Articolo tratto dal numero 8-aprile 2009- Anno II de http://www.lascuolapossibile.it Bullismo a scuola (2) Linee teoriche del progetto in corso di sperimentazione Parliamo di... - di Sabatini Roberto La violenza come modalità di rapporto E' facile constatare che la violenza è parte costitutiva del nostro quotidiano e che una considerevole fetta di attenzione, finanziamenti e risorse umane viene devoluta al suo controllo, al suo contenimento, alla sua punizione. Si può anche sostenere che l'aggressività è una risposta vitale alle provocazioni e alle difficoltà dell'ambiente, una reazione tipica di tutti gli organismi viventi ai pericoli e alle sfide del loro habitat. Nella specie umana, però, il comportamento aggressivo ha assunto, fin dai suoi esordi, livelli di manifestazione del tutto sproporzionati alle necessità che ordinariamente lo chiamano in causa e lo giustificano. Si è invece frequentemente registrato che tale comportamento tende a dissociarsi dalle motivazioni che possono richiederlo e "spiegarlo" e a costituire un fine in sé, o a porsi in termini tali da non assolvere più alle funzioni di tutela, difesa e affermazione di chi lo mette in atto, fino a rappresentare una devianza e una patologia per qualcuno, una "professione" per qualcun altro, una modalità relazionale per molti. L'aggressività si presenta spesso, insomma, come una prestazione, sganciata dalle ragioni, per così dire, naturali, pronta a degenerare facilmente in atti puramente distruttivi e perfino autolesionistici, gratuitamente violenti, sadici, persecutori. Un aspetto che non è mai stato estraneo alla violenza umana, ma che con il potere di rappresentazione dei media è cresciuto esponenzialmente, è la sua spettacolarità: poche cose come la violenza si prestano a diventare spettacolo elargitore di bagni adrenalinici, sia nella veste di attori che in quella di spettatori. Si può anzi parlare della violenza come di una "cultura", in senso antropologico, una vera e propria weltanschauung, un modo di essere e di sentire, di agire e rapportarsi agli altri, al mondo e anche a se stessi. Uno stile di vita, in definitiva, che permea di sé il consueto orizzonte di tutti e che governa esistenze individuali e collettive: relazioni familiari, rapporti interpersonali, scacchieri politici e militari, logiche di produzione di beni ed energia, atteggiamenti verso l'ambiente, contenziosi tra ordinamenti, istituzioni, gerarchie politiche, popoli, classi sociali. Diventando elementi normali e ordinari del paesaggio umano, aggressività e violenza sembrano parte, non solo integrante della sua natura, ma cardini, essenze, tratti centrali e ineliminabili; nel migliore dei casi vengono percepiti e subiti come mali inevitabili a cui non resta che rassegnarsi ed evitare, ovvero negatività contro cui attrezzarsi raddoppiando la nostra capacità di aggredire e di usare violenza: una spirale crescentemente distruttiva in cui si cerca di prevenire l'attacco altrui attaccando per primi, non è uno scenario irrealistico. Si può educare l'aggressività? Un periodo della vita in cui l'aggressività, anche nelle sue manifestazioni più parossistiche, è intensamente presente e sentita, è quello evolutivo. Durante l'età evolutiva, e soprattutto nel periodo puberale e adolescenziale, infatti, le manifestazioni emotive e pulsionali sono massimamente avvertite, massima è la loro vitalità psicofisica e massimo è il rischio che fanno correre alla personalità in formazione e alle persone che sono in stretto contatto con soggetti di questa età: coetanei, genitori, insegnanti. Le poderose trasformazioni anatomiche, muscolari e mentali, le tempeste ormonali e le difficoltà identitarie rendono poco controllabili gli episodi di aggressività che possono trasformarsi rapidamente in violenza distruttiva irreversibile. D'altra parte tutti, e in particolare gli adolescenti, sono esposti ad una rappresentazione continua ed eccitante della violenza, che ne esalta proprio la gratuità e il sadismo e la correla intimamente con il successo, il potere, la seduzione: tutti fattori amplificatori e distorsori delle funzioni vitali e difensive della naturale aggressività; anche l'esperienza quotidiana vissuta in prima persona offre costantemente esempi di modalità sopraffattorie e offensive di relazione: la prepotenza e la mancanza di rispetto sono sempre dietro l'angolo, spesso implicite e non di rado esplicite. Da queste considerazioni nasce l'esigenza di creare occasioni di studio e di diffusione di una cultura non violenta che però si basi -e questo è il punto decisivo- non sulla precettistica morale che sempre, ma soprattutto in quella fascia di età, non ha alcuna presa sul destinatario, a meno che non sia accompagnata da sanzioni e paure, ossia da rinforzi peggiori del negativo che intende contrastare, né sulla negazione dei fatti (negare l'esistenza e la funzione dell'aggressività e della violenza nella storia e nel quotidiano equivarrebbe a prendere e a prenderci in giro), ma su una pratica, mentale e corporea, del controllo dell'aggressione -l'altrui e la nostra reazione ad essa- con finalità non distruttive, ma costruttive. Per quanto possa essere difficile, si tratta di apprendere una modalità di azione e reazione che pur senza essere rinunciataria e vittimista e men che mai servile e masochista, non sia tesa ad offendere moralmente e fisicamente qualcuno, ma a sottrarre tutti da questo rischio, più impegnata ad evitare, parare, o neutralizzare l'attacco che a scatenare una rappresaglia ad esso, più concentrata sul raggiungere una conciliazione, piuttosto che sull'innalzare muri di odio, non determinata a travolgere un avversario, quanto a convincerlo della vacuità del suo assalto. Ci serve, insomma, una metodica formativa che senza rinnegare l'aggressività e le sue funzioni difensive ed assertive, ne disciplini le dinamiche impedendole di trasformarsi in cieca, gratuita e spettacolare violenza, promovendone un'evoluzione in controllo, neutralità, conciliazione, armonia. Aikido e Bioenergetica: una "Via" per il controllo dell'aggressività L'Aikido può dare un grande contributo pedagogico alla formazione di personalità libere da atteggiamenti e comportamenti violenti e costituisce sicuramente una delle "vie" più efficaci ed evolute per il controllo, mentale e corporeo, della propria e altrui aggressività. Questa disciplina, proviene dall'alveo della tradizione marziale giapponese, il Budo e ne costituisce una sintesi ed una elaborazione originale ad opera del Maestro Ueshiba Morihei (1883-1969). Completato nel 1920 e battezzato "Ai-ki-do", da quel momento venne diligentemente diffuso nel mondo come forma severa, quasi ascetica di disciplina mentale e corporea, difensiva, non competitiva, estranea agli stereotipi della sopraffazione. Su tutt'altro versante, culturale e geografico, la Bioenergetica nacque negli anni '30 ad opera di W. Reich e fu in seguito sviluppata da A. Lowen e coerentemente trasformata in un metodo terapeutico psicocorporeo: lo studio della personalità autoritaria e delle dinamiche distruttive a livello individuale e collettivo deve molto a questa scuola di pensiero. Gli assunti teorici e le strategie terapeutiche dell'approccio bioenergetico alla struttura e ai disturbi della personalità sono particolarmente importanti poiché questa scuola ha raggiunto un elevato grado di comprensione e di capacità di intervento proprio nelle dinamiche psicosomatiche delle più potenti pulsioni umane, in particolare quelle sessuali ed aggressive. Il valore specifico del progetto che si sta sperimentando consiste proprio nell'unire e nell'usare, sinergicamente, i contributi di questi due "approcci", lavorando su due fronti: quello del potenziamento dell'autostima, in particolare dei soggetti deboli e quello del controllo dell'aggressività, per tutti. Le ragioni per cui colgo nell'uso integrato dell'Aikido e della Bioenergetica un modello molto mirato per una pedagogia della non violenza, particolarmente adatto per contrastare il bullismo e le varie intemperanze giovanili, sono molte: illustrerò qui, sinteticamente, le principali: - La Bioenergetica dimostra che gli aspetti psicodinamici della personalità si manifestano sincronicamente anche sul piano fisico, ossia che carattere e personalità, constano di un'espressione somatica, di un atteggiamento muscolare e scheletrico perfettamente decifrabile dalle nostre posture, dalla fluidità/rigidità dei nostri movimenti, dalla tonicità della nostra muscolatura, dalla mobilità delle nostre articolazioni e così via e che l'efficacia di interventi nella sfera somatica può essere maggiore e più durevole di quelli svolti Pagina: 1 di 2 sul piano solo psicologico. - Nell'Aikido si opera con la consapevolezza che corpo e mente sono due aspetti inseparabili della nostra natura, che il corpo è la sede fisica di una energia che è anche una manifestazione mentale e che l'armonia e l'efficacia fisica dei movimenti e delle tecniche è contemporaneamente un'armonia e una perfezione spirituale interiore: l'evoluzione tecnica implica a sua volta, una metamorfosi psicologica. - L'analisi dei segmenti della nostra "armatura muscolo-scheletrica" in cui la Bioenergetica suddivide e struttura il corpo umano, in funzione del flusso emozionale che lo attraversa e dei nodi che lo inibiscono o bloccano corre parallela al lavoro di coordinamento e di perfezionamento tecnico dell'allenamento tradizionale dell'Aikido: anche se con termini e impieghi differenti, una identica scioltezza viene richiesta dai due approcci. - E' possibile confrontare esperienze come quella di vuoto interiore, di calma assoluta, di non intenzione, di potenza del respiro, di Ki (forza, energia nell'accezione orientale) con i corrispondenti percorsi e pratiche bioenergetiche volte a liberare il flusso dell'energia nel corpo e a consentire un pieno contatto con gli altri, con spazio e tempo dell'ambiente e con la propria dimensione interiore: il grounding bioenergetico (il collegamento e il radicamento dell'individuo con la terra, il suo essere ben impiantato e in equilibrio, il suo muoversi senza mai perdere il contatto col suolo) è proprio l'obiettivo del tai sabaki (tecniche di spostamento) dell'Aikido e di tutte le arti marziali in generale. - La pratica dell'Aikido può essere assimilata ad un potente lavoro bioenergetico di scioglimento e di ammorbidimento delle armature e delle corazze muscolari e caratteriali, una vera e propria sublimazione delle tensioni e delle spinte aggressive; la stessa progressione tecnica richiesta dall'allenamento corrisponde, in parte, ad una presa di coscienza del proprio modo di stare e di muoversi, di contrarre la muscolatura, di controllare le emozioni, la forza, il respiro, ossia a obiettivi significativamente bioenergetici. Per fare un esempio concreto, l'insegnamento di non mettere forza nelle braccia, di non tenere le spalle rigide o tirate indietro, di spostarsi seguendo e non anticipando il movimento del bacino e delle anche, di unire il movimento e l'uso della forza al ritmo respiratorio, di mantenere una muscolatura viva e tonica e non tesa, né flaccida, costituiscono, sia i gradini di una maturazione tecnica dell'Aikido, che di un percorso di liberazione bioenergetica e di crescita psicofisica. Non bisogna dimenticare che la manifestazione corporea è, di norma, più sincera dei prodotti strettamente mentali, la comunicazione non verbale (posturale, mimica, gestuale, muscolare e viscerale) è più genuina, immediata e sottratta al potere della volontà e della coscienza, di quella verbale; essa si presta quindi bene, sia ad un lavoro profondo sulla persona, ben oltre la soglia della coscienza, e ad una diagnosi veritiera della sua maturazione, ben oltre le apparenze della sua esteriorità. Perciò operare sul, e con il, corpo, va più in profondità e raggiunge il cuore, le radici della nostra emotività in cui si annida anche la dimensione aggressiva e violenta dell'essere, senza le ipocrisie, le falsità e l'inefficacia di molti approcci fondati sulla morale dualistica del bene e del male, o su concezioni irrealistiche dell'umano e del sociale. Integrando la pratica di quest'arte (tecniche di proiezione, cadute, atemi, respirazione, concentrazione, spostamenti, squilibri, leve, immobilizzazioni, ecc.) con l'approccio bioenergetico (analisi della struttura e del movimento corporei e dei loro significati psichici), si ottiene un mix che può efficacemente incrementare l'autostima dei soggetti deboli e contrastare i falsi e pericolosi miti della violenza sadica e spettacolare e si raggiunge rapidamente il nocciolo duro e nascosto della paura, della rabbia, dell'odio, ossia delle fonti stesse di quell'aggressività perversa da cui dovremmo tutti emanciparci. N.B. Ringrazio per l'attenzione e mi dichiaro disponibile per ogni approfondimento e anche per un esemplificazione concreta dell'impianto pedagogico di questo progetto. Roberto Sabatini insegna Scienze Sociali al Liceo di Via Asmara - Roma Pagina: 2 di 2