UNIVERSITA’ DI PISA Facoltà di Agraria Corso di Laurea Specialistica in Biotecnologie Vegetali e Microbiche Tesi di Laurea Nutrizione azotata e contenuto di derivati dell’acido caffeico in Echinacea angustifolia D.C. coltivata in idroponica Relatore: Candidato: Chiar.mo Prof. A. Pardossi Francesco Galluzzo Anno Accademico 2007-08 INDICE 1. INTRODUZIONE 1.1 Fitoterapia e piante medicinali Preparati a base di piante medicinali 3 3 10 1.2 Metaboliti secondari 12 2. IL GENERE ECHINACEA 15 2.1 Inquadramento botanico 15 Echinacea angustifolia 17 Echinacea purpurea 19 Echinacea pallida 20 2.2 L’Echinacea come pianta medicinale 20 Derivati dell’acido caffeico 22 Flavonoidi 23 Polisaccaridi 24 Alchilammidi 24 Glicoproteine 24 Composti volatili 26 2.3 Impiego farmaceutico dell’Echinacea 26 3. PARTE SPERIMENTALE 29 3.1 Introduzione 29 Floating system 31 Le colture idroponiche per le piante medicinali 32 3.2 Obiettivi della ricerca 34 3.3 Materiali e metodi 35 Materiale vegetale 35 Tecnica di coltivazione idroponica (floating system) 35 Determinazioni sperimentali 39 Analisi chimiche 40 3.4 Risultati e discussione 42 Analisi di crescita 42 Contenuto di metaboliti secondari 49 3.5 Conclusioni 54 BIBLIOGRAFIA 58 RIASSUNTO 69 2 Capitolo 1 INTRODUZIONE 1.1 FITOTERAPIA E PIANTE MEDICINALI La fitoterapia è una pratica medica che si occupa, sin dalla preistoria, dello studio delle piante medicinali ed i loro estratti per la cura delle malattie o per il mantenimento del benessere. L’uomo scoprì casualmente e sperimentò i vari effetti curativi e/o tossici delle piante cibandosi di bacche e radici spontanee ed è per questo che può essere annoverata come uno fra i primi esempi di pratiche terapeutiche. Nell’antichità l´utilizzo delle piante era associato a riti magici o religiosi ed infatti, spesso la loro raccolta, preparazione e somministrazione era riservata a varie figure rilevanti all’interno della comunità come streghe, maghi, anziani, sacerdoti, le cui conoscenze derivavano da una lunga tradizione orale. Testimonianze dell’uso di specie vegetali a scopi terapeutici, sono presenti in numerose parti del mondo; ad esempio in Egitto, dove è stato ritrovato il papiro di Ebers, datato 1500 a.C. che presenta la descrizione di alcuni medicamenti a base d´erbe (www.erbemedicinali.eu). L’uso di oppio (contenente morfina) da parte di molti popoli risale a molto prima invece: sappiamo per certo che già i Sumeri 5.000 anni fa conoscevano bene le proprietà del Papaverum somniferum e ne tramandarono l'utilizzo e le conoscenze alle successive civiltà caldea e assiro-babilonese (it.wikipedia.org/wiki/Oppio). Un altro evento da ricordare è sicuramente la morte di Socrate, avvenuta nel 399 a.C. dopo che il filosofo bevve un estratto di cicuta (Conium maculatum) che conteneva coniina (da Montanari, 2006). La prima classificazione scientifica di piante medicinali fu fatta dal greco Ippocrate (460 a.c.), che descrisse più di 200 specie vegetali; questi “primi” erbari rappresentano già i primi esempi di letteratura etnobotanica, in quanto raccolgono testimonianze sugli utilizzi delle piante da parte delle popolazioni. In questo senso possono essere lette le varie farmacopee delle tradizioni mediche più strutturate, come la cinese, l’ayurvedica, la medicina greco-romana ed islamica ed i testi medievali europei (da Montanari, 2006). Dal settecento in poi, dopo l’elevato utilizzo di piante medicinali nei secoli precedenti, prima con l’industrializzazione (con la concezione del rifiuto dei sistemi tradizionali), quindi con l’inizio della sintesi di farmaci chimici, si arrivò gradualmente fino agli anni 3 ’70 ad un minore interesse verso le erbe, usate soltanto per l´estrazione di principi attivi singoli o precursori per sintesi chimiche di farmaci (da Annaheim, 2008). Questo calo drastico non si è però verificato nei paesi asiatici, dove le varie farmacopee come quella cinese, indiana o russa continuano ancora oggi ad utilizzare estratti provenienti da migliaia di piante (Serafini, 2000). Papaverum somniferum L. e Conium maculatum L. La World Health Organization (WHO) ha stimato che più dell’80% della popolazione dei paesi in via di sviluppo affida la cura di malattie all’utilizzo di erbe medicinali, e che 4 nei paesi sviluppati il loro consumo è sempre più in crescita (Bannerman et al., 1983). All’incirca due terzi delle 50 mila specie di piante medicinali in uso sono raccolte allo stato spontaneo e solo una piccola parte risulta essere coltivata (in Europa non più del 10% delle specie commercializzate) (Canter et al, 2005). Lo scenario dunque negli ultimi 30 anni è cambiato radicalmente; il mercato degli Stati Uniti ad esempio è cresciuto del 380% in meno di dieci anni. Nel Regno Unito, la fitoterapia costituisce oggi la più popolare pratica medica fra tutte le terapie complementari, ed in Germania una media annuale del 65% della popolazione fa ricorso a farmaci vegetali (Frias, 2004). Un grosso problema legato ai dati citati in precedenza è l’approvvigionamento del materiale vegetale in quanto la maggior parte delle piante è raccolta allo stato spontaneo senza alcuna regolamentazione; ciò comporta il rischio di estinzione di molte specie con conseguente perdita di biodiversità. Attualmente sono state identificate circa 150 specie di piante medicinali a rischio di estinzione per eccessiva raccolta; per esempio la Adonis vernalis (il cui principio attivo Adoniside è usato come cardiotonico) è praticamente estinta in Italia e in Olanda ed è a serio rischio di estinzione in Germania, Slovacchia, Svezia e Svizzera. Adonis vernalis L. 5 L’interesse sempre maggiore per la coltivazione di piante medicinali al posto della raccolta indiscriminata, è dovuto proprio alla volontà e necessità di garantire al mercato un approvvigionamento costante sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo (Falcone, 1990). Un altro fenomeno importante da tenere sotto osservazione è il fatto che negli ultimi tempi con un commercio più globalizzato, sono arrivate (prevalentemente da paesi orientali) piante nei paesi industrializzati totalmente sconosciute a varie farmacopee. Di queste piante non si ha alcun genere di nozione riguardo la determinazione botanica, la sicurezza e le possibili interazioni con farmaci di sintesi (Serafini, 2000). Negli ultimi decenni però, il ritorno al “naturale” ha suscitato un forte interesse da parte dell’industria farmaceutica; il progresso della scienza ha determinato lo sviluppo di nuove tecniche di identificazione, di estrazione e di analisi che hanno permesso ai ricercatori di trasformare l´interesse per le piante terapeutiche, in una disciplina vera e propria, basata su evidenze scientifiche (Tabella 1.1). Tabella 1.1. Piante medicinali i cui estratti fitoterapici possiedono documentati effetti terapeutici per particolari sindromi. Specie botanica Sindrome Riferimento claudicatio intermittens (Pittler, 2000) morbo di Alzheimer (Ernst 1999) Hypericum perforatum depressione lieve e media (Linde 2002) Allium sativum Ipercolesterolemia (Stevenson, 2000) Echinacea purpurea Immunostimolante (Block, 2003) Menta piperita colon irritabile (Pittler, 1998) Glycine max sindrome climaterica (Chen, 2004) Ginkgo biloba Aesculus hippocastanum insufficienza venosa (MacKay, 2001) Vitex agnus castus sindrome premestruale (Schellenberg R., 2001) Yohimbee disfunzione erettile (Riley, 1994) Serenoa repens ipertrofia prostatica (Boyle, 2004) Panax ginseng immunostimolante, adattogeno (Lim, 2004) Tanacetum parthenium Emicrania (Ernst, 2000) Zingiber officinale prevenzione nausea e vomito (Vishwakarma, 2002) Valeriana officinalis Insonnia (Hallam, 2003) 6 Queste piante sono perciò importanti perché i loro principi attivi aiutano a curare e prevenire il rischio di insorgenza delle malattie cosiddette del “terzo millennio”: tumori, ansia, depressione, malattie neurodegenerative, anoressia, bulimia (Singh et al. 2003). Fra queste possiamo citarne quattro fra le più consumate sul mercato, indicando brevemente anche le sostanze attive e le patologie che contrastano: Echinacea spp., Allium sativum, Valeriana officinalis, Panax ginseng. Echinacea è in assoluto una delle piante più studiate per quanto riguarda la ricerca di molecole immunomodulanti ed i cui estratti sono usati da migliaia di persone in Europa e nelle Americhe per curarsi da malattie periodiche quali raffreddore, influenza, tosse (Bauer e Wagner, 1991). Echinacea purpurea L. Allium sativum contiene allicina che deriva dalla alliina e una serie di composti sulfurei. L’uso di estratti di questa pianta spazia dalla prevenzione contro il cancro alla cura dell’arteriosclerosi, dalla prevenzione dell’infarto all’attività antimicrobica. Sono state anche studiate le sue proprietà come regolatore del metabolismo lipidico. Un composto sulfureo, l’aioene, si è dimostrato un potente agente antitrombico (Roncali, 2001). Valeriana officinalis è un tranquillante del sistema nervoso e per gli stati di ansietà e insonnia. I principi attivi sono dei terpenoidi iridoidi indicati con il termine generico di 7 valepotriati di cui il principale è il valtrato. Sono presenti anche l’acido isovalerico, ma l’attività sedativa pare essere dovuta ai componenti dell’olio essenziale come l’acido valerenico e il valeranone (Upton, 2001). Panax ginseng o Ginseng i cui estratti sono utilizzati per il trattamento di un gran numero di malattie compresa l’anemia, il diabete, la gastrite, l’insonnia e l’impotenza, è considerato un adaptogeno, essendo in grado di aiutare il corpo ad adattarsi alle situazioni di stress. Contiene un gran numero di terpenoidi, soprattutto saponine, definiti ginsenosidi (Brun, 1998). Valeriana officinalis L. Oggi, i prodotti fitoterapici oltre ad essere esenti da contaminanti (pesticidi, metalli pesanti, sostanze tossiche), devono avere concentrazioni di principi attivi costanti, in modo da garantirne l´efficacia. Questo risultato può essere ottenuto attraverso un processo di standardizzazione del fitoterapico ed un rigoroso controllo di qualità durante tutto il processo produttivo, dalla coltivazione delle piante sino al confezionamento del prodotto finito. Recentemente molti governi europei e nord americani hanno proposto regolazioni più restrittive riguardo questi prodotti; la legislazione canadese ad esempio, 8 ha inserito alcuni punti per migliorarne la sicurezza, la qualità e l’efficacia e richiesto che i produttori stessi provvedano ai prodotti standardizzati liberi da contaminanti (Health Canada, 2004). Tabella 1.2. Rischi collegati all’automedicazione non controllata. • Ritardo nella diagnosi e/o terapia sicura ed efficace • Aggravamento per sostituzione della terapia convenzionale • Uso di erbe prive di qualunque ricerca scientifica (preclinica o clinica) • Preparazioni tradizionali o popolari di sola valenza empirica (tisane, succhi, ecc.) • Prodotti privi dei requisiti minimi (nome botanico, tipo di estratto, concentrazione di principi attivi …) • Presenza di numerose erbe (anche 50 !) • Uso di estratti non pertinenti • Dosaggio inappropriato • Uso improprio (es.: ingestione di oli essenziali per uso esterno) • Ricorso a prodotti qualitativamente non controllati La fitoterapia non deve essere considerata come una medicina priva di rischi, solo perchè di origine naturale, infatti, non tutto ciò che naturale è innocuo, vista la presenza di sostanze biologicamente attive (Menniti-Ippolito et al.,2002). Le piante medicinali presentano proprietà terapeutiche importanti, ma anche effetti collaterali, controindicazioni e interferenze con altre cure farmacologiche (un esempio è l´interazione del Ginkgo con anticoagulanti, che se somministrati insieme aumentano la fluidità del sangue con maggiore rischio di emorragie); è perciò sempre bene consultare esperti del settore per sfruttare al meglio le loro potenzialità, riducendo così i pericoli per la salute. L’automedicazione non controllata, infatti, consente la diffusione di pratiche non validate e l’impiego di prodotti che appartengono alle medicina popolare piuttosto che alla Medicina, privi anche di adeguata regolamentazione (Larimore, 2004). Il dato però più significativo è rappresentato dal fatto che oltre il 50 % dei soggetti che pratica l’automedicazione non controllata con erbe medicinali, ha dimostrato cure inappropriate o inutili, evidenziando una serie di rischi (Tabella 1.2) (Firenzuoli, 2003). 9 Preparati a base di piante medicinali L’uso di prodotti a base di piante medicinali è sempre più diffuso in tutte le fasce della popolazione per una serie di motivi, tra cui la maggiore attenzione per la salute, il benessere individuale e l’interesse per il naturale che in quanto tale è considerato, anche se erroneamente, sicuro. I prodotti a base di piante reperibili in commercio vengono indicati come fitoterapici, prodotti erboristici, integratori alimentari ed altro ancora, spesso in maniera del tutto intercambiabile; ma si possono trovare poi anche unguenti, oli ed infusi. I prodotti erboristici ai fini dell’autorizzazione all’immissione in commercio, si configurano come integratori alimentari, anche se ad essi vengono attribuiti effetti compatibili con un’attività farmacologica. Dal punto di vista farmacologico i prodotti a base di piante medicinali si possono riunire in tre gruppi: 1) preparati aventi un’efficacia dimostrata: di essi si conoscono i principi attivi e i dosaggi necessari; 2) preparati con efficacia probabile, ma non chiaramente dimostrata: contengono sostanze farmacologicamente attive sulla base delle quali vengono standardizzati. E’difficile per questi definire il dosaggio ottimale; 3) preparati con efficacia incerta, ma con una tradizione d’impiego consolidata che possono pertanto essere utili in disturbi di lieve entità: le modalità del loro impiego dovrebbero rispecchiare fedelmente l’uso tradizionale. La maggior parte dei prodotti a base di piante medicinali oggi classificati come integratori alimentari rientra nel secondo e terzo gruppo (Mazzanti, 2005). Un preparato a base di piante medicinali ha una composizione complessa essendo costituito da una parte di pianta (droga) o da un suo derivato; la droga è quindi in genere il risultato della frantumazione della pianta, raccolta nel periodo conveniente della stagione (tempo balsamico), spesso preceduta o seguita da essiccamento. Tale composizione è inoltre variabile in funzione di una serie di fattori che riguardano la droga di partenza stessa (fattori genetici, fattori ambientali, momento della raccolta, ecc.) e il metodo di preparazione conseguente. Il preparato in polvere è quello che meglio rispecchia la composizione della droga di partenza, ma ha un basso contenuto di principi attivi; un infuso o un decotto contengono principalmente la frazione idrosolubile della droga e in quantità piuttosto basse, mentre un estratto idroalcolico, che origina una soluzione conosciuta come tintura madre, 10 contiene sia i principi idrosolubili che quelli liposolubili, anche se in concentrazione variabile in funzione del metodo di ottenimento (nella tintura il rapporto droga di partenza/estratto è 1/5 che corrisponde a 1 g di droga in 5 ml di estratto, mentre nell’estratto fluido è 1/1 che corrisponde a 1 g di droga in 1 ml di estratto; l’estratto secco è ancora più concentrato in quanto il solvente è stato quasi completamente eliminato per evaporazione); infine un olio essenziale contiene soltanto la frazione volatile dei principi e in forma concentrata. Per fronteggiare il problema della variabilità di composizione dei prodotti ottenuti da piante medicinali e garantire che la composizione sia, almeno entro certi limiti costante, si effettua una standardizzazione; gli estratti si possono chiamare difatti “standardizzati” quando sono preparati in modo da contenere costantemente quantità percentuali fisse di determinati principi attivi o costituenti chimici. Spesso accade che all’interno delle droghe vegetali i principi attivi non siano stati identificati; in questi casi l’attività del preparato viene attribuita all’intero fitocomplesso (insieme dei principi contenuti nella droga). Questo fatto rende ovviamente più difficoltosa la standardizzazione del prodotto che in assenza di principi noti, attivi clinicamente, viene fatta sulla base di marker che si possono distinguere in marker attivi farmacologicamente e marker analitici (Busse, 2000). I primi sono costituenti chimici caratteristici della droga, dotati di attività farmacologica, che possono contribuire all’efficacia della droga, ma di cui non esiste dimostrazione che essi siano i soli responsabili dell’efficacia clinica; ad esempio i glicosidi flavonici e i lattoni terpenici per il ginkgo, le procianidine oligomeriche per il biancospino, i ginsenosidi per il ginseng. I marker analitici sono costituenti chimici caratteristici della droga, ma privi di attività farmacologica o con attività farmacologica non dimostrata; ad esempio, i derivati dell’acido caffeico per l’echinacea, l’acido rosmarinico per la melissa, i glucosidi lignanici per l’eleuterococco (Mazzanti, 2005). Ovviamente l’uso di marker nella standardizzazione non garantisce la riproducibilità dell’effetto. Le varie nazioni hanno sviluppato già a partire dall’epoca della rivoluzione industriale delle regole che prevedono l’impossibilità di commercializzare i prodotti farmaceutici prima che essi abbiano subito un esame preliminare rivolto a certificare che essi posseggano determinati requisiti. Le stesse nazioni si sono trovate d’accordo nello stabilire che tali requisiti debbano principalmente essere la qualità, la sicurezza e l’efficacia (Falvo, 2004). 11 Anche le moderne Farmacopee sono degli standard qualitativi di riferimento ai quali i produttori sono obbligati ad attenersi. Esse sono generalmente costituite da una parte generale, in cui vengono indicati i metodi analitici ufficialmente accettati per il riconoscimento e la determinazione quantitativa dei principi farmacologicamente attivi, degli eccipienti e delle rispettive più comuni impurezze; inoltre, sono presenti monografie di farmaci, in cui sono indicati i requisiti analitici che ciascuno di essi deve possedere, inclusi i limiti delle impurezze (Falvo, 2004). Lo sviluppo delle Farmacopee è, infine, dettato dall’introduzione sia di nuove metodiche analitiche, più affidabili delle precedenti, sia di nuove monografie ogniqualvolta un nuovo farmaco esca dal periodo di protezione brevettuale. 1.2 METABOLITI SECONDARI I benefici effetti medicinali delle piante provengono tipicamente dalla combinazione dei prodotti del metabolismo secondario dei vegetali. I metaboliti secondari sono composti sintetizzati dalle piante che, a differenza dei metaboliti primari, non svolgono ruoli fondamentali nelle funzioni vitali di base quali divisione cellulare, crescita, respirazione, riproduzione; per questo è stata loro attribuita per molto tempo una funzione di scarto, detossificazione, accumulo o eccesso di produzione di vie metaboliche primarie. Kossel (1891) fu il primo a definire questi composti come opposti ai metaboliti primari ed in seguito Czapek (1921) li definì “endproduckt” in quanto sosteneva che derivassero dal metabolismo dell’azoto, grazie a “modificazioni secondarie” quali, ad esempio, le deamminazioni. Oggi sappiamo che questi composti chimici svolgono un ruolo chiave nelle interazioni delle piante con l’ambiente che le circonda e risultano perciò indispensabili per il mantenimento della specie (Falvo, 2004). Negli ultimi 50 anni la ricerca ha mostrato il loro ruolo centrale nell’ecofisiologia della pianta: in special modo queste molecole, eterogenee dal punto di vista chimico, hanno compiti come la difesa contro erbivori o attacchi patogeni, possono fungere da sostanze allelopatiche e attrattive verso pronubi o organismi simbionti. Inoltre i metaboliti secondari hanno anche un’azione protettiva contro stress abiotici come quelli associati a shock termici e idrici, esposizione agli UV, cambiamenti nutritivi. Recenti lavori indicano anche un certo ruolo nelle piante come modulatori di espressione genica e nella cascata di segnale (Briskin, 2000). 12 Numerosi composti secondari hanno però anche un effetto benefico sull’organismo umano, e ciò ha reso molte piante fonte primaria di sostanze naturali di notevole interesse applicativo nel settore alimentare (riguardo ad esempio sapori, colori ed aromi), cosmetico e farmaceutico. Tali principi attivi sono classificati in base ai loro percorsi biosintetici, nelle grandi famiglie molecolari degli alcaloidi, terpenoidi (sesquiterpeni, saponine, carotenoidi e steroidi), fenoli (come tannini, chinoni e lignine), i loro glucosidi e peptidi. Sono anche di interesse gli oli essenziali e le resine, che spesso contengono composti appartenenti alle classi prima citate (Tyler et al., 1988; Pengelly, 1996). I metaboliti secondari, a differenza di quelli primari che devono essere mantenuti stabili sia per concentrazione che per struttura chimica per assicurare l’integrità strutturale e funzionale delle cellule, hanno un “elevato grado di libertà” per quanto riguarda struttura e concentrazione (Maffei, 1999; Collin, 2001). Ad esempio, il contenuto in flavonoidi nelle piante, oltre che dal genotipo, dipende strettamente dalle condizioni ambientali, soprattutto dalla radiazione luminosa; è noto, ad esempio, che in molte specie le radiazioni UV inducono significativi incrementi nel contenuto fogliare di flavonoidi (Lercari et al, 1997). I metabolici secondari sono sintetizzati in quantità molto bassa: rappresentano meno dell’1% del carbonio totale, sono spesso organo o tessuto-specifici, assolvono precise funzioni e sono peculiari nelle diverse specie vegetali. Sono caratterizzati, infatti, da una sorprendente variabilità intra-specifica: comprendono migliaia di composti e solo le recenti tecniche chimico-analitiche hanno permesso di accrescere le nostre conoscenze a riguardo. Il metabolismo secondario impiega gli stessi enzimi del metabolismo primario, ma anche quelli originatisi in seguito a duplicazioni geniche e variazioni alleliche (Pichersky et al. 2000). L’insieme di queste mutazioni ha permesso, nel corso dell’evoluzione, la generazione di un insieme ricco ed eterogeneo di composti secondari. Si assiste ad un’armoniosa regolazione delle varie vie biosintetiche che sono integrate nel metabolismo primario. Secondo Bu’lock (Maffei, 1999) infatti, l’accumulo di metaboliti primari ha indotto la formazione di “valvole di sfogo” divergenti e la conseguente produzione di migliaia di molecole diverse. Questa risposta è fondamentale per il metabolismo della pianta in quanto l’accumulo di un composto intermedio può avere effetti di inibizione retroattiva, bloccare e rallentare altre vie metaboliche. Mediante la produzione di vie alternative il problema è superato ma si ripresenta nei 13 prodotti finali della via neo-formata. Ecco così che il fenomeno si ripete e nascono nuove vie parallele in grado di “drenare” gli accumuli. Fra le attività più importanti di alcune molecole c’è quella antiossidante, in grado di contrastare la formazione di ROS e l’azione di enzimi che ossidano membrane cellulari, lipidi e proteine (MartinezValverde et al. 2000). Molti composti secondari interagiscono con canali ionici di membrana e sono impiegati nella cura dell’asma; vari alcaloidi hanno strutture simili ai neurotrasmettitori endogeni e possono mimarne le attività e fungere così da trasduttori cellulari (Falvo, 2004). Alcune piante producono composti che stimolano l’attività delle cellule del sistema immunitario in modo da renderle più pronte ad affrontare una situazione di pericolo e contenere le infiammazioni. I flavonoidi e gli isoflavonoidi sono responsabili di svariati effetti benefici: prevengono diversi tipi di carcinogenesi (Singh et al.2003) come quella della cavità orale (Sagami et al. 1999), della prostata e il cancro al seno (Peeters et al. 2003), quest’ ultima azione è dovuta alle proprietà estrogeniche dei flavonoidi che garantiscono protezione anche nei confronti delle malattie renali croniche quali glomerulo-sclerosi e fibrosi medullare interstiziale (Ranich et al. 2001); inoltre, i flavonoidi riducono il rischio di aterosclerosi e delle malattie cardiovascolari (O’Prey et al. 2003), hanno effetti vasodilatatori sulla microcircolazione (Nestel et al. 2003) e riducono i livelli di colesterolo LDL nel sangue (Nestel et al. 2003). Gli alcaloidi garantiscono bassi livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, stimolano il sistema immunitario, hanno effetti analgesici, antileucemici, vasocostrittori, molti sono allucinogeni o narcotizzanti (Falvo, 2004). Possiamo quindi considerare le piante (quelli medicinali in particolar modo) come dei contenitori di sostanze chimiche, talvolta isolate ed utilizzate come tali in terapia, in altri casi fonti di materia prima per la produzione di farmaci emisintetici, oppure come base per la produzione di fitoterapici veri e propri, nei casi in cui all’attività farmacologica dell’estratto concorrano più sostanze in esso presenti. 14 Capitolo 2 IL GENERE ECHINACEA 2.1 INQUADRAMENTO BOTANICO Il nome linneiano del genere Echinacea è Rudbeckia, in onore di O.Rudbeck, botanico svedese del XVII secolo. Il genere fu poi rinominato da Moench nel 1794 Echinacea, dal greco echinos (riccio), per le brattee pungenti del capolino secco. Si tratta di piante erbacee perenni appartenenti alla famiglia delle Asteraceae e originarie dell’America settentrionale dove sono ancora stanziali; sono anche denominate purple coneflower per la conformazione conica del ricettacolo (Lust, 1974; Bauer e Wagner, 1990). Tabella 2.1. Inquadramento botanico di Echinacea angustifolia Phylum: SPERMATOPHITAE Sottodivisione: ANGIOSPERMAE Classe: DICOTYLEDONES Sottoclasse: SYMPETALAE Ordine: CAMPANULALES Famiglia: ASTERACEAE (COMPOSITAE) Sottofamiglia: ASTEROIDAE (TUBULIFLORAE) Genere: RUDBECKIA L. (ECHINACEA) Specie: ANGUSTIFOLIA L. Echinacea ha un areale molto vasto che si estende dalla regione dei grandi laghi del nord America fino alle zone costiere del golfo del Messico, interessando un gran numero di stati (Mc Gregor, 1968; Mc Keown, 1999). Queste piante crescono spontaneamente sia nelle zone di pianura che ad alta quota (fino ad oltre 1500 m di altitudine), privilegiando aree aperte e soleggiate, senza esigenze particolari di terreno e acqua anche se prediligono suoli moderatamente fertili, ben drenati e tendenti al sabbioso, come quelli delle grandi praterie nordamericane. 15 Areale di origine di piante del genere Echinacea. Il genere Echinacea secondo la classificazione ufficiale, si divide in nove specie e due varietà (Mc Gregor, 1968): • E. angustifolia DC. var. angustifolia • E. angustifolia DC. var. strigosa McGREGOR • E. atrorubens NUTT. • E. laevigata (BOYNTON & BEADLE) BLAKE • E. pallida (NUTT.) NUTT. • E. paradoxa (NORTON) BRITTON var. paradoxa • E. paradoxa (NORTON) BRITTON var. neglecta McGREGOR • E. purpurea (L.) MOENCH • E. simulata McGREGOR • E. sanguinea NUTT. • E. tennesseensis (BEADLE) SMALL Le specie che vengono impiegate per scopi fitoterapici sono E. angustifolia, E. purpurea e E. pallida; è da sottolineare come il loro areale nell’insieme sia nettamente più esteso rispetto a quello di tutte le altre, indice probabile della loro grande adattabilità alle varie condizioni ambientali (Aiello e Bezzi, 1999). 16 Echinacea angustifolia Echinacea angustifolia (su cui è stato condotto lo studio) ha un apparato radicale fittonante di color bruno chiaro e steli per lo più semplici di altezza fino a 50 centimetri, lisci o provvisti di peli nella parte bassa e con peli irsuti o ispidi nella parte alta. Le foglie, dalla cui forma deriva il nome angustus (stretto) e folium (foglia), si presentano da lineari-lanceolate ad ellittiche con margine intero, hanno peli irsuti o ispidi, colore verde scuro e 3-5 nervature. Hanno dimensioni che sono variabili a seconda della posizione che occupano sulla pianta: quelle della rosetta sono lunghe 5-27 cm e larghe 1-4 cm mentre quelle della parte basale dei fusti lunghe 4-15 cm e larghe 0,5-3,8 cm; quelle della parte alta sono inoltre sessili. I capolini sono lunghi fino a 3 cm e larghi 1,5-2,5 cm, senza i fiori ligulati. Questi ultimi sono più o meno distesi, hanno una dimensione massima 3,8 per 0,8 cm e sono di colore bianco, rosa o porporino. Il polline è invece di colore giallo intenso. Brattee pungenti del capolino di Echinacea angustifolia Gli acheni sono di forma quadrangolare, lunghi 4-5 mm, di colore variabile dal biancastro al bruno chiaro, con una pigmentazione più accentuata nella parte terminale. Il ciclo biologico della pianta è caratterizzato da una fase di sviluppo vegetativo primaverile, da una fase riproduttiva estiva, con fioritura da giugno a luglio, e da un riposo vegetativo invernale preceduto dal disseccamento dell’apparato epigeo nel tardo autunno. Il numero cromosomico è 2n = 22 (diploide). 17 Piante di Echinacea angustifolia 18 Echinacea purpurea Echinacea purpurea ha un apparato radicale fascicolato di colore rosso-bruno, steli diritti, spesso ramificati nella parte terminale e alti 60-180 cm. Le foglie hanno una forma ovata o lanceolata, il margine seghettato, peli molto corti, colore verde scuro e 25 nervature. I capolini sono piatti o leggermente emisferici con i fiori ligulati più o meno pendenti, biancastri, rosei o porporini e lunghi fino a 3 cm. Il polline è di colore giallo e la fioritura avviene da giugno a settembre. Gli acheni sono di forma quadrangolare come in angustifolia ma non pigmentati all’apice. Il numero cromosomico è 2n = 22 (diploide). Pianta di Echinacea purpurea 19 Echinacea pallida Echinacea pallida invece ha un apparato radicale fittonante di color bruno chiaro, steli semplici e alti fino a 90 cm con peli fitti in alto e radi in basso. Le foglie della rosetta, a margine intero e di forma lanceolata – ellittica, sono lunghe 10-35 cm e larghe fino a 4 cm. I capolini sono invece emisferici con i fiori ligulati lunghi e stretti (dimensione massima 9 cm per 1 cm), pendenti, porporini, rosa o bianchi; il polline è di colore bianco e la fioritura si manifesta da maggio a luglio. Gli acheni sono praticamente della stessa forma e pigmentazione di quelli di angustifolia. Il numero cromosomico è 2n = 44 (tetraploide) (Mc Gregor, 1968; Bauer e Wagner, 1990; Foster, 1991; Mc Keown, 1999; Peng, 1999). Pianta di Echinacea pallida 2.2 L’ECHINACEA COME PIANTA MEDICINALE I benefici effetti di Echinacea furono scoperti in origine dalle diverse tribù d’indiani d’America; masticando prevalentemente le radici ne sfruttavano infatti i principi attivi per curare tosse, raffreddore, tonsilliti, mal di testa, stomaco e denti ma anche ferite, 20 ustioni o punture di insetti (Hobbs, 1994, Kindscher, 1992). Addirittura traevano benefici anche contro il morso dei serpenti; intuirono cioè le varie proprietà antinfiammatorie, immunostimolanti, antiossidanti, cicatrizzanti, antibatteriche, antifungine ed antivirali che oggi riscuotono un enorme successo nel nostro mercato. Le echinacee furono importate in Europa nel secolo scorso principalmente per scopi ornamentali, soprattutto in Francia e Germania dove si diffusero con grande rapidità. Gli studi sulla composizione e sulle proprietà farmacologiche presero avvio proprio dalla Germania nel 1930, e, nei successivi 30 anni, le ricerche hanno dato luogo ad una solida base che ha permesso la riscoperta di questa pianta in ogni paese del mondo occidentale. Le parti utilizzate sono rappresentate dalle radici o dalle parti aeree fresche o essiccate delle tre specie menzionate in precedenza; queste contengono numerosi composti chimici, caratterizzati da solubilità estremamente diverse, e in qualche caso distribuiti in maniera diversa tra le varie specie. Tabella 2.2. Principali metaboliti secondari nei tessuti di Echinacea spp. COMPOSTI POLARI POLISACCARIDI Echinacina B Arabinogalattano DERIVATI AC.CAFFEICO Ac. Caffeico Cinarina Ac. Cicorico Ac. Clorogenico Ac. Caftarico Echinacoside FLAVONOIDI Apigenina Luteolina Quercetina Rutina Kamferolo COMPOSTI POLARI ALCHILAMMIDI Echinaceina Isobutilammidi COMPOSTI VOLATILI Terpeni (Cariofilleni) Alfa- e beta- pinene Umulene Beta-farnesene Echinolone Borneolo ALTRI Vitamine Glicoproteine Alcaloidi 21 I costituenti attivi considerati di interesse (Tabella 2.2) sono una frazione polare (idrofila) costituita da derivati dell’acido caffeico (Cheminat et al., 1988), flavonoidi e polisaccaridi (Wagner et al., 1988), e una frazione apolare comprendente alchilammidi, poliacetileni (principalmente chetoalcheni e chetoalchini) (Bauer e Reminger, 1989), glicoproteine (Classen et al., 2000) e dei composti volatili come un olio essenziale composto da derivati sesquiterpenici (borneolo e α-pinene) presente in quantità dello 0,1% in E. pallida e 2% in E. angustifolia (Li, 1998). Derivati dell’acido caffeico I CADs sono composti polifenolici (Grassi, 2007) e conferiscono il vero valore medico all’Echinacea (Tozzini, 2006). Possono essere classificati come: 1. derivati dell’acido chinico, come acido clorogenico e cinarina 2. derivati dell’acido tartarico, come l‘acido cicorico 3. fenilpropanoidi glicosidi, come verbascoside, echinacoside Ac. caftarico Ac. caffeico Ac. clorogenico Cinarina Ac. cicorico Echinacoside Figura 2.1. Struttura chimica dei principali derivati dell’acido caffeico. In E. angustifolia ed in E. pallida, la maggior concentrazione di echinacoside, il primo composto ad essere stato isolato, si trova nelle radici (rispettivamente con lo 0.3-1.3% e lo 0.4-1.7%; Stoll et al., 1950), mentre è praticamente assente nell’estratto di E. purpurea; è, inoltre, presente in E. simulata ed E. paradoxa (la quale, peraltro, presenta un contenuto in metaboliti secondari molto simile a quello di E. pallida) (Barberini, 22 2007). La cinarina è presente esclusivamente in E. angustifolia ed in E. tennesseensis. L’acido cicorico si trova solo in tracce nelle radici di E. angustifolia e di E. pallida, in misura leggermente maggiore (fino allo 0.3%) nelle foglie e nei fiori della prima ed in quantità ben più consistente (0.7-1.7%) nei fiori nella seconda, mentre trova la sua massima concentrazione nei fiori (1.3-3.0%), foglie (0.4-1.6%) e radici (0.7-2.1%) di E. purpurea (Barberini, 2007). Flavonoidi Sono presenti in tutte e tre le principali specie di Echinacea. E’ stato dimostrato che foglie di E. purpurea e di E. angustifolia contengono quercetina rispettivamente allo 0.38% e 0.48% (Barberini, 2007). Figura 2.2. Struttura chimica dei principali flavonoidi contenuti da Echinacea spp. 23 Polisaccaridi Sono stati isolati numerosi polisaccaridi con peso molecolare fino a 75000 dalton; è stata isolata la frazione polisaccaridica dalle radici di E. angustifolia ma i singoli costituenti non sono stati caratterizzati completamente (Wagner et al., 1985). Molte ricerche sono state condotte anche su E. purpurea dove sono state isolate sia in vivo che in vitro due molecole dalle grandi proprietà immunostimolanti: glucoarabinoxilano e acido arabinoramnogalactano (Bauer, 4-O-metil- Wagner, 1991). Quest’ultimo è oggi prodotto biotecnologicamente su scala industriale (Wagner, 1999). Alchilammidi Rappresentano la parte lipofila dei composti di interesse farmaceutico; sono costituite da catene di acidi grassi contenenti uno o più doppi legami. Le alchilammidi sono costituenti specifici delle radici di E. purpurea ed E. angustifolia anche se sono strutturalmente diverse fra le due specie; queste ne contengono una quantità esigua anche nelle parti aeree dove non vi presentano invece differenze strutturali (Bauer e Reminger, 1989); E. pallida invece ne è totalmente priva (Kabganian et al., 2002a). In E. angustifolia le alchilammidi riportate in letteratura sono soprattutto di tipo acetilenico, insieme ad un certo numero di strutture puramente olefiniche; ne sono state caratterizzate all’incirca 15 di cui le due più significative sono la Dodeca -2E,4E,8Z,10Z -tetra acido isobutilammide e la Dodeca -2E,4E,8Z,10E – acido tetranoico isobutilammide (Bauer et al., 1989). Glicoproteine Le glicoproteine dal punto di vista chimico sono proteine a cui sono legati dei carboidrati; il legame può avvenire con un residuo di asparagina (si parla di Nglicosilazione) o con un residuo di idrossiprolina, idrossilisina, serina o treonina (si parla di O-glicosilazione). Alcuni estratti di Echinacea hanno mostrato come queste molecole svolgano un’attività immunostimolante inducendo la produzione di citochine e la loro attività mitogenica (Bauer, 1993 e 1994). In radici di E. angustifolia sono state isolate inoltre tre glicoproteine con peso molecolare fra 17000 u e 30000 u, contenenti circa il 3% di proteine (da Annaheim, 2008). 24 Figura 2.3. Struttura chimica delle principali alchilammidi contenute in Echinacea spp. 25 Composti volatili Tutti i tessuti, indipendentemente dalla specie, mostrano elevati livelli di acetaldeide, campfene, beta-pinene e limonene: le aldeidi, specialmente propanali e butanali, costituiscono il 41-57% della componente volatile nei tessuti radicali, il 19-29% nei tessuti fogliari e solo il 6-14% in fiori e steli; i terpenoidi (tra cui campfene, alfa- e beta-pinene, limonene, mircene, ocimene e terpinene) costituiscono l’81-91% della componente volatile in tessuti di fiori e steli, il 45-68% nelle foglie e soltanto il 6-21% nei tessuti radicali (Mazza e Cottrell, 1999). 2.3 IMPIEGO FARMACEUTICO DELL’ECHINACEA Echinacea è oggi utilizzata nel mercato per la realizzazione di molti prodotti quali creme cosmetiche o per la cura dei capelli (Smeh, 1995) ma anche per la preparazione di alimenti; l’attività farmacologica è però quella prevalente. Si ritiene che la sua azione determini un aumento delle difese immunitarie endogene attraverso la stimolazione del sistema immunitario, soprattutto mediante l’attivazione della fagocitosi e dei fibroblasti e la stimolazione della produzione di interleuchine ed interferoni. E’accertato che questa azione è legata alla presenza di glicoproteine, polisaccaridi (echinacina B e arabinogalattani), alchilammidi e acido cicorico; quest’ultimo è il composto fenolico principale in Echinacea purpurea ma non nelle altre due specie, dove quello prevalente è l’echinacoside (Perry et al., 2001), a cui si attribuisce una forte attività antiossidante: è noto infatti l’effetto protettivo contro la degradazione indotta dai radicali liberi sul collagene (Facino, 1993). L’attività antiossidante è data anche da altri derivati dell’acido caffeico, quali cinarina e acido cicorico e come l’echinacoside risulti avere davvero una buona capacità antinfiammatoria e cicatrizzante (Speroni et al., 2002). E’ stata dimostrata anche un’ottima capacità batteriostatica e virustatica da parte di estratti di Echinacea contro il diffondersi di numerose infezioni causate da vari ceppi batterici e virali come Herpes simplex ed influenza A e B oltre che di Trichomonas, Candida e Listeria (Binns et al., 2000). L’attività è da attribuirsi prevalentemente alla frazione polisaccaridica ed alchilammidica. Acido clorogenico e acido caffeico costituiscono invece una sorta di barriera meccanica contro la penetrazione di batteri attraverso la cute; si determina così un’aumentata capacità dell’organismo di opporsi allo sviluppo di infezioni acute ed un’accelerazione della guarigione delle ferite. 26 Le alchilammidi polinsature isolate dalle varie specie hanno mostrato inoltre un’attività di inibizione in vitro della 5-lipossigenasi e della ciclossigenasi, due enzimi chiave nel metabolismo dell’acido arachidonico, responsabili della formazione rispettivamente di leucotrieni e prostaglandine, mediatori del processo infiammatorio (Müller-Jakic, 1994). Echinacea angustifolia contiene infine anche composti che sono insetticidi; l’echinolone ad esempio, ha la capacità di interferire e sconvolgere lo sviluppo degli insetti (Hartzell 1947; Jacobson 1954; Voaden, Jacobson 1972). Ricercatori del dipartimento di orticoltura dell’università del South Dakota stanno attualmente tentando di identificare germoplasma di Echinacea angustifolia, contenente alti livelli di echinolone, per creare insetticidi da utilizzare in numerose colture di girasoli (Foster, 1991). Il mercato legato all’industria fitofarmaceutica ed erboristica del nord America ha subito in questi ultimi anni un incremento superiore del 60%, realizzando vendite annuali che hanno superato i 10 miliardi di dollari USA. L’Echinacea compare al primo posto come la pianta più venduta, con circa 1 miliardo di dollari corrispondente a quasi il 10 % dell’intero mercato (Pedneault et al., 2001). Da un’indagine condotta negli Stati Uniti è emerso che l’Echinacea è il rimedio erboristico più popolare e si calcola che il 7% degli americani l’abbia usata, con un consumo valutato intorno ai 300 milioni di dollari, cioè il 9% del totale venduto (3,6 miliardi di dollari) (Young, 1999). Secondo un’altra indagine condotta negli USA da Information Resources Inc. nel 2001, nella vendita di integratori alimentari a base di erbe (indagine ristretta ai soli food store, drug store e mass market retail), l’Echinacea nel 2000 ha subito una flessione del 20,4% (58,4 milioni di dollari su un totale di 590,9) collocandosi al quarto posto, dietro Ginkgo, ginseng asiatico ed aglio (Blumenthal, 2001). Sono stati raccolti alcuni dati riguardo la superficie investita ad Echinacea nei paesi dove è più commercializzata: nel Canada occidentale gli ettari coltivati nel 2000 sono stati 40-100; negli USA gli ettari investiti a E. angustifolia nel 1999 sono stati superiori a 40 e la domanda di radice, proveniente soprattutto da raccolta spontanea, è stata di 50200 tonnellate (Little, 1999). In Europa l’Echinacea, soprattutto E. purpurea, è coltivata in maniera “non uniforme”; ci sono infatti stati, quali Spagna, Portogallo o Svizzera dove la superficie investita è molto limitata. Ci sono al contrario altri stati dove la coltivazione risulta importante, come Germania, Polonia ed Italia. La Germania è in assoluto il maggior produttore ed 27 utilizzatore europeo di Echinacea, con una superficie investita di 85 ettari nel 2001 e più precisamente: 60 ha di E. purpurea, 20 ha di E. pallida e 5 ha di E. angustifolia. I prezzi delle radici secche si sono aggirati sui 13 Euro/Kg per E. angustifolia e sui 7 Euro/Kg per le altre due specie (Bomme, 2002). Un esempio di farmaco a base di Echinacea. In Italia nel 2001 la superficie investita ad Echinacea è stata sui 30 ha, per la gran parte condotta in biologico, con una prevalenza di E. pallida, seguita da E. purpurea ed E. angustifolia. La superficie ha subito una diminuzione, in quanto gli ettari due anni prima erano 35 (Vender, 2001). Le regioni principalmente interessate a queste colture sono la Toscana, l’Umbria, il Veneto ed il Piemonte. Il fabbisogno nazionale di radici può essere stimato in circa 20 tonnellate; nel 1999 tale fabbisogno era stimato in 30-35 tonnellate. Da questi dati emerge come attualmente il mercato sia leggermente in ribasso, soprattutto sul venduto di E. pallida mentre rimane un certo interesse per E. angustifolia. I prezzi infine sono estremamente variabili ed orientativamente si possono indicare 10-15 Euro/Kg per le radici di E. angustifolia, mentre per quelle delle altre due specie 6-8 Euro/Kg (Isafa, 2002). 28 Capitolo 3 PARTE SPERIMENTALE 3.1 . INTRODUZIONE Le piante selvatiche non sono in grado di soddisfare una richiesta continua da parte dell’industria né di fornire un prodotto sempre omogeneo, qualitativo e uniforme geneticamente (Falcone, 1990); ciò ha portato la ricerca ad elaborare e approfondire sempre più nuovi metodi di coltivazione e sistemi produttivi biotecnologici molto avanzati e spesso costosi, come le colture di cellule e tessuti vegetali, per la produzione diretta di metaboliti secondari. Quest’ultimo sistema potrebbe essere applicato per la produzione su larga scala, visto il grande vantaggio di poter disporre di un sicuro e continuo approvvigionamento di questi prodotti naturali e vista la possibilità, per mezzo delle camere di crescita, di escludere l’alternanza di produzione legata alle variazioni climatiche e stagionali. Le colture cellulari, comunque, comportando spese considerevoli, sono utilizzate di solito solo per produrre molecole di noto rilievo economico o medicinale come la vincristina, composto antitumorale derivato da Catharantus (Balandrin e Klocke, 1988). I sistemi produttivi principali oggi sono, comunque, di tipo intensivo, sempre più controllato direttamente dalle società farmaceutiche ed indirizzato verso la produzione di materia grezza a basso costo, ed un altro con caratteristiche più sostenibili, spesso condotto secondo i criteri dell’agricoltura biologica o integrata e rivolto soprattutto verso il mercato erboristico (Verlet, 1994). Fra i metodi di coltivazione ci sono senz’altro le colture fuori suolo, in cui due scienziati tedeschi, Sachs (1860) e Knop (1861), considerati i veri padri dell’idroponica, ampliarono studi sulla nutrizione delle piante del chimico Von Liebig e di altri studiosi del secolo precedente. I loro studi sull’influenza degli elementi minerali sulla crescita delle piante dimostrarono che lo sviluppo normale poteva essere conseguito aggiungendo all’acqua alcuni elementi minerali e in particolare azoto, fosforo, potassio, zolfo, calcio e magnesio. Le colture fuori suolo sono quindi tutti quei sistemi di coltivazione realizzati senza l’utilizzo del terreno e che prevedono l’impiego dell’acqua come veicolo per il trasporto delle sostanze nutritive (da qui il termine idroponica, letteralmente “lavoro dell’acqua”, 29 dal greco “hydro”, acqua, e “ponos”, lavoro). Si possono distinguere due gruppi: le colture in soluzione nutritiva a radice nuda (senza substrato) e quelle in contenitore su substrato, naturale o artificiale; fra i substrati maggiormente utilizzati troviamo in ordine d’importanza la torba, la perlite, la lana di roccia, la pomice, il lapillo o altre rocce vulcaniche e la fibra di cocco. Sono da ricordare anche altri materiali legati però a realtà locali come le vinacce e le alghe marine (utilizzate, ad esempio, in Sardegna). Le distinzioni possono essere fatte poi anche sul sistema di irrigazione (irrigazione a goccia oppure subirrigazione) e al recupero o meno della soluzione nutritiva somministrata: se questa non viene recuperata si parla di sistema aperto, altrimenti se viene raccolta, riarricchita e somministrata di nuovo si parla di sistema chiuso. Il mercato sta sempre più sfruttando queste tecniche vantaggiose ed in continua evoluzione; esse permettono infatti a settori come quello ortoflorovivaistico di superare le difficoltà legate all’eccessiva intensificazione colturale, alla stanchezza dei terreni e al contenimento delle malattie delle piante senza trascurare ovviamente la possibilità di un calendario di raccolta più ampio con rese produttive e qualitative superiori. Fondamentale anche l’opportunità di controllare la sintesi e l’accumulo di principi attivi tanto cari all’industria farmaceutica, variando le normali condizioni di crescita quali la nutrizione minerale ed il controllo del clima. Molti studi hanno fatto pensare infatti che regolando la composizione della soluzione nutritiva, tipo testando vari rapporti tra forma nitrica ed ammoniacale dell’azoto (Marschner et al., 1996), si possa stimolare in maniera più o meno accentuata sia l’accrescimento vegetativo sia soprattutto la sintesi di metaboliti (Demeyer e Dejaegere, 1989; Letchamo et al., 1993; Aoki et al., 1997; ElGengaihi et al., 1998; Magalhaes et al., 1996; Park et al., 1999; Mairepetyan et al., 1999; Briskin et al., 2000; Maia et al., 2001). Importanti studi di ricerca sulla coltivazione idroponica sono stati condotti su Taxus x media e Taxus cuspidata per la produzione di taxolo, un potente chemioterapico (Wickremesinhe e Arteca, 1994) e su Hypericum perforatum, per la produzione dei composti attivi ipericina, pseudoipericina ed iperforina (Murch et al., 2002). Anche su Echinacea sono stati condotti vari studi sulla coltivazione fuori suolo e sono emersi davvero buoni risultati perlomeno dal punto di vista della produzione di biomassa (Letchamo et al., 2002). I sistemi di coltura senza suolo presentano, comunque, delle lievi difficoltà nella gestione del rifornimento idrico e minerale e il maggior rischio di diffusione degli 30 agenti di malattie del colletto e delle radice attraverso la soluzione nutritiva ricircolante; questi ostacoli stanno leggermente frenando la diffusione dei cicli chiusi verso cui si sta indirizzano la ricerca per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Fra i più importanti troviamo l’NFT, la coltura in contenitore su substrato artificiale, l’aeroponica ma soprattutto il floating system, che interessa da vicino questo studio condotto su Echinacea e dove di seguito vengono riportate le caratteristiche. Floating system La tecnica del floating system, è un sistema idroponico nel quale le piante sono allevate su pannelli di polistirolo, fessurati o alveolati, galleggianti su di una soluzione nutritiva all’interno di vasche dotate di un impianto di areazione. Si tratta di un sistema per lo più statico, con possibilità di gestione della soluzione a ciclo chiuso o aperto. Questo genere di coltivazione, attuato all’interno di serre, consente di non essere più legati al terreno agrario per poter seminare: è una soluzione tecnica che pone come primo obiettivo quello di ridurre l’impatto ambientale e limitare al minimo l’utilizzo di sostanze chimiche. La semina è effettuata con pochissimo terriccio o substrato. Uno dei substrati al momento più utilizzati è la lana di roccia (Grodan®), materiale innovativo avente una ritenzione idrica ottimale ed un perfetto rapporto aria/acqua. Le piante si sviluppano in apposite fessure o alveoli di pannelli di polistirolo precedentemente sterilizzati con acqua ossigenata, i quali devono trascorrere dei giorni in una sala di germinazione, caratterizzata da altissima umidità e temperatura costante attorno ai 20 °C. Di seguito, una volta che le piante sono nate, i pannelli vengono posti a galleggiare nelle vasche contenenti la soluzione nutritiva completa di macro e micronutrienti. Vengono utilizzati volumi particolarmente elevati di soluzione nutritiva (fino a 300 L m-2), per assicurare un elevato potere tampone al sistema; riduce, ad esempio, le escursioni termiche a livello radicale e consente di ridurre la frequenza del controllo e della reintegrazione della soluzione nutritiva. Le radici crescono attraverso appositi fori, traendo gli elementi nutritivi disciolti nell'acqua sottostante. E’ un sistema particolarmente utilizzato per gli ortaggi da foglia per il mercato della quarta gamma (lattuga, lattughino, rucola, valeriana, spinacio, indivia ecc.); dopo circa 3-4 settimane infatti la coltura, cresciuta in maniera uniforme, è pronta per la raccolta. La tecnica del floating risulta quindi molto vantaggiosa in quanto consente di poter controllare e gestire con semplicità tutte le varie fasi colturali, ottimizzando le risorse 31 irrigue e i costi legati ai consumi energetici. Permette così, con cicli di produzione ridotti e continui, di poter destagionalizzare le varie colture con un’elevata e qualitativa resa per m2. Impianto di floating system in una serra commerciale specializzata nella produzione di basilico per la IV gamma. Le colture idroponiche per le piante medicinali Uno degli obiettivi principali dell’industria farmaceutica è l’estrazione dei principi attivi dalle piante medicinali e notevoli sono gli sforzi per arrivare alla standardizzazione dei prodotti che ne derivano. Questi prodotti, infatti, proprio perché a base di piante medicinali caratterizzate da un grado più o meno esteso di variabilità, possono avere una composizione assai variabile da lotto a lotto. Questo fatto può, ad esempio, rendere difficile la dimostrazione delle proprietà farmacologiche dei vari principi attivi, sempre difficili da dimostrare (Mazzanti, 2005). Per una stessa droga vegetale si trovano in commercio prodotti molto diversi per composizione e ciò implica che questi possano conferire effetti farmacologici anche molti differenti fra di loro. Spesso poi la raccolta spontanea e la coltivazione agricola non sono sufficienti per produrre una quantità di biomassa utile all’estrazione dei principi attivi richiesti dal mercato. Inoltre le piante coltivate con metodi tradizionali, vanno spesso incontro a problemi di disomogeneità di 32 crescita e la necessità di tenere sotto controllo tutta una serie di parametri, influenti sulla qualità finale del prodotto, si fa sempre più forte. L’applicazione di sistemi idroponici alla coltivazione di piante medicinali segue quindi le richieste dell’industria, inerenti l’estrazione di principi attivi fitoterapici: l’ottenimento di rese elevate attraverso una intensivizzazione della coltura, l’accorciamento del ciclo produttivo nonché il miglioramento di tutti gli aspetti qualitativi del materiale grezzo da sottoporre a processi di estrazione industriale. E.angustifolia in aeroponica (http://ag.arizona.edu/ceac/photolib/pics/aero/echroots.jpg) L’idroponica consente poi di poter controllare strettamente tutti i parametri di crescita della coltura e di poter stimolare il metabolismo secondario delle piante attraverso l’induzione di stress. Si presenta così come una valida alternativa ai sistemi tradizionali di coltura in suolo e può consentire di ottenere una standardizzazione del materiale vegetale prodotto a partire da una standardizzazione del protocollo di coltivazione. 33 3.2 . OBIETTIVI DELLA RICERCA La specie medicinale oggetto della tesi sperimentale è Echinacea angustifolia, coltivata per le numerose proprietà (soprattutto, immunostimolante e antinfiammatoria) conferite dai suoi metaboliti (v. Capitolo 2). In particolare, si è voluto identificare, in due successivi esperimenti di coltivazione in serra realizzati ad un mese di distanza l’uno dall’altro, la soluzione nutritiva più idonea per la coltura in floating di questa specie. Sono state così poste a confronto tre soluzioni nutritive diversificate per il rapporto molare tra nitrato e ammonio (NO3- / NH4+ nei rapporti 100:0, 75:25, 50:50), con una concentrazione totale di azoto in soluzione di 8 mmol L-1. Sono state esaminate le differenze in termini di produzione di biomassa e di contenuto di derivati dell’acido caffeico, sia nelle radici che nelle foglie, in piante di due o tre mesi. Nel nostro studio, la determinazione dei metaboliti di interesse è stata effettuata via HPLC. In letteratura è possibile trovare lavori sull’effetto della nutrizione azotata sulla crescita e/o la resa in principi attivi di piante medicinali. Bonomelli et al. (2005) coltivando in vaso piante di Echinacea purpurea, ha studiato la produzione di biomassa fresca e secca in relazione a vari livelli di fertilizzazione azotata (0, 33, 100 kg·ha-1 di azoto). I risultati ottenuti mostravano che piante nutrite con dosi maggiori di azoto sviluppavano una maggiore biomassa rispetto a quelle nutrite con quantitativi inferiori, ma i dati non erano comunque statisticamente significativi. La fertilizzazione azotata diminuiva la proporzione delle radici in relazione alle parti aeree; il contenuto totale di sostanza secca (organi epigei ed ipogei) invece risultava intorno al 25-26%, rimanendo simile per piante nutrite con differenti dosi di azoto. Lo studio di Hagimori et al. (1982), invece, ha riguardato la coltura in vitro di radici di Digitalis purpurea L. condotta con varie modificazioni del mezzo di crescita Murashige-Skoog (MS); in particolare, è stato verificato l’effetto di varie concentrazioni di alcuni elementi nutritivi, fra cui l’azoto (in forma nitrica ed ammoniacale), e ormoni sulla produzione di digitossina. La riduzione di un terzo della concentrazione di base dell’azoto ha aumentato il contenuto di digitossina senza effetti sulla crescita di crescita. Il rapporto ottimale fra azoto nitrico ed azoto ammoniacale è risultato quello 2:1, quello tipico di MS. L’effetto dei vari rapporti dell’azoto in forma nitrica ed ammoniacale sono stati indagati anche in colture cellulari di Panax notoginseng da Zhang et al. (1996) riguardo soprattutto alla produzione di saponine e polisaccaridi. Le sospensioni contenevano 34 azoto totale fino a 60 mM; i risultati indicano che il passaggio dal nitrato all’ammonio aveva una grande influenza sulla crescita cellulare, sul consumo delle risorse di carbonio ed azoto e sulla produzione di metaboliti secondari: l’ammonio ha ridotto la formazione di saponina. La produzione massima di saponina e polisaccaridi è stata raggiunta quando il nitrato era la sola forma azotata; tale forma garantiva anche un maggior crescita cellulare. Un altro studio sugli effetti dell’azoto ammoniacale, in presenza anche dell’azoto nitrico, è stato condotto su Chrysanthemum coronarium L. coltivata in un sistema idroponico sotto serra (Yang et al., 2005). In questo studio sono stati testati quattro livelli di azoto ammoniacale (0, 2.5, 5.0, 7.5 mM); al diminuire del NO3- / NH4+ si è avuto una riduzione della crescita ma un aumento del contenuto di lattoni sesquiterpenici. 3.3 MATERIALI E METODI Materiale vegetale I semi delle piante di Echinacea angustifolia utilizzate per le prove di coltivazione in floating (Gold Nugget Seed®, Jelitto Staudensamen GmbH, Schwarmstedt, Germany). erano stati pre-trattati per rompere la dormienza ed accelerare così la germinazione che, nel genere Echinacea, non sempre avviene in maniera semplice ed omogenea. La dormienza di questo genere di semi può essere rotta sia con mezzi fisici (luce, raffreddamento, scarificazione) che con mezzi chimici (solitamente etilene); ciò lascia pensare che nel fenomeno possano essere implicati sia fattori meccanici che non meccanici: i primi risiedono sicuramente negli involucri più esterni dei semi; per quanto riguarda i fattori non meccanici invece non è ancora chiaro quale sia il tipo di inibizione rimosso dall’etilene, ma sembra possibile che esso stimoli la sintesi o il rilascio di promotori di crescita necessari per l’instaurarsi del processo di germinazione (Pistelli e Venturi, 2004). Tecnica di coltivazione idroponica (floating system) Sono stati effettuati due esperimenti analoghi, rispettivamente alla metà dei mesi di marzo e aprile 2007, seguendo per entrambi lo stesso protocollo sperimentale. Per l’intero ciclo colturale sono stati utilizzati pannelli alveolari in polistirolo contenenti plug di lana di roccia. La semina è stata eseguita collocando un singolo seme in ogni 35 alveolo precedentemente bagnato e ricoprendo con un fine strato di vermiculite. La germinazione è avvenuta in camera di crescita, dove i semi, quotidianamente irrigati, sono stati mantenuti per dieci giorni alla temperatura di 23±1°C, in condizioni di intensità luminosa di 200 W/m2 e fotoperiodo 16:8 luce-buio. Successivamente i pannelli con le plantule sono stati spostati in serra e mantenuti per altre tre settimane su appositi bancali sollevati da terra per garantire il ricircolo d’aria, con una regolare irrigazione tramite nebulizzazione. In questo arco di tempo è avvenuta l’emissione delle prime foglie vere e si è osservata un‘iniziale fuoriuscita delle radici dal substrato. Le piante sono state trasferite su pannelli alveolari di grandezza 52 cm x 33 cm. Si sono utilizzate 40 piante per ogni pannello, con una densità teorica di 233 piante m-2 (indicativamente 160 piante m-2, espressa in base alla superficie lorda) avendo cura di lasciare un alveolo vuoto fra pianta e pianta per permetterne uno sviluppo migliore. Per prevenire i problemi (es. sporcizia, consumo di ossigeno, ecc.) legati allo sviluppo delle alghe nella soluzione nutritiva contenuta nelle vasche, sviluppo chiaramente dipendente dalla luce, si è provveduto ad incollare sulla superficie dei pannelli un film plastico bucato solo in prossimità degli alveoli ospitanti le piante, in modo da oscurare completamente la soluzione nutritiva. Uno degli impianti sperimentali utilizzati per la coltivazione di E. angustifolia. 36 Alle vasche usate per gli esperimenti, tutte di materiale plastico e contenenti 65 litri di soluzione, sono stati montati due rubinetti (uno a metà vasca e l’altro nella parte bassa) aventi funzioni differenti: quello inferiore di semplice svuotamento; nell’altro invece, rigirato su se stesso, è stato inserito un cilindro graduato nella bocchetta. In tal modo, aprendo il rubinetto, la parte liquida penetra nel cilindro salendo fino ad un certo valore (corrispondente all’altezza della soluzione nel recipiente), che, rimisurato dopo un tempo stabilito permette di vedere l’abbassamento del livello interno alla vasca, indice del consumo ed evaporazione della soluzione. Il consumo d’acqua ha raggiunto valori fino a 3.3 L vasca-1 ( 0.095 L pianta-1) per settimana. Il sistema idroponico era dotato anche di un sistema di aerazione, costituito da un insieme di tubi plastici collegati ad un compressore con una pietra porosa da acquario all’estremita, in modo da garantire un contenuto di ossigeno di almeno 5-6 mg L-1. La composizione di macro- e micro-elementi nelle tre soluzioni nutritive poste a confronto nei due esperimenti e differenziate per il rapporto NO3-/NH4+ è riportata nella tabella 3.1. Ogni trattamento veniva replicato tre volte, quindi in tutto c’erano nove vasche. Alle soluzioni di ogni vasca si sono aggiunti anche 0.8 g di una miscela di micronutrienti, Mix 5 SG (Valagro SpA, Chieti, Italy) e 0.8 g di ferro chelato al 6%. Particolare della vasca idroponica; ogni vasca costituiva un replicato. 37 Particolare dell’apparato radicale di piante di E. angustifolia coltivate in idroponica. Tabella 3.1. Concentrazione dei macroelementi nelle tre soluzioni nutritive poste a confronto negli esperimenti di coltivazione idroponica di E. angustifolia. Concentrazione (meq/L) 100 NO3 75 NO3 50 NO3 N-NO3- 8.0 6.0 4.0 P-H2PO4- 1.0 1.0 1.0 S-SO42- 2.0 4.0 6.0 Cl- 8.0 10.0 12.0 Concentrazione totale di anioni 19.0 21.0 23.0 N-NH4+ 0.0 2.0 4.0 Ca 4.0 4.0 4.0 K 5.0 5.0 5.0 Mg 2.0 2.0 2.0 Na 8.0 8.0 8.0 Concentrazione totale di cationi 19 21 23 38 Il pH delle vasche è stato corretto inizialmente e ad ogni cambio di soluzione al valore ottimale 5.5-6 con acido cloridrico ed è stato monitorato e corretto settimanalmente insieme alla conducibilità elettrica. Nelle tesi con l’azoto ammoniacale si è verificato, come del resto era prevedibile, una tendenza alla acifidicazione che in alcuni casi ha portato i valori del pH fino a 4.0 circa. Al contrario, nella tesi 100 NO3 il pH tendeva a salire fino a valori superiori a 7.0. La soluzione nutritiva contenuta in ogni vasca è stata sostituita mensilmente. L’andamento dei valori di conducibilità elettrica (EC) registrati durante il secondo esperimento, scelto come esempio, è riportato nella Fig. 3.1. 5 100% NO3 75% NO3 50% NO3 EC (mS cm-1) 4 3 2 Rinnovo 1 0 0 10 20 30 40 50 60 Tempo (giorni dal trapianto) Figura 3.1. Valori della conducibilità elettrica (EC) registrati durante il secondo esperimento con piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra. La semina è stata effettuata il 20 aprile ed il trapianto un mese dopo. Determinazioni sperimentali Le piante coltivate in floating sono state campionate nel giugno e luglio 2007, con cicli colturali di tre mesi per il primo esperimento e di due o tre mesi per il secondo; al momento dei prelievi nessuna delle piante campionate presentava strutture fiorali differenziate. Il materiale vegetale è stato inizialmente privato del substrato, lavato in acqua potabile e quindi in acqua deionizzata, e alla fine asciugato con carta assorbente. 39 Ogni singola pianta è stata suddivisa in parte aerea e radici. Ogni campione, costituito da due piante, è stato pesato ed essiccato a 50°C in stufa ventilata. La determinazione del peso secco è stata effettuata tramite essiccazione in stufa ventilata a 75°C fino a peso costante. I dati di crescita e di contenuto dei vari metaboliti d’interesse preventivamente scelti sono stati poi esaminati dal punto di vista statistico tramite l’analisi della varianza (ANOVA) ad una via, per verificare eventuali differenze significative legate all’impiego di soluzioni nutritive diversificate, appunto, per il rapporto molare NO3- / NH4+. Le medie sono state separate con il test della minima differenza significativa. Analisi chimiche Le procedure di estrazione dei campioni essiccati a 50 gradi hanno seguito il protocollo di Luo et al. (2003) opportunamente modificato (Annaheim, 2008), cioè usando un solvente acidificato con HCl. I campioni essiccati sono stati mantenuti una notte in essiccatore prima della macinazione. Il tessuto vegetale secco è stato pesato, posto in mortaio di porcellana sotto cappa e rapidamente addizionato di 5.0 ml di solvente di estrazione (MeOH/H2O/HCl, 70:29:1, v/v), quindi è stato macinato. Ogni campione era costituito da circa 0,2 g di tessuto secco. Il materiale vegetale con il solvente di estrazione è stato trasferito in tubi di plastica, mantenuti poi una notte a –20°C, quindi il giorno seguente ben agitati a mano e posti su agitatore magnetico per quattro ore. I tubi sono stati centrifugati per 2 minuti a 2700 g; il liquido surnatante è stato raccolto in nuovi tubi di plastica e conservato a –20°C. Al tessuto sono stati aggiunti altri 5.0 ml di solvente di estrazione e la procedura è stata ripetuta. Infine, le due aliquote di surnatante sono state riunite e conservate a –20°C. Le soluzioni ottenute hanno poi subito la filtrazione per mezzo di un filtro da siringa Chromafil® da 0,45 µm con membrana in PTFE, del diametro di 2.5 cm (Macherey - Nagel, Düren, Germany) ed in seguito conservate a - 20°C prima dell’analisi HPLC. Il materiale vegetale in eccesso rispetto a quello utilizzato per l’estrazione è stato raccolto in provette e trasferito in stufa ventilata a 75°C per la determinazione del peso secco di ciascun campione. Per la quantificazione dei derivati dell’acido caffeico si sono utilizzati composti standard chimicamente puri: echinacoside, cinarina, acido cicorico e caftarico (Phytolab GmbH & Co. KG, Vestenbergsgreuth, Germany); acido clorogenico, caffeico, p40 cumarico e ferulico (Sigma-Aldrich, Milano, Italia). La preparazione degli standard ha avuto luogo pesando 2 mg delle varie sostanze tramite bilancia analitica Handy H110 (Sartorius, Goetteingen, Germany). Si sono utilizzati solventi puri per HPLC (Carlo Erba Reagenti SpA, Rodano, Italia). Le soluzioni stock (10 ml) si sono realizzate sciogliendo le sostanze solide pesate in una soluzione costituita da metanolo e acido fosforico allo 0.1% (70:30 v:v) La precisione richiesta per le pesate iniziali, ci ha imposto di confermare la concentrazione delle soluzioni standard preparate, tramite determinazione spettrofotometrica con registrazione degli spettri UV-Vis ed il confronto con spettri analoghi ottenuti da soluzioni a concentrazione nota utilizzate in lavori precedenti (Tozzini, 2006). Le soluzioni stock sono state diluite 1:10 con metanolo puro in modo che la massima assorbanza fosse di circa 0.8 e sono stati registrati gli spettri di assorbimento fra 200 nm e 500 nm con uno spettrofotometro UV-Vis a doppio raggio Lambda 35 (Perkin Elmer Beaconfield, England),utilizzando metanolo puro come soluzione di riferimento. Sono state realizzate poi le curve di calibrazione tramite l’interpolazione di tre punti sperimentali; per l’echinacoside, la cinarina e l’acido cicorico ne sono invece stati utilizzati solo due. Le curve sono state poi ulteriormente verificate per confronto con altre curve standard analoghe registrate in prove precedenti. L’analisi chimica vera e propria è stata condotta utilizzando un’apparecchiatura HPLC (Jasco, Tokyo, Giappone) costituita da una pompa quaternaria di gradiente a bassa pressione modello PU-2089 e da un rivelatore UV/Vis multicanale modello UV-2077. Le analisi sono state condotte con una colonna Macherey-Nagel C18 250/4.6 Nucleosil® 100-5, munita di precolonna ed a flusso 1 ml min-1, usando come eluenti acetonitrile (A) e una soluzione acquosa di acido o-fosforico allo 0.1% (B). L'eluizione in gradiente è stata così programmata: 0.0-0.4 minuti, B 95%; 0.4-0.5 minuti, B 9585%; 0.5-10 minuti, B 85-80%; 10-20 minuti, B 80-60%; 20-21 minuti, B 60-5%; 21-25 minuti, B 5%; 25-26 minuti, B 5-95%; 26-30 minuti, B 95%. Le lunghezze d’onda alle quali sono stati registrati i cromatogrammi sono 280 nm, 300 nm, 325 nm e 350 nm; il volume di ogni iniezione è stato di 20 µl e le analisi sono state portate avanti a temperatura ambiente (20-25°C). I derivati dell’acido caffeico sono stati identificati confrontando i tempi di ritenzione con quelli dei rispettivi standard analitici e quantificati per integrazione dell’area dei picchi e confronto con le rispettive curve di calibrazione. 41 3.4 RISULTATI E DISCUSSIONE Analisi di crescita L’ammonio e il nitrato sono le principali fonti di azoto utilizzate dalle piante. Nonostante l’assimilazione di NO3– sia alquanto dispendiosa in termini energetici (la sua riduzione richiede sia ATP sia NADPH), di solito NH4+ non è la forma preferita dalle piante (Salsac et al., 1987). Ciò trova spiegazione nel fatto che l’assorbimento dell’ammonio, da solo o ad alti livelli, può eccedere la capacità di organicazione causando tossicità (Maynard e Barker, 1969). Pertanto, l’ammonio può indurre importanti cambiamenti fisiologici se somministrato in quantità maggiori di quelle tollerate dalla specie e provocare stentata crescita, decolorazione, clorosi e necrosi delle foglie, nonché lesioni sugli steli. Diversamente, l’esclusiva o la prevalente disponibilità (nel mezzo di crescita) dell’azoto in forma nitrica, piuttosto che ammoniacale, favorisce l’accumulo di nitrato, qualora il processo di assorbimento di NO3– sia più rapido del processo di assimilazione. Questo fenomeno può avere riflessi negativi sulla produzione delle colture, ad es. può determinare un aumento del contenuto di nitrati liberi (potenzialmente tossici per l’organismo umano) in molti ortaggi da foglia (Gonnella et al., 2002). La preferenza nell’uso di una forma o l’altra dipende da diversi parametri: specie, età della pianta, condizioni ambientali, rapporto tra le due forme chimiche dell’azoto e concentrazione degli altri elementi nutritivi nel mezzo di crescita. Normalmente, nelle colture idroponiche la forma nitrica è l’unica presente o comunque quella predominante, essendo l’azoto ammoniacale usato in percentuali (rispetto all’azoto totale) assai ridotte (<10%) (Pardossi et al., 2006). Non mancano, comunque, in letteratura lavori dai quali emerge una maggiore crescita delle radici ed in generale della pianta quando questa è coltivata somministrando l’azoto sia in forma nitrica che ammoniacale, rispetto all’impiego della sola forma nitrica (Sady et al. 1995; Schortemeyer and Feil 1996). Il rapporto NO3–/NH4+ ottimale dipende dalla specie e dalle condizioni di sviluppo (Marschner 2002); tale rapporto incide non solo sullo sviluppo e sulla morfologia delle radici, ma anche sulla produzione di biomassa delle radici stesse (Woolfolk and Friend 2003). Un’altra ricerca ha mostrato anche come il rapporto fra queste due forme azotate possa cambiare la proporzione fra radici e parte aerea (Bar-Tal et al. 2001). 42 60 100% N-NO3 75% N-NO3 g pianta -1 50% N-NO3 40 20 g pianta -1 0 30 -1 RADICI TOTALE FOGLIE RADICI TOTALE FOGLIE RADICI TOTALE 20 10 0 30 g pianta FOGLIE 20 10 0 Figura 3.2. Effetto del rapporto tra la concentrazione di azoto nitrico e azoto totale nella soluzione nutritiva sul peso fresco delle foglie, delle radici e totale determinato, in due esperimenti successivi, dopo due o tre mesi dal trapianto, in piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra. Alto: esp. 1, piante di tre mesi (dalla semina); medio: esp. 2, piante di due mesi; basso: esp. 2, piante di tre mesi. Le differenze tra i vari trattamenti non sono statisticamente significative. 43 10 100% N-NO3 75% N-NO3 g pianta -1 50% N-NO3 5 FOGLIE RADICI TOTALE FOGLIE RADICI TOTALE FOGLIE RADICI TOTALE g pianta -1 0 5.0 2.5 g pianta -1 0.0 5.0 2.5 0.0 Figura 3.3.. Effetto del rapporto tra la concentrazione di azoto nitrico e azoto totale nella soluzione nutritiva sul peso secco delle foglie, delle radici e totale determinato, in due esperimenti successivi, dopo due o tre mesi dal trapianto, in piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra. Alto: esp. 1, piante di tre mesi (dalla semina); medio: esp. 2, piante di due mesi; basso: esp. 2, piante di tre mesi. Le differenze tra i vari trattamenti non sono statisticamente significative. 44 La simultanea presenza di nitrati e ammonio può, inoltre, risultare utile dal punto di vista tecnico per mantenere l’equilibro elettro-chimico della soluzione nutritiva, quindi del pH, che le piante invece tendono a modificare in seguito all’assorbimento differenziale di ioni inorganici di diversa natura (cationi e anioni) (Lea-Cox et al., 1999; Savvas et al., 2003; Sigg et al., 2006). Ciò è particolarmente importante nel floating system dove le piante sono cresciute in una soluzione nutritiva stagnante e gli aggiustamenti del pH possono risultare più complessi rispetto ad altri sistemi idroponici con soluzione nutritiva ricircolante (es. nutrient film tecnique) raccolta in un deposito dove l’operazione di correzione del pH può essere addirittura automatizzata. Nel nostro studio, non sono emerse differenze significative tra i tre diversi regimi nutrizionali (cioè, diversi rapporti NO3–/NH4+ nella soluzione nutritiva) per quanto riguarda la produzione di biomassa fresca (Fig. 3.2) o secca (Fig. 3.3), sia per quanto riguarda le radici che la parte aerea. Le nostre osservazioni confermano, almeno in parte, i risultati di Zheng et al. (2006). Questi autori hanno condotto una serie di esperimenti in serra con piante di Echinacea angustifolia ed Echinacea purpurea coltivati in floating o in vasetti con diversi substrati (sabbia o un miscuglio di torba, perlite e vermiculite) con diversi rapporti NO3-/NH4+ nella soluzione nutritiva (3:1, 5:1, 7:1, corrispondenti rispettivamente al 75, 83.3 e 87.5% dell’azoto nitrico sull’azoto totale, pari a 16 mM) e due diversi regimi di irrigazione in modo da stressare leggermente le piante, in un caso. Nell’esperimento di Zheng et al. (2006a), nel quale è stata adottata una densità colturale inferiore (22 piante m-2) a quella del nostro lavoro (circa 160 piante m-2) con un sistema simile a quello qui utilizzato, nella maggior parte dei casi e in entrambe le specie i vari rapporti NO3-/NH4+ non avevano effetti significativi sulla crescita in nessuna delle due specie, in tutti i vari sistemi di coltivazione. Quando però gli effetti erano significativi, questi suggerivano un ruolo positivo della forma nitrica; infatti, con rapporti più alti fra azoto nitrico ed ammoniacale nella piante, soprattutto di E. purpurea, si aveva un’area fogliare più sviluppata, una maggiore biomassa totale e radicale ed anche un rapporto maggiore (sost. secca) tra le radici e la parte aerea. Tornando a commentare i risultati dei nostri esperimenti, occorre dire che, nelle due prove condotte, eseguite ad un mese di distanza l’una dall’altra, si sono ottenuti risultati assai variabili, come indicato ad esempio dai valori del coefficiente di variabilità (CV) della media del peso secco delle radici e delle foglie calcolati per i vari prelievi nei due esperimenti (Tab. 3.2); il CV in alcuni casi è stato addirittura di quasi il 90%. In effetti, 45 ad un’uniformità iniziale delle piantine, si è poi contrapposta al momento dei prelievi (quindi, dopo due o tre mesi dalla semina) una variabilità assai marcata (v. foto pagina seguente). Tabella 3.2. Coefficiente di variabilità delle medie dei pesi secchi determinati su campioni di foglie o di radici raccolti in diversi esperimenti con piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra usando soluzioni nutritive differenziate per la percentuale di azoto nitrico sull’azoto totale. FOGLIE RADICI TOTALE Esp. I Esp. II Esp. II 3 mesi da semina 2 mesi da semina 3 mesi da semina 100 NO3 30.8 9.3 31.4 75 NO3 59.9 18.7 17.0 50 NO3 47.7 34.9 31.3 100 NO3 89.2 9.8 52.0 75 NO3 30.7 18.1 48.5 50 NO3 45.0 30.1 50.2 100 NO3 52.3 9.7 39.8 75 NO3 50.4 17.7 26.7 50 NO3 29.3 31.6 40.9 Tale variabilità potrebbe avere mascherato gli effetti della nutrizione azotata per quanto riguarda il livello di crescita delle piante. Infatti, quando si considerano le piante campionate alle fine dei due esperimenti, cioè dopo due mesi dal trapianto (tre dalla semina), l’aumento della concentrazione di azoto NH4+ si associava ad una certa riduzione della crescita delle radici e della parte aerea (Figg. 3.2 e 3.3). Inoltre, in entrambi gli esperimenti, si è rilevata una percentuale di sopravvivenza delle piante, rispetto a quelle effettivamente trapiantate, pari mediamente al 42% nella tesi 50 NO3 mentre nelle altre due tale percentuale si attestava intorno al 78%; cioè, la mortalità 46 delle piante è stata decisamente superiore quando la metà dell’azoto in soluzione era sotto forma ammoniacale. Le ragioni della moria delle piante erano costituite da un grave marciume prima del colletto e quindi delle radici, d’eziologia ignota non essendo stati condotti studi fitopatologici in tal senso, ma verosimilmente provocata da agenti patogeni come ad es. Pythium. Piante di E.angustifolia coltivata in idroponica due (sx) o sei (dx) settimane dopo il trapianto: alla uniformità iniziale si contrappone una notevole difformità nella crescita in uno stadio più avanzato dello sviluppo. 47 E’ stata osservata anche una notevole variabilità tra esperimento e esperimento. Mediamente, il peso fresco e secco di una singola pianta dopo due mesi dal trapianto si aggirava sui 25.8 g e 3.4 g, rispettivamente, nel primo esperimento e raggiungeva i 12 g e 1.9 g nel secondo. Questi valori sono simili a quelli di Zheng et al. (2006a) che nel loro articolo riportano valori del peso secco totale delle piantine di E. angustifolia, tre mesi dopo il trapianto (cinque dopo la semina) inferiori a 4-5 g pianta-1. Anche per il contenuto di sostanza secca sulla biomassa tal quale al momento della raccolta si sono registrati valori molto variabili, oscillando fra il 10.0 % ed il 17.9%; anche questi valori sono simili a quelli di Zheng et al. (2006a). Esp. 1 Temperatura (°C) Radiazione (MJm -2giorno -1) 40 Esp. 2 30 20 Temperatura 10 Radiazione 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 Tempo (giorni dal primo trapianto) Figura 3.4. Valori medi giornalieri della temperatura dell’aria e della radiazione incidente registrati nei tre mesi dopo il trapianto (a partire dal 20 aprile 2007) in cui sono stati condotti i due esperimenti con piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra. Il primo esperimento è iniziato con la semina il 20 marzo; le piante sono state trapiantate il 20 aprile. Il secondo esperimento è stato posticipato di un mese per quanto riguarda sia la semina sia il trapianto. La temperatura media dell’aria all’interno della serra è stata di 22.5°C per la prima prova e di 24.6°C per la seconda; la radiazione incidente media invece si attestava a 9.5 MJ/m2 nel primo esperimento e 10.0 MJ/m2 nel secondo. 48 Considerando l’uniformità delle condizioni edafiche garantite dalla tecnica idroponica e un andamento dei parametri climatici più importanti (temperatura e radiazione; Fig. 3.4) praticamente identico nei due esperimenti, che peraltro in parte erano condotti parallelamente, le ragioni della variabilità nella crescita delle piante sono probabilmente riconducibili alla variabilità genetica nel lotto di semi utilizzato. Contenuto di metaboliti secondari La caratterizzazione chimica (via HPLC) dei campioni raccolti nei due esperimenti ha previsto l’impiego di otto diversi standard. Di questi,solo quattro sono stati rintracciati in quantità significative, cioè superiori al livello di rilevabilità del metodo analitico impiegato (pari a 0.05 mg g-1 di peso secco): acido clorogenico, echinacoside, cinarina, a. cicorico, elencati in ordine crescente del tempo di eluizione. In tutti i campioni analizzati, invece, il contenuto degli altri metaboliti considerati (a. caftarico, a. caffeico, a. p-cumarico e a. ferulico) è stato inferiore o appena al di sopra del limite di rilevabilità e pertanto non è stato considerato nella determinazione del contenuto totale di metaboliti d’interesse. Pur in minore misura rispetto a quanto osservato per l’analisi di crescita, anche per la concentrazione dei derivati dell’acido caffeico è stata osservata una certa variabilità dei risultati che era intorno al 13%, con valori fino al 62%. I rilievi sull’echinacoside erano quelli che rivelavano il coefficiente di variabilità minore. Molti lavori in letteratura, del resto, riportano che il contenuto di principi attivi in E. angustifolia è assai variabile, essendo influenzato da molti fattori spesso non controllabili come l’andamento climatico, o come il genotipo impiegato (Aiello et al., 2002a, 2002b, 2002c; Bomme et al. 1992, Bauer, 1998; Letchamo et al., 2002). L’echinacoside, il composto comunemente utilizzato come parametro di riferimento per la titolazione degli estratti reperibili in commercio, è quello che ha fatto rilevare la concentrazione più elevata fra quelli presi in esame (Figg. 3.5 e 3.6) e sembra essere prodotto in quantità maggiore nelle foglie rispetto alle radici. Questo risultato è per certi versi sorprendente, in quanto solitamente sono le radici a contenere di più delle foglie questo composto, come riportato anche da (Tozzini, 2006; Montanari et al., 2008;: Zheng et al., 2006). 49 Tabella 3.3. Coefficiente di variabilità delle medie del contenuto di alcuni derivati dell’acido caffeico determinati in campioni di foglie o di radici raccolti in diversi esperimenti con piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra usando soluzioni nutritive differenziate per la percentuale di azoto nitrico sull’azoto totale. Esp.1, 3 mesi FOGLIE RADICI Esp.2, 2 mesi FOGLIE RADICI Esp.2, 3 mesi FOGLIE RADICI Ac.clorogenico Echinacoside Cinarina Ac.cicorico Totale 100 NO3 18 7 14 19 4 75 NO3 24 6 26 15 5 50 NO3 32 6 29 12 4 100 NO3 16 7 2 12 6 75 NO3 11 3 2 14 4 50 NO3 12 6 5 10 8 100 NO3 4 11 21 9 9 75 NO3 14 8 26 9 6 50 NO3 8 9 28 12 7 100 NO3 6 3 3 10 1 75 NO3 9 3 4 11 2 50 NO3 11 5 3 13 7 100 NO3 24 9 33 13 8 75 NO3 14 8 29 23 7 50 NO3 26 7 62 31 5 100 NO3 7 3 1 11 3 75 NO3 7 3 2 16 2 50 NO3 9 4 12 12 4 50 Nel nostro lavoro l’echinacoside rappresenta nelle foglie la quasi totalità dei metaboliti cercati. Nel primo esperimento raggiungeva un valore medio di 5002 µg g-1 (nel trattamento col solo azoto nitrico si arriva a 5499 µg g-1) mentre gli altri metaboliti venivano rilevati tutti sotto i 500 µg g-1. Nell’altro esperimento, invece, i rilievi di echinacoside arrivavano fino a concentrazioni medie di 3635 e 3649 µg g-1, rispettivamente in foglie di due mesi e tre; in quest’ultime col trattamento75 NO3 si raggiungeva 4372 µg g-1. In questo esperimento, l’acido clorogenico, la cinarina e l’acido cicorico erano presenti per entrambi i rilievi a concentrazioni simili alla prima prova. Lo stesso esperimento, dunque, si caratterizzava per avere concentrazioni equiparabili di tutti i metaboliti in piante di età diverse. Solo in quelle di tre mesi però la nutrizione azotata sembrava avere influenzato la produzione di echinacoside, che è risultata significativamente inferiore nella tesi col 50% di azoto nitrico. Per le foglie delle piante di due mesi e di quelle del primo esperimento, non si sono osservate invece differenze significative fra le tesi a confronto. Per quanto riguarda le radici (Fig. 3.6), l’echinacoside era presente alle concentrazioni medie di 2137 µg g-1 (il valore più alto, 3154 µg g-1, si è avuto con 75 NO3) nel primo esperimento e di 3778 µg g-1 (5814 µg g-1 con 75 NO3) nelle piante di tre mesi del secondo, nettamente superiore al rilievo delle piante più giovani (1249 µg g-1). Gli altri tre metaboliti, in particolare la cinarina, erano presenti nelle radici in quantità molto più elevate rispetto alle foglie. Mettendo a confronto radici della stessa età, si nota dalla figura 3.6 come i contenuti di metaboliti determinati nel secondo esperimento risultino più alti rispetto al primo; la concentrazione media di cinarina per esempio era di 2317 µg g-1, mentre nel primo esperimento era di 1284 µg g-1 (nel trattamento con solo nitrato si arrivava a 1799 µg g-1). L’effetto della concentrazione di azoto risulta influente, in quanto la tesi 75 NO3 è quella dove, in tutti e tre i prelievi, la quantità di echinacoside è sempre significativamente più alta rispetto agli altri due trattamenti. In generale, l’uso del 50% dell’azoto in soluzione in forma ammoniacale tendeva ad influenzare in modo negativo l’accumulo dei metaboliti più significativi (echinacoside e cinarina), come del resto visto anche in precedenti esperimenti (Tozzini, 2006; Montanari et al., 2008) condotti con lo stesso materiale genetico usato in questo lavoro e in condizioni ambientali e colturali praticamente identiche. 51 8000 75% NO3 100% NO3 50% NO3 7000 a b 3000 b A .C .C LE a a a a,b b b 3000 b 1000 A .C 6000 A .C C ic in or ic o ar in a de si co Ec hi na ge ni co lo ro 7000 a b a,b a b a,b a b a 0 8000 To ta le 2000 5000 a a a a 4000 b b 3000 b 1000 a a a A .C ic or ic o in ar in a C co si de na Ec hi A .C lo ro ge ni co 0 a a b b a c le 2000 To ta -1 ic in 5000 4000 or ic o ar in a e id os A 6000 Ec hi na c ge ni co lo ro 7000 a a a a b b TO TA a a a 0 8000 µg g PS b 4000 1000 -1 b a 5000 2000 µg g PS a a C µg g PS -1 6000 Figura 3.5. Effetto del rapporto tra la concentrazione di azoto nitrico e azoto totale nella soluzione nutritiva sul contenuto di alcuni derivati dell’acido caffeico (per singolo metabolita e totale) determinato, in due esperimenti successivi, dopo due o tre mesi dal trapianto, nelle foglie di piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra. Alto: esp. 1, piante di tre mesi (dalla semina); medio: esp. 2, piante di due mesi; basso: esp. 2, piante di tre mesi. 52 8000 75% NO3 100% NO3 50% NO3 7000 a µg g PS -1 6000 5000 b b 4000 a 3000 b 2000 a c a a a 1000 a b c b b µg g PS -1 A .C LE TO TA ar in a in C A .C ic or ic o 6000 Ec hi na co si de lo ro 7000 ge ni co 0 8000 5000 a 4000 b b 3000 2000 a 1000 b b a a b c c a a a b µg g PS -1 LE TA a TO A .C ic or ic o ar in a C in Ec hi na co si de A .C lo ro 10000 ge ni co 0 12000 b 8000 a 6000 c 4000 b b c a a 2000 c b c a b b LE TO TA A .C ic or ic o ar in a in C in Ec h A .C lo ro ge ni co ac os id e 0 Figura 3.6. Effetto del rapporto tra la concentrazione di azoto nitrico e azoto totale nella soluzione nutritiva sul contenuto di alcuni derivati dell’acido caffeico (per singolo metabolita e totale) determinato, in due esperimenti successivi, dopo due o tre mesi dal trapianto, nelle radici di piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra. Alto: esp. 1, piante di tre mesi (dalla semina); medio: esp. 2, piante di due mesi; basso: esp. 2, piante di tre mesi. 53 Zheng et al. (2006b) riportano, per piante di Echinacea angustifolia coltivate in sistemi idroponici simili ai nostri, risultati in parte diversi. Ad es., nello studio di questi autori canadesi le foglie risultavano contenere meno metaboliti rispetto alle radici. La concentrazione di echinacoside, inoltre, sembrava essere influenzata dal tipo di coltivazione: nelle foglie, il floating faceva registrare contenuti di circa 600 µg g-1 decisamente più alti rispetto alle coltivazioni in vaso su sabbia o su di un miscuglio di torba, perlite e vermiculite; nelle radici coltivate sui due substrati invece, i valori sono stati assai più alti (fino a circa 7000 µg g-1) rispetto a quelli del floating (circa 3500 µg g-1). Nel floating, inoltre, i due rapporti NO3-/NH4+ pari a 3:1 e 7:1 (corrispondenti al 75 e 87.5% di azoto nitrico sull’azoto totale) facevano registrare concentrazione di metaboliti più alti nelle radici. Anche per la cinarina le concentrazioni nelle radici era più alte che nelle foglie; in queste ultime si arrivava al massimo a circa 400 µg g-1. In generale, le concentrazioni dei derivati dell’acido caffeico nelle radici e nelle foglie rilevate nei nostri campioni rientravano nel range di valori riportati in letteratura per E. angustifolia (Aiello, 2002; Berti et al., 2002; Kabganian et al, 2002a, 2002b; Li and Wardle, 2001; Li and Wardle, 2001; Pellati et al, 2005; Zheng et al., 2006b;). Parziale eccezione deve esser fatta per l’acido cicorico. Infatti, Zheng et al. (2006b) riportano che il range di concentrazioni di acido cicorico nelle radici di E.angustifolia coltivata in floating system superano 6000 µg g-1 in peso secco e che la cinarina e l’acido clorogenico sono presenti a concentrazioni radicali più alte, fino a 2000-2500 µg g-1, rispetto ai nostri esperimenti. 3.5 CONCLUSIONI C’è un crescente interesse per la coltivazione idroponica di piante medicinali (Wikremesinhe and Arteca, 1994; Borisjuk, 1999; Gontier et al., 2002; Murch et al., 2002; Pedneault et al., 2002; Zheng et al., 2006a, 2006b), che è generalmente usata per le colture orticole in serra e per la produzione all’aperto di semenzai (Pardossi et al., 2006). Le colture senza suolo, in particolare il floating, offrono alcuni vantaggi rispetto alle coltivazioni tradizionali, come il processo di produzione standardizzato, una crescita più sostenuta delle piante, una maggiore produzione nell’unità di tempo, un preciso monitoraggio delle piante e dei raccolti e l’alta qualità del prodotto grezzo che risulta 54 più pulito (ad es. con minor rischi di contaminazione da inquinanti o microrganismi) e quindi più facile da elaborare; inoltre, questa tecnica richiede investimenti relativamente bassi investimenti (Pardossi, 2006). Se l’idroponica è utilizzata insieme ad un rigido controllo climatico (mediante serra, fitotroni o camera di crescita), potrebbe essere allestito una sorta di stabilimento dove il materiale vegetale viene sia prodotto che elaborato. Così un sistema di coltivazione artificiale permette la regolazione del metabolismo secondario attraverso particolari manipolazioni delle condizioni di crescita. Infatti è stato ripetutamente dimostrato che la sintesi di molecole farmacologicamente attive può essere modificata variando la composizione della soluzione nutritiva fornita alle piante (Demeyer and Dejegere, 1989; Park et al., 1999; Briskin, 2000). Inoltre, con la coltura idroponica può essere applicata la cosiddetta “tecnologia a due fasi (Shain, 1996). Questa pratica è basata sul coinvolgimento del metabolismo secondario nella risposta delle piante agli stress biotici ed abiotici (Kaufmann et al., 1999): Seguendo l’approccio dei due stadi, inizialmente la crescita della pianta viene stimolata da una particolare gestione del clima o della nutrizione minerale; in seguito, l’applicazione di una forma moderata di stress può essere utilizzata per la sintesi di composti attivi. Tra le varie tecniche idroponiche, particolarmente interessante è il floating system utilizzato in maniera crescente per il ciclo breve, l’alta densità (fino ad alcune centinaia di piantine per m2 di area coltivata), la coltivazione in serra di erbe e vegetali a foglia, specialmente per i prodotti della quarta gamma (Nicola et al., 2005; Pardossi et al., 2006; Paschold and Mayer, 2002; Tyson et al., 1999). Dorais et al. (2001) hanno riportato alcuni risultati che suggeriscono la redditività del floating system per la produzione di radici e foglie di piante medicinali come Achillea millefolium, Artemisia vulgaris, Inula helenium, Stellaria media, Taraxacum officinalis e Valeriana officinalis. Nel nostro lavoro, sull’E. angustifolia coltivata in idroponica, le concentrazioni dei vari derivati dell’acido caffeico rilevati nei vari campioni (Fig. 3.7) sono state simili a quelle determinate in esperimenti precedenti (Tozzini, 2006; Montanari et al., 2008) o riportate in letteratura (e.g. Zheng et al., 2006b). In particolare, il contenuto di echinacoside, l’unico metabolita rintracciato in concentrazione maggiore nelle foglie rispetto alle radici, non ha mai superato i 7000 µg g-1 (0.7%) e quindi non si è mai raggiunto lo standard minimo di qualità dell’1% stabilito per il materiale di E. angustifolia destinato alla lavorazione industriale (S. Fulceri, Aboca Erbe, com. pers.), anche se per molte farmacopee il valore minimo è di 5000 µg g-1 (0.5 %), ad es. per la farmacopea europea 55 (European Directorate for the Quality of Medicines and Health Care, 2002). I motivi potrebbero essere legati alla scarsa idoneità genetica del materiale utilizzato nello studio (certamente all’origine della grande variabilità osservata sia per quanto riguarda la crescita sia in termini di concentrazione di metabolici) e/o alla scarso adattamento di questa specie ad una coltivazione intensiva come quella idroponica, caratterizzata da un ciclo di sviluppo molto rapido e condizioni edafiche sicuramente diverse da quelle tipiche in cui la specie si è evoluta e dove tutto sommato sembra poter esprimere al meglio il potenziale di pianta medicinale. Le radici, in particolare, sembrano dotate di uno scarsa capacità di adattamento a cicli relativamente lunghi in idroponica. Sia nel nostro che in altri esperimenti condotti in precedenza (Tozzini, 2006), le radici dopo due o tre mesi di coltivazione hanno manifestato fenomeni più o meno gravi di marciume del colletto e delle radici, che in alcuni casi hanno provocato una mortalità elevatissima delle piante ben prima dell’epoca prevista di raccolta. 7000 Foglie µ g g DW-1 6000 Radici 5000 4000 3000 2000 1000 LE A TO or ic ic .C TA o a in ar in C co hi na Ec A .C lo ro ge si ni de co 0 Figura 3.7. Contenuto di derivati dell’acido caffeico nelle foglie o nelle radici di piante di E. angustifolia D.C. coltivate in idroponica sotto serra per due mesi. Media dei valori rilevati nei tre trattamenti sperimentali a confronto nei due esperimenti. 56 Concludendo, anche alla luce di precedenti lavori condotti su questa specie al Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie di Pisa o da alcuni autori canadesi (Zheng et al, 2006a, 2006b), sembrano scarse le possibilità di ottenere per mezzo dell’idroponica una produzione rapida di biomassa con un titolo interessante di metaboliti secondari (es. almeno 1% di echinacoside), per lo meno con il materiale genetico attualmente a disposizione. È possibile che le caratteristiche fisiologiche dell’E. angustifolia siano tali da rendere la pianta interessante dal punto di vista farmaceutico in stadi di sviluppo (età) avanzati, che d’altra parte appaiono difficili da raggiungere con un sistema idroponico come il floating, che nasce e rimane una tecnica per colture da realizzare in tempi brevissimi (nel caso specifico, due o tre mesi). . 57 BIBLIOGRAFIA • Aiello N., Bezzi, 1999: “La coltivazione delle Echinacee destinate alla fitoterapia” Erboristeria Domani, Giugno 1999, 57-68. • Aiello, N. 2002. Le echinacee coltivate per uso medicinale. Comunicazioni di Ricerca dell'ISAFA, Trento, 1: 6-13. 9 Jan. 2006. http://www.isafa.it/scientifica/ pubblicazioni/pubblicazioni.htm. • Aiello, N., F. Scartezzini, C. Vender, and A. Albasini. 2002a. Influenza della durata della coltura e dell'epoca di raccolta sulla resa e la qualità di specie diverse di echinacea: Echinacea angustifolia DC var. angustifolia, E. pallida (nutt.) Nutt. ed E. purpurea (L.) Moench. Comunicazioni di Ricerca dell'ISAFA, Trento, 1: 15-27. 9 Jan. 2006. http://www.isafa.it /scientifica/pubblicazioni/pubblicazioni.htm. • Aiello, N., F. Scartezzini, C. Vender, and A. Albasini. 2002b. Resa e qualità delle radici di Echinacea angustifolia DC var. angustifolia, E. pallida (nutt.) Nutt. ed E. purpurea (L.) Moench. trapiantate in due diverse epoche e raccolte dopo tre anni di coltivazione. Comunicazioni di Ricerca dell'ISAFA, Trento, 1: 29-35. 9 Jan. 2006. http://www.isafa.it/scientifica/pubblicazioni /pubblicazioni.htm. • Aiello N., Scartezzini F., Vender C., and A. Albasini. 2002c. Resa e qualità delle radici di diverse provenienze di Echinacea angustifolia DC var. angustifolia. Comunicazioni di Ricerca dell'ISAFA, Trento, 1: 37-43. 9 Jan. 2006. <http://www.isafa.it/scientifica/pubblicazioni/pubblicazioni.htm>. • Annaheim K.E., 2008. Analysis of caffeic acid derivatives in plant tissue: development of an extraction protocol for Echinacea angustifolia DC. University of Pisa, faculty of agricultural sciences. • Aoki T., Matsumoto M., Asako Y., Matsumaga Y., Shimomura K. (1997). Variation of alkaloid production among several clones of hairy roots and regenerated plants of Atropa belladonna transformed with Agrobacterium rhizogenes. Plant Cell Reports 16, 282-286. • Balandrin M.J. and Kloecke J.A., 1988. Medicinal, aromatic and industrial materials from plants. In Y.P.S. Bajaj (ed.), Biotecnology in Agriculture and Forestry. Medicinal and Aromatic Plant. Springer-Verlag, Berlin, Heidelberg, Vol. 4, pp. 1-36. 58 • Bannerman R., Burton J., Wen-Chieh C. (1983) Traditional Medicine and Health Care Coverage, a Reader for Health Administrators and Practioners. Geneva: World Health Organization. • Bar-Tal, A., Aloni, B., Karni, L. and Rosenberg, R. 2001.Nitrogen nutrition of greenhouse pepper. II. Effects of nitrogen concentration and NO3:NH4 ratio on growth, transpiration, and nutrient Uptake. Hortscience 36:1252–1259. • Barberini S., 2007. Coltura in vitro mixotrofica ed autotrofia di Echinacea angustifolia D.C. e Passiflora incarnata L. – Università degli Studi di Pisa. • Bauer R. And Reminger P., 1989. TLC and HPLC Analysis of Alkamides in Echinacea. Planta medica, 55: 367-371. • Bauer R., Remiger P., Wagner H. (1989). Alkamides from the roots of Echinacea angustifolia. Phytochemistry 28, 505-508. • Bauer R., Wagner H. 1990 – handbuch fur Artze Aphoteker und andere Naturwissenschaftler. Wissenschlafliche Verlagsgesellschlaft mbH, Stuttgart. • Bauer R, Wagner H. (1991). Echinacea species as potential immunostimulatory drugs. In: H. Wagner, N. R. Farnsworth (Editors): Economic and medicinal plant research, vol. 5, Academic Press, London. (in German). • Bauer R. (1993). Echinacea Drogen – Neue Ergebnisse zur Frage der Wirksubstanzen, Natur und Ganzheitsmedizin 6, 13-22. (in German). • Bauer R. (1994). Echinacea – Eine Arzneidroge auf dem Weg zum rationalen Phytotherapeutikon. Deutsche Apotheker Zeitung 134, 94-103. (in German). • Bauer, R. 1998. Echinacea: biological effects and active principles. p. 140-157. In: L.D. Lawson and R. Bauer, (Eds). Phytomedicines of Europe-Chemistry and Biological Activity. ACS Symposium Series 691. Amer. Chem. Soc., Washington DC. • Berti, M., R. Wilckens, S. Fischer, and F. Hevia. 2002. Effect of harvest season, nitrogen, phosphorus and potassium on root yield, echinacoside and alkylamides in Echinacea angustifolia L. in Chile. Acta Hort. 576: 303-10. • Binns S.E., Purgina B., Bergeron C., Smith M.L., Ball L., Baum B.R. e Arnason J.T. 2000. Light-mediated antifungal activity of echinacea extracts. Plant med. 66 (3): 241-244. • Blumenthal M., 2001 – Market Report. Herb Sales Down 15 percent in Mainstream Market. HerbalGram n° 51: 69. 59 • Bomme U.J., C. Horzl, C. Hessler, and T. Stahn. 1992. How does the cultivar influence active compound content and yield of Echinacea purpurea? Bayerisches Landwirtschaftliches Jahrbuch 69: 323-342. • Bomme U., 2002 – Personal communication. Bayerische Landesanstalt fur Bodenkultur und Pflanzenbau, Freising (Germany). • Bonomelli C., Cisterna D. and Reciné C. (2005). Effect of Nitrogen Fertilization on Echinacea purpurea Mineral Composition. Cien. Inv. Agr. (in English) 32(2): 85-91. 2005 • Borisjuk, N.V. 1999. Production of recombinant proteins in plant root exudates. Nature Biotechnology 17: 466-469. • Briskin D.P., 2000: “Medicinal plants and phytomedicines. Linking plantbiochemistry and physiology to human health”. Plant Physiology 124: 507514. • Brun, C.A. 1998. On-Line Guide to Ginseng Production in the Pacific Northwest. Washington State University Cooperative Extension, a 70-page web document found at: http:// clark.wsu.edu/hort/ginseng/ginseng.html. • Busse W. The significance of quality for efficacy and safety of herbal medicinal products. Drug Information J 2000;34:15-23. • Canter P., H. Thomas, E. Ernst, 2005: “Bringing medicinal plants intocultivation: opportunities and challenges for biotechnology”, Trends in biotechnology, vol.23, n.4 pp: 180-185, April 2005. • Cheminat A., Zawatzky R., Becker H., Brouillard R., 1988. Caffeoyl conjugates from Echinacea species: structures and biological activity. Phytochemistry, 27: 2787-2794. • Classen B., Witthohm K., Blaschek W., 2000. Characterization of an arabinogalactan-protein isolated from pressed juice of Echinacea purpurea by precipitation with the beta-glucosyl Yariv reagent. Carbohydrate Research, 327: 497-504. • Collin , 2001: “Secondary product formation in plant tissue culture”, Plant Growth Regulation, vol.34, 119-134. • Demeyer K., Dejegere R. (1989). Influence of the ion-balance in the growth medium on the yield and alkaloid content of Datura stramonium. Plant and Soil 114, 289-294. 60 • Dorais, M., A.P. Papadopoulos, X. Luo, S. Leonhart, A. Gosselin, K. Pedneault, P. Angers, and L. Gaudreau. 2001. Soilless greenhouse production of medicinal plants in North Eastern Canada. Acta Hortic.. 554, 297-303. • El-Gengaihi S.E., Shalaby A.S., Sagina E.A., Hendawy S.F. (1998). Alkylamides of Echinacea purpurea L. as influenced by plant ontogony and fertilization. J. Herb Species and Medicinal Plants 5, 35-41. • European Directorate for the Quality of Medicines and Health Care (EDQM). 2002. Narrow-leaved coneflower root. Pharmaeuropa 14 (1): 135-137. • Facino M.R., Carini M., Aldini G., Marinello C., Arlandini E., Frantoi L., Colombo L., Pietta P. e Mauri P., 1993. Direst characterization of caffeoyl esters with antihyaluronidase activity in crude extracts from Echinacea angustifolia roots by fast atom bombardment tandem mass spectrometry. Il farmaco, 48 (10): 1447-1461. • Falcone A. M., 1990: “La coltura in vitro applicata alle specie aromatiche”. Rivista di Agricoltura Subtropicale e Tropicale, 3: 377-386. • Falvo, 2004. Metabolismi secondari delle piante e “molecular pharming”, Università degli studi di Torino. • Firenzuoli F. I rischi delle erbe medicinali. Intern. Conf. Safety evaluation of Complementary and Alternative Medicine. Empoli, 24-25 ottobre, 2003. • Foster S. (1991). Echinacea: nature’s immune enhancer. Healing Arts Press, Rochester, Vt. • Frias Z.2004. ENEA, Relazione in occasione della Giornata di Studio del Gruppo Scientifico Italiano Studi e Ricerche. 12 maggio 2004, Milano. • Gonnella M., Serio F. Santamaria P. (2002). Fattori genetici e ambientali e contenuto di nitrati degli ortaggi. Colture Protette 12, 14-19. • Gontier, E., A. Clement, T.L.M. Tran, A. Gravot, K. Lievre, A. Guckert, and F. Bourgaud. 2002. Hydroponic combined with natural or forced root permeabilization: a promising technique for plant secondary metabolite production. Plant Science 163: 723-732. • Grassi A. 2007. Produzione di biomassa in vitro di Echinacea angustifolia D.C.Università degli Studi di Pisa. • Hagimori Manabu, Matsumoto T. and Obi Y. Studies on the Production of Digitalis Cardenolides by Plant Tissue Culture III. Effects of Nutrients on 61 Digitoxin Formation by Shoot-Forming Cultures of Digitalis purpurea L. Grown in Liquid Media. Plant and Cell Physiology, 1982, Vol. 23, No. 7 12051211 • Hartzell, A. 1947. Plant products for insecticidal properties and summary of results to date. Contributions of the Boyce Thompson Institute 15:21-34. • Health Canada. 2004. At a glance: A regulatory framework for natural health products. [Online] available: http://www.hc-sc.gc.ca/dhpmps/ prodnatur/aboutapropos/glance-apercu_e.html [2004 Oct. 16]. • Hobbs G. R. (1994). Echinacea – a literature review. HerbalGram 30, 33 - 49. • Isafa 2002. Comunicazioni di ricerca dell’Istituto Sperimentale per l’Assestamento Forestale e per l’Alpicoltura. Nicola Aiello, Le echinacee coltivate per uso medicinale – Growing purple coneflowers for medicinal use. • Jacobson, M. 1954. Occurrence of a pungent insecticidal principle in American coneflower roots. Science 120:125-129. • Journal of Herbs, Spices & Medicinal plants 10(2), 73-81. • Kabganian R., Carrier D.J., Rose P.A., Abrams S.R., Sokhansanj S. (2002a). Localization of alkilamides, echinacoside and cynarin with Echinacea angustifolia. . Journal of Herbs, Spices & Medicinal plants 10(2), 73-81. • Kabganian R., Carrier D.J., Sokhansanj S. 2002b. Drying of Echinacea angustifolia roots. J. Herbs Spices Med. Plants 10(1), 11-18. • Kaufmann P.B., Cseke L.J., Warber S., Duke J.A., Brielmann H.L. (1999). Natural products from plants. CRC Press, Boca Raton, Fl. • Kindscher K. (1992). Medicinal wild plants of the prairie. An ethnobotanical guide. University press of Kansas, USA. 84-94. • Larimore WL, O'Mathuna DP. Herbal products should be regulated for quality control. Am Fam Physician. 2004 Feb 1;69(3):493-4. • Lea-Cox, J. D., G. W. Stutte, W. L. Berry, and R. M. Wheeler.1999. Nutrient dynamics and pH/charge-balance relationships in hydroponic solutions. Acta Hort. 481: 241-250. • Lercari B., Bertram L., 1997: “Photomorphogenic response to UV radiation IV: A comparative study of UVB effcts on growths and pigment accumulation in etiolated and de-etiolated hypocotyls of wild-type and aurea mutant of tomato (Lycopersicon esculenteum Mill.)”. Plant Biosystems, 131, 83-92. 62 • Letchamo W., Xu H.L., Desroches B., Gosselin A. (1993). Effect of nutrient solution concentration on photosynthesis, growth and content of active substances of passionfruit. Journal of Plant Nutrition 16, 2521-2537. • Letchamo W., Polydeonny L.V., Gladisheva N.O., Arnason T.J., Livassy J., Awang D.V.C. (2002). Factors affecting Echinacea quality. In: Trends in new crops and new uses. Janick J.and Whipkey A. (Eds.), ASHS Press, Alexandria, VA, 514-521 • Li T.S.C.(1998). “Echinacea: Cultivation and medicinal value.” HortTecnology. 8(2): 122-129. • Li, T.S.C., and D.A. Wardle. 2001. Effect of root temperature and moisture content on the levels of active ingredients in Echinacea roots. J. Herbs Spices Med Plants 8: 15-22. • Little R. 1999 – Taming Echinacea angustifolia: research at SDSU and insights from a growers. www.abs.sdstate.edu/bio/reseen/Echinacea/newsletter.htm. • Luo X.B, Chen B., Yao S.Z., Zeng J.G. (2003). Simultaneous analysis of caffeic acid derivatives and alkamides in roots and extracts of Echinacea purpurea by high performance liquid chromatography – photodiode array detection – electrospray mass spectrometry. Journal of Chromatography A 986, 73-81. • Lust J.B., 1974. The Herb Book. New York, NY: Bantam Books, p. 177. • Maffei, “Metabolismo e prodotti secondari delle piante”, 1999 UTET. • Magalhaes P., Raharnaivo J., Delbays N. (1996). Influence de la dose et du type d’azote sur la production en artimisinine d’Artemisia annua L. Revue Suisse de Viticulture, Arboriculture, Horticulture 28(6), 349-353. • Maia N.B., Bovi O.A., Marques M.O.M., do Prado Granja N, Camargo Carmello Q.A. (2001). Essential oil production and quality of Mentha arvensis L. grown in nutrient solutions. Acta Horticulturae 548, 181-187. • Mairapetyan S.K., Tadevosyan A.H., Alexanyan S.S., Stepanyan B.T. (1999). Optimization of the N:P:K ratio in the nutrient medium of some soilless aromatic and medicinal plants. Acta Hort. 502, 29-32. • Marschner H., Kirkby E.A., Cakmak I., 1996. Effect of mineral nutrient status on shoot-root partitioning of photoassimilates and cycling of mineral nutrients. Journal of experimental Botany, 47: 1255-1263. 63 • Marschner, H. 2002. Mineral nutrition of higher plants. Academic Press, London, UK. 889 pp. • Martinez-Valverde, Periago, Ros, “Nutritional meaning of the phenolic compounds from the diet”, Achivos latinoamericanos de nutricion 2000. • Maynard D.N., Barker A.V., 1969. Studies on the tolerance of plants to ammonium nutrition. J. Amer. Soc. Hort. Sci., 94, 235-239. • Mazza G. e Cottrell T., 1999. “Volatile components of Root, Stems, Leaves and Flowes of Echinacea Species.” J. Agric. Food Chem. 47: 3081-3085. • Mazzanti G. – Considerazioni farmacologiche sull’uso di preparati a base di piante medicinali 2005. Ann Ist Super Sanità 2005; 41(1):23-26. • Mc Gregor R.L. 1968. The taxonomy of the Genus Echinacea (Compositae). Univ. Kansas Sci. Bull. 48: 113-142. • Mc Keown K.A.: A Review of the Taxonomy of the genus Echinacea. In: Janick J. Ed., Perspectives on new crops and new uses. ASHS Press, Alexandria, VA (1999). • Menniti-Ippolito F, Gargiulo L, Bologna E, Forcella E, Raschetti R. Use of unconventional medicine in Italy: a nation-wide survey. Eur J Clin Pharmacol 2002; 58: 61-4. • Montanari M., 2006. Influenza delle tecniche di coltivazione sugli aspetti fisiologici e biochimici di due piante medicinali – Università degli Studi di Pisa. • Montanari et al., 2007. Effect of nitrate fertilization and saline stress on the contents of active constituents of Echinacea angustifolia DC. Food chemistry 107 (2008) 1461-1466. University of Pisa. • Müller-Jakic B., Breu W., Pröbstle A., Redl K., Greger H. e Bauer R., 1994. In vitro inibition of Cyclooxygenase and 5-Lipoxygenase by Alkamides from Echinacea and Achillea species.”Planta Med. 60 (1): 37-40. • Murch S.J., Rupasinghe H.P.V., Saxena P.K. (2002). An in vitro and hydroponic growing system for hypericin, pseudohypericin, and hyperforin production of St. John's wort (Hypericum perforatum L. Cv New Stem). Planta Medica 68(12), 1108 - 1112. • Nestel, “Isofalvones: their effects on cardiovascular risk and functions”, Current opinion in lipidology 2003. 64 • Nicola S., Hoeberechts J., Fontana E. (2005). Comparison between traditional and soilless culture systems to prodice rocket (Eruca sativa) with low nitrate content. Acta Hort. 697, 549-555. • O’Prey, Brown, Fleming, Harrison,“Effects of dietary flavonoids on major signal transuduction pathways in human epithelial cells”, Biochemical pharmacology 2003. • Pardossi A., Malorgio F., Incrocci L., Tognoni F. (2006). Hydroponic technologies for greenhouse crops. In ‘’Crops: Quality, Growth and Biotechnology’’. Editor : Ramdane Dris (Ed.) WFL Publisher, Meri-Rastilan tie 3 C, 00980 Helsinki, Finland. ISBN : 952-91-8601-0. Pp. 360-378. • Park K.W., Lee G.P., Park Y.G. (1999). Nutrient culture for Korean ginseng (Panax ginseng C.A. Meyer). Acta Hort. 481, 311-319. • Paschold P.J., Mayer N. (2002). Anbau von Topfkrautern in Schwimmhydroponik. Gemuse-Munchen 38(4), 22-23. • Pedneault K., Dorais M., Leonhart S., Gosselin A., Angers P., 2001- Variation of echinacoside content in organs of hydroponically grown Echinacea angustifolia during development. Abstracts – World Conference on Medicinal and Aromatic Plants, Hungary 2001. • Pedneault, K., Leonhart, S., A. Gosselin A., A.P. Papadopoulos. P. Angers, and M.M. Dorais. 2002. Variations in concentration of active compounds in four hydroponically- and field-grown medicinal plant species. Acta Hort. 580: 255262. • Peeters, Keinan-Boker, Van der Schouw, Grobbee,“Phytoestrogens and breast cancer risk”, Rewiew of epidemiological evidence Breast cancer research and treatment 2003. • Pellati, F., S. Benvenuti, M. Melegari, and T. Lasseigne. 2005. Variability in the composition of anti-oxidant compounds in Echinacea species by HPLC. Phytochem. Analysis 16: 77-85. • Peng T-S. 1999 - Echinacea: botany and chemistry Identification. Proceedings American Herbal Products Association “International Echinacea Symposium” June 3-5 1999 – Kansas City, Montana. 65 • Pengelly A., 1996. The constituents of medicinal plants: An introduction to the chemistry and Therapeutics of Herbal Medicines. Muswellbrook: Sunflower Herbals. • Perry N.B. Burgess E.J., Glennie V.L., 2001. Echinacea standardization: Analytical methods for phenolic compounds and typical levels in medicinal species. Journal of Agricultural and Food Chemistry, 49: 1702-1706. • Pichersky, Gang, “Genetics and biochemistry of secondary metabolites in plants: an volutionary perspective”, Trends in plant sciences Octtobre 2000, vol.5, n°10 pp.439-445. • Pistelli L., Venturi E., 2004: “Biotecnologie vegetali applicate alla propagazione del genere Echinacea” Natural 1, Aprile 2004,pp. 44-51. • Ranich, Bhathena, Velasquez, “Protective effects of dietary phytoestrogens in chronic renal disease”, Journal of renal nutrition 2001. • Roncali D., 2001. La fitoterapia nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. A.i.r.a.s. – Padova, corso di formazione in fitoterapia scientifica. • Sady, W., Rozek, S. and Myczkowski, J. 1995. Effect of different forms of nitrogen on the quality of lettuce yield. Acta Hortic. 405: 409–416. • Sagami, Oi, Satoh, “Prevention of oral diseases by polyphenols”,In vivo 1999. • Salsac L., Chaillou S., Morot-Gaudry J.-F., LesaintC., Jolivet E., 1987. Nitrate and ammonium nutrition in plants. Plant Physiol., 25, 805-812. • Savvas, D., V. Karagianni, A. Kotsiras, V. Demopoulos, I. Karkamisi, and P. Pakou. 2003. Interactions between ammonium and pH of the nutrient solution supplied to gerbera (Gerbera jamesonii) grown in pumice. Plant and Soil 254: 393-402. • Schortemeyer, M. and Feil, B. 1996. Root morphology of maize under homogenous or spatially separated supply of ammonium and nitrate at three concentration ratios. J. Plant Nutr. 19: 1089–1097. • Serafini M. Biodiversità e piante medicinali. Presentato al convegno”Piante medicinali: ruolo della Fitomedicina; aspettative, limiti, sicurezza”, Roma, 14 giugno 2000. http://www.afisna.com/conv_14062000.html. • Shain, S.S. 1996. Exogenous regulation of accumulation of biologically active substances by drug and essential oil plants are the way of forming maximum bioproductivity in ontogeny. Sel'Skokhozyaistvennaya 3: 68-82. 66 • Sigg, P., C. Gilli, O. Ahmed, and J. M. Gillioz. 2006. Fertilizing tomato plants in soilless culture without addition of acid. Revue Suisse de Viticulture, Arboriculture et Horticulture 38(4): 257-261. • Singh, Bhat, “Potential therapeutic applications of some antinutritional plant secondary metabolites”, Journal of agricoltural and food chemistry 2003. • Smeh N.J., 1995. Creating your own Cosmetics-Naturally, Garrisonville, VA: Alliance Publishing. • Speroni E., Covoni P., Guizzardi S., Renzulli C., Guerra M.C., 2002. Antiinflammatory and cicatrizing activity of Echinacea pallida Nutt. Root extract. Journal of Ethnopharmacology, 79: 265-272. • Stoll A, Renz J, Brack A. Isolation and constitution of echinacoside, a glycoside from the roots of Echinacea angustifolia D.C. Helv Chim Acta 1950;33:18771893. • Tozzini L. (2006) Caratterizzazione agronomica e chimica di Echinacea angustifolia D.C. coltivata in idroponica. Master thesis, University of Pisa. • Tyler V.E., Brady L.R., Robbers J.E., 1988. Pharmacognosy, 9th ed. Philadelphia, PA:Lea & Febiger. • Tyson R.V., White J.M., King K.W. (1999). Outdoor floating hydroponic systems for leafy salad crop and herb production. Proceedings – Florida State HorticulturalSociety 112, 313-314. • Upton R., American Herbal Pharmacopoeia, Soquel, CA. – The Journal of alternative and complementary medicine. Volume 7, number 1, 2001, pp.15-17. Mary ann Liebert, inc. • Vender C., 2001 – Indagine sulla consistenza e le caratteristiche della produzione di piante officinali in italia – Dati 1999. Comunicazione di ricerca 2001/3: 18. • Verlet N., 1994. An overview of the medicinal and aromatic plant industry. Proceedings International Meeting on “Cultivation and Improvement of medicinal and aromatics plants”, Trento, 2-3 giugno 1994. • Voaden, D.J. & M. Jacobson 1972. Tumor inhibitors 3. Identification and synthesis of an oncolytic hydrocarbon from American coneflower roots. Journal of Medicinal Chemistry 15(6):619-623. 67 • Wagner H., Proksch A., Riess-Maurer I., Vollmar A., Odenthal S., Stuppner H., Juric K., Le Turdu M., Fang J.M. (1985). Immunstimulierend wirkende Polysaccharide (Heteroglucane) aus höheren Pflanzen. Arzneimittel Forschung 35 (2), 1069-1075. (in German) • Wagner H., Stuppner H., Schafer W., Zenk M., 1988. Immunologically active polysaccharides of Echinacea purpurea cell cultures. Phitocemistry, 27 (1): 119 – 126. • Wagner H., Kraus S., Jurcic K. (1999). Search for potent immunostimulating agents from plants and other natural sources. In: H. Wagner (Editor): Immunonodulatory Agents from Plants. Birkhäuser Verlag, Basel, 89-104. • Wickremesinhe W.R.M., Arteca R.N. (1994). Roots of hydroponically grown Taxus plants as a source of taxol and related taxanes. Plant Science 101, 125135. • Woolfolk, W. T. M. and Friend, A. L. 2003. Growth response of cottonwood roots to varied NH4:NO3 ratios in enriched patches. Tree Physiol. 23: 427–432. • Yang Min Suk, Abdul R.M. Tawaha, Kyung Dong Lee, 2005. Effects of Ammonium Concentration on the Yield, Mineral Content and Active Terpene Components of Chrysanthemum Coronarium L. in a Hydroponic System. Research Journal of Agriculture and Biological Sciences 1(2): 170-175, 2005 • Young A.L., 1999 – U.S. Regulatory Considerations and Products Liability. Proceedings American Hrbal Products Association “International Echinacea Symposium” June 3-5, 1999 – Kansas City, Montana. • Zhang Y.-H., Zhong J.J., Yu J.T. Effect of nitrogen source on cell growth and production of ginseng saponin and polysaccharide in suspension cultures of Panax notoginseng.- Biotechnology progress ISSN 8756-7938 CODEN BIPRET- 1996, vol. 12, no4, pp. 567-571 (21 ref.). • Zheng, Y., M. Dixon, P.K. Saxena. 2006a. Greenhouse production of Echinacea purpurea (L.) and E. angustifolia using different growing media, NO3-/NH4+ ratios and watering regimes. Can. J. Plant Sci. 86: 809-815. • Zheng Y., M. Dixon, and P.K. Saxena. 2006b. Growing Environment and Nutrient Availability Affect the Content of Some Phenolic Compounds in Echinacea purpurea and Echinacea angustifolia. Planta Medica 72: 1407-1414. 68 RIASSUNTO L’utilizzo di prodotti a base di piante medicinali negli ultimi trenta anni è sensibilmente cresciuto, soprattutto prevalentemente nei paesi industrializzati; per questo motivo siamo passati dalla raccolta spontanea alla coltivazione vera e propria di questo genere di piante. Fra queste troviamo l’Echinacea, pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Compositae e originaria del nord America ma da molto tempo coltivata anche in Europa; è costituita da nove specie, ma solo tre di queste hanno le proprietà farmacologiche tanto apprezzate dal mercato: E. angustifolia, E. purpurea, E. pallida. Gli estratti di radici e parti aeree, fresche od essiccate di tale pianta, sono impiegati per via della loro attività immunostimolante, antinfiammatoria, antivirale e antiossidante conferita da diverse classi di composti: alchilammidi, polisaccaridi, glicoproteine, flavonoidi, derivati dell’acido caffeico. Quest’ultimi, in particolare, contengono molecole, quali echinacoside, cinarina ed acido cicorico molto utilizzate nell’industria farmaceutica e considerate in letteratura come marker dalla qualità di questa pianta. I metodi di coltivazione dell’Echinacea non sono stati ancora ottimizzati; ecco come si spiega la frequente scarsa resa produttiva dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo. L’impiego di sistemi di coltura fuori suolo come l’idroponica potrebbe venire incontro a tali problemi apportando vantaggi quali il miglioramento della qualità del materiale vegetale e l’incremento della standardizzazione dei metaboliti di interesse, fondamentale per poter immettere sul mercato prodotti che presentino contenuti costanti di principi attivi. Il presente lavoro è consistito nella coltivazione idroponica in serra, in particolare con la tecnica del floating system, di piante di Echinacea angustifolia allevate con tre soluzioni nutritive, distinte fra loro per il diverso rapporto fra azoto nitrico e ammoniacale (NO3- / NH4+ nei rapporti 100:0, 75:25, 50:50). Si sono studiate in due esperimenti analoghi l’adattabilità a tale sistema e le differenze nella concentrazione dei derivati dell’acido caffeico (acido clorogenico, echinacoside, cinarina, acido cicorico) mediante analisi HPLC degli estratti secchi di radici e della porzione aerea di piante di due e tre mesi. Il dato principale che emerge è la grande variabilità nelle piante campionate che potrebbe aver mascherato gli effetti della nutrizione azotata sia sulla crescita sia sulla concentrazione dei metaboliti. E’ stata comunque osservata una minor crescita delle piante quanto erano allevate con concentrazioni relativamente elevate di azoto ammoniacale (riscontrato nel peso fresco e nel peso secco di piante di tre mesi, ma non in quelle di due mesi). Le concentrazioni dei derivati dell’acido caffeico non sono risultate sostanzialmente diverse da quelle rilevate su piante coltivate in esperimenti precedenti (Tozzini, 2006) o riportate in letteratura (Zheng et al., 2006b). In particolare, il contenuto di echinacoside (superiore nelle foglie rispetto alle radici) non supera mai lo 0,7% in peso secco, confermando i risultati di altri lavori condotti sulla coltivazione idroponica di Echinacea (Tozzini, 2006; Zheng et al., 2006b). I motivi potrebbero essere legati alla scarsa idoneità genetica del materiale (semi fornita da una nota ditta sementiera internazionale) utilizzato nello studio e/o alla scarso adattamento della specie ad una coltivazione intensiva come quella idroponica, caratterizzata da un ciclo di sviluppo molto rapido e condizioni edafiche sicuramente diverse da quelle tipiche in cui la specie si è evoluta e dove tutto sommato sembra poter esprimere al meglio il potenziale di pianta medicinale. 69 Vorrei ringraziare sentitamente il prof. Alberto Pardossi per avermi seguito ed aiutato nella realizzazione di questo lavoro e tutta la sezione di ortofloricoltura del dipartimento di biologia delle piante agrarie, in particolare le dottoresse Silvia Pacifici e Rita Maggini, per l’aiuto e la pazienza avuta nel seguirmi durante questo percorso. 70