una malattia scritta nel dna - Liceo Statale Alessandro Manzoni

Elisabetta Vozza IV Fs
IL CANCRO: UNA
MALATTIA SCRITTA
NEL DNA
Nella sfera cognitiva esistono alcuni concetti facili da descrivere
e comprendere.
Altri concetti, tuttavia, sono in apparenza concreti e ovvii da
definire, ma in realtà sfuggenti.
Sant’Agostino si chiedeva: «Che cosa è dunque il tempo? Se
nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne
spiegazione a chi me ne chiede, non lo so».
Ne è un esempio il concetto di malattia. La visione di malattia
da parte del medico è infatti diversa da quella del paziente.
La lingua italiana in questo caso non è d’aiuto. In italiano esiste
soltanto un solo termine per definire una malattia, l’inglese
invece ne distingue tre: Illness è la malattia intesa come
esperienza del paziente, disease è l’insieme di segni e sintomi
che utilizza il medico per fare una diagnosi, sickness è il
riconoscimento della malattia da parte del contesto sociale.
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Che cosa si intende per malattia?
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La stessa situazione si verifica per la definizione di salute. È più
sensato definirla in negativo (assenza di malattia) o piuttosto in
positivo (come stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale)?
Una visione soggettiva della malattia, ma anche il senso
comune, associano la malattia al concetto di danno arrecato da
qualcosa di esterno (e ostile), che turba l’equilibrio del nostro
corpo determinandone il malfunzionamento. Questa definizione
appare intuitivamente adeguata se riferita, per esempio, alle
malattie infettive.
Con l’Aids è infatti un agente esterno (il virus Hiv) a distruggere
le cellule del sistema immunitario. In questa visione della
malattia, il corpo è inizialmente un meccanismo perfetto, in
equilibrio e disegnato per funzionare bene, che viene però
intaccato dall’azione di un agente esterno.
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Questa visione non è tuttavia valida per tutti i tipi di malattie.
La causa vera e remota del cancro, ad esempio, non è un nemico
esterno, ma è scritta nei nostri geni. Non solo. Nel cancro c’è un
fattore fondamentale che nelle patologie infettive non è
presente: il caso.
Il nostro corpo è fatto di 100 mila miliardi di cellule,
microscopiche unità di alcuni millesimi di millimetro, con
funzioni specializzate.
Tutte le cellule del nostro corpo sono costituite da molecole, a loro
volta formate da atomi legati tra loro. Gli atomi sono le particelle di
cui è costituita la materia; in natura esistono diversi tipi di atomi: una
molecola è formata da due o più atomi, uguali o diversi, uniti insieme.
Atomi e molecole presenti nelle cellule obbediscono alle stesse leggi
della fisica e della chimica che governano il mondo inanimato.
Le cellule tuttavia posseggono due caratteristiche peculiari che le
distinguono dai sistemi inanimati: si riproducono e si sviluppano
secondo un «progetto interno».
Ciò è reso possibile dalla presenza in tutte le cellule di due tipi di
biomolecole complesse, costituite da piccole subunità: il DNA (o acido
desossiribonucleico) e le proteine .
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DA COSA SONO FORMATE LE
NOSTRE CELLULE?
Elisabetta Vozza IV Fs
Ogni molecola di DNA è una lunga sequenza di subunità chiamate
nucleotidi ; una proteina, invece, è una sequenza di amminoacidi.
È interessante osservare che i nucleotidi e gli amminoacidi sono
uguali in tutte le cellule di tutti gli organismi, ma sono organizzati
in sequenze diverse per produrre molecole con funzioni
differenti.
Le molecole di DNA presenti all’interno di una cellula
costituiscono il suo patrimonio ereditario o genoma .
Il compito del DNA è duplice:
1. contiene le informazioni necessarie per costruire e far
funzionare correttamente la cellula;
2. permette all’organismo di trasmettere le proprie caratteristiche
alla discendenza.
Tratti specifici del DNA, chiamati geni, contengono
l’informazione utilizzata dalla cellula per fabbricare le proteine.
Le proteine, oltre a costituire gran parte della struttura
dell’organismo, sono le molecole che guidano le attività
cellulari. Ogni organismo possiede geni specifici e quindi
produce proteine specifiche.
Il genoma di un organismo è composto da migliaia di geni. Se si
altera la sequenza nucleotidica di un gene, è facile che cambi
anche la proteina da esso codificata. Le alterazioni dei geni si
chiamano mutazioni.
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IL RUOLO DEI GENI
QUALI MUTAZIONI PORTANO
ALL’INSORGENZA DEI TUMORI?
PROTOONCOGENI
GENI
ONCOSOP
-PRESSORI
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Nel cancro la cellula perde il controllo del ciclo cellulare a causa
di mutazioni di due tipi di geni:
I proto-oncogeni sono geni che guidano la riproduzione
cellulare; quando parte del loro dna va incontro a una
mutazione, essi si traformano in oncogeni, ovvero geni che
favoriscono l’insorgenza del tumore segnalando alle cellule di
accellerare la loro crescita.
CHE RUOLO HANNO GLI
ONCOSOPPRESSORI?
Gli oncosoppressori svolgono invece l’azione contraria:
segnalano alle cellule di rallentare la loro crescita.
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CHE RUOLO HANNO I PROTOONCOGENI?
I tipi di mutazioni nei geni del
cancro
• Aggiunta, perdita o sostituzione di un nucleotide
AMPLIFICAZIONE
GENICA
• Creazione di più copie di un gene al fine di
aumentare la velocità di trascrizione
TRASLOCAZIONI
CROMOSOMICHE
• Alterazioni nella struttura dei cromosomi derivanti
da uno scambio di cromosomi non omologhi
INVERSIONI
DELEZIONI
• Inversione dell’orientamento di una regione di
cromosoma che porta a un’inversione nell’ordine dei
geni
• Errore nell’appaiamento dei cromosomi nel crossingover
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MUTAZIONI
PUNTIFORMI
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In generale, sono richieste mutazioni in entrambi i tipi di gene
perché si formi il cancro. Una mutazione limitata ad un
oncogeno verrebbe eliminata dai normali processi di controllo
della mitosi e dai geni suppressori dei tumori. Una mutazione di
un solo gene soppressore del tumore, sarebbe anch'essa
insufficiente per causare il cancro per la presenza di numerose
copie di "backup" dei geni che sopperirebbero alla sua funzione.
È solo quando un numero sufficiente di proto-oncogeni è
mutato in oncogeni e sufficienti geni soppressori del tumore
sono stati disattivati che la crescita cellulare aumenta
rapidamente completamente fuori controllo.
Le mutazioni nei proto-oncogeni e nei geni oncosoppressori
hanno diverse origini: possono essere ereditate, causate da
virus, da sostanze chimiche o dall’esposizione a radiazioni.
Tutti questi agenti mutageni sono definiti iniziatori.
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Questo spiega perché è più facile che un tumori si sviluppi negli
anziani, in quanto il naturale invecchiamento dei sistemi di
correzione dei difetti del dna impedisce la correzione degli errori
di trascrizione.
Alcuni tipi di virus possono causare mutazioni. Giocano un ruolo
importante in circa il 20% di tutti i tumori maligni. Ci sono
essenzialmente due categorie di virus tumorali: "a
trasformazione acuta" e a "trasformazione lenta". Nei primi le
particelle virali contengono in sè l'oncogene e per questo motivo
non hanno la necessità di attaccare il protoncogene della cellula
ospite come invece avviene nel secondo caso.
Nei virus a trasformazione lenta l'oncogene è inserito nel
genoma stesso del virus, prendendo il nome di virus oncogeno.
Il virus oncogeno non è nient'altro che un omologo, iperattivo e
mutato, di un gene implicato nella proliferazione cellulare e
lavora perciò rapidamente in tutte le cellule infettate.
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Ruolo delle infezioni virali
In condizioni normali esite nel nostro organismo un
meccanismo, l'omeostasi, l'equilibrio tra proliferazione e morte
cellulare programmata, di solito per apoptosi, che è mantenuto
regolando strettamente entrambi i processi per garantire
l'integrità di organi e tessuti. Le mutazioni nel DNA che
conducono al cancro, portano alla distruzione di questi processi
ordinati distruggendone i programmi regolatori.
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Come si arriva al tumore?
Nel nostro corpo esistono cellule che durano tutta la vita
dell’organismo, come quelle del sistema nervoso centrale o
quelle del muscolo cardiaco; ne esistono tuttavia anche altre che
vivono solo pochi giorni, come i globuli rossi o le cellule della
pelle.
Queste ultime si autodistruggono dopo un determinato periodo
di tempo e vengono rimpiazzate da altre. Il «suicidio» delle
cellule prende il nome di apoptosi o morte cellulare
programmata e si deve alla presenza di geni specifici, che
portano alla produzione di proteine che uccidono la stessa
cellula che li produce. Vengono inoltre prodotte anche sostanze
che stimolano l’attività fagocitaria delle cellule circostanti, dalle
quali verrà digerita.
Difetti nel meccanismo di apoptosi portano le cellule a saltare la
loro morte programmata e a continuare a dividersi.
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In cosa consiste questo eqilibrio?
L’apoptosi è un meccanismo di morte spontanea della cellula,
una sorta di suicidio cellulare.
Abbiamo diversi casi di apoptosi nel nostro organismo, ad
esempio l’apoptosi embrionale. Infatti negli embrioni sono
presenti delle parti che l’organismo adulto non presenterà, ad
esempio le dita palmate.
In questo caso si tratta di apoptosi
per cause fisiologiche. Altre cause
(patologiche in questo caso)
possono essere invece i danni al
dna, l’accumulo di proteine
tossiche o alcuni virus.
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In cosa consiste l’apoptosi?
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Il meccanismo dell’apoptosi è gestito da particolari enzimi, che
prendono il nome di caspasi; essi sono enzimi proteolitici,
ovvero capaci di tagliare le proteine. Possiamo infatti paragonarli
a un paio di forbici, che vanno a resecare una parte della catena
proteica. Questo taglio però non è distruttivo, bensì attivante,
in quanto spesso accade che alcune proteine presentino una
regione bloccante, un componente superflua che ostacola la
loro attività.
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Il problema, nel caso dei tumori, sorge quando i geni che
regolano l’alternanza divisione- morte programmata subiscono
una mutazione che non viene rilevata dai meccanismi di
controllo naturali e quindi non viene corretta.
Talvolta dunque questa mutazione porta all’attivazione di alcuni
geni (normalmente silenti) che regolano la duplicazione cellulare
e che quindi vengono resi funzionanti anche in assenza di un
comando esterno.
Il risultato è una cellula in grado di moltiplicarsi
indiscriminatamente.
In campo medico il cancro viene meglio definito come neoplasia
(nuova formazione). La neoplasia viene definita come «massa
abnorme di tessuto la cui crescita è scoordinata e indipendente
dai fattori di crescita».
Una delle prime diagnosi di questa patologia risale ad Ippocrate
(IV secolo a.C.). Fu lui ad usare per la prima volta il termine
cancro (da greco karkinos, che significa granchio).
Si racconta infatti che Ippocrate fu uno dei primi a riconoscere
un cancro alla mammella tastando il seno di una delle sue
pazienti, dove egli rilevò dei noduli. Queste formazioni furono
da lui paragonate a dei piccoli granchi, che si riproducevano e
davano origine a piccoli nodulini diffusi in tutti il corpo (le
metastasi).
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L’inizio del tumore
«massa abnorme di tessuto la cui crescita è
scoordinata e indipendente dai fattori di crescita».
Massa
abnorme
non presente in
soggetti sani
Crescita
scoordinata
osservata al
microscopio
non c’è
architettura
Indipendente
dai fattori di
crescita
capace di
riprodursi
all’infinito
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La definizione contiene gran parte delle caratteristiche delle
cellule cancerose:
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La rapida e incontrollata proliferazione delle cellule cancerose
può portare a tumori benigni o a tumori maligni (cancri). I
tumori benigni non si estendono ad altre parti del corpo, non
invadono altri tessuti e raramente costituiscono un pericolo per
la vita dell'individuo.
I tumori maligni possono invadere altri organi, estendersi in
organi distanti (metastasi) e mettere in pericolo la vita.