BUON COMPLEANNO, ASTRONOMIA X!

L’Orizzonte degli Eventi
BUON COMPLEANNO,
ASTRONOMIA X!
50 anni di scoperte
Piero Bianucci
Tommaso
Maccacaro
Istituto Nazionale
Giornalista
scientifico.
di Astrofisica, Milano
L’
astronomia X compie mezzo
secolo.
Era infatti il 18 giugno 1962
quando, dopo due tentativi falliti, dalla
base di White Sands nel New Mexico fu
lanciato con successo un razzo che portò
per pochi minuti al di sopra dell’atmosfera tre contatori Geiger sensibili alla radiazione X, opportunamente schermati
dai raggi cosmici tramite il metodo delle
anticoincidenze.
I risultati di quell’esperimento vennero
pubblicati da Giacconi, Gursky, Paolini
e Rossi su “Physical Review Letters”: in
quell’occasione venne scoperta la prima
sorgente extrasolare di raggi X (battezzata
Sco X-1 in quanto localizzata nella costellazione dello Scorpione), sancendo la nascita di un nuovo modo di studiare il cielo:
l’astronomia X.
Si apriva cosi una terza finestra sull’Universo, dopo quella “visibile” (per millenni
considerata l’unica) e quella “radio”, che
nei trent’anni precedenti si era rapidamente sviluppata a seguito della scoperta
da parte di Karl Jansky dell’emissione in
banda radio proveniente dal centro della
Via Lattea.
Questa terza finestra, che si è andata ampliando fino a includere una radiazione
elettromagnetica di energia ancora più
alta – i raggi gamma – era figlia della
guerra fredda e della corsa alla conquista
dello spazio.
Ha potuto affermarsi, infatti, soltanto grazie allo sviluppo di razzi in grado di portare la strumentazione al di sopra dell’atmosfera e in orbita attorno alla Terra, perché
i raggi X cosmici non sono visibili da terra
in quanto vengono completamente assorbiti dalla nostra atmosfera.
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Immagine artistica di Sco X-1, la prima sorgente X cosmica a essere osservata.
Una scoperta casuale
Nella migliore tradizione della serendipità
tipica delle scoperte più importanti, che le
vuole felicemente ottenute quasi per caso
mentre si cerca qualcos’altro, anche la più
brillante sorgente astrofisica di raggi X si
trovò per un colpo di fortuna nel campo di
vista di uno strumento che cercava appunto qualcos’altro (e che in quell’occasione
non fu trovato).
Si volevano infatti rivelare raggi X provenienti dalla Luna, attraverso i quali si
intendeva studiare la composizione chimica della superfice del nostro satellite.
La radiazione X dalla Luna era attesa
per riflessione e diffusione della radiazione X solare che la colpiva (analogamente
alla luce visibile) e che era stata da poco
scoperta. L’interesse, e i finanziamenti ottenuti dal gruppo di Giacconi dal Cam-
bridge Research Laboratory dell’aviazione militare statunitense, derivavano dal
crescente interesse per la Luna a seguito
dell’appena annunciato programma Apollo, con cui il presidente Kennedy intendeva vincere la competizione con l’Unione Sovietica nella conquista dello spazio
portando un uomo a camminare sulla
superficie lunare.
Anno dopo anno, razzo dopo razzo, il numero di sorgenti X celesti continuava ad
aumentare. Alla fine degli anni Sessanta se ne contavano una trentina, incluse
la Nebulosa Granchio e la galassia M87
nell’ammasso della Vergine. Nel 1970 fu
messo in orbita Uhuru, il primo satellite interamente dedicato all’astronomia X.
Le sue scansioni di tutto il cielo portarono
a più di 300 il numero di sorgenti catalogate e permisero di studiare le più brillanti
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in dettaglio. Si scoprì che molte di esse variano in modo rapido e periodico, e pertanto che sono costituite da sistemi binari
in cui una stella è collassata e subisce trasferimento di massa dall’altra. Fu anche
possibile contribuire significativamente
allo studio degli stati estremi della materia
e individuare i primi candidati buchi neri
(come il famoso Cygnus X-1).
Da Uhuru a Chandra
Gli anni Sessanta portarono alla scoperta
di vere e proprie meraviglie del cosmo: i
quasar nel 1963, la radiazione cosmica di
fondo nel 1965, la prima pulsar radio nel
1967, stesso anno in cui fu registrato dai
satelliti Vela il primo gamma-ray burst (scoperta resa pubblica però solo nel 1973).
L’astronomia a raggi X si inseriva bene
in quel contesto che ci dava una visione
molto energetica e violenta dell’Universo,
indicandoci l’esistenza di materia portata alla temperatura di milioni di gradi,
particelle accelerate a velocità prossime
a quella della luce, esplosioni stellari che
generano tanta energia da essere visibili a
miliardi di anni-luce di distanza.
Osservazioni in banda X permisero anche, molti anni dopo, di svelare la natura e
i meccanismi di funzionamento dei gamma
ray burst.
Ma la vera rivoluzione per l’astronomia X
avvenne con il lancio, nel 1978, dell’Osservatorio Einstein, il primo telescopio munito di ottiche in grado di focalizzare questa radiazione e produrre quindi le prime
vere immagini delle sorgenti.
Einstein fu una rivoluzione non solo per la
quantità e qualità dei risultati scientifici
che permise di ottenere, ma anche perché
con il suo innovativo programma di Guest
Observers offrì all’intera comunità astronomica (e non solo agli addetti ai lavori) la
possibilità di proporre e condurre osservazioni, nonché di ridurre e analizzare i dati
che venivano distribuiti già calibrati e in
formati facilmente gestibili.
Questo approccio, fortemente voluto da
Riccardo Giacconi, divenne uno standard
che da allora è stato seguìto in tutte le
imprese successive, da EXOSAT a ROSAT, da XMM-Newton a Chandra, e che
ha contribuito enormemente a formare
un’intera generazione di astronomi “multibanda”.
Il satellite Chandra della NASA rappresenta, assieme a XMM-Newton, il più moderno
telescopio X mai messo in orbita fino a oggi.
Una disciplina da Nobel
Dieci anni fa, nel 2002, quarant’anni
dopo quell’esperimento da lui coordinato, Giacconi ricevette il Premio Nobel
per la Fisica «per i contributi pionieristici
all’astrofisica, che hanno portato alla scoperta di sorgenti cosmiche di raggi X».
Per l’apertura, insomma, di una nuova
finestra sul cielo, e per avere contribuito a
farla affermare come una delle linee pro-
Riccardo Giacconi, premio Nobel per
la Fisica 2002, ha dato un contributo
fondamentale alla nascita dell’astronomia X.
tagoniste della ricerca astrofisica.
Oggi possiamo dire che non esistono più
persone che si definiscono “astronomi X”:
l’utilizzo di telescopi X per affrontare un
problema astrofisico, piuttosto, è preso in
considerazione in maniera quasi naturale,
al pari di quelli ottici, radio e via dicendo.
Nonostante che la comunità astronomica non manchi certo di idee e iniziative
(come testimoniato per esempio dal numero e dalla varietà di proposte inoltrate
alla NASA in risposta alla richiesta dell’agenzia di «concetti per la prossima missione NASA di astronomia X»), e anche
se alcune piccole missioni diventeranno
operative nei prossimi anni (come NuStar,
ASTRO-H, e-ROSITA e GEMS), preoccupa che non si stia ancora progettando il
successore di XMM-Newton e di Chandra.
Questi due telescopi X, rispettivamente
dell’ESA e della NASA, operano infatti
da oltre un decennio al servizio dell’intera
comunità scientifica, e tutti gli scienziati
augurano loro, incrociando le dita, almeno altri dieci anni vita.
Tenendo conto dei tempi lunghi che intercorrono tra l’inizio di un progetto e
la sua realizzazione, il rischio è di rimanere senza una strumentazione adeguata
a soddisfare le necessità che si andranno
presentando per stare al passo con le prossime scoperte.
Nel frattempo, comunque, buon cinquantesimo compleanno all’astronomia X!
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