Cassazione civile sez. I, 19 marzo 2010, n. 6686 In tema di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, la violazione, nel corso del procedimento, del diritto delle parti di agire e resistere in giudizio, quale situazione ostativa alla delibazione, è riscontrabile soltanto in presenza di una compromissione del diritto alla difesa negli aspetti e requisiti essenziali garantiti dall'ordinamento dello Stato, mentre resta irrilevante una mera diversità di regolamentazione processuale del diritto stesso. Cassazione civile sez. I, 24 ottobre 2011, n. 21968 Nel giudizio per la declaratoria di efficacia civile della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale non va applicato l'art. 64 l. 31 maggio 1995 n. 218 ma vanno applicati gli art. 796 e 797 c.p.c., articoli richiamati in seno all'Accordo di modificazioni del Concordato lateranense (e Protocollo addiz.) 18 febbraio 1984, Accordo reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985 n. 121 e gerarchicamente sovraordinato alla legge ordinaria in virtù del principio concordatario accolto nell'art. 7 cost. Nel giudizio di delibazione, in Italia, di sentenza canonica di nullità matrimoniale, l'eccezione relativa all'asserita non conformità, e conseguente non esecutività, delle pronuncie canoniche, è superata dall'avvenuta emissione del decreto di esecutività da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. In sede di delibazione, in Italia, delle pronunce canoniche di nullità matrimoniale la censura avente ad oggetto l'errata valutazione del materiale probatorio da parte del giudice ecclesiastico è inammissibile perché in contrasto con il divieto di riesame, nel merito, previsto dall'art. 4, lett. b) n. 3, del protocollo addizionale all'accordo di Villa Madama del 18 giugno 1984, reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985 n. 121. Cassazione civile sez. I, 26 settembre 2011, n. 19585 La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario divenuta esecutiva secondo il diritto canonico e risultante dall'attestazione del Tribunale supremo della Segnatura Apostolica, non è preclusa dai successivi provvedimenti emessi nell'ambito della giurisdizione ecclesiastica in relazione alla richiesta riapertura del processo canonico. In forza del disposto dell'art. 8 l. n. 121 del 1985, deve essere esclusa la legittimazione degli eredi del coniuge a chiedere la delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio contratto dal defunto, ancorché tali eredi avessero proseguito "post mortem" l'azione di nullità innanzi al giudice ecclesiastico; nè può considerarsi incidente, sulla materia "de qua", l'introduzione della l. n. 218 del 1995, dal momento che, come già affermato in giurisprudenza, l'entrata in vigore del nuovo sistema del diritto internazionale privato non ha inciso sulla materia concordataria. Cassazione civile sez. I, 30 maggio 2003, n. 8764 L'abrogazione degli art. 796 e 797 c.p.c., sancita dall'art. 73 l. 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, non è idonea, in ragione della fonte di legge formale ordinaria da cui è disposta, a spiegare efficacia sulle disposizioni dell'Accordo, con protocollo addizionale, di modificazione del Concordato lateranense (firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985 n. 121), disposizioni le quali - con riferimento alla dichiarazione di efficacia, nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici - contengono un espresso riferimento all'applicazione degli art. 796 e 797 c.p.c. (così l'art. 4 del protocollo addizionale, in relazione all'art. 8 dell'Accordo); ne consegue che il giudice italiano, al fine di decidere sulla domanda avente ad oggetto la predetta dichiarazione di efficacia, deve continuare ad applicare i menzionati articoli del codice di rito civile, i quali risultano perciò connotati, relativamente a tale specifica materia ed in forza del principio concordatario accolto dall'art. 7 cost. (comportante la resistenza all'abrogazione delle norme pattizie, le quali sono suscettibili di essere modificate, in mancanza di accordo delle Parti contraenti, soltanto attraverso leggi costituzionali), da una vera e propria ultrattività. Cassazione civile sez. I, 20 novembre 2003, n. 17595 L'entrata in vigore della nuova disciplina di diritto internazionale privato, di cui alla l. 218/95, non ha comportato l'abrogazione del sistema (previsto dall'art. 8 dell'Accordo tra l'Italia e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, di modifica del Concordato lateranense, reso esecutivo con la legge di autorizzazione alla ratifica 121/1985) per la dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze di nullità di matrimonio pronunziate dai tribunali ecclesiastici. Pertanto, nonostante l'art. 67.1 l. 218/95 conceda a chiunque vi abbia interesse la legittimazione a richiedere l'accertamento dei requisiti per il riconoscimento, in ipotesi di contestazione, della sentenza straniera, deve essere esclusa - in forza dell'art. 8 del citato Accordo, che riserva alla domanda delle parti o di una di esse l'attribuzione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici - la legittimazione degli eredi del coniuge a chiedere la delibazione della sentenza ecclesiastica con cui è stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario contratto dal defunto. Nè è configurabile, al riguardo, alcuna violazione dell'art. 3 cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, e ciò attesa la assoluta specialità della materia del matrimonio concordatario, nella quale vengono pattiziamente regolate le condizioni di efficacia del matrimonio nello Stato unitamente alle condizioni di efficacia nella Repubblica della pronuncia della sua nullità, ed in quanto il principio di parità di trattamento cede di fronte al principio fondamentale di regolamentazione e modificazione pattizia di cui all'art. 7 comma 2 cost. Cassazione civile sez. I, 10 dicembre 2010, n. 24990 Tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, così che il secondo debba essere necessariamente sospeso, ex art. 295 c.p.c., a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione, trattandosi di procedimenti autonomi, sfocianti in decisioni di natura diversa ed aventi finalità e presupposti diversi, di specifico rilievo in ordinamenti distinti. Né rileva che le norme sul giudizio di delibazione, di cui agli art. 796 e 797 c.p.c., siano state abrogate dall'art. 73 della legge n. 218 del 1995, poiché tale abrogazione, in ragione della fonte di legge formale ordinaria da cui è disposta, non è idonea a spiegare efficacia sulle disposizioni dell'Accordo, con protocollo addizionale, di modificazione del Concordato lateranense (firmato a Roma il 18 ottobre 1984 e reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985 n. 121), disposizioni le quali con riferimento alla dichiarazione di efficacia, nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici contengono un espresso richiamo agli art. 796 e 797 c.p.c., e risultano connotate, in forza del principio concordatario accolto dall'art. 7 cost. (che implica la resistenza all'abrogazione di norme pattizie, perciò suscettibili di modifica, in difetto di accordo delle parti contraenti, solo con leggi costituzionali), da una vera e propria ultrattività Cassazione civile sez. I, 5 marzo 2009, n. 5292 A norma dell'art. 8, n. 2 l. n. 121 del 1985, le sentenze di nullità dei matrimoni concordatari, pronunciate dai tribunali ecclesiastici, sono delibabili ove ricorra oltre alle condizioni di cui alle lett. a) e b) - competenza del giudice ecclesiastico a conoscere della causa, in quanto relativa a matrimonio celebrato in conformità alle prescrizioni del primo comma dello stesso articolo; osservanza nel giudizio dinanzi ai tribunali ecclesiastici dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano in materia di diritto di difesa delle parti - anche la condizione prevista dalla lett. e) e cioè che ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. Tale rinvio, avendo natura di rinvio materiale e non formale, va riferito al testo dell'art. 797 c.p.c. vigente all'epoca dell'entrata in vigore della l. n. 121 del 1985 e non all'art. 64 l. n. 218 del 1995, successivamente entrato in vigore. L'abrogazione dell'art. 797 c.p.c. sancita dall'art. 73 l. n. 218 del 1995, infatti, non è idonea, in ragione della fonte di legge formale ordinaria da cui è disposta, a spiegare efficacia sulle disposizioni dell'accordo, con protocollo addizionale, di modificazione del concordato lateranense firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con la l. n. 121 del 1985. Cassazione civile sez. I, 10 marzo 1995, n. 2787 Ai sensi dell'art. 8 dell'Accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con l. 25 marzo 1985 n. 121, deve escludersi la legittimazione degli eredi del coniuge a chiedere la delibazione della sentenza ecclesiastica con cui è stata dichiarata la nullità del matrimonio religioso da quest'ultimo contratto, anche nell'ipotesi in cui tali eredi, sulla base delle norme del codice canonico, hanno proseguito l'azione di nullità innanzi al giudice ecclesiastico ed abbiano ottenuto la relativa pronuncia. Cassazione civile sez. I, 1 dicembre 2004, n. 22514 Gli eredi del coniuge deceduto non sono legittimati a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio religioso, ai sensi dell'art. 8 dell'Accordo firmato in Roma il 18 febbraio 1984, che ha modificato il Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985, in quanto, diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, il procedimento non ha natura officiosa e la titolarità del potere di chiedere la delibazione della pronuncia ecclesiastica spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal c.c., non rilevando, in contrario, che nell'ordinamento ecclesiastico gli eredi del coniuge deceduto siano invece legittimati ad instaurare il giudizio di nullità del matrimonio religioso, in quanto questa legittimazione non può fondare la legittimazione alla proposizione della domanda di delibazione. Cassazione civile sez. I, 9 marzo 1995, n. 2734 La competenza territoriale della Corte d'Appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario si determina con riferimento alla circoscrizione del tribunale cui appartiene il Comune presso il quale fu trascritto l'atto di matrimonio (art. 17 l. 27 maggio 1929 n. 847) che si identifica, ai sensi dell'art. 8 n. 1 della l. 25 marzo 1985 n. 121, nel Comune in cui il matrimonio stesso è stato celebrato. Cassazione civile sez. un., 1 marzo 1988, n. 2164 Il procedimento per l'esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio, dopo la entrata in vigore delle modifiche al Concordato con la Santa Sede di cui all'accordo di Roma del 18 febbraio 1984, ratificato, unitamente al protocollo addizionale, dalla l. 25 marzo 1985 n. 121, non è instaurabile d'ufficio, ma postula indefettibilmente l'iniziativa di entrambi i coniugi congiuntamente, ovvero di uno di essi, tenendo presente che, nel primo caso l'iniziativa stessa deve assumere la forma del ricorso, con il conseguente rito camerale della relativa procedura, mentre, nel secondo caso, si rendono necessari l'atto di citazione ed il rito ordinario. Pertanto, qualora, nella vigenza di detta nuova disciplina, il procedimento di delibazione sia stato aperto d'ufficio, va affermata la nullità di esso, ed altresì negata ogni influenza alla circostanza che uno dei coniugi, in sede di convocazione personale, abbia affermato di aderire alla richiesta di esecutività, atteso che tale enunciazione, pure se in ipotesi munita dei connotati della domanda giudiziale, non potrebbe comunque costituire valido atto d'impulso processuale, per la rilevata inammissibilità della forma del ricorso e del rito camerale quando non vi sia una concorde istanza di entrambi i coniugi. Cassazione civile sez. I, 7 giugno 2007, n. 13363 In tema di delibazione di sentenze ecclesiastiche, qualora le parti non propongano ricorso congiunto ma si proceda su domanda di una sola di esse, trovano applicazione le norme sul rito ordinario di cognizione, con la conseguenza che se l'attore si sia costituito oltre il termine fissato dall'art. 165, comma 1, c.p.c. ed il convenuto non si sia costituito, deve essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo, ai sensi dell'art. 171, comma 1, c.p.c., con onere di riassunzione entro un anno dal relativo provvedimento. Cassazione civile sez. I, 27 febbraio 1989, n. 1066 In tema di delibazione delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale, il ricorso introduttivo sottoscritto personalmente da entrambe le parti è affetto da nullità insanabile, con effetti invalidanti dell'intero procedimento, posto che l'esigenza del patrocinio di difensore, a norma dell'art. 82, comma 3, c.p.c., non può essere esclusa in un giudizio che riguarda diritti soggettivi (inerenti allo status), ancorché assoggettato al rito camerale. Corte appello Napoli, 4 maggio 1995 Il principio della certezza sullo stato delle persone, di cui quello dell'immutabilità dell'accertamento della nullità del matrimonio risultante da una sentenza passata in giudicato costituisce uno dei corollari, è di ordine pubblico, ma non ha carattere assoluto, in quanto l'ordinamento giuridico consente, attraverso il rimedio generale della revocazione, di togliere efficacia, sempre che si verifica una delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 395 c.p.c., ad una precedente sentenza nella quale si sia formato il giudicato, anche se contenente un accertamento sullo stato delle persone, quale la dichiarata nullità del matrimonio civile. Pertanto, la certezza legale dello stato di due soggetti che hanno contratto il matrimonio concordatario dichiarato nullo e risultante dal passaggio in giudicato del provvedimento della Corte di appello con cui, ai sensi dell'art. 17 della l. 27 maggio 1929 n. 847, sia stata dichiarata esecutiva agli effetti civili la sentenza ecclesiastica, che ha pronunziato la nullità del matrimonio, non costituisce un ostacolo alla dichiarazione di esecutività agli effetti civili della successiva sentenza ecclesiastica che, in seguito alla riapertura del procedimento conclusosi con la precedente sentenza, ha accertato la validità del matrimonio. Cassazione civile sez. I,28 dicembre 2006, n. 27594 L'art. 8, comma 2, dell’Accordo di revisione del Concordato 11 febbraio 1929 con la Santa Sede, stipulato in data 18 febbraio 1984, e reso esecutivo con L. n. 121 del 1985 non impone l'adozione di provvedimenti economici a favore di uno dei due coniugi, per cui la Corte territoriale non era tenuta d'ufficio a statuire sul punto. Cassazione civile sez. I, 28 aprile 2010, n. 10211 Il provvedimento con il quale la Corte d'appello, chiamata a delibare la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, disponga, a norma dell'art. 8 n. 2, dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, misure economiche provvisorie a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rientra fra i provvedimenti aventi funzione strumentale e natura anticipatoria ed è subordinato all'accertamento, in via di delibazione sommaria, del diritto del richiedente al conseguimento dell'indennità e degli alimenti ("fumus boni iuris"), nonché del pericolo del pregiudizio alla sua attuazione durante il tempo occorrente a farlo valere davanti al giudice competente per la decisione sulla materia. Conseguentemente, avverso detto provvedimento interinale, per sua natura inidoneo a conseguire efficacia di giudicato (sia dal punto di vista formale che sostanziale), non è esperibile né il ricorso ordinario né quello straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost. Cassazione civile sez. I, 17 marzo 1998, n. 2852 Il provvedimento con il quale la Corte di appello, chiamata a delibare la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso, disponga misure economiche provvisorie in favore di uno dei coniugi (ex art. 8 n. 2, del nuovo concordato, ratificato con l. 25 marzo 1985 n. 121), rientra tra i provvedimenti cosiddetti "a natura anticipatoria" (funzionali, cioè, ad assicurare preventivamente la concreta realizzabilità della decisione definitiva), ed è subordinato all'accertamento, in via puramente delibatoria, del diritto del richiedente al conseguimento dell'indennità (fumus boni iuris), nonché del pericolo di pregiudizio alla sua attuazione in pendenza del giudizio per farlo valere in via ordinaria (periculum in mora). Cassazione civile sez. I, 19 novembre 2003, n. 17535 Il provvedimento con il quale la Corte d'appello, chiamata a delibare la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, disponga, a norma dell'art. 8 numero 2 dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, di revisione del Concordato lateranense (reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985 n. 121), misure economiche provvisorie a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rientra tra i provvedimenti aventi funzione strumentale e natura anticipatoria (in quanto diretti ad assicurare preventivamente la "fruttuosità pratica" della decisione definitiva), ed è subordinato all'accertamento, in via di delibazione sommaria, del diritto del richiedente al conseguimento dell'indennità e degli alimenti ("fumus boni iuris"), nonché del pericolo del pregiudizio alla sua attuazione durante il tempo occorrente per farlo valere davanti al giudice competente per la decisione sulla materia (""periculum in mora""); ne deriva che avverso detto provvedimento interinale, per sua natura inidoneo a conseguire efficacia di giudicato (sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista sostanziale), non è esperibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost., ammissibile soltanto nei confronti di provvedimenti giurisdizionali che siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, ossia attitudine ad incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. Corte costituzionale, 27 settembre 2001, n. 329 Non sono fondate, con riferimento all'art. 3 cost. ed al principio di laicità dello Stato le q.l.c. dell'art. 18 l. 27 maggio 1929 n. 847 e degli art. 129 e 129 bis c.c., sollevata in quanto dette norme prevedono in caso di nullità del matrimonio concordatario che sia pronunciata dai tribunali ecclesiastici, con sentenza resa esclusiva nello Stato, pur in presenza di una consolidata comunione di vita fra i coniugi, l'applicabilità del regime patrimoniale dettato dall'ordinamento italiano per il matrimonio putativo, e non di quello (dai rimettenti ritenuto più favorevole per il coniuge sprovvisto di redditi adeguati) assicurato dalla l. n. 898 del 1970, in tema di scioglimento del matrimonio civile e di cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio concordatario. Il principio costituzionale di eguaglianza non rende costituzionalmente necessario lo stesso trattamento in ordine alle conseguenze patrimoniali derivanti dalla nullità del matrimonio e del divorzio, dal momento che sussiste una diversità strutturale tra le due fattispecie poste a raffronto e che soltanto il legislatore - nell'esercizio della sua discrezionalità - ha il potere di modificare il sistema vigente nella prospettiva di un accostamento di discipline. Per altro verso, dall'accoglimento della richiesta additiva rivolta dal rimettente deriverebbe una diversità di disciplina, per gli effetti patrimoniali, della nullità del matrimonio concordatario rispetto alla nullità del matrimonio civile, fonte essa stessa di una ingiustificata disparità di trattamento Cassazione civile sez. I, 8 novembre 2010, n. 22677 È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge n. 847 del 1929 nella parte in cui, per le conseguenze patrimoniali della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rinvia alla disciplina del matrimonio civile putativo, anziché a quella prevista in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, essendo rimesso esclusivamente alla discrezionalità del legislatore il potere di modificare il sistema vigente ed eventualmente elencarlo alla disciplina degli effetti patrimoniali della separazione e del divorzio.