Le teorie dello status morale: discussioni e critiche S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 154 Le teorie dello status morale: discussioni e critiche - M. Midgley, Animals and why they matter. A journey around the species barrier (1983), trad. it. Perché gli animali. Una visione più umana dei nostri rapporti con le altre specie (1985) - J.B. Callicott, Animal Liberation: A triangular affair (1980), trad. it. La liberazione animale e le etiche della terra (2012) - C.M. Korsgaard, Fellow creatures: Kantian ethics and our duties to animals (2004), trad. it. I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali (2012) - A.C. Baier, Knowing our place in the animal world (1983), trad. it. La nostra posizione nel mondo animale (1998) - C. Diamond, Eating meat and eating people (1978), trad. it. Mangiare carne, mangiare persone (2012) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 155 Mary Midgley: i sentimenti e la moralità - “Dovremmo difendere più spesso la legittimità dei sentimenti. Circola invece l’opinione che rivelare, nel corso di una disputa, dei sentimenti intensi sia di per sé criticabile. Ma quello che può essere criticato non è tanto la presenza di sentimenti quanto l’assenza del pensiero, o la non rispondenza del sentimento al pensiero. La parola emozione potrebbe darci fastidio, perché di solito evitiamo di riferirla a noi stessi. Il verbo che coniughiamo suona così: ‘Io sono convinto, tu sei eccitato, egli è emotivo’. La nostra emozione, in particolare se siamo sicuri che è adeguata non ha bisogno di commenti. Ma quello che conta in una controversia - e se ci pensiamo ce ne rendiamo conto - non è l’intensità ma l’adeguatezza dell’emozione”. (M. Midgley, Perché gli animali, pp. 38-9) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 156 Mary Midgley: i sentimenti e la moralità - “La sensibilità richiede il complemento della razionalità, e viceversa. Non c’è nessun binario morto su cui le emozioni possono essere deviate perché non interferiscano con il pensiero. Ma a volte si tenta di farlo riducendo i problemi più imbarazzanti a questioni di estetica. [...] Certamente in molti casi è possibile distinguere le considerazioni estetiche da quelle morali, e questo permette di tenere in disparte intere catene di pensieri. Ma essi aspetteranno soltanto di ritornare sulla scena principale della morale per porre questo problema: che peso hanno le considerazioni di carattere estetico rispetto alle altre? E questo avverrebbe anche se tentassimo di tenere in disparte, sotto la sigla ‘emozione’, i problemi relativi agli animali. Il sentimento non ci porta fuori dall’universo morale. Non è possibile mantenere due sistemi di valori indipendenti e paralleli - il sistema dei valori estetici o emotivi, e il sistema dei valori razionali o morali - e impedire ogni contatto. Non è possibile perché la nostra vita è una sola. Dobbiamo perciò qualche volta affrontare le questioni di priorità tra valori emotivi o estetici e valori di altro genere. Mettere a confronto e correlare diversi generi di valori è il principale compito della morale, che è metro e non oggetto della misura”. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 46) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 157 Mary Midgley: articolare le responsabilità - “Non c’è ovviamente nessuna formula semplice per stabilire le priorità tra questi generi distinti di istanze. Le filosofie morali che, come l’utilitarismo, tentano facili soluzioni, in realtà ce ne allontanano. Ogni cultura, e ogni singolo individuo, elaborano una mappa, un complesso insieme di principi per mettere in relazione le diverse istanze. Sicuramente le possibili sovrapposizioni sono un fattore di rafforzamento per un’istanza, ma non di necessaria priorità, perché a volte delle istanze relativamente isolate ma radicali prevalgono su altre che, pur deboli, sono però più vicine al centro della rete perché istituzionalizzate. Qualcosa del genere avviene spesso in relazione ai ‘bisogni particolari’. Con questo termine intendo ogni seria avversità, quale ad esempio quella che il samaritano seppe riconoscere nel caso del viandante ferito. Si tratta, a livello politico, di quel genere di di doveri che, come ha osservato Robert McNamara, derivano dalla ‘povertà assoluta’ di molti popoli del Terzo Mondo - non solo cioè da un qualche tipo di inuguglianza, ma da un’effettiva disperata miseria. Intendo con ‘responsabilità particolari’ quei doveri che derivano dalle azioni compiute da noi, o da coloro con cui ci identifichiamo. È quel genere di responsabilità che, ad esempio, ricade su chi si è fatto carico dell’esistenza di un altro fino al punto di indurlo a cambiare casa o lavoro. Dal punto di vista politico, una responsabilità di questo tipo ricade sulla potenza coloniale che abbia, per proprio tornaconto, alterato irreversibilmente le condizioni di vita delle popolazioni sottomesse; o ricade anche sui soggetti economici che abbiano indotto un’analoga situazione. Entrambi questi generi di dovere possono sorgere senza che vi siano legami di parentela, conoscenza diretta o stima, e possono rivelarsi abbastanza forti da scavalcare tutte queste considerazioni”. (M. Midgley, Perchè gli animali, pp. 31-2) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 158 Mary Midgley: articolare le responsabilità (M. Midgley, Perchè gli animali, p. 32) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 159 Mary Midgley: articolare le responsabilità - “E riguardo agli animali? Anche nei loro confronti possono sorgere entrambi i generi di dovere: essi possono trovarsi in una condizione di bisogno radicale, e possono trovarsi in tale stato a causa di azioni dell’uomo. E se questo avviene, l’assenza di legami di parentela, di conoscenza diretta, della stima dovuta alla razionalità umana, non sembra in grado di annullare ogni dovere. Perlomeno, noi non ci comportiamo come se ciò avvenisse. Se vediamo un cane che giace tremando sull’asfalto di una strada dopo essere stato investito da un automobile, non solo abbiamo l’impulso di intervenire, ma pensiamo di doverlo fare. E questa disposizione sarebbe ancora più forte nel caso che lo avessimo investito noi. Non è scontato che le ragioni per pensarla in questo modo siano di genere diverso da quelle che sorgerebbero se, al pari del Samaritano, vedessimo un essere umano ferito. [...] Sarebbe invece una reazione ben strana quella di chi passasse oltre, ignorando il ferito uomo o animale che fosse - pensando che altrove potrebbero esservi cause più degne in cui spendere le proprie limitate risorse di compassione (a meno che costui fosse effettivamente impegnato in una qualche missione di importanza vitale). La ragione per cui un comportamento del genere appare senza dubbio strano è che la compassione non ha bisogno di una gestione così ‘idraulica’, quasi fosse un fluido raro e insostituibile, utilizzabile solo in casi di eccezionale gravità. È invece una potenzialità o abitudine interiore che cresce e si sviluppa con l’uso”. (M. Midgley, Perchè gli animali, p. 33) 160 Mary Midgley: le difficoltà dell’uguaglianza - “La nozione di uguaglianza è uno strumento che permette di correggere le ingiustizie all’interno di un dato gruppo, e non di estendere il gruppo, o di regolamentarne i rapporti con chi non ne fa parte. Come richiedono le finalità di riforma, è un principio che opera su scala ridotta. Considerando come dato un certo gruppo (ad esempio quello dei cittadini ateniesi), i fautori dell’uguaglianza chiedono quali forme di uguaglianza siano prescritti dalla natura del gruppo. È una domanda che può essere utilmente riformulata nel linguaggio contrattualista: quale obiettivo hanno i membri di un gruppo? perché l’hanno costituito? che cosa concordano di fare, per la sola appartenenza ad esso?”. (M. Midgley, Perchè gli animali, pp. 71-2) - “Il problema di fondo è che il genere di uguglianza prospettabile in ogni data situazione è sempre commisurato a quanto si pensa di poter ottenere dal processo riformatore. Come ogni concetto che intervenga nei processi di trasformazione del mondo, l’uguaglianza non può restare un’idea generica. Deve venire determinata e circoscritta, se deve valere come strumento di resistenza a forme particolari di oppressione, e di correzione di forme particolari di ingiustizia”. (M. Midgley, Perchè gli animali, p. 87) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 161 Mary Midgley: l’irrazionalità dell’esclusione - “C’è un qualche criterio che proibisca l’esclusione assoluta di interi settori di genere umano, e tuttavia la consenta nel caso degli animali? Ripetutamente mi torna alla mente un episodio che ho letto in qualche biografia, a proposito di qualcuno che, viaggiando come passeggero su una linea transoceanica, vide due uomini cadere in mare. Gridò chiedendo aiuto, ma nessuno si mosse. Finalmente, pressato dalla sua insistenza, un ufficiale gli diede questa spiegazione: ‘Non fermiamo la nave per dei lascar’. Riconoscendo la esclusione assoluta quel passeggero replicò. ‘Davvero? Vediamo se la fermerete per me’ e saltò in mare (Vennero ripescati tutti e tre). La questione essenziale è che l’abbandono di una persona al suo destino non è giustificabile in nessun caso. Può darsi che esigenze di altro tipo rendano effettivamente impossibile fermare una data nave. Quello che non è ammissibile è l’oscuramento del pensiero e dell’attenzione, la totale esclusione di un’intera classe di esseri coscienti, attuata senza neppure valutare, in ogni data situazione, il peso relativo delle esigenze individuali in conflitto. Sarebbe stato accettabile, se a cadere in mare fossero stati dei malati di mente incurabili? Dei cavalli? Un numero qualsiasi di cavalli? Il confine del linguaggio non sembra valere indiscutibilmente nella vita di tutti i giorni, tanto è vero che capita anche di darsi da fare per mettere in salvo, ad esempio, dei cavalli da una scuderia in fiamme, un gatto da un comignolo, un cervo da un fiume in piena. Se tentiamo di analizzare questa particolare incongruenza, non troviamo nessun principio evidente che giustifichi una totale esclusione degli animali, a meno di essere disposti ad accettare una concezione rigidamente razionalistica della vita umana, che può essere confutata sul suo stesso terreno”. (M. Midgley, Perchè gli animali, pp. 102-3) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 162 Mary Midgley: ripensare lo specismo - “Per assolvere al suo compito, non basta che un concetto suggerisca un’analogia superficiale. Quali più profonde concordanze esibiscono questi concetti? Nel caso dello specismo, riscontriamo subito una differenza imbarazzante e pericolosa: le razze umane non sono raggruppamenti significativi, le specie animali lo sono. Non è mai vero che per sapere come trattare un essere umano si debba sapere a quale razza appartiene. (Tutti gli esempic che si possono fare sono riconducibili comunque a differenze di natura culturale.) Ma nel caso degli animali, la conoscenza delle specie è assolutamente indispensabile. Il guardiano di uno zoo a cui venisse detto soltanto di approntare la sistemazione per un animale non potrebbe fare nulla senza ulteriori e più dettagliate informazioni. [...] Paragonare un raggruppamento umano insignificante come la razza a questa enorme e straordinariamente variegata gamma di possibilità significa indulgere in quello che i rivoluzionari chiamano “pensiero paternalistico” - che implica il mascheramento dell’entità della differenza tra sé e gli altri. È pienamente ragionevole non tener conto della razza, mentre non tener conto della specie è un’oltraggiosa arroganza. [...] si può dire che noi non siamo degli intelletti incorporei ma degli individui di genere particolare, e che non tener conto delle nostre particolari qualità e capacità sarebbe un’arroganza. E questo vale non solo per la specie, ma anche per l’età, il sesso e la cultura, anche se in termini meno drastici ed evidenti”. (M. Midgley, Perché gli animali, pp. 106-7) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 163 Mary Midgley: ripensare lo specismo - “Le differenze, come abbiamo notato, possono essere reali, e il rispetto delle differenze può essere necessario proprio in considerazione della dignità degli interessi di coloro che ne sono portatori. Perciò l’insistenza delle minoranze perché la loro specificità culturale venga conservata e valorizzata, contro ogni tentativo di assimilazione, non può essere considerata una forma di pregiudizio. E nemmeno può dirsi pregiudizio l’interesse dei genitori verso i figli, come non lo è la propensione che ognuno di noi può sperimentare, in caso di incendio o di altra calamità, a mettere in salvo, prima degli estranei, coloro che ci sono più vicini. Queste propensioni non sono ingiuste, anche se potrebbero essere qualificate come discriminatorie. Sono preferenze che hanno un fondamento: noi siamo non degli intelletti astratti, ma degli esseri che istituiscono legami. La domanda a cui deve rispondere chi voglia utilizzare la nozione di specismo è se il confine della specie dia o no fondamento a una considerazione privilegiata di questo tipo. Essere cannibali è lo stesso che essere carnivori, o c’è una significativa differenza?”. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 110) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 164 Mary Midgley: ripensare lo specismo - “Credo che riconoscere il fondamento reale del legame di specie sia indispensabile per spiegare l’atteggiamento in molti casi esclusivista della nostra specie. Esiste effettivamente una profonda tendenza di natura emotiva, nell’uomo come negli altri animali, a rivolgersi in modo preferenziale ad esseri simili a chi li ha allevati, e a dedicare molto meno attenzione agli altri. Ed è questa tendenza, e non un astratto giudizio di valore, la principale radice di quella relativa indifferenza verso le creature di altre specie che è stata chiamata ‘specismo’”. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 115) 165 Mary Midgley: ripensare lo specismo - “Vorrei accennare soltanto ai principi generali che dovrebbero orientare le nostre scelte riguardo all’ampiezza della nostra attenzione. Si può considerare questo problema da due punti di vista. Il primo, che possiamo definire ‘minimalista’, chiama in causa il principio di parsimonia intellettuale. Questo principio ci prescrive di occuparci del minor numero possibile di cose - di esaminare meticolosamente ogni possibile candidato alla nostra attenzione, e di escludere tutto ciò che non sia per noi di sicuro vantaggio. [...] Dare spazio al desiderio di conoscenza è l’alternativa al minimalismo. È questo il fondamento della scienza, che non è un gioco intellettuale circoscritto al genere umano, ma un’autentica tensione all’esplorazione dell’universo. Una parte importante, e per noi accessibile, dell’universo è costituita dalle specie animali che insieme a noi popolano la terra. Gli animali non esistono solo perché noi ce ne possiamo servire, e non sono solo una minoranza oppressa nella vita dell’uomo. Essi sono la classe a cui anche noi apparteniamo; e noi non siamo che una piccola minoranza in mezzo a loro. È ragionevole pensare che dovremmo considerarli seriamente”. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 157-8) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 166 Mary Midgley: la comunità mista - “In tutte le comunità umane sono stati presenti gli animali, in primo luogo e inevitabilmente il cane, il cui sodalizio con l’uomo è incredibilmente antico, quasi una simbiosi. Ma oltre al cane, nel corso dei secoli, sono state addomesticate innumerevoli altre creature, dalle renne alle donnole, dagli elefanti ai cormorani. Sono state rese domestiche soprattutto perché erano utili all’uomo - aggiogate ai carri o cavalcate, per la carne, il latte, la lana o le pelli, per le piume e le uova, per distruggere i parassiti, o per aiutare l’uomo nella pesca e nella caccia. Si potrebbe supporre, in linea di principio, che tutte queste forme di sfruttamento non avessero consentito un coinvolgimento personale o emotivo di nessun genere, e che gli animali fossero quindi considerati dagli uomini semplicemente come delle macchine.Volendo applicare la radicale dicotomia kantiana tra persone e cose, soggetti e oggetti, con la pretesa di catalogare ogni cosa come l’uno o l’altro, potremmo aspettarci che gli animali fossero collocati senza ambiguità fra le cose. Ma in effetti se gli uomini li avessero considerati in questo modo, non sarebbero con ogni probabilità riusciti ad addomesticarli: un animale, anche il più collaborativo, non può reagire come una macchina. Gli animali divennero domestici non per paura, ma perché erano in grado di comprendere i segnali sociali loro rivolti e di istituire legami individualizzati con l’uomo. Impararono ad obbedire all’uomo all’interno di un rapporto personale. E furono in grado di farlo non solo perché gli uomini che li addomesticarono erano esseri sociali, ma anche perché lo erano loro stessi”. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 122) Idòla S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 167 Mary Midgley: la comunità mista - “Si può perciò pensare che, dal punto di vista dell’evoluzione, l’uomo abbia le caratteristiche necessarie a svolgere la funzione che gli viene attribuita da alcuni passi della Bibbia, di amministratore e guardiano, sottoposto a Dio, nei confronti di una schiera di creature che egli in linea di principio è in grado di comprendere e di proteggere, piuttosto che quel ruolo di invasore che sottomette un pianeta alieno, che gli viene ascritto nei racconti di fantascienza. Che ciò sia vero, non lo negheranno neppure coloro che vorrebbero distogliere l’attenzione dell’uomo dal mondo animale; potranno dire al massimo che è un peccato””. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 133) Idòla S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 168 Mary Midgley: ripensare lo specismo - “... la comunità sociale che gli uomini riconoscono non comprende necessariamente la totalità della loro specie. Ma d’altro lato non esclude necessariamente tutti i membri delle altre specie. Incontriamo a questo punto questa vasta e confusa, ma autentica, costellazione culturale che è stata rozzamente unificata sotto il nome di totemismo. Particolari animali possono essere considerati sacri e, cosa ancor più significativa, venir considerati come antenati. [...] Gli uomini hanno sempre dimostrato un indiscutibile rispetto per il confine della loro specie? Hanno sempre accolto senza difficoltà nelle loro consociazioni ogni altro essere umano? Hanno immancabilmente evitato di costruire qualsivoglia legame con esseri appartenenti ad altre specie? Sono sempre stati certi del loro albero genealogico, e non hanno incluso in esso nessun essere che non fosse manifestamente sapiens? Tutto questo potrebbe essere stato vero ma non lo è stato”. (M. Midgley, Perché gli animali, p. 119-20) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 169 J.B. Callicott: l’etica della terra - “I moralisti, da parte loro, insistono sulla facoltà di sentire come unica facoltà necessaria per poter essere inclusi tra i soggetti titolari di rilevanza morale. [...] Questo significa che non esiste nessuna ragione morale per rispettare gli alberi, i fiumi, le montagne o qualunque cosa sia, per quanto viva o implicata nei processi vitali, priva di coscienza. I moralisti umanitari, come gli umanisti morali, separano nettamente gli esseri che meritano una considerazione di tipo morale da quelli che non la meritano. Semplicemente, insistono, contrapponendosi agli umanisti morali, su un differente criterio di distinzione nell’ambito delle entità naturali, sostenendolo con una serie di argomenti per dimostrarne la validità etica (sulla base di alcuni assunti) e la sua concreta applicabilità”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 24) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 170 J.B. Callicott: l’etica della terra - “Aldo Leopold è molto chiaro nel definire concisamente l’imperativo categorico della sua etica della terra: ‘una cosa è giusta quando è tesa a preservare l’integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica. È sbagliata quando è tesa all’opposto’. Da notare in particolare all’interno di questa affermazione è l’idea che il metro finale del valore morale, di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato nelle azioni. Quindi, uccidere un cervo dalla coda bianca in una certa area non solo è eticamente permesso, ma è anche moralmente necessario ai fini della difesa dell’ambiente locale, per evitare i danni causati da una sovrappopolazione della specie [...] Un altro esempio di segno opposto: catturare o eliminare i castori (all’apparenza animali molto sensibili e intelligenti) per evitare danni ai corsi d’acqua (per il bene degli insetti, dei pesci, degli aironi, dei falchi pescatori, e di altri uccelli predatori acquatici che in una scala antropocentrica sono considerati animali di specie ‘inferiore’ rispetto al castoro) sembrerebbe un’azione malvagia agli animalisti, ma un’azione moralmente ineccepibile agli eredi della tesi di Aldo Leopold”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, pp. 25-27) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 171 J.B. Callicott: fatti e valori - “Il contesto filosofico e il fondamento concettuale dell’etica della terra è chiaramente costituito dall’insieme di pratiche empiriche e riflessioni teoriche che va sotto il nome di ecologia. Lo spettro della fallacia naturalistica aleggia su ogni pretesa di trovare un criterio di valore nei fatti stessi (e/o probabilmente nelle teorie scientifiche stesse), ma a dispetto di questa fallacia (e della separazione fra fatti e valori), che è sostanzialmente un problema logico delle etiche formali, affiora spesso una stringente relazione di tipo psicologico tra il nostro modo di immaginare o concepire il mondo e il modo con cui riferiamo le nozioni di giusto o sbagliato agli stati di cose: quali comportamenti sono corretti e quali no, quali sono le nostre responsabilità e i nostri obblighi in quanto agenti morali”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 27) - “La rappresentazione dell’ambiente naturale come una ‘comunità animata’, secondo l’espressione di Leopold, o come un organismo di terzo grado, mette in gioco, più o meno razionalmente, le emozioni che accompagnano le nostre relazioni con sistemi sociali od organici delicati e complessi” (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 28) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 172 J.B. Callicott: il valore degli individui - “L’etica della terra non attribuisce lo stesso valore morale a ogni membro della comunità biotica; il valore morale degli individui (inclusi, è importante sottolinearlo, gli individui umani) è relativo e si definisce in accordo con la particolare relazione di ogni individuo con quell’entità collettiva che Leopold chiama ‘terra’” (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 35) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 173 J.B. Callicott: olismo e misantropia - “Gli ambientalisti con una certa riluttanza e un certo dispiacere, non possono non applicare questa logica alla loro stessa specie. Gli esseri umani, specie onnivora, dovrebbero essere al più il doppio degli orsi, in quanto esseri di grandezza diversa. Una popolazione di quattro miliardi di persone, che non accenna a diminuire, è un dato allarmante per gli umanisti, un vero disastro globale per la comunità biotica (pensiamo soltanto cosa comporta assicurare una sempre maggiore prosperità a ogni singolo individuo). Se l’etica della terra mirasse soltanto allo sfruttamento della natura a vantaggio dell’uomo, magari travestendosi da teoria morale, allora l’uomo dovrebbe essere considerato come il valore ultimo, rispetto al quale le sue ‘risorse’ assumerebbero un valore secondario. L’ambientalismo moderno ha una tendenza misantropa nella misura in cui è biocentrico” (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 33-4) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 174 J.B. Callicott: animali domestici e animali selvatici - “Uno degli aspetti più penosi del movimento di liberazione animale è il fallimento di quasi tutti i suoi esponenti nel definire la diversità di condizioni (e di diritti) degli animali selvatici rispetto a quelli domestici. Ma è proprio questa distinzione che è al centro dell’etica della terra. Gli animali domestici sono una creazione dell’uomo. Sono artefatti viventi, ma comunque artefatti, e rappresentano uno dei tanti modi che l’uomo ha di condizionare l’ecosistema. Dal punto di vista dell’etica della terra, una mandria di bestiame, un gregge di pecore o un branco di maiali possono avere un effetto più o meno rovinoso sul paesaggio al pari di una flotta di mezzi fuoristrada a quattro ruote motrici. C’è qualcosa di profondamente incoerente (e che denota anche una certa insensibilità) nella critica di alcuni animalisti quando sostengono che il ‘naturale comportamento’ dei polli e dei vitelli che vivono negli allevamenti sarebbe crudelmente frustrato. Avrebbe lo stesso senso parlare di un naturale comportamento dei tavoli e delle sedie”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 39) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 175 J.B. Callicott: seguire i principi della natura - “Piuttosto che imporre la nostra separazione dalla natura e dai processi vitali agli altri animali, noi esseri umani dovremmo riaffermare la nostra partecipazione alla natura accettando la vita com’è, senza indorare la pillola. Invece di imporre diritti e regole artificiose, dovremmo accettare le leggi biologiche, i principi della natura e i suoi limiti, applicandoli anche alla sfera sociale umana, come facevano in passato le popolazioni tribali. Si praticava la caccia, accettandone i pericoli, la disciplina, le avversità così come le ricompense; si consumava con massimo rispetto la carne animale; si sopportava il dolore; si premiavano virtù e magnanimità; si veneravano gli spiriti della flora e della fauna, la crescita demografica era regolata da pratiche come l’astinenza, l’aborto, l’infanticidio, le guerre; le altre forme di vita erano considerate compagne di strada nel grande e meraviglioso, certo non idilliaco, dramma della vita”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 43) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 176 J.B. Callicott: contro il vegetarianesimo - “Dal punto di vista ecologico dire che gli esseri umani dovrebbero diventare tutti vegetariani equivale a dire che una nicchia di esseri onnivori, tendenzialmente carnivori, dovrebbe convertirsi in una nicchia prevalentemente erbivora. Il cambiamento sarebbe una sorta di discesa lungo la piramide trofica, poiché in effetti si accorcerebbero le catene alimentari che culminano nell’uomo. Questo significherebbe una maggiore rapidità nel processo di conversione dell’energia solare dalla pianta alla biomassa umana e quindi, bypassando, l’intermediazione degli animali, un incremento delle risorse alimentari per gli esseri umani. Probabilmente, come dimostrano ampiamente alcune tendenze del passato, la popolazione umana si espanderebbe in equilibrio con il potenziale conquistato. Ci sarebbero meno esseri non umani e più esseri umani i quali, ovviamente, avrebbero necessità vitali molto più articolate rispetto a quelle degli animali domestici, con un conseguente sfruttamento di altre ‘risorse naturali’ (alberi come riparo, estrazione di minerali a spese del terreno e della vegetazione, e così via) in misura maggiore rispetto a quanto avviene oggi. Un’umanità vegetariana condurrebbe pertanto probabilmente a una catastrofe ecologica. Mangiare carne può quindi essere una scelta ecologicamente più responsabile rispetto alla conversione a una dieta totalmente vegetariana”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, p. 45) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 177 J.B. Callicott: contro la liberazione animale - “... la liberazione degli animali, se messa in pratica così come viene retoricamente teorizzata, avrebbe conseguenze rovinose sulle piante, sui terreni, sulle acque: conseguenze che non possono essere comprese all’interno della prospettiva morale animalista. Quindi la liberazione degli animali è qualcosa di sostanzialmente impraticabile. Una società ideale nella quale tutti gli animali dotati di sensibilità godessero di una considerazione paritaria o avessero gli stessi diritti dell’uomo sarebbe così ridicola da essere oggetto di satira più che di discussione filosofica. L’etica della terra, al contrario, pur avendo un più ampio respiro, è assolutamente praticabile poichè la valutazione morale e la stima delle priorità tra gli individui e tra le miriadi di componenti che costituiscono la comunità biotica si fondano su un unico principio che stabilisce che cosa è bene”. (J.B. Callicott, La liberazione animale e le etiche della terra, pp. 48-9) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 178 C.M. Korsgaard: animali razionali e non - “Spesso razionalità e intelligenza si confondono. Ma in ultima analisi, nella visione kantiana, razionalità e intelligenza non sono la stessa cosa. Kant crede che l’essere umano sia in grado di sviluppare una forma specifica di coscienza di sé, vale a dire una capacità di percepire, e quindi di pensare, i fondamenti delle sue credenze e delle sue azioni in quanto fondamenti. Ecco che cosa intendo: un animale che agisce d’istinto è consapevole dell’oggetto della sua paura o del suo desiderio, è conscio che quella cosa è paurosa o desiderabile, e quindi da evitare o da perseguire. Questo è il fondamento della sua azione. Un animale razionale invece è consapevole del fatto che teme o desidera un oggetto e che da ciò risulta una determinata azione. Ecco che cosa intendo quando parlo dell’essere coscienti del fondamento in quanto fondamento. In quanto esseri razionali siamo coscienti dei principi sulla base dei quali agiamo. Per questo possiamo interrogarci se dovremmo agire secondo il nostro istinto e la nostra inclinazione”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 63) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 179 C.M. Korsgaard: razionalità e moralità - “Attraverso la nostra volontà applichiamo la legge morale a noi stessi e agli altri. Per Kant la razionalità è la capacità di autogovernarsi secondo delle norme. La razionalità è ciò che ci permette di valutare e giudicare i principi che governano le nostre credenze e le nostre azioni, e di regolare le nostre credenze e le nostre azioni sulla base di questi giudizi. Inoltre, la razionalità ci impone l’esercizio di questa capacità come qualcosa di necessario, al punto che esercitare questo giudizio è inevitabile. Possiamo quindi decidere se avvalorare o rifiutare i principi che si affacciano nella nostra mente, e agire di conseguenza. Secondo Kant è questa normatività legislatrice il tratto distintivo degli esseri umani, ciò che li rende diversi dagli altri animali. Ed è chiaro, alla luce di tale considerazione, perché Kant definisca l’uomo come l’unico animale morale, nel senso che l’uomo è l’unico animale la cui condotta è soggetta a un criterio e a un giudizio morale. Non possiamo aspettarci che il comportamento degli altri animali sia la conseguenza di un giudizio sui loro principi di cui non hanno coscienza. Quindi essi non hanno nessun obbligo morale. Non è però così ovvio il motivo per cui Kant deduce che l’uomo non abbia nessun obbligo verso di essi”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 65) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 180 C.M. Korsgaard: Kant e gli animali non umani - “Questi doveri morali, in definitiva, non riguardano però tanto gli animali quanto noi stessi. Kant sostiene che l’uomo venga fuorviato da quella che egli chiama un’‘anfibolia’ della riflessione - in questo caso la naturale tendenza a scambiare una relazione interna per una relazione esterna - e che pensi quindi di avere una serie di doveri nei confronti degli altri animali. Questa ‘anfibolia’ è possibile sia in relazione agli animali sia in relazione alle piante e a tutti gli altri oggetti naturali belli. In tutti questi casi, però, si tratta sempre del dovere che abbiamo verso noi stessi di coltivare un sentimento che ci eleva verso la moralità. Per esempio nel caso delle piante e del bello in natura proviamo il sentimento dell’amore per la bellezza. L’amore per la bellezza, dice Kant, è una disposizione ad amare qualcosa indipendentemente da ogni nostra considerazione di utilità; ed è probabilmente lo stesso sentimento che ci porta ad amare le altre persone e a desiderare il loro bene”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 68) - “Kant ritiene che il nostro dovere nei riguardi di un altro essere dipenda dal fatto che egli si trova in una posizione morale tale da poterci imporre delle obbligazioni attraverso la propria volontà e che soltanto un essere dotato di una volontà legislatrice è in grado di fare questo. Gli animali non possono certamente obbligarci, dal momento che non hanno nessuna volontà legislatrice” (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 69) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 181 C.M. Korsgaard: norma e valore - “Da una parte l’essere fine in sé è l’origine della legittimità della pretesa normativa - pretesa che dev’essere riconosciuta da tutti gli esseri razionali. Dall’altra parte, l’essere fine in sé è qualcuno che dà a questa pretesa normativa un valore di legge, in virtù della sua partecipazione alla legislazione morale. Nella metafisica kantiana questa è una connessione logica poiché l’idea di valore si fonda sulla legittimità della pretesa normativa come azione della volontà legislatrice. Qualunque nostro obbligo nei confronti degli animali è determinato dalle leggi che noi stessi ci diamo. L’unica origine della legge e dell’obbligazione è la volontà razionale e, in questo senso, un animale privo di razionalità non può essere l’origine dell’obbligazione. Tuttavia da ciò non consegue che anche gli animali non razionali non possano essere fini in se stessi nel senso di esseri con legittime pretese normative solo per il fatto che non possono obbligarci. Le leggi sono per natura universali, secondo Kant, e una legge universale può estendersi anche a chi non partecipa direttamente alla sua definizione”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 74) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 182 C.M. Korsgaard: legge universali, azioni convenzionali e azioni naturali - “... chiedersi se una massima possa assumere il valore di legge universale significa chiedersi se il perseguimento di un certo fine attraverso un certo mezzo e quindi con una determinata azione sia possibile senza che l’azione stessa perda di efficacia. [...] L’efficacia del criterio kantiano dipende però dal tipo di azione implicato dalla massima. Alcune azioni sono di tipo naturale, nel sendo che dipendono solo dalle leggi di natura. Camminare, correre, colpire e pugnalare, legare e uccidere, sono tutti tipi di azioni possibili in base alle leggi di natura. Altri tipi di azioni dipendono invece dall’esistenza di certe pratiche e convenzioni sociali. [...] Ora, quando una massima riguarda un’azione basata su queste pratiche e convenzioni sociali, e allo stesso tempo ne viola le regole fondamentali, è relativamente facile individuare il problema alla luce del concetto kantiano di legge universale. Questo perché l’abuso di una pratica sociale e di una convenzione ne invalida automaticamente l’effetto. È il caso della falsa promessa: se abusiamo delle promesse, è evidente che esse perdono il loro valore non possono più servire allo scopo. Più difficile è applicare questo ragionamento alle massime che riguardano le azioni naturali. Ecco perché l’altro esempio di Kant, dell’uomo che per sfuggire alla propria miseria decide di suicidarsi (azione sbagliata, secondo Kant), non può essere paragonato a quello della falsa promessa. Il suicidio, come mezzo per sfuggire alla disperazione, dipende nella sua efficacia esclusivamente dalle leggi di natura e non da una qualche convenzione. Funziona, non importa quanto sia universalmente praticato”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, pp. 76-7) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 183 C.M. Korsgaard: le azioni umane verso gli animali - “... la maggior parte dei comportamenti che gli esseri umani assumono verso gli animali, e che pongono una questione morale, sono atti naturali in questo senso. La relazione tra l’uomo e gli altri animali non avviene nell’ambito delle pratiche e delle convenzioni condivise. La maggior parte delle nostre azioni nei confronti degli animali sono atti naturali che pongono una questione morale: mangiarli, fare esperimenti su di essi, ucciderli per sport, tutte pratiche che producono l’effetto desiderato indipendentemente dal fatto che siano universali. Quindi il test kantiano non è in grado di escludere questa possibilità. La stessa cosa si verifica se riferiamo queste azioni ad altri esseri umani: il test non funziona. Il che però non vuol dire che queste azioni non siano sbagliate, ma semplicemente che il test è inadeguato”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 77) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 184 C.M. Korsgaard: la fonte del valore - “Nel sistema kantiano però non sarebbe corretto sostenere che legiferiamo sulla base di ciò che è sbagliato nei confronti della nostra natura animale: lì le ragioni normative e i valori sono tutti prodotti della volontà legislatrice. [...] il mondo dei valori è, secondo Kant, una costruzione dell’uomo: i valori sono il risultato di azioni di valutazione, e non il contrario. Non valutiamo sulla base di ragioni o valori che sono ‘già lì’.Valutiamo sulla base della necessità, che nasce dalla coscienza di noi stessi, di avallare i fondamenti e le ragioni delle nostre azioni. E quindi è inesatto dire che rifiutiamo il dolore, le offese e le torture perché sono cose sbagliate rispetto alla nostra natura animale. Non esistono ragioni o valori normativi, e quindi non esiste nessun ‘perché’ normativo, finché non iniziamo a valutare positivamente o negativamente una determinata cosa. Sembra assurdo dirlo, ma, in un certo senso, nel sistema kantiano non esiste una ragione in senso generale, antecedente alla legislazione razionale, in base alla quale perseguiamo ciò che ci sembra vantaggioso per noi stessi. Piuttosto, quando decidiamo di perseguire qualcosa, prendendo noi stessi come origine del valore, creiamo queste ragioni. La decisione di considerare noi stessi come l’origine della legittimità normativa delle nostre pretese è l’atto originario che segna la nascita del mondo delle ragioni normative e dei valori”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, pp. 79-80) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 185 C.M. Korsgaard: il bene naturale - “Il valore che attribuiamo a noi stessi come esseri fini-in-sé non si concretizza soltanto nel rispetto verso le nostre scelte autonome, ma anche nel contenuto di queste scelte, in particolare nella scelta di perseguire quello che chiameremo ‘bene naturale’ [...] poiché la funzione di una pianta [...] è conservare se stessa secondo i suoi bisogni, non i nostri, evitando ciò che può impedire o interferire con il suo funzionamento. Parliamo di ‘ciò che è bene’ per una pianta in un senso più profondo rispetto a quando ci riferiamo a una macchina: ciò che è ‘bene per’ la pianta lo è in senso autentico, è un bene di per sé. [...] Un animale è un sistema organico che mira al proprio bene, un sistema organico che accetta, desidera, gode e persegue il proprio bene. Potremmo addirittura dire che un animale è un sistema organico che si attribuisce un qualche valore nella misura in cui riconosce il proprio bene per la conservazione della propria esistenza”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, pp. 80-81) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 186 C.M. Korsgaard: il bene e il valore (umani e non) - “Stiamo in sostanza affermando che qualcosa è un bene per le creature che siamo, creature che si attribuiscono un valore che è l’origine delle pretese normative, e quindi costruiamo in base a questo fatto il nostro sistema di valori. E questo è il punto: gli esseri umani, per Kant, non si distinguono dagli altri animali per una sorta di relazione con un ordine razionale e trascendente che sta oltre l’ordine naturale e che non riguarda gli altri animali. Invece, ciò che ci distingue è la nostra capacità di costruire quest’ordine razionale, trascendente a partire dall’amore per la vita e per i suoi beni che condividiamo con gli altri animali”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 83) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 187 C.M. Korsgaard: obblighi morali e vincoli empirici - “Molti filosofi della tradizione empirista credono che sussista un rapporto concettuale tra ciò che è riprovevole e il fatto di essere obbligati. Credono che l’approvazione e la disapprovazione siano il criterio di valore, e cioè che essere obbligati a fare qualcosa significhi che gli altri possono a giusto titolo disapprovarci se non la facciamo. Questo non vale se l’obiettivo si rivela impossibile: in questo caso, e anche se falliamo, non eravamo obbligati. Ma per Kant dire che siamo obbligati a fare qualcosa significa che la legge che impone quel dovere si fonda sulla possibilità di potervi adempiere e non che siamo passibili di riprovazione. La riprovazione è tutt’altra questione. L’altra ragione per cui le persone credono che non possiamo accollarci obblighi impossibili è che, se lo facessimo, dovremmo concludere che il mondo sia in un certo senso moralmente discutibile, e questo ci porterebbe ad agire in modo sbagliato. La vita si alimenta con altra vita; la natura è spesso scenario di sofferenza; se tutte queste cose sono ripugnanti per gli standard morali dell’uomo, allora il mondo è qualcosa di deplorevole e non dovremmo prendervi parte. Ma nell’etica kantiana questa obiezione non è pertinente. Kant crede infatti che gli standard morali, come tutti gli standard razionali, sono essenzialmente standard umani, e quindi non è scontato che il mondo sia conforme a essi o che sia possibile per noi raggiungerli”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, p. 83) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 188 C.M. Korsgaard: quali obblighi verso gli animali? - “Queste difficoltà non sono una giustificazione per non fare del nostro meglio, per non trattare gli animali, per quanto ci è possibile, come compagni, e per pensare a ciò che è bene per essi. La questione nel suo insieme è complicata, ma alcune conclusioni sono semplici. Sicuramente non abbiamo bisogno di dare la caccia agli animali. Un cittadino del XXI secolo, che vive in un Paese evoluto, non ha bisogno di mangiarli. I supposti benefici che l’uomo può trarre dalla crudele sperimentazione sugli animali non sono una buona ragione per sottoporli a questo tipo di esperimenti. Il fatto di essere delle creature razionali non ci dà il diritto di maltrattare i nostri compagni per trarne dei vantaggi. Tutto si fonda sulla capacità di governare noi stessi, per quanto è in nostro potere, sulla base dei principi e degli standard che noi stessi accettiamo come validi. [...] Credo che Kant abbia ragione quando individua il concetto dell’essere fine in sé come possibile origine dell’esistenza dei valori nel mondo dei fatti. Quella cosa che chiamiamo valore è possibile, nel mondo, perché esistono esseri che attribuiscono importanza a se stessi e perseguono il proprio bene. Se così non fosse non avrebbe senso parlare di valore; se questi esseri non esistessero, niente avrebbe importanza. Ma noi non siamo gli unici esseri di questo tipo. Siamo i soli in grado di creare un ordine di valori morali, i soli in grado di ratificare e avallare la cura di noi stessi che condividiamo con tutte le creature animali. Questa condizione la condividiamo con gli altri animali: non siamo gli unici esseri ai quali importi di sé, siamo semplicemente gli unici che in nome di tutti gli animali possono levare i pugni al cielo, contro l’universo indifferente, per gridare che a dispetto di tutto noi siamo importanti”. (C. Korsgaard, I nostri simili: l’etica kantiana e i nostri doveri verso gli animali, pp. 85-6) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 189 A.C. Baier: teoria morale e intuizioni - “Mi trovo d’accordo con Rawls nel sottolineare che una buona teoria morale non dovrebbe soltanto sistematizzare le intuizioni esistenti su questioni particolari, ma approfondire la capacità di comprensione morale, e persino correggere gli errori morali. Il problema sorge quando le nostre credenze ‘ponderate’ sono in conflitto o in disaccordo tra loro. [...] Quando ci si trova di fronte a un disaccordo tra teorie morali, nessuna delle quali, come sostiene Narveson, offre una base teorica per occuparsi del destino degli animali, dovremmo forse abbandonare le nostre preoccupazioni per questi ultimi? O non dovremmo piuttosto dichiararle tutte inadeguate, proprio perché nessuna di esse si conforma alla credenza secondo cui non siamo moralmente liberi di torturare, cacciare e uccidere animali a nostro piacimento? [...] Ciò di cui abbiamo bisogno, in questa situazione, è un modo ragionevole per decidere a quali intuizioni non dare credito, dal momento che nessuna teoria può sperare di mettere d’accordo le intuizioni degli amici degli animali e quelle dei loro nemici. [...] Non mi accontento, come Rawls, di limitare il mio scopo alla ricerca di una teoria che metta d’accordo tutti i miei giudizi ponderati, rassegnandomi di fronte all’eventualità che i tuoi siano diversi e possano richiedere una teoria diversa. Non ha senso, secondo me, avere una teoria morale se non può servire ad aiutarci a vivere meglio insieme, se non aspira cioè a un’accettazione generale” (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 57) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 190 A.C. Baier: intuizioni, pregiudizi, interessi - “Per affrontare l’instabilità e l’incoerenza delle mie credenze e per tentare di risolvere il disaccordo reale esistente nella comunità dei filosofi morali, devo sollevare la questione: quand’è che esistono buone ragioni per trascurare le nostre intuizioni morali, per quanto ostinate e inestirpabili possano essere? [...] È necessario chiederci chi ha qualcosa di particolare da perdere o da guadagnare nei cambiamenti nelle nostre pratiche. Finché si tratta di guadagni particolari, non vedo nessun gruppo di interesse le cui tesi siano da trattare con sospetto: gli animali non sono in grado di perorare la loro causa e coloro che la perorano per loro non hanno alcun interesse finanziario diretto, né altri tipi di interesse personale in gioco, per quanto molti possano essere emotivamente ‘coinvolti’. Per quanto riguarda invece ai guadagni particolari legati al mantenimento delle pratiche esistenti e alle perdite che deriverebbero dal loro mutamento, Scopriamo un gran numero di gruppi alle cui convinzioni potremmo non dare credito. Macellai, cacciatori, allevatori, pellicciai, ricercatori che sperimentano su animali, se non risarciti, dovrebbero sopportare perdite personali significative qualora dovessimo modificare le nostre pratiche. Pertanto, non ci si può attendere che essi valutino la questione morale senza la distorsione derivante dai loro interessi particolari. Gli scienziati potrebbero sostenere che nel loro caso l’interesse personale coincide con l’interesse umano universale; un’analoga giustificazione, però, credo, potrebbe essere avanzata anche dal macellaio e dal pellicciaio: il guadagno che essi traggono dalle loro attività deriva dalla capacità di fornire un beneficio pubblico - il cibo che alcuni di noi desiderano mangiare, il tipo di abiti che ci piace indossare” (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 60) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 191 A.C. Baier: la moralità e il “punto di vista fermo e generale” - “... si obietterà forse che la mia procedura di eliminazione dalla discussione seria di tutti coloro che hanno da guadagnare o da perdere da un eventuale mutamento delle pratiche vigenti è a sua volta contaminata da pregiudizi, un pregiudizio riguardo alla relazione tra moralità e interesse. [...] non è l’interesse tout court, ma un interesse particolare che reputo inammissibile. [...] Seguo Hume nel pensare che il punto di vista morale sia ‘fermo e generale’ e che esso consista nel ‘preferire il bene maggiore, non importa se esso allora sarà più vicino o più lontano’, un punto di vista che dà il giusto valore tanto ai beni vicini che a quelli lontani. Ma, come notava Hume, ‘la propensione violenta a preferire le cose vicine a quelle lontane’ rende difficile per una persona, di cui siano in gioco gli interessi immediati, adottare quel punto di vista dal quale ‘trascuriamo il nostro interesse personale e non biasimiamo un uomo perché ci ostacola in una nostra iniziativa’” (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 61) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 192 A.C. Baier: intuzioni, teoria e tradizione - “Non credo sia facile individuare nel bagaglio di credenze di una persona la presenza di impegni così inflessibili verso teorie ereditate. Se una particolare intuizione morale sopravvive al confronto con una teoria da noi esplicitamente considerata, ciò può accadere soltanto perché la nostra lealtà è già irrevocabilmente influenzata dalla teoria seguita dalla nostra famiglia, che abbiamo ricevuto prima che ci fosse possibile una qualsiasi riflessione critica, e che è divenuta pertanto una credenza non più suscettibile di correzione. [...] Guarderemo con sospetto e non prenderemo in considerazione quelle ostinate intuizioni morali chiaramente legate a teorie dogmatiche per noi inaccettabili. Si deve, comunque, affrontare l’eventualità che tutte le intuizioni morali più ostinate siano legate, anche se forse in modo tutt’altro che ovvio, a qualche più antica teoria morale, sicché i ‘dati’ mediante i quali potremmo controllare una teoria risultano vestigia della fede dei nostri padri. Se così fosse, l’unico vincolo esterno da imporre a una teoria morale sarebbe il conservatorismo; in tal modo, esigere che una teoria morale quadri con intuizioni morali incorreggibili o invincibili significherebbe esigere che la teoria non si scosti in maniera troppo radicale dalle teorie sue precorritrici” (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, pp. 64-5) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 193 A.C. Baier: moralità e conciliazione degli interessi - “... possiamo ancora chiamare morale una teoria che si rivela apertamente come un’autogiustificazione per l’acquisizione e il mantenimento spietato di vantaggi di gruppo o di specie? Se la moralità non deve essere né un’inutile imputazione di colpevolezza verso coloro che devono perdere affinché si possa avere la meglio, né una glorificazione del vantaggio del più forte, vi deve essere qualche speranza di armonizzare gli interessi, così da evitare che il gioco morale si trasformi in un gioco a somma zero. Trovo che credere che non si debba scegliere tra ‘gli interessi degli animali o i nostri interessi’ sia altrettanto idealistico e utopistico del credere che non si debba scegliere fra gli interessi degli uomini e quelli delle donne. L’impresa morale si regge sulla fede che gli interessi possano essere in qualche modo conciliati, che la nostra prosperità non si realizzi sempre a spese di altri. Suppongo che tale fede in un regno pacifico, quando viene estesa al di là della specie umana non sia più utopistica di quanto lo sia nell’ambito della nostra specie di animali morali” (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 62) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 194 A.C. Baier: intuizioni e doveri verso gli animali - “A quali conclusioni conduce questo discorso preliminare di carattere metodologico per quanto riguarda le intuizioni relative ai nostri doveri verso gli animali? Mi sembra che conduca a considerare la maggior parte delle intuizioni della maggior parte dei difensori della causa animale libere da sospetti, o tutt’al più imputabili di pregiudizio religioso o pre-teorico, mentre la maggior parte delle intuizioni dei loro oppositori sono influenzate da interessi particolaristici, da un eccessivo attaccamento ai gusti correnti o da una combinazione di questi fattori. Dietro a molte delle intuizioni di coloro che subordinerebbero gli animali ai nostri fini soggettivi può anche esservi una buona dose di pregiudizio religioso, come la tesi secondo cui gli umani rappresentano l’apice della creazione, gli unici esseri fatti a immagine di Dio.” (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, pp. 65-6) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 195 A.C. Baier: i limiti dell’utilitarismo e del contrattualismo - “... nessuna fra le teorie morali esistenti che si contendono il campo è compatibile con il benché minimo insieme di credenze sull’estensione dei nostri doveri verso gli animali. Gli utilitaristi potrebbero essere in grado di derivare un dovere prima facie di evitare le sofferenze animali, ma si tratta di un dovere solo prima facie, e di solito facilmente bilanciato dalla promessa di un piacere ‘più elevato’ per noi a spese degli animali. Le uniche ragioni per non distruggere intere specie che un utilitarista può addurre sono di tipo prudenziale. Suppongo che un utilitarista coerente garantirebbe la sopravvivenza di quelle specie animali che servono ai nostri bisogni, o che troviamo attraenti, mentre non avrebbe obiezioni di sorta alla distruzione, preferibilmente indolore di tutto il resto. I contrattualisti, come ha osservato Rawls, non possono concepire alcun dovere verso gli animali, dato che essi non sono e non possono essere membri di una comunità morale, capaci di partecipare formalmente a reciproci accordi, reali o ipotetici”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 66) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 196 A.C. Baier: Hume teorico delle virtù - “Penso che esista almeno una teoria morale di rispettabile lignaggio e di buone e autonome credenziali che può rendere conto di queste intuizioni morali minime sul comportamento che dovremmo tenere verso gli animali. Si tratta della teoria di Hume. Non considero Hume un precursore dell’utilitarismo, per cui quanto dirò a sua difesa non deve essere inteso come difesa di una versione dell’utilitarismo. Dal mio punto di vista Hume è molto più vicino a Aristotele che a Mill: egli ci presenta una teoria delle virtù umane, non una teoria relativa alla massimizzazione dell’utilità e ai doveri che ciò può comportare”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 67) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 197 A.C. Baier: Hume e la continuità umani/animali - “Hume fornisce pertanto un resoconto della psicologia umana e animale che ci offre le basi per la costruzione di una teoria etica in grado di dire sui rapporti tra umani e animali qualcosa di molto più interessante della semplice tricotomia benthamiana: ‘Il problema non è: Possono ragionare?, né: Possono parlare?, ma: Possono soffrire?’. È la gamma di sentimenti e di sofferenze, la presenza di autocoscienza e di sentimenti sociali, che è importante considerare per affrontare le questioni morali. Credo che Hume ci dia un resoconto plausibile e perspicuo di quanto accomuna gli umani agli altri animali e quanto invece li distingua (il che varierà naturalmente da specie a specie)”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 71) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 198 A.C. Baier: Hume, gli animali e le “virtù naturali” - “Gli animali, sostiene Hume, non hanno alcun senso della proprietà o del diritto, sicché non può porsi una questione di doveri da parte loro o dovuti loro, sulla base di un accordo o di una convenzione. Hume avrebbe rifiutato qualsiasi tentativo di dare un significato al concetto di diritti applicato agli animali, poiché i diritti sorgono dall’artificio. Tuttavia, dato che le virtù artificiali sono solo un piccolo sottoinsieme delle virtù, il fatto che gli animali non abbiano né diritti, né obblighi, non dovrebbe significare né che nessun torto morale può essere fatto loro, né che essi stessi non possano avere ‘doveri’. Hume significativamente non dice che gli animali non hanno alcun senso della virtù e del vizio, ma che ne hanno ‘poco o nessuno’. [...] Hume è intento a de-intellettualizzare e desacralizzare l’impresa morale, rappresentandola come l’equivalente umano di varie forme di controllo sociale nelle popolazioni di animali o insetti. Così, potrebbe anche prenderci in giro quando ci dice che gli animali hanno poco nessun senso della virtù e del vizio, ma parla sul serio quando ci descrive le capacità umane, incluse quelle morali, come casi speciali di capacità animali”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 69) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 199 A.C. Baier: Hume, gli animali e le “virtù naturali” - “L’ordine morale è nella concezione humeana una comunità di persone che valuta le reciproche virtù sulla base di standard condivisi. Le virtù che vengono premiate includono sia quelle ‘naturali’, che non presuppongono alcuna convenzione, sia quelle ‘artificiali’, che sono esibite per rispetto delle convenzioni.Vengono considerate virtù le qualità di una persona che risultano utili o piacevoli per se stessi o per gli altri. [...] Benché lo stesso Hume non si chieda se nel nostro comportamento verso gli animali si possano mostrare vizi e virtù, sembra abbastanza ovvio che la sua risposta sarebbe affermativa. Non abbiamo verso di loro doveri di giustizia, ma tutte le virtù naturali riguarderanno anche il nostro comportamento verso gli animali. Poiché siamo in grado di riconoscere ciò che per loro costituisce un danno e poiché essi, come noi, sono vittime potenziali dei vizi umani, abbiamo ragioni che derivano sia dal nostro interesse personale, sia dalla nostra capacità simpatetica per condannare i danni inflitti dagli umani. Nella sua descrizione delle virtù naturali Hume fa solo un mezzo tentativo di separare l’interesse personale dalle componenti altruistiche e ciò costituisce una forza e non una debolezza della sua teoria. La simpatia verso gli altri è, per Hume, sia un atto altruistico, sia un modo indiretto di ottenere ciò di cui si ha bisogno, una capacità di penetrare nel modo in cui gli altri reagiscono di fronte al nostro carattere e di conseguire la loro approvazione. È impossibile, per Hume, separare le ragioni centrate su sé da quelle centrate sull’altro in modo da considerare un particolare tratto caratteriale come una virtù, poiché egli ritiene non solo che ‘le menti degli uomini sono specchi nei quali gli altri si riflettono’, ma anche che ogni persona ha bisogno di tale specchio tanto per rafforzare la propria autostima, quanto per rendere possibile la cooperazione fondata sulla fiducia”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 69) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 200 A.C. Baier: la “convenzione” con gli animali - “... qualora si consideri la definizione generale che Hume dà della convenzione, piuttosto che le specifiche convenzioni da lui esaminate, si scopre, secondo me, che, in base alla sua versione di convenzione, esiste la possibilità di avere obblighi convenzionali verso gli animali. Una convenzione comporta sia una consapevolezza reciprocamente espressa dell’interesse comune, sia l’esistenza di una reciprocità di intenzioni. ‘Le azioni di ciascuno di noi sono in rapporto con quelle altrui e le compiamo in base alla supposizione che l’altro dovrà compierne certe altre’. Un cavallo e il suo fantino, un uomo e il suo cane, possono costituire esempi altrettanto validi dei due uomini che sospingono una barca a forza di remi di cui parla Hume. [...] Un uomo che arriva a sparare al proprio cane fedele e fidato ha, come ammetteva lo stesso Kant, un cattivo carattere. La teoria humeana offre una precisa interpretazione della ragione per cui si considera cattivo il carattere di quell’uomo: non è perché un uomo simile potrebbe arrivare a sparare anche a un amico fedele e fidato, bensì perché tradisce la fiducia dell’animale, rompe l’‘accordo’ che esisteva fra loro. Non vedo nulla di antropomorfico o comunque di assurdo nel dire che si può ‘tradire la fiducia’ di un animale, sfruttare la sua fiducia, frustrare le aspettative che è stato incoraggiato ad avere”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 74) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 201 A.C. Baier: quale trattamento per gli animali? - “Che aiuto può venirci da una teoria dei vizi e delle virtù per decidere quale trattamento degli animali sia moralmente sbagliato e quali torti dovrebbero essere considerati atti criminali? La lista delle virtù humeane include, oltre alle virtù artificiali fondate sulla convenzione, le virtù naturali della generosità, umanità, benevolenza, buon senso, parsimoniosità, tutte virtù che sarebbero incluse in un appropriato trattamento degli animali. Liste di vizi e virtù in sé non incorporano anche decisioni sul grado di viziosità sufficiente a rendere un’azione criminale; potremmo e dovremmo, tuttavia, vietare tanto le manifestazioni evidenti di estrema crudeltà quanto quelle che esibiscono un’estrema mancanza di buon senso ecologico. E le sanzioni meno formali di disapprovazione e disistima saranno dirette verso coloro che, rispetto al livello criminale, mostrano un grado inferiore di quella fredda insensibilità e stupidità, che è insita nel trattare gli animali come meri oggetti per il nostro uso. Hume descrive come un ‘mostro immaginario’ un individuo ‘originariamente costituito in modo da non avere sorta alcuna di interesse per i suoi simili, anzi da considerare la felicità e la miseria di tutti gli esseri sensibili con maggiore indifferenza perfino di quanto considera due sfumature contigue dello stesso colore’. Limitare la nostra sollecitudine a quegli esseri sensibili che appartengono alla nostra stessa specie significa essere almeno in parte dei mostri, ma questi mostri, purtroppo, non sono semplicemente immaginari. La filosofia morale di Hume, dunque, non offre regole precise sulla cui base gli individui o i legislatori possano individuare le ingiustizie compiute nei confronti degli animali”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 79) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 202 A.C. Baier: rispetto per gli animali e “umanità” - “Quando ci si trattiene dal fare del male a un animale, non lo si fa perché altrimenti danneggeremmo ‘in noi stessi quell’umanità che è nostro dovere mostrare verso il genere umano’ (Kant), ma perché alcuni degli aspetti importanti dell’umanità che rispettiamo nei nostri simili sono posseduti anche dagli animali, ed esigono pertanto a buon diritto il nostro rispetto”. (A.C. Baier, La nostra posizione nel mondo animale, p. 80) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 203 C. Diamond: la confusione dello specismo - “Questo saggio nasce in seguito alla discussione sui diritti degli animali avviata da parte di Peter Singer e Tom Regan, e di molti altri filosofi. Molte di queste discussioni hanno come argomento principale quel concetto che va sotto il termine di ‘specismo’ [...] A me pare che ci sia un po’ di confusione. Non nego che possano esserci delle analogie tra il caso delle nostre relazioni con gli animali e il caso della sottomissione ingiustificata di un gruppo di uomini finalizzata allo sfruttamento. Ma non sono analogie così semplici e così lineari. L’approccio di Singer e Regan non chiarisce che cosa è importante sia nella nostra relazione con gli altri esseri umani sia in quella con gli animali”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 97) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 204 C. Diamond: mangiare esseri umani? - “Le discussioni sul vegetarianesimo e sui diritti degli animali spesso partono dall’argomento dei diritti umani. Potremmo allora chiederci su che cosa si fondino tali diritti, e se questo fondamento non valga anche nel caso degli animali. Di solito però simili discussioni trascurano questo punto e si concentrano invece su alcune domande assurde (lasciatemelo dire), per esempio perché non uccidiamo le altre persone per mangiarcele, o perché non le alleviamo in condizioni di stress e ansia per farne cibo, mentre per procurarci la carne siamo disposti a uccidere gli animali e a infliggere loro molte sofferenze. È un modo totalmente sbagliato di affrontare la questione, perché non vengono presi in considerazione degli aspetti fondamentali, che se analizzati rivelano che i diritti non sono qui l’elemento cruciale. Noi non mangiamo i nostri morti, anche quando le persone muoiono in un incidente stradale o vengono colpite da un fulmine, e non le mangeremmo neppure se la loro fosse carne di prima qualità. [...] Ora, se non mangiamo i morti e non uccidiamo le persone per procurarci il cibo, è perlomeno prima facie plausibile che le nostre ragioni in questi due casi siano correlate, e così dovrebbe pensare anche chi pretenda di affermare che non ci sono buone ragioni per non mangiare gli animali. Chiunque, nella discussione di questo argomento, concentri la sua attenzione sulle ragioni che ci spingono a non uccidere le persone e a non infliggere loro delle sofferenze, rischia evidentemente di non considerare i principi fondamentali che stanno alla base della nostra relazione con gli altri esseri umani e che hanno a che vedere con il fatto che noi non li mangiamo”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, pp. 98-9) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 205 C. Diamond: oltre il “moralmente sbagliato” - “Non credo che sia un caso che gli argomenti dei vegetariani abbiano sempre un fastidioso tono moralistico. Cercano sempre di dimostrare che qualcosa è moralmente sbagliato, assumendo come punto di partenza che tutti siamo d’accordo che allevare le persone per mangiarle è sbagliato, e così via. E non è semplicemente che l’obiezione ‘questo è moralmente sbagliato’ è troppo debole. Se siamo contrari alla ‘Modesta proposta’ di Swift, dobbiamo esserlo in maniera radicale, difendendo i morti in un senso più generale. Immaginiamo una scena di questo tipo: gli organi utili destinati ai trapianti, e il resto per cena o come concime. Dire che questo è moralmente sbagliato non è soltanto troppo debole, ma si muove in una dimensione sbagliata. [...] Ora, noi possiamo indicare con una certa naturalezza a quale tipo di essere è riferita. Ma ci sono alcune azioni, per esempio dare un nome alle persone, che sono implicite nel nostro modo riconoscere e di indicare a quale tipo di essere ci stiamo riferendo”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 101) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 206 C. Diamond: il concetto di “essere umano” - “... non è partire dagli interessi degli esseri della categoria alla quale apparteniamo che ci diamo dei nomi, o che consideriamo la nascita, la morte e la sessualità dell’uomo in un certo modo, attribuendo a queste cose un’importanza e un significato, per quanto variabile. E ancora: non è il rispetto dei nostri interessi che ci trattiene dal mangiarci l’un l’altro. Queste sono tutte cose che determinano il concetto di ‘essere umano’. La stessa cosa vale per i doveri che abbiamo nei confronti degli esseri umani. Essi non sono una conseguenza di ciò che sono gli esseri umani e non sono giustificati da ciò che è l’essere umano: sono un un elemento che contribuisce a definire la nostra nozione di essere umano. E così è anche e soprattutto nel caso della differenza tra gli esseri umani e gli animali. Impariamo che cos’è un essere umano anche sedendoci a un tavolo dove siamo NOI che mangiamo LORO. Siamo attorno al tavolo e sul tavolo ci sono gli animali. La differenza tra gli esseri umani e gli animali non si trova negli studi di Washoe o nell’analisi dei comportamenti dei delfini. Non sono questi studi o la teoria evoluzionista che possono spiegarci cosa ci distingue dagli animali: la differenza è, come ho già accennato, un concetto centrale della vita umana ed è più un oggetto di contemplazione che di osservazione (questo potrebbe essere frainteso, non sto dicendo che è una questione di intuizione)”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, pp. 102-3) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 207 C. Diamond: preoccupazione morale e relazioni - “... il punto di partenza nella riflessione sulle relazioni tra gli esseri umani non può essere descritto in questo modo, dicendo ‘Bene, da una parte c’è l’agente morale mentre dall’altra c’è un essere capace di soffrire, pensare, parlare’, e che questo vale (mutatis mutandis) anche quando pensiamo alla relazione tra esseri umani e animali. Non possiamo limitarci a dire ‘Questa cosa (qualunque concetto essa comprenda) è comunque capace di soffrire e dunque non dobbiamo farla soffrire’ [...] Che ‘questo’ è un essere che io non devo far soffrire, o che devo proteggere da qualunque sofferenza, significa che io intrattengo con questo essere una relazione speciale, o meglio una delle mie numerose relazioni di questo tipo: per esempio il fatto che io mi preoccupi della sua sofferenza può dipendere dal fatto che è mia madre. Che io debba preoccuparmi delle sofferenze o delle gioie di un altro essere non è la mia fondamentale relazione morale con questo essere, tale da determinare come debba comportarmi nei suoi confronti: non più fondamentale del fatto che un uomo, in quanto mio fratello, è un essere su cui non dovrei elaborare fantasie sessuali”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 104) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 208 C. Diamond: partire dalla vita umana - “... il punto di partenza dev’essere sempre il tentativo di capire che cosa è implicato in atti e costumi come il nostro rifiuto di mangiare le persone; che non si fonda, esattamente come il rifiuto di mangiare gli animali di casa, sull’accoglimento delle rivendicazioni di un essere soltanto in quanto capace di soffrire e di provare piacere. Argomentare in modo diverso, in particolare nel modo di Singer e Regan, non è difendere la causa degli animali; è attaccare il significato della vita umana. [...] Il modo in cui intendiamo la vita umana è l’origine della vita morale, e ogni appello contro la sofferenza che non si basi su questa considerazione non può rivelarsi alla fine che autodistruttivo”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 105) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 209 C. Diamond: contro il vegetarianesimo utilitarista - “... un’altra caratteristica generale che ritrovo nell’atteggiamento dei vegetariani utilitaristi. A costoro non piacciono particolarmente gli animali. Sono loro stessi a dire di non essere particolarmente interessati agli animali. Possono dire di non ‘amarli’. Non vogliono antropomorfizzarli e ci tengono a ribadire che la loro posizione non dipende da un antropomorfismo sentimentale. Così come non è necessario provare, per riconoscere i suoi diritti, che sotto la pelle scura di un uomo di colore si cela in realtà un uomo bianco, non bisogna pensare agli animali come se fossero delle persone per poter riconoscere loro dei diritti. Il tono dell’argomento dovrebbe pertanto essere: noi siamo una specie animale; se è giusto badare ai nostri interessi è perché siamo degli esseri viventi animali con degli interessi, e se questo è giusto, è giusto per ogni animale”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 106) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 210 C. Diamond: l’animale fellow creature - “Solitamente, o comunque molto spesso, l’idea di creatura simile a noi non esclude l’idea di poterla mangiare, ma in questo caso cacciare o allevare un animale sono azioni che richiedono una certa correttezza e non devono tendere allo sfruttamento. Ben diverso è trattare l’animale come un elemento (l’elemento ‘mobile’) del processo di produzione della carne; e aggiungerei che anche il concetto di ‘parassita’ è utilizzato a volte per escludere un animale dalla classe delle fellow creatures. È molto importante sottolineare il contrasto tra l’animale molto simile e gli animali come elementi del processo di produzione della carne, o come ‘ingranaggi molto delicati della macchina’ [...] Gli animali - questi oggetti sui quali noi agiamo - non sono qualcosa che si dà al nostro pensiero indipendentemente dai molti modi in cui possiamo pensarli e in cui possiamo interagire con essi. È in parte quanto intendevo prima quando rifiutavo prima il principio per cui sarebbe un nostro dovere risparmiare la sofferenza a qualunque cosa capace di provare sofferenza, indipendentemente dal concetto con cui viene pensata...”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 111-2) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 211 C. Diamond: l’animale fellow creature - “Ho introdotto il concetto di fellow creature per rispondere alla domanda: come posso dimostrare che chi non mangia animali ha ragione? Non credo di aver dato una risposta, quanto di aver indicato una possibile direzione per trovarla. Ovviamente il mio approccio non vale per coloro che non considerano le altre creature come loro simili. La mia posizione, tuttavia, non è più debole di quella assunta da chi difende i diritti degli animali sulla base del principio astratto dell’uguglianza. [...] quando pensiamo alle relazioni tra gli esseri umani e gli animali non possiamo partire dicendo ‘Bene qui ci sono io, l’agente morale, e là c’è qualcosa capace di provare sofferenza’. Un’affermazione di questo tipo, per quanta forza possano avere le nostre parole, deriva sempre e comunque dall’interpretazione che diamo ai concetti di essere umano e animale. [...] se chiediamo alle persone di non far soffrire gli animali e, in questo appello, cerchiamo di annullare la distinzione tra esseri umani e animali e di indurre la gente a parlare o ragionare in termini di ‘differenti specie animali’, perdiamo ogni appiglio e non è più possibile dire che cosa dobbiamo fare, perché se siamo una specie come le altre, come le altre non abbiamo nessun obbligo morale verso i membri delle specie diverse dalla nostra. Le aspettative morali che gli altri esseri umani hanno nei miei confronti non le hanno verso di me in quanto animale; e in fondo la spinta a riconoscere con la forza dell’immaginazione queste aspettative morali negli animali è quello che ci muove quanto pensiamo che la scelta vegetariana ci consenta di guardare negli occhi una mucca. Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo: la cosa sbagliata è pensare che questa sia la risposta e distruggerne il fondamento”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 116) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 212 C. Diamond: l’animale fellow creature - “Qualcosa di simile succede, forse, quando crediamo di scorgere nello sguardo di un animale un appello alla nostra pietà. La pietà, al di là delle sue manifestazioni primitive, è un sentimento che nasce dal senso della vita umana e dal senso della perdita, e tantissime situazioni in cui un essere umano fa leva sulla pietà di un altro comportano la capacità di commuoversi. Se quando facciamo qualcosa - a un’altra persona o a un animale - non proviamo questo sentimento, non serve a nulla pensare che i suoi interessi valgono almeno quanto i nostri. E il problema - o uno dei problemi - dell’astratto appello a non infliggere la sofferenza come principio guida dell’azione è che esso ci incoraggia a ignorare la pietà, a dimenticare quanto questo sentimento contribuisca alla nostra idea della sofferenza e della morte, e come esso ci renda degli esseri capaci di commozione”. (C. Diamond, Mangiare carne, mangiare persone, p. 116) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 213 M.C. Nussbaum: l’approccio delle capacità - “Il secondo scopo del mio progetto è costruttivo, ed è sostenere che c’è un approccio ai temi della giustizia di base che ci conduce più lontano di quanto facciano le dottrine del contratto sociale, in particolare nei tre casi che ci interessano. Poiché questo approccio alternativo condivide alcune idee intuitive con la versione rawlsiana del contrattualismo e poiché i principi che genera hanno una stretta somiglianza con i principi di giustizia, possiamo concepirlo come un’estensione o un completamento della teoria di Rawls, focalizzato su questi nuovi problemi. [...] L’alternativa, quindi, è l’approccio delle capacità sviluppato in modi diversi da me in filosofia e da Amartya Sen in economia. L’uso di Sen dell’approccio si concentra sulla misurazione comparativa della qualità della vita, nonostante egli sia anche interessato ai temi della giustizia sociale. Io, invece, l’ho usato per fornire una base filosofica necessaria a dare conto dei diritti umani che dovrebbero essere rispettati ed applicati dai governi di tutte le nazioni, e una base minima per il rispetto della dignità umana. In Diventare persone, e altrove, sostengo che il miglior modo di presentare questa idea di un minimo sociale di base è attraverso un approccio che si concentra sulle capacità umane, cioè su ciò che le persone sono realmente in grado di fare e di essere, per mezzo dell’idea intuitiva di ciò che significa una vita umanamente dignitosa. Redigo una lista di capacità umane centrali e sostengo che tutte sono implicate nell’idea di una vita umanamente dignitosa”... S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 214 M.C. Nussbaum: l’approccio delle capacità - “Le capacità sono quindi presentate come fonti di principi politici per una società liberale pluralista; vengono stabilite all’interno di un contesto di liberalismo politico che le pone come obiettivi politici e vengono presentate autonomamente rispetto ad ogni fondamento metafisico specifico. Presentate e approvate in questo modo attraverso la mia argomentazione, le capacità possono divenire oggetto di un consenso per intersezione fra persone che hanno concezioni comprensive del bene molto differenti. Sostengo, inoltre, contando sempre sull’idea intuitiva di dignità umana, che le capacità dovrebbero essere perseguite per ciascun individuo, trattando ognuno come un fine e nessuno come un mero strumento per fini altrui [...] Infine, il mio approccio utilizza l’idea di un livello di soglia delle capacità, al di sotto del quale si ritiene che il funzionamento umano non sia realmente accessibile ai cittadini; l’obiettivo dovrebbe essere quello di portare i cittadini al di sopra di questa soglia delle capacità (ma non dovrebbe essere l’unico importante obiettivo sociale: il mio scopo è quello di fornire solo una teoria parziale e minimale della giustizia sociale)”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 88-89) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 215 M.C. Nussbaum: le capacità umane centrali 1. Vita. Avere la possibilità di vivere fino alla fine una vita umana di normale durata; di non morire prematuramente o prima che la propria vita sia stata limitata in modo tale da essere indegna di essere vissuta 2. Salute fisica. Poter godere di buona salute, compresa una sana riproduzione; poter essere adeguatamente nutriti; avere un’abitazione adeguata. 3. Integrità fisica. Essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all’altro; di considerare inviolabili i confini del proprio corpo, cioè poter essere protetti contro le aggressioni, compresi l’aggressione sessuale, l’abuso sessuale infantile e la violenza domestica; avere la possibilità di godere del piacere sessuale e di scelta in campo riproduttivo. 4. Sensi, immaginazione e pensiero. Poter usare i propri sensi, poter immaginare, pensare e ragionare, avendo la possibilità di farlo in modo “veramente umano”, ossia in un modo informato e coltivato da un’istruzione adeguata, comprendente alfabetizzazione, matematica elementare e formazione scientifica, ma nient’affatto limitata a questo. Essere in grado di usare l’immaginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza e la produzione di opere autoespressive, di eventi, scelti autonomamente, di natura religiosa, letteraria, musicale, e così via. Poter usare la propria mente tutelati dalla garanzia della libertà di espressione rispetto sia al discorso politico sia artistico, nonché della libertà di culto. Poter andare in cerca del significato ultimo dell’esistenza a modo proprio. Poter esperienze piacevoli ed evitare dolori inutili. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 216 M.C. Nussbaum: le capacità umane centrali 5. Sentimenti. Poter provare attaccamento per cose e persone oltre che per noi stessi, amare coloro che ci amano e che si curano di noi, soffrire per la loro assenza; in generale amare, soffrire, provare desiderio, gratitudine e ira giustificata. Non vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie e paure eccessive o da eventi traumatici di abuso e di abbandono. Sostenere questa capacità significa sostenere forme di associazione umana che si possono rivelare cruciali nello sviluppo. 6. Ragion pratica. Essere in grado di sviluppare una concezione di ciò che è bene e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita (ciò comporta la tutela della libertà di coscienza) 7. Appartenenza. a) Poter vivere con gli altri e per gli altri; riconoscere l’umanità altrui e mostrarne preoccupazione; impegnarsi in varie forme di interazione sociale; essere in grado di capire la condizione altrui e mostrarne preoccupazione; essere capaci di giustizia e di amicizia. (Proteggere questa capacità significa proteggere istituzioni che fondano e alimentano queste forme di appartenenza e anche tutelare la libertà di parola e di associazione politica). b) Avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter essere trattati come persone dignitose il cui valore eguaglia quello altrui. Questo implica, al livello minimo, tutela contro la discriminazione in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta, etnia, origine nazionale. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 217 M.C. Nussbaum: le capacità umane centrali 8. Altre specie. Essere in grado di vivere in relazione con gli animali, le piante e con il mondo della natura provando interesse per essi e avendone cura. 9. Gioco. Poter ridere, giocare e godere di attività ricreative. 10. Controllo del proprio ambiente. a) Politico. Poter partecipare in modo efficace alle scelte politiche che governano la propria vita; godere del diritto di partecipazione politica, delle garanzie di libertà di parola e di associazione. b) Materiale. Avere diritto di possesso (di terra e beni mobili) non solo formalmente, ma in termini di concrete opportunità; godere di diritti di proprietà in modo eguale agli altri; avere il diritto di cercare lavoro sulla stessa base degli altri; essere garantiti da perquisizioni o arresti non autorizzati. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 93-95) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 218 M.C. Nussbaum: approccio delle capacità e animali - “L’approccio delle capacità offre al problema dei diritti degli animali una guida teorica migliore rispetto a quella offerta da altri approcci; poiché tale modello è in grado di riconoscere un’ampia gamma di tipologie di dignità animale e di corrispondenti necessità per promuovere tale dignità, ed è attento alla varietà delle azioni e dei fini che le diverse creature perseguono, esso può generare norme relative alla giustizia fra le specie, norme che sono efficaci e, in più, esigenti, riconoscendo diritti fondamentali alle creature di specie diverse. Tale approccio dovrà essere ripensato ed esteso al fine di accogliere questa sfida, ma la sua componente aristotelica lo renderà capace di affrontarla con successo” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 343) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 219 M.C. Nussbaum: approccio delle capacità e animali - “... il trattamento crudele e oppressivo degli animali solleva problemi di giustizia [...] Cosa significa esattamente dire che queste sono questioni di giustizia, piuttosto che questioni di ‘compassione e umanità’? Il sentimento della compassione implica l’idea che un’altra creatura stia soffrendo e che non sia (o non sia in gran parte) da biasimare per quella sofferenza. Da ciò non consegue l’idea che qualcuno sia da rimproverare per quella sofferenza; una persona può avere compassione per la vittima di un crimine, ma anche per qualcuno che sta morendo a causa di una malattia (in una situazione in cui quella vulnerabilità alla malattia non è colpa di nessuno). Intendo per ‘umanità’ un concetto simile a questo. Così la compassione, da sola, trascura l’elemento essenziale della colpa per il male commesso: questo rappresenta il primo problema. Se analizzassimo i danni provocati agli animali nei soli termini dei doveri di compassione, si rischierebbe allora di oscurare l’importante distinzione fra la compassione per un animale che muore a causa di una malattia, di cui nessuno ha colpa, e la reazione che potremmo avere per la sofferenza di un animale che sta subendo un maltrattamento crudele per mano dell’uomo. Supponiamo, però, di aggiungere tale elemento, affermando che i doveri di compassione implicano l’idea che sia sbagliato causare sofferenza agli animali: laddove quella sofferenza fosse causata da un’azione ingiusta, un dovere di compassione implicherebbe il riconoscimento di quella ingiustizia; in altre parole, un dovere di compassione costituirebbe non semplicemente un dovere di sentire compassione, bensì un dovere risultante dalla propria compassione di evitare, inibire e punire azioni che provocano sofferenza, di cui quella compassione è un effetto” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp 352-3) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 220 M.C. Nussbaum: gli animali fuori dal contratto sociale - “... anche se, di fatto, condividiamo con gli animali un mondo di scarse risorse e anche se vi è, in certo senso, uno stato di rivalità tra le specie, paragonabile alla rivalità nello stato di natura, la simmetria di potere tra animali umani e non umani è troppo ampia per concepire come reale un qualsiasi contratto con gli animali. Di sicuro, non potremmo concepire che quel contratto sia davvero di vantaggio reciproco: infatti, se volessimo proteggerci dalle incursioni di animali che ci minacciano, potremmo semplicemente ucciderli, come di fatto facciamo. È da molto tempo che gli esseri umani non sono più minacciati, a livello generale, dal potere delle ‘bestie’. Quindi, viene a mancare la condizione rawlsiana per cui nessuna parte del contratto è sufficientemente forte da dominare o uccidere le altre parti. Inoltre, poiché gli animali non stipulano contratti ci viene impedito ancora una volta di concepire plausibilmente l’aspetto che un contratto sociale assumerebbe. Il tipo di intelligenza che gli animali possiedono non è il tipo di intelligenza che dobbiamo postulare per concepire un processo contrattuale” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 343) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 221 M.C. Nussbaum: approccio delle capacità e utilitarismo - “In generale, l’approccio basato sulle capacità è un alleato molto stretto dell’approccio contrattualista ed è più profondamente critico nei confronti dell’utilitarismo. Tuttavia, in questo particolare ambito le cose sembrano diverse. [...] le concezioni incentrate sul risultato non incontrano difficoltà nel prendere in considerazione, in modo originario e non derivato, gli interessi di chi è indifeso, di chi è disabile e degli esseri che non hanno l’uso della parola. [...] l’attenzione dell’utilitarismo alla capacità di sentire, che lega gli esseri umani agli altri animali, e alla negatività del dolore, rappresenta un punto di partenza particolarmente avvincente se prendiamo in considerazione le questioni sulla giustizia che coinvolgono gli animali: infatti, non vi è alcun dubbio che in questa prospettiva un problema centrale di giustizia è proprio il problema del dolore ingiustamente inflitto. Quindi, è in uno spirito di alleanza che ora rivolgo alcune critiche alla concezione utilitarista. In generale, tutte le posizioni utilitariste hanno in comune tre aspetti: il consequenzialismo, l’ordinamento-somma e una concezione sostantiva del bene” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 354-5) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 222 M.C. Nussbaum: liberalismo e massimizzazione del bene - “Quello che vogliamo che facciano i protagonisti della politica in uno stato liberale è occuparsi soltanto della giustizia di base e non anche di massimizzare il bene complessivo.Vogliamo seriamente che essi non perseguano la massimizzazione del bene complessivo, proprio perché vogliamo che evitino di definire in modo comprensivo ciò che è bene. La giusta distribuzione del lavoro in una società liberale consiste nel far sì che le istituzioni si occupino della giustizia e che gli individui siano liberi di perseguire ognuno, in proprio, gli altri aspetti della loro concezione comprensiva del bene. [...] L’utilitarismo delle preferenze di Singer [...] assume un atteggiamento liberale nell’affidarsi a ciò che gli individui realmente preferiscono. Ma non è chiaro se questa mossa risolva il problema dell’eccesso di ambizioni da parte della dottrina politica. Infatti, molte dottrine comprensive sostenute dai cittadini non approvano il soddisfacimento delle preferenze come corretta visione del bene; la maggior parte delle dottrine religiose e molte di quelle morali sono in disaccordo con Singer su questo questo punto. Sicché, anche nel perseguire il soddisfacimento come obiettivo, l’attore politico invaderebbe il territorio che il liberale vuole riservare alla scelta personale” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 358-9) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 223 M.C. Nussbaum: liberalismo e massimizzazione del bene - “Quello che vogliamo che facciano i protagonisti della politica in uno stato liberale è occuparsi soltanto della giustizia di base e non anche di massimizzare il bene complessivo.Vogliamo seriamente che essi non perseguano la massimizzazione del bene complessivo, proprio perché vogliamo che evitino di definire in modo comprensivo ciò che è bene. La giusta distribuzione del lavoro in una società liberale consiste nel far sì che le istituzioni si occupino della giustizia e che gli individui siano liberi di perseguire ognuno, in proprio, gli altri aspetti della loro concezione comprensiva del bene. [...] L’utilitarismo delle preferenze di Singer [...] assume un atteggiamento liberale nell’affidarsi a ciò che gli individui realmente preferiscono. Ma non è chiaro se questa mossa risolva il problema dell’eccesso di ambizioni da parte della dottrina politica. Infatti, molte dottrine comprensive sostenute dai cittadini non approvano il soddisfacimento delle preferenze come corretta visione del bene; la maggior parte delle dottrine religiose e molte di quelle morali sono in disaccordo con Singer su questo questo punto. Sicché, anche nel perseguire il soddisfacimento come obiettivo, l’attore politico invaderebbe il territorio che il liberale vuole riservare alla scelta personale” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 358-9) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 224 M.C. Nussbaum: separazione degli individui e aggregazione del bene - “L’utilitarismo, come è noto, rifiuta tale insistenza sulla distinzione e inviolabilità delle persone. Poiché è incentrato sul calcolo-ordinamento di tutti i piacere e i dolori rilevanti (o di tutte le soddisfazioni e le frustrazioni, così come stabilite in base al modello delle preferenze), l’utilitarismo non può in alcun modo escludere in anticipo i risultati che si rivelano estremamente severi verso una data classe o gruppo. [...] Nel rivolgere l’attenzione agli animali, tutti questi problemi diventano ancora più profondi. Le comparazioni in termini di utilità tra specie sono ancora più complesse e indeterminate delle comparazioni interpersonali entro una singola specie. L’intepretazione delle preferenze degli animali è piena di oscurità e di difficoltà, ma anche se fossimo in grado di risolvere questi problemi, ci aspetta una più generale difficoltà: l’ordinamento-somma dell’utilitarismo non sembra riuscire ad escludere, adducendo la giustizia di base, il grande dolore e il trattamento crudele di almeno alcuni animali” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 359-60) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 225 M.C. Nussbaum: oltre l’edonismo utilitarista - “Per gli animali, come per gli esseri umani, ogni diritto fondamentale appartiene a un suo distinto ambito di funzionamento, e quindi nessun diritto può essere ceduto in cambio di altri, anche se il vantaggio così ottenuto è notevole. Allo stesso modo degli uomini, gli animali ricercano una pluralità di beni distinti, quali ad esempio i rapporti di amicizia e di affiliazione, la libertà dal dolore e il movimento. Sembra fuorviante e prematuro aggregare piaceri e dolori afferenti a queste distinte aree: sarebbe opportuno dire, piuttosto, che gli animali hanno diritto a ognuno di questi beni sulla base di un principio di giustizia. Una volta che chiediamo all’edonista di riconoscere beni plurali, non commensurabili su una singola scala quantitativa, viene naturale anche chiedersi se solo il piacere e il dolore siano da tenere in considerazione nel ragionare sui diritti degli animali. Sembra plausibile ritenere che tra i beni ricercati dagli animali ve ne siano alcuni la cui mancanza non viene sentita come dolore né frustrazione: ne sono un esempio il movimento libero e le capacità di prestazione fisica, ma anche il sacrificio altruista per il bene dei familiari e del gruppo. È inoltre possibile, in alcuni casi, che vi sia del bene anche nel dolore degli animali: l’afflizione di un animale per la perdita di un figlio o di un familiare, o per la sofferenza di un amicouomo, può essere parte integrante di un attaccamento intrinsecamente buono, così come può esserlo il dolore dovuto allo sforzo richiesto per riuscire a svolgere con maestria una certa attività complessa” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 361-2) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 226 M.C. Nussbaum: dignità umana e non - “L’approccio basato sulle capacità, nella sua attuale forma, non tratta il problema della giustizia verso gli animali non umani, in quanto muove dalla nozione di dignità umana e quindi dalla nozione di vita degna di essere vissuta. Tuttavia, intendo sostenere che l’approccio delle capacità si presta a una tale estensione molto più facilmente di quanto possano farlo entrambe le teorie prese in esame. La sua fondamentale intuizione morale risiede nel riconoscere dignità a ogni forma di vita, in seno alla quale si sviluppano sia capacità sia esigenze profonde. [...] Lo stesso atteggiamento verso le facoltà naturali che guida tale approccio nel caso degli uomini vale anche nel caso degli altri animali. Infatti, il rispetto per le facoltà umane nasce da un atteggiamento più generale, che gioca un ruolo fondamentale nell’approccio delle capacità, ed è un tipo di rispetto diverso da quello che anima l’etica kantiana. Per Kant, soltanto l’umanità e la razionalità sono degne di rispetto e di ammirazione; il resto della natura non è altro che un insieme di strumenti. L’approccio delle capacità, invece, si allinea con l’Aristotele biologo nel sostenere che in ognuna delle forme complesse di vita che troviamo in natura c’è qualcosa di meraviglioso e degno di ammirazione” (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 364-5) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 227 M.C. Nussbaum: giustizia, dignità, fioritura - “Se accettiamo che la giustizia esiste per assicurare una vita dignitosa a molti tipi di esseri viventi diversi, non c’è ragione perché coloro che stabiliscono i principi non debbano includere a pieno titolo gli esseri non umani come soggetti di quegli stessi principi. L’approccio delle capacità, così come è stato fino ad ora sviluppato nel caso degli uomini, si pone dinanzi alla realtà circostante chiedendosi in che modo sia possibile fare giustizia: questo è uno dei fini intrinseci a tale approccio. Ci si immagina che le persone prendano atto della brutalità e della miseria del mondo, ma anche della sua bontà, e incomincino a pensare alla realizzazione di un mondo in cui un insieme di diritti fondamentali, inerenti alla nozione di dignità umana, sarà tutelato. [...] il motivo della cooperazione sociale non sta nel vantaggio reciproco di persone ‘libere, eguali e indipendenti’. La cooperazione sociale (sempre con riferimento al caso, finora sviluppato, degli uomini) va orientata alla realizzazione di un più ampio e diffuso insieme di fini, incluso tra questi il perseguimento della giustizia, e va accompagnata da giusti rapporti di interdipendenza fini a se stessi, per ogni tipo di persona, qualcuna più libera di altre, o diversamente libera, qualcuna più indipendente, ma nessuna del tutto indipendente, alcune con eguali capacità e altre con capacità ineguali (un’ineguaglianza di fatto che non implica in alcun modo un’ineguaglianza morale)”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 367-8) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 228 M.C. Nussbaum: estensione degli scopi della cooperazione - “Lo scopo della cooperazione sociale, per analogia ed estensione, dovrebbe essere quello di vivere decentemente insieme, in un mondo in cui molte specie tentano di fiorire [...] Se ci lasciamo guidare dalle idee intuitive implicite in questa teoria, possiamo notare che lo scopo generale dell’approccio delle capacità, nel giungere a principi politici coi quali definire il rapporto uomo-animale, implica che a nessun animale senziente venga negata la possibilità di avere una vita fiorente, una vita con una dignità relativa a quella specie; inoltre, tale approccio comporta che tutti gli animali senzienti godano di certe opportunità effettive di fioritura. Nel rispettare il mondo circostante, che contiene in sé numerose forme di vita, secondo questa prospettiva si assume l’impegno etico di prendersi cura di ogni tipo caratteristico di fioritura e si lotta affinché questo processo non venga ostacolato né risulti vano”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 368) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 229 M.C. Nussbaum: equilibrio riflessivo e immaginazione - “L’approccio delle capacità segue il metodo proposto da Rawls per arrivare a un ‘equilibrio riflessivo’. [...] Un aspetto, di ispirazione aristotelica e non sottolineato in Rawls, relativo a questo metodo, è l’uso dell’immaginazione. Spesso pensiamo ad alternative possibili, immaginando la forma di vita che da queste alternative ne deriverebbe e ci chiediamo quale tipo di sofferenza o di fioritura ci sarebbe in una vita regolata da tali principi politici. La posizione originaria di Rawls richiede proprio questo esercizio, visto che in questa posizione si costruiscono i vari ruoli sociali misurando le opportunità di vita che questi ruoli offriranno a chi in seguito si troverà a ricoprirli. Questa sorta di esercizio dell’immaginazione non viene fatto in modo acritico, ma deve essere sottoposto a un duplice confronto, sia con le teorie sia con i giudizi ponderati. Si tratta, quindi, di un immaginario attraverso il quale spesso otteniamo informazioni, nel senso che vediamo in questo modo che cosa è in gioco nella scelta di seguire una data teoria oppure riusciamo a mettere a fuoco un nostro giudizio ponderato per capire se sia opportuno o meno rivederlo”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 370-1) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 230 M.C. Nussbaum: immaginazione e vita animale - “Nonostante questo metodo possa essere utilizzato in stretta unione con altre teorie, ritengo che esso, includendo il racconto e l’immaginazione, favorisca, in ultima analisi, la scelta dell’approccio delle capacità, nell’ambito della titolarità dei diritti degli animali. Coloro che utilizzano l’immaginazione e il racconto ci ricordano, senza mezzi termini, che i modi di essere degli animali sono numerosi e differenti, che all’interno di ciascuna specie e attraverso le specie vi sono molteplici attività e fini. Sarebbe, dunque, assurdo se un metodo come questo dovesse portare alla conclusione che vi è un’unica grande facoltà che regola la vita, come la capacità di sentire o la razionalità. Anche l’immaginazione ci rende consapevoli dell’asimmetria del potere, che potremmo perdere se non analizzassimo da vicino le varie componenti della vita e i diversi tipi di relazioni. Infine, occorre sottolineare che immaginare il vissuto degli animali significa anche rendere questi ultimi più reali ai nostri occhi, in modo originario, come soggetti potenziali di giustizia, mentre l’approccio contrattualista, incentrato sulla reciprocità fra individui dotati di un tipo di razionalità specificamente umana, è costretto a considerarli importanti soltanto in maniera indiretta”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 373) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 231 M.C. Nussbaum: immaginazione e vita animale - “Nonostante questo metodo possa essere utilizzato in stretta unione con altre teorie, ritengo che esso, includendo il racconto e l’immaginazione, favorisca, in ultima analisi, la scelta dell’approccio delle capacità, nell’ambito della titolarità dei diritti degli animali. Coloro che utilizzano l’immaginazione e il racconto ci ricordano, senza mezzi termini, che i modi di essere degli animali sono numerosi e differenti, che all’interno di ciascuna specie e attraverso le specie vi sono molteplici attività e fini. Sarebbe, dunque, assurdo se un metodo come questo dovesse portare alla conclusione che vi è un’unica grande facoltà che regola la vita, come la capacità di sentire o la razionalità. Anche l’immaginazione ci rende consapevoli dell’asimmetria del potere, che potremmo perdere se non analizzassimo da vicino le varie componenti della vita e i diversi tipi di relazioni. Infine, occorre sottolineare che immaginare il vissuto degli animali significa anche rendere questi ultimi più reali ai nostri occhi, in modo originario, come soggetti potenziali di giustizia, mentre l’approccio contrattualista, incentrato sulla reciprocità fra individui dotati di un tipo di razionalità specificamente umana, è costretto a considerarli importanti soltanto in maniera indiretta”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 373) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 232 M.C. Nussbaum: capacità e capacità di sentire - “C’è una soglia al di sotto della quale la perdita delle capacità non rappresenta un danno? Si giudica di scarsa gravità il fatto di uccidere una zanzara, perché apparentemente non avverte dolore. Secondo il ragionamento di Singer è facile pervenire a questa conclusione; ma per i teorici delle capacità è molto difficile, visto che il bene risiede nelle opportunità di crescita e non nella sola capacità di sentire. Allora, perché la capacità della zanzara di continuare a vivere non è da considerare come una di quelle capacità che è sbagliato sopprimere? Credo che l’approccio delle capacità dovrebbe riconoscere la saggezza dell’utilitarismo: infatti la capacità di sentire non è l’unico aspetto che conta nella giustizia di base; ma sembra plausibile considerare il possesso della capacità di sentire quale condizione minima per appartenere alla comunità di coloro che hanno diritti basati sulla giustizia”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 379) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 233 M.C. Nussbaum: la dimensione valutativa della “fioritura” - “...l’approccio delle capacità si concentra, sin dall’inizio, non solo sulla valutazione, ma anche sulla valutazione etica. Molti degli aspetti della vita umana non sono inclusi nella lista delle capacità: la politica non intende incoraggiare l’avidità o assicurare che il crimine e la violenza avranno possibilità di fioritura, anche se tutte queste attività si fondano certamente sui poteri dell’uomo. Quindi, il concetto di fioritura è profondamente valutativo ed etico; esso sostiene che la frustrazione di certe tendenze non è soltanto compatibile con la fioritura ma è effettivamente richiesta da quest’ultima”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 384) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 234 M.C. Nussbaum: “nessuna celebrazione della natura” - “Il rispetto per la natura non dovrebbe e non può significare semplicemente che la natura va lasciata così com’è, piuttosto, rispettare la natura deve implicare anche accurati argomenti normativi riguardo a quali potrebbero essere gli obiettivi plausibili da conseguire”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 387) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 235 M.C. Nussbaum: “nessuna celebrazione della natura” - “Ci si può aspettare che l’uomo impari a fiorire senza uccidere e, auspichiamo anche, senza uccidere la maggior parte degli animali, ma un leone, a cui viene negata la possibilità di esercitare le sue capacità di predatore, soffrirebbe moltissimo, e non c’è alcuna possibilità che l’istruzione o l’addestramento rimuovano tale dolore. Qui l’approccio basato sulle capacità potrebbe, tuttavia, distinguere due differenti aspetti della capacità in questione: se si tratta della capacità di uccidere piccoli animali, essa, definita come tale, non ha valore e i principi politici di base la possono tralasciare e anche reprimere. Ma se si tratta della capacità di esercitare la propria natura di predatore, evitando il dolore della frustrazione, allora essa può avere valore. Gli zoo hanno imparato come operare una tale distinzione: è risaputo il fatto che lo zoo non consente agli animali predatori un sufficiente esercizio delle loro capacità di predatori, così ogni zoo ha dovuto far fronte al problema del danno arrecato agli animali più piccoli nel permettere che queste capacità fossero esercitate. Dunque si dovrebbe dare alla tigre una tenera gazzella da sgranocchiare? Lo zoo del Bronx ha scoperto che si può dare, in alternativa, alla tigre un grande pallone posto su una corda, la cui resistenza e il cui peso simboleggiano una gazzella: in questo modo la tigre sembra soddisfatta. Le persone che possiedono animali predatori domestici (soprattutto i gatti) conoscono bene questo tipo di stratagemmi (gli sport competitivi probabilmente svolgono lo stesso ruolo nella vita dell’uomo). In qualsiasi luogo gli animali predatori vivano sotto il supporto e il controllo diretto dell’uomo, tali soluzioni sembrano essere le più legittime dal punto di vista etico”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 388) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 236 M.C. Nussbaum: doveri positivi verso gli animali? - “... nel caso degli animali, la distinzione positivo/negativo potrebbe trovare posto in maniera sensata. Sembra almeno coerente dire che la comunità umana ha l’obbligo di evitare di causare danni cospicui agli animali; tuttavia essa non è obbligata a sostenere il benessere di tutti gli animali, nel senso di assicurare loro, in maniera adeguata, cibo, rifugio e assistenza sanitaria. Adempiere ai nostri doveri negativi non sarebbe sufficiente a garantire che tutti gli animali abbiano la possibilità di perseguire la fioritura nei loro modi specifici, ma potrebbe anche essere che non ci sia moralmente richiesto nient’altro: le specie stesse hanno il rimanente compito di assicurarsi la loro fioritura. Potremmo ulteriormente sostenere questa conclusione argomentando che, se cercassimo di essere tiranni benevoli del mondo, causeremmo solo uno sconvolgimento nella vita degli animali. In maniera ancora più precisa, potremmo sostenere la medesima conclusione dicendo che l’idea in sé del dispotismo benevolo degli uomini sugli animali, nel soddisfare i loro bisogni, è moralmente ripugnante: la sovranità delle specie, come la sovranità delle nazioni, ha un peso morale. Una delle componenti della fioritura, per ogni creatura, consiste nel poter decidere le questioni veramente importanti per se stessa, senza l’intervento umano, anche se quest’ultimo è in un certo senso benevolo”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 391) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 237 M.C. Nussbaum: doveri positivi verso gli animali? - “Questa presunta argomentazione è giusta, e certamente se i nostri principi politici semplicemente si limitassero a eliminare molte delle forme considerevoli di danno causato agli animali avrebbero già fatto abbastanza. Ma sia la confutazione sia la distinzione tra doveri negativi e doveri positivi, che sottendono tale argomentazione, non possono essere accettate in pieno. Innanzitutto, molti animali vivono sotto il diretto controllo degli uomini: gli animali domestici, gli animali da fattoria, e tutti quei membri di specie selvagge che sono rinchiusi negli zoo o in altre forme di cattività. Gli uomini sono direttamente responsabili della nutrizione e della salute di questi animali e del resto lo riconoscono anche i nostri attuali e lacunosi sistemi giuridici. Gli animali allo stato ‘selvaggio’ vivono apparentemente senza essere condizionati dall’intervento dell’uomo, ma in verità risulta assai difficile vivere in questo modo nella realtà attuale. Il comportamento degli uomini, in maniera sempre più diffusa, incide sugli habitat degli animali, determinando le loro possibilità di nutrizione, di movimento libero e di tutti gli altri aspetti della loro fioritura. Anche se qualcuno, vissuto nel secolo precedente, avesse negato che abbiamo delle responsabilità verso gli animali allo ‘stato selvaggio’, oggi dovrebbe ammettere che tali responsabilità ci sono comunque assegnate dalla nostra invadenza nel determinare le condizioni di fioritura degli animali”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 392) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 238 M.C. Nussbaum: doveri positivi verso gli animali? - “È inutile sostenere che dovremmo semplicemente consentire alle tigri di fiorire a loro modo, quando l’agire umano influisce pesantemente sulle loro possibilità di fioritura e, addirittura, di vivere. [...] In molti casi, l’uso intelligente e attento degli zoo e dei parchi animali potrebbe ben rientrare in una politica mirata a garantire una vita dignitosa a tali specie. Molti animali vivono meglio in un ipotetico zoo ben curato piuttosto che in natura, almeno nelle attuali condizioni di minacci e di miseria; soprattutto quando un paese A non può intervenire sul comportamento di un paese B, in relazione al trattamento dei suoi animali, o non può assicurare la fioritura nel loro ambiente naturale nel paese B; in tal caso gli zoo istituiti nel paese A potrebbero svolgere una funzione utile”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 393) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 239 M.C. Nussbaum: doveri positivi verso gli animali? - “Sembra plausibile sostenere che abbiamo meno responsabilità nel proteggere le gazzelle piuttosto che nel proteggere i cani e i gatti domestici, visto che questi ultimi vivono in simbiosi con l’uomo; tuttavia, nel caso in cui sia possibile proteggere le gazzelle senza provocare gravi danni, allora dovremmo essere tenuti a farlo. Il problema è che anche i bisogni degli animali predatori devono essere presi in considerazione e, in tal senso, non abbiamo l’opzione di offrire in cambio alla tigre, che vive allo stato selvaggio un bel pallone sulla corda per giocarci”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 397) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 240 M.C. Nussbaum: eguale dignità tra le specie? - “Se, da un lato, pare non esserci alcun modo decoroso per negare l’eguale dignità delle creature tra specie, dall’altra parte è anche evidente che un consenso per intersezione su un grado minimo fondamentale di capacità per gli animali, già di per sé complesso, sarà ancora più difficile da realizzare su queste basi. perciò vorrei, a questo punto, trattare la questione dell’eguale dignità come questione metafisica, in merito alla quale i cittadini potrebbero assumere posizioni diverse accettando al tempo stesso, ciò che in seguito sosterrò circa i diritti fondamentali degli animali. Nel caso degli uomini, l’idea di eguale dignità non è metafisica, bensì un elemento centrale delle dottrine politiche che hanno prevalso a lungo nelle moderne democrazie costituzionali. Chiedere alle persone di trovare un accordo non significa pretendere da esse che mettano da parte gli elementi principali delle loro concezioni religiose o di eventuali altre loro dottrine comprensive. Ma ritengo che la situazione tra specie sia diversa: l’idea di dignità tra specie non è un’idea politica, che può essere facilmente accettata da cittadini che differiscono in merito alla loro concezione metafisica. Si tratta, infatti, di un’idea metafisica controversa, che si trova in contrasto con molte idee religiose circa l’anima e via dicendo. Limitiamoci, quindi, a dire che l’idea di dignità tra specie è in sé attraente e, addirittura, sotto diversi profili, convincente, ma non è indispensabile ai fini di un consenso per politico per intersezione. possiamo affidarci, invece, all’idea più flessibile secondo cui tutte le creature hanno diritto ad adeguate opportunità per una vita fiorente”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 401) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 241 M.C. Nussbaum: l’uccisione degli animali - “Abbiamo già concluso che la morte indolore non rappresenta un danno se l’alternativa è una vita di sofferenza e o di vecchiaia; abbiamo anche concluso che non vi è alcun danno moralmente significativo nell’uccidere una creatura non senziente. Tuttavia, la maggior parte degli animali uccisi per ottenere cibo sono animali senzienti e solitamente vengono ammazzati nel fiore della loro età o perfino in giovinezza, molto prima che l’alternativa diventi per loro una vita di dolore o di vecchiaia. Possiamo ammettere che buona parte del male attualmente arrecato agli animali che alleviamo per nutrirci deriva dal trattamento che riserviamo loro quando ancora sono in vita, senza però riconoscere che si procuri alcun danno con la morte indolore di un animale che (supponiamo) abbia vissuto una vita fiorente in piena libertà. Qui ci troviamo dinanzi a casi molto diversi: dal livello di capacità di una creatura dipende ciò che può essere ritenuto un danno per quest’ultima. Gli animali senzienti più complessi possono avvertire danni maggiori rispetto agli animali con una capacità di sentire meno complessa. [...] sembrerebbe che l’utilitarista abbia in parte ragione: prevenire la sofferenza, sia durante la vita sia nel momento della morte, è sempre di cruciale importanza. Quanto alla morte indolore, essa può comportare un danno, ma è un danno che sembra variare a seconda della creatura in questione, e spesso può risolversi in un danno morale meno grave del danno arrecato infliggendo sofferenza”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 404-5) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 242 M.C. Nussbaum: il consenso per intersezione e gli animali - “Il fatto che, da questo punto di vista, i membri del consenso siano tutti esseri umani non significa che gli animali non sono soggetti direttamente interessati nella teoria della giustizia; significa piuttosto che l’accordo degli uomini gioca un ruolo speciale nella giustificazione, poiché la stabilità della concezione politica può essere garantita solo se riusciamo a dimostrare che quest’ultima è sostenuta da un insieme di dottrine ragionevoli e comprensive. Le dottrine comprensive in questione consisteranno in dottrine sostenute dagli uomini, con l’aggiunta di quelle che (attraverso l’immaginazione) gli uomini potranno imputare a coloro che rappresentano; in altre parole, rientra in questo secondo gruppo l’insieme delle concezioni del bene che - in buona fede - gli uomini stessi elaboreranno per ogni tipo di animale”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 406) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 243 M.C. Nussbaum: il consenso per intersezione e gli animali - “Possiamo sperare in un consenso per intersezione nell’ambito dei diritti degli animali? Qui vedo due ordini di problemi: uno riguarda le concezioni degli animali nel loro rapporto reciproco e l’altro le concezioni umane. In primo luogo, anche ipoteticamente e attraverso un tutore, è possibile immaginare un animale che sostenga il diritto a una vita dignitosa per specie verso le quali è ostile? Potrebbe il fiduciario della tigre imputare ad essa, com’è giusto che sia, una concezione che sostenga il diritto a una vita dignitosa per una gazzella? La natura non è giusta e le specie non sono tutte in armonia le une con le altre: non possiamo sperare che esse diventino reciprocamente benevole o sostenitrici del benessere dei propri nemici. Ritengo, comunque, che questo non sia un problema così serio per una concezione politica, perché, a questo punto, il fiduciario potrebbe semplicemente dire che la concezione della tigre è irragionevole in quanto vuole la morte delle gazzelle, e questa concezione io, come fiduciario, la promuoverò politicamente soltanto in quanto ragionevole. La stabilità della concezione politica non è in gioco qui: se noi, per così dire, non convinciamo le tigri a cambiare idea, possiamo sempre controllarle”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 407) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 244 M.C. Nussbaum: il consenso per intersezione e gli animali - “Il problema effettivo della stabilità è il problema umano. La maggior parte delle dottrine religiose e laico-comprensive sono lontanissime dalle idee che stiamo sostenendo. [...] In pratica, le persone non si sono ancora orientate nella direzione che Bentham pensava quando scriveva che l’oppressione nei confronti delgi animali sarebbe apparsa, col tempo, tanto moralmente atroce quanto lo era allora la schiavitù. Le persone spesso non vogliono pensare a questi problemi seriamente, perché amano la carne, ne sentono il bisogno e sono anche convinte che l’esistenza umana possa essere prolungata grazie alla sperimentazione sugli animali. Chiaramente, è dovere di chi sostiene i diritti degli animali fornire risposte alle domande che queste persone pongono su come verrà dato sostentamento alla vita umana. Ma, alla fine, quando la gente acquisisce più informazioni sul trattamento degli animali e diviene più abile nel fare scelte di consumo ben informate, sembra ragionevole aspettarsi un aumento di posizioni contro le pratiche crudeli e che qualcosa, se non tutto, di ciò che ho tentato di mettere in evidenza può diventare oggetto di un consenso per intersezione”. (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 407-9) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 245 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 1. Vita. Secondo l’approccio delle capacità, tutti gli animali hanno diritto di vivere la loro vita fino alla fine, sia che essi abbiano un tale interesse cosciente oppure no, per lo meno fino a quando il dolore o la vecchiaia non rendano desiderabile la morte. Questo diritto è meno forte quando abbiamo a che fare con gli insetti e altre forme di vita non sensibili o poco sensibili. Comunque, uccidere in modo ingiustificato tali creature è sbagliato e forse, in certi casi, la legge dovrebbe impedirlo [...] La situazione è diversa nel caso degli animali senzienti: essi hanno un diritto inviolabile dinanzi a chi li uccide in maniera ingiustificata per sport. Rientrano in questa categoria anche coloro che uccidono gli animali per ottenere capi di lusso, come le pellicce, e ciò dovrebbe essere vietato, come dovrebbero essere vietate tutte le pratiche crudeli e le uccisioni dolorose nell’allevamento degli animali per l’industria alimentare. [...] Sembra opportuno, inizialmente, concentrarsi sul divieto di tutte le forme di crudeltà nei confronti degli animali viventi e, successivamente, muoversi in maniera graduale, verso un consenso a favore del divieto di uccidere, a scopo alimentare, almeno gli animali più senzienti S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 246 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 2. Salute fisica. Uno dei diritti fondamentali degli animali è il diritto a una vita sana. Quando gli animali si trovano direttamente sotto il controllo dell’uomo, è abbastanza evidente il tipo di politica che questo controllo implica: leggi che vietano il trattamento crudele e la negligenza; [...] La sorprendente asimmetria, nella realtà pratica attuale, consiste nel fatto che gli animali allevati a scopo alimentare non sono protetti allo stesso modo degli animali domestici. Questa asimmetria dev’essere eliminata. Generalmente, gli uomini sono i guardiani degli animali con cui vivono, e le leggi che ne regolano il trattamento lecito possono essere attentamente modellate sulla base delle leggi che regolano la responsabilità dei genitori nei confronti degi figli. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 247 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 3. Integrità fisica. Secondo l’approccio basato sulle capacità, gli animali hanno diritti intrinseci (non conferiti) contro le violazioni della loro integrità fisica, dovute alla violenza, all’abuso e alle altre forme di maltrattamento, che esso risulti doloroso o meno. [...] D’altra parte, anche se ciò richiede disciplina, le forme di addestramento che consentono all’animale di manifestare le abilità che fanno parte del profilo delle sue capacità specifiche non saranno eliminate. Ancora, il fatto che il cavallo inzialmente sia infastidito dalla briglia non è negativo secondo l’approccio delle capacità, non più del fatto che i bambini a scuola si annoiano. È possibile giustificare ciò in riferimento al ruolo che l’uso della briglia assolve nel promuovere la fioriturà e le capacità adulte. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 248 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 4. Sensi, immaginazione e pensiero. Nel caso degli esseri umani questa capacità dà origine ad un’ampia gamma di diritti: diritto a un’istruzione adeguata, alla libertà di espressione rispetto sia al discorso politico sia a quello artistico, nonché alla libertà di pratica religiosa. Questa capacità include anche il diritto più generale di poter fare esperienze piacevoli e dolori inutili. Ora dovrebbe essere abbastanza chiaro dove ci conduce quest’ultimo punto nella nostra riflessione sugli animali: verso leggi rigide che regolano il trattamento severo, crudele e abusivo nei confronti degli animali e che garantiscono il loro accesso alle fonti del piacere, come il movimento libero in un ambiente che in quanto tale procura piacere ai loro sensi. Ciò significa anche vietare la caccia e la pesca sportiva, che infliggono una morte dolorosa agli animali. La parte di questa capacità relativa alla libertà non ha nessun analogo preciso con gli animali, e tuttavia è possibile trovare analoghi adeguati nel caso di ogni tipo di animale, chiedendoci quali scelte e quali ambiti di libertà sono più importanti per ciascuno. [...] Alcuni animali hanno anche diritto ad un’adeguata istruzione: la mancanza di addestramento del Border Collie rappresenta una sua violazione e lo stesso vale per molte razze di cavalli. [...] Gli animali “allo stato selvaggio” hanno diritto ad un ambiente ideale dove poter fiorire in maniera caratteristica: pertanto, tutelare questa capacità significa anche tutelare gli ambienti degli animali. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 249 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 5. Sentimenti. Allo stesso modo degli esseri umani, gli animali hanno diritto ad un’esistenza che renda possibile l’affetto, l’amore e la cura degli altri, e tali forme di affetto non devono essere alterate attraverso un isolamento forzato o incutendo terrore. [...] 6. Ragion pratica. Questo è il diritto strutturale fondamentale nel caso degli esseri umani, che pervade e informa tutti gli altri, rendendo la loro attuazione veramente umana. Non c’è un analogo preciso nel caso degli animali non umani. In ogni caso vi è necessità di chiederci fino a che punto la creatura ha la capacità di definire obiettivi e progetti e di programmare la propria vita. Questa capacità dovrebbe essere sostenuta nella misura in cui è presente, e tale sostegno richiede molte delle medesime linee politiche già suggerite dalla capacità 4: spazio in abbondanza per spostarsi e opportunità di svolgere molteplici attività. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 250 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 7. Appartenenza. In relazione agli esseri umani, questa capacità si articola in due parti: una interpersonale (la capacità di vivere con e per gli altri) e un’altra più pubblica, incentrata sulle basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati. A me sembra che entrambe le parti siano pertinenti agli animali non umani: essi hanno diritto a sviluppare gli affetti (come nella capacità 5) e a impegnarsi in forme caratteristiche di legami e di interrelazioni; hanno anche diritto alle relazioni con gli esseri umani, laddove questi ultimi partecipano al contesto, relazioni che devono essere gratificanti e basate sulla reciprocità, piuttosto che sulla tirannia. Allo stesso tempo, hanno diritto a vivere nella cultura pubblica di un mondo che li rispetta e li tratta come esseri dignitosi. Questo diritto non significa soltanto tutelare gli animali da forme di umiliazione, che avvertiranno come dolorose. L’approccio delle capacità qui si estende in modo molto più ampio dell’utilitarismo, affermando che gli animali hanno diritto a linee politiche in tutto il mondo che conferiscano loro diritti politici e legittimazione della propria dignità. A prescindere dal fatto che siano in grado di comprenderlo o meno, tale riconoscimento dà forma ad un mondo in cui gli animali sono visti e trattati in modo diverso. [...] S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 251 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 8. Altre specie.[...] Questa capacità, vista da entrambi i punti di vista, quello umano e quello animale, richiede la formazione graduale di un mondo interdipendente, dove tutte le specie godranno di relazioni sostenute in maniera cooperativa e reciproca. La natura non è strutturata in questo modo e non lo è mai stata: quindi, in modo molto generale, essa richiede che gradualmente ciò che è naturale sia sostituito con ciò che è giusto. 9. Gioco. Questa capacità è ovviamente fondamentale per la vita di tutti gli animali senzienti. Essa richiede molte di quelle linee politiche che abbiamo già discusso: la tutela di uno spazio adeguato, la luce, la stimolazione sensoriale adeguata nei luoghi vitali e, soprattutto, la presenza di membri di altre specie. S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 252 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali 10. Controllo del proprio ambiente. Nel caso degli esseri umani, questa capacità presenta due aspetti: uno politico, l’altro materiale. Quello politico viene definito in termini di cittadinanza attiva e di diritti alla partecipazione politica. Per gli animali non umani, l’importante è fare parte della concezione politica, costituita in modo tale da rispettarli e impegnata a occuparsi di loro in modo giusto. Comunque, l’importante è che gli animali abbiano diritti direttamente nell’ambito della concezione politica, anche se il tutore deve andare dinanzi al tribunale, come accade per i bambini, per difendere questi diritti. In relazione all’aspetto materiale, la forma umana della capacità include un certo tipo di protezione dei diritti al possesso di beni e al lavoro, incluso il diritto di stabilire rapporti e di scegliere rapporti e di scegliere liberamente un’occupazione. Per gli animali non umani, l’analogo del diritto alla proprietà è il rispetto verso l’integrità territoriale del loro habitat, sia domestico sia “selvaggio”. L’analogo del diritto al lavoro è il diritto degli animali impiegati nelle attività lavorative a condizioni di attività dignitose e rispettose. [...] S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 253 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali - “Il mondo in cui viviamo racchiude al suo interno conflitti continui e spesso tragici tra il benessere degli esseri umani e quello degli animali. Certi trattamenti ripugnanti degli animali possono essere eliminati senza serie perdite per il benessere umano: è il caso dell’utilizzo di animali per ricavarne pellicce e del crudele e limitato trattamento degli animali per scopi alimentari. L’utilizzo di animali per il nutrimento generalmente rappresenta un caso molto più complesso, visto che nessuno veramente può dire quanto impatto avrebbe sull’ambiente un totale passaggio ai principi vegetariani, oppure fino a che punto una dieta di questo genere potrebbe essere compatibile con la salute dei bambini di tutto il mondo. In questo caso, la miglior soluzione potrebbe essere quella di concentrarsi, inizialmente, sul buon trattamento durante la vita e sul modo di uccidere senza dolore, fissando il livello di soglia, dove, innanzitutto, esso è chiaramente compatibile con la garanzia di assicurare tutte le capacità umane, e non viola esplicitamente nessuna delle capacità fondamentali degli animali superiori, a seconda di come intendiamo il danno della morte senza dolori per i vari tipi di animali. Al giorno d’oggi persino la soglia è utopostica, ma sembra essere un’utopia realistica. [...] La più evidente area di conflitto irrisolta riguarda l’utilizzo di animali per gli scopi della ricerca. Da un lato, la ricerca che si serve degli animali è di cruciale importanza per i progressi della medicina, sia per gli esseri umani sia per gli altri animali e ci fornisce anche informazioni fondamentali su tanti altri temi, dalla depressione fino alla natura degli affetti. Tale ricerca accorcia la vita degli animali e spesso infligge loro altri tipi di danno” (M. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, pp. 420-1) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 254 M.C. Nussbaum: capacità e diritti animali “Dal punto di vista della teoria del diritto ideale, questa ricerca è moralmente sbagliata; dal punto di vista dell’implementazione attuale, non condivido l’idea di bloccare immediatamente ogni ricerca di questo tipo. Quello che sostengo é: a) domandarsi se la ricerca è veramente necessaria per promuovere una capacità più importante degli esseri umani o degli animali; b) concentrarsi sull’utilizzo di una minor quantità di animali senzienti complessi, laddove sia possibile, affinché questi animali soffrano di meno e subiscano minori danni da tale ricerca; c) migliorare le condizioni degli animali destinati alla ricerca, con riferimento sia alla cura terminale palliativa, dopo aver contratto una malattia incurabile, sia alle interazioni di supporto con gli esseri umani e con gli altri animali; d) rimuovere la violenza psicologica relativa a tanti trattamenti di animali nell’ambito della ricerca: e) scegliere i temi della ricerca in maniera attenta e rigorosa, cosicché nessun animale subisca danni per una ragione superficiale, senza avere buone possibilità di trarre un beneficio importante; f) un impegno forte e pubblicamente finanziato per sviluppare metodi innovativi (ad esempio, le simulazioni al computer) che non abbiano conseguenze negative” (M. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, p. 422) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 255 Il benessere animale 256 S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma Il “Benessere animale” Definire il benessere animale «The most generally accepted single-sentence definition of animal welfare is that of Fraser & Broom (1990), i.e. ‘the state of an animal as it attempts to cope with its environment’. The merit of this definition is that it recognises that the welfare state of an animal is the outcome of its impressions of incoming stimuli from the environment and the success or otherwise of its actions designed to accomodate these stimuli. Its limitations are many. It does not begine to define what the stimuli may be, whether they emerge from the external environment (like fear in the presence of a predator) or the internal environment (like hunger in the absence of food), or a combination of the two (like anxiety in the absence of a specific threat but awareness that the threat exist). Moreover it makes no attempt to say what constitutes good or bad welfare. In essence, it merely says that the welfare of an animal is defined by its welfare state, which is unarguable but not very helpful» (Webster 2005, p. 5) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 257 Il “Benessere animale” La nozione di benessere: etica e scienza «‘Animal welfare is not a term that arose in science to express a scientific concept. Rather it arose in society to express ethical concerns regarding the treatment of animals. The ‘welfare’ of an animal refers to its quality of life, and this involves many different elements such as health, happiness and longevity, to which different people attach different degrees of importance. However, because science plays an important role in intepreting and implementing social concerns over the quality of animal life, animal welfare was adopted as a subject of scientific research and discussion. This adoption has led to a remarkably protracted debate on how to conceptualize, in a scientific context, a concept that is fundamentally rooted in values. One problem is that scientists have often tried to ‘define’ animal welfare as if it were a purely scientific concept. However, because our conception of animal welfare involves values as well as information, a conventional definition does little more than establish the general area of discourse. To say what we mean by animal welfare requires not that we ‘define’ the term, as we might define a technical term like ‘mass’ or ‘viscosity’, but that we set out the underlying values» (Duncan & Fraser 1997, p. 20) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 258 Il “Benessere animale” La nozione di benessere: etica e scienza • Nel concetto di benessere si intrecciano aspetti descrittivi e normativi • Il benessere descrive la condizione di un animale non umano rispetto ad una serie di parametri (fisiologici, comportamentali, ecc.) • Il benessere è una condizione che è un bene per l’individuo: – L’animale desidera / preferisce / cerca la condizione di benessere – Dal punto di vista umano, la condizione di benessere dell’animale è un bene morale da promuovere e tutelare • Un’analisi completa della nozione di benessere (umano e non), quindi, non può limitarsi alla componente descrittiva ma deve includere un’analisi dei valori che sono implicati e sottesi a questa nozione S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 259 Il “Benessere animale” •Tre grandi famiglie di approcci al benessere animale (Duncan & Fraser 1997): 1.Basati sulle sensazioni 2.Basati sulle funzioni 3.Basati sulla natura S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 260 Il “Benessere animale” •L’approccio basato sulle sensazioni: – ‘Feelings-based’ approaches define animal welfare in terms of the subjective experiences of animals (feelings, emotions), and emphasize the reduction of negative feelings (suffering, pain, etc.) and/or promotion of positive ones (comfort, pleasure, etc.). Relevant research methods include measures of animals’ preferences and motivations, plus behavioral and physiological indicators of emotional states (Duncan & Fraser 1997, p. 19) •Metodi di valutazione dell’approccio basato sulle sensazioni: – Preferenze – Comportamento – Comunicazione (vocalizzazioni, ecc.) – Fisiologia / Neuro-fisiologia S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 261 Il “Benessere animale” •L’approccio basato sul funzionamento: – ‘Functionings-based’ approaches define animal welfare in terms of the normal or satisfactory biological functioning of the animal. Many relevant (and sometimes conflicting) mesures are used, based on health, longevity, reproductive success, and disturbances to behaviour and physiology.(Duncan & Fraser 1997, p. 19) •Metodi di valutazione dell’approccio basato sul funzionamento: – Patologia ed epidemiologia veterinaria – Longevità – Successo riproduttivo – «Stress» S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 262 Il “Benessere animale” •L’approccio basato sulla natura: – A third set of approaches call for animals to be raised in a manner that suite the ‘nature’ of the species or such that the animal performs its full reportoire of behaviour (Duncan & Fraser 1997, p. 19) •Metodi di valutazione dell’approccio basato sulla natura: –Confronti fra il comportamento in ambiente naturale/selvatico e il comportamento in cattività S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 263 Il “Benessere animale” •Alcune difficoltà dell’approccio basato sulle sensazioni: –I metodi di misura riescono a individuare tutte le sensazioni negative? –L’assenza di sensazioni negative basta a garantire il benessere? –Una certa dose di sensazioni negative può essere parte di uno stato di benessere? S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 264 Il “Benessere animale” • Alcune difficoltà dell’approccio basato sulle funzioni: – Un animale le cui funzioni sono tutte in regola ha necessariamente accesso a tutti i comportamenti che gli sono possibili? – Il funzionamento normale esaurisce la gamma di possibilità di una funzione? – Ci sono comportamenti essenziali per il benessere che sono poco o male rappresentati dal buon funzionamento biologico? (es. gioco) – Un migliore funzionamento è sempre corrispondente a un incremento del benessere? S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 265 Il “Benessere animale” •Alcune difficoltà dell’approccio basato sulla natura –Le condizioni naturali sono necessariamente le migliori condizioni di benessere? –L’appello alle condizioni «naturali» può essere fuorviante in condizioni non «naturali»? (es. etologia degli animali da laboratorio /in cattività) –L’appello alle condizioni naturali può oscurare la dimensione creativa / individuale del benessere? S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 266 Benessere umano e animale • I tre differenti approcci al benessere animale tendono a concentrarsi su indicatori «oggettivi» specie-specifici • Al contrario, nella riflessione su benessere / qualità della vita umana, l’attenzione si concentra soprattutto sulla dimensione individuale • La riflessione sul benessere animale può beneficiare di uno spostamento di fuoco sulla dimensione individuale? • Spesso la dimensione individuale della vita animale è dimenticata (Balcombe 2006) • Il temperamento e le caratteristiche individuali dell’animale determinano le condizioni del suo benessere, al di là dei bisogni elementari che sono speciespecifici S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 267 Psicologia folk e giudizi qualitativi sul benessere •Un modo per includere comportamenti «non standard» nell’osservazione è dato dal metodo del free choice profiling (Wemelsfelder et al 2000 & 2001) •Questo metodo implica una valutazione qualitativa piuttosto che quantitativa: The qualitative assessment of behaviour is based upon the integration by the observer of many pieces of information that in conventional quantitative approaches are recorded separately, or not recorded at all. This may include incidental behavioural events, subtle details of movement and posture, and aspects in which behaviour occurs. In summarizing such details of behaviour, qualitative assessment specifies not so much what an animal does, but how it does it, that is its dynamic style of interaction with the environment (Wemelsfelder et al 2001, p. 209) •La terminologia impiegata è necessariamente folk •La metodologia del free choice profiling: These methods consist of two phases. The first phase allows observers to generate their individual terminologies with a visual analogue scale, and subsequently in the second phase observers are instructed to use their personal terminologies as a quantitative measurement tool (Wemelsfelder et al 2001, p. 211) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 268 Dal comportamento all’agente • «…given its integrative nature, qualitative behaviour assessment reflects an integrative ‘whole-animal’ level of organization. On this level we perceive not merely a string of separate ‘behaviours’, but the unity of those behaviours, their focal point of origin, which is the ‘behaver’, the animal. This behaver does not just emerge from the sum total of observed separate behaviours; it executes these behaviours in a certain manner, and this instrumental relationship that gives the animal’s movement its expressive character […]. This principle, that animals are expressive ‘behavers’ rather than assembled strings of ‘behaviour’, is known in the wider psychological and philosophical literature as ‘agency’ (Wemelsfelder et al 2001, p. 219) • Un approccio di questo tipo, attraverso l’introduzione del concetto di agency, mette al centro della teoria del benessere l’animale come soggetto agente individuale S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 269 Il metodo delle 3R 270 S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma Il metodo delle 3R •Nel contesto della sperimentazione e ricerca di laboratorio, il metodo delle 3R rappresenta la strategia più accreditata e diffusa di minimizzare le sofferenze e promuovere il benessere degli animali nei contesti di sperimentazione. •L’origine del metodo delle 3R è il testo di W.M.S. Russell & R.L. Burch: The principles of humane experimental technique (1959, 2nd ed. 1992) •Le 3R a cui si fa riferimento sono –Replacement, –Reduction, –Refinement S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 271 Il metodo delle 3R •Replacement: –Sostituzione del modello animale con un modello alternativo (ad es. colture in vitro, simulazioni al computer, meta-analisi, ecc.) •Reduction: –Riduzione del numero di animali coinvolti nelle pratiche di ricerca e sperimentazione •Refinement: –Miglioramento delle condizioni di vita dell’animale, prima, durante e dopo la procedura sperimentale, al fine di tutelarne il benessere •L’implementazione delle strategie di Replacement, Reduction e Refinement non richiede solo un’interpretazione e una competenza «tecnica» •Queste strategie richiedono la comprensione e l’uso di concetti e argomenti che sono eticamente e filosoficamente significativi S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 272 Il metodo delle 3R •Le strategie di Replacement, ad esempio, richiedono una procedura di valutazione del rischio e una decisione «politica» •I risultati di un test in vitro per un prodotto cosmetico non sono direttamente comparabili ai risultati di un test analogo condotto su un modello animale •Le 3R possono dare luogo a conflitti tra di loro: –Ad es.: uso del «Buddy»: Reduction vs Refinement •La «R» che chiama direttamente in causa il concetto di «Benessere animale» è il Refinement S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 273 Le relazioni fra le 3R S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma Il Refinement e il benessere animale •Evoluzione della nozione di Refinement: •«Any decrease in the incidence or severity of inhumane procedures applied to those animals which still have to be used» (Russell 1957) •«Simply to reduce to an absolute minimum the amount of stress imposed on those animals that are still used» (Russel & Burch, 1959, repr. 1992) •«Any approach which avoids or minimises the actual or potential pain, distress and other adverse effects experienced at any time during the life of animals involved, and which enhances their wellbeing» (Buchanan Smith et al 2005) •Lo spazio del Refinement è più ampio di quello delle 3R: –Produzioni animali –Uso di animali in competizioni sportive –Pratica veterinaria –… S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 275 Le componenti del Refinement •I tre grandi capitoli del Refinement (Rennie & Buchanan Smith 2006a, 2006b, 2006c): 1.Influenza umana 2.Alloggio, mantenimento e acquisizione 3.Procedure S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 276 Refinement e arricchimento •Per il refinement, una delle procedure più importanti è il cosiddetto arricchimento (enrichment). •L’importanza dell’arricchimento è dato dal fatto che, aumenta i gradi di libertà comportamentamentali degli animali. •Tre grandi tipi di arricchimento: –Physical enrichment –Feeding enrichment –Social enrichment S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 277 Refinement e arricchimento •Un esempio di feeding enrichement: In nature, monkeys spend a good amount of time looking for and processing food, which also helps them to exercise their cognitive abilities. Thus feeding enrichment in captivity is important, and it only requires a relatively small investment in terms of cost and time. For example, food can be scattered on the bottom of the cage, and experimental datahave shown that, when given the choice, monkeys in captivity prefer working for their food rather than readily obtaining and consuming it. Food can be made more difficult to obtain by using feeding devices or puzzle feeders (Vitale & Manciocco 2004) S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma 278