Che cos’è filosofia. La filosofia è sempre stata un certo commercio con il mondo, che se ne fa un’idea in generale come scienza dei primi principi - ontologici o creaturali dell’essere in quanto essere e in totalità; e questo mondo come essere che è vita, physis, cerca di abitarlo nel sapere, scienza ed etica, a vantaggio dell’anthropos, l’animal rationale, che vi emerge, e di esso mondo si sostanzia, mentre lo tematizza, lo intenziona, cioè insieme vi partecipa e vi si distanzia, lo mette a distanza, lo oggettiva. Questo chiasmo ontologico, questo intreccio che lo struttura, di essere e sapere, natura e spirito, è ciò che si constata nella forma di vita che noi siamo: animal rationale; intreccio che troverà per tempo, nel nesso di tecnica e prassi, la sua istituzione sociale come scienza delle relazioni, che, sostandovi, l’anthropos intrattiene con il suo mondo - natura e storia - in cui è coinvolto. In senso pregnante, l’eqo è sempre in prima istanza questo nesso pratico di tecnica e prassi, di cui si spera la benevolenza degli dei; in sostanza la tutela delle condizioni di emergenza, e della viabilità, delle strade che l’anthropos può percorrere nel suo soggiorno mondano, hqo, e di come debba percorrerle; un saper mantenere la misura nel commercio con gli altri e con il mondo, la sovrastante “natura”. L’homo faber fortunae suae è sempre anche homo viator, esposto ai rischi del suo viaggio. In senso originario ethos è dunque un’endiadi di scienza ed etica, una loro necessaria coimplicazione, co-riferimento pragmatico a tutela dell’ambito di emergenza dell’umano, la nicchia ecologica storicamente declinata che la storia naturale del genere gli ha assegnato. Questa endiadi regge alla prova delle cose, se non travalica in hybris della scienza, se non riduce il “sistema dell’etica” (la compensazione religiosa del rapporto al mondo, dello iato che l’uomo è nella sua essenza tra natura e cultura, Il “disagio della civiltà”) al “sistema della scienza” (la compensazione tecnica, il problem solving che quel disagio abita senza aver potuto scegliere la sua dimora, cui la compensazione religiosa deve trovare un senso che dia senso al lavoro dello spirito come stare al mondo, alla resistenza dell’esistenza che si vede emergere si vede emergere come “qualcuno” dalla vicissitudine senza angoscia del “qualcosa”, del puro divenire “senza coscienza”).