente annullarsi.
Al fine di studiare alcune caratteristiche della funzione Ω che ci consentiranno
di determinare la forma delle curve di Hill, è utile determinare una sua diversa
rappresentazione; a tale proposito quadriamo le (6.11.4), ottenendo cosı̀ le due
identità
2
r13
= (ξ10 − 1 + µ)2 + ξ20 2 = ξ10 2 + (1 − µ)2 − 2(1 − µ)ξ10 + ξ20 2 ,
2
r23
= (ξ10 + µ)2 + ξ20 2 = ξ10 2 + µ2 + µξ10 + ξ20 2 ;
moltiplicando la prima di esse per µ, la seconda per 1 − µ e sommando si ha poi
2
2
µr13
+ (1 − µ)r23
= µξ10 2 + µ(1 − µ)2 − 2µ(1 − µ)ξ10 + µξ20 2
+(1 − µ)ξ10 2 + µ2 (1 − µ) + 2µ(1 − µ)ξ10 + (1 − µ)ξ20 2
= ξ10 2 + ξ20 2 + µ(1 − µ).
Introducendo l’identità cosı̀ ottenuta nella (6.13.4) si stabilisce la seguente nuova
espressione della funzione Ω:
2
2
2
0
0
2
+ (1 − µ) r23 +
.
(6.13.7)
Ω(ξ1 , ξ2 ) = µ r13 +
r13
r23
Una ulteriore espressione di Ω si determina osservando che
2
2
2
= r13
+ 2r13 + 1 +
− 2r13 − 4
(r13 − 1)2 1 +
r13
r13
2
2
= r13
+
− 3,
r13
277
e similmente
2
2
2
(r23 − 1)2 1 +
= r23
+
− 3.
r23
r23
Moltiplicando la prima identità per µ, la seconda per 1 − µ e inserendo le relazioni
che cosı̀ si determinano nella (6.13.7) si ottiene
2
2
Ω(ξ10 , ξ20 ) = 3 + µ(r13 − 1)2 1 +
+ (1 − µ)(r23 − 1)2 1 +
. (6.13.8)
r13
r23
Le figure 6.13.1 e 6.13.2 mostrano una famiglia di curve di Hill corrispondenti
al caso in cui la massa primaria più piccola sia un quarto di quella maggiore
(µ = 0.2). Allo scopo di commentarne le caratteristiche procediamo ad una analisi
delle più evidenti proprietà qualitative della funzione Ω osservando, intanto, che
la sua espressione (6.13.8) mostra come essa possieda un minimo assoluto pari a
3 che viene assunto nei punti lagrangiani L4 e L5 , nei quali si ha r13 = r23 = 1. È
pure evidente che Ω diverge nei due punti in cui p
sono posizionate le masse primarie
cosı̀ come quando la distanza dall’origine r3 = ξ10 2 + ξ20 2 tende all’infinito.
Ciò premesso, analizziamo l’equazione (6.13.6) in corrispondenza di un valore di
C sufficientemente grande; le proprietà della funzione Ω ci inducono a ritenere che
le sue soluzioni vadano ricercate in prossimità delle due masse primarie ovvero a
grandi distanze dall’origine. In particolare, quando r3 è molto grande, i contributi
dei termini inversamente proporzionali alle distanze dalle masse primarie diventano
trascurabili e l’equazione (6.13.6) può approssimarsi con quella
ξ10 2 + ξ20 2 = C − µ(1 − µ)
che è l’equazione di una circonferenza con centro nell’origine. Analogamente, avvicinando una delle due masse primarie, mentre il termine inversamente proporzionale alla relativa distanza diverge, gli altri due termini tendono a valori ben
determinati cosicchè la (6.13.6) può approssimarsi con le equazioni
2µ
= C − µ(1 − µ) + c1 ,
r13
2(1 − µ)
= C − µ(1 − µ) + c2 ,
r23
che definiscono due nuove circonferenze centrate nelle posizioni delle masse primarie. Raccogliendo quanto osservato, la curva di Hill relativa ad un valore di C
grande possiede tre distinte componenti connesse prossime a tre circonferenze, la
prima centrata nell’origine e di grande raggio e le altre due con centro nelle due
masse primarie e raggio piccolo. Questa situazione è bene illustrata dalla prima
delle curve mostrate in figura 6.13.1, relativa al valore C = 9. Chiaramente la
disuguaglianza (6.13.5) è verificate esternamente alla curva esterna e all’interno
delle due circonferenze attorno ai corpi primari; la zona inaccessibile alla massa
secondaria è quella evidenziata in grigio nella figura. I moti risultano dunque confinati in uno dei due bacini in cui p3 risente quasi esclusivamente dell’attrazione di
una sola delle masse primarie ovvero hanno luogo a grandi distanze da entrambe
e sono determinati pressoché esclusivamente dalla forza centripeta.
278
3
3
2
2
1
1
0
0
-1
-1
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Figura 6.13.1: le curve di Hill (1).
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Figura 6.13.2: le curve di Hill (2).
280
Se la costante C cresce ulteriormente, cresce con essa il raggio della pseudo
circonferenza esterna mentre quelle interne divengono più piccole di moto che la
regione vietata alla particella invade l’intero piano. Analizziamo adesso, attraverso
una lettura delle figure disegnate, ciò che accade quando il valore della costante
C diminuisce. La seconda e la terza curva di Hill, relative ai valori C = 5 e
C = 4, illustrano due situazioni qualitativamente analoghe al caso precedente e
che vedono la regione non accessibile alla particella divenire sempre più piccola
perchè la curva esterna tende a divenire più prossima all’origine del riferimento
laddove le due curve interne si vanno allargando; al tempo stesso le due curve
interne assumono una forma più ovale e si avvicinano l’un l’altra.
La quarta curva di Hill corrisponde al valore critico C = Ω(`1 , 0); le due curve
che circondano le masse primarie si toccano nel punto critico L1 . I due bacini
attorno ai corpi p1 e p2 restano in ogni caso separati poiché durante il moto la
particella p3 non può attraversare la posizione L1 .
Superato il valore critico, i due bacini interni si fondono in uno solo; la particella
p3 può quindi compiere moti nei quali risente effettivamente dell’attrazione di
entrambe le masse primarie passando dalla regione più prossima alla prima a
quella adiacente la seconda.
Via via che la costante C decresce la regione di separazione tra le zone del
piano accessibili alla particella si va assottigliando fin quando, in corrispondenza
al valore critico C = Ω(`2 , 0), esse si toccano nel punto lagrangiano L3 .
Per valori della costante inferiore la regione accessibile alla particella diventa connessa mentre quella interdetta va riducendosi. Quando raggiunge il valore
critico C = Ω(`3 , 0) due rami della curva di velocità nulla si toccano nel punto
critico L3 e poi, quando C diminuisce ulteriormente, essa si separa in due curve
simmetriche rispetto all’asse delle ascisse e che racchiudono due aree cui la particella non può accedere. Queste due regioni vanno assottigliandosi finché, infine,
quando C = 3 esse si riducono ai due punti lagrangiani L4 e L5 . Una volta che C
scende al di sotto di questo valore la disuguaglianza (6.13.5) è verificata in tutto
il piano e la particella può assumere qualsiasi posizione.