Brossura con alette
«È davvero straordinario come
in questo romanzo gli elementi reali
siano magistralmente intrecciati
in un’esemplare trama di fantasia,
una storia che chiunque, anche il lettore
più razionale, non potrà fare a meno
di seguire fino in fondo, fino
alle gelide porte degli inferi».
aftonbLadet
La stella di Strindberg
una croce. una stella.
separate per lungo tempo, insieme
costituiscono la chiave di un segreto
custodito nei secoli.
ora sono tornate alla luce.
la caccia è appena cominciata.
Jan Wallentin
Jan Wallentin è un giornalista della tv
svedese. La stella di Strindberg, il suo
primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come
il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in
corso di traduzione in venti Paesi.
Jan Wallentin
La stella di Strindberg
Romanzo
796250
In copertina:
Illustrazione di ALE+ALE
CL_La steLLa di strindberg_796250_es
Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo
di quel pallone Nils Strindberg aveva
con sé una stella e una croce di origine
sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono
finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia,
un sommozzatore scopre un corpo che
la miniera custodisce da lunghi anni,
con il suo segreto: una croce ansata che
rappresenta il simbolo egizio della vita.
Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto
gelosamente conservato da Strindberg?
Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto
di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato
da una misteriosa e potente Fondazione
segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo
porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il
vero scopo della sua spedizione.
In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una
disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura
storia dell’Europa del Ventesimo secolo,
che fonde abilmente immaginazione e
precisione realistica e unisce le virtù di
un’ingegnosa trama ricca di suspense a
quelle di un vero romanzo.
Brossura con alette
«È davvero straordinario come
in questo romanzo gli elementi reali
siano magistralmente intrecciati
in un’esemplare trama di fantasia,
una storia che chiunque, anche il lettore
più razionale, non potrà fare a meno
di seguire fino in fondo, fino
alle gelide porte degli inferi».
aftonbLadet
La stella di Strindberg
una croce. una stella.
separate per lungo tempo, insieme
costituiscono la chiave di un segreto
custodito nei secoli.
ora sono tornate alla luce.
la caccia è appena cominciata.
Jan Wallentin
Jan Wallentin è un giornalista della tv
svedese. La stella di Strindberg, il suo
primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come
il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in
corso di traduzione in venti Paesi.
Jan Wallentin
La stella di Strindberg
Romanzo
796250
In copertina:
Illustrazione di ALE+ALE
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Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo
di quel pallone Nils Strindberg aveva
con sé una stella e una croce di origine
sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono
finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia,
un sommozzatore scopre un corpo che
la miniera custodisce da lunghi anni,
con il suo segreto: una croce ansata che
rappresenta il simbolo egizio della vita.
Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto
gelosamente conservato da Strindberg?
Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto
di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato
da una misteriosa e potente Fondazione
segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo
porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il
vero scopo della sua spedizione.
In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una
disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura
storia dell’Europa del Ventesimo secolo,
che fonde abilmente immaginazione e
precisione realistica e unisce le virtù di
un’ingegnosa trama ricca di suspense a
quelle di un vero romanzo.
Brossura con alette
«È davvero straordinario come
in questo romanzo gli elementi reali
siano magistralmente intrecciati
in un’esemplare trama di fantasia,
una storia che chiunque, anche il lettore
più razionale, non potrà fare a meno
di seguire fino in fondo, fino
alle gelide porte degli inferi».
aftonbLadet
La stella di Strindberg
una croce. una stella.
separate per lungo tempo, insieme
costituiscono la chiave di un segreto
custodito nei secoli.
ora sono tornate alla luce.
la caccia è appena cominciata.
Jan Wallentin
Jan Wallentin è un giornalista della tv
svedese. La stella di Strindberg, il suo
primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come
il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in
corso di traduzione in venti Paesi.
Jan Wallentin
La stella di Strindberg
Romanzo
796250
In copertina:
Illustrazione di ALE+ALE
CL_La steLLa di strindberg_796250_es
Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo
di quel pallone Nils Strindberg aveva
con sé una stella e una croce di origine
sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono
finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia,
un sommozzatore scopre un corpo che
la miniera custodisce da lunghi anni,
con il suo segreto: una croce ansata che
rappresenta il simbolo egizio della vita.
Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto
gelosamente conservato da Strindberg?
Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto
di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato
da una misteriosa e potente Fondazione
segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo
porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il
vero scopo della sua spedizione.
In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una
disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura
storia dell’Europa del Ventesimo secolo,
che fonde abilmente immaginazione e
precisione realistica e unisce le virtù di
un’ingegnosa trama ricca di suspense a
quelle di un vero romanzo.
Brossura con alette
«È davvero straordinario come
in questo romanzo gli elementi reali
siano magistralmente intrecciati
in un’esemplare trama di fantasia,
una storia che chiunque, anche il lettore
più razionale, non potrà fare a meno
di seguire fino in fondo, fino
alle gelide porte degli inferi».
aftonbLadet
La stella di Strindberg
una croce. una stella.
separate per lungo tempo, insieme
costituiscono la chiave di un segreto
custodito nei secoli.
ora sono tornate alla luce.
la caccia è appena cominciata.
Jan Wallentin
Jan Wallentin è un giornalista della tv
svedese. La stella di Strindberg, il suo
primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come
il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in
corso di traduzione in venti Paesi.
Jan Wallentin
La stella di Strindberg
Romanzo
796250
In copertina:
Illustrazione di ALE+ALE
CL_La steLLa di strindberg_796250_es
Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo
di quel pallone Nils Strindberg aveva
con sé una stella e una croce di origine
sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono
finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia,
un sommozzatore scopre un corpo che
la miniera custodisce da lunghi anni,
con il suo segreto: una croce ansata che
rappresenta il simbolo egizio della vita.
Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto
gelosamente conservato da Strindberg?
Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto
di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato
da una misteriosa e potente Fondazione
segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo
porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il
vero scopo della sua spedizione.
In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una
disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura
storia dell’Europa del Ventesimo secolo,
che fonde abilmente immaginazione e
precisione realistica e unisce le virtù di
un’ingegnosa trama ricca di suspense a
quelle di un vero romanzo.
Niflheimr
A ogni passo gli stivali di gomma di Erik Hall sprofondavano sempre di più. Aveva le gambe indolenzite da
un pezzo, ma ormai non poteva mancare molto.
Grosso e pesante come un culturista, con tre borsoni
da sub, non c’era niente di strano che il muschio imbevuto d’acqua che copriva il terreno gli cedesse sotto i
piedi. Quello che era strano era che il buio fosse sceso
così in fretta, da quando aveva richiuso il cofano della
macchina sulla piazzola. Allora, guardando oltre la cunetta, il limitare della foresta gli era sembrato chiaro e
invitante. Adesso invece, dopo una camminata di un’ora,
una nebbia densa come latte fluttuava tra i cespugli. Ma
non si era pentito.
Quando intravide la radura oltre gli ultimi tronchi si
fermò, indeciso per un attimo. Ma poi vide i resti del
vecchio recinto, monconi mezzi marci che spuntavano come dita ammonitrici a circondare la bocca del pozzo. Attraverso i veli bianchi della foschia percorse gli ultimi metri sull’erba e si lasciò scivolare lungo il pendio che portava all’imbocco della miniera. Raggiunta la meta, spense il
navigatore gps, si liberò dei borsoni con l’attrezzatura e
stiracchiò la schiena.
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Faceva un freddo cane, proprio come il giorno precedente, quando era arrivato una prima volta fino alla miniera abbandonata. Il pesante gruppo ARA con il GAV
era ancora dove l’aveva lasciato, e anche l’odore sgradevole era lo stesso. Inspirò a fondo – probabilmente c’era
qualcosa che marciva nelle vicinanze. Forse un animale
selvatico in putrefazione, coperto di larve e vermi.
La nebbia smorzava la luce in una sorta di crepuscolo
anticipato e quando si sporse non vide granché. Ma non
appena gli occhi si abituarono riuscì a distinguere le
travi che puntellavano le pareti a partire da una profondità di circa trenta metri. Gli ricordarono dei denti radi
e anneriti nella bocca di un vecchio.
Erik fece un paio di passi indietro e inspirò con attenzione. L’odore si faceva meno intenso a mano a mano
che ci si allontanava dall’apertura.
In ogni caso, doveva essere soddisfatto di se stesso.
Addentrarsi nella foresta con quella poca luce e ritrovare
il punto esatto non era cosa da tutti. Chiunque era in
grado di usare un gps per andare da Falun a un indirizzo
di Sundborn, Sågmyra o qualsiasi altro paesino del circondario, ma arrivare esattamente a destinazione dopo più di
cinque chilometri nella foresta era tutta un’altra cosa.
La maggior parte delle miniere abbandonate, per non
dire tutte, erano accuratamente segnate sulle carte, grazie
al lavoro dei topografi dell’Istituto nazionale di geologia.
Ma quel pozzo evidentemente era sfuggito alla loro attenzione, e lui aveva portato fin lì tutto il necessario per
esplorarlo.
Mentre apriva la cerniera del primo borsone, Erik Hall
si accorse del silenzio che c’era.
Quando era arrivato si sentiva il brusio delle macchine.
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Non particolarmente forte, è ovvio, ma abbastanza per
non avere la sensazione di essere del tutto solo. Ricordava di aver ascoltato il tamburellare di un picchio e il
fruscio di qualche piccolo animale o di qualche uccello
che saltellava da un ramo all’altro, quando la foresta era
ancora piena di luce. Ma poi, dopo che era calata la
nebbia, non aveva più sentito altro che il suo respiro, o
lo scricchiolio dei rami che si spezzavano mentre si faceva strada tra i cespugli.
E adesso, niente.
O forse sì, invece: un fievole ronzio, alcune mosche
che iniziavano a girargli attorno per vedere se c’era qualcosa da mangiare. Ma nel primo borsone c’erano solo
verricelli, cavi, moschettoni, spit, il coltello in titanio a
doppio taglio con un lato concavo e uno seghettato, un
trapano a batteria, un’imbragatura e la lampada che
avrebbe fissato al polso destro.
Dopo aver rovesciato tutto sull’erba ingiallita, Erik
aprì la tasca laterale del borsone, dove conservava la
custodia rigida con gli strumenti di precisione finlandesi.
Tirò fuori un profondimetro, per controllare quanto sarebbe sceso sotto la superficie dell’acqua nel pozzo allagato, e un clinometro, per controllare l’inclinazione delle gallerie una volta che fosse tornato all’asciutto.
Le mosche erano sempre di più, e gli volteggiavano
attorno come una nube di polvere. Allontanò irritato gli
insetti mentre tirava fuori dal secondo borsone gli erogatori e i lunghi tubi che l’avrebbero mantenuto in vita.
Montò il primo stadio e controllò la pressione delle bombole. Poi fece qualche passo indietro, ma le mosche lo
seguirono.
Si tolse gli stivali di gomma verde, i pantaloni mimetici e la giacca a vento. Con gli insetti che gli cammina-
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vano sul viso e sul collo, aprì la cerniera dell’ultimo
borsone. Sotto il computer da immersione e la lampada
frontale c’erano la voluminosa sottomuta e la pelle gommosa della tuta da sub: sette millimetri di trilaminato
nero e lucido, sviluppato appositamente per le immersioni fino a quattro gradi di temperatura.
Dopo aver indossato la parte inferiore della muta, si
piegò in avanti e calzò a fatica le scarpette di gomma
rinforzata. Tornato in posizione eretta con una smorfia,
infilò prima il braccio destro e poi il sinistro nelle maniche
di lattice. Si aggiustò la muta, e per ultimo si infilò il
cappuccio coprente di neoprene. Adesso le mosche avevano accesso solo agli occhi e a una parte delle guance.
Prese la sacca che conteneva le pinne e la maschera.
Quando si affacciò alla bocca del pozzo l’acre fetore di
uova marce gli fece quasi cambiare idea, ma poi fissò la
sacca a un cavo di nylon e iniziò a calarla. Quaranta,
cinquanta metri – per il momento riusciva ancora a seguirne la discesa sobbalzante –, e il cavo continuava a
filare. Solo dopo qualche minuto la sacca raggiunse la
superficie dell’acqua.
Assicurò il cavo facendogli fare un paio di giri attorno a un masso e andò a prendere l’attrezzatura da arrampicata e i moschettoni. Una volta tornato al pozzo,
si mise goffamente in ginocchio. Lo stridulo ululato del
trapano ruppe finalmente il silenzio, e ben presto poté
fissare il primo spit. Lo provò con uno strattone: avrebbe tenuto. Poi di nuovo l’ululato del trapano per il secondo fissaggio.
Quando ebbe finito si mise in spalla i cinquanta chili
del gruppo ARA con bombole, GAV e tubi. Aveva le
gambe forti per le tante ore di allenamento, eppure il
peso lo fece barcollare. Alla fine allacciò l’imbragatura e
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provò un paio di volte il discensore autobloccante che
gli avrebbe permesso di regolare la velocità di discesa.
Poi Erik Hall si lanciò oltre il bordo del pozzo, accompagnato dal sibilo del discensore.
In internet si potevano trovare immagini sfuocate di
urban explorer che a Los Angeles si inoltravano carponi
per chilometri e chilometri in claustrofobici sistemi fognari, o di italiani che strisciavano tra topi e rifiuti in
antiche catacombe, o di russi impegnati in spedizioni
in prigioni dimenticate dell’era sovietica a centinaia di
metri sottoterra. Dalla Svezia arrivavano brevi filmati
di miniere abbandonate, con sub che nuotavano in acque
nere come la pece, avanzando in tunnel che sembravano
non avere mai fine.
C’era il gruppo che si faceva chiamare Baggbodykarna,
attivo nella zona di Borlänge. Poi c’erano i Gruf di
Gävle, i Wärmland Underground di Karlstad e alcuni
gruppi a Bergslagen e Umeå. E poi c’erano quelli come
Erik Hall, che preferivano immergersi da soli. Non era
una cosa raccomandabile, ma lo facevano ugualmente.
Dato che si scambiavano suggerimenti sulle attrezzature e sui pozzi che valeva la pena esplorare, tutti gli
speleosub svedesi si conoscevano tra loro. Un anno dopo
l’altro, erano sempre le stesse persone a praticare quell’attività. O meglio, gli stessi uomini, perché erano tutti
maschi.
Fino a circa un mese prima, quando un gruppo di
ragazze aveva cominciato a mettere in rete alcune immagini di loro immersioni in miniera. Si facevano chiamare
Dykedivers. Nessuno sembrava sapere da dove arrivassero o chi fossero, e loro non rispondevano a nessuna
domanda. O almeno non a quelle di Erik Hall.
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All’inizio nel sito delle ragazze c’era solo qualche foto
sgranata. Poi erano arrivati filmati di immersioni avanzate e il giorno prima, all’improvviso, era comparsa la foto
di un pozzo minerario nel Dalarna.
L’immagine mostrava due donne in muta da sub in
un’angusta galleria sotterranea: guance pallide, bocche
rosso sangue, capelli neri sciolti. Alle loro spalle avevano
scritto con una bomboletta spray blu: 2 SETTEMBRE
- PROFONDITÀ 166 METRI.
Sotto la foto, le ragazze davano alcune coordinate gps
che corrispondevano a un punto vicino alla miniera di
rame di Falun, a pochi chilometri dalla casa di campagna
di Erik Hall.
Pozzo allagato del diciottesimo secolo, trovato sulla mappa /kopparberget1786.jpg/ per gentile concessione
dell’Archivio provinciale di Falun. Dopo i rottami si
aprono alcune gallerie, per chi riesce a superarli.
NO COUNTRY FOR OLD MEN ;)
Il discensore autobloccante lo calava dolcemente nel
pozzo.
Attorno all’apertura volteggiavano ancora nubi di mosche, ma lì sotto al buio Erik era solo. Respirava con la
bocca per non sentire l’odore di zolfo. Guardandosi attorno, gli sembrava di sprofondare in un altro secolo:
gradini metallici arrugginiti, pozzi ciechi mezzi crollati,
segni di picconate. Fece leva con i piedi contro la parete e superò dondolando dei ganci contorti e delle catene
arrugginite. Alla luce oscillante della lampada frontale
vide alcuni numeri che segnavano la profondità in braccia e piedi.
Quando ci si cala da soli in una miniera, non c’è spa-
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zio per il minimo errore. Erik cercava di convincersi che
quella non poteva presentare particolari difficoltà, non
era altro che una galleria verticale con dei puntelli polverosi che resistevano da secoli alla pressione della roccia. Ma le vecchie miniere non erano mai del tutto sicure. Quella che sembrava una fessura insignificante poteva proseguire fino a trasformarsi in una frattura importante in profondità. E se la parete cedeva, un blocco da
una tonnellata poteva staccarsi come niente e rovinargli
addosso.
Quanto mancava ancora?
Erik spezzò un lightstick e lo lasciò cadere. Il bastoncino luminescente sparì nel buio, ma poi, molto prima
di quanto avesse osato sperare, si sentì un leggero tonfo:
il bastoncino emetteva la sua luce verdastra dondolando
sull’acqua nera in fondo al pozzo. L’altimetro che aveva
al polso indicava che era già sceso per una settantina di
metri, e il freddo aumentava sempre più. La parete davanti a lui era coperta di brina, e il lightstick successivo
atterrò su una chiazza di ghiaccio.
Poi notò una piccola cengia che sporgeva appena sopra
il livello dell’acqua. Era a una decina di metri alla sua
destra, perciò fu costretto a dondolarsi delicatamente di
lato. Una volta atterrato sulla sporgenza, iniziò a recuperare il cavo legato alla sacca che galleggiava da qualche
parte sotto di lui. Era inaspettatamente pesante, e tendeva a impigliarsi nelle lastre di ghiaccio.
Era arrivato il momento di fare la cosa più importante. Tirò fuori una bomboletta spray rossa dalla tasca
sulla gamba della muta e con gesti rapidi tracciò una
grossa E e una grossa H sulla parete. Sotto le due iniziali aggiunse: 7 SETTEMBRE - PROFONDITÀ 91
METRI. Poi tirò fuori la macchina fotografica subacquea,
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la puntò verso di sé tenendo il braccio teso e scattò un
paio di foto. Guardò lo schermo: la firma era ben visibile sulla parete rocciosa dietro la sagoma della sua testa.
Voleva davvero mettersi in contatto con quelle ragazze.
Tolse il cappuccio e passò una mano tra i capelli ricci;
un altro paio di scatti, poi osservò il risultato sul display.
Forse la sua chioma iniziava leggermente a diradarsi, ma
quasi non lo si notava. E le occhiaie scure davano al
viso un’espressione più drammatica, secondo lui.
Tornò ad accovacciarsi, al freddo, nel fetore. Cercò di
non pensare che nessuno sapeva che era lì, e che nessuno si sarebbe accorto della sua mancanza se fosse affogato o si fosse perso nelle gallerie sotterranee.
Le Dykedivers avevano lasciato degli spit a cui poteva
fissare la sagola di sicurezza prima di immergersi. Una
volta agganciato il cavo, infilò le pinne sopra le scarpette
di gomma, indossò la maschera, si mise in bocca l’erogatore e fece un respiro di prova. Prima ancora di buttar
fuori l’aria, aveva già allungato un piede oltre il bordo
della cengia. Il rotolo di sagola che teneva in una mano
si svolse rapidamente e il robusto cavo di nylon fendette
parecchi strati di ghiaccio seguendo il suo corpo che affondava.
Sott’acqua le pareti scure assorbivano gran parte della
luce della lampada frontale, ma la visuale era relativamente buona e il fascio luminoso arrivava abbastanza
lontano.
A una certa distanza, qualcosa mandò un riflesso metallico. Erik puntò i piedi contro la parete del pozzo e
si lanciò, seguito dalla sagola di sicurezza che serpeggiava come una lunga coda.
Illuminò il fondo con la lampada fissata al polso de-
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stro. Sul pavimento del pozzo si ergeva una cisterna di
rame alta almeno due metri. C’era anche qualcos’altro,
dei triangoli affilati: una vecchia sega circolare.
Erik afferrò la lama e diede uno strattone; il mozzo
arrugginito si spezzò e il disco della sega cadde ruotando
silenziosamente su se stesso, per poi affondare in uno
strato di fanghiglia brunastra. Allungando una mano
guantata rovesciò alcune barre oblunghe, e l’acqua si
fece torbida. Quando recuperò la visuale notò i resti dei
carrelli usati per trasportare il minerale.
Mosse le pinne con cautela e fluttuò leggero sopra una
carriola. Scattò alcune foto, riprendendo gli arnesi di
ferro abbandonati tanti anni prima. Attrezzi di precisione, mazzuoli, scalpelli, un’ascia. Vide alcune vecchie
pompe a staffa, e ancora più lontano qualcosa che sembrava una rotaia.
Scese ancora, atterrando accanto alle rotaie a scartamento ridotto. Guardò il profondimetro: ventun metri
sotto la superficie. Anche tenendo conto della risalita
lenta per evitare embolie, aveva ancora aria in abbondanza. Nuotò lentamente lungo il binario che si allontanava dal centro del pozzo. Alle sue spalle le bolle crepitavano, dandogli la sensazione di incunearsi in uno spazio sempre più stretto. Allargò cautamente le punte
delle pinne per ridurre la velocità. Fu allora che scorse
l’apertura di una galleria armata, segnalata da un pezzo
di tessuto giallo fissato a un gancio.
Erik avanzò ancora di qualche metro e lo illuminò con
la lampada frontale. Non era un pezzo di tessuto, ma
una strisciolina da sette millimetri di neoprene giallo
fatto apposta per essere ben visibile sott’acqua. Le ragazze dovevano aver tagliato a pezzi una vecchia muta
per marcare il percorso.
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