Prosa
di Friedrich Dürrenmatt
traduzione
Luciano Codignola
con
Maria Paiato
Franco Castellani
Maurizio Donadoni
scene
Antonio Fiorentino
costumi
Andrea Viotti
musiche
Antonio Di Pofi
regia
Franco Però
coproduzione
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
e Artisti Riuniti
Comune di Pordenone
Regione Autonoma
Friuli Venezia Giulia
Provincia di Pordenone
Unica
Moderna
Diversa
comunale
giuseppeverdi.it
9, 10, 11 dicembre
Play Strindberg
Alla fine degli anni ‘60, nel tentativo poi fallito di mettere
in scena Danza di morte di Strindberg, Dürrenmatt s’inoltrò
in un’impresa temeraria: adattare il testo. Il che, riferito a lui,
significava riscriverlo. Nacque così Play Strindberg: analisi di
un matrimonio al traguardo dei venticinque anni, ma infelice
come nel primo giorno. Alice e Edgar non si nascondono la
reciproca intolleranza, si feriscono con crudeltà spaventosa.
Lei è un’attrice che per il matrimonio ha abbandonato la
carriera; lui è un militare disprezzato da tutti e in attesa di una
promozione che non arriva. La visita del cugino Kurt rende
ancora più esplosiva la situazione e la porta al limite di rottura.
Ma tutto, alla fine, rientra nella solita disperazione. Strutturato
come un incontro di pugilato in undici round, Play Strindberg
continua ad essere un testo magicamente sospeso tra
infelicità e sarcasmo. Il riso e il pugno allo stomaco, il sorriso e
l’amarezza si alternano continuamente su questo palcoscenicoring, riportando davanti agli occhi dello spettatore gli angoli
più nascosti di quel nucleo, amato od odiato, fondamentale 
almeno fino ad oggi  delle nostre società: la famiglia.
“Dürrenmatt si prende gioco di noi, della nostra vita
familiare  spiega il regista Franco Però  con tutte le
armi che gli sono proprie, il sarcasmo, l’ironia che trascolora
nel grottesco, il gusto del comico, ma anche la violenza del
linguaggio e lo fa prendendo uno dei più formidabili testi di
Strindberg e riscrivendolo dal quel grande costruttore di storie
teatrali qual è.
Tutta l’essenza del testo originale rimane, ma Dürrenmatt
ne esalta l’attualità, asciugando fin dove è possibile il
linguaggio  già di per sé scarno  come in un continuo
corpo a corpo, che solo il gong ferma per qualche istante,
dando ai contendenti il tempo di un riposo per riprendere fiato
e agli spettatori l’attimo di riflessione su quanto, nel round
precedente, hanno visto”.
Tutta un’altra stagione
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Musica
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Il tema della famiglia
Play Strindberg è il nuovo progetto
produttivo del Teatro Stabile del Friuli
Venezia Giulia. Dopo la produzione
dello schnitzleriano Scandalo, incentrato
sulle dinamiche interne a una famiglia
borghese, continua l’attenzione al tema
della famiglia, ricorrendo all’aiuto dei
grandi “analisti” del teatro del Novecento,
al loro sguardo lucido sulla realtà, alla loro
capacità di presagire e di parlare anche al
nostro tempo.
Play Strindberg nasce nel Teatro
di Basilea nel 1969, scritta dall’autore
svizzero tedesco proprio per quella
messinscena (molto applaudita) e tratta
dal capolavoro strindberghiano Danza
macabra. La pièce  si racconta 
viene creata perché Dürrenmatt, che
era parte della direzione del teatro, era
affascinato dalle possibilità interpretative
che Strindberg aveva ideato per gli attori
nel dramma originale, ma profondamente
insoddisfatto delle traduzioni e degli
adattamenti esistenti. Così affronta egli
stesso quella materia: e il risultato si rivela
molto più di un adattamento. “Un’opera
drammatica unitaria  commenta
infatti il traduttore Luciano Codignola
 serrata, densa, coerente sul piano
stilistico, perfettamente sviluppata
come costruzione e di una modernità
stupefacente. Al regista e agli interpreti
Dürrenmatt ha fornito un pezzo di
bravura, una struttura aperta dove possa
esercitarsi il virtuosismo degli interpreti
(…). Da questo testo, apparentemente
così scarno, si può trarre uno spettacolo
da togliere il fiato, qualcosa che in questi
ultimi tempi s’era avuta solo con Chi ha
paura di Virginia Woolf”.
Il mondo di Dürrenmatt
La recensione
E di questo non può stupirsi chi
conosce l’ampia e straordinaria
produzione drammaturgica di Friedrich
Dürrenmatt (da Romolo il grande a
Un angelo scende a Babilonia, da La
visita della vecchia signora a I fisici), a
cui va aggiunta la notevole attività di
scrittore di romanzi, racconti, saggi…
Fu anche, addirittura, pittore. Nato nel
1921 a Berna, e morto a Neuchâtel nel
1990, Dürrenmatt si impone come uno
dei maggiori interpreti della cultura
moderna, che tratteggia e analizza
nelle sue opere con sguardo rigoroso
e razionalmente scettico, incline al
paradosso e anche alla polemica.
L’arma del grottesco, del sarcasmo
virtuosisticamente manipolato gli
serve per smascherare con un sorriso
l’ipocrisia del suo tempo. Forte della
lezione brechtiana e dell’espressionismo,
nonché di una personale maestria
nell’uso del linguaggio e delle strutture
drammaturgiche, affascina con una
scrittura forte ed essenziale, allusiva e dal
respiro universale. «Nel rappresentare
il mondo, al quale mi sento esposto,
come un labirinto  scriveva  tento
di prenderne le distanze, di fare un
passo indietro, di guardarlo negli occhi
come un domatore guarda una bestia
feroce. E questo mondo, come io lo
percepisco, lo metto a confronto con un
mondo contrapposto ad esso, e che io
mi invento”.
Acido e grottesco, il testo di Dürrenmatt
Play Strindberg che negli anni Sessanta
trascrive la celeberrima Danza di Morte
dell’artista svizzero, barrica in una sperduta
isola di fiele uomini ed emozioni, che
la regia di Franco Però trascrive sotto
le livide luci a vista di un ring vero e
proprio, in cui mobilio stanislavskiano e
distanza brechtiana indicano da subito
gli estremi della messa in scena, tra
affondi ora psicologici ora epicizzanti. Il
decentramento drammatico  potenziato
dalla divisione del testo in dodici incontri 
insiste nel responsabilizzare lo spettatore,
scardinando costantemente possibili
empatie e favorendone il senso critico.
Accade così che spesso qualcuno sorrida,
o si schiarisca ad alta voce la gola in sala,
sottolineando compiaciuto la propria
solidarietà verso quelle figurine sottratte
ancora per un poco dall’aldilà. Altri (...)
balbettano sul fatto che non ha più senso
inscenare “la famiglia”, essendo il nostro
tempo oramai orfano di tale istituzione.
Dimenticano, forse, che il dramma cinico
e spregiudicato voluto da Però può aiutare
una società pervasa dall’apologia cinica del
consumo ed orbata dalle menzogne di un
“amore liquido” (come direbbe Baumann)
senza responsabilità perché “con data di
scadenza”, come la carne acquistata al
supermercato. Uno spettacolo, dunque,
che aiuta a ritrovare il senso della promessa.
Perché se è vero che l’amore eterno
non esiste e che neppure un contratto
matrimoniale  come ben dimostrano
Alice ed Edgard  può sopravvivere
al tempo, la forza del sentimento può
introdurre la vita eterna nella morte,
eleggendo l’accidentalità dell’incontro
amoroso a necessità esistenziale. In
un’epoca in cui “si cerca il Nuovo che
rompa l’abitudine, la noia del familiare,
l’ordinarietà anonima delle nostre vite.
Si cerca la spezia dell’innamoramento
per condire una vita senza desideri”
 come scrive lo psicoanalista
Massimo Recalcati  ritrovare il Play
Strindberg di Dürrenmatt significa
allora, forse, educarsi alla sottrazione
della coazione amorosa, inseguita
tra fasulli innamoramenti e vacui
libertinismi. Cosa resta dell’amore
alla fine della vita? Non lo sappiamo.
Alice fallisce il tradimento col cugino e
rimane imbrigliata nel ricatto del marito,
addomesticata in qualità di badante
ad asservire un coniuge ricondotto
allo stato di becera organicità.
Polverizzato l’ideale romanzesco della
fuga amorosa, smarrita ogni libertà
narcisistica, il disincanto conclusivo in
cui si annienta l’ultimo match si apre
verso la trascendenza. Esiste l’amore al
di là del corpo? Al di là del tradimento?
Al di là del volto insostituibile dell’altro?
L’esperienza di fedeltà è la massima
forma di libertà.
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Prosa
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Andrea Vecchia, ilgiornaledelfriuli.it
Prossimi appuntamenti
13 dicembre
Storytellers
Laika
di e con Ascanio Celestini
14 dicembre
Crossover
Beatriz e il fado:
musica del mondo
15 dicembre
Music Corner
I Concerti delle 18
La musica in una stanza.
Giuseppe Molinari
Musicista e compositore
Ingresso libero
Prosa
Play Strindberg