Brossura con alette «È davvero straordinario come in questo romanzo gli elementi reali siano magistralmente intrecciati in un’esemplare trama di fantasia, una storia che chiunque, anche il lettore più razionale, non potrà fare a meno di seguire fino in fondo, fino alle gelide porte degli inferi». aftonbLadet La stella di Strindberg una croce. una stella. separate per lungo tempo, insieme costituiscono la chiave di un segreto custodito nei secoli. ora sono tornate alla luce. la caccia è appena cominciata. Jan Wallentin Jan Wallentin è un giornalista della tv svedese. La stella di Strindberg, il suo primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in corso di traduzione in venti Paesi. Jan Wallentin La stella di Strindberg Romanzo 796250 In copertina: Illustrazione di ALE+ALE CL_La steLLa di strindberg_796250_es Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo di quel pallone Nils Strindberg aveva con sé una stella e una croce di origine sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia, un sommozzatore scopre un corpo che la miniera custodisce da lunghi anni, con il suo segreto: una croce ansata che rappresenta il simbolo egizio della vita. Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto gelosamente conservato da Strindberg? Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato da una misteriosa e potente Fondazione segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il vero scopo della sua spedizione. In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura storia dell’Europa del Ventesimo secolo, che fonde abilmente immaginazione e precisione realistica e unisce le virtù di un’ingegnosa trama ricca di suspense a quelle di un vero romanzo. Brossura con alette «È davvero straordinario come in questo romanzo gli elementi reali siano magistralmente intrecciati in un’esemplare trama di fantasia, una storia che chiunque, anche il lettore più razionale, non potrà fare a meno di seguire fino in fondo, fino alle gelide porte degli inferi». aftonbLadet La stella di Strindberg una croce. una stella. separate per lungo tempo, insieme costituiscono la chiave di un segreto custodito nei secoli. ora sono tornate alla luce. la caccia è appena cominciata. Jan Wallentin Jan Wallentin è un giornalista della tv svedese. La stella di Strindberg, il suo primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in corso di traduzione in venti Paesi. Jan Wallentin La stella di Strindberg Romanzo 796250 In copertina: Illustrazione di ALE+ALE CL_La steLLa di strindberg_796250_es Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo di quel pallone Nils Strindberg aveva con sé una stella e una croce di origine sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia, un sommozzatore scopre un corpo che la miniera custodisce da lunghi anni, con il suo segreto: una croce ansata che rappresenta il simbolo egizio della vita. Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto gelosamente conservato da Strindberg? Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato da una misteriosa e potente Fondazione segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il vero scopo della sua spedizione. In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura storia dell’Europa del Ventesimo secolo, che fonde abilmente immaginazione e precisione realistica e unisce le virtù di un’ingegnosa trama ricca di suspense a quelle di un vero romanzo. Brossura con alette «È davvero straordinario come in questo romanzo gli elementi reali siano magistralmente intrecciati in un’esemplare trama di fantasia, una storia che chiunque, anche il lettore più razionale, non potrà fare a meno di seguire fino in fondo, fino alle gelide porte degli inferi». aftonbLadet La stella di Strindberg una croce. una stella. separate per lungo tempo, insieme costituiscono la chiave di un segreto custodito nei secoli. ora sono tornate alla luce. la caccia è appena cominciata. Jan Wallentin Jan Wallentin è un giornalista della tv svedese. La stella di Strindberg, il suo primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in corso di traduzione in venti Paesi. Jan Wallentin La stella di Strindberg Romanzo 796250 In copertina: Illustrazione di ALE+ALE CL_La steLLa di strindberg_796250_es Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo di quel pallone Nils Strindberg aveva con sé una stella e una croce di origine sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia, un sommozzatore scopre un corpo che la miniera custodisce da lunghi anni, con il suo segreto: una croce ansata che rappresenta il simbolo egizio della vita. Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto gelosamente conservato da Strindberg? Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato da una misteriosa e potente Fondazione segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il vero scopo della sua spedizione. In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura storia dell’Europa del Ventesimo secolo, che fonde abilmente immaginazione e precisione realistica e unisce le virtù di un’ingegnosa trama ricca di suspense a quelle di un vero romanzo. Brossura con alette «È davvero straordinario come in questo romanzo gli elementi reali siano magistralmente intrecciati in un’esemplare trama di fantasia, una storia che chiunque, anche il lettore più razionale, non potrà fare a meno di seguire fino in fondo, fino alle gelide porte degli inferi». aftonbLadet La stella di Strindberg una croce. una stella. separate per lungo tempo, insieme costituiscono la chiave di un segreto custodito nei secoli. ora sono tornate alla luce. la caccia è appena cominciata. Jan Wallentin Jan Wallentin è un giornalista della tv svedese. La stella di Strindberg, il suo primo romanzo per cui è stato paragonato a Dan Brown, si annuncia come il nuovo caso editoriale dalla Svezia, in corso di traduzione in venti Paesi. Jan Wallentin La stella di Strindberg Romanzo 796250 In copertina: Illustrazione di ALE+ALE CL_La steLLa di strindberg_796250_es Le distese dell’Artico alla fine dell’Ottocento. Tre esploratori svedesi scompaiono dopo un avventuroso viaggio in pallone. Sono in pochi a sapere che a bordo di quel pallone Nils Strindberg aveva con sé una stella e una croce di origine sconosciuta. Ma nessuno sa dove sono finite. Più di cento anni dopo, immergendosi in una vecchia galleria mineraria di una remota regione della Svezia, un sommozzatore scopre un corpo che la miniera custodisce da lunghi anni, con il suo segreto: una croce ansata che rappresenta il simbolo egizio della vita. Potrebbe trattarsi dello stesso oggetto gelosamente conservato da Strindberg? Ma dove si nasconde la stella? Don Titelman, uno storico eccentrico esperto di miti e simboli religiosi, viene coinvolto e trascinato suo malgrado nella ricerca dell’altra metà della chiave: braccato da una misteriosa e potente Fondazione segreta, Titelman fugge attraverso l’Europa inseguendo l’antico mistero che lo porterà a ripercorrere le tracce di Strindberg tra i ghiacci del Polo e a scoprire il vero scopo della sua spedizione. In parte thriller, in parte romanzo d’avventura, La stella di Strindberg è una disperata caccia alla conoscenza, un racconto fantastico attraversato dall’oscura storia dell’Europa del Ventesimo secolo, che fonde abilmente immaginazione e precisione realistica e unisce le virtù di un’ingegnosa trama ricca di suspense a quelle di un vero romanzo. Niflheimr A ogni passo gli stivali di gomma di Erik Hall sprofondavano sempre di più. Aveva le gambe indolenzite da un pezzo, ma ormai non poteva mancare molto. Grosso e pesante come un culturista, con tre borsoni da sub, non c’era niente di strano che il muschio imbevuto d’acqua che copriva il terreno gli cedesse sotto i piedi. Quello che era strano era che il buio fosse sceso così in fretta, da quando aveva richiuso il cofano della macchina sulla piazzola. Allora, guardando oltre la cunetta, il limitare della foresta gli era sembrato chiaro e invitante. Adesso invece, dopo una camminata di un’ora, una nebbia densa come latte fluttuava tra i cespugli. Ma non si era pentito. Quando intravide la radura oltre gli ultimi tronchi si fermò, indeciso per un attimo. Ma poi vide i resti del vecchio recinto, monconi mezzi marci che spuntavano come dita ammonitrici a circondare la bocca del pozzo. Attraverso i veli bianchi della foschia percorse gli ultimi metri sull’erba e si lasciò scivolare lungo il pendio che portava all’imbocco della miniera. Raggiunta la meta, spense il navigatore gps, si liberò dei borsoni con l’attrezzatura e stiracchiò la schiena. 17 0030.testo.indd 17 16/12/10 09.51 Faceva un freddo cane, proprio come il giorno precedente, quando era arrivato una prima volta fino alla miniera abbandonata. Il pesante gruppo ARA con il GAV era ancora dove l’aveva lasciato, e anche l’odore sgradevole era lo stesso. Inspirò a fondo – probabilmente c’era qualcosa che marciva nelle vicinanze. Forse un animale selvatico in putrefazione, coperto di larve e vermi. La nebbia smorzava la luce in una sorta di crepuscolo anticipato e quando si sporse non vide granché. Ma non appena gli occhi si abituarono riuscì a distinguere le travi che puntellavano le pareti a partire da una profondità di circa trenta metri. Gli ricordarono dei denti radi e anneriti nella bocca di un vecchio. Erik fece un paio di passi indietro e inspirò con attenzione. L’odore si faceva meno intenso a mano a mano che ci si allontanava dall’apertura. In ogni caso, doveva essere soddisfatto di se stesso. Addentrarsi nella foresta con quella poca luce e ritrovare il punto esatto non era cosa da tutti. Chiunque era in grado di usare un gps per andare da Falun a un indirizzo di Sundborn, Sågmyra o qualsiasi altro paesino del circondario, ma arrivare esattamente a destinazione dopo più di cinque chilometri nella foresta era tutta un’altra cosa. La maggior parte delle miniere abbandonate, per non dire tutte, erano accuratamente segnate sulle carte, grazie al lavoro dei topografi dell’Istituto nazionale di geologia. Ma quel pozzo evidentemente era sfuggito alla loro attenzione, e lui aveva portato fin lì tutto il necessario per esplorarlo. Mentre apriva la cerniera del primo borsone, Erik Hall si accorse del silenzio che c’era. Quando era arrivato si sentiva il brusio delle macchine. 18 0030.testo.indd 18 16/12/10 09.51 Non particolarmente forte, è ovvio, ma abbastanza per non avere la sensazione di essere del tutto solo. Ricordava di aver ascoltato il tamburellare di un picchio e il fruscio di qualche piccolo animale o di qualche uccello che saltellava da un ramo all’altro, quando la foresta era ancora piena di luce. Ma poi, dopo che era calata la nebbia, non aveva più sentito altro che il suo respiro, o lo scricchiolio dei rami che si spezzavano mentre si faceva strada tra i cespugli. E adesso, niente. O forse sì, invece: un fievole ronzio, alcune mosche che iniziavano a girargli attorno per vedere se c’era qualcosa da mangiare. Ma nel primo borsone c’erano solo verricelli, cavi, moschettoni, spit, il coltello in titanio a doppio taglio con un lato concavo e uno seghettato, un trapano a batteria, un’imbragatura e la lampada che avrebbe fissato al polso destro. Dopo aver rovesciato tutto sull’erba ingiallita, Erik aprì la tasca laterale del borsone, dove conservava la custodia rigida con gli strumenti di precisione finlandesi. Tirò fuori un profondimetro, per controllare quanto sarebbe sceso sotto la superficie dell’acqua nel pozzo allagato, e un clinometro, per controllare l’inclinazione delle gallerie una volta che fosse tornato all’asciutto. Le mosche erano sempre di più, e gli volteggiavano attorno come una nube di polvere. Allontanò irritato gli insetti mentre tirava fuori dal secondo borsone gli erogatori e i lunghi tubi che l’avrebbero mantenuto in vita. Montò il primo stadio e controllò la pressione delle bombole. Poi fece qualche passo indietro, ma le mosche lo seguirono. Si tolse gli stivali di gomma verde, i pantaloni mimetici e la giacca a vento. Con gli insetti che gli cammina- 19 0030.testo.indd 19 16/12/10 09.51 vano sul viso e sul collo, aprì la cerniera dell’ultimo borsone. Sotto il computer da immersione e la lampada frontale c’erano la voluminosa sottomuta e la pelle gommosa della tuta da sub: sette millimetri di trilaminato nero e lucido, sviluppato appositamente per le immersioni fino a quattro gradi di temperatura. Dopo aver indossato la parte inferiore della muta, si piegò in avanti e calzò a fatica le scarpette di gomma rinforzata. Tornato in posizione eretta con una smorfia, infilò prima il braccio destro e poi il sinistro nelle maniche di lattice. Si aggiustò la muta, e per ultimo si infilò il cappuccio coprente di neoprene. Adesso le mosche avevano accesso solo agli occhi e a una parte delle guance. Prese la sacca che conteneva le pinne e la maschera. Quando si affacciò alla bocca del pozzo l’acre fetore di uova marce gli fece quasi cambiare idea, ma poi fissò la sacca a un cavo di nylon e iniziò a calarla. Quaranta, cinquanta metri – per il momento riusciva ancora a seguirne la discesa sobbalzante –, e il cavo continuava a filare. Solo dopo qualche minuto la sacca raggiunse la superficie dell’acqua. Assicurò il cavo facendogli fare un paio di giri attorno a un masso e andò a prendere l’attrezzatura da arrampicata e i moschettoni. Una volta tornato al pozzo, si mise goffamente in ginocchio. Lo stridulo ululato del trapano ruppe finalmente il silenzio, e ben presto poté fissare il primo spit. Lo provò con uno strattone: avrebbe tenuto. Poi di nuovo l’ululato del trapano per il secondo fissaggio. Quando ebbe finito si mise in spalla i cinquanta chili del gruppo ARA con bombole, GAV e tubi. Aveva le gambe forti per le tante ore di allenamento, eppure il peso lo fece barcollare. Alla fine allacciò l’imbragatura e 20 0030.testo.indd 20 16/12/10 09.51 provò un paio di volte il discensore autobloccante che gli avrebbe permesso di regolare la velocità di discesa. Poi Erik Hall si lanciò oltre il bordo del pozzo, accompagnato dal sibilo del discensore. In internet si potevano trovare immagini sfuocate di urban explorer che a Los Angeles si inoltravano carponi per chilometri e chilometri in claustrofobici sistemi fognari, o di italiani che strisciavano tra topi e rifiuti in antiche catacombe, o di russi impegnati in spedizioni in prigioni dimenticate dell’era sovietica a centinaia di metri sottoterra. Dalla Svezia arrivavano brevi filmati di miniere abbandonate, con sub che nuotavano in acque nere come la pece, avanzando in tunnel che sembravano non avere mai fine. C’era il gruppo che si faceva chiamare Baggbodykarna, attivo nella zona di Borlänge. Poi c’erano i Gruf di Gävle, i Wärmland Underground di Karlstad e alcuni gruppi a Bergslagen e Umeå. E poi c’erano quelli come Erik Hall, che preferivano immergersi da soli. Non era una cosa raccomandabile, ma lo facevano ugualmente. Dato che si scambiavano suggerimenti sulle attrezzature e sui pozzi che valeva la pena esplorare, tutti gli speleosub svedesi si conoscevano tra loro. Un anno dopo l’altro, erano sempre le stesse persone a praticare quell’attività. O meglio, gli stessi uomini, perché erano tutti maschi. Fino a circa un mese prima, quando un gruppo di ragazze aveva cominciato a mettere in rete alcune immagini di loro immersioni in miniera. Si facevano chiamare Dykedivers. Nessuno sembrava sapere da dove arrivassero o chi fossero, e loro non rispondevano a nessuna domanda. O almeno non a quelle di Erik Hall. 21 0030.testo.indd 21 16/12/10 09.51 All’inizio nel sito delle ragazze c’era solo qualche foto sgranata. Poi erano arrivati filmati di immersioni avanzate e il giorno prima, all’improvviso, era comparsa la foto di un pozzo minerario nel Dalarna. L’immagine mostrava due donne in muta da sub in un’angusta galleria sotterranea: guance pallide, bocche rosso sangue, capelli neri sciolti. Alle loro spalle avevano scritto con una bomboletta spray blu: 2 SETTEMBRE - PROFONDITÀ 166 METRI. Sotto la foto, le ragazze davano alcune coordinate gps che corrispondevano a un punto vicino alla miniera di rame di Falun, a pochi chilometri dalla casa di campagna di Erik Hall. Pozzo allagato del diciottesimo secolo, trovato sulla mappa /kopparberget1786.jpg/ per gentile concessione dell’Archivio provinciale di Falun. Dopo i rottami si aprono alcune gallerie, per chi riesce a superarli. NO COUNTRY FOR OLD MEN ;) Il discensore autobloccante lo calava dolcemente nel pozzo. Attorno all’apertura volteggiavano ancora nubi di mosche, ma lì sotto al buio Erik era solo. Respirava con la bocca per non sentire l’odore di zolfo. Guardandosi attorno, gli sembrava di sprofondare in un altro secolo: gradini metallici arrugginiti, pozzi ciechi mezzi crollati, segni di picconate. Fece leva con i piedi contro la parete e superò dondolando dei ganci contorti e delle catene arrugginite. Alla luce oscillante della lampada frontale vide alcuni numeri che segnavano la profondità in braccia e piedi. Quando ci si cala da soli in una miniera, non c’è spa- 22 0030.testo.indd 22 16/12/10 09.51 zio per il minimo errore. Erik cercava di convincersi che quella non poteva presentare particolari difficoltà, non era altro che una galleria verticale con dei puntelli polverosi che resistevano da secoli alla pressione della roccia. Ma le vecchie miniere non erano mai del tutto sicure. Quella che sembrava una fessura insignificante poteva proseguire fino a trasformarsi in una frattura importante in profondità. E se la parete cedeva, un blocco da una tonnellata poteva staccarsi come niente e rovinargli addosso. Quanto mancava ancora? Erik spezzò un lightstick e lo lasciò cadere. Il bastoncino luminescente sparì nel buio, ma poi, molto prima di quanto avesse osato sperare, si sentì un leggero tonfo: il bastoncino emetteva la sua luce verdastra dondolando sull’acqua nera in fondo al pozzo. L’altimetro che aveva al polso indicava che era già sceso per una settantina di metri, e il freddo aumentava sempre più. La parete davanti a lui era coperta di brina, e il lightstick successivo atterrò su una chiazza di ghiaccio. Poi notò una piccola cengia che sporgeva appena sopra il livello dell’acqua. Era a una decina di metri alla sua destra, perciò fu costretto a dondolarsi delicatamente di lato. Una volta atterrato sulla sporgenza, iniziò a recuperare il cavo legato alla sacca che galleggiava da qualche parte sotto di lui. Era inaspettatamente pesante, e tendeva a impigliarsi nelle lastre di ghiaccio. Era arrivato il momento di fare la cosa più importante. Tirò fuori una bomboletta spray rossa dalla tasca sulla gamba della muta e con gesti rapidi tracciò una grossa E e una grossa H sulla parete. Sotto le due iniziali aggiunse: 7 SETTEMBRE - PROFONDITÀ 91 METRI. Poi tirò fuori la macchina fotografica subacquea, 23 0030.testo.indd 23 16/12/10 09.51 la puntò verso di sé tenendo il braccio teso e scattò un paio di foto. Guardò lo schermo: la firma era ben visibile sulla parete rocciosa dietro la sagoma della sua testa. Voleva davvero mettersi in contatto con quelle ragazze. Tolse il cappuccio e passò una mano tra i capelli ricci; un altro paio di scatti, poi osservò il risultato sul display. Forse la sua chioma iniziava leggermente a diradarsi, ma quasi non lo si notava. E le occhiaie scure davano al viso un’espressione più drammatica, secondo lui. Tornò ad accovacciarsi, al freddo, nel fetore. Cercò di non pensare che nessuno sapeva che era lì, e che nessuno si sarebbe accorto della sua mancanza se fosse affogato o si fosse perso nelle gallerie sotterranee. Le Dykedivers avevano lasciato degli spit a cui poteva fissare la sagola di sicurezza prima di immergersi. Una volta agganciato il cavo, infilò le pinne sopra le scarpette di gomma, indossò la maschera, si mise in bocca l’erogatore e fece un respiro di prova. Prima ancora di buttar fuori l’aria, aveva già allungato un piede oltre il bordo della cengia. Il rotolo di sagola che teneva in una mano si svolse rapidamente e il robusto cavo di nylon fendette parecchi strati di ghiaccio seguendo il suo corpo che affondava. Sott’acqua le pareti scure assorbivano gran parte della luce della lampada frontale, ma la visuale era relativamente buona e il fascio luminoso arrivava abbastanza lontano. A una certa distanza, qualcosa mandò un riflesso metallico. Erik puntò i piedi contro la parete del pozzo e si lanciò, seguito dalla sagola di sicurezza che serpeggiava come una lunga coda. Illuminò il fondo con la lampada fissata al polso de- 24 0030.testo.indd 24 16/12/10 09.51 stro. Sul pavimento del pozzo si ergeva una cisterna di rame alta almeno due metri. C’era anche qualcos’altro, dei triangoli affilati: una vecchia sega circolare. Erik afferrò la lama e diede uno strattone; il mozzo arrugginito si spezzò e il disco della sega cadde ruotando silenziosamente su se stesso, per poi affondare in uno strato di fanghiglia brunastra. Allungando una mano guantata rovesciò alcune barre oblunghe, e l’acqua si fece torbida. Quando recuperò la visuale notò i resti dei carrelli usati per trasportare il minerale. Mosse le pinne con cautela e fluttuò leggero sopra una carriola. Scattò alcune foto, riprendendo gli arnesi di ferro abbandonati tanti anni prima. Attrezzi di precisione, mazzuoli, scalpelli, un’ascia. Vide alcune vecchie pompe a staffa, e ancora più lontano qualcosa che sembrava una rotaia. Scese ancora, atterrando accanto alle rotaie a scartamento ridotto. Guardò il profondimetro: ventun metri sotto la superficie. Anche tenendo conto della risalita lenta per evitare embolie, aveva ancora aria in abbondanza. Nuotò lentamente lungo il binario che si allontanava dal centro del pozzo. Alle sue spalle le bolle crepitavano, dandogli la sensazione di incunearsi in uno spazio sempre più stretto. Allargò cautamente le punte delle pinne per ridurre la velocità. Fu allora che scorse l’apertura di una galleria armata, segnalata da un pezzo di tessuto giallo fissato a un gancio. Erik avanzò ancora di qualche metro e lo illuminò con la lampada frontale. Non era un pezzo di tessuto, ma una strisciolina da sette millimetri di neoprene giallo fatto apposta per essere ben visibile sott’acqua. Le ragazze dovevano aver tagliato a pezzi una vecchia muta per marcare il percorso. 25 0030.testo.indd 25 16/12/10 09.51