Vita e filosofia secondo Enrico Berti

Vita e filosofia
Enrico Berti
secondo
di Mariano Colla
Enrico Berti
Può la filosofia costituire una norma di vita? Quali appigli
la filosofia offre a una umanità spesso smarrita e alla
ricerca di un senso delle “cose”? Ci si può ispirare alla
razionalità e all’etica filosofica in un mondo i cui valori
oscillano tra un irruente
materialismo e una fede
che
sublima nel trascendente le inquietudini esistenziali?
Risposta difficile e complessa. Il prof. Enrico Berti, già
docente di “storia della filosofia” all’università di Padova,
ha elaborato una sua proposta nell’ambito della conferenza dal
titolo “Vita e Filosofia”, tenuta presso l’associazione romana
“Vivere con filosofia”.
Per dare concretezza al rapporto tra vita e filosofia, il
prof. Berti ha proposto un itinerario che illustrasse alcune
motivazioni promotrici di tale rapporto, sia nella relazione
vita e filosofia, che nella relazione inversa, ossia nel
ritorno alla vita dopo l’esperienza filosofica. Innanzitutto
la domanda che Berti si pone è “ perché scegliere la via
filosofica per vivere?”, quasi in contrasto con la celebre
massima latina : “primum vivere, deinde philosofari” che, in
qualche modo, secondo la pragmatica saggezza romana, sanciva
la primogenitura del vivere rispetto alla dimensione
spirituale e intellettuale invocata dalla filosofia.
La filosofia, quindi, quale strumento per una vita migliore.
Le motivazioni proposte da Berti hanno certamente una loro
opinabilità ma, come ogni proposta filosofica, devono essere
esaminate a fondo, esplorate nei loro elementi portanti,
accolte quale il distillato del lungo lavoro del pensiero
umano. Di certo i suggerimenti di Berti, come egli stesso
sostiene, non sono rivolti ai giovani quali incitazioni a
scegliere la filosofia come professione, perché la filosofia,
oggi, offre ben poche possibilità di lavoro, bensì a un
uditorio più ampio, sensibile alle tematiche filosofiche per
esigenze interiori.
Una prima motivazione, che Berti definisce esistenziale,
risale a Platone che, nel Protagora, fa dire a Socrate:
“esiste un’arte in grado di salvare la propria vita, non tanto
nel senso religioso, quanto nella concezione di
salvaguardarla, di non renderla inutile e di dedicarla quindi
a qualche cosa per cui valga la pena viverla ?”.
Secondo Socrate, perché ciò avvenga, ci si deve avvalere di
un’arte, di una techne, di una tecnica diremmo oggi,
costituita dalla stessa filosofia, affinché le scelte e le
impostazioni della nostra vita non siano prive di senso, di
valori e di orizzonte. La filosofia come motivazione
esistenziale, quindi, senza trascurare il rischio di
imbattersi in problematiche antiche, tuttora insondabili,
quali: perché siamo qui, cosa è il mondo, dove è la verità.
Chi si accosta alla filosofia, stimolato da tematiche
esistenziali, preferisce, inevitabilmente, gli autori che
maggiormente hanno impostato i loro studi sulle ragioni del
senso. Tra essi, oltre a Socrate e Platone, Sant’Agostino,
Pascal, Kierkegaard, tutti impegnati a lavorare sul senso
dell’esistenza.
All’opposto di un approccio alla filosofia dettato da motivi
esistenziali, troviamo un orientamento guidato da semplici
motivazioni intellettuali. Se la filosofia è una via per
capire, per ricercare il vero e il falso, il bene e il male,
il giusto e l’ingiusto, il lecito e l’illecito, essa diviene
uno strumento prezioso per approfondire e dipanare il perenne
dibattito tra scienza, fede e filosofia stessa. Nel mondo
anglosassone si è sviluppato un approccio alla filosofia che
si potrebbe definire di tipo generalista, dal nome “filosofia
analitica”, quale via per catalogare gli oggetti che popolano
il mondo: pensieri, sentimenti, cose, categorie, generi ,
specie, etc. Il filosofo americano Quine, in un celebre libro
dal titolo “What is there?”, trovava curioso che il «problema
ontologico» potesse adattarsi al formato familiare di una
domandina di tre parole. Ma che dire delle possibili risposte
a questa domanda? L’opera di Quine si propone di rispondere al
quesito ontologico riflettendo, per esempio, sulla pluralità
dei sistemi simbolici.
La filosofia, poi, come motivazione scientifica. La filosofia
sollecita domande, spesso di tipo scientifico, e lo sviluppo
tumultuoso della scienza, in questi ultimi decenni, è uno
stimolo continuo per chi ama la filosofia. Quesiti quali
“l’universo è sempre esistito e vive in uno stato di perenne
stazionarietà, oppure ha avuto origine dal big bang, oppure
ancora alterna stati di ordine a stati di disordine?
L’evoluzionismo è una teoria sufficientemente solida per
scalzare le credenze di creazionismo? In quale modo si può
dirimere l’irrisolto problema tra mente e corpo?”, continuano
a stimolare l’interesse comune, oltre a quello di scienziati e
filosofi.
Dove la scienza non arriva la filosofia cerca di elaborare le
sue risposte razionali. La filosofia è comunque una via per
capire e, sia coloro che lavorano ai confini del mistero,
quali scienziati e ricercatori, sia semplici persone di buona
cultura o viva curiosità, trovano conforto nella metafisica
filosofica senza incorrere nelle lusinghe del trascendente. La
motivazione filosofica quale approccio alla religione può
alleviare per molti fedeli le ansie connaturate ai dubbi
interpretativi dei dogmi e delle forme dettate dal magistero.
La fede, per alcuni, dà tutte le risposte, ma essere credenti
non significa, necessariamente, avere certezze. La fede non
è sapere. Scientificamente la resurrezione non esiste.
L’atto di fede
pone l’uomo di fronte a uno scenario
inverosimile, oppure tale scenario ha una sua logica che anche
il credente può accettare, senza annullare la dimensione
razionale del proprio sentire? Il rapporto tra filosofia e
fede non è inconciliabile, bensì può fornire elementi utili a
rinforzare la credibilità della fede. L’esistenza di Dio è
stata materia per filosofi credenti o meno. Pur tuttavia fanno
storia posizioni estreme tipo quella di Heidegger che diceva
“la scienza non pensa”, o di credenti che sostenevano che la
filosofia li rovinava.
Non meno rilevanti, per un avvicinamento al mondo filosofico,
sono motivazioni o interessi di natura politica e sociologica.
Berti cita, come esempio, la “scuola di Francoforte” che con
filosofi e sociologi quali Horkheimer, Adorno, Habermas,
Marcuse ha fatto della filosofia il trampolino per incidere
sulla politica degli anni 60’ e70’, sulle trasformazioni
culturali, di quei tempi, ma soprattutto è stata punto di
riferimento politico per generazioni.
E infine la filosofia come motivazione etico-culturale,
alimentata dall’interesse verso esperienze e letture quali per
esempio “L’etica nicomachea” di Aristotele, il “discorso sul
metodo” di Cartesio, “l’etica” di Spinoza. “Capire il nostro
tempo”, diceva Hegel, e, continuava, “la filosofia deve
aspettare che un’epoca sia tramontata per capirla”.
Al termine del suo “escursus” motivazionale, Berti afferma,
quindi, che in buona sostanza la filosofia non è un sapere,
bensì una ricerca del sapere. E’ guardare il mondo con
stupore, come diceva Aristotele, è “un domandare tutto che è
un tutto domandare”, è un mettere in discussione tutto senza
pregiudizi.
Tuttavia, in tale ricerca si annida il rischio di una ricerca
fine a se stessa, un cercare per cercare e non tanto un
cercare per trovare. Ma la filosofia è in grado di dare
risposte? Secondo Berti la filosofia porta a vedere il mondo
dell’esperienza come un grande problema che non ha in sé
spiegazioni, ma, per non cadere nel nichilismo, le risposte
alle problematiche del mondo vanno ricercate nel trascendente.
In sostanza è una scelta di filosofia di tipo metafisico. Per
metafisica Berti non intende un sapere divino (pura
illusione), bensì una metafisica debole, poco assiomatica, ma
contenente quel tanto di informazioni e risposte tale da
renderla credibile e, proprio per la sua assenza di una
rigidità concettuale, più difficilmente confutabile. Le teorie
più deboli sono spesso scientificamente più forti.
Insomma, tante sono le proposte per andare dalla vita alla
filosofia, secondo Berti.
Il problema che Berti si pone alla fine dell’intervento è
quello inverso, ossia come ritornare alla vita dopo le
incursioni
nella la filosofia. Quali lezioni traiamo dal
primo passaggio? Berti ritiene che dalla filosofia alla vita
si passa attraverso il senso comune, la condivisione di
principi e valori che la filosofia aiuta a disvelare. La
filosofia non deve proporsi come una materia per colti e
iniziati, bensì far parte del tessuto delle relazioni umane.
Una filosofia che, in buona sostanza, si configura come una
mediazione, come una posizione interpretativa docile tra dogmi
opposti.