Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali Tesi di Laurea Il Teatro la Fenice: pianificazione, organizzazione e amministrazione della stagione di Carnevale Quaresima 1878/1879 Relatore Prof. Pieremilio Ferrarese Co-relatore Prof. David Bryant Laureando Giulia Mattiello Matricola 812598 Anno Accademico 2011 / 2012 INDICE Capitolo I Il sistema produttivo nel teatro d’opera italiano del 1800 1.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………………………………p.5 1.2 Il sistema produttivo: caratteri distintivi………………………………………………………………………………p.6 1.2.1 Il sistema produttivo nella prima metà dell’Ottocento……………………………………………….p.6 1.2.2 Il sistema produttivo nella seconda metà dell’Ottocento……………………………………………p.8 1.3 La proprietà e le modalità di conduzione teatrale a Venezia prima del 1800………………………..p.12 1.4 L’impresario…………………………………………………………………………………………………………………………p.16 1.4.1 Dall’impresario all’impresario-­‐editore…………………………………………………………………………p.19 1.5 La stagione…………………………………………………………………………………………………………………………..p.27 1.5.1 Il personale interno al teatro………………………………………………………………………………………p.28 1.5.2 Le direzioni teatrali……………………………………………………………………………………………………..p.33 1.5.3 L’organizzazione della stagione d’opera……………………………………………………………………..p.35 1.5.3.1 Appalto della stagione…………………………………………………………………………….p.35 1.5.3.2 Scrittura della compagnia di canto………………………………………………………….p.37 1.5.3.3 Scelta dei soggetti e delle opere in funzione della compagnia…………………p.46 1.5.3.4 Stesura del libretto e composizione della musica……………………………………p.47 1.5.4 Il sistema amministrativo di una stagione d’opera……………………………………………………..p.48 1.6 Il pubblico…………………………………………………………………………………………………………………………….p.52 Capitolo II Il sistema produttivo del Teatro la Fenice nel 1800 2.1 Soggetti e struttura gestionale………………………………………………………………………………………………….p.55 2.1.1 La Nobile Società Proprietaria……………………………………………………………………………………p.57 2.1.1.1 L’amministrazione del teatro e il regolamento sociale…………………………....p.57 2.1.1.2 I conti consuntivi della Nobile Società Proprietaria………………………………….p.60 2.1.2 L’impresario……………………………………………………………………………………………………………….p.67 2.2.2.1 L’amministrazione spettacoli……………………………………………………………………p.69 2.1.2.2 Il bilancio dell’impresario…………………………………………………………………………p.70 1 2.1.3 La Pia Istituzione d’orchestra……………………………………………………………………………….……p.72 2.1.4 La scuola di Ballo……………………………………………………………………………………………………….p.73 Capitolo III L’organizzazione della stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 3.1 Accordi preliminari……………………………………………………………………………………………………………………p.77 3.2 Appalto della stagione………………………………………………………………………………………………………………p.80 3.3 Scrittura della compagnia di canto…………………………………………………………………………………………….p.85 3.4 Scelta dei soggetti e delle musiche……………………………………………………………………………………………p.87 3.5 Predisposizioni tecniche: le ordinazioni…………………………………………………………………………………….p.88 3.6 Le prove…………………………………………………………………………………………………………………………………….p.89 3.7 Sorveglianza sul personale………………………………………………………………………………………………………..p.90 3.8 Il controllo…………………………………………………………………………………………………………………………………p.92 3.8.1 Affluenza di pubblico…………………………………………………………………………………………………p.92 3.8.3 Bilancio amministrazione spettacoli…………………………………………………………………………..p.99 3.8.4 Schema di circuito finanziario………………………………………………………………………………….p.101 Conclusioni……………………………………………………………………………………………………………………………………p.107 Bibliografia……………………………………………………………………………………………………………………………………p.113 Allegati………………………………………………………………………………………………………………………………………….p.114 2 Premessa Questo studio ha come scopo quello di descrivere il sistema produttivo del teatro d’opera dell’Ottocento, soffermandosi su quello che, ieri come oggi, ne rappresenta il cardine: la stagione d’opera. Per prima cosa, tracceremo i caratteri generali del sistema, i soggetti che ne facevano parte e le modificazioni avvenute a seguito dell’Unità d’Italia. Poi, ci soffermeremo sulla stagione e sui momenti organizzativi più complessi descrivendo regole, contratti e consuetudini teatrali. Infine, porteremo un esempio concreto di organizzazione di una stagione. La scelta è ricaduta sul Teatro la Fenice di Venezia perché uno dei teatri principali nel panorama musicale italiano del 1800 e perché nell’Archivio Storico del Teatro che è situato in Calle delle Schiavine, sono conservati e consultabili numerosi documenti dell’epoca che permettono di ricostruire quanto avveniva nel passato. È stato necessario scegliere una stagione in particolare e la decisione è ricaduta su quella di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879. Le ragioni sono due: prima di tutto perché la stagione di Carnevale-­‐ Quaresima era quella più importante per il teatro e rappresentava, per chi se lo poteva permettere, il periodo più atteso dell’anno. Dalla sera di Santo Stefano fino al martedì grasso, nobili, ufficiali di guarnigione, funzionari, avvocati, medici e studenti universitari, si riunivano a teatro e chiacchieravano, si facevano visita da un palco all’altro, mangiavano, bevevano e giocavano. Per quattro o cinque sere la settimana, il teatro diventava il centro della vita sociale. La seconda motivazione è di carattere pratico: per ricostruire il circuito finanziario della stagione è necessario avere il bilancio dell’impresario. Si tratta di un documento difficile da reperire perché, generalmente, l’impresario lo portava con sé al termine della stagione. Si è proceduto con una ricerca sistematica nei materiali contenuti nell’Archivio Storico del Teatro la Fenice fino a che non si è trovato un bilancio. Segnaliamo che nell’arco di 10 anni di amministrazione, dal 1870 al 1880, l’unico bilancio reperibile è quello dell’impresario Giuseppe Brunello che prenderemo in esame. L’analisi è stata realizzata usando quasi interamente fonti primarie reperibili presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice, tramite cui descriveremo i soggetti coinvolti nella realizzazione della stagione, in che rapporto stavano tra loro e quali obiettivi perseguivano. Ci soffermeremo sugli esiti raggiunti in termini di successo di pubblico ma anche di risultato economico-­‐finanziario, perché oltre al bilancio dell’amministrazione spettacoli, redatto dall’impresario, è stato possibile consultare la 3 corrispondenza, il contratto d’appalto, i conti a preventivo e a consuntivo del teatro e i quotidiani dell’epoca 1 . Per avere informazioni generali sui sistemi di organizzazione, legislazione e amministrazione di una stagione d’opera nell’Ottocento è stato possibile consultare due manuali dell’epoca: il libro scritto da Giovanni Valle dal titolo «Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali» (1859) e quello di Enrico Rosmini «La legislazione e la giurisprudenza dei teatri» (1872). Infine, per avere informazioni sulla critica e su come venivano accolti gli spettacoli da parte del pubblico si sono consultati i periodici musicali quali «Il Teatro Illustrato», edito da Sonzogno, e la «La Gazzetta musicale di Milano», edita da Ricordi. 1 In particolare la Gazzetta di Venezia in formato consultabile in formato digitale (jpg.). 4 I IL SISTEMA PRODUTTIVO NEL TEATRO D’OPERA ITALIANO DEL 1800 1.1 Introduzione Il teatro d’opera, oltre a rappresentare il centro della vita sociale nella città italiana, era la più importante delle forme organizzative su cui si fondavano la produzione ed il consumo della musica nell’Italia dell’Ottocento2. I suoi caratteri costitutivi, la sua storia e il suo sviluppo sono stati condizionati dal carattere «policentrico» 3 dell’Italia che, almeno fino all’Unità raggiunta nel 1861, si presenta con una molteplicità di centri e di istituzioni locali diversi per tradizione artistica, struttura politica e sistema amministrativo4. Vitale per la prosperità del sistema operistico era lo scambio di artisti, drammi e partiture fra teatri e centri diversi. Le città di importanza primaria in questo senso, e che già allora vedevano alternarsi sulle scene capolavori che sopravvivono fino ai giorni nostri, sono Venezia, Milano, Roma e Napoli. Ad un gradino più basso troviamo Firenze, Bologna, Torino e Genova. Il meridione, è separato dal resto dell’Italia perché, pur avendo teatri importanti come quelli di Palermo e Catania, non vede prime rappresentazioni di rilievo5. Nessuna città poteva vantare un primato permanente ma ciascuna visse momenti di prestigio. In questo contesto così diversificato, il sistema produttivo al quale fare riferimento era quello impresariale 6 che, formatosi nella Venezia del 1600, resistette fino alle guerre e rivoluzioni che agitarono il primo sessantennio del 1800; a metterlo in crisi sarà, dopo l’Unità, il mutamento profondo delle strutture politiche, sociali ed economiche del “paese”: la contrazione del mercato operistico è 2 F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 38. L. BIANCONI, Il teatro d’opera in Italia -­‐ geografia, caratteri, storia, Il Mulino, Bologna, 1993, p. 3. 4 Si consideri che, con il riassetto politico-­‐territoriale del congresso di Vienna del 1815, l’Italia è ancora composta da dieci Stati. Tuttavia, sotto i governi reazionari della Restaurazione, si assiste ad un considerevole incremento dell’edilizia teatrale: sono circa un centinaio le sale costruite dal 1821 al 1847. 5 F. DELLA SETA, Italia e Francia dell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 4. 6 L’iniziativa privatistica e particolaristica prevalse, nel corso dei secoli, su qualsiasi altra forma di gestione. L’impresario, rimase il “motore” dell’organizzazione teatrale dal 1600 fino al 1800 con l’appoggio dell’autorità in quel momento al potere. Inizialmente gli era garantito il contributo diretto o indiretto da parte del governo locale; nel 1700 a garantire le attività furono società di cavalieri o di nobili cittadini mentre nel 1800 ci furono i governi della Restaurazione. 3 5 nettissima appena si manifestano le ricorrenti crisi di uno stato moderno in un paese arretrato e povero, con la tendenziale diffidenza delle sinistre nei confronti di uno spettacolo elitario e dispendioso come l’opera in musica. 1.2 Il sistema produttivo: caratteri distintivi Parliamo di sistema produttivo dell’opera lirica perché il tema dell’opera come industria era in discussione nel corso del secolo, tanto che proprio Cavour giunse a definire l’opera come «una vera grande industria con ramificazioni in tutto il mondo»7. L’opera dava lavoro a chi lavorava in teatro ma anche ai dipendenti di industrie sussidiarie, stimolava il commercio, il turismo e la circolazione di moneta. Il carattere principale di questa industria era quello di essere incentrata sul ceto benestante. Nobili e aristocratici fornivano le risorse finanziarie ad un impresario perché concretamente realizzasse quello che per loro era un divertimento. In questo capitolo cercheremo di descrivere le caratteristiche del sistema produttivo impresariale, mettendone in evidenza gli attori e soffermandoci sulle modificazioni più significative avvenute dopo l’Unità d’Italia. Dopo aver tracciato brevemente il contesto storico all’interno del quale avveniva la produzione, parleremo delle modalità di conduzione del teatro, della proprietà, del ruolo dell’impresario e infine, della realizzazione della stagione d’opera. 1.2.1 Il sistema produttivo nella prima metà dell’Ottocento Il teatro d’opera era una manifestazione che esprimeva la struttura gerarchica della società italiana, nella quale predominava il ceto benestante. L’aristocrazia con le sue finanze sosteneva il lavoro dell’impresario, concedendogli l’appalto del teatro e i mezzi per far fronte non solo alle spese per l’organizzazione della stagione ma anche all’eventualità, molto frequente all’epoca, di chiudere la stagione in perdita. In quanto espressione di una società rigidamente organizzata e conservatrice (tabella 1), il teatro assumeva per molteplici aspetti un carattere gerarchico: generi teatrali, stagioni, ma anche i teatri stessi possono essere ordinati secondo questo stesso criterio8. 7 8 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 79. J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 79. 6 TABELLA 1: struttura gerarchica del sistema produttivo Carattere fondamentale del sistema: PRINCIPIO GERARCHICO A TUTTI I LIVELLI Opera seria: GENERI TEATRALI • alti costi di produzione • alto costo del biglietto • alta dotazione Opera semiseria Opera buffa Primari: TEATRI • di rappresentanza • pubblico aristocratico • opera seria Secondari: • spettacoli meno prestigiosi • pubblico meno aristocratico STAGIONI POSTI IN TEATRO Carnevale-­‐Quaresima Autunno Primavera, Estate Palchi: • secondo ordine • primo e terzo ordine • altri ordini • platea Per quanto riguarda i generi operistici, all’apice del sistema si trovava l’opera seria, seguita dall’opera semiseria e buffa che si trovano ad un gradino inferiore sia dal punto di vista dell’importanza dei temi trattati, che dal punto di vista economico. L’opera seria costava molto di più rispetto alle altre perché scene e vestiari dovevano essere appropriati all’ambientazione storica della vicenda rappresentata, i cantanti dovevano essere importanti e i cori e le comparse dovevano essere numerosi. Tutto questo poteva avere delle conseguenze sul prezzo del biglietto che aumentava sensibilmente, ma anche sulla sovvenzione fornita all’impresario che era maggiore se si trattava di opera seria. L’ordine più diffuso per quanto riguarda l’organizzazione delle stagioni, vedeva al primo posto, quello più importante, la stagione di Carnevale e Quaresima seguita da quella di Primavera e Autunno; saltuariamente, si potevano trovare anche brevi stagioni nel periodo estivo. 7 Tra i teatri si distinguevano i teatri primari, quelli di rappresentanza dove si dava l’opera seria e alla quale partecipava l’aristocrazia, e quelli secondari, dove, man mano che si scendeva lungo la scala delle stagioni, si davano spettacoli meno prestigiosi ed il pubblico diventava sempre meno aristocratico. All’interno del teatro stesso esisteva una gerarchia per quanto riguarda i posti sia nei palchi che in platea. Il secondo ordine di palchi ad esempio, era sempre il più prestigioso ed era infatti quasi esclusivamente occupato dalla nobiltà. Il primo e terzo ordine erano solitamente un po’ meno importanti perciò erano occupati da nobili assieme a banchieri e professionisti come medici, avvocati e funzionari. Mano a mano che si saliva, gli ordini sopra il terzo erano sempre meno importanti. Realizzare il loggione levando i tramezzi dall’ultimo ordine di palchi, segnò l’ingresso delle classi borghesi9 a teatro. Alla Fenice dove era forte l’influenza dei palchettisti nobili, si ritardò più che in altri teatri questa trasformazione che avvenne solo nel 1878. La presenza dell’aristocrazia era preminente non solo nei palchi, corridoi e camerini annessi ma si estendeva anche alla platea dove i dipendenti dei nobili occupavano la maggior parte dei posti, mentre la prima e talvolta la seconda fila erano riservate ai militari. Queste consuetudini vennero progressivamente abolite dopo la dominazione francese (inizio ‘800). Anche i prezzi per l’ingresso a teatro erano differenziati a seconda di chi vi accedeva. Fino al 1830 i nobili pagavano di più dei cittadini e gli uomini più delle donne. Superate queste distinzioni, permasero invece quelle tra borghesi e militari. Questi ultimi avevano generalmente uno sconto sul biglietto e potevano entrare a teatro con un prezzo di favore. 1.2.2 Il sistema produttivo nella seconda metà dell’Ottocento I moti rivoluzionari del 1848-­‐1849 preceduti dalla crisi economica del 1847, contribuirono a far tracollare il vecchio ordinamento della società italiana. Troncate le stagioni, ridotte le paghe, falliti alcuni degli impresari più deboli e duramente scossi tutti gli altri: questo il bilancio per l’industria operistica che non si riprese del tutto prima del 1854. 9 L’accezione “pubblico borghese” varia a seconda dell’epoca e del teatro. In generale, si trattava di avvocati e medici non molto in vista, di funzionari, ingegneri e forse qualche commerciante relativamente agiato. Era possibile inoltre trovare studenti e “forestieri”. 8 Una volta tornata la calma, si capì che le rivoluzioni avevano scosso irrimediabilmente le vecchie gerarchie locali dalle quali erano dipesi i teatri e con esse, la vecchia ed indiscussa lealtà ai governi dei singoli stati. Questo rinnovarsi di strutture concettuali nelle classi superiori, si sovrappose ad altri mutamenti in atto già da prima del 1848, come la maggiore circolazione di notizie ed informazioni grazie allo sviluppo dell’editoria e del giornalismo (quotidiani, riviste, romanzi, ecc..) e alle associazioni scientifiche e culturali. In Piemonte prima e poi nel resto del paese, ad unità avvenuta, la vita politica divenne un ulteriore ambito di impegno civile, sia a livello nazionale che comunale. Tutto questo indebolì il sistema produttivo dell’opera lirica nel momento di sua massima espansione. Il teatro pian piano perdeva il posto centrale nella vita cittadina, con tempi e modi diversi a seconda dei luoghi. TABELLA 2: modificazioni del sistema produttivo nella seconda parte del 1800 AFFERMAZIONE CONCETTO DI REPERTORIO CESSIONE DEI TEATRI DA PARTE DEL NEO-­‐NATO REGNO D’ITALIA AI RISPETTIVI MUNICIPI NASCITA DI TEATRI DI INIZIATIVA PRIVATA Progressivo assestamento dei cartelloni Tagli delle sovvenzioni ai teatri costretti a rimanere chiusi per alcune stagioni. Esodo dei migliori artisti di canto e ballo Spettacoli a basso prezzo, accessibili a tutti CRISI DEL CARATTERE FONDAMENTALE DEL SISTEMA (PRINCIPIO GERARCHICO A TUTTI I LIVELLI) L’industria operistica andava via via perdendo la sua antica creatività: un numero d’opere sempre minore riempiva i cartelloni a fronte di un aumentato numero delle rappresentazioni. Il concetto di “opera di repertorio” era estraneo al settore dove l’opera, per definizione, era un lavoro nuovo. Dopo il 1830-­‐1840 si cominciavano a dare ovunque opere già rappresentate in altre 9 città, ma l’uso di opere di repertorio finì con l’affermarsi alla metà del secolo; con esso cominciò ad affievolirsi il ritmo di produzione di nuovi lavori. Nel 1867 urgenti motivi economici costrinsero il governo a cedere i teatri ai rispettivi municipi. Ogni singolo comune acquisiva così la facoltà di sostenere o meno il teatro di sua competenza con delle sovvenzioni. I tagli imposti dal neonato Stato ai bilanci comunali, la precedenza conferita a spese pubbliche di primaria importanza, le discussioni a sfondo politico-­‐sociale riguardanti un’istituzione che era giudicata un bene di cui pochi eletti potevano usufruire, indussero molto spesso i comuni a non concorrere all’apertura del teatro che restava così privo di una forte fonte di entrata. Oltre a questo, anche altri fattori contribuiscono a mettere in crisi il sistema produttivo che aveva caratterizzato il teatro d’opera nel primo ottocento, primo fra tutti, la politica del non intervento promossa dallo Stato in ambito teatrale: a fronte di spese per l’educazione dei cittadini nel finanziamento di scuole, università, biblioteche e in controtendenza rispetto ad altri paesi vicini come la Francia, il settore musicale fu del tutto trascurato. I provvedimenti in materia in ambito legislativo, possono considerarsi saltuari: la tutela del diritto d’autore del 1865, la tassa del 10% sugli introiti lordi degli spettacoli del 1868 e la legge sulla censura rimessa nelle mani dell’autorità prefettizia, inducono a pensare ad uno Stato indifferente agli aspetti formativi e didattici non solo dell’istituto teatrale ma più in generale al problema dell’educazione musicale del Paese. Controprova di questo è il fatto che la musica è riconosciuta come materia scolastica solo nel 1900. Viene in un primo momento trascurata dalla legge Coppino sulla scuola primaria dell’obbligo del 1877 e in seguito inserita tra le esercitazioni facoltative insieme con il lavoro, la ginnastica e il disegno, nei decreti scolastici del 1888 (Boselli) e 1894 (Baccelli). Solo nel 1962 con la riforma della scuola media ne è introdotto l’insegnamento vero e proprio. Anche in questo caso, restava delegata ai singoli municipi la facoltà di intervenire autonomamente per colmare i vuoti legislativi del Ministero della pubblica istruzione. In conseguenza della raggiunta Unità è possibile ricavare una nuova “carta topografica”10 dell’ Italia teatrale, dove ancora negli anni ’90, erano solo undici i teatri di prima categoria riservati all’opera su un totale di 1055 teatri di lirica e di prosa, censiti in 775 comuni. Questi innumerevoli teatri di provincia, offrivano spettacoli per lo più di repertorio e servivano come palestra per i giovani 10 L. BIANCONI. G. PESTELLI, Storia dell’opera italiana, vol.4, EDT, Torino, 1897, p. 171. 10 interpreti e compositori che volevano farsi strada nel settore. Indice del mutamento dei tempi e della riduzione degli spazi rispetto al passato, il fatto che i musicisti esordienti cercassero di autopromuoversi sborsando somme di denaro. Questa prassi risale al momento in cui prevale nella produzione artistica il concetto di repertorio ed i giovani non potevano più avvalersi del sostegno una volta accordato loro dagli impresari nella veste di talent scout. Fra le cause di un omogeneo assestamento stagionale dei cartelloni e del progressivo calo delle manifestazioni nelle stagioni estive ed autunnali nei teatri sovvenzionati, si possono menzionare: il mutamento delle condizioni sociali della classe piccolo borghese e dei ceti intermedi, che pian piano assumono l’egemonia a livello politico, e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, che favorirono l’esodo dei migliori interpreti del nostro paese verso altre piazze anche di livello internazionale, privando le imprese di uno dei maggiori elementi di attrattività per il pubblico. Al fianco dei teatri lirici che rappresentavano il tradizionale schema gerarchico incentrato sull’aristocrazia, tra il 1850 ed il 1860 sorgono nuovi grandi teatri interamente sostenuti dall’iniziativa privata, nati con lo scopo di dare spettacoli di qualsiasi genere, a basso prezzo. Questi investimenti rappresentavano una novità nella commercializzazione dell’opera lirica perché allargavano l’accessibilità ad un diverso tipo di pubblico ma, allo stesso tempo, proponevano modelli standardizzati e quindi un progressivo impoverimento dal punto di vista culturale. Il loro scopo primario era quello di dare l’opera di repertorio ma potevano offrire anche spettacoli equestri o acrobatici oppure, dopo 1870, l’operetta, nuovo genere ispirato al modello francese e tedesco. Proprio perché gestiti da privati, è più difficile rintracciare notizie sulla loro gestione rispetto ai vecchi teatri, gestiti dai governi. Si può ipotizzare che i prezzi dei biglietti fossero inferiori almeno della metà o dei due terzi nei settori più popolari. Il pubblico era probabilmente composto da bottegai, piccoli funzionari, impiegati, bambini e funzionari di commercio; tutte persone che non ci si poteva aspettare di trovare all’opera seria e non durante la stagione elegante. Così lo schieramento gerarchico dei teatri e delle stagioni cominciò a modificarsi. L’opera seria invase molti teatri un tempo dediti a generi minori e contemporaneamente il pubblico artigianale, bottegaio, impiegatizio, si espanse, ma in gran parte verso i settori migliori dei nuovi teatri più o meno popolari. 11 Nei vecchi teatri primari dominati dai palchettisti, il vecchio ordinamento gerarchico fu duro a morire, anche se lentamente si assistette ad un adeguamento dettato dai tagli delle sovvenzioni e le conseguenti chiusure nei tempi di crisi preferite alla scelta di mettere in scena spettacoli scadenti. 1.3 La proprietà e le modalità di conduzione teatrale a Venezia prima del 1800 A fondamento del sistema di produzione impresariale c’è la distinzione tra chi deteneva la proprietà del teatro e chi invece si occupava della sua conduzione durante la stagione. Prima di soffermarci sulla configurazione del sistema nel 1800, forniremo una panoramica della situazione nei secoli precedenti per comprendere le premesse. Nel corso del 1600 e del 1700 esistevano diverse modalità di conduzione di un teatro ed è possibile rappresentarle sinteticamente a partire dalle tre figure dei proprietari, dei conduttori e dei protettori11. SCHEMA 1: modalità di conduzione del teatro d’opera nel 1600 e 1700 1. 2. 3. Proprietari -­‐ Produzione propria degli spettacoli -­‐ Produzione affidata a terzi Conduttori -­‐ Impresario -­‐ Affittuario di un palchetto -­‐ Prestanome Protettori -­‐ Finanziatori a fondo perduto -­‐ Finanziatori ‘interessati’ Tra i proprietari si potevano annoverare sia coloro che provvedevano in proprio alla produzione degli spettacoli, sia quelli che si limitavano a riscuotere l’affitto del teatro e dei palchetti. La 11 F. MANCINI, M.T MURARO, E. POLVEDO, I teatri del Veneto, Corbo e Fiore-­‐Regione Veneto, Venezia, 1996, pp. XX-­‐XXIII. 12 motivazione che spingeva costoro ad occuparsi di affari teatrali risiedeva nell’immagine che ne derivava e per il “controllo” che, tramite questi, potevano esercitare: l’attività teatrale in quanto attività pubblica era qualificante agli occhi della città. Il profitto che si poteva trarne costituiva una motivazione marginale tenendo presente soprattutto le ingenti perdite che frequentemente ne derivano. I conduttori erano i precursori dell’impresario ottocentesco anche se il termine, che indicava chi organizzava per proprio conto una stagione teatrale rispondendone di tutto il suo patrimonio e incorrendo spesso nella bancarotta, poteva essere esteso anche ad altre figure come ad esempio, chi prendeva in affitto o subaffitto un palchetto (senza partecipare in alcun modo alla gestione) o i prestanome. Questi ultimi si potevano incontrare soprattutto nei casi di stipulazione di un affitto di un teatro o nei casi di rinnovo di un contratto oppure quando dirigevano una stagione d’opera per conto di un nobile, che rimaneva alle loro spalle senza apparire in prima persona. Nel caso in cui il conduttore, che gestiva in prima persona il teatro, fosse incorso in difficoltà economiche poteva decidere di cedere il contratto in forza del quale organizzava l’attività teatrale a terzi e questi ad altri ancora. Se il conduttore era un semplice prestanome o i nobili decidevano di anteporre il prestigio sociale della famiglia all’aspetto economico, potevano decidere di sanare il deficit di tasca propria. L’ultimo caso, quello dei protettori, è uno dei più confusi e di difficile definizione a causa della mancanza di documenti che ne definiscano in dettaglio le caratteristiche peculiari. Una distinzione che si può fare è quella tra protettori veri e propri e protettori ‘interessati’. I primi intervenivano nel finanziamento di una stagione teatrale a fondo perduto e senza alcun tornaconto personale, mentre i secondi intervenivano aspettandosi un profitto dal proprio investimento e condizionando, in qualche misura, la stagione stessa in base alla propria volontà ed aspettative. Nel tempo, si configurarono due tendenze che coabitarono per buona parte del 1700 (anche se più diffusa si rivelò in ultima analisi la prima): il protrarsi della tradizione fondata sul monopolio della produzione teatrale di impronta nobiliare e familiare e l’inizio di un mutamento innovativo, che tendeva ad imporre la figura dell’impresario come forza operatrice principale nel teatro musicale, indipendente dalla figura del proprietario del teatro. 13 Affinché la loro coesistenza si modificasse a favore della diffusione dell’impresario era necessario l’intervento, sul piano operativo, di una terza forza, quella dei palchettisti. La loro importanza crebbe nella prima metà del Settecento, quando venne meno la figura del protettore come finanziatore “occulto”. I palchettisti, nella loro duplice veste di pubblico e di proprietari, si erano assicurati il godimento perpetuo o a lunga scadenza, con il diritto di subaffitto, di uno o più palchi ed erano i soli che potevano contare su profitti sicuri e consistenti. La richiesta e l’assegnazione dei palchi non avveniva secondo regole precise. Spesso venivano prenotati in fase di progettazione del teatro o della sua rifabbrica, mentre l’acquisto vero e proprio avveniva solo successivamente. Nel 1800 il soggetto attorno al quale si regge la produzione degli spettacoli è l’impresario d’opera, che gestisce il teatro dopo aver stipulato un contratto d’appalto con coloro che ne detenevano la proprietà. Per la realizzazione della stagione, l’impresario doveva rapportarsi necessariamente con i proprietari dell’immobile che ospitava la sala teatrale. Tale proprietà poteva assumere diverse forme che andremo ad analizzare basandoci sul manuale ottocentesco, scritto da Giovanni Valle, dal titolo “Cenni teorico-­‐pratici sulle Aziende teatrali”. La prima distinzione che si può fare è tra teatri di proprietà libera o mista. Si parla di proprietà libera quando l’intero immobile che costituiva il teatro, compresi i palchi, le logge, il materiale di servizio del palcoscenico, eventuali abitazioni e negozi e stanze adiacenti alla sala teatrale, appartenevano in toto al singolo proprietario; questo era però il caso meno frequente. La proprietà era definita mista nei casi in cui il possesso dell’immobile era diviso tra i palchettisti, mediante la corresponsione di un canone, che veniva stabilito tramite il concorso stesso dei comproprietari. Questa era la tipologia che si incontrava di proprietà più di frequente. Il teatro, come qualunque altro stabile, doveva appartenere a qualche istituzione o singolo individuo. Esistevano diverse tipologie di possesso di un teatro che possono essere sinteticamente suddivise in quattro classi. 14 SCHEMA 2: tipologie di proprietà dei teatri nel 1800 Il teatro poteva essere di proprietà: 1. del Governo, dello Stato o della Corona (Teatro Regio di Napoli) 2. della provincia, di una città o di un comune Libera 3. «particolare» di famiglia o di persona (teatri romani) 4. sociale di palchettisti (Teatro la Fenice di Venezia) Mista Per quanto riguarda l’amministrazione, i teatri regi erano assoggettati a discipline e a regolamenti propri, mentre in quelli di ragione sociale veniva istituita una commissione, formata da tutti o alcuni dei palchettisti. Tale commissione si riuniva periodicamente ed era investita di diverse facoltà, che si estendevano fin quando cominciavano le competenze specifiche delle direzioni interne al teatro, che erano parte della sua struttura organizzativa. Di queste, parleremo più approfonditamente più avanti nel corso della trattazione, in riferimento al caso specifico del Teatro la Fenice. Le competenze della commissione erano molteplici e riguardavano la conduzione del teatro in ogni suo aspetto. Responsabili del generale andamento delle attività, i soci avevano il compito di: • stipulare i contratti d’appalto con gli impresari; • fissare il contributo o la dote da corrispondere alle imprese appaltanti affinché avessero i mezzi necessari per mettere in scena gli spettacoli; • approvare o rifiutare i nominativi dei virtuosi sottoposti alla sua attenzione dall’impresario; • scegliere le opere e i programmi dei balli; • sorvegliare il generale andamento degli spettacoli; • discutere e approvare bilanci preventivi e consuntivi; • fissare il canone12 che ogni palchettista doveva versare nelle casse sociali. 12 Il canone è un’imposta che i proprietari dei palchi pagavano periodicamente per l’uso del loro palco a seconda delle modalità e dei tempi stabiliti dalla Commissione stessa. La proprietà dei rispettivi palchi era liberamente alienabile o trasmissibile. 15 Queste competenze, nei casi di proprietà nominati in precedenza, ovvero quando i teatri appartenevano al governo, allo Stato o alla Corona, erano esercitate da un rappresentante governativo. Il rappresentante doveva sottostare alla disciplina ed ai regolamenti propri dell’amministrazione da cui dipendeva e, al fine della messa in scena degli spettacoli, otteneva delle somme di denaro elargite dalla proprietà a cadenza annuale, o in modo straordinario. 1.4 L’impresario L’impresario era la figura chiave per la realizzazione della stagione d’opera. «Motore» 13 della complessa organizzazione necessaria ad alimentare il circuito operistico, svolgeva il suo lavoro in viaggio tra contatti, corrispondenza e negoziazioni. L’impresario d’opera era essenzialmente un «mercante di contratti»14, un intermediario tra l’autorità dalla quale dipendeva il teatro (governo, Stato, Corona o Società di Palchettisti) e tutte le maestranze che prestavano la loro opera per la realizzazione della stagione. Sempre in viaggio tra una città e l’altra dell’Italia, svolgeva il suo lavoro per corrispondenza, negoziando da una parte con le autorità dalle quali dipendevano le proprietà dei teatri disponibili ad appaltare e, dall’altra, con cantanti, ballerini, compositori e agenti per sondare chi era disponibile e a quali condizioni. Generalmente non poteva contare su una propria compagnia o un proprio repertorio di spettacoli già pronti per essere messi in scena, ma doveva organizzare ad ogni stagione una compagnia che fosse in grado di rappresentare le opere fissate in cartellone (scelte in accordo con la proprietà) e che incontrasse il gradimento dei proprietari del teatro. Egli doveva presentare all’approvazione di questi ultimi i nominativi dei cantanti scelti e solo loro avevano la facoltà di accogliere la compagnia, di proporre nominativi differenti o di pregare l’impresario di presentarne una diversa. I contratti vertevano su molte cose: dai balli ai solisti, dalla scenografia al vestiario. Una parte delle relazioni poi le teneva con privati cittadini che lo avrebbero potuto sostenere economicamente e lo avrebbero potuto anche aiutare a organizzare la stagione: occorreva qualcuno che contribuisse a sborsare il denaro necessario alla cauzione richiesta nel contratto d’appalto, qualcun altro di influente che desse una spinta alle trattative e, ancora, qualcuno che si occupasse di assumere suonatori e 13 F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 38. J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro musicale italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, 1984, p. 3. 14 16 coristi e di fissare gli alloggi. Poteva, infine, esserci stata una corrispondenza con lo scenografo e con la sartoria teatrale del luogo, a seconda di quanto lavoro si sarebbe dovuto eseguire sulla piazza. Il successo dell’impresario si basava su sue fattori: la sua capacità organizzativa e la capacità di far fruttare i pochi capitali a sua disposizione. La sua base finanziaria si basava per la maggiore su un complesso traffico di cambiali (in scadenza, in ritardo, scontate e protestate) delle quali avrebbe difficilmente potuto garantire la solvibilità. Si trovava spesso in difficoltà, tanto che non riusciva a pagare gli artisti, gli orchestrali e gli altri lavoratori del teatro; erano frequenti i casi di fallimento. Esisteva la possibilità che un impresario si mettesse in società con un altro del luogo, magari per una sola stagione, o che avesse un proprio magazzino di vestiti teatrali da utilizzare per le opere da lui messe in scena o anche per noli ad altri impresari. Dopo il suo arrivo sulla piazza e l’arrivo della compagnia, si iniziavano la preparazione e le prove per le nuove opere. Doveva pagare la propria compagnia secondo le modalità stabilite nei contratti ed il personale del teatro (e spesso anche orchestrali e coristi), in quattro «quartali» 15. Per questo motivo, all’inizio delle prove occorreva necessariamente avere denaro liquido a disposizione. Alla fine della stagione, l’impresario doveva attendere la compilazione dei documenti di ordinaria amministrazione: inventari delle scene e degli attrezzi, conteggio delle spese e degli incassi, dei biglietti venduti e dei versamenti dei palchettisti. Era essenziale mantenere buoni contatti con le autorità locali e cominciare a pensare all’organizzazione della stagione successiva. Molti erano gli impresari che alla fine della stagione fallivano e si riducevano sul lastrico, ma la maggior parte di loro poteva sperare di essere ancora sulla piazza la stagione successiva. Molto più frequentemente, una stagione andata male lasciava come strascico una serie di liti contrattuali e di cause giudiziarie. Ma chi poteva diventare impresario? In linea di principio, poteva diventare impresario chiunque purché dotato di una buona dose di iniziativa e di quattrini. In realtà, chi intraprendeva questa professione, spesso proveniva da una famiglia già coinvolta nel mondo dell’opera. In Italia per molto tempo furono le origini e i rapporti familiari a determinare il futuro dell’individuo. Dopo che nell’Ottocento furono soppresse le corporazioni, per molto tempo perdurò l’organizzazione artigianale e familiare delle professioni cittadine. Il teatro lirico non era esente da 15 Quattro rate ognuna dello stesso importo. 17 questa conformazione: il figlio del cornista diventava facilmente cornista a sua volta e se la città disponeva di un’orchestra stabile, il padre faceva di tutto perché il figlio venisse assunto come secondo corno per poi lasciargli, andando a riposo, il posto di primo corno16. Chi aveva successo in una professione si portava dietro nella sua ascesa padre, fratelli, nipoti, alcuni come collaboratori e altri come dipendenti. Per questo motivo parecchi impresari erano figli di impresari o di altri appartenenti all’ambiente teatrale. È probabile che molti impresari fossero ex-­‐cantanti, ballerini, coreografi, scenografi o vestiaristi. Nel caso dei cantanti si può ipotizzare che avessero fatto una carriera mediocre: un cantante buono, con una piccola capacità di amministrare i suoi guadagni, difficilmente avrebbe avuto bisogno di farsi impresario. Per i ballerini, che avevano invece una carriera mediamente più breve, diventare impresario era uno dei modi per continuare a guadagnarsi da vivere nell’ambiente. I coreografi, già abituati a confrontarsi con l’organizzazione di complicati balli, cambiamenti di scena e movimenti di comparse, se si avvicinavano al mestiere, era probabile che vi riuscissero bene. Per gli stessi motivi era probabile che scenografi e vestiaristi diventassero impresari. Il proprietario di una sartoria teatrale poteva offrirsi di assumere un’impresa per far fruttare il proprio capitale ed era possibile che insistesse con i suoi interlocutori a teatro per dare un’opera adatta al vestiario che teneva pronto. Infine i musicisti potevano essere chiamati a prendere l’onere dell’impresa, ma solo per far fronte ad una situazione critica, ovvero quando un impresario era fallito a stagione avanzata, oppure per assicurare all’orchestra l’impiego per la stagione se nessun altro voleva assumersi il rischio. Diffusa era anche la figura dell’impresario proveniente dalle agenzie teatrali. L’agente teatrale si occupava di mediare tra le rappresentanze dei teatri e gli impresari nonché tra le imprese e gli artisti. Diventava impresario quando riusciva a sviluppare un sistema di contratti a lunga scadenza con degli artisti ed invece di cedere queste prestazioni a terzi, si assumeva in prima persona l’onore dell’impresa teatrale sfruttando gli artisti con cui aveva stipulato le scritture. Altre categorie d’impresari di mestiere provenivano dal ceto della categoria dei commercianti, per lo più bottegai che commerciavano spesso in generi alimentari ed articoli di lusso ma potevano essere anche gioiellieri, tipografi, droghieri, distillatori e proprietari di pescherie. 16 J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro musicale italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, 1984, p. 15. 18 Tra gli impresari più importanti del XIX secolo si deve menzionare Alessandro Lanari (1787-­‐1852) che prese in gestione per diverse stagioni il Teatro la Fenice. Le sue possibilità e sicurezze economiche derivavano da due attività collaterali al mestiere di impresario: una sartoria a Firenze ed una agenzia teatrale che gli permetteva di stipulare contratti con artisti promettenti per poi farli cantare nei teatri di cui prendeva l’appalto. Un’abile gestione delle sue attività portò il Lanari a formare circuiti per far fruttare vestiario e artisti con il minimo dei tempi morti tra una stagione e l’altra. Un campo di attività legato a quello dell’impresario era quello del gioco d’azzardo. Il teatro, in quanto centro della vita sociale, era la sala da gioco preferita delle classi abbienti. Per questo motivo esistevano grandi ridotti nei teatri italiani dell’epoca. L’atteggiamento dei governi rispetto a questa pratica era differente a seconda dei casi: alcuni la vietavano altri la permettevano. Dalla seconda metà del ‘700 la consuetudine più diffusa era quella di vietare ovunque i giochi d’azzardo e poi di appaltarli sotto forma di monopolio all’impresario del teatro più importante della città. Nel corso degli anni, questo monopolio venne più volte abolito e ripristinato (era uno dei mezzi usati per colmare le casse dell’erario). A partire dal 1814 i governi della restaurazione abolirono nuovamente il monopolio, anche Venezia. 1.4.1 Dall’impresario all’impresario-­‐editore Gli anni rivoluzionari segnarono profondamente il mondo teatrale e con esso, la figura dell’impresario. Le imprese più solide, come quella del Lanari, furono costrette a sospendere o a chiudere l’attività per alcuni periodi mentre alcune di quelle più deboli fallirono; le stagioni vennero troncate e le paghe scesero a livelli mai visti prima. La fortuna e gli affari degli impresari erano legati a quelli dei gruppi dirigenti dell’antico regime, anch’essi profondamente scossi dagli avvenimenti politici ed economici in corso. Da questo momento in poi il mestiere dell’impresario comincerà a mutare la sua connotazione e a perdere la propria centralità nel sistema operistico. Fallite le rivoluzioni, gli anni compresi tra il 1849 al ’59 furono segnati dalla repressione. Il teatro lirico ne subì l’influsso non solo attraverso la censura dei libretti o il divieto di alcune manifestazioni: la polizia interveniva prepotentemente sia durante le rappresentazioni che nel momento delle scelte artistiche, arrivando a minacciare impresari e presidenza. 19 Per il teatro la guerra era stata disastrosa: molti disordini, una forte crisi economica che precedette ed accompagnò quella politica, ma anche una crollo dal punto di vista sociale. Le rivoluzioni avevano scosso oltre ogni possibilità di riaccomodamento le vecchie gerarchie sociali e con esse la vecchia, indiscussa lealtà ai governi dei singoli stati. Questi mutamenti che colpivano la base del sistema operistico, indebolirono l’industria nel momento stesso in cui iniziava il periodo della sua massima espansione. L’opera smise di essere il centro della vita sociale per le classi agiate, svanirono a poco a poco le feste da ballo mascherate che avevano rappresentato il culmine del calendario cittadino e, lentamente, cominciò ad affievolirsi il ritmo di produzione di nuovi lavori (i teatri davano sempre più rappresentazioni ma di un numero d’opere sempre minore). La creatività che aveva caratterizzato l’industria operistica fino a quel momento andava lentamente cristallizzandosi. Il concetto di “opera di repertorio” fu introdotto verso il 1840-­‐1850, periodo in cui cominciò a diminuire il ritmo di produzione di nuovi lavori. Verso il 1855, quando l’industria operistica si era del tutto ripresa dalla crisi del ’48, l’opera di repertorio si stava rapidamente affermando e negli anni ’70 era diventata la regola. I motivi di questo andamento erano da rintracciarsi in un cambiamento generale degli interessi sociali; il pubblico che una volta era solo del teatro, ora si interessava alla politica, ai romanzi, al giornalismo e così via. Per di più, a metter un freno alla capacità creativa dei compositori, fu anche la costruzione di nuovi teatri, grandi, non sovvenzionati e che portavano l’opera ad un pubblico più ampio. Questa nuova forma permetteva si di diffondere la cultura, ma allo stesso tempo favoriva il consolidamento di un sistema fisso di programmi e formule che dovevano immediatamente avere presa sul pubblico. In altre parole, questi teatri dipendevano dall’opera di repertorio e così le permisero di affermarsi. Oltre all’opera lirica, davano spettacoli equestri o acrobatici oppure, dal 1870 in poi, l’operetta, un nuovo genere ispirato a modelli francesi e tedeschi. Poiché questi teatri scaturivano dall’iniziativa privata, le informazioni sulla loro gestione sono più complesse da reperire rispetto a quelle dei più vecchi teatri governativi. Alcuni erano sovvenzionati da altre attività imprenditoriali del fondatori mentre altri tiravano avanti con gli incassi, i prezzi di ingresso erano inferiori a quelli dei tetri primari almeno della metà. Il pubblico poteva essere composto di bottegai, piccoli funzionari, impiegati e 20 artigiani, molti dei quali con le loro famiglie. Non che questa fascia di pubblico non fosse mai esistita anzi, ma fino attorno al 1850 non ci si aspettava di trovarla a teatro. Nei vecchi teatri primari dominati dai palchettisti l’antico ordinamento gerarchico fu duro a morire: piuttosto che mettere in scena spettacoli di livello non accettabile per il decoro del teatro a causa della sospensione delle sovvenzioni, rimanevano chiusi. Nei teatri popolari come in quelli primari, l’iniziativa nel periodo 1870-­‐1890 non apparteneva più agli impresari. A lanciare i compositori e le opere che uscirono in questo periodo furono gli editori17. La tendenza sempre in aumento a dare opere di repertorio e quindi la richiesta di spartiti a nolo, unita all’affermarsi del diritto d’autore, fece del possesso di uno spartito un’attività redditizia. Alla fine del secolo l’editore aveva soppiantato l’impresario nel ruolo di motore del sistema teatrale. Decideva quali opere sarebbero andate in scena e chi le avrebbe cantate, interveniva su scenografie, costumi e su ogni aspetto dello spettacolo; assieme alle partiture, noleggiava dei libretti per la messa in scena nei quali dava disposizioni sceniche e indicava strumenti particolari. I compositori insistettero perché gli spartiti non venissero modificati senza il loro consenso: qualsiasi eventuale modifica avrebbe dovuto essere apportata dall’autore stesso. Era ormai avvenuta la rottura con la lunga tradizione operistica italiana. SCHEMA 3: cause della crisi del ruolo dell’impresario Nuovi teatri a prezzi popolari Affermazione concetto di repertorio Affermazione del diritto d’autore Domanda di spartiti in riduzione Aumento dei costi per il lavoro del compositore ed il noleggio della partitura L’iniziativa impresariale passa dagli impresari di professione agli editori 17 J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro d’opera italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, 1987, pp. 169-­‐ 172. 21 Lo sviluppo dell’editoria L’editoria musicale è un’industria che nasce e si sviluppa parallelamente all’industria operistica e la sua storia è strettamente legata a quella del giornalismo. Prima dell’espansione dell’editoria musicale, avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, la situazione in Italia era così configurata: di ogni opera esisteva un solo esemplare, l’autografo stesso del compositore, che restava in possesso dell’impresario o del teatro, quasi sempre inutilizzato dopo la rappresentazione, a volte ceduto e, a meno che non capitasse nelle mani di un collezionista, con forti probabilità di andare disperso. Le opere di maggior successo circolavano invece in copie abusive preparate da copisti di teatro che su pagamento approntavano anche estratti dei pezzi più noti, unico mezzo di studio per gli amatori. L’attività editoriale non era del tutto assente, ma era sufficiente a far circolare estratti di opere e musiche strumentali e non aveva ancora assunto il carattere vero e proprio di industria. Questa trasformazione era già avvenuta invece in Francia, Germania, Inghilterra e Olanda ed è sulla scorta di queste esperienze che presero le mosse i primi editori italiani. Fin dall’inizio del XIX secolo, l’editoria tese a consolidare il valore popolare e contemporaneo dell’opera lirica. Obiettivo degli editori era quello di diventare proprietari di manoscritti musicali attraverso: 1. l’acquisto dei fondi musicali contenuti negli archivi dei teatri; 2. l’acquisto delle partiture possedute dagli impresari; 3. il rapporto diretto con gli autori. Con l’affermarsi del concetto di repertorio e del diritto d’autore, l’intervento dell’editore diventerà determinante al fine di mediare il gusto del pubblico, indirizzandolo su una rosa ristretta di melodrammi destinati a durare nel tempo e sfruttando l’ingente patrimonio di sua proprietà. Il diritto d’autore Il compositore era uno dei prestatori d’opera che concorrevano alla realizzazione degli spettacoli; il suo lavoro unito a quello del librettista, dello scenografo e del costumista, costituiva la fase iniziale del processo creativo senza la quale non si sarebbero messe in scena opere nuove. 22 Quello che gli veniva richiesto era di saper scrivere musica adatta a valorizzare le voci che avrebbero cantato nel corso della stagione; spettava al librettista, successivamente, la drammatizzazione dell’opera. All’inizio dell’Ottocento l’opera non era concepita come un testo definito e immutabile nel tempo, ma piuttosto come evento sempre rinnovato, la cui fruibilità e ripetibilità era limitata all’arco della stagione. Il libretto e la partitura assumevano lo statuto di materiale preparatorio al vero e proprio fatto artistico, costituito dalla rappresentazione in tutti i suoi aspetti. Per questo motivo, il lavoro del musicista non era considerato come una sua proprietà inalienabile: la partitura veniva ceduta all’impresario o al teatro che l’avevano commissionata, i quali potevano usarla a loro piacimento senza dover nulla all’autore. Di conseguenza, il lavoro del compositore veniva retribuito solo nel caso di una nuova composizione o di una nuova messa in scena che richiedesse adattamenti nella partitura. Praticamente sconosciuto era il concetto di diritto d’autore che, in mancanza di accordi tra i diversi stati, sarebbe stato difficile far rispettare. Nella seconda metà dell’Ottocento, la condizione sociale dell’operista italiano passa gradatamente dallo stato di artigiano prestatore d’opera a quello di artista. Per la riuscita della stagione la scelta del compositore diviene un aspetto non meno importante di quella della compagnia di canto. Prima Bellini e successivamente Verdi e Puccini operano sempre più chiaramente in una logica da libero professionista che, sul piano economico, significa la consapevolezza di un maggior potere contrattuale. Nella seconda metà del secolo, le retribuzioni dei compositori salgono a livelli in precedenza non concepibili e la loro autonomia intellettuale si manifesta prepotentemente nella volontà di scegliere e imporre un soggetto, di intervenire nella stesura del libretto e di far valere la propria opinione sugli interpreti, anche grazie alla nascita e al consolidamento del diritto d’autore. Il diritto d’autore è quell’insieme di norme volte a garantire il riconoscimento dell’appartenenza di una creazione al suo autore, impedendo plagi e abusi dell’opera da parte di altri, e assicurando all’autore il beneficio economico relativo18. 18 Le Garzantine – Musica. L’oggetto del diritto d’autore è la sostanza intellettuale dell’opera, non il supporto materiale. La distinzione è importante perché la prima decade mentre la seconda no. Oggi, inoltre, possiamo distinguere tra proprietà morale e proprietà patrimoniale. La prima appartiene all’autore per diritto inalienabile ed è trasmissibile per eredità; la seconda riguarda i proventi economici derivanti da un’opera. È trasmissibile in via ereditaria e cedibile a terzi. 23 Il riconoscimento del diritto d’autore è dovuto in gran parte al mutamento delle strutture economiche e sociali del paese e al contempo alla conformazione di un nuovo statuto estetico del melodramma, più adeguato alla funzione dell’arte: il prodotto del compositore comincia ad essere percepito come la vera sostanza di questo genere drammatico e l’opera stessa tende a divenire sempre più una forma fissa, concepita per essere riprodotta, recepita e valutata non più nella prospettiva della stagione, ma dei decenni. Il principio di tutela delle opere d’arte e letterarie era stato introdotto nell’Italia pre-­‐unitaria con la convenzione stipulata il 26 giugno 1840 fra il governo austriaco e il Regno di Sardegna. Ad essa avevano aderito anche altri stati ma il frazionamento del paese rendeva difficoltosa l’applicazione delle norme in materia. Dopo l’Unità d’Italia, la prima disposizione legislativa presa in materia risale al 1865. Dieci anni dopo, nel 1875, seguì un nuovo emendamento che eliminando ogni distinzione tra opere stampate e inedite, assegnava lo stesso valore, tutelandole, anche a prime rappresentazioni od esecuzioni musicali. Entrambe le leggi confluiranno nel Regio decreto 19 settembre 1882, n. 1012 dal titolo «Testo unico delle leggi sui diritti spettanti agli autori delle opere dell’ingegno» che riconoscerà finalmente i «prodotti dell’intelligenza e del genio». Sempre nel 1882 nasceva a Milano un sodalizio privato19 tra scrittori, commediografi, studiosi, editori e musicisti che prese il nome di Società degli Autori. Grazie alla consulenza di giuristi, questo organismo mise in atto una efficace azione giudiziaria per reprimere le violazioni della legge. Alcuni editori gli affideranno la rappresentanza e l’esazione dei loro diritti20. Come funzionava il diritto d’autore? Il testo unico del 1882 assegnava all’autore l’esercizio esclusivo del diritto per 40 anni dalla pubblicazione o dalla prima rappresentazione dell’opera, e comunque fino alla sua morte. Decorsi i termini, ciascuno era libero di rappresentare e pubblicare l’opera per altri 40 anni, versando agli eredi il 5% del prezzo lordo dell’opera. Avendo l’autore ceduto in parte o in totale l’esercizio del diritto di proprietà all’editore21, era in definitiva, quest’ultimo ad assumersi il compito di trattare con i teatri, esigendo di supervisionare tutti gli aspetti della messa in scena. 19 Diventerà ente pubblico nel 1941 con l’acronimo SIAE. BIANCONI, PESTELLI, Il sistema produttivo, dall’Unità a oggi, in Storia dell’Opera italiana, vol.4, EDT, Torino, 1897. 21 Un compositore di successo degli anni ’70 vendeva una partitura per una cifra che oscillava dalle 20 alle 40000 lire, più una partecipazione sugli utili del 30-­‐40%. 20 24 Imparando poco per volta a valersi di nuovi strumenti contrattuali, i compositori divennero i naturali alleati degli editori: se all’inizio del secolo la norma era la cessione una volta per tutte dell’opera all’impresario o teatro che l’aveva commissionata, essi scoprirono la possibilità di cedere, per una somma minore, il solo diritto alla prima messa in scena e alla riproduzione per uso esclusivo dello stesso teatro e di vendere all’editore il diritto di riprodurre e noleggiare la partitura in tutti gli altri teatri, ricevendone una percentuale su ogni rappresentazione. Inoltre il compositore ricavava la sua parte di percentuale dalla vendita degli spartiti. La diffusione editoriale delle opere in spartito, con la possibilità di riprodurle privatamente e di farne oggetto di studio, contribuì ad affermare il senso di “autorità” del compositore e a stabilire anche nel mondo del melodramma italiano il concetto di “classicità”22. I principali editori nacquero e fiorirono a Milano, città che, anche in ragione del prestigio del Teatro alla Scala, si impose come centro-­‐guida della vita operistica italiana. La casa editrice più antica (1808) ed anche quella che deteneva il monopolio della produzione operistica più vitale era la Casa Ricordi; nella sua scuderia ebbe, tra gli altri, Verdi e Puccini. La Casa Lucca (1839) fu la più forte concorrente di Ricordi, finché non si fuse con essa nel 1888. Il suo catalogo annoverava compositori come Donizetti e Mercadante. La casa Sonzogno, che inizio la sua attività nel 1874, orientò le sue pubblicazioni su opere chiave di compositori francesi come Bizet e contribuì a lanciare e a diffondere un proprio repertorio operistico, tramite la promozione di un concorso limitato a musicisti esordienti per la composizione di un’opera lirica in un atto. Uno degli strumenti utilizzati dalle case editrici per promuovere e diffondere la cultura musicale ma anche per pubblicizzare i loro sforzi nel settore erano i giornali musicali. Nati a cavallo del secolo, i giornali musicali erano identificati con la casa editrice che li pubblicava. Due delle destate più conosciute erano «La Gazzetta Musicale di Milano» fondata nel 1842 da Ricordi e «Il Teatro Illustrato»23 edito da Sonzogno. Il primo si qualificava come un periodico informato e 22 F. DALLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993, p. 52. Vediamo com’era strutturato «Il Teatro Illustrato» e quali informazioni poteva trovarvi chi si apprestava alla lettura. Il titolo esteso del mensile è «Il Teatro Illustrato e la musica popolare – ritratti di maestri ed artisti celebri, vedute bozzetti di scene, disegni di teatri monumentali, costumi teatrali, ornamentazioni, ecc.»; l’obiettivo era quello di raccontare il teatro tramite immagini ed illustrazioni a qualsiasi lettore che volesse avere un resoconto di quanto accaduto nei teatri durante la messa in scena, ma anche nelle fasi preparatorie. Nelle prime pagine si trovava il «Notiziario», la prima rubrica con il resoconto dei fatti più importanti del mese, l’esito delle rappresentazioni ed alcuni giudizi sui cantanti. Subito dopo, la pagina «Le nostre illustrazioni», con la descrizione delle opere edite ed 23 25 culturalmente progredito e dispiegava una intensa azione di sostegno verso i musicisti. Il secondo, abbinava la riflessione musicologica alla cronaca e la critica musicale e teatrale alle esigenze della pubblicità. Uno dei protagonisti della nuova veste dell’editoria italiana fu Giovanni Ricordi (1785-­‐1853), che dopo aver lavorato a Lipsia presso Breitkopf e Härtel, la casa editrice più antica del mondo (1719), iniziò un’attività di copista e stampatore di musica a Milano. Egli seppe intuire la nuova importanza che il compositore stava assumendo nel sistema produttivo dell’opera italiana e comprendere che, in futuro, la vita teatrale si sarebbe sempre più basata sulla riproduzione di opere collaudate. Su questa intuizione pose le basi di quello che sarebbe divenuto un vero e proprio impero editoriale assieme al figlio Tito (1811-­‐1888) ed al nipote Giulio (1840-­‐1912). Il successo della sua casa editrice era dato da alcune scelte che gli garantirono una forte competitività nel settore e che sono così classificabili: 1. l’acquisto, nel 1825, dell’intero fondo di manoscritti del Teatro alla Scala del quale aveva già ottenuto l’esclusiva come copista. Il fondo conteneva un patrimonio storico di cui pochi si rendevano conto e che poteva essere sfruttato nell’ambito della riedizione e del noleggio; 2. la collaborazione con importanti compositori italiani come Rossini e Verdi; 3. il noleggio delle partiture d’orchestra per le opere da rappresentare nei teatri; 4. la vendita di riduzioni per canto e pianoforte, per pianoforte solo e per i più diversi complessi strumentali; 5. la realizzazione di riduzioni diffuse in formato economico. Nell’ultimo trentennio Ricordi fu il dominatore del mercato editoriale italiano, tanto nel settore operistico quanto in quello della musica strumentale. andate in scena, il loro riassunto e parti dei dialoghi tratte dal libretto. Al centro del mensile veniva riprodotto lo spartito ridotto per canto e pianoforte delle arie più acclamate tra quelle dell’opera andata in scena in prima rappresentazione e i bozzetti dei costumi utilizzati. Ancora, le notizie musicali provenienti da altre piazze italiane oltre a Milano (come Roma e Venezia), ma anche fuori confine (come Berlino, Monaco e Madrid). Infine, la bibliografia musicale, dove venivano recensite le ultime novità pubblicate e il bollettino teatrale che riportava l’esito delle rappresentazioni andate in scena nei teatri minori. 26 Uno dei concorrenti di rilievo di Ricordi fu la Casa Editrice Sonzogno24 che, fondata a Milano da Giovanni Sonzogno verso la fine del 1700, raggiunse una vasta notorietà con iniziative editoriali per diverse fasce di pubblico a partire dal 1818 (tra le sue produzioni, la Biblioteca economica-­‐portatile). Edoardo Sonzogno, uno dei quattro figli coinvolti nell’impresa del padre, ne rilevò l’attività e propose una editoria di carattere popolare ed estremamente economica. Impegnato nel campo giornalistico, realizzava dei giornali illustrati il cui argomento era inizialmente di carattere satirico-­‐ politico25. Appassionato di teatro ed in passato autore e attore, Edoardo si spinse culturalmente verso Parigi dove partì l’impulso ad iniziare l’attività nel settore musicale. Le sue scelte a livello competitivo si configurarono principalmente su: 1. la realizzazione di serie musicali economiche come «La musica per tutti» e di un mensile di informazione dello spettacolo titolato «Il Teatro Illustrato»; 2. la riduzione per pianoforte solo o canto e pianoforte di opere famose; 3. l’acquisizione dei diritti di alcune delle più note opere di compositori francesi; 4. l’attenzione massima nei confronti delle nuove tendenze della musica nazionale; 5. l’acquisto e il restauro di un antico teatro a Milano ribattezzato “Teatro Lirico Internazionale”. Quest’ultimo punto merita di essere approfondito perché Sonzogno, oltre a tutte le attività editoriali nelle quali era impegnato, indisse periodicamente un concorso per giovani compositori a scopo di costruire un proprio repertorio italiano. Nel 1888 a vincere il concorso sarà Pietro Mascagni con l’opera Cavalleria Rusticana. 1.5 La stagione La stagione era il principio organizzativo sul quale si reggeva la vita teatrale nell’Ottocento. Il periodo culminante per i maggiori centri era il carnevale26 con prolungamenti in primavera o in autunno, ma nel corso dell’anno si poteva assistere anche a stagioni organizzate in centri minori, di 24 M. MORINI, N. OSTALI, P. OSTALI, Casa Musicale Sonzogno-­‐Cronologie, saggi, testimonianze, Casa Musicale Sonzogno, 1994, pp. 9-­‐11. 25 Due delle testate di questo genere più famose erano il settimanale «Lo spirito del Folletto» ed il quotidiano «Il Secolo». 26 La stagione di carnevale cominciava generalmente il giorno di Santo Stefano e finiva il 31 marzo dell’anno successivo. 27 solito in concomitanza di fiere, mesi di villeggiatura o altri avvenimenti importanti per la vita del paese. Il repertorio che circolava in questo susseguirsi di spettacoli era abbastanza omogeneo, anche se la qualità della messa in scena era diversa a seconda dell’importanza della sala teatrale: i cantanti erano in continuo movimento e si esibivano ovunque, ma a fare la differenza erano le “masse” ovvero orchestra, coro, corpo di ballo e il personale di scena. Nelle cittadine di provincia, erano nella maggior parte dei casi formate da personale “precario” reclutato sul posto per la stagione, mentre i teatri più grandi potevano permettersi del personale stabile che garantiva un risultato migliore dal punto di vista qualitativo. I teatri maggiori, chiamati primari, offrivano ogni anno opere nuove e immettevano nel circuito quelle che avevano ottenuto maggior successo. Benché disponessero di personale stabile, alternarono periodi di splendore a lunghi periodi di decadenza. 1.5.1 Il personale interno al teatro La stagione d’opera coinvolgeva, nella sua realizzazione, numerose professionalità e competenze in diversi ambiti e a diversi livelli di specializzazione27. Tra le più importanti troviamo i maestri di musica che potevano essere suddivisi in compositori ed “incaricati dell’esecuzione”. I compositori venivano scritturati appositamente per comporre uno spartito nuovo. L’impresa si accordava direttamente con essi sulle modalità di pagamento e sui termini della scrittura. In essa doveva obbligatoriamente essere stabilito il periodo di tempo entro cui il compositore avrebbe dovuto ricevere il libretto (già approvato dalla direzione del teatro e dalla censura) per poi poter comporre tempestivamente la musica. Egli, nel corso del lavoro, poteva chiedere al librettista di modificare alcune parti del testo. Solitamente poi, doveva sapere le qualità dell’estensione dei virtuosi per i quali doveva scrivere e l’impresario era chiamato ad avvisarlo dei cantanti che mano a mano scritturava per poter adattare la musica e rendere migliore l’effetto della composizione. Quando le parti erano pronte, il compositore passava l’originale al copista che lo doveva trascrivere in modo che tutte le maestranze coinvolte potessero servirsene. Al compositore spettava l’obbligo di assistere alle prove per illustrare a tutti come doveva essere eseguita la musica e 27 G. VALLE, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 153-­‐175. 28 di coadiuvare al cembalo l’esecuzione fino alla terza recita. Dopo di che, che la sua composizione fosse piaciuta i meno, la sua prestazione era terminata e poteva andarsene. Era compito dell’impresario fornire al compositore tutto ciò che gli spettava e tutto il supporto possibile al fine di non ritrovarsi con la composizione incompleta o il compositore con un atteggiamento avverso prima dell’inizio delle prove. I maestri “incaricati dell’esecuzione” erano paragonabili agli altri orchestrali, anche se a loro spettava la direzione dell’orchestra nel caso in cui mancasse il compositore, fino alla prima recita, nella quale la direzione passava al primo violino. Il primo violino dell’opera e quello dei balli dirigevano l’orchestra che ad essi era sottoposta. L’orchestra, generalmente, era pagata con le spese serali (es.: illuminazione, custodi, ecc…) e con la stessa cadenza fissata per il loro pagamento. Nei teatri che restavano aperti tutto l’anno, le paghe agli orchestrali erano accordate per annata e pagate in ragione al mese o alla settimana, ma poteva esserci anche il caso di pagamento in ragione di recita. Gli orchestrali erano obbligati a frequentare tutte le prove necessarie e le prime parti erano obbligate, in aggiunta, ad intervenire ad una piccola prova (o concertino) durante la quale venivano insegnate loro le modalità di esecuzione dello spartito che in seguito, a loro volta, avrebbero dovuto trasmettere alla sezione d’orchestra della quale erano responsabili. Queste prove erano considerate parte integrante dello spettacolo e i professori non avevano diritto a somme di denaro oltre la paga pattuita. Infine gli orchestrali dovevano essere pronti nella buca dell’orchestra alle ore stabilite per le prove e con un ragionevole anticipo nelle sere di spettacolo. I coristi erano generalmente persone umili (cuochi, venditori ambulanti, artigiani) che cantavano nelle ore libere e non sapevano leggere la musica. Venivano pagati anch’essi assieme alle altre spese serali e per loro valevano le disposizioni già esposte sopra per l’orchestra: dovevano sottostare al direttore, apprendere quanto veniva insegnato loro e intervenire a tutte le prove considerate necessarie sia di canto che sulla scena. I pittori avevano il compito di dipingere le scene ed erano molto importanti per la messa in scena: loro lavoro era qualificante per il teatro in termini di decoro e magnificenza. Dovevano essere in teatro prima della compagnia per prendere le direttive dell’impresa, dopo che quest’ultima aveva scelto assieme al poeta, al direttore dell’opera o al compositore dei balli, il bozzetto definitivo tra 29 quelli proposti. La scrittura del pittore poteva avvenire ad ore ma anche in base ad una somma determinata per ogni scena completa. Era consuetudine da parte dei pittori farsi assicurare un numero minimo e certo di scenari ed in proporzione al numero degli stessi, diminuire il prezzo unitario. Nei contratti era d’uso esplicitare una clausola per mantenere invariato il prezzo nel caso fossero occorse ulteriori scene. La modalità di pagamento della somma dovuta veniva concordata tra le parti, anche se era consuetudine anticipare una somma al pittore per dargli la possibilità di provvedere alle proprie necessità. Il lavoro finito doveva essere pronto in tempo utile affinché potessero essere montati i vari “macchinismi” (movimenti meccanici della scena) prima della prova generale. Il pittore era libero di lasciare la piazza solo dopo l’ultimo spettacolo. Un’altra delle parti importanti per la messa in scena di uno spettacolo era il macchinismo che consentiva al pubblico di poter apprezzare la grandiosità dello spettacolo. L’attività dei macchinisti si divideva in: 1. macchinismo ordinario di servizio del teatro: riguardava tutta l’attività di sistemazione delle scene, dei teloni, delle quinte e di tutto quanto occorresse per gli spettacoli ordinari di opere e balli, nonché la sistemazione del cordame e dei pesi per il movimento delle scene. All’interno di queste attività, entrava anche la sistemazione della sala per la festa da ballo e la sistemazione dei lampadari per l’illuminazione a giorno del teatro. L’esecuzione di questi compiti era affidata al macchinista ordinario, cioè un lavoratore stipendiato ed inserito nella tabella dei dipendenti fissi ed il compenso di queste maestranze veniva conteggiato tra le spese serali e pagato con queste; 2. macchinismo straordinario relativo allo spettacolo: in questa categoria erano comprese le attività necessarie a collocare sul palcoscenico oggetti considerati estranei ad uno spettacolo normale, come la predisposizione di nuvole, vulcani, montagne e voli di persone. Questa attività, che veniva eseguita dagli stessi macchinisti ordinari, era esclusa dagli obblighi del contratto e oggetto di una scrittura separata. Il suo pagamento avveniva in rate con una cadenza diversa dai pagamenti ordinari; 3. gli attrezzisti: si occupavano della distribuzione di tavolini, sedie, candelieri, tappeti e simili (attività ordinaria) e della predisposizione di bandiere, armi, troni (attività straordinaria). Per i pagamenti ci si comportava, come per i macchinisti, con la separazione tra spese serali e 30 scritture separate che tenevano conto della effettiva manodopera occorsa o in ragione delle giornate lavorate. Il teatro abbisognava d’illuminazione e questa attività poteva essere assunta sotto forma di appalto o in regime diretto. Nel primo caso si ricorreva ad una impresa esterna qualificata nel settore e si stabiliva nel dettaglio quali erano i luoghi che dovevano essere illuminati, il numero totale di fiamme (ad olio, a gas o candele) che occorrevano e il numero degli spettacoli. In questo modo era possibile preventivare l’importo che il teatro doveva versare all’appaltatore. Il pagamento veniva solitamente suddiviso in rate, che avevano la stessa cadenza temporale delle altre spese serali. Nel secondo caso, quello in regime diretto o in amministrazione, era lo stesso impresario che provvedeva ad illuminare il teatro tramite un suo dipendente fisso e vari inservienti. La prima soluzione era la preferita perché meno dispendiosa. Il vestiario era una delle componenti che più di ogni altra distingueva l’allestimento. Ad essa si provvedeva in solitamente in tre modi: 1. vestiario somministrato a nolo o per appalto: nell’appalto si fissava dettagliatamente il tipo di vestiario di cui l’impresario aveva bisogno, si provvedeva a stabilire il giorno in cui doveva essere pronto all’uso e consegnato in teatro. Gli eventuali adattamenti necessari, il deperimento o l’eventuale trasporto in altra piazza, erano a carico del capo sarto. Alla scadenza del contratto, il capo sarto aveva diritto di reclamare solo i danni al vestiario causati dall’incuria degli artisti; 2. vestiario per economia: il vestiario poteva essere prodotto dalla sartoria interna al teatro, anche se non si tratta del caso più diffuso; 3. vestiario di proprietà dell’impresa: alcuni impresari potevano essere proprietari anche di altre attività imprenditoriali, come una sartoria. Disponevano di magazzini e potevano all’occorrenza confezionare nuovi vestiti occorrenti agli spettacoli. Una parte curiosa del personale fisso del teatro era formata dalla cosiddetta “comparseria”. Si trattava di una particolare tipologia di comparse, che prestavano i loro servizi nelle opere e si potevano trovare quasi in ogni teatro; erano dei militari che con la loro uniforme prestavano servizio a 31 teatro. Il vantaggio di averli era che erano disciplinati, sapevano rispettare gli ordini e marciavano alla perfezione ed erano già dotati di uniforme. Il “bollettinaro” era una specie di mediatore d’affari per conto dell’impresa. Nativo del luogo o residente da molto tempo sulla piazza dove aveva sede il teatro, conosceva gli artigiani ed i negozianti del luogo e godeva della loro fiducia in caso di prestiti. Gli inservienti, il cui numero aumentava o diminuiva a seconda degli spettacoli, erano dipendenti diretti del teatro. Potevano esercitare svariate mansioni a seconda delle diposizioni del capo inserviente. Le loro paghe erano comprese nelle spese serali e con queste saldate. Tabella 3: lavoratori interni al teatro e rispettivi incarichi RUOLI MAESTRI DI MUSICA ORCHESTRA CORISTI PITTORI ADDETTI AL MACCHINISMO ADDETTI ALL’ILLUMINAZIONE VESTIARISTI MANSIONI Tra i maestri di musica troviamo i compositori delle opere che sarebbe state inserite in cartellone e gli “incaricati dell’esecuzione” ovvero i musicisti che preparavano l’orchestra nel corso delle prove nel caso di assenza del compositore Costituita in un numero variabile in relazione alle esigenze della partitura, l’orchestra eseguiva le musiche; era subordinata al compositore e direttore d’orchestra Intervenivano nella rappresentazione per interpretare le parti corali. Si esibivano anche sulla scena Sono i moderni scenografi. Avevano il compito di concordare e dipingere la scenografia dell’opera e di provvedere ad eventuali adattamenti o riparazioni Si occupavano della predisposizione del palcoscenico (quinte, fondali, teloni, cordame ecc.) e di portare in scena, durante le rappresentazioni, materiali ingombranti necessari alla rappresentazione (ad esempio pezzi mobili della scenografia). Tra gli addetti al macchinismo c’erano anche gli attrezzisti che predisponevano sulla scena oggetti più piccoli Personale, interno o esterno al teatro, che si occupava di predisporre l’illuminazione della sala durante gli spettacoli Coloro che si occupavano dei costumi di 32 scena. I fornitori potevano essere un’impresa esterna, il teatro o stesso o l’impresa Era un mediatore d’affari che contraeva crediti per conto dell’impresa da artigiani e bottegai della piazza dove aveva sede il teatro Si occupavano di qualsiasi mansione fosse loro richiesta BOLLETTINARO INSERVIENTI 1.5.2 Le direzioni teatrali Su tutte le persone e le mansioni descritte finora, spettava alle direzioni teatrali il compito di sorveglianza28. Le direzioni erano le autorità interne al teatro che avevano il compito di sorvegliare l’andamento della stagione, il mantenimento dell’ordine, l’osservanza della disciplina durante le prove e gli spettacoli. Potevano determinare straordinarie ed immediate sanzioni disciplinari, che altrimenti non avrebbero potuto essere emanate. Le direzioni iniziavano ad esercitare le loro funzioni sin dalla prima prova, tanto dell’opera che del ballo ed avevano diversi compiti schematizzabili come segue. TABELLA 4: compiti delle direzioni teatrali Orchestra SORVEGLIANZA SUGLI SPETTACOLI Vestiario Macchinisti e pittori Ogni orchestrale doveva essere pronto alle ore fissare per le prove e doveva ottemperare ai propri doveri con correttezza e sollecitudine. Gli orchestrali dovevano essere subordinati al loro direttore ed eseguissero alla lettera gli ordini inerenti alla corretta esecuzione delle partiture Gli spettacoli dovevano rispondere al criterio di decenza; spettava alla direzione essere informata sui drammi e i balli e di verificare la decenza dei costumi e la loro qualità. Dovevano oltre essere coerenti con l’epoca e al carattere dell’azione che veniva rappresentata Macchinisti e pittori dovevano svolgere il loro lavoro nei tempi; la Direzione doveva fare attenzione che fossero rispettate tutte le norme atte a tener lontano i vari pericoli d’incendio 28 G.VALLE, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 11-­‐24. 33 Tutto il materiale cartaceo che doveva essere esposto in pubblico doveva aver il visto della Direzione Dovevano attenersi al rispetto degli obblighi contrattuali e non potevano sottrarsi a quanto comandato dalla direzione La Direzione poteva: negare o permettere l’accesso agli estrai in palcoscenico verificare che l’illuminazione fosse sufficiente e completa verificare che lo spettacolo iniziasse all’ora prestabilita e senza ritardi mantenere nella quiete ed in buona armonia tutto il personale coinvolto nello spettacolo perlustrare ogni sera il teatro alla fine degli spettacoli per controllare che tutto fosse in ordine per la recita successiva Stampe ed avvisi Inservienti ATTIVITA’ DI POLIZIA SUL PALCOSCENICO Doveva essere garantita la regolarità e la puntualità delle prove, degli artisti e la subordinazione al direttore d’orchestra Prove d’orchestra e della compagnia Modalità di esecuzione delle opere e dei balli SORVEGLIANZA SUGLI ARTISTI In caso di malattia la Direzione poteva concedere delle licenze necessarie previa presentazione di attestato medico comprovante lo stato di indisposizione dell’artista Concessione delle licenze Decoro del vestiario personale degli artisti Modalità e decenza degli spettacoli 34 1.5.3 L’organizzazione della stagione d’opera Come veniva organizzata una stagione d’opera? Esistevano procedure consolidate o erano di volta in volta diverse? Com’erano formalizzati i rapporti tra la proprietà e tutte le persone che prestavano il loro servizio per tutta la durata delle rappresentazioni? Il meccanismo organizzativo che sottostava alla realizzazione della stagione è così sintetizzabile: 1) Appalto della stagione 2) Scrittura della compagnia di canto 3) Scelta dei soggetti e delle opere in funzione della compagnia 4) Stesura del libretto e composizione della musica 1.5.3.1 Appalto della stagione Il contratto d’appalto I due soggetti principali attorno ai quali ruotava l’intera stagione teatrale erano la Nobile Società Proprietaria del teatro e l’impresario che ambiva a gestirne gli spettacoli. Tra i due veniva stipulato un contratto d’appalto che conteneva tutte le informazioni e le obbligazioni delle rispettive parti per la gestione della stagione. Era un documento standard suddiviso in titoli e articoli, ma che poteva marginalmente essere modificato di volta in volta a seconda delle esigenze tra le parti. I rapporti tra proprietà e impresario erano regolamentati dalla legge e quindi entrambi erano legati al rispetto di alcune norme29. Ad esempio, l’impresario non poteva chiedere un risarcimento alla proprietà o recedere dagli obblighi del contratto nel caso in cui gli fossero sopravvenute delle contestazioni quali esigenze straordinarie da parte del pubblico o degli artisti teatrali. In qualità di responsabile dell’appalto, l’impresario si doveva accollare sì gli utili, ma anche tutti i danni provenienti dalla gestione della stagione. Era obbligo della proprietà consegnare e mantenere la sala teatrale in buono stato, in modo che potesse immediatamente essere agibile nel momento della locazione teatrale. Nei teatri primari la locazione avveniva mediante un atto regolare, nel quale veniva descritto dettagliatamente lo stato attuale del teatro e tutti le disposizioni in merito all’uso delle sale e dei materiali. La consegna dei locali avveniva in un momento espressamente convenuto tra le parti, generalmente quando doveva avere inizio l’impresa. L’impresario, nel caso in cui la data non fosse 29 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872, pp. 248-­‐256. 35 stata puntualmente stabilita, poteva rifiutarsi di stipulare il contratto perché era da principio messa in discussione la possibilità di cominciare la sua gestione. Avviate le prove, l’impresario aveva degli obblighi relativi al rispetto della sala teatrale che consistevano nel trattare l’ambiente «da buon padre di famiglia» 30 , proponendo allestimenti e spettacoli adeguati al contesto e al decoro della sala teatrale. Ovviamente, l’impresario era tenuto a riconsegnare in buono stato il teatro e tutti i suoi accessori e a rendere conto di tutte le mancanze, i guasti e le rotture nei quali fosse incorso il teatro durante la stagione. Se un impresario assumeva l’appalto in nome proprio senza far cenno dei terzi in società coi quali poteva condurre la stagione, la proprietà del teatro non era tenuta a riconoscere i terzi come appaltatori in tutti i rapporti dell’impresa. Per questo motivo, in caso l’impresario volesse farsi rappresentare da un collega, parente o amico nell’appalto, doveva essere predisposto un documento a parte, regolarmente redatto e formalmente riconosciuto. La dote, cioè la somma che la società assegnava all’impresario per l’organizzazione della stagione, poteva essere costituita in parte da una quota messa a disposizione dei palchettisti31 ed in parte da sovvenzioni. Tali sovvenzioni potevano essere pagate dagli Stati o dai Comuni, in relazione a leggi e disposizioni finanziarie in vigore o votate annualmente dalle camere o dai consigli comunali e provinciali. In questo modo, tali enti pubblici incoraggiavano lo sviluppo dei teatri ed il progresso dell’arte teatrale tramite l’assegnazione di un assegno fisso o variabile, che andava a comporre la dote per l’impresario32. Un aspetto da tenere in considerazione è la qualità e l’estensione degli obblighi che l’impresa assume nell’accordare, tramite il pagamento del biglietto, il godimento degli spettacoli dati a teatro. L’impresa contraeva delle obbligazioni verso il pubblico in diversi modi, in particolare per mezzo di: 1. abbonamenti: tramite l’abbonamento e quindi l’esborso di una somma di denaro, il privato poteva accedere ad un certo numero di rappresentazioni ad ingresso libero. I prezzi degli abbonamenti erano sempre meno elevati che la somma dei prezzi che avrebbe pagato lo spettatore al camerino (abbonamento tramite l’impresario) per assistere allo stesso numero di spettacoli; 30 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872, p. 253. La maggior parte delle volte, la dote era costituita dal canone annuo che i proprietari palchettisti versavano all’amministrazione del teatro e dagli affitti dei locali esercizi annessi al teatro medesimo (caffè e guardaroba). 32 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872, p. 161. 31 36 2. biglietti pagati: lo spettatore aveva diritto di essere ammesso alla sala di spettacolo previo pagamento del biglietto. Il biglietto rappresentava il titolo in forza del quale l’amministrazione del teatro si obbligava a lasciar entrare nella sala chi ne era portatore. I prezzi dei biglietti erano stabiliti con l’approvazione della superiore autorità; 3. biglietti di favore: erano biglietti gratuiti concessi dall’impresa a particolari categorie di spettatori (es.: giornalisti, ambasciatori, rappresentanti governativi). TABELLA 5: sintesi degli aspetti organizzativi e gestionali regolamentati nel contratto d’appalto IL CONTRATTO D’APPALTO DEFINIVA: Durata dell’appalto Locali e materiale (inventariato) a diposizione dell’impresa Responsabilità in caso di danneggiamenti Spese a carico dell’impresa Numero e tipologia degli spettacoli d’obbligo (opera e ballo) Nota degli artisti principali Numero minimo per le masse (orchestra, coro, comparse e corpo di ballo) Vestiario Dotazione Palchi disponibili per la vendita serale Prezzi biglietti di ingresso e abbonamenti Esercizio del caffè e del guardaroba Legale rappresentante dell’impresario 1.5.3.2 Scrittura degli artisti La scrittura La “scrittura” era il contratto in relazione al quale gli artisti di canto, di ballo e i professori d’orchestra si obbligavano a prestare al loro opera durante la stagione teatrale33. Prima del 1800 non esistevano regole e forme universalmente valide per fronteggiare i frequenti problemi che si creavano attorno ai contratti e finché le scritture non furono codificate, il campo era aperto a consuetudini e usi comunemente riconosciuti dei quali, alle volte, l’impresario si approfittava a danno degli artisti. 33 G. VALLE, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 24-­‐45. 37 A partire dal 1800 si cominciarono ad avere i primi moduli a stampa, che comunque dovevano essere rimaneggiati ogni volta che una causa giudiziaria tra artisti ed impresari ne richiedeva l’adeguamento. Una delle fonti dalle quali attingere per avere informazioni su questi documenti erano i manuali pratici che, oltre ad occuparsi di contratti e modalità di pagamento, si curavano di altri aspetti della vita teatrale come il vestiario degli artisti, le cause fortuite di interruzione dell’attività teatrale e così via. Questi manuali erano dedicati ad impresari ed artisti e si proponevano come aiuto per dipanarsi in corso d’opera, tra usi e consuetudini, diritti e doveri. Con la sottoscrizione di una scrittura teatrale nascevano tra le parti una serie di obblighi e diritti reciproci. Per quanto riguarda l’artista, esso doveva rimanere a diposizione dell’impresa con la quale si era impegnato per tutto il periodo che andava dall’arrivo sulla piazza del teatro fino alla scadenza del contratto. Era obbligato non solo con l’impresario, che era la parte firmataria della scrittura, ma anche con la proprietà del teatro, che poteva costringerlo al rispetto degli obblighi contrattuali, e con il pubblico. Se si fosse dimostrato inadempiente, l’impresa avrebbe potuto impugnare la scrittura di fronte all’autorità locale di competenza per darne esecuzione e, in casi estremi, avrebbe potuto fare uso della forza pubblica. Viceversa, se fosse stato l’impresario a non rispettare i suoi obblighi, l’artista non avrebbe avuto la possibilità né di allontanarsi dalla piazza, né di rifiutarsi di prestare la propria opera negli spettacoli34. Formalmente il contratto doveva riportare una serie di dati per essere considerato valido. TABELLA 6: contenuti della scrittura DATA NOME DELL’IMPRESARIO Considerato che la stesura e la sottoscrizione del contratto avvenivano in città separate ed in momenti diversi, l’indicazione della data era un elemento fondamentale. Spesso l’impresario o i soci, nel caso di impresa sociale, non firmavano la scrittura di persona ma la facevano sottoscrivere ad un terzo. Questa persona poteva essere di fiducia o estranea all’interesse dell’impresa. Nel primo caso, i virtuosi che 34 Questo sempre a causa del suo obbligo verso il pubblico. 38 QUALITA’ E CARATTERE DEL VIRTUOSO DURATA PRESCRIZIONE DELLE DISTANZE EMOLUMENTI ED EPOCHE DEI PAGAMENTI35 BASSO VESTIARIO CASI FORTUITI DICHIARAZIONE DI ESECUTIVITA’ aveva con l’impresa un obbligo potevano rivolgersi direttamente alla persona rappresentata mentre, nel secondo, solamente al rappresentate. Dovevano essere esplicitate le esatte mansioni per le quali l’artista era stato scritturato. Si tratta dell’indicazione dell’epoca di inizio e fine della validità del contratto. Generalmente, l’inizio coincideva con il giorno di arrivo nella piazza del teatro; l’artista non aveva la possibilità di allontanarsi dalla città, salvo particolari dispense. La data che indicava il termine del contratto era caratterizzata dal fatto che riportava a fianco la parola circa, che significava che l’artista aveva l’obbligo di stare a disposizione dell’impresa per altre tre recite eventuali. L’artista non poteva esibirsi in privato o in pubblico, sia nella città sede del teatro sia in altra, fino alla distanza massima di 60 miglia per le prime parti e 30 miglia per le seconde. Doveva essere indicata la somma della paga e degli “accessori”36 eventualmente accordati, il momento dei pagamenti (che poteva avvenire in quartali o in rate) e se venivano concesse “beneficiate”, ovvero la possibilità concessa all’artista di esibirsi in una o più serate e trattenere l’intero ricavato serale o solo metà degli introiti (l’altra metà a beneficio dell’impresa). Esisteva la possibilità che l’impresa fornisse agli artisti vestiario per uso personale. Erano indicate tutte le situazioni a causa delle quali gli spettacoli in cartellone non sarebbero potuti andare in scena. In questi casi, l’impresa sarebbe stata autorizzata a non effettuare il pagamento dei compensi stabiliti senza dare seguito a controversie legali. Resta stabilito in quali luoghi la scrittura aveva carattere di validità. 35 Dei pagamenti e delle loro modalità si parlerà approfonditamente a p. 41. Vedi p. 40. 36 39 Modalità di pagamento dei virtuosi Tra gli elementi sopra riportati, un’attenzione particolare meritano le modalità di pagamento delle paghe e degli accessori alle stesse che potevano eventualmente essere accordati dall’impresario. In relazione al primo aspetto, si deve dire che le modalità di pagamento potevano assumere tre forme principali: a stagione, in quartali, a rate37. Il caso più semplice è quello in cui il pagamento avveniva a stagione. Si trattava, semplicemente, di un’unica soluzione versata al virtuoso al termine della stagione. Più frequentemente però, i virtuosi venivano pagati in quartali e a rate. Il termine quartali indicava la quarta parte del totale e quindi la somma complessiva veniva divisa in quattro parti di uguale ammontare. L’espressione rimaneva valida anche se i pagamenti si succedevano in 6 o più parti, in base agli usi dei vari teatri. L’uso dei quartali valeva in particolare nel caso in cui l’artista fosse stato scritturato per prestare la propria opera in un solo teatro di un'unica città. Se, ad esempio, fosse stato scritturato per più teatri della stessa città o per più città, si preferiva suddividere i pagamenti in proporzione al periodo di tempo in cui l’artista rimaneva in ciascuna piazza38. La data di liquidazione del quartali variava secondo gli usi e le consuetudini dei vari luoghi. Generalmente la cadenza temporale con la quale veniva ripartita la paga era: -­‐ primo quartale pagabile all’arrivo del virtuoso nella piazza, senza alcuna dilazione possibile; -­‐ secondo quartale pagabile dopo l’inizio dello spettacolo e non più tardi della terza recita; -­‐ terzo quartale pagabile a metà delle recite o al massimo tre giorni dopo; -­‐ quarto quartale pagabile nell’ultimo giorno dopo l’ultima recita, senza alcuna dilazione. Il pagamento poteva altrimenti avvenire a rate ed in questo caso, anche essere effettuato in parti di diversa entità a cadenza mensile. Quando un artista veniva scritturato dallo stesso impresario per più di una stagione, sia per uno stesso teatro che per una o più piazze, veniva usata questa modalità. Sebbene i pagamenti avessero cadenza mensile, la consuetudine voleva che si lasciasse il pagamento dell’ultima quota a dopo la data di scadenza della validità del contratto. 37 G. Valle, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 51-­‐83. Ad esempio, se il virtuoso fosse stato scritturato per 40 recite nella piazza I, 30 recite nella piazza II e 10 recite nella III, la somma da corrispondergli sarebbe stata ripartita verosimilmente in 10 parti pagabili: 4 nella prima piazza, 4 nella seconda e 2 nella terza. 38 40 Poteva accadere che l’impresa anticipasse ai virtuosi delle somme di denaro per le spese di viaggio o per altre necessità personali. Per far rientrare la somma spesa, l’impresa doveva defalcare l’importo da ogni rata versata al virtuoso, facendo in modo che il saldo coincidesse con l’ultima rata dovuta. Accessori alle paghe Tra gli accessori alle paghe già menzionati, si ricorda che le scritture potevano prevedere sia il pagamento delle spese di viaggio che i virtuosi dovevano sostenere per raggiungere la piazza, sia le spese per l’alloggio e quelle per il vestiario. Si trattava di benefici previsti solo per gli impresari molto solidi dal punto di vista finanziario e solo per gli artisti di primo rango. Un ulteriore accessorio alle paghe in denaro che l’impresa poteva concedere erano le cosiddette ‘beneficiate’: il teatro era a disposizione dell’artista per una o più recite e l’incasso poteva essere da lui trattenuto. La ripartizione tra lui e l’impresa era regolamentata a seconda di varie clausole: -­‐ serata intera; -­‐ serata a metà con l’impresa; -­‐ serata franca di spese; -­‐ serata col carico delle spese al Virtuoso; -­‐ serata assicurata in una determinata somma. Nel caso della serata intera, i proventi erano interamente trattenuti dall’artista, tolte le spese serali39. L’introito serale era rappresentato dalla vendita dei biglietti, degli scanni e dal prodotto dell’affitto dei posti in platea. Per quanti riguarda i palchi, gli introiti derivanti dall’affitto serale venivano devoluti all’artista se erano tutti o in parte di temporanea proprietà dell’impresa. Era inoltre possibile al pubblico fare un’offerta spontanea a favore dell’artista raccolta in un bacile posto alle porte del teatro. La serata poteva essere compresa o meno tra le recite in abbonamento ma nella maggior parte dei teatri, era esclusa. Nel caso non fosse stato così, l’impresa avrebbe dovuto compensarlo dell’importo dei biglietti degli abbonati. Gli introiti ottenuti dalla serata potevano essere divisi a metà tra l’impresa e l’artista, fermo restando la deduzione delle spese serali. L’unico problema suscitato da questo sistema era la divisione 39 Con il termine spesa serale ci si riferiva secondo consuetudine, alle spese per l’orchestra, l’illuminazione, per gli inservienti, i macchinisti, coristi e comparse, per le guardie e tutti coloro che venivano pagati in ragione della messa in scena della recita. 41 delle offerte raccolte nel bacile. La prassi era quella di lasciarle all’artista considerato che la somma raccolta trovava giustificazione solo in un gesto di benevolenza e ammirazione da parte del pubblico. L’artista era legittimato a trattenere anche i regali personali che frequentemente riceveva. La serata poteva essere anche franca di spese (all’artista non era imputata alcuna spesa serale eccetto quelle per la stampa dei manifesti, delle parti per l’orchestra e tutto quello che riguardava direttamente la sua persona) o col carico delle spese al virtuoso. Quest’ultimo caso veniva previsto nel contratto quando l’impresa forniva all’artista il personale di vanto e ballo al completo per lo spettacolo nonché il vestiario, la musica e così via, senza accollarsi ulteriori obblighi. Tutte le altre spese, tra cui quelle ordinarie e straordinarie, di affitto del teatro e la quota degli introiti dovuta per pubblica beneficenza, restavano a carico dell’artista. L’impresa rimaneva ugualmente responsabile verso i creditori per tali spese perciò se l’artista non avesse pagato l’impresa avrebbe dovuto liquidare i creditori e poi rivalersi sui quartali di paga o sul fondo prodotto dalla serata. Infine la serata poteva essere assicurata all’artista in una determinata somma predefinita nel contratto, indipendentemente dall’entità degli introiti serali. La definizione di tale somma fissa poteva avvenire secondo tre modalità: 1) la serata, franca o no di spese serali, produceva un provento netto di x lire indipendentemente dall’affluenza serale; tale somma poteva entrare i meno nelle casse del teatro. l’eventuale sovrappiù sarebbe andato comunque a favore dell’artista; 2) l’introito effettivo della serata andava a coprire prima di tutto le spese serali ordinarie. L’eccedenza andava a favore dell’artista; 3) l’eccedenza di introiti serali rispetto alla somma pattuita con l’impresario, veniva divisa con quest’ultimo o si concordava allo stesso una percentuale sul maggiore introito. Modalità di assicurazione del Cachet Molto spesso eventi imprevisti costringevano gli impresari a mettere in forse la liquidazione delle paghe dei Virtuosi. Per questo motivo i contratti prevedevano una particolare clausola in base alla quale la paga doveva essere assicurata e garantita malgrado qualsiasi imprevisto. A garanzia dell’impegno preso, gli impresari facevano inserire nei contratti d’appalto un apposito articolo in base al quale le Presidenze dei teatri si impegnavano in prima persona a garantire il 42 pagamento della somme occorrenti. Ovviamente, ne corrispondeva una proporzionale decurtazione della Dotazione che la Proprietà del teatro doveva rilasciare all’impresa per la gestione degli spettacoli. Nel caso in cui, invece, non fosse stata prevista una dote, taluni usavano vincolare presso il cassiere o agente fiduciario del teatro una certa parte degli introiti (abbonamenti, affitti attivi dei locali annessi al teatro); altri ancora usavano assicurare il pagamento delle paghe dei Virtuosi ipotecando altre poste attive loro devolute in sostituzione della dote (affitti stagionali o serali dei palchi, del loggione ed altri simili). Una ulteriore forma di assicurazione delle paghe era la firma apposta sul contratto di un soggetto fideiussore con l’unica accortezza che esso doveva essere un soggetto estraneo al teatro ovvero che non doveva occupare cariche amministrative o direzionali. Casi in cui gli artisti non potevano far fronte ai propri obblighi40 Predisposta e sottoscritta la scrittura tra l’impresario e l’artista entrambi erano obbligati a rispettarla in modo puntuale. Nel caso di trasgressioni da parte degli artisti, l’impresa aveva il diritto di impugnare il contratto di fronte all’autorità locale e competente per darne esecuzione. La sua posizione gli permetteva anche di negare i pagamenti dovuti nel caso di: -­‐ non rispetto della data di arrivo nella piazza41; -­‐ non rispetto dell’esecuzione della parte affidata: l’artista per prassi doveva apprendere la parte senza variarla minimamente, tranne particolari casi concessi dall’impresa. Da contratto, l’artista di canto doveva imparare la parte entro 15 giorni dal suo ricevimento nel caso di una Grand’Opera, 12 giorni se si trattava di opera seria, 8 nel caso di opera buffa o farsa. Era poi necessario avere pronta un’altra opera tra quelle già recitate o in repertorio per sostituirla ad una in cartellone che non avesse incontrato il gusto ed il favore del pubblico. Gli artisti di ballo era obbligati a partecipare a tutte le prove richieste e ed eseguire perfettamente quanto 40 G. VALLE, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Milano, 1859, pp. 84-­‐107. Nel contratto poteva essere indicata come data di arrivo sulla piazza: 1. un giorno preciso: l’artista doveva trovarsi nel giorno indicato alla piazza del teatro e le spese per l’eventuale ritardo erano a suo carico; 2. un giorno approssimativo: questa indicazione dava 3 giorni di tolleranza all’impresario; 3. giorni primi, medi ed ultimi del mese: nel primo caso l’artista si doveva presentare a teatro tra il 1° ed il 10° giorno del mese, nel secondo tra il 10° ed il 20° giorno e nel terno tra il 20° e l’ultimo giorno del mese. 41 43 comandato dal coreografo. Infine, il compositore doveva fornire la partitura o il programma del ballo entro un temine prefissato e doveva trovarsi a disposizione in teatro al giorno stabilito; -­‐ trasgressione delle clausole riguardanti il regime personale: ogni inconveniente che coinvolgeva la salute dell’artista impedendogli di partecipare alle prove causava un danno all’impresa. Per questo motivo l’impresario poteva consigliare al virtuoso un certo stile di vita o di non cimentarsi in qualche divertimento che avesse potuto recare danno, nel caso del cantante, alla voce. L’artista poteva essere richiamato e se non avesse prestato attenzione a questi, l’impresa avrebbe potuto protestare i danni e negargli i pagamenti42; -­‐ assenze: il virtuoso non poteva assentarsi dalla piazza senza il permesso favorevole dell’impresario e doveva trovarsi sempre pronto per le prove e gli spettacoli; -­‐ uso improprio del basso vestiario e dei costumi di scena: ogni artista, nel caso in cui avesse creato dei danni o lacerato i costumi di scena ed eventualmente il basso vestiario datogli come accessorio alla paga, avrebbe dovuto risarcire l’equivalente in denaro attraverso ritenute sui quartali di paga. Casi in cui l’impresario non poteva far fronte ai propri obblighi I casi in cui l’impresario non poteva fare i fronte ai propri obblighi erano due: i casi fortuiti per consuetudine senza diritto di indennizzo e i casi fortuiti con diritto di indennizzo. Nella categoria dei casi fortuiti per consuetudine senza diritto di indennizzo rientravano ad esempio, l’incendio, la volontà della superiore rappresentanza dello stato o del governo, il lutto per qualche membro della famiglia regnante, o il decreto di ‘Alta Superiorità’ emanato da una forza armata. Si trattava di tutti casi in cui il teatro era costretto a rimanere chiuso e gli spettacoli sospesi. I virtuosi avevano diritto ai loro emolumenti fissati per la stagione solo in ragione del tempo in cui il teatro era rimasto realmente in attività. Nella categoria dei casi fortuiti con diritto di indennizzo entravano i casi di: -­‐ cessione provvisoria del teatro: se il Governo il Municipio, o la Società di palchettisti decideva 42 Fanno parte di questa categoria tutte le attenzioni riservate alla salute fisica a partire dall’alimentazione fino a tutte le attività come la caccia, i balli e le veglie, considerate nocive al fisico di virtuosi e ballerini. Erano prescritte delle norme anche sulla moralità degli artisti delle quali «Per una giusta delicatezza si omette una estesa analisi […]. Basterà riflettere come la rilasciatezza de’ costumi influisca sullo stato fisico […]». 44 di dare uno spettacolo grandioso o pretendeva l’utilizzo del teatro per altre feste, l’impresa avrebbe avuto il diritto di essere rimborsata degli introiti mancanti; -­‐ sostituzione dei virtuosi: all’impresario spettava un compenso straordinario nel caso in cui la Presidenza del teatro avesse insistito per un rimpasto della compagni di canto o ballo. Questo perché all’inizio della stagione era obbligato a presentare la ‘nota’ della compagnia con tutti i nominativi proposti alla Presidenza per approvazione; ottenuta questa, era diventato il solo legittimo responsabile del teatro e degli artisti e solo a lui spettavano le decisioni su eventuali sostituzioni; -­‐ mancanza di cosa locata o concessa: se la Presidenza avesse concesso all’impresario, oltre alla dote e all’uso del teatro, il permesso dei giochi d’azzardo, e per qualsiasi causa fosse stata impossibilitata ad adempiere a quanto concesso, l’impresario avrebbe avuto diritto ad un proporzionato compenso a titolo risarcitorio; -­‐ malattia dei virtuosi: le malattie degli artisti potevano compromettere la loro capacità di esibirsi e con questa, il buon andamento della stagione; in altre parole, rappresentava un caso di inadempienza contrattuale. I casi che potevano verificarsi erano: § malattie esistenti e taciute all’atto della scrittura: l’impresa aveva diritto di sciogliere la scrittura e di chiedere il risarcimento dei danni (il caso più lampante è quello della gravidanza e parto); § malattie sopravvenute nel periodo di tempo che intercorreva tra la sottoscrizione della scrittura e l’arrivo alla piazza: in tal caso il Virtuoso aveva l’obbligo di avvisare immediatamente l’impresario. Se non l’avesse fatto, avrebbe dovuto risarcire i danni conseguenti; § -­‐ malattie sopraggiunte durante l’esecuzione della scrittura. ritardo nei pagamenti da parte dell’impresa: poteva accadere che l’impresario fosse incapace di pagare gli artisti nei termini stabiliti. Questi ultimi avevano il diritto di chiedere il risarcimento dei danni ma non avevano la facoltà di allontanarsi dal teatro né di rifiutarsi di andare in scena. 45 1.5.3.3 Scelta delle opere e dei soggetti in funzione della compagnia La scelta di un cantante per un nuovo allestimento di un’opera, o anche per la messa in scena di un’opera nuova, avveniva tramite un negoziato condotto di volta in volta tra lui stesso, l’impresario e i proprietari del teatro. Ogni artista potenzialmente poteva avere una scrittura per ogni stagione dell’anno e in un teatro di volta in volta diverso. La spesa per i cantanti rappresentava la voce di gran lunga più consistente dei bilanci teatrali. La retribuzione dei solisti si aggirava generalmente tra il 45-­‐55% del costo totale. I cachet dei maggiori divi raggiungevano altissime cifre anche grazie al fatto che il mercato operistico abbracciava l’intero globo terrestre 43 ; d’altronde l’impresario poteva convertire questo sacrificio economico in un investimento proficuo, assicurandosi il «tutto esaurito» a prezzi più elevati. Il cantante era anche il centro attorno al quale gravitava la produzione operistica. La “scrittura” dei cantanti da parte dell’impresario era il cardine del processo produttivo di un’opera nuova perché rappresentava la “materia prima” con cui il librettista ed il compositore dovevano lavorare nella scelta del soggetto drammatico. La configurazione del cast avveniva per passaggi obbligati così sintetizzabili: per prima cosa era necessario decidere il numero delle «prime parti», secondariamente, bisognava determinare la loro gerarchia relativa, che si manifestava nel numero di pezzi a solo o concertati che spettava a ciascuno di loro; infine, si prendevano in considerazione le specialità canore e drammatiche di ciascun cantante. Un cambiamento dell’ultima ora nella lista dei cantanti coinvolti nella rappresentazione o l’avanzamento di particolari pretese da parte di uno di essi, poteva costringere gli autori a modifiche sostanziali oppure a ripartire da zero, scegliendo un soggetto diverso. Nell’Ottocento emerge la figura, spesso ambigua, dell’agente teatrale che promuove e sfrutta le carriere dei giovani cantanti. I cantanti più acclamati puntavano e riuscivano ad imporre le loro parti preferite al punto che certe opere e certe parti diventavano dei veri e propri cavalli di battaglia di alcuni divi dell’epoca. 43 F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT. Torino,1993, p. 40. 46 1.5.3.4 Stesura del libretto e composizione della musica I compositori venivano scritturati espressamente per comporre uno spartito nuovo. La cadenza temporale del pagamento del loro compenso era fissata discrezionalmente attraverso le scritture. Ad essi, entro un giorno prefissato ed in tempo utile, doveva essere consegnato il libretto dell’opera su cui comporre la musica nonché essere esattamente messi al corrente della qualità, estensione e forza della voce dei cantanti per poter tenerne conto all’atto della stesura della partitura. Dovevano, man mano che avevano terminato una parte dello spartito, passare l’originale alla copisteria del teatro per la trascrizione e per la consegna ai virtuosi. Dovevano assistere a tutte le prove e la prima sera di spettacolo dovevano dirigere al cembalo (sebbene la direzione vera e propria fosse affidata al 1° violino). Dovevano, infine, essere presenti fino alla terza recita (sempre dirigendo dal cembalo) e non potevano alienare né regalare qualsivoglia parte della musica composta poiché l’impresa ne era l’assoluta proprietaria. In via eccezionale, però, questa poteva concedere una licenza di vendita o di affitto della partitura ad altri teatri44. Il musicista che componeva per il teatro mirava ad un successo immediato e ai conseguenti e immediati vantaggi economici che ne derivavano. Doveva scrivere opere sempre nuove e mantenere un ritmo di produzione rapido, quasi frenetico. In questo contesto si può parlare di originalità nell’ambito comunque di convenzioni formali, tipiche del genere e che potevano funzionare bene in teatro. L’opera, nella prassi, veniva scritta tutta d’un getto, senza ripensamenti di sorta, ma poteva subire modifiche e revisioni nel corso delle prove di scena, nel corso delle rappresentazioni vere e proprie e delle successive riprese. Tali revisioni venivano scritte per lo più per soddisfare le esigenze dei cantanti. Fin dagli inizi del 1800, librettisti e compositori si erano rivolti ad ogni tipo di fonte letteraria per confezionare un testo poetico e drammatico opportunamente articolato per essere funzionale alla musica. Il libretto d’opera doveva essere più breve di un dramma recitato o di un romanzo e consisteva nel selezionare e ridurre del materiale letterario originale ricomponendolo in un discorso compiuto. 44 G. VALLE, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Società tipografica de’ classici italiani, Milano 1859, Cap. X. 47 Nel 1700 questo compito spettava unicamente al librettista che era considerato l’esperto e abile arrangiatore di drammi teatrali e romanzi altrui. Nel secolo successivo, il crescente prestigio sociale dell’operista aveva prodotto un rovesciamento dei ruoli ed aveva indotto il compositore ad imporre sempre più la propria autonomia nella realizzazione del discorso drammatico45. L’interesse degli operisti era quello di ottenere il più vasto consenso del pubblico teatrale; per questo motivo il dramma musicale era concepito in funzione dell’effetto che produceva, inteso come la capacità di coinvolgere e commuovere lo spettatore. Un numero crescente di soggetti operistici sollecitava una diretta partecipazione ai casi dei personaggi, ai loro amori, i loro odi, le loro ambizioni e rimorsi. La passione d’amore costituiva una dei temi fondamentali dei libretti dell’epoca. Al lieto fine, obbligatorio fino a poco tempo prima, si sostituisce il finale tragico della vicenda, per lo più di cupa disperazione. 1.5.4 Il sistema amministrativo di una stagione d’opera I sistemi con i quali era possibile gestire e amministrare un teatro nel corso della stagione erano due: l’Amministrazione Economica, tenuta dai rappresentanti della proprietà oppure l’amministrazione degli spettacoli da parte dell’impresario. Si parla di Amministrazione Economica quando la stagione era gestita direttamente dalla Proprietà mentre se la gestione era affidata dalla Proprietà ad un impresario si parla di Amministrazione degli Spettacoli. La proprietà quindi non era necessariamente coinvolta nella sua conduzione. Anzi, nella maggior parte dei casi la proprietà affidava la gestione della stagione ad un impresario o ad un rappresentante, che aveva il compito di svolgere tutti gli aspetti organizzativi ed amministrativi ad essa correlati. 45 E. SURIAN, Manuale di storia della musica, Vol. 3, L’Ottocento: la musica strumentale e il teatro d’opera, Rugginenti, Milano, 1993, pp. 179-­‐195. 48 SCHEMA 4: il sistema amministrativo di una stagione d’opera STAGIONE Gestione PROPRIETA’ IMPRESARIO Amministrazione Economica Amministrazione Spettacoli Amministrazione economica o tutelare In linea di principio il proprietario del teatro in quanto primo responsabile del proprio capitale, avrebbe potuto gestire direttamente la stagione d’opera facendo in modo di ricavarne il massimo utile. Questa non era esclusa come possibilità e prendeva il nome di “amministrazione economica” ma era considerata il metodo più dispendioso per la realizzazione di una stagione perché all’epoca, i nobili consideravano la prodigalità come un dovere e si sentivano obbligati ad elargire grandi somme. Era possibile che la gestione venisse tenuta in maniera diretta da parte dei proprietari del teatro; si trattava del caso di «Amministrazione economica». Era un sistema temuto perché molto dispendioso ed i governi o i proprietari palchisti vi ricorrevano solo in tempi difficili come nei casi di fallimento dell’impresa, ovvero quando l’impresario abbandonava il teatro o si dichiarava impossibilitato a mantenere i suoi impegni verso la proprietà, la compagnia ed il personale del teatro. Il problema era che, per gli aristocratici e le persone altolocate dell’epoca, la generosità era quasi un dovere e allo sfarzo di alcune stagioni organizzate «in economia», corrispondevano altrettante e consistenti perdite. L’intervento della proprietà poteva essere richiesto dall’impresario in difficoltà, ma anche dai virtuosi impegnati nelle rappresentazioni e obbligati, per contratto, ad onorare la scrittura anche in 49 caso di ritardo nella retribuzione. Questi ultimi, all’ammontare del loro credito presso l’impresario, erano legittimati a segnalare l’insolvenza alle autorità del teatro. L’Amministrazione Economica o tutelare aveva dei compiti precisi. Per prima cosa doveva rilevare lo stato attivo e passivo dell’impresa: quali e quanti introiti erano stati fatti dall’impresario a tal giorno, l’ammontare delle rate della dote e gli affitti dei palchi, gli abbonamenti e i biglietti serali. Poi, si occupava delle restanze e delle passività dell’impresa, dei pagamenti al personale, delle spese serali e di quelle per la scenografia, il vestiario, gli attrezzi, gli spartiti ecc. Con questi dati, l’amministrazione calcolava l’eventuale deficit a carico dell’impresa46. Amministrazione degli spettacoli da parte dell’impresario Per questo motivo il proprietario, a meno di non trovarsi in situazioni di emergenza come casi in cui nessun impresario si prendeva la responsabilità dell’appalto, affidava la gestione del teatro per la realizzazione della stagione ad un impresario che si poneva come intermediario tra lui e le maestranze che aveva il compito di scritturare. Si trattava di una sorta di speculatore che cercando di fare i propri interessi, faceva anche quelli della proprietà. Tuttavia gestire l’appalto e ricavarne un utile era molto difficile perché il teatro non gli veniva concesso per intero e non veniva considerato come un’unica entità economica. I palchi ad esempio, distinti dal resto dell’impianto sia in senso materiale che sociale, potevano non figurare o comparire solo in parte nei proventi. Prima di proseguire nella descrizione è indispensabile fare un passo indietro per comprendere in che modo era costituito il ricavo dei teatri italiani suddiviso genericamente in: biglietti d’entrata, contributo derivato dai palchi e dotazione. Al momento dell’entrata a teatro era chiesto a tutti di pagare un biglietto di ingresso che poteva valere per una rappresentazione o poteva essere in abbonamento per l’intera stagione. Successivamente, a seconda dei teatri, si poteva pagare per entrare in platea o per avere qualcuno dei pochi posti fissi chiusi a chiave e aperti appositamente da un custode. Questo succedeva perché il teatro era il centro della vita sociale e qualcuno poteva accedervi solo per intrattenersi o fare delle visite. 46 G. VALLE, Cenni teorico pratici sulle aziende teatrali, Società tipografica de’ classici italiani, Milano, 1859, p. 134. 50 Il ricavo derivato dai pachi variava secondo il tipo di proprietà e di contratto con l’impresa. I palchisti non erano assimilabili al normale pubblico e godevano di alcune facoltà come ad esempio, di subaffittare i loro palchi ricavandone un utile e facendo così concorrenza all’impresario. Nei casi in cui vigeva la proprietà individuale dei palchi come alla Fenice, i palchisti potevano versare all’impresa un “canone” determinato collettivamente o concordato individualmente con l’impresario e poi decidere se usufruire o rinunciare all’uso del palco. Il canone sostituiva o integrava un abbonamento stagionale. Altrimenti i palchisti pagavano un semplice abbonamento e i palchi invenduti potevano essere assegnati all’impresario con la facoltà di darli in locazione serale. Il canone dato dal palchisti compariva solitamente nella “dotazione” ovvero la sovvenzione47 di cui poteva usufruire l’impresario per l’organizzazione della stagione. Questo mette in evidenza quanto la loro funzione non fosse quella di consumatori indifferenziati bensì membri di un gruppo privilegiato produttore di un servizio, con l’impresario come intermediario e alle volte, un sussidio governativo. Fungevano allo stesso tempo da consumatori, produttori e committenti. Dotazioni, sovvenzioni e privilegi non garantivano però che l’impresario riuscisse a portare a termine la stagione senza perdite. La questione rimane complessa «si ha l’impressione che quando la sovvenzione era grosso modo equivalente al provento della stagione l’impresa poteva sperare di arrivare al pareggio o anche di conseguire un utile» 48 . Purtroppo tali condizioni si ottenevano difficilmente e restavano da gestire considerevoli voci di costo. In relazione al costo relativo delle prestazioni, tra le voci di uscita più importanti si trova la paga dei solisti che si aggirava generalmente sul 45-­‐55% del costo globale49. Tra gli altri costi relativi, quello che subì un cambiamento di rilevo fu quello per il compositore: a seguito dell’affermarsi del diritto d’autore con il trattato austro-­‐sardo del 1840, si passò dalla somma unica pagata per la prima rappresentazione di un’opera ai diritti prelevati su tutte le rappresentazioni e sulle riduzioni a stampa. Il costo della musica fu comunque sempre inferiore al 10%. Altre voci rilevanti ma più difficili da cogliere erano il costo dell’orchestra e delle masse. I costi di produzione variano oltre che per il periodo preso in considerazione anche a seconda della tipologia di opera da mettere in scena perciò anche per questa categoria, non è possibile fare delle 47 Questa sovvenzione poteva essere una somma di contanti, un particolare privilegio (ad esempio quello di gestire il gioco d’azzardo), oppure il diritto di rivendere i palchi. 48 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987 p. 90. 49 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987 p. 91. 51 stime. Possiamo registrare però che vi furono alcuni cambiamenti tecnologici interessanti come l’introduzione dell’illuminazione gas che probabilmente portò ad una diminuzione delle spese rispetto all’uso che si faceva in precedenza per le candele di cera prima e l’olio d’oliva poi. 1.6 Il pubblico Fra le tante modificazione del sistema produttivo dell’opera lirica, quali la nascita e l’affermazione del concetto di repertorio, l’editoria come vero motore della produzione al posto dell’impresario, la replicabilità e la capacità di durare nel tempo come prerequisiti indispensabili di un’opera nuova, bisogna annoverare anche un altro importante cambiamento: quello della composizione sociale del pubblico. Il pubblico operistico non è rimasto sempre lo stesso nel corso del tempo. Tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, la composizione sociale è cambiata radicalmente come tutti gli attori del sistema operistico presentati finora. Per poter comprendere in che direzione è avvenuto il cambiamento del pubblico, ripercorriamo brevemente l’evoluzione storica dell’opera lirica. L’opera settecentesca era concepita per un pubblico prevalentemente aristocratico mentre quella del primo Ottocento si rivolgeva soprattutto ad un ceto di alta borghesia imprenditoriale che aspirava a far propri il tenore di vita ed il ruolo culturale che era stato dell’aristocrazia. Ma il processo storico che, attraverso tutto il secolo, fa emergere strati sempre più larghi della società e che in Italia conosce una decisa accelerazione dopo l’Unità, fa si che anche la media e piccola borghesia impiegatizia ed artigiana, prima relegata ai margini dello spettacolo operistico, divenga una componente del pubblico significativa dal punto di vista economico e determinante nel fissare i confini di quell’orizzonte di attesa del gusto di cui autori ed editori devono tener conto. Un sintomo sicuro di questo mutamento è la costruzione di nuovi teatri assai più capienti e le cui barriere sociali sono, se non eliminate, certo meno rigide. Si tratta di teatri in grado di offrire spettacoli ad un gran numero di persone a prezzi accessibili. Attraverso queste nuove possibilità di diffusione, l’opera italiana acquisisce quel carattere di popolarità che viene comunemente attribuito. La conseguenza inevitabile è un abbassamento del livello generale del gusto che porta a privilegiare nello spettacolo operistico, il momento della grandiosità spettacolare. 52 53 II IL SISTEMA PRODUTTIVO DEL TEATRO LA FENICE NEL 1800 Nel primo capitolo abbiamo visto che il cardine attorno al quale si strutturava il sistema produttivo dell’opera lirica italiana nell’Ottocento era la Stagione. Per questo motivo, abbiamo scelto di portare l’esempio di un caso concreto e di descrivere come veniva organizzata una stagione al Gran Teatro la Fenice di Venezia. Tra le diverse sale teatrali veneziane, la scelta è ricaduta sulla Fenice perché era il teatro primario della città e, in quanto tale, quello più rappresentativo per l’opera lirica. Successivamente, si è posto il problema di scegliere quale stagione prendere in considerazione. Per prima cosa, abbiamo focalizzato l’attenzione sulla seconda metà dell’Ottocento con l’obiettivo di mettere in evidenza eventuali modificazioni nel sistema produttivo indotte dal cambiamento politico, economico e culturale avvenuto con l’Unità d’Italia. Le prime ricerche si sono concentrante nell’ultimo decennio del secolo, cercando informazioni sulle gestioni del teatro da parte di editori. In particolare, ci eravamo soffermati su Edoardo Sonzogno perché egli stesso in prima persona (a differenza di Ricordi che si avvaleva di prestanome), si prendeva l’onere dell’appalto. Sonzogno fu impresario alla Fenice per le stagioni di Carnevale-­‐Quaresima del 1888-­‐1889, 1893 e 1897. Per ricostruire l’andamento della stagione è necessario reperire almeno il bilancio degli spettacoli, il documento formale che attestava a consuntivo lo stato delle entrate e delle uscite conseguenti alla messa in scena delle rappresentazioni. Dobbiamo rilevare, purtroppo, che non è stato possibile ritrovare questo documento per nessuna delle stagioni nelle quali era coinvolto l’editore milanese. A questo punto è cambiato il metodo di ricerca: abbiamo concentrato l’attenzione non più sull’impresario dal quale speravamo di trovare delle informazioni, ma semplicemente sulla presenza di queste informazioni all’interno dei documenti conservati presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice. Abbiamo concentrato gli sforzi sul decennio compreso tra il 1870 e il 1880. Non prima, perché il teatro era stato riaperto solo nel 1866 ed un momento eccezionale come quello, non poteva rappresentare la norma della gestione; né dopo, perché sapevamo dall’osservazione dei documenti che le informazioni si facevano sempre meno numerose e dettagliate. 54 Per gli anni compresi tra il 1870 ed il 1877 non è possibile trovare, all’interno dell’Archivio, alcun bilancio degli spettacoli. È stato possibile visionare il bilancio unicamente della stagione di Carnevale-­‐ Quaresima del 1878-­‐1879 e su questo ci soffermeremo nella nostra analisi. Dopo aver presentato i soggetti attorno ai quali si strutturava il sistema produttivo del Teatro la Fenice, il modo in cui al suo interno venivano amministrati i fatti economici nel corso della gestione e aver spiegato quale era la sua struttura interna, descriveremo come veniva organizzata la stagione d’opera e quali competenze e responsabilità erano messe in campo per la sua realizzazione. Ci soffermeremo, infine, sulle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione della stagione e al loro rapporto con i risultati raggiunti. 2.1 Soggetti e struttura gestionale Il Teatro la Fenice nacque alla fine del Settecento per opera di una associazione di palchettisti denominata Nobile Società, che si sarebbe occupata della gestione del teatro per tutto il secolo successivo. Tale società si era formata per condurre le attività del Teatro San Benedetto, uno dei cinque teatri50 che erano sorti nel sestiere di San Marco nel 1700. Il fondo sul quale insisteva l’edificio del San Benedetto era di proprietà della famiglia Venier che, alla fine del 1800, a seguito di una vertenza giudiziaria, lo reclamò e ne ottenne la proprietà con tutto quello che vi era costruito sopra. La società di palchettisti, privata del teatro, decise così la costruzione di un nuovo teatro più grande e importante di quello perduto. Per questo motivo, all’apice del sistema produttivo del Teatro la Fenice, troviamo la Nobile Società Proprietaria, un’associazione di palchettisti che si riuniva periodicamente e gestiva i vari aspetti della vita del teatro. La Società si affidava, per l’organizzazione della stagione, ad un impresario, il quale, con il finanziamento concordato e ottenuto dagli stessi palchettisti, si occupava della gestione della stagione d’opera. Nella prima metà dell’Ottocento, troviamo altre due istituzioni nate parallelamente alle attività del teatro con una loro struttura interna. Si tratta della Pia Istituzione d’Orchestra e della Scuola di Ballo. 50 I teatri veneziani sorti nel 1700 erano: il San Samuele, il Sant’Angelo, il San Luca, il San Giovanni Grisostomo ed, appunto, il San Benedetto. 55 Le loro attività dipendevano finanziariamente dalla Nobile Società e chi vi prendeva parte come musicista o ballerino era coinvolto nella produzione degli spettacoli per la stagione. Dopo l’Unità d’Italia del 1861, la crisi economica ebbe la meglio su queste due istituzioni: la scuola di ballo, la cui storia era stata caratterizzata da un andamento scostante, chiuse nel 1860 mentre l’orchestra nel 1878. Le menzioneremo comunque nel corso della trattazione, per evidenziare il cambiamento delle strutture interne al teatro che era in atto e che rappresenterà la cornice dell’analisi sulla stagione. Ci troviamo di fronte ad una pluralità di amministrazioni dalle quali scaturivano diversi e separati bilanci imputabili ad altrettanti soggetti: c’era la Nobile Società proprietaria con i propri conti consuntivi, l’impresario con il bilancio della sola amministrazione degli spettacoli e ad altri due rendiconti riferibili rispettivamente alla Pia Istituzione d’Orchestra e alla Scuola di Ballo. Ogni amministrazione aveva competenze differenti precisamente determinate all’interno di documenti ufficiali (regolamenti e contratti) e dava origine a risultati economici diversi, anche se il controllo era mantenuto dalla Nobile Società Proprietaria che monitorava le scelte gestionali ed interveniva nel momento della discussione ed approvazione dei vari prospetti. Nel corso della trattazione entreremo nel dettaglio delle competenze di ogni soggetto e dei relativi oggetti di amministrazione. SCHEMA 5: il sistema amministrativo del Teatro la Fenice Nobile Società Proprietaria Amministrazione Teatro Controlla Impresario Amministrazione Spettacoli Pia Istituzione d’Orchestra Amministrazione Orchestra Scuola di Ballo Amministrazione Scuola di Ballo Conto consuntivo dell’Amministrazione della Società dal 1° Novembre 18.. a tutto Ottobre 18.. Bilancio della stagione Rendiconto dell’Amministrazione dei fondi appartenenti alla Pia Istituzione d’Orchestra dal 1° Novembre 18.. a tutto Ottobre 18.. Rendiconto 56 2.1.1 La Nobile Società Proprietaria La Nobile Società Proprietaria si occupava di gestire l’intero immobile che costituiva il teatro e che comprendeva la sala teatrale ed i locali ad essa adiacenti. Le sue competenze erano indicate nel Regolamento Sociale, un documento proposto, modificato e votato dai soci riuniti in convocazione. Questo documento ha accompagnato per oltre un secolo la storia della società, di volta in volta modificato ed adattato in relazione ai cambiamenti politici, economici, culturali e sociali intervenuti nella storia di Venezia. A partire dal primo regolamento societario disponibile, datato 1836, sono state fatte numerose proposte e modifiche effettive; solamente prendendo in considerazione gli anni dal 1868 al 1893, troviamo quattro modifiche51 documentate, a testimonianza del fatto che si tratta di un documento in continua evoluzione. 2.1.1.1 L’amministrazione del teatro: Il regolamento sociale Il Regolamento Sociale era costituito da titoli che si riferivano a diversi argomenti generali, e da articoli che contenevano le disposizioni alle quali i soci dovevano sottostare. A titolo di esempio, riportiamo lo schema generale del documento redatto nel 1868, la prima modifica del regolamento effettuata dopo l’annessione di Venezia al Regno d’Italia e la riapertura del teatro del 1866. Il documento definisce in primo luogo da chi è composta la Società Proprietaria, cioè da tutti i proprietari di palchi senza distinzione di sesso, regolarmente iscritti nel registro della società (Art. 1). Elenca poi le proprietà materiali della società e dei soci, distinguendo le parti indivisibili (ad esempio il fondo sul quale insiste l’edificio, il fabbricato, i mobili ecc.) da quelle spettanti ad ogni singolo socio (il palco), specificando che la proprietà di ciascun palco costituisce una proprietà particolare e separata dal fondo sociale (Art. 2). Spiega che cosa accade nel momento in cui avviene una mutazione di proprietà per titolo ereditario o di contratto e di scioglimento di un proprietario dalla società. Nel primo caso, il successore doveva essere ritenuto idoneo da parte della società a sostenere la rappresentanza e l’amministrazione delle sue proprietà; in caso di non approvata idoneità il successore non veniva riconosciuto come socio. Nel secondo caso, veniva stabilito che ogni socio 51 Si tratta di modifiche richieste dalla Società Proprietaria e approvate con Regio decreto legge nel 1876, 1878, 1881 e 1887. 57 aveva la facoltà di sciogliersi dalla società tramite la rinuncia del palco a favore della medesima e di tutti i diritti che gli conferiva lo status di socio (Art. 4). Per quanto riguarda le riunioni dei soci, il regolamento illustra in primo luogo quali sono gli argomenti da discutere nel corso dell’assemblea dei soci riuniti in convocazione, stabilendo che la società «dispone dell’uso del teatro e fabbriche annesse, ed approva tutti i contratti d’appalto, e le modificazioni importanti che potessero occorrere»52. Stabilisce che la società doveva decidere la somma da spendere per gli spettacoli, determinare col preventivo l’ammontare delle spese dell’anno che doveva essere ripartito sui palchi ed approvare il consuntivo. In altre parole doveva mettere in atto tutte le disposizioni necessarie al buon funzionamento e alla migliore amministrazione del teatro (Art. 13). Era poi regolamentato il sistema delle votazioni e le conseguenze nel caso in cui i soci non potessero partecipare di persona alle convocazioni: ogni socio poteva farsi rappresentare da un procuratore al quale era concesso di deliberare in sua vece. Le riunioni erano di volta in volta verbalizzate ed ogni socio poteva rileggere i verbali delle precedenti convocazioni facendo richiesta alla Presidenza (Art. 14). Nel regolamento erano descritte le cariche conferite alla Presidenza della società, che aveva l’obbligo di promuovere gli interessi sociali e di prestarsi a quanto necessario per mantenere il buon ordine della società; era esplicitata la durata dell’incarico, il sistema di elezione e quanti e quali soci potevano essere eletti per tale mandato. La Presidenza era composta da tre soci che amministravano la società rispettivamente a titolo di: Presidente all’Economia, Presidente agli Spettacoli e Presidente Cassiere (Art. 43). Dovevano insieme stabilire le convocazioni, determinare gli argomenti, formare preventivo e consuntivo a carico della Società e comunicare ad ogni socio la quota di canone spettante al palco rispettivo. Inoltre dovevano firmare i contratti d’appalto degli spettacoli, scegliere le prime parti dell’orchestra, assumere e dimettere gli impiegati e così via (Art. 59). Separatamente, esercitavano ognuno le proprie particolari funzioni: il presidente all’economia (Art. 60) doveva sorvegliare e dirigere l’amministrazione economica della società, proponendo l’annuale preventivo e consuntivo, stabilendo il canone di ogni palco, procedendo contro i debitori e così via. Il Presidente 52 Teatro la Fenice, “Regolamento della Proprietà del Teatro la Fenice in Venezia, 1868”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: regolamenti e massime, A. 1.3.1 – 084. 58 agli Spettacoli (Art. 61) doveva occuparsi dei contratti per gli appaltatori, controllare l’andamento dell’orchestra nel rispetto del relativo regolamento e amministrare il fondo, sorvegliare sulla messa in scena degli spettacoli e sulla disciplina del palcoscenico. Il presidente cassiere (Art. 62) era responsabile della cassa sociale, doveva effettuare i pagamenti delle spese ordinarie e supportare nell’organizzazione pratica, il presidente all’economia nei suoi obblighi. In seguito (Art. 65), erano definiti i ruoli e le paghe spettanti agli impiegati della società (un segretario, ragioniere e archivista, un ingegnere architetto, un custode ed un sotto-­‐custode); il modo di esazione delle contribuzioni sociali con tutti gli obblighi dei soci, le scadenze e i casi di insolvenza; infine, una tabella riassumeva quanto dovuto da ogni socio per l’affitto di un palco in relazione all’ordine nel quale era situato. Il regolamento poteva essere modificato tramite l’istituzione di una commissione composta da un numero variabile di soci con il compito di valutare le modifiche necessarie e la forma più corretta per attuarle. TABELLA 7: contenuti del Regolamento Sociale TITOLO ARGOMENTO I Della Società e dei Soci (Art. 1-­‐12) II Delle Convocazioni e deliberazioni della Società (Art. 13-­‐42) III Dei Presidenti e delle loro attribuzioni (Art. 43-­‐64) CONTENUTI Chi sono i proprietari della società Mobili e immobili di proprietà della società Proprietà particolare di un palco Casi di mutazione di proprietà Scioglimento di un socio dalla società e rinuncia del palco Facoltà della società riunita in convocazione Maggioranza assoluta in prima convocazione, maggioranza relativa in seconda convocazione Procure Circolare d’invito alla convocazione Convocazioni ordinarie e straordinarie Rappresentanti istituzionali Approvazione Consuntivo e Preventivo La revisione dei conti Le votazioni Processi verbali delle convocazioni La società è rappresentata da una Presidenza composta da 3 soci Elezione dei presidenti Durata incarico Chi può diventare presidente Casi di non accettazione dell’incarico 59 IV Degli impiegati subalterni (Art. 65-­‐67) Della esazione delle contribuzioni sociali (Art. 68-­‐83) V VI Disposizioni generali (Art. 84-­‐92) Funzioni collegiali e funzioni separate Dipendenti della Presidenza e relative paghe Modalità di pagamento e scadenze Quote rimaste insolute Vendita all’asta dei palchi di soci debitori Lavori straordinari e responsabilità della Presidenza Cassa sociale Archivio degli atti sociali Amministrazione in economia 2.1.1.2 I conti consuntivi della Nobile Società Proprietaria Come abbiamo visto nella descrizione del regolamento sociale, la Nobile Società Proprietaria aveva l’obbligo di redigere per ogni anno amministrativo un preventivo ed un consuntivo. Tali documenti, consegnati ai soci e approvati nel corso delle convocazioni, erano utili ai Presidenti e a tutti i soci per verificare lo stato della gestione. Dopo aver presentato lo schema formale di conto consuntivo con le voci più ricorrenti tra le entrate e le uscite, ci soffermeremo sul suo sistema di redazione. Lo schema formale di Conto Consuntivo Dall’osservazione a campione di alcuni conti consuntivi è stato possibile ricavare uno schema formale dei documenti predisposti dalla Nobile Società Proprietaria al termine dell’anno amministrativo. Lo schema tipo di conto consuntivo si riferisce ad un arco di tempo che non coincide con la singola stagione teatrale ma comprende il periodo che va dal 1° novembre al 31 ottobre dell’anno successivo. Le entrate e le uscite sono imputabili unicamente alla Nobile Società Proprietaria del teatro che, con il contratto d’appalto, affidava la gestione delle stagioni d’opera all’impresario appaltatore. Si tratta di un bilancio finanziario a sezioni contrapposte ed il principio ragionieristico in base al quale si effettuavano le registrazioni è quello di cassa. Questo si desume dalle tre colonne riportate in entrambe le sezioni, attiva e passiva, che riportano la dicitura: somme esatte/pagate, somme da esigersi/da pagarsi, totali. Viene anche evidenziato il confronto tra le somme indicate nel Preventivo discusso ed approvato dalla Presidenza e le somme effettivamente spese o riscosse. 60 Infine, si conclude il documento con un prospetto riassuntivo riportante la differenza algebrica tra le somme esatte e quelle pagate, con l’indicazione del fondo in rimanenza alla fine del periodo. Da questo, si sommano e si detraggono rispettivamente le restanze da esigersi e quelle da pagarsi e si arriva all’indicazione della effettiva risultanza a credito/debito della società. Nella seconda metà del 1800 ci troviamo di fronte ad una modifica dello schema di Conto Consuntivo che può essere definita più formale che sostanziale: la differenza più evidente negli schemi dei due periodi è l’intervallo amministrativo che, nella seconda metà del 1800, non è più compreso tra novembre e ottobre ma va da maggio ad aprile. Ancora, nello schema riassuntivo di Conto Consuntivo della seconda metà dell’Ottocento, a fianco di ogni voce di entrata ed uscita, è riportata la dicitura “Rubrica” indicata con un numero romano. Tale riferimento, che non compariva in precedenza, rimanda ad allegati, minute e fatture che giustificano l’ammontare complessivo delle varie voci. Riportiamo un esempio di conto consuntivo del Teatro la Fenice per comprendere com’era effettivamente costruito lo schema e quali erano le voci registrate alla fine di ogni anno amministrativo53. 53 Teatro la Fenice, “Conto Consuntivo dell’Amministrazione della Società da 1° Maggio 1878 a tutto Aprile 1879”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: consuntivo 1878-­‐1879, A 2.3.2 – 207. 61 TABELLA 8: Conto Consuntivo dell’amministrazione della Società Proprietaria 1878-­‐1879 62 Entrate e uscite del Conto Consuntivo Per ogni schema di conto consuntivo è possibile mettere in evidenza le entrate e le uscite ricorrenti in ogni anno di gestione. Per quanto riguarda le entrate possiamo rilevare che le principali, in ordine di importanza, erano date dal canone pagato ogni stagione dai soci-­‐palchettisti e da altre somme di provenienza diversa. Il canone era una somma di denaro derivata dal prodotto dell’imposta di 99 centesimi ripartibile sui palchi e sui camerini tolta la cifra appartenente ai palchi di proprietà sociale. Questa somma rappresentava la più importante fonte finanziaria di cui poteva godere il teatro e, unita alle volte al sussidio concesso dal Comune, formava la somma che la proprietà consegnava all’impresario a titolo di Dotazione spettacoli affinché avesse i mezzi liquidi necessari per gestire le stagioni che gli erano state appaltate. Altre voci che compaiono all’attivo sono le restanze attive e le sopravvenienze attive. Le prime registrano le rimanenze di cassa mentre le seconde contengono il saldo dei debiti sociali insoluti nel corso dell’amministrazione ed eventuali refusioni di spese. Tra gli affitti attivi sono registrate le somme derivate dall’affitto dell’intero stabile del teatro oppure delle sale del teatro e dei locali annessi. Nei compensi ed abbonamenti attivi compaiono le somme che gli impiegati restituiscono alla società in ragione dell’imposta sulla ricchezza mobile che la società anticipava per loro conto. Nella voce prodotti diversi erano registrate tutte le entrate derivate dalla vendita di qualcosa di proprietà della società o il prodotto di permute sui palchi autorizzate dalla società. Tra i prestiti restituibili si trovava l’ammontare dei prestiti ottenuti dalla società per le sue attività. Dal lato delle uscite, le principali erano quelle collegate alla Dotazione Spettacoli, ovvero alla somma che la Nobile Società doveva consegnare ogni stagione in quattro rate, le cui date erano fissate nel contratto d’appalto, all’impresario. La cifra consentiva di metterlo nelle condizioni di 63 gestire la stagione teatrale, di far fronte alle spese per la manutenzione del teatro e ad altre spese di minor entità come quelle per l’assicurazione contro gli incendi, le imposte, gli affitti passivi, ecc. Altre importanti voci dal lato delle uscite sono le restanze passive e le sopravvenienze passive. Tra le prime erano registrati i debiti contratti dalla società nel corso dell’amministrazione precedente mentre tra le sopravvenienze erano contenute le somme dovute ai creditori. Tra gli onorari erano registrate le paghe per gli impiegati fissi del teatro come il Segretario Ragioniere, l’Ingegnere, lo Scrittore, il Custode e il suo assistente. Tra gli affitti passivi erano registrate le somme dovute ad esempio per l’affitto dei contatori del gas. Ancora al passivo si trovavano le spese per l’assicurazione dagli incendi, con le somme dovute per i premi assicurativi ma anche per i pompieri la manutenzione dei mobili e dei locali che poteva essere ordinaria o straordinaria. Tra le uscite anche di importante entità che comparivano però saltuariamente (per questo motivo non inserite nella tabella precedente), possiamo trovare quelle per gli ampliamenti, i restauri e gli arredi del teatro. TABELLA 9: sintesi percentuale entrate e uscite del Conto Consuntivo54 ENTRATE Restanze attive 5,9% Sopravvenienze attive 0,2% Affitti attivi 3,0% Compensi ad abbonamenti attivi 0,2% Prodotti diversi straordinari 1,7% Prestiti Restituibili 29,7% Canoni 50,6% Partite di Giro 8,7% USCITE Restanze passive 3,1% Sopravvenienze passive 0,9% Onorari 1,8% Affitti attivi 0,5% Assicurazioni dagli incendi 2,5% Manutenzione Mobili e locali 4,1% Imposte pubbliche 1,6% Dotazione spettacoli 38,8% Spese di Cancelleria 35,7% Spese diverse 0,2% Compensi ed abbonamenti passivi 0,5% Concorrenza alle spese del Liceo Musicale B. Marcello e del monumento a re Vittorio Emanuele 0,3% Pensioni 1,3% Fondi di riserva 0,4% Partite di giro 8,3% 54 Le voci sintetiche e le percentuali sono relative al Conto Consuntivo 1878-­‐1879 di cui a p. 61. 64 La redazione del Conto Consuntivo La redazione del Conto Consuntivo avveniva in tre fasi differenti contraddistinte da altrettanti livelli di sintesi. Innanzitutto, nel corso dell’anno amministrativo venivano raccolti i mandati di pagamento, le quietanze, le fatture e qualsiasi altro atto che attestasse uno scambio di servizi tra la Nobile Società Proprietaria e i terzi. Questi venivano sintetizzati in due grandi raccolte, l’allegato attivo e l’allegato passivo del conto consuntivo. Al loro interno erano riportati il titolo delle spese e il dettaglio delle partite, le somme pagate o da pagarsi e il totale degli importi. Infine veniva redatto il vero e proprio documento sintetico di conto consuntivo che veniva stampato consegnato a tutti soci per essere approvato. SCHEMA 6: i diversi livelli di sintesi nella redazione del conto consuntivo Fatture Mandati di pagamento Quietanze Allegato Attivo Allegato Passivo CONTO CONSUNTIVO Per comprendere il modo con cui avvenivano le registrazioni di cassa prendiamo ad esempio una delle voci più importanti nel Conto Consuntivo ovvero la dotazione per gli spettacoli del Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria per l’anno 1878-­‐1879. Faremo il percorso a ritroso a 65 partire dal risultato sintetico del conto consuntivo, passando per l’allegato passivo (si tratta di una uscita per la Società Proprietaria) ed infine risaliremo alla Rubrica che contiene le informazioni dettagliate sull’ammontare e il motivo delle spese sostenute. Nel Conto Consuntivo dell’Amministrazione della Società Proprietaria dal 1° maggio 1878 a tutto aprile 1879, la voce Dotazione Spettacoli si trova tra le uscite. A preventivo erano state stimate 100.000 lire effettivamente erano state pagate 103.248,03 lire ed erano ancora da pagarsi 373,12 lire, per un totale di 103.621,15 lire. Nell’allegato passivo si trovano informazioni su come era stata erogata l’intera somma all’impresario. La prima rata era stata dilazionata in 5 parti (8.000, 7.000, 6.000, 3.000, 11.000 lire), per un totale di 35.000 lire a partire dal 1° dicembre 1878. La seconda e la terza rata erano di 22.000 lire ciascuna ed erano state erogate rispettivamente il 30 dicembre del 1878 ed il 12 febbraio del 1879. La quarta ed ultima rata ammontava a 21.000 lire ed stata data all’impresa il 31 marzo 1879. Per sapere perché l’erogazione della dote era avvenuta in questo modo bisogna risalire ai mandati di pagamento ovvero al dettaglio delle uscite relativo agli spettacoli. Ogni mandato riporta la data e l’anno dell’esercizio in corso, chi effettua il prelievo dalla cassa sociale, cioè il direttore cassiere, l’ammontare e la causa del pagamento. Ricordiamo inoltre che, durante la convocazione sociale dell’11 agosto 1878, la società aveva deliberato che la prima rata della dote sarebbe stata erogata in relazione a giustificate richieste da parte dell’impresario. La prima rata consisteva in 35.000 lire e, come abbiamo detto, era suddivisa in cinque parti. Di queste cinque parti, la prima serviva ad avviare i lavori per la stagione; la seconda per il noleggio del vestiario; la terza per stipendiare la prima ballerina, il mimo assoluto e i coristi oltre ad altri mimi e ballerine in arrivo sulla piazza; la quarta per pagare artisti e masse; la quinta ed ultima parte sempre per gli stipendi, contando l’impresario sull’arrivo in Venezia di tutti gli artisti di canto e ballo. La seconda rata di 22.000 lire, come convenuto con la stipula del contratto d’appalto, veniva concessa solo dopo la terza recita della stagione. La Società Proprietaria, oltre a questa somma, aggiungeva 8.000 lire che sarebbero state prelevate dal deposito cauzionale fatto dall’impresario nel caso non fosse riuscito ad avviare la stagione. La terza rata doveva servire anche per il gas consumato durante i mesi di dicembre e gennaio, mentre la quarta per il conguaglio del gas e le relative competenze di vigilanza. 66 Com’è stato fatto per la dote, è possibile analizzare ogni singola voce di entrata e di uscita e risalire ad ogni causale che giustifica l’andamento della gestione. 2.1.2 L’impresario L’impresario, scelto e assunto tramite contratto dai palchettisti riuniti in convocazione, aveva il compito di organizzare la stagione d’opera e di gestire al meglio il teatro a lui concesso in appalto per tutto il periodo della gestione. I rapporti formali tra la Società Proprietaria e l’impresario erano codificati nel contratto d’appalto, che descriveva le rispettive obbligazioni tra le parti. Come abbiamo anticipato, la Nobile Società Proprietaria riunita in convocazione stabiliva delle disposizioni generali per la cessione e l’utilizzo del teatro all’interno del Capitolato Normale d’Appalto, disposizioni che poi venivano di volta in volta discusse con l’impresario che si prendeva a carico l’appalto. Del contratto d’appalto si è parlato diffusamente nel paragrafo 5 del primo capitolo al quale rimandiamo per avere ulteriori dettagli o per approfondire l’argomento. Di seguito, ci occuperemo sinteticamente dei costi e dei ricavi con i quali si doveva rapportare l’impresario nel corso della gestione e dello schema di bilancio che, infine, risultava dal suo lavoro. Tuttavia l’affacciarsi degli editori sul mercato dell’opera lirica e la loro progressiva importanza nella realizzazione della produzione operistica, sono evidenti anche al Teatro la Fenice, dove un documento del 1873 mette in luce alcuni interessanti quesiti relativi alla gestione, di fronte ai quali si ponevano e si trovavano a discutere i proprietari del teatro. La Società Proprietaria del Teatro la Fenice, durante la convocazione ordinaria del 2 dicembre 1872, istituì una Commissione composta da cinque soci membri, con il compito di studiare le migliori riforme per la modifica del regolamento. Tale Commissione nel corso di una convocazione straordinaria della società datata 10 aprile 1873, pone alla società un problema di ordine pratico e procedurale: ritiene necessario che i soci decidano quale forma di appalto applicare per l’apertura della stagione, al fine di poter modificare, in un secondo momento, il regolamento sociale nella parte che riguardava l’ingerenza della rappresentanza sociale nelle scelte artistiche55. 55 Teatro la Fenice, “Processi Verbali di Convocazione da dicembre 1872 a 22 dicembre 1873”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: processi verbali delle convocazioni, A.1.2.2 – 053. 67 La Commissione propone quattro modalità di conduzione della stagione che nel corso del tempo si erano verificate nella pratica e che sinteticamente possono così essere riportate: 1. l’approvazione preventiva degli spettacoli e degli artisti da parte della totalità dei soci; 2. l’approvazione preventiva degli spettacoli da parte della totalità dei soci mentre gli artisti e i dettagli restavano da stabilire alla Direzione; 3. la determinazione preventiva degli spettacoli con l’obbligo per l’impresario di scegliere artisti approvati dai grandi editori musicali; 4. la completa libertà d’azione da parte dell’impresa. A seconda dei diversi sistemi, si sarebbe dovuta poi determinare la dote da assegnare con una certa regola da definire, in modo da farne un mezzo di cauzione con l’impresario più sicuro rispetto al sistema del deposito56 usato in precedenza. I primi due metodi sono considerati desueti dai rappresentanti della Commissione benché fossero quelli più usati. Generalmente, infatti, la Nobile Società Proprietaria visionava le proposte dell’impresario sulla tipologia dei titoli delle opere e i nomi dei virtuosi e poi determinava una dotazione adeguata a sostenere le spese da questi richieste. Nella seconda metà dell’Ottocento gli impresari si dimostravano spesso incapaci di mantenere la parola data e costretti a ripiegare su opere e artisti di inferiore qualità. Allo stesso modo, la proprietà si trovava in difficoltà quando un impresario proponeva nomi di artisti per il teatro che non trovavano approvazione da parte degli editori musicali. Questi ultimi avevano la pretesa da parte di avere l’ultima parola sugli artisti che avrebbero dovuto interpretare le partiture delle quali avevano acquistato la proprietà perciò la Commissione propone di accordarsi preventivamente con loro per avere garanzia sulle opere che sarebbero andate in scena e sulla qualità dei virtuosi. L’ultima delle proposte era di lasciare totale libertà all’impresario stabilito il cartello degli spettacoli e la qualità degli artisti. A questo punto, unico arbitro della stagione sarebbe stato il pubblico e l’impresario avrebbe risposto in tutto e per tutto all’opinione pubblica. Queste ultime due proposte erano quelle che la Commissione considerava le più auspicabili e sulle quali discutere per avere più garanzie successo e per far rifiorire le attività del teatro57. 56 Nei contratti d’appalto solitamente era fissata una somma che l’impresario doveva versare nel momento in cui accettava la gestione del teatro, a garanzia del suo operato. Vedi paragrafo 5.3.1. 68 2.1.2.1 L’amministrazione spettacoli Gestire l’appalto di un teatro e ricavarne un utile era molto difficile per l’impresario perché il teatro non veniva considerato come un’unica entità economica e di conseguenza, non gli veniva concesso per intero. I palchi, ad esempio, distinti dal resto dell’impianto sia in senso materiale che sociale, potevano non figurare o comparire solo in parte nei proventi. Prima di proseguire è indispensabile fare un passo indietro per comprendere in che modo era costituito il ricavo del teatro, suddiviso genericamente in: biglietti d’entrata, contributo derivato dai palchi e dotazione. Al momento dell’entrata a teatro era chiesto a tutti di pagare un biglietto di ingresso che poteva valere per una rappresentazione o poteva essere in abbonamento per l’intera stagione. Successivamente, a seconda dei teatri, si poteva pagare per entrare in platea o per avere qualcuno dei pochi posti fissi chiusi a chiave e aperti appositamente da un custode. Questo succedeva perché il teatro era il centro della vita sociale e qualcuno poteva accedervi solo per intrattenersi o fare delle visite. Il ricavo derivato dai pachi variava secondo il tipo di proprietà e di contratto con l’impresa. I palchisti non erano assimilabili al normale pubblico e godevano di alcune facoltà, potevano ad esempio subaffittare i loro palchi ricavandone un utile e facendo così concorrenza all’impresario. Nei casi in cui vigeva la proprietà individuale dei palchi come alla Fenice, i palchisti potevano versare all’impresa un “canone” determinato collettivamente o concordato individualmente con l’impresario e poi decidere se usufruire o rinunciare all’uso del palco. Il canone sostituiva o integrava un abbonamento stagionale. Altrimenti i palchisti pagavano un semplice abbonamento e i palchi invenduti potevano essere assegnati all’impresario con la facoltà di darli in locazione serale. Il canone dato dal palchisti compariva solitamente nella “dotazione” ovvero la sovvenzione58 di cui poteva usufruire l’impresario per l’organizzazione della stagione. Questo mette in evidenza quanto la loro funzione non fosse quella di consumatori indifferenziati bensì membri di un gruppo privilegiato 57 A seguito di questa relazione, i soci riuniti in assemblea erano chiamati a discutere, avanzare eventuali proposte e, infine, deliberare definitivamente sulla materia. Nel processo verbale della convocazione del 10 arile 1873, dopo un lungo dibattito sulle quattro proposte avanzate dalla Commissione, compare la risoluzione finale: «La società invita la Commissione a progredire nei suoi studi per la riforma del regolamento sociale sulla base dell’accettazione di qualunque proposta d’appalto da parte della società a seconda dei casi». La maggioranza dei soci riteneva che i membri della Commissione fossero usciti dal loro incarico occupandosi del sistema d’appalto piuttosto che direttamente del regolamento. 58 Questa sovvenzione poteva essere una somma di contanti, un particolare privilegio (ad esempio quello di gestire il gioco d’azzardo) oppure il diritto di rivendere i palchi. 69 produttore di un servizio, con l’impresario come intermediario e, alle volte, un sussidio governativo. Fungevano allo stesso tempo da consumatori, produttori e committenti. Dotazioni, sovvenzioni e privilegi non garantivano però che l’impresario riuscisse a portare a termine la stagione senza perdite. La questione rimane complessa «si ha l’impressione che quando la sovvenzione era grosso modo equivalente al provento della stagione l’impresa poteva sperare di arrivare al pareggio o anche di conseguire un utile» 59 . Purtroppo tali condizioni si ottenevano difficilmente a fronte di importanti voci di costo. In relazione al costo relativo delle prestazioni, tra le voci di uscita più importanti si trova la paga dei solisti che si aggirava generalmente sul 45-­‐55% del costo globale60. Tra gli altri costi relativi, quello che subì un cambiamento di rilevo fu quello per il compositore: a seguito dell’affermarsi dei diritto d’autore con il trattato austro-­‐sardo del 1840, si passò dalla somma unica pagata per la prima rappresentazione di un’opera ai diritti prelevati su tutte le rappresentazioni e sulle riduzioni a stampa. Il costo della musica fu comunque sempre inferiore al 10%. Altre voci rilevanti ma più difficili da cogliere erano il costo dell’orchestra e delle masse. I costi di produzione variano oltre che per il periodo preso in considerazione anche a seconda della tipologia di opera da mettere in scena perciò, anche per questa categoria, non è possibile fare delle stime. Possiamo registrare però che vi furono alcuni cambiamenti tecnologici interessanti come l’introduzione dell’illuminazione a gas, che probabilmente portò ad una diminuzione delle spese rispetto a quanto avveniva in precedenza con l’uso delle candele di cera prima e dell’olio d’oliva poi. 2.1.2.2 Il bilancio dell’impresario Lo schema formale del Bilancio dell’impresario Al termine della stagione l’impresario doveva redigere un bilancio con all’interno l’indicazione delle somme spese per la messa in scena e le entrate collegate agli spettacoli. Si tratta di un documento amministrativo che riflette unicamente l’andamento degli spettacoli e quindi le voci in entrata e in uscita sono imputabili unicamente all’impresario. Rintracciare il bilancio relativo all’Amministrazione Spettacoli non è cosa semplice perché si tratta di un documento di stretta competenza dell’impresario, che fa parte unicamente del suo mestiere e 59 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 95. J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987, p. 98. 60 70 che perciò risulta essere indipendente dall’amministrazione della proprietà. Basti pensare che dal 1870 al 1880, l’unico bilancio che è stato ritrovato all’interno dell’archivio storico è quello dell’impresa Brunello, relativo alla stagione di Carnevale-­‐Quaresima del 1878-­‐1879, e che prenderemo in esame. Dal punto di vista formale si tratta di un documento che riassume le voci di entrata e di uscita riconducibili agli spettacoli teatrali e che infine, riporta il risultato dell’esercizio. Come per il Conto Consuntivo della Società Proprietaria, è stato possibile indicare schematicamente anche le voci di entrata ed uscita a carico dell’impresario, anche se con minore precisione a causa della difficoltà di reperire fonti dirette. Per quanto riguarda le entrate, l’impresario poteva fare affidamento su denaro liquido, rappresentato dalla Dotazione, ma anche sulla concessione da parte della Nobile Società dello sfruttamento di alcuni diritti come la vendita serale dei biglietti di ingresso al teatro, degli scanni da utilizzarsi in platea e degli abbonamenti per l’intera stagione. Il limite massimo del prezzo di biglietti, abbonamenti e scanni era fissato nel contratto d’appalto e venivano proposte diverse fasce di prezzo a varie categorie di pubblico distinte in civili, militari, fanciulli e dipendenti pubblici. Rimanevano nelle sue casse anche gli introiti derivati dalla Cavalchina e gli affitti del Caffè e del guardaroba del teatro. Interessante per comprendere realmente di che cosa si occupava l’impresario e con quali voci di costo aveva a che fare, è l’analisi delle uscite, in particolar modo quelle collegate alla messa in scena degli spettacoli. Tra le spese più significative direttamente connesse con l’amministrazione degli spettacoli teatrali, troviamo la compagnia di canto e di ballo, l’orchestra e il vestiario che rappresentavano il cardine di tutti gli spettacoli e dovevano essere all’altezza del prestigio della sala veneziana. Sempre per mantenere il prestigio ed il decoro della Fenice, grande attenzione e quindi grosse somme erano spese per il vestiario e i dettagli che caratterizzavano i personaggi della messa in scena. Gli editori compaiono tra i fornitori con una spesa consistente per il nolo degli spartiti, di strumenti musicali e di libretti d’opera. A titolo di esempio, riportiamo una sintesi in percentuale delle voci di entrata ed uscita del bilancio dell’impresario Brunello per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1879-­‐1879. 71 TABELLA 10: sintesi percentuale entrate e uscite del Bilancio dell’impresario ENTRATE USCITE Introito serale delle recite 41,7% Compagnia di Canto 21,3% Dotazione 41,2% Compagnia d i Ballo 7,5% Abbonamenti 14,7% Masse ( orchestra e coro) 29,5% Introito lordo Cavalchina 1,8% Spartiti Musicali 3,3% Affitto Caffè e Guardaroba 0,6% Direttori, maestri ed Impiegati 2% Vestiario e gioielli 11,5% Scene 2,1% Calzature 1,1% Bigiotteria 0,4% Attrezzi 1,1% Macchinismo 4,3% Parrucchiere 0,2% Tassa governativa 2,7% Gas 3,4% Spese Traverse 2,2% Spese Serali 7,4% RIASSUNTO Uscita Entrata Deficit Differenza a favore/danno dell’impresa 2.1.3 La Pia Istituzione d’Orchestra L’orchestra della Fenice nel 1800 si configurava come un organismo autonomo con una propria amministrazione, una propria cassa (il Fondo d’Orchestra) e, alla fine della stagione, redigeva un proprio resoconto. Era stata costituita nel 1831 ed era disciplinata secondo un proprio regolamento interno che riportava, sotto forma di articoli, le regole e le norme per la sua gestione nonché la pianta (chiamata “Pianta d’Orchestra” o semplicemente “Prospetto”) che ne indicava la composizione. La sua prima stesura porta la data del 28 Maggio 1831 e nel tempo è stata modificata numerose volte. La pianta d’Orchestra riportava in dettaglio l’elenco dei professori in servizio, la tipologia dello strumento suonato e l’onorario assegnato a ciascun posto occupato, anche se la compagine orchestrale era abbastanza variabile a seconda delle opere e degli allestimenti da mettere in scena. All’orchestra era assicurato un fondo per sostenere le spese il cui ammontare era stabilito nel 72 regolamento. Tale somma fissa era compresa nella dotazione 61 dell’impresario che la concedeva ripartita in quattro rate, ed era amministrata separatamente da una speciale commissione all’Orchestra composta di tre presidenti e due aggiunti scelti dalla Nobile Società Proprietaria. Tale commissione doveva scegliere tutti i membri dell’orchestra che erano eletti a tempo indeterminato, deciderne un eventuale licenziamento o spostamento di posizione all’interno dell’organico. Il fondo di partenza veniva integrato dal 2% dell’onorario di ogni orchestrale a titolo di provvedimento, dalla somma eventualmente risparmiata sul fondo di dotazione nel corso della stagione e dalle multe che potevano prendere i professori d’orchestra a sanzione di un errato comportamento nel corso della stagione62. 2.1.4 La scuola di ballo La scuola di ballo del Teatro la Fenice nacque nel 1832 sulla scorta delle esperienze di altri teatri come la Scala e il San Carlo di Napoli che da tempo l’avevano costituita. L’invito a partecipare era rivolto ai bambini e ai ragazzi provenienti dai ceti poveri e l’obiettivo era quello di fornire elementi al corpo di ballo del teatro. C’era l’obbligo di frequenza dal 1° maggio a tutto novembre e di assistere durante la stagione di Carnevale-­‐Quaresima a tutte le prove e le rappresentazioni; le lezioni sarebbero state gratuite con un paga giornaliera di una lira austriaca da dicembre a marzo pagabile in decadi posticipabili. Gli alunni più poveri avrebbero percepito 50 centesimi per ogni lezione e se poi fossero passati alla categoria di Secondi Ballerini, le paghe sarebbero aumentate a 3 lire giornaliere. Le attività della scuola di ballo erano codificate nel Regolamento che stabiliva chi poteva partecipare alla scuola di ballo, l’organizzazione interna della scuola (lezioni, orari, prove), le regole sulla disciplina alle quali dovevano sottostare gli allievi e le sanzioni nelle quali potevano incorrere nel caso del loro mancato rispetto. Le spese per sostenere la scuola di ballo vennero ricavate dal fondo Dotazione Spettacoli amministrato dal Presidente agli spettacoli della Nobile Società Proprietaria. 61 A tal proposito segnaliamo che l’impresario che accettava l’appalto, poteva considerare l’ammontare di partenza della dotazione già decurtato della somma prevista a favore dell’orchestra. 62 Teatro la Fenice, “Regolamento d’orchestra del Gran Teatro la Fenice, 1831”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: orchestra regolamenti e massime 1831-­‐1835, A.3.3.2 – 323. 73 La storia della scuola di ballo, chiusa definitivamente nel 1867, fu segnata da un andamento altalenante: mancò la continuità sia dal punto di vista storico che didattico a causa delle frequenti chiusure e riaperture che seguivano le sorti del teatro (dall’incendio del 1836 ai moti del ’48 con la conseguente chiusura delle attività artistiche del teatro dal 1859 al 1866)63. 63 R. ZAMBON, 1832-­‐1862: la breve storia della Scuola di Ballo del Gran Teatro la Fenice, nel periodico Chorèographie-­‐ Studi e ricerche sulla danza, di Giacomo editore, Anno 5-­‐numero 10, 1997. 74 III L’ORGANIZZAZIONE DELLA STAGIONE DI CARNEVALE-­‐QUARESIMA 1878-­‐1879 Organizzare una stagione d’opera era molto complesso sia per il numero di persone con diverse competenze coinvolte nella sua realizzazione, sia per i tempi serrati che richiedevano una certa pianificazione delle attività per non incappare in ritardi che avrebbero compromesso la buona riuscita della messa in scena. Per spiegare com’era avvenuta l’organizzazione e, successivamente, il controllo dei risultati della stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879, seguiremo lo schema riassuntivo proposto nella pagina seguente che mette insieme i soggetti coinvolti, il loro ruolo e le attività nelle quali erano coinvolti. Per prima cosa parleremo dei contatti tra la Nobile Società Proprietaria della Fenice e l’impresario Giuseppe Brunello, dai quali (in caso di convenienza tra le parti), scaturivano gli accordi preliminari sulla stagione e sull’appalto. Vedremo in che modo l’impresario era venuto a conoscenza della disponibilità della sala teatrale della Fenice e quali punti metteva in discussione sulle offerte fatte dalla società. Successivamente, ci soffermeremo sul contratto d’appalto e sugli accordi formali presi tra le parti analizzando le richieste e le concessioni rispetto al Capitolano Normale d’Appalto predisposto dalla società, senza dimenticare che, nel frattempo, l’impresario aveva già avviato i contatti con i cantanti per avanzare le prime proposte di composizione della compagnia alla proprietà. Parleremo dell’organizzazione delle prove e di quanto avveniva dal momento dell’arrivo degli artisti sulla piazza fino al debutto sul palcoscenico, occupandoci di ciò che accadeva dietro le quinte ma anche del riscontro ottenuto sul pubblico. Infine ci occuperemo dei risultati economici della stagione, analizzando entrate e uscite del bilancio dell’impresario e confrontandole col successo nei termini di proposta artistica, affluenza di pubblico e critica musicale. 75 SCHEMA 7: organizzazione della Stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 Nobile Società Proprietaria Impresario Accordi preliminari CONTRATTO D’APPALTO Sorveglia il lavoro dell’impresario ed è decisiva nella soluzione di problemi organizzativi Contatta e scrittura Maestranze Artistiche e Tecniche Sorveglia e sanziona il comportamento di tutto il personale coinvolto a teatro tramite ispettori di scena Organizza le prove e coordina tecnici e artisti dal momento dell’arrivo sulla piazza fino alla chiusura della stagione Editore Verifica i risultati ottenuti in relazione a: Qualità della messa in scena Affluenza di pubblico Reazione sulla stampa locale e non Verifica i risultati economici complessivi dell’impresa BILANCIO 76 3.1 Accordi preliminari I primi contatti tra la Nobile Società Proprietaria del Teatro la Fenice e l’impresario appaltatore avvenivano, solitamente, per corrispondenza. Si è scelto di soffermarsi sugli accordi preliminari al fine di ricostruire concretamente come avvenivano le trattative, in quali tempi si svolgevano ed in che modo erano determinanti per tutto l’andamento della stagione. Prendendo in esame il materiale relativo alla stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879, è stato possibile ricostruire una parte di corrispondenza che l’impresario teneva con la Società Proprietaria. Per quanto riguarda invece il rapporto epistolare tra l’impresario e gli agenti teatrali, gli editori, gli artisti ecc. non siamo in grado di fornire alcun documento storico relativo alla stagione esaminata. Sappiamo che questi atti semplicemente sono rimasti all’impresario stesso, perché parte integrante del suo mestiere. I contatti preliminari con la Nobile Società Proprietaria Come anticipato, la realizzazione della stagione d’opera era frutto di un negoziato tra la Nobile Società Proprietaria e l’impresario. Il confronto tra le parti avveniva in primo luogo sui termini del capitolato normale d’appalto e sull’ammontare della dote e, successivamente, sulle scelte artistiche da effettuare per la buona riuscita della messa in scena. In che modo la Nobile Società Proprietaria comunicava la disponibilità dell’appalto del teatro? Per la stagione che abbiamo preso in considerazione, la proprietà aveva divulgato un avviso con la comunicazione dell’apertura del concorso d’appalto. Si trattava di un manifesto, datato 24 maggio 1878, che riportava la somma offerta come dotazione all’impresario ed il numero dei palchi a favore dell’impresa, che poteva così trattenere per se il ricavato serale; era indicato che anche il corrispettivo del Caffè e del guardaroba del teatro erano concessi all’impresa. Veniva espressamente richiesto agli aspiranti di presentare il proprio progetto di spettacoli entro il 20 giugno accompagnato da un deposito cauzionale di 2.000 lire. La diffusione delle informazioni contenute nel manifesto avveniva tramite giornali come “La Scena” di Venezia e la “Gazzetta dei teatri” di Milano, ed alcuni agenti teatrali italiani64 nella speranza da parte della Società Proprietaria di riuscire ad aprire il teatro. È 64 Il documento originale menziona: Elio Ascoli di Venezia, Banchieri di Roma, Gaetano Donatelli, Giuseppe Bonolla, Giuseppe Cav. Lamperti, Carlo Campiaggio e Co. di Milano, Cesare Gaibi e G. Bolelli di Bologna e Ercole Tinti di Firenze. 77 interessante notare che, dato che la stagione sarebbe cominciata il 26 dicembre, la programmazione della stagione era cominciata 8 mesi prima dell’andata in scena. Ricevuto l’avviso, gli impresari cominciavano a contattare il teatro e ad inviare le loro proposte con delle ipotesi di titoli da mettere in programmazione e, alle volte, i nominativi degli artisti da prendere in considerazione per la stagione. La Società Proprietaria del teatro non accettò nessuno dei progetti pervenuti poiché un secondo manifesto, questa volta datato 8 Luglio 1878, rilanciava la proposta di appalto. L’impresario Giuseppe Brunello, in una lettera del 31 luglio 1878 indirizzata al teatro, spiegava i motivi delle difficoltà incontrate nella proposta di un progetto di spettacoli alle condizioni imposte nell’avviso emanato dalla Società proprietaria: si trattava di ragioni finanziarie. A fronte della dotazione di 100.000 lire, l’impresario stimava a preventivo per le spese totali, non meno di 230.000 lire, per offrire uno spettacolo all’altezza del teatro, con artisti di canto e di ballo di prim’ordine e scene e decorazioni adeguate. Inoltre sosteneva che le 100.000 lire della dote sarebbero state assorbite interamente dalle spese per le masse artistiche (orchestra e coro) e per i maestri di scena, senza considerare quanto dovuto per l’apertura e il riscaldamento del teatro, la manutenzione, l’assicurazione contro gli incendi e per tutto il personale del teatro coinvolto dal momento della sua apertura fino alla conclusione della stagione. In altre parole erano in discussione l’ammontare della dote e l’entità delle spese a carico dell’impresa, elencate all’interno del capitolato normale d’appalto degli spettacoli. L’impresario propose e ottenne un accomodamento con la società proprietaria infatti sono proprio questi i punti nel contratto d’appalto ad essere modificati e sottoscritti infine tra le parti. Una seconda lettera dell’impresario alla Società Proprietaria forniva alcune informazioni su alcune scelte da fare per definire il progetto per gli spettacoli. L’intenzione di Giuseppe Brunello era di presentare quattro opere serie, cercando di scegliere quelle più desiderate dalla cittadinanza e tra queste, almeno una nuova composizione e due balli grandiosi scelti sulla base della risposta di pubblico ottenuta in altre piazze, «tra questi il Rolla del celebre Manzotti che fu fatto 32 sere al Teatro della Scala di Milano, 29 recite al teatro Comunale di Trieste […] spettacolo ricco di vestiario e decorazioni»65. Segue la lista degli artisti di canto tra i quali scegliere, con la proposta di costituire una buona compagnia e di definire solo in un secondo momento i titoli delle opere da darsi. È specificato 65 Teatro la Fenice, “Corrispondenza”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472. 78 che la selezione è stata fatta su artisti primari e non celebri, perché solo due di questi ultimi avrebbero assorbito l’ammontare totale della dote. L’impresario, sulla base della parola data dalla proprietà del teatro, cominciava il lavoro di scrittura degli artisti, fermo restando che il prima possibile avrebbe sottoscritto il contratto d’appalto. SCHEMA 8: Sintesi di progetto degli spettacoli avanzato dall’impresario Giuseppe Brunello Proposta artistica dell’impresario brunello: Quattro opere serie tra cui 1 nuova composizione 2 balli grandiosi Preventivo Artisti di canto e ballo Scene Decorazioni Preventivo di 130.000 lire Masse artistiche (orchestra e coro) Maestri di scena Apertura e riscaldamento del teatro Manutenzione Assicurazione contro gli incendi Personale di sala Preventivo di 100.000 lire Totale 230.000 lire 79 I contatti preliminari con artisti, tecnici, editori e compositori Nella fase preliminare dell’organizzazione della stagione l’impresario doveva occuparsi di scritturare gli artisti e le masse. Non è stato possibile ritracciare documenti che attestassero il tipo di contrattazioni tra l’impresario Brunello e gli artisti concordati con la Società Proprietaria, ma è possibile rintracciare qualche informazione sulla modalità con cui operava dalle lettere inviate alla Società. Possiamo sapere ad esempio che al 13 agosto aveva già scritturato i quattro artisti primari66 concordati con la direzione avvisando subito che aveva speso di più di quanto stimato a preventivo. Può sembrare strano ma nel 1800 i cantanti erano molto importanti, anche più del compositore ed è dimostrato dal fatto che erano pagati molto di più. L’impresario poteva quindi formare la compagnia dei cantanti e solo in un secondo momento avviare i contatti con il compositore. Sempre in questa lettera si legge che l’impresario prevedeva di arrivare a Venezia in novembre (dopo aver chiuso la stagione di autunno al Teatro di Vicenza) per scritturare orchestrali, coristi e per contrattare con i fornitori il che significa che aveva poco più di un mese per organizzare tutto e cominciare le prove. Nel frattempo continuava il suo lavoro fatto di viaggi e corrispondenza per contrattualizzare i membri della compagnia di canto e di ballo, il vestiarista, il pittore scenografo ed anche l’opera nuova che era intenzionato a mettere in scena. Nella lettera dell’8 ottobre 1878 compare spesso il nome di Giulio Ricordi, l’editore musicale Milanese, “soddisfattissimo” della scrittura della mezzo soprano Ebe Treves e sostenitore del Signor Bonamici, compositore di Cleopatra, la nuova opera scelta dall’impresario. 3.2 Appalto della stagione Come la Direzione del teatro approvava una proposta di appalto. Prima di procedere alla stipula del contratto d’appalto, anche a seguito degli accordi preliminari intercorsi tra i rappresentanti della Nobile Società Proprietaria e l’impresario, era necessario avere l’approvazione di tutti i soci. L’approvazione avveniva all’interno di una convocazione che poteva essere ordinaria, ed erano solo due nel corso dell’anno amministrativo, o straordinaria, nella quale i 66 I signori Fossa, Osteli, Broggi e Novara. 80 soci o i loro legali rappresentati (nominati tramite procura come stabilito nel Regolamento Sociale) deliberavano a maggioranza sulle scelte da effettuare. L’appalto dell’impresario era solo uno dei tanti argomenti che richiedevano di essere discussi in società. Potevano essere oggetto di confronto la manutenzione o i restauri del teatro, l’ammontare della dotazione, la vendita dei palchi, i rapporti con il Municipio piuttosto che con la società del gas e così via. È possibile ricavare informazioni su questi aspetti della gestione perché, al termine di ogni convocazione, i soci redigevano un “processo verbale” nel quale era indicata la data della riunione, l’ordine del giorno, i soci presenti e sinteticamente gli argomenti sollevati dai soci nel momento della discussione. Tramite la lettura dei processi verbali, prenderemo in esame il modo in cui era stata sottoposta alla società la proposta di appalto dell’impresario Giuseppe Brunello, nella convocazione straordinaria di domenica 11 agosto 1878. Alla riunione erano presenti 75 soci e tra questi, aperta la seduta, venivano scelti due scrutatori con l’incarico di conteggiare i voti relativi alla deliberazione. Il primo punto all’ordine del giorno era la proposta di accogliere il progetto dell’impresario Giuseppe Brunello con qualche modifica del capitolato normale d’appalto. L’oggetto di queste modifiche era riassunto in una relazione stilata dal direttore agli spettacoli Alessandro Tornielli, che aveva tenuto la corrispondenza con l’impresario e compreso le sue proposte. Letta la relazione, veniva aperta la discussione a tutti i soci che avevano voce in merito sia alle scelte artistiche che economiche. Il Cavalier Levi, ad esempio, chiede se l’impresario avesse intenzione di diminuire il numero delle masse, preoccupato che gli spettacoli non fossero all’altezza del decoro della sala teatrale, mentre il socio Breganze trovava gravosa la diminuzione del deposito cauzionale (dalle 20.000 lire indicate del capitolato a 10.000 lire) che l’impresario avrebbe dovuto lasciare alla società, a garanzia del suo lavoro, nel momento della firma del contratto d’appalto. Un altro importante argomento di discussione erano le precisazioni riguardanti la distribuzione della dotazione. La società concedeva del denaro ad una persona che, nella teoria, avrebbe dovuto applicare tutte le economie necessarie a portare a buon termine la stagione, fermo restando il decoro richiesto dal teatro e dalla città. Era importante che l’impresario gestisse i soldi della dote senza sprecarli o trattenerli per il suo interesse. Nel “processo verbale” perciò non si trovano discussioni sull’ammontare della dote ma sulla corretta distribuzione della 81 stessa somma, per assicurare all’impresario un margine per avviare le trattative con artisti e tecnici senza compromettere l’uscita di denaro da parte della società. Infine, la deliberazione presa «La società incarica la Direzione di accettare il progetto presentato dall’impresario Brunello per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 e di divenire alla stipulazione del relativo contratto con le proposte modificazioni al capitolato d’appalto, non che a quelle sostituzioni sia nel personale artistico che negli spettacoli, che per comprovata necessità si rendono indispensabili»67. SCHEMA 9: Riassunto modalità di approvazione proposta d’appalto 1. la proposta di appalto del teatro veniva messa all’ordine del giorno per essere discussa durante una convocazione sociale; 2. prima di dichiarare aperta una riunione, veniva fatto l’appello e stimato il numero dei presenti. Se i soci erano superiori ai due terzi, la riunione era considerata valida. Tra i partecipanti, venivano scelti sue scrutatori con l’incarico di conteggiare i voti relativi ad ogni deliberazione; 3. il direttore agli spettacoli, che aveva avuto modo di parlare con l’impresario e di capire il suo progetto di appalto, leggeva una relazione nella quale riassumeva le sue proposte; 4. apertura della discussione; 5. Votazione; 6. Deliberazione. Il contratto d’appalto Il contratto d’appalto riportava come articolo iniziale l’indicazione della durata dell’appalto che poteva essere valido per una o più stagioni consecutive; fissava come termine iniziale dal quale decorreva la propria efficacia il giorno 1° dicembre di ciascun anno. A tale data la Nobile Società Proprietaria doveva mettere a disposizione dell’impresa appaltante i locali del teatro e tutti i materiali utili alla gestione della stagione lirica, che iniziava il 26 dicembre e terminava il 31 marzo successivo (art. 2). La consegna e la riconsegna del teatro avvenivano in seguito alla redazione di un inventario, 67 Teatro la Fenice, “Processi verbali delle convocazioni da dicembre 1877 luglio 1879”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: processi verbali, A.1.1.3 – 057. 82 stimato da tre periti 68 e riconsegnato dall’impresa al termine della stagione. In tale occasione l’impresa doveva redigere una seconda stima con gli stessi criteri adottati in precedenza, ed era chiamata a rispondere alla Società in denaro in caso di mancata restituzione di tutti gli effetti consegnati (art. 6). Stando al Capitolato normale d’Appalto, altre spese attribuibili all’impresa erano anche la pulizia del teatro e dei locali adiacenti (art. 7), il movimento e la ricollocazione dei teloni, delle quinte e del sipario e ancora il riscaldamento del teatro, il costo dei pompieri, dei custodi e la spazzatura delle nevi (art. 9). Nel nostro caso particolare, stando agli accordi preliminari con l’impresario, di tutte queste spese, se ne faceva carico la Direzione che al termine della stagione si impegnava a fornire, in aggiunta alla dote, la somma per coprire il loro ammontare effettivo. Per quanto riguarda gli spettacoli, l’impresa appaltante era obbligata a dare un numero non inferiore di 50 recite così assortite: “quattro opere e due balli grandi almeno”, oppure “due opere ballo grandiose, due opere semplici ed un ballo grande“ (art. 11). Inoltre si richiedeva all’impresa di tener pronto uno spartito già provato, nel caso in cui si fosse resa necessaria la sostituzione di un’opera d’obbligo che non avesse incontrato il favore del pubblico. Anche i balli potevano incorrere nello stesso problema e anche in questo caso, era richiesto di tenere pronto un ballo di “mezzo carattere” nel caso in cui uno o entrambe i balli grandi non avessero avuto il riscontro sperato. Generalmente i titoli che componevano il cartellone erano indicati nel contratto d’appalto. L’impresa Brunello per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima del 1878-­‐1879, propone quattro opere e due Balli grandi rispettivamente intitolati: “Il Re di Lahore”, “Ruj Blas”, “Cleopatra”, “Mefistofele” e “Rolla” e “Ondina”. Durante gli accordi preliminari l’impresario presentava alla Nobile Società Proprietaria un progetto per la stagione che, oltre a riportare i titoli delle opere da rappresentare, solitamente indicava gli artisti di canto e ballo. Il contratto d’appalto stabilisce che per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima, l’impresario doveva sottoporre alla Direzione la nota degli artisti principali entro settembre e quella degli artisti secondari entro novembre (art. 5). La scelta definitiva di questi come del maestro del coro, del coreografo, degli spartiti e dei balli, spettava infine alla Direzione. 68 Scelti (stando al contratto d’appalto) uno dalla Direzione della Società, l’altro dall’impresa e il terzo di comune accordo. 83 All’interno del contratto d’appalto si trovano ancora indicazioni sulle masse: il coro, l’orchestra, le comparse e il corpo di ballo. I coristi non dovevano essere inferiori a 50 persone divise in 32 uomini e 18 donne e, in ogni caso, il loro numero doveva essere proporzionale all’importanza dello spartito messo in scena (art. 17). L’orchestra doveva essere composta da 68 professori e doveva corrispondere per qualità all’importanza dello spettacolo; poteva esserci anche la banda in scena che allo stesso modo doveva essere all’altezza della rappresentazione (art. 24). Le comparse non potevano essere inferiori a 60 persone oltre ad altri 14 ragazzi, anch’essi da aumentarsi secondo le disposizione della Direzione (art.17). Per quanto riguarda i balli, era richiesta la presenza di una coppia danzante di fama, di una ballerina a supplemento, di 36 ballerine o più di mezzo carattere a seconda dell’importanza dei balli, di 4 ballerini o più a seconda che il ballo lo richieda, 14 fanciulli e almeno 60 comparse. Il vestiario delle opere dei balli doveva essere nuovo per le prime parti e ridotto a nuovo per le parti secondarie. La confezione dei costumi avveniva sulla base di figurini rigorosamente in costume e anch’essi approvati dalla Direzione. Una sezione molto importante del contratto d’appalto, che ci permette di comprendere parte delle entrate e delle uscite relative agli spettacoli, si occupava dei “corrispettivi” tra Nobile Società Proprietaria ed impresario. L’impresa, oltre alla dote cioè alla somma di denaro stimata di volta in volta dalla proprietà e concessa all’impresario, che per questa stagione era stata fissata a 100.000 lire, poteva godere degli introiti derivati dalla vendita dei palchi di proprietà sociale, del prodotto dei biglietti d’ingresso ad ogni spettacolo, del prodotto degli abbonamenti, degli scanni e delle sedie a braccioli69 e del canone70 corrispettivo all’esercizio del Caffè e del guardaroba. I palchi di proprietà sociale dei quali era accordata la disponibilità all’impresa per la vendita durante la stagione, erano indicati nel contratto d’appalto ed erano quelli ai quali i soci avevano rinunciato. L’impresa Brunello poteva disporre degli introiti derivati dalla vendita di 6 palchi in ordine di pepiano (il primo ordine di palchi), 4 palchi di secondo ordine e 21 palchi in terzo ordine. Per quanto riguarda i biglietti di ingresso, la direzione fissava un prezzo che l’impresa poteva solamente scontare ma mai superare. Esistevano diverse tipologie di biglietti. Si potevano acquistare 69 I prezzi venivano concordati di volta in volta tra l’impresa e la Direzione (art. 34). Si tratta di un canone stimato dalla Direzione in 30 lire per ogni sera di spettacolo (art.33). 70 84 semplici biglietti d’ingresso a teatro, ma anche biglietti per garantirsi uno o più posti a sedere rappresentati da scanni o sedie a braccioli. Per la stagione presa in esame era stato convenuto che il prezzo dei biglietti d’ingresso alla platea e palchi in ogni sera di spettacolo d’opera o d’opera ballo era di 3 lire per i civili, 1,50 lire per i militari e 1 lira per i ragazzi. L’abbonamento per l’intera stagione era di 60 lire per i civili, 45 per gli impiegati regi e comunali nonché pei militari. L’abbonamento per una sedia a braccioli era di 120 lire e quello di uno scanno di 60 lire. Oltre ai prodotti su indicati appartengono all’impresa anche i prodotti ritraibili dal nuovo loggione sostituito ai palchi di quarto ordine o quinta fila. Il prezzo relativo d’ingresso resta fissato ad 1 lira per ogni individuo più 50 centesimi per ogni sedia o posto numerato di parapetto. Il canone a corrispettivo dell’esercizio del Caffè e guardaroba, di cui alla lettera d dell’art. 33 del capitolato, restava stabilito in lire 30 per ogni sera di spettacolo, che la direzione avrebbe compensato all’impresa di cinque in cinque recite posticipate. Infine, l’impresario che si occupava della gestione della stagione di Carnevale-­‐Quaresima doveva trovarsi di persona a Venezia a partire dal mese di novembre e doveva rimanervi per tutta la durata delle rappresentazioni. Era tra le sue facoltà di nominare un suo rappresentante, la cui nomina risultava già all’atto della firma del contratto d’appalto, che poteva sostituirlo in ogni rapporto con la società e col personale artistico. 3.3 Scrittura della compagnia di canto I due casi che si potevano verificare al momento della scrittura della compagnia di canto erano: 1. che si scegliessero un virtuoso o una prima donna di fama e che successivamente si concordassero con loro le opere nelle quali riuscivano meglio. In questo modo, il successo (o l’insuccesso) della stagione sarebbe stato legato al nome dell’artista o degli artisti scritturati per la stagione 2. che si formasse una buona compagnia di canto e solo successivamente si scegliessero tra i titoli più attesi dal pubblico, quelli da far eseguire agli artisti scritturati. In questo modo il 85 successo della stagione non dipendeva unicamente dalle prestazioni di un cantante ma frutto di un lavoro condiviso. Per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 fu utilizzata questa ultima strategia, in accordo ovviamente con la proprietà. Non è stato possibile reperire le scritture dei cantanti se non alcuni telegrammi con le richieste dell’uno o dell’altro artista. Nonostante questo, possiamo riportare uno schema generale delle informazioni contenute nelle scritture tratte dal manuale di legislazione teatrale del 1871, scritto da Enrico Rosmini. Nelle scritture dei cantanti doveva essere indicato: 1. nominativo dell’impresario e del virtuoso; 2. ammontare della paga e forma di rateizzazione; 3. obblighi: • giorno di arrivo sulla piazza; • di capacità artistica ed attitudine fisica. Corrispettivo in caso di malattia; • di eseguire le parti nel modo distribuito dall’impresa. Nel caso di accomodamenti della musica, le spese erano a carico del virtuoso sempreché gli venisse concesso dall’impresa; • vestire gli abiti ed indossare oggetti di vestiario forniti dall’impresa come d’uso; • fornirsi di poche spese di tutto il piccolo vestiario; • di non prestare la sua opera in altro teatro nell’arco di 100 km dalla piazza suddetta; • di notificare la sua dimora all’impresa e di depositare il suo passaporto al camerino dell’impresa. Il contratto poteva essere sciolto in caso di: -­‐ incendio, di guerra o di altra pubblica calamità -­‐ di grandi riparazioni o restauri del teatro; -­‐ qualora l’artista venisse protestato o sospeso da qualche autorità superiore; -­‐ mancando l’artista per sua colpa agli impegni assunti. Il contratto doveva riportare l’approvazione e la firma della direzione teatrale; tutti i contrasti sul contratto, che potevano insorgere tra l’impresa e l’artista, dovevano essere sottoposti all’attenzione 86 della direzione suddetta, alla quale spettava l’ultima parola nel caso in cui ci fosse stato il bisogno di prendere una decisione. 3.4 Scelta dei soggetti e delle musiche Sulla scelta dei soggetti e delle musiche per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 possiamo solo fare delle ipotesi basate sull’osservazione dei dati che non ci sono giunti completi. Probabilmente la Società Proprietaria del Teatro aveva avanzato alcune proposte all’impresario, il quale, ne aveva fatto parola con gli artisti che pensava di scritturare per la stagione. Sappiamo che le musiche e i libretti d’opera non erano stati tutti realizzati ex-­‐novo ma noleggiati dalle case editrici. Infatti, nel bilancio dell’impresario che presenteremo più sotto, compaiono tra le uscite la fornitura degli spartiti e dei libretti per le opere “Il Re di Lahore”, il “Mefistofele” e il “Ruy Blas”. Le prime due opere appartenevano alla casa editrice Ricordi, mentre la terza alla casa editrice Lucca. Per questo motivo non possiamo dire che le opere fossero state costruite sulle caratteristiche dei cantanti o sulle loro esigenze, come sarebbe potuto avvenire in passato, perché queste opere erano ormai di repertorio e di proprietà di un editore. Possiamo solo supporre che l’impresario avesse scelto dei cantanti in grado di sostenere diversi ruoli e abbastanza bravi da potersi adattare alle scelte di repertorio effettuate solo dopo che la compagnia di canto era stata definita. In relazione a quanto detto anche nel primo capitolo rispetto al diritto d’autore, segnaliamo che nei libretti di queste opere compare già l’indicazione «diritti di traduzione, ristampa e riproduzione riservati»71 . Per quanto riguarda i balli, sia il ballo «Rolla» che il ballo «Ondina» erano stati composti espressamente per la stagione e la compagnia dell’impresa Brunello; probabilmente la coreografia era stata costruita sulle specificità dei ballerini. 71 Le informazioni sugli autori e le case editrici di musiche e libretti sono state trovate all’interno dei libretti delle opere e dei balli consultabili anche online sul sito archiviostoricoteatrolafenice.org. 87 3.5 Predisposizioni tecniche: le ordinazioni Per il ballo “Rolla” è stato possibile consultare un documento72 che testimonia come avvenivano le commissioni per i tecnici, in questo caso particolare il pittore e il macchinista, che dovevano predisporre le scene in tempo utile agli artisti per effettuare le prove. Si tratta di una vera e propria descrizione di quanto doveva accadere in scena durante il ballo con indicazioni artistiche, tecniche e organizzative. Per prima cosa veniva indicata l’ambientazione che per questo ballo era Firenze nel 1562. Successivamente venivano descritte le varie scene con indicazioni su quanta e quale parte del palcoscenico era implicata. Si trova scritto, ad esempio, scena «a tutto il palcoscenico» o solo una parte e se la scena si svolgeva di giorno o di notte. Infine si procedeva alla descrizione di ogni singolo dettaglio. Nella scena prima, ad esempio, l’azione si svolgeva di giorno e la scena doveva mostrare un grande atrio del palazzo del Marchese Appiani nel quale dovevano essere esposte 5 statue raffiguranti Euterpe in 5 diversi atteggiamenti. La scena seconda doveva essere «fantastica, grandiosa e di effetto sorprendente»: avrebbe rappresentato il Panteon della scultura con all’interno diversi capolavori. Era richiesto che il passaggio dalla prima alla seconda scena, producesse un effetto «quasi magico» ottenuto grazie all’utilizzo di una grande luce ad illuminare le statue ed il fondale azzurro con stelle trasparenti e così via. Oltre a queste descrizioni utili a capire come si svolgeva l’azione sulla scena, erano forniti al pittore e al macchinista delle piante e degli schizzi che purtroppo non è stato possibile rinvenire. Possiamo però ipotizzare che da questi fosse possibile avere un’idea abbastanza chiara dei movimenti di scena e che successivamente si potessero prendere le misure del palcoscenico e delle impalcature necessarie allo svolgimento dell’azione. Dal punto di vista organizzativo è interessante mettere in evidenza che venivano espressamente indicate le scene che dovevano essere pronte al più presto per le prove dei ballerini e, ovviamente, i tempi entro i quali tutta la scenografia e l’allestimento dovevano essere allestite per la prima prova con le comparse. 72 Teatro la Fenice, “Ordinazioni”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472. 88 Per l’opera “Il Re di Lahore” è stato possibile vedere un modulo con la distribuzione degli attrezzi e le ordinazioni all’attrezzista. Su di esso era indicato il numero degli attrezzi richiesti, la tipologia (ad esempio: sciabole, bastoni dorati, mitrie ed altri ancora), i personaggi ai quali erano attribuiti da quelli principali fino ai coristi e l’atto nel quale erano richiesti. Un ultima voce del modulo lasciava lo spazio ad eventuali osservazioni e sotto di esso si trova l’indicazione Fig.no 8, Fig.no 12 ecc. Probabilmente erano forniti all’attrezzista, direttamente dall’editore o dall’impresario i figurini che contenevano precise indicazioni. Oltre ai costumi era curata con attenzione anche la capigliatura dei personaggi perciò, tramite un modulo di ordinazione, si informava il parrucchiere di quanto necessario. Per quest’opera furono pianificate 36 barbe per i coristi, 18 barbe per i ballerini, 13 barbe per le comparse scelte, 26 barbe per le comparse, 4 trecce per 4 ballerine ed 1 acconciatura assai elegante per la Suonatrice di flauto. Oltre al materiale di scena per i personaggi erano indicati anche gli attrezzi per il palcoscenico come ad esempio un grande tappeto indiano, piccoli cuscini di stoffa a fiori, un ombrello in oro indiano ecc. 3.6 Le prove Arrivati gli artisti sulla piazza era possibile per l’impresario avviare le prove delle opere e dei balli da mettere in scena. Per capire come si sviluppava il lavoro degli artisti ed avere informazioni sulla tempistica con la quale nell’ottocento si realizzava la stagione, è possibile analizzare gli avvisi di chiamata degli artisti. Si tratta di semplici fogli in cui erano indicate la data, l’ora e chi era impegnato nelle prove. Il lavoro delle due compagnie era distinto a seconda che si trattasse delle prove per l’opera o per il ballo. Quello che si ottiene è una sorta di moderno “piano prove” sul quale si possono fare alcune osservazioni. Prendiamo come riferimento la prima rappresentazione della stagione, il Re di Lahore, che era programmata per il 26 dicembre 1878. Possiamo distinguere due fasi nelle quali era organizzato il lavoro: una di studio per gruppi separati ed un’altra di lavoro d’assieme. Durante la prima fase dei lavori che, in questo caso, erano cominciati domenica 8 dicembre, gli artisti erano chiamati per gruppi a seconda dell’impiego che avevano nella rappresentazione. Potevano essere chiamati solo gli artisti principali, i coristi uomini o donne e lo stesso valeva per i ballerini che 89 potevano provare separati (solo uomini o solo donne) o tutti assieme. C’erano poi le prove dei mimi, delle comparse e dell’orchestra. Dopo circa una settimana, cominciavano ad essere messe assieme le varie parti: gli artisti di canto cominciavano a provare con i cori e l’orchestra e il corpo di ballo si riuniva per provare assieme. Le prove sul palcoscenico potevano essere di diverse tipologie come, ad esempio, la «prova di scena colle masse», la «prova di scena colle masse ed artisti al piano» e «tutti con orchestra»73. Infine l’anti-­‐ prova generale con il vestiario e la prova generale dove tutti, artisti e “tecnici” coinvolti, dovevano essere presenti per provare la rappresentazione dall’inizio alla fine senza interruzioni. Le prove per il Re di Lahore, opera di apertura della stagione, erano durate 15 giorni: cominciate l’8 dicembre, terminarono il 23 con la generale. Ovviamente il lavoro degli artisti e “tecnici” proseguiva per tutta la durata delle rappresentazioni a ritmi sostenuti. 3.7 Sorveglianza sul personale I certificati medici La direzione degli spettacoli era costretta, in un modo o nell’altro, a fare fronte alle defezioni degli artisti coinvolti nella realizzazione della stagione che, nel caso degli artisti primari, potevano portare anche al ritardo dell’andata in scena74. Molto spesso gli artisti accampavano delle scuse per non recarsi a teatro e per questo motivo, alcuni medici alle dipendenze della direzione erano incaricati di effettuare dei controlli e di redigere di volta in volta un certificato medico che attestasse la presenza o meno di tale malattia. Avevano l’obbligo di recarsi personalmente a casa dell’infortunato per visitarlo e scrivere poi il certificato. A fronte di infiammazioni, gonfiori, nevralgie e irritazioni di tutti i generi, le visite di controllo rilevavano anche assenze ingiustificate dal lavoro. Riportiamo due esempi su tutti di certificati relativi alla stagione presa in esame. Entrambi sono redatti dal dottor Pavan e sul primo si può leggere «la [ballerina] Sottomano mancò per un vero capriccio, non avendo io trovato in verun modo mal disposta nella salute» 75 mentre nel secondo «certifica il medico sottoscritto che il professore 73 Teatro la Fenice, “Prove”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472. Nella Gazzetta di Venezia del 28 gennaio 1879 si legge «In causa di leggera indisposizione del primo tenore, signor G. Ortisi, lo spettacolo annunziato per questa sera avrà luogo invece giovedì corrente». 75 Il certificato firmato, è datato 24 dicembre 1878. 74 90 d’orchestra suddetto non fu trovato a casa; e la sua sorella asserito, che probabilmente sarebbe al Caffè Florian […]»76. L’ispezione della scena Ma gli artisti non incorrevano in multe solo per aver mentito sulle loro condizioni di salute. Nel corso delle prove il loro comportamento veniva monitorato da alcuni ispettori di scena, che segnalavano alla direzione agli spettacoli tutte le anomalie per garantire l’andata a buon fine dello spettacolo. Sotto osservazione era il comportamento degli artisti durante il corso delle prove e delle rappresentazioni e si leggono gli atteggiamenti più svariati. Prendendo in esame solo uno si questi rapporti si può leggere di un corista brillo77, del primo clarinetto “svogliatissimo” che si rifiuta di suonare l’a-­‐solo, degli orchestrali che fumavano in una zona vicina al palcoscenico e del fumo che passava in sala e ancora di una ballerina che durante una recita «senza riguardo del pubblico continua a ridere tutta la sera». Gli artisti che si assentavano dalle prove e quelli che non avevano un comportamento adeguato a teatro dopo essere stati richiamati, subivano una multa pecuniaria di qualche lira78 registrata nel “libro delle multe”, un piccolo registro in cui era indicato il nominativo, il motivo della sanzione e l’importo monetario. Anche il macchinista e l’attrezzista potevano essere multati. Nel libro delle multe del teatro si trova una multa di 20 lire al macchinista signor Caprara Luigi per non aver realizzato le scene dell’opera “Ruy Blas” prima della prova generale come da accordi sottoscritti con la direzione e per essersi trovato senza il personale per il movimento delle scene all’antiprova. Sempre per la stessa opera, anche l’attrezzista Signor Capuzzo è tacciato di essere impreparato e anche lui multato di 20 lire. 76 Teatro la Fenice, “Certificati medici”. Reperibile presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice alla voce: spettacoli, A.5.1.2 – 472. 77 L’ubriachezza rappresentava un vero e proprio problema perché a più riprese tra le ispezioni si trovano indicazioni in merito. Tra queste, la segnalazione di un ballerino «così ubbriaco che dovetti arrischiarmi di nascondermi dietro una comparsa e guantarlo sul palcoscenico per evitare certo scandalo di vederlo disteso in terra. Domando una multa per costui che oltre di essere il più inetto da così scandalo agli altri». 78 Le ammende potevano essere di 3, 6, 10 , 12 lire fino a 20 lire nei casi più gravi. 91 3.8 Il controllo La fine della stagione era tempo di bilanci, sia per l’impresario che per la Società Proprietaria, non solo nei termini di quantificazione delle entrate e delle uscite, ma anche dell’andamento delle rappresentazioni relativamente al gradimento degli spettacoli e all’affluenza a teatro da parte del pubblico. Queste informazioni possono essere ricavate da fonti presenti all’interno dell’Archivio Storico ma anche dalla lettura di giornali e periodici79 dell’epoca che spesso si occupavano del teatro. Dopo aver fatto una breve panoramica sull’andamento della stagione secondo la critica cittadina e musicale, presenteremo uno schema con l’effettiva affluenza a teatro per tutto il corso delle rappresentazioni cercando di mettere a confronto la percezione generale con i dati effettivi reperibili nelle fonti d’archivio. Infine descriveremo le più importanti voci di bilancio sia per quanto riguarda l’Amministrazione Spettacoli che la Nobile Società Proprietaria. 3.8.1 Affluenza di pubblico Borderò serali Dall’analisi di uno schema redatto dalla Direzione agli spettacoli intitolato “Introiti serali”, è possibile ricavare informazioni sulla composizione del pubblico, il costo dei biglietti e l’affluenza media e totale per la durata di tutta la stagione. Da questo schema, abbiamo ricavato una tabella di sintesi (tabella 9) per mettere in evidenza la tipologia di dati e informazioni sul pubblico che la Nobile Società Proprietaria e l’impresario raccoglievano durante il corso dell’intera stagione d’opera. In esso vengono riportati: 1. il titolo degli spettacoli, la data e il numero delle repliche effettuate che, in relazione a quanto stabilito nel contratto d’appalto, potevano variare nel corso della stagione; 2. il numero dei biglietti d’ingresso a teatro e il numero di posti a sedere venduti per ogni rappresentazione; 3. il totale degli incassi serali compreso l’ammontare derivato dall’affitto dei palchi. Per quanto riguarda gli introiti serali, si può notare che essi erano suddivisi nei “prodotti di platea”, nei “prodotti di loggione” e negli introiti derivati dall’affitto dei palchi. Questi ultimi solitamente, 79 Quali “la Gazzetta di Venezia” o “la Gazzetta Musicale di Milano”. 92 erano quelli dei quali i soci decidevano di non usufruire per quella particolare stagione oppure erano quelli di proprietà sociale che si era deciso di mettere a disposizione dell’impresario. All’interno di queste tre categorie troviamo la suddivisione tra “biglietti d’ingresso” e “posti distinti” perché si poteva accedere a teatro senza necessariamente avere un posto a sedere. I biglietti d’ingresso potevano essere venduti a civili, bambini e militari (suddivisi in Ufficiali e militari di bassa forza) e per ogni sera di rappresentazione era registrato il numero complessivo di ingressi per ogni categoria ed il prezzo unitario del biglietto. Il totale degli incassi serali di ogni rappresentazione era ricavato dal prodotto tra il numero degli ingressi per il prezzo del biglietto. I posti distinti erano posti a sedere suddivisi in scanni e sedie a braccioli che venivano appositamente posizionate in platea o nel loggione a seconda che se ne fosse acquistato il diritto tramite il pagamento di un biglietto. Il prezzo unitario delle sedie a braccioli era superiore a quello degli scanni perciò venivano considerati separatamente. Al termine della stagione, la somma di tutti i biglietti venduti per le rispettive categorie dava il totale degli introiti ottenuti che compare nel bilancio dell’impresario alla voce “introito serale delle recite”. Per la stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 la somma finale è di 104.719 lire, al netto degli introiti di feste e veglioni. 93 TABELLA 11: schema del borderò per il rilevamento dei dati sul pubblico e gli introiti serali Teatro la Fenice Stagione di Carnevale e Quaresima 1878-­‐1879 – Introiti serali -­‐ Impresa Brunello RECITE PRODOTTI DI PLATEA Numero Data Spettacolo Biglietti di ingresso Posti distinti PRODOTTI DI LOGGIONE PALCHI PRODOTTI CUMULATIVI SERALI Biglietti di ingresso Posti distinti Civili Militari -­‐ufficiali -­‐bassa forza Fanciulli Sedie a braccioli Scanni -­‐prime file -­‐ultime file Dai dati contenuti in questo schema è stato ricavato un grafico dal quale possiamo vedere l’affluenza totale di pubblico per ogni opera (somma degli spettatori presenti ad ogni recita) e una tabella riassuntiva che rappresenta in percentuale l’affluenza totale per ogni opera calcolata sul totale degli spettatori dell’intera stagione che era di 28.553 persone. 94 GRAFICO 1: affluenza totale di pubblico per ogni opera (somma delle persone presenti a tutte le rappresentazioni) 7000 6555 Il Re di Lahore 6000 Ruy Blas e Ballo Rolla 4754 5000 4990 4776 Re di Lahore e Ballo Rolla Cleopatra e Ballo Rolla 4000 3103 2957 3000 Cleopatra e Ondina Mae-istofele e Ondina 2000 Me-istofele e Ballo Rolla 722 1000 172 524 Balli Ondina e Rolla Il Re di Lahore e ballo Ondina 0 Af-luenza di pubblico TABELLA 12: affluenza totale per ogni opera in percentuale Il Re di Lahore 16,0% Ruy Blas e Ballo Rolla 17,5% Re di Lahore e Ballo Rolla 23,0% Cleopatra e Ballo Rolla 10,4% Cleopatra e Ondina 2,5% Mefistofele e Ondina 10,9% Mefistofele e Ballo Rolla 16,7% Balli Ondina e Rolla 0,6% Il Re di Lahore e ballo Ondina 1,8% 95 Il grafico e la tabella sopra presentati danno un’indicazione solo parziale del grado di economicità di relativo ad ogni opera perché non tengono conto del numero di repliche per ogni spettacolo. Il grafico 2 presenta i dati sull’affluenza di pubblico mediati col numero di repliche di ogni opera. Per comprendere l’operazione alla base del grafico elenchiamo il numero di repliche dei vari titoli messi in scena: § Il Re di Lahore: 8 repliche; § Ruy Blas e Ballo Rolla: 5 repliche; § Re di Lahore e Ballo Rolla: 14 repliche; § Cleopatra e Ballo Rolla: 6 repliche; § Cleopatra e Ondina: 2 repliche; § Mefistofele e Ondina: 7 repliche; § Mefistofele e Ballo Rolla: 10 repliche; § Balli Ondina e Rolla: 1 rappresentazione; § Il Re di Lahore e ballo Ondina: 1 rappresentazione. GRAFICO 2: affluenza media di pubblico per ogni recita (numero di persone) 1200 Il Re di Lahore 998 1000 Ruy Blas e Ballo Rolla Re di Lahore e Ballo Rolla 800 600 400 Cleopatra e Ballo Rolla 594 468 493 443 524 478 Cleopatra e Ondina Mae-istofele e Ondina 361 Me-istofele e Ballo Rolla 172 200 Balli Ondina e Rolla Il Re di Lahore e ballo Ondina 0 Af-luenza media 96 Parlando degli incassi, presentiamo il grafico 3 che è complementare al grafico 1 in quanto presenta il totale degli incassi delle varie rappresentazioni di ogni titolo. Similmente a quanto fatto in precedenza, proponiamo anche la tabella con i dati in percentuale degli incassi totali calcolati sul totale degli incassi della stagione che ammontava a 104.719 lire. GRAFICO 3: incassi totali per ogni opera (somma in lire degli incassi di ogni recita) 25000 23229,7 Il Re di Lahore 18919,3 20000 17222,6 Re di Lahore e Ballo Rolla 15417 15000 Cleopatra e Ballo Rolla 13510,3 11145,6 Cleopatra e Ondina 10000 5000 Ruy Blas e Ballo Rolla Mae-istofele e Ondina Me-istofele e Ballo Rolla 3001 1877,5 396,3 Balli Ondina e Rolla Il Re di Lahore e ballo Ondina 0 Incassi Serali TABELLA 13: incassi totali per ogni opera in percentuale Il Re di Lahore 14,7% Ruy Blas e Ballo Rolla 16,4% Re di Lahore e Ballo Rolla 22,2% Cleopatra e Ballo Rolla 10,6% Cleopatra e Ondina 2,9% Mefistofele e Ondina 12,9% Mefistofele e Ballo Rolla 18,1% Balli Ondina e Rolla 0,4% Il Re di Lahore e ballo Ondina 1,8% 97 Ancora una volta presentiamo nel grafico 4 gli incassi relativi ad ogni opera rappresentata mediati con il numero di repliche effettuate nel corso della stagione. Per i dati relativi alle repliche rimandiamo a pagina 96. GRAFICO 4: incassi medi per ogni opera (in lire) 2500 2000 Il Re di Lahore 1927,2 1857,6 1930 1891 1659,5 Ruy Blas e Ballo Rolla 1777,5 Re di Lahore e Ballo Rolla 1500 1500 Cleopatra e Ballo Rolla Cleopatra e Ondina 1000 Mae-istofele e Ondina 500 396,3 334,52 Me-istofele e Ballo Rolla Balli Ondina e Rolla 0 Incassi medi Il Re di Lahore e ballo Ondina Al fine di farsi un’idea di quale poteva essere l’aspetto della sala in relazione all’affluenza di pubblico, abbiamo calcolato la percentuale media di riempimento della sala per ogni replica dello stesso titolo. Ad esempio, ad ogni rappresentazione de “Il Re di Lahore”, erano occupati il 29,7% dei posti disponibili in sala che erano circa 2000. 98 TABELLA 14: affluenza media per ogni recita in percentuale rispetto al totale dei posti disponibili in sala Il Re di Lahore 29,7% Ruy Blas e Ballo Rolla 49,9% Re di Lahore e Ballo Rolla 23,4% Cleopatra e Ballo Rolla 24,65% Cleopatra e Ondina 18,5% Mefistofele e Ondina 22,15% Mefistofele e Ballo Rolla 23,9% Balli Ondina e Rolla 8,6% Il Re di Lahore e ballo Ondina 26,2% Per ogni replica è possibile sapere l’ammontare degli introiti serali. Le combinazioni con le quali gli spettacoli venivano messi in scena, come si può vedere, erano molteplici ed ognuna poteva avere più o meno incassi. Come abbiamo detto in precedenza, incide sul totale anche il numero di volte in cui l’opera è stata riproposta. In generale, se un’opera non veniva replicata era perché aveva avuto poco successo di pubblico. 99 3.8.2 Bilancio dell’Amministrazione Spettacoli Come abbiamo detto in precedenza, il bilancio dell’Amministrazione Spettacoli era redatto dall’impresario e riguardava unicamente le entrate e le uscite relative all’organizzazione della stagione d’opera. Di questo bilancio analizzeremo le voci più significative relative alla stagione di Carnevale-­‐ Quaresima 1878-­‐1879. Per quanto riguarda la spesa per la compagnia di canto, possiamo rilevare che incide del 21% circa sul totale delle uscite. Nel bilancio che abbiamo a disposizione (Allegato 1) sono indicati i nominativi degli artisti facenti parte della compagnia ed relativo cachet. Tra i compensi più alti ci sono quelli della prima donna con 15.500 lire e del tenore con 15.000 lire. Anche per la compagnia di ballo le prime parti percepiscono il compenso più alto all’interno della loro sezione ma molto inferiore a quello dei cantanti: la prima ballerina assoluta riceve 5.500 lire ed il primo ballerino 3.500 lire. Per quanto riguarda l’orchestra sappiamo che fino al 1875 la Nobile Società Proprietaria riteneva dalla somma assegnata come dotazione all’impresario (che da contratto d’appalto era di 110.000 lire80) la somma di 35.000 lire che serviva a stipendiare i musicisti. Questo perché l’orchestra era una vera e propria associazione che si era istituita nel 1831 con un proprio regolamento interno. Oltre alla somma complessiva è possibile risalire anche alle paghe di ciascun orchestrale relative alla sua posizione in orchestra. Per i violini ad esempio c’era una paga diversa a partire dal “primo violino all’opera” che percepiva un soldo stagionale di 1.200 lire fino ad arrivare all’ultimo violino di fila che guadagnava 200 lire. Allo stesso modo è possibile sapere il costo di ogni orchestrale e l’ammontare complessivo del costo dell’orchestra che era stimato appunto a 35.000 lire. Nel 1875 la Società Proprietaria, a causa di tale spesa che gravava sugli appaltatori ed in relazione ai singoli contratti, resi sempre più gravosi anche dalla decisione presa in quegli anni di rendere obbligatoria la stagione d’Estate, decise di avviare le procedure per lo scioglimento dell’associazione. Comunque resta un riferimento utile a capire quanto potesse costare l’organico orchestrale per una stagione. Per la stagione del 1878-­‐1879, spettava all’impresario la scrittura di ogni singolo musicista dell’orchestra. 80 Art. 55, titolo IV – attività dell’impresa, del capitolato normale d’appalto valido per il triennio 1875-­‐76, 1876-­‐77, 1877-­‐78. 100 Ecco lo schema di bilancio dell’amministrazione spettacoli 1878-­‐1879: TABELLA 15: riepilogo dello schema di bilancio dell’amministrazione spettacoli ENTRATE Introito serale delle Lire recite Dotazione “ ” Abbonamento “ “ Introito lordo “ “ Cavalchina Fitto Caffè e “ “ guardaroba TOTALE ENTRATE 101.217,70 Compagnia di canto USCITE 100.000 Compagnia di ballo 35.800 Masse 4.332 Spartiti musicali 1.500 Direttori, Maestri ed Impiegati 242.849,70 Vestiario e gioielli Scene Calzature Bigiotteria Re di Lahore Attrezzi Macchinismo Parrucchiere Tassa governativa Gas Spese Traverse Spese serali compresa Cavalchina TOTALE USCITE Lire 55.636 “ “ “ “ “ “ 19.700 77.260 8.500 “ “ 5.306 “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ 30.000 5.420 2.911 1.000 2.750 11.300 500 7.000 9.000 5.648 19.450 261.381 RIASSUNT0 USCITA ENTRATA Lire “ “ 261.381,00 242.849,70 DEFICIT “ “ Compenso avuto dal Maestro Bonamici per “ “ l’Opera Cleopatra 18.531, 30 8.000 Differenza a danno dell’Impresa 10.531,30 101 3.8.3 Lo schema di circuito finanziario Dopo aver descritto, della nostra stagione, come ne avveniva l’organizzazione, quali erano i documenti formali che ne caratterizzavano la gestione e quali dati erano registrati e tenuti in considerazione da chi allora conduceva le attività, cercheremo di rappresentare sinteticamente il legame tra tutti questi aspetti tramite lo schema del Circuito Finanziario elaborato dal dott. Carlo Rossi nella tesi dal titolo «Il teatro come impresa: la Fenice negli anni 1836-­‐66». Lo schema ci permette di mettere in relazione le diverse competenze e i collegamenti tra i diversi livelli di amministrazione del teatro ed i risultati ottenuti nella realizzazione della stagione d’opera. Il punto di partenza è rappresentato, al centro dello schema, dall’interazione tra la società proprietaria e l’impresario che, dopo essersi accordati in via preliminare, stipulano il contratto d’appalto. Come abbiamo detto, si tratta di un documento fondamentale perché determina le obbligazioni tra le parti e definisce le responsabilità economiche a carico rispettivamente alla Nobile Società Proprietaria o all’impresario. Società ed impresario, sulla base del contratto d’appalto, predispongono due differenti schemi di bilancio, il primo con i risultati di gestione del teatro compresa la somma da destinare all’amministrazione spettacoli (dotazione), il secondo con i risultati di gestione della stagione d’opera organizzata anche sulla base della somma in denaro ricevuta dalla Società Proprietaria. Il collegamento tra i due avviene nel momento in cui viene trasferita la dotazione che passa dalle uscite della Società Proprietaria alle entrate dell’Amministrazione Spettacoli. Il risultato della gestione era frutto dell’andamento di tutto il sistema produttivo: una perdita sul bilancio della stagione coinvolgeva anche i conti della società proprietaria, costretta in ogni caso a coprire le spese, mentre un eventuale (ma molto raro) guadagno restava all’impresario e veniva ripartito tra i suoi collaboratori. L’analisi dello schema è legata alla considerazione della dotazione, che si trova tra le uscite del Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria: la somma contenuta viene trasferita ad altre amministrazioni ed alimenta tutte le operazioni economiche che tramite essa è possibile effettuare. Nel nostro caso, le risorse finanziarie provenienti dalla dote entrano nel Bilancio degli Spettacoli e a loro volta, generano uscite che determinano il risultato finale della gestione. 102 ELABORAZIONE: DOTT. CARLO ROSSI SCHEMA 10: il circuito finanziario Cassa dell’esercizio precedente Sussidio comunale ENTRATE Canone pagato dai palchettisti: a. Ordinario b. Straordinario Dotazione Spettacoli per la Stagione X Altro: *Affitti; *Agio Valute; *Entrate straordinarie; USCITE Spese per la costruzione del teatro dopo l’incendio Spese diverse: *assicurazioni; *onorari di amministrazione; *affitti; *imposte fondiarie; *vitalizi; *altro; predispone il conto preventivo ed il conto consuntivo Nobile Società Proprietaria del Teatro la Fenice Contratto d’appalto Impresario Appaltatore predispone i resoconti dell’amministrazione spettacoli USCITE *Compagnia di canto; *Compagnia di ballo; *Orchestra; *Vestiario; *Scenografia; *Attrezzature m acchinario; *Illuminazione; *Spese serali; *Stampe; *Copisteria e noleggio spartiti; *Anti incendio; *Custode del teatro; *Cauzione a garanzia degli obblighi *altro Dotazione Spettacoli per la stagione X ENTRATE *Prodotto abbonamenti; *Prodotto biglietti serali; *Vendita scanni; *Prodotto della Cavalchina e di altre feste in teatro; *Affitto del diritto di caffetteria e guardaroba; *Affitto del diritto di dare balli e m ascherati e del veglione; *Affitto di palchi assegnati a favore dell’impresa; *Affitto annuo Società Apollinea; *Diritto esclusivo a che resti proibito ad altri di Venezia di dare opere e balli; *altro; RISULTATO DI GESTIONE Perdita Guadagno 103 Per completare l’analisi del circuito finanziario della stagione 1878-­‐1879, oltre allo schema di Bilancio dell’Amministrazione Spettacoli che abbiamo presentato nel paragrafo 3.8.2, dobbiamo analizzare lo schema di Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria. TABELLA 16: sintesi schema di Conto Consuntivo della Nobile Società Proprietaria ENTRATE TITOLI Restanze attive al 30 aprile 1878 Sopravvenienze attive Affitti attivi Compensi ed abbonamenti attivi Prodotti diversi straordinari Prestiti restituibili Canoni Partite di giro TOTALE ENTRATE 15.133,63 716,26 7.561,75 599,23 4.287,90 76.000 129.667 22.228,73 256.194,50 USCITE TITOLI Restanze passive al 30 aprile 1878 Sopravvenienze passive Onorari Affitti attivi Assicurazioni dagli incendi Manutenzione mobili e locali Imposte pubbliche Dotazione spettacoli Nuove Opere Spese di Cancelleria Spese diverse Compensi ed abbonamenti passivi Concorrenza alle spese del Liceo Musicale Benedetto Marcello e del Monumento a Re Vittorio Emanuele Pensioni Fondo di riserva Partite di giro TORALE USCITE 8.153,60 2.370,50 4.700 1.347 6.626,84 10.902,62 4.371,15 103.621,15 95.338 477,03 1.376,01 759,08 3.500 998,50 22.228,73 266.770,40 BILANCIO Esazioni 254.696,68 Pagamenti 251.307,91 Fondo in rimanenza 3.388,77 Restanze da esigersi 1.497,82 Totale restanze attive 4.886,59 Restanze da pagarsi 15.462,49 Risultanza finale passiva al 30 aprile 1879 10.575,90 104 Mentre per quanto riguarda le uscite, ci è stato possibile visionare il dettaglio delle spese contenute negli allegati passivi, per le entrate, non è stato possibile. Quello che possiamo fare, però, sono delle osservazioni basate su quanto detto nella parte generale. Le più importanti fonti di entrata erano: il canone81 pagato per la stagione dai soci che ammonta a 129.667 lire, e da 76.000 prese in prestito che compaiono sotto la voce “prestiti restituibili”. Facciamo notare che, a differenza di altri bilanci consuntivi, tra le entrate, non compare alcun concorso del Comune o del Municipio alle spese del teatro. Per questo motivo supponiamo che l’amministrazione del teatro per quest’anno fosse avvenuta in totale indipendenza dal sostegno pubblico. In relazione alla stagione presa in esame, desumiamo dal contratto d’appalto che la somma destinata alla messa in scena degli spettacoli (ovvero la dotazione) ammontava a 100.000 lire che infatti compaiono tra le entrate del bilancio dell’impresario. Questa somma, erogata dalla Società Proprietaria in diverse rate, costituiva la base finanziaria sulla quale l’impresario doveva organizzare gli spettacoli. Poi, si aggiungevano ad essa gli introiti derivati dalla vendita dei biglietti, degli abbonamenti, dalla Cavalchina e quelli derivati dall’affitto del Caffè e del Guardaroba. Nei casi di ordinaria amministrazione (non in caso di fallimento), solo alla fine della stagione, dopo la redazione del bilancio, veniva quantificato l’ammontare del guadagno o della perdita derivata dall’amministrazione degli spettacoli. Il bilancio dell’amministrazione dell’impresario Brunello chiude in perdita di circa 10.000 lire, ma è singolare che, proprio a chiosa del documento di bilancio, l’impresario riporti delle annotazioni per un ipotetico appalto per l’anno successivo dove le spese, secondo lui, non sarebbero diminuite ma aumentate. Stima un aumento per la Compagnia di canto per poter scritturare un soprano, tenore e mezzo-­‐ soprano d’importanza; segnala che per le masse è impossibile qualsiasi risparmio come nel nolo degli spartiti e sostiene che le spese traverse potrebbero «ascendere ad una somma di molto più forte dovendosi calcolare le eventuali disgrazie e malattie di artisti e recite mancate per cause impreviste». Solo sul vestiario sarebbe possibile ottenere un ribasso nei costi. Sempre a fine stagione l’impresario propone alla Società Proprietaria l’appalto alla sua impresa per le stagioni di Carnevale-­‐Quaresima 1879-­‐80, 80-­‐81, 81-­‐82. 81 Il Canone poteva essere ordinario o straordinario se erogato per stagioni che non fossero quella di Carnevale-­‐ Quaresima. 105 Leggendo i verbali delle convocazioni si comprende che la società approva l’apertura del teatro per un triennio assegnando l’appalto a Brunello, ma non era d’accordo sull’aumento della dotazione; per questo motivo la società rilancia mettendo a disposizione le consuete 100.000 lire annue e prendendosi carico delle spese assunte dall’impresa per lo spettacolo 1878-­‐1879 (che ammontavano a 3.400 lire circa). Restava all’impresario la scelta di accettare, o meno, l’offerta entro otto giorni. Brunello dichiara di non poter assumere l’appalto a queste condizione e richiede nuovamente l’aumento della dotazione a 115.000 lire annue. La società riunita in convocazione è favorevole ad appaltare il teatro per tre anni e secondo il progetto dell’impresario Brunello, ma accordandogli la dote di 110.000 lire invece delle 115.000 da lui domandate e con la facoltà di scindere l’accordo in ogni momento. Per evitare di gravare sul canone dei palchi e quindi sui palchettisti, la società stabilisce di contrarre un prestito di 8500 lire al fine di mantenere ad un basso livello la tassazione degli stessi. 106 CONCLUSIONI Tramite l’analisi delle fonti primarie reperibili presso l’Archivio Storico del Teatro la Fenice, è stato possibile ricostruire il sistema produttivo di una stagione d’opera del 1800, più precisamente, quella di Canevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879. La scelta è ricaduta su questo periodo particolare per la volontà di prendere in considerazione i mutamenti che hanno caratterizzato il sistema dell’opera italiano nella seconda metà dell’Ottocento, dopo l’annessione di Venezia al Regno d’Italia. Partendo dallo studio del contesto storico, sociale e culturale, abbiamo individuato gli attori del sistema produttivo dell’opera lirica e fornito una panoramica dei caratteri distintivi di questo sistema, soffermandoci sul principio gerarchico che permeava tutti i livelli dell’organizzazione teatrale, e mettendo in evidenza come questo principio, pian piano, iniziava ad essere messo in discussione. Abbiamo visto come, nella seconda metà dell’Ottocento, la diffusione di idee liberali, la crisi economica e sociale e culturale, causarono importanti mutamenti nel mondo teatrale, che abbiamo cercato di descrivere seguendo lo sviluppo degli attori del sistema produttivo. Siamo partiti da chi poteva detenere la proprietà di un teatro, individuando diverse tipologie di proprietà e descrivendo le diverse modalità di conduzione delle attività artistiche. Ci siamo soffermati in particolare sulla figura dell’impresario, perché il sistema impresariale era quello più rappresentativo in questo periodo storico. Egli, da protagonista assoluto nell’organizzazione della stagione, impegnato in diversi teatri, verrà gradualmente stretto tra le pressioni esercitate dai proprietari dei teatri e le crescenti pretese delle case editrici musicali, che svilupparono le loro attività nella seconda metà del 1800 anche grazie alla legislazione sul diritto d’autore. Saranno proprio gli editori, per poter meglio gestire i propri interessi, a prendere il posto dell’impresario nella conduzione della stagione d’opera. Infine, ci siamo concentrati sulla stagione, individuando i momenti organizzativi fondamentali come l’appalto, la scrittura della compagnia di canto e così via, e le competenze professionali tecniche e artistiche messe in campo per la sua buona riuscita. Fondamentale nella ricostruzione è stato il manuale di Giovanni Valle del 1859, dal titolo «Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali». In questo libro, suddiviso in parti e articoli, si trovano tutte le norme e le consuetudini teatrali, da rispettare in caso di organizzazione della stagione, compresi gli obblighi e i diritti di qualsiasi persona che prestava la propria opera in teatro. Segnaliamo l’utilizzo del 107 termine aziende teatrali che sta ad indicare che, anche nell’Ottocento, il teatro era considerato un’attività produttiva nella quale circolavano capitali che, direttamente o indirettamente, fornivano lavoro a quanti gravitavano attorno ad esso. Infine ci siamo occupati del pubblico perché anch’esso muta nel ruolo e nella composizione: da una situazione in cui era quasi unicamente composto da nobili aristocratici, allo stesso tempo promotori e committenti delle opere, a quella di un pubblico allargato fatto di persone provenienti anche da altri strati della popolazione. Il passo successivo è stato quello di verificare quanto detto sopra, prendendo ad esempio un caso concreto e applicando ad esso lo schema generale sopra esposto. La scelta più giusta è sembrata quella di analizzare un caso preso dall’esperienza del Gran Teatro la Fenice, non solo perché è un teatro di importanza internazionale, ma per la grande disponibilità di informazioni presenti nel suo archivio a partire dall’inaugurazione, nel 1792, fino ai giorni nostri. Vi si trovano non solo le partiture e i libretti delle opere ma anche carte e documenti che testimoniano della gestione del teatro in tutti i suoi aspetti. La complessità maggiore emersa durante il lavoro di ricerca è stata quella di comprendere quali informazioni utilizzare, partendo dal principio di non piegare i dati in funzione di una tesi, ma di verificare quali informazioni era possibile ricavare dai dati e su quelle costruire tutto il lavoro. Dalla lettura dei documenti primari, abbiamo individuato quali erano i soggetti attorno ai quali si reggeva l’intero sistema produttivo ovvero la Nobile Società Proprietaria del teatro, l’associazione di palchettisti proprietaria del teatro e anche qui, l’impresario. Individuati i soggetti e compreso che il centro attorno a cui gravitava tutto il sistema produttivo era la stagione d’opera, ci siamo concentrati su di essa. Abbiamo individuato una stagione precisa, quella di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879 e ne abbiamo descritto i tempi e i modi di realizzazione, il personale artistico e tecnico coinvolto, il ruolo del pubblico, senza trascurare il modo in cui venivano reperite ed impiegate le risorse finanziarie. Il primo dei soggetti che abbiamo descritto è stata la Nobile Società Proprietaria del Teatro la Fenice, una società di palchettisti che si occupava della gestione del teatro in tutti i suoi aspetti, dalla manutenzione dei locali, all’affitto delle sale, all’attività artistica. Successivamente, abbiamo parlato dell’impresario, che aveva il compito di gestire concretamente la stagione teatrale ad esso affidata, e del contratto d’appalto, il documento che definiva formalmente gli obblighi tra i due sia per quanto 108 concerneva gli aspetti artistici che quelli gestionali ed economici. In esso era precisata la durata dell’appalto, il numero delle recite e la tipologia delle opere e dei balli, il materiale concesso in uso all’impresario, il costo di biglietti e abbonamenti e così via. Poi ci siamo concentrati sulla stagione e su come era stata organizzata partendo dalle idee sulle opere liriche da realizzare, fino alla messa in scena. Abbiamo messo in evidenza le numerose e diverse competenze coinvolte nella sua realizzazione a partire dal compositore e del librettista, passando dai tecnici, indispensabili per la realizzazione e il movimento della scena e occupandoci infine del ruolo della compagnia di canto e di ballo. Se è possibile considerare la stagione in modo unitario dal punto vista organizzativo, non è possibile fare lo stesso dal punto di vista contabile, perché esistevano più amministrazioni separate che davano origine a diversi bilanci separati. I più importanti e quelli che siamo stati in grado di analizzare per il periodo preso in considerazione, erano quelli della Nobile Società Proprietaria e dell’Impresario anche se, fino a poco tempo prima, l’orchestra e la scuola di ballo del teatro costituivano altre due entità autonome con un proprio sistema di rendicontazione. Il principio col quale venivano effettuate le registrazioni era quello finanziario (entrate ed uscite) ed ogni amministrazione aveva un proprio fondo cassa. Nonostante questa autonomia economica e finanziaria, i bilanci erano collegati: una stessa voce compariva in un bilancio tra le uscite e, nell’altro, tra le entrate. Questo aspetto è messo particolarmente in evidenza nello schema di circuito finanziario elaborato dal dott. Carlo Rossi e utilizzato come riferimento dell’analisi. L’esempio che più di altri mette in evidenza il collegamento tra le varie amministrazioni, è quello della Dotazione Spettacoli cioè di quella somma che i palchettisti mettevano a disposizione dell’impresario per gestire la stagione teatrale; essa compare tra le uscite della Nobile Società Proprietaria e tra le entrate dell’Amministrazione Spettacoli. 109 SCHEMA 11: sintesi dell’elaborazione proposta Sistema produttivo del teatro d’opera del 1800 Carattere distintivo Principio gerarchico a tutti i livelli Attori Proprietà Impresario Editori musicali Pubblico Principio organizzativo La stagione d’opera Gran Teatro la Fenice Stagione di Carnevale Quaresima 1878-­‐1879 Soggetti Organizzazione Amministrazione 110 Facciamo una sintesi dei dati più significativi che abbiamo rilevato, prendendo in considerazione i due schemi di bilancio che è stato possibile analizzare nel corso della stagione di Carnevale-­‐Quaresima 1878-­‐1879. Per quanto riguarda l’amministrazione del teatro considerato per intero, ci riferiamo al Conto Consuntivo dell’amministrazione della Nobile Società Proprietaria. Il periodo amministrativo va dal 1° maggio 1878 a tutto aprile 1879. Dal lato delle entrate, tra le voci più significative troviamo i canoni (quella somma determinata dai palchettisti e versata da loro stessi ogni anno per la gestione del teatro) che ammontavano a 128.177 lire. Dal lato delle uscite, oltre alla somma per la dotazione il cui ammontare era di 103.248,03 lire, troviamo importanti spese nella rubrica “nuove opere” e un conseguente aumento delle uscite per quanto riguarda la manutenzione di mobili e locali a seguito degli importanti lavori di ristrutturazione approvati dalla società e avuti nell’anno quali: la realizzazione del loggione, i lavori di ampliamento del palcoscenico, lo spostamento dell’organo (che prima era stabile) e la realizzazione dei nuovi camerini di scena. Nel complesso, il bilancio chiude con una restanza finale passiva di 10.575,90 lire. Il bilancio degli spettacoli che ricordiamo, rispecchia solamente le entrate e le spese relative all’organizzazione della stagione d’opera, riporta tra le entrate più rilevanti il compenso della società proprietaria (la dotazione) che ammonta a 100.000 lire e gli introiti derivati dagli abbonamenti pari a 35.800 lire. Tra le uscite più importanti rileviamo la somma impiegata per la compagnia di canto con 55.636 lire e quella per le masse che ammonta a 77.260 lire. Facciamo notare che, al di là dei rispettivi cachet, i membri della compagnia di canto erano in 8 e i componenti delle masse considerati nell’assieme (corpo di ballo, orchestra e coro) erano più di un centinaio. Anche qui, il bilancio chiude con una perdita a danno dell’impresa pari a 10.531,30 lire. TABELLA 17: sintesi risultati diverse amministrazioni Bilancio nobile Società Proprietaria Bilancio Amministrazione Spettacoli Perdita 10.575,90 lire Perdita 10.531,30 lire 111 Sono singolari le considerazioni dell’impresario al termine del bilancio degli spettacoli in previsione di un possibile appalto per l’anno successivo. Considerato che il bilancio non era stato positivo, egli non prevede di ridurre le spese, ma mette in preventivo uscite ancora maggiori per l’anno venturo per poter organizzare una stagione ancora più spettacolare. Con questo, poggia le basi anche per richiedere alla Società Proprietaria una dotazione più alta di quella già concessa. Da questa analisi è emerso che, fondamentalmente, il meccanismo di realizzazione di un’opera lirica a partire dalla sua creazione fino alla messa in scena è rimasto invariato fino ai giorni nostri. Il compositore scrive ancora sulla base delle richieste del committente e delle caratteristiche vocali del cast artistico di cui dispone. Le necessità artistiche e tecniche della messa in scena al netto dei progressi tecnologici, sono le stesse. Gli attuali committenti, organizzatori e operatori pur operando in un contesto organizzativo, giuridico e amministrativo diverso, devono confrontarsi con un prodotto artistico che mantiene invariate le proprie caratteristiche e necessità. In conclusione, è pur vero che nell’Ottocento l’impresario si muoveva in un contesto più libero da vincoli burocratici e legislativi ma proprio per questo si può osservare una certa creatività nell’iniziativa imprenditoriale che, rispondendo direttamente alle esigenze del lavoro (che come abbiamo detto, sono rimaste le stesse), può essere un utile spunto di riflessione per le strategie attuali. 112 BIBLIOGRAFIA F. DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino, 1993 L. BIANCONI, Il teatro d’opera in Italia geografia, caratteri, storia, Il Mulino, Bologna, 1993 J. ROSSELLI, Il sistema produttivo, 1870-­‐1880, in Storia dell’Opera Italiana vol. IV, EDT, Torino, 1987 L. BIANCONI. G. PESTELLI, Storia dell’opera italiana, vol.4, EDT, Torino, 1897 F. MANCINI, M.T MURARO, E. POLVEDO, I teatri del Veneto, Corbo e Fiore-­‐Regione Veneto, Venezia, 1996 J. ROSSELLI, L’impresario d’opera – arte e affari nel teatro musicale italiano dell’Ottocento, EDT, Torino, M. MORINI, N. OSTALI, P. OSTALI, Casa Musicale Sonzogno-­‐Cronologie, saggi, testimonianze, Casa Musicale Sonzogno, 1994 E. ROSMINI, La legislazione e la giurisprudenza dei teatri, Vol. I, Editore Manini, 1872 G. VALLE, Cenni teorico-­‐pratici sulle aziende teatrali, Milano 1859 E. SURIAN, Manuale di storia della musica, Vol. 3, L’Ottocento: la musica strumentale e il teatro d’opera, Rugginenti, Milano, 1993 F. ROSSI – M. GIRARDI, Cronologia degli spettacoli: 1792-­‐ 1936, Albrizzi Editore, Venezia, 1989 R. ZAMBON, 1832-­‐1862: la breve storia della Scuola di Ballo del Gran Teatro la Fenice, nel periodico Chorèographie-­‐Studi e ricerche sulla danza, di Giacomo editore G. MONALDI, Impresari Celebri del secolo XIX, S. Cappelli, S. Rocca, Casciano 1918 A. BELLINA, M. GIRARDI, La Fenice 1792-­‐1996: il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa, Marsilio Editore, Padova, 2004 Le Garzantine – Musica, Garzanti Editore, Milano, 2007 M. MILA, Breve storia della musica, Einaudi, Torino, 2005 C. DASSORI, Opere e operisti, Arnaldo Fornoni editore, Genova, 1903 AA.VV., L’opera tra Venezia e Parigi, Leo S. Olschki editore, 1990 AA.VV., Opera e libretto, Vol. I, Leo S. Olschki editore, 1990 La Gazzetta Musicale di Venezia, quotidiano di Venezia Il Teatro Illustrato, periodico edito da Sonzogno La Gazzetta Musicale di Milano, mensile edito da Ricordi 113 Allegato 1: BILANCIO DEGLI SPETTACOLI ENTRATA Recite serali USCITA Lire Compagnia di canto Lire Recita 1 Il Re di Lahore 3864,70 1° donna soprano Fossa 15500 “ 2 idem 1413,40 1° donna mezzo soprano Treves 2200 “ 3 idem 1580,20 1° tenore Ortisi 15000 “ 4 idem 2514,20 1° baritono Brosi 12000 “ 5 idem 948,50 1° basso Novara 8500 “ 6 idem 2356,50 Comprimaria Cane 800 “ 7 idem 1590,50 Comprimario Bonivento 936 “ 8 Idem e 1° del 3457,50 Comprimario Stecchi 700 2710,50 ballo Rolla “ 9 Ruy Blas e ballo Rolla “ 10 idem 2637,50 Compagnia di ballo “ 11 idem 1859,70 Coreografo Manzotti 1500 (nolo musica Rolla) “ 12 idem 1907,50 Coreografo Pallerini (produzione 1750 Ondina) “ 13 Il re di Lahore 1749,50 Coreografo Coppini 700 (riproduzione Rolla) “ 14 Ruy Blas e Ballo 2702,50 1° ballerino assoluto Cornalba 5500 Rolla “ 15 idem 1195,50 1° supplemento De Maria -­‐Cecchetti 1500 “ 16 idem 1230,10 1° ballerino e compositore dei 3500 ballabili Cecchetti “ 17 idem 1507,60 1° mima assoluta Pratesi 1000 “ 18 idem 1523,20 1° mima Martinotti 400 “ 19 Il Re di Lahore e 2623,20 1° mimo assoluto Pratesi 600 ballo Rolla “ 20 idem 2521,50 1° mimo assoluto Santarelli 900 “ 21 idem 1801,50 Mimo Fossaluzza 400 “ 22 idem 1872,50 Mimo Cecchetti 300 “ 23 Cleopatra 2567,50 “ 24 idem 1750,50 Masse “ 25 Cleopatra e ballo 1465,50 n. 32 seconde ballerine 22200 114 Rolla “ 26 idem 1474,30 n. 16 secondi ballerini 5450 “ 27 Il Re di Lahore e 1509,50 Orchestra 29500 1552,50 Coro compresi fanciulli e 20110 ballo Rolla “ 28 Cleopatra e ballo Rolla “ 29 Il Re di Lahore e aumento Mefistofele 1831,70 ballo Rolla “ 30 idem 1851,50 Fornitori “ 31 Cleopatra e ballo 2335,50 Spartiti musicali Ricordi di Milano: 4000 Rolla *nolo opera Re di Lahore compreso il nolo degli strumenti speciali *nolo opera Mefistofele “ 32 Il Re di Lahore e 3002,50 Spariti musicali Lucca di Milano: ballo Rolla *nolo opera Ruy Blas compresi 700 2500 libretti “ 33 idem 2779,50 Attrezzi speciali Croce di Milano 250 Scrimagli ballo Rolla “ 34 Cleopatra e 1° del 2149,50 ballo Ondina “ 35 idem 856,50 Direttori, Maestri ed Impiegati “ 36 Mefistofele 2888,50 Maestro Direttore d’Orchestra Magi 1300 “ 37 idem 2059,60 Maestro Direttore d’Orchestra per il 1100 ballo Venanzi “ 38 Mefistofele e 2262,50 ballo Ondina “ 39 idem Segretario impresa Brunello 740 Vincenzo 1297,50 Sorvegliante al Gas Ianna 218 Per altre 11 recite calcolate a £ 2.000 22,000 Portiere Lazzari 218 Totale introiti serali 101217,70 Avvisatore Tosi 260 Avvisatore Zanardini 260 Abbonamento, ingresso, poltrone e 35800 Portiere alla scena e pulizia del 480 scanni teatro Adami Compenso della Società Proprietaria 100000 (dotazione) Cavalchina, introito lordo 4332 Direttore sarti Zamperoni 480 Fitto Caffè e Guardaroba 1500 Assistente Berretter 2 mesi e mezzo 250 TOTALE ENTRATE 242849,70 Tassa di n. 50 recite a 140 lire 7000 cadauna 115 Gas tutta la stagione come da 9000 ricevute presso la Direzione Spese traverse come da registro 5648 apposito Spese serali della Calvalchina come 2450 a Nota Spese serali compresa la Banda 17000 (vedi note di 5 in 4 recite. N.50 recite in media a lire 340 cadauna recita) TOTALE USCITE 261381 116 Allegato 2: CONTO CONSUNTIVO DELLA NOBILE SOCIETA’ PROPRIETARIA 1878-­‐1879 INTROITO 14940,43 749,54 7561,75 277,95 3000 76000 128340,63 -­‐-­‐ Restanze attive a tutto 30 aprile 1878 Sopravvenienze attive Affitti attivi Compensi ed abbonamenti attivi Prodotti diversi straordinari Prestiti restituibili Canoni Partite di giro SOMME Rubriche Somme approvate in preventivo TITOLI esatte I II III IV V VI VII VIII 15133,63 716,26 7561,75 590,93 4387,90 76000 128177,48 22228,73 25496,68 da esigersi -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ 8,30 -­‐-­‐ -­‐-­‐ 1489,52 -­‐-­‐ 230870,30 1497,82 Differenza in confronto del preventivo in totali più 15133,63 193,20 716,26 -­‐-­‐ 7561,75 -­‐-­‐ 599,23 321,28 4287,90 1287,9 76000 -­‐-­‐ 128177,5 1326,4 22228,73 22228,73 256194,5 25357,48 meno -­‐-­‐ 33,28 -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ 33,28 8176,32 2379,5 4700 1502,4 5389,84 9031 4450 100000 88867,16 TITOLI Restanze passive a tutto 30 aprile 1878 Sopravvenienze passive Onorarii Affitti attivi Assicurazioni dagli incendi Manutenzione mobili e locali Imposte pubbliche Dotazione spettacoli Nuove opere SOMME Rubriche Somme approvate in preventivo USCITA I II III IV V VI VII VIII IX pagate 8084 2370,5 4700 1347 6626,84 10902,62 4371,15 103248,03 82386,77 da pagarsi 69,6 -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ 373,12 1295,42 Differenza in confronto del preventivo in totali più meno 8153,6 2370,5 4700 1347 6626,84 10902,62 4371,15 103621,15 95338,19 -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ 1237 1871,62 -­‐-­‐ 3621,15 6471,03 22,72 8 -­‐-­‐ 155,4 -­‐-­‐ -­‐-­‐ 78,85 -­‐-­‐ -­‐-­‐ 117 408,68 1200 -­‐-­‐ 3500 -­‐-­‐ 874,08 -­‐-­‐ 230870,30 Spese di cancelleria Spese diverse Compensi ed abbonamenti passivi Concorrenza alle spese del Liceo Musicale Benedetto Marcello e del Monumento a re Vittorio Emanuele Pensioni Fondo di riserva Partite di giro X XI XII XIII XIV XV XVI 408,68 68,35 1376,01 -­‐-­‐ 759,08 -­‐-­‐ 1500 2000 -­‐-­‐ -­‐-­‐ 998,5 -­‐-­‐ 22228,73 -­‐-­‐ 251307,91 15462,49 477,03 -­‐-­‐ 1376,01 176,01 759,08 759,08 3500 -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ 998,5 124,42 2228,73 22228,73 266770,4 36480,04 322,8 -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ -­‐-­‐ 587,9 BILANCIO Esazioni…………………………………………………L. 254696,68 Pagamenti……………………………………………..» 251307,91 Fondo di rimanenza al 30 aprile 1879…….» 3388,77 Restanze da esigersi……………………………….» 1497,82 Totale restanze attive…………………………….» 4886,59 Restanze da pagarsi……………………………….» 15462,49 Risultanza finale passiva al 30 aprile 1979 10575,9 118