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Roberto Weitnauer
Stesura: 18 marzo 2004
(14921 battute)
Scritto d’origine pubblicato e diritti ceduti a terzi
Il passato della biosfera permane in ogni individuo
La teoria della ricapitolazione fu formulata nella seconda metà del XIX secolo dal
tedesco Ernst Haeckel. Essa afferma che lo sviluppo di ogni nuovo organismo
evoluto ricalca dalla fecondazione in poi la lunga storia dell’evoluzione, come in una
sorta di filmato condensato della vita sul pianeta.
Così, le fessure branchiali che contraddistinguono la formazione del feto umano,
ad esempio, sarebbero un chiaro indizio del fatto che il nostro sviluppo nell’utero
materno passa per la fase dei pesci, nostri lontani antenati.
La teoria haeckeliana è stata origine di confusione e polemiche, sino ai nostri
tempi. Per molti profani essa corrisponde a verità. Nell’ambito della moderna
biologia il principio di Haeckel non può però più essere accettato. Ciò non toglie che
sia possibile riscontrare nella materia viva in formazione delle chiare tracce del
passato della biosfera.
Non sussiste durante l’embriogenesi una ricapitolazione della vita adulta dei
predecessori, nondimeno le specie evolute condividono con quelle meno recenti i
piani fondamentali di sviluppo, diversificandosi solo negli stadi più avanzati della
maturazione.
Un promemoria nella materia biologica
Siamo soliti riassumere le situazioni per capire e orientarci. Ricapitoliamo fatti e
ragionamenti prima di guardare avanti. È per gli scienziati singolare notare come
anche la materia cellulare sembri talora attingere a un “promemoria” all’atto del
completamento di una nuova creatura, quasi che, per usare un’immagine di comodo,
anch’essa debba raccapezzarsi e rievocare il passato per continuare la vita.
Un tempo non troppo lontano gli insegnanti di biologia raccontavano nelle aule
scolastiche che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, ovvero che un organismo che si
accresce dall’uovo fecondato (ontogenesi, la genesi dell’essere individuale), passando
per vari stadi morfologici, ripercorre in forma condensata le tappe battute sul pianeta
dai suoi predecessori adulti (filogenesi, la genesi della stirpe).
Ma davvero possiamo sostenere che lo sviluppo individuale sia una sorta di filmato
accelerato dell’evoluzione di una specie? È questa regoletta a costituire il
promemoria di Madre Natura? Trovare delle risposte ci servirà a superare polemiche
annose e confuse e, soprattutto, a comprendere i legami tra gli individui e il viaggio
nel tempo della biosfera terrestre.
La regola in oggetto, classificata negli annali biologici come legge biogenetica o
teoria della ricapitolazione, risale al 1866 ed è opera di Ernst Haeckel, artista e
zoologo tedesco che tra l’altro coniò il termine “ecologia” e fondò l’eugenetica. Egli
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fu ispirato nella sua congettura sia dalla visione naturalistica di Goethe, celebre
scrittore e poeta del Romanticismo, sia dai principi evolutivi elaborati da Charles
Darwin. L’ontogenesi cui si riferiva Haeckel era soprattutto l’embriogenesi, il
processo che vede un embrione formarsi, accrescersi e modellarsi verso stadi più
maturi, a partire dall’uovo fecondato.
Il tedesco era in sostanza convinto che l’accrescimento dell’embrione di una specie
superiore comportasse nell’utero materno una transizione per assetti simili a quelli
dei pesci, poi dei rettili, per toccare infine nello stadio più avanzato la sua tipica
condizione evoluta e raffinata. Nell’ottica haeckeliana più una specie è evoluta e
maggiori sono le tappe filogenetiche riflesse nello sviluppo dell’individuo.
Le evidenze citate dagli haeckeliani sono fasulle
Per fare un esempio, il fatto che la maturazione dell’embrione di pollo mostri a un
certo punto un’appendice caudale, poi riassorbita con la comparsa degli arti, era per
Haeckel un chiaro indizio di ricapitolazione filogenetica. Infatti, nell’evoluzione delle
specie vertebrate i pesci, che si muovono mediante tipici movimenti della coda,
precedettero gli anfibi che poterono passare alla terraferma, grazie alla formazione di
zampe.
Molto suggestiva era per i ricapitolazionisti la comparsa negli embrioni umani in
procinto di diventare feti (verso la nona settimana di gestazione) di strutture simili
alle fessure branchiali. Secondo loro si trattava delle vestigia di pesci adulti, nostri
antenati. Peraltro, costoro puntavano il dito anche sul fatto che durante la gestazione
un abbozzo di coda fa la sua comparsa nell’embrione umano. Per gli haeckeliani il
sacco vitellino richiamava invece il retaggio ancestrale dell’uovo, rimasto in qualche
modo anche nello sviluppo embrionale delle specie vivipare. Si tratta realmente di
rimasugli filogenetici trasmutati dall’embriogenesi?
La risposta è negativa. In tempi moderni gli studiosi hanno concluso che le fessure
branchiali non sono funzionali, non sono assoggettabili a branchie, tantomeno
precorrono i polmoni. Si tratta invece d’invaginazioni da cui traggono origine una
parte del condotto uditivo, la mandibola, la paratiroide e il timo. La coda, dal canto
suo, è solo apparente, in quanto dipende semplicemente dalla crescita della spina
dorsale prima che compaiano gli arti. Il sacco vitellino, infine, è un annesso che
genera sangue per il nascituro. Non siamo quindi affatto in presenza di resti biologici
ancestrali, divenuti poi superflui.
Ricapitolazionismo e darwinismo
Eppure, l’ipotesi haeckeliana si è radicata in modo sorprendente nella cultura. Non
poche persone credono alla storia delle branchie o della coda di lucertola. Sono
purtroppo ancora in circolazione libri di testo che ne recano chiara traccia.
L’equivoco non ha mancato di scatenare reazioni violente, anche recenti, contro la
teoria dell’evoluzione darwiniana cui Haeckel si è parzialmente ispirato. I
“creazionisti” oggi sopravissuti paiono in effetti sempre pronti a distruggere l’idea di
un regno vivente condizionato dai propri trascorsi e non direttamente da un disegno
esterno.
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Tuttavia, l’insostenibilità del ricapitolazionismo non prova affatto la debolezza
della teoria darwiniana, né obbliga a rinnegare l’idea che il tempo dell’evoluzione
lasci tracce profonde nella formazione di ogni nuovo individuo. Come anzi ora
vedremo, non solo il darwinismo è in radicale contrasto con il ricapitolazionismo, ma
ci può aiutare a comprendere come individuare i segni del passato nell’embriogenesi
delle specie biologiche superiori.
Haeckel, come Darwin, era un trasformista in un’epoca in cui abbondavano le
ipotesi di una biosfera statica e stabilita una volta per tutte attraverso atti creativi. In
questo egli è stato certamente uno scienziato moderno, quasi coraggioso, in un’epoca
fortemente conservatrice e rigida. Ma su tutti gli altri fronti il ricapitolazionismo e il
darwinismo hanno ben poco da spartire.
Ricordiamo che la teoria dell’evoluzione si fonda sulla selezione naturale, fattore
oggettivo ambientale che decreta imprevedibilmente quali caratteri vengano premiati,
e quindi ereditati dalle specie, e quali condannino invece i portatori che li esprimono
a difficoltà riproduttive più o meno pronunciate. In altre parole, la teoria
dell’evoluzione implica un processo di adattamento per eredità e opportunità.
La teoria del ricapitolazionismo allude invece a un’opposizione tra non meglio
definite forze formatrici interne ed esterne. In questo Haeckel era decisamente meno
progressista e seguiva il solco improduttivo scavato dagli scienziati che avevano
preceduto Darwin. Come questi studiosi della vecchia guardia, egli alludeva con la
sua ipotesi a un determinismo che orientasse la materia organica a organizzarsi in un
certo modo, non certo a sviluppi occasionali in un ambiente imperscrutabilmente
variabile. In questo senso le congetture del tedesco non erano nemmeno troppo
dissimili dalla visione dei creazionisti di oggi.
La neotenia contraddice il ricapitolazionismo
Ebbene, le critiche di principio più incisive a Haeckel fanno uso proprio dei
concetti inerenti la selezione naturale darwiniana. Con queste obiezioni allargheremo
ora in modo interessante il punto di vista biologico e, come si accennava,
preserveremo l’idea cruciale che il passato resti impresso a fuoco nella materia
vivente. Ci appelleremo per questo a un processo ontogenetico selezionato
dall’ambiente che Haeckel non conosceva. Si tratta della neotenia che è la
conservazione in una specie di tratti giovanili dei suoi precursori.
Noi umani siamo tipici animali neotenici, poiché corrispondiamo sotto vari aspetti
a bambinoni neandertaliani o a scimmie non del tutto cresciute. La mancata
maturazione si riscontra ad esempio nel nostro cervello plastico e di grandi
dimensioni relative. Negli altri primati la crescita del corpo prevale a un certo
momento di netto su quella del cervello e quest’ultimo si irrigidisce nei suoi schemi
neurali.
È dunque grazie a una qualità acerba che usufruiamo della capacità protratta di
apprendere. Questo ritardo di crescita tra i primati è documentato per molti aspetti,
ben oltre la sola questione cerebrale. Del resto, anche i primati sono neotenici tra i
mammiferi. La neotenia è comunque una forma d’immaturità protratta che si può
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riscontrare in molte specie. Questo è come dire che i ritardi di crescita sono stati
molte volte favorevolmente selezionati dall’ambiente. Questo ci deve far riflettere.
Se infatti la teoria della ricapitolazione fosse corretta, cioè se fosse vero che le
tappe evolutive raggiunte dai precursori risultano sistematicamente compresse in
sequenza nello sviluppo del discendente, allora quest’ultimo dovrebbe manifestare
un’accelerazione negli stadi di crescita, non un ritardo. In particolare, l’essere umano,
l’animale più complesso che esista, dovrebbe ricapitolare le fasi mature delle specie
che l’hanno preceduto, non arrestare la propria crescita prima. La neotenia
contraddice il principio della ricapitolazione, essendone dopotutto l’esatto contrario.
Una base comune di sviluppo
Gli studiosi sanno oggi che lo sviluppo degli organi può essere o non essere
rallentato, a seconda di come agisce la selezione sulle specie. Le combinazioni e i
gradi di ritardo si distribuiscono a mosaico nel regno della vita. Un embrione precoce
di uomo, di pollo, di salamandra e di pesce sono talmente somiglianti che solo un
esperto può distinguerli; fino a quel punto la crescita è quindi simile. Grandi diversità
compaiono però negli stadi successivi. Ogni carattere segue un proprio percorso
evolutivo, sorgono sfasature nei ritmi di crescita e i confronti diventano difficili.
Quello che qui si può dire è che la selezione naturale ha plasmato varie
configurazioni biforcanti di crescita su una base comune. Questo è un punto molto
importante. Non esiste una vera ricapitolazione filogenetica, ma ci si accorge che
sussiste una ricapitolazione embriogenetica delle fasi precoci. Questo vuol dire che
nella formazione di un animale più evoluto si riscontrano i medesimi sviluppi iniziali
di un animale meno evoluto. Per essere ancora più chiari, le famose formazioni
pseudo-branchiali degli embrioni umani non rispecchiano l’esistenza di un pesce
adulto nostro capostipite, ma indicano comunque che tutti i vertebrati hanno la
medesima origine embrionale; uomini, pesci o polli.
Lo sviluppo di ogni creatura vivente a seguito della fecondazione è un periodo
molto critico e difficile. Da cellule iniziali indifferenziate prende corpo per passaggi
successivi un complesso biologico integrato e funzionante in ogni sua parte. Per
ottenere questo risultato eccelso l’evoluzione ha dovuto però attentamente calibrare la
graduale e delicata specializzazione delle cellule.
Il promemoria cui fa capo Madre Natura, per riprendere il termine usato all’inizio
dell’articolo, sta nel fare tesoro di processi di accrescimento e specializzazione che,
per modo di dire, sono già stati “testati” nel passato e in cui tutto ha dimostrato di
funzionare a dovere. Uno sconvolgimento di questi processi potrebbe avere
conseguenze catastrofiche per la sopravvivenza di ogni nuovo organismo in
formazione. L’evoluzione ha quindi dovuto operare in modo conservativo.
L’ontogenesi come un castello di carte
Quello che insomma gli haeckeliani non avevano considerato a fondo è che le
specie viventi ereditano interi piani di formazione, non un progetto per la sola
manutenzione della vita adulta. Non basta infatti che il soggetto maturo sia adattato
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all’ambiente, lo deve essere in ogni momento anche l’individuo acerbo che lo precede
nell’ontogenesi, altrimenti la fase adulta medesima non può essere raggiunta.
Il conservatorismo dell’evoluzione non può essere però totale, dal momento che
ciò impedirebbe l’evoluzione stessa. In effetti, nel corso del tempo le specie sono
potute andare incontro a svariate modifiche dei loro piani di formazione ontogenetica
e quindi del loro assetto adulto. Com’è noto, i cambiamenti nel regno vivente sono
promossi da accidentali mutazioni genetiche. Affinché queste vengono selezionate
dall’ambiente, è dunque necessario che le fasi embriogenetiche, seppure alterate, non
subiscano stravolgimenti di fondo.
Pensiamo in questo senso all’ontogenesi come a un castello di carte che poco alla
volta erigiamo e modifichiamo. L’equilibrio della delicata costruzione è una
questione di configurazione ed è quindi importante il modo in cui aggiungiamo
elementi. Se, invece di apportare volta per volta cambiamenti minimi, sostituiamo in
un sol colpo un gran numero di carte è probabile che il castello crolli sul tavolo.
Analogamente, non possiamo nutrire una grande fiducia nella sua stabilità se
interveniamo sulle carte che stanno alla sua base, le prime che abbiamo posizionato.
Migliori sono le prospettive se ci limitiamo ad apportare lievi interventi nei piani alti
dell’opera.
In questo parallelo la costruzione del castello rappresenta l’azione esercitata
dall’evoluzione naturale sul modellamento del codice genetico, la stabilità del
castello rappresenta la sopravvivenza dell’embrione in formazione, infine le
dimensioni del castello la complessità dell’organismo adulto. L’esempio riesce
dunque a mettere in mostra come i progetti genetici di formazione biologica si
debbano sviluppare essenzialmente per lievi modifiche e aggiunte in corrispondenza
delle istruzioni più recenti.
Il passato imprime segni durevoli
I primi stadi dell’embriogenesi sono senza dubbio quelli più fondamentali, mentre
gli ultimi sono processi di affinamento o estensioni. Ad esempio, la prima cosa che fa
la cellula uovo fecondata è dividersi in due unità identiche, un’azione veramente
ancestrale, scritta nei fondamenti del genoma di ogni cellula del regno vivente. Si
capisce che un’alterazione di queste istruzioni di base sconvolgerebbe
drammaticamente la crescita di ogni organismo, un processo finemente calibrato che
avviene appunto per proliferazione cellulare.
Più tardi le cellule, oltre a dividersi e proliferare, si specializzano, esprimendo
alcuni geni e disattivandone altri. Tutto ciò avviene in virtù di una stupefacente
sequela di interazioni tra il genoma e l’ambiente embriogenetico in cui cresce il
nuovo individuo. Mutazioni che dovessero alterare i primi stadi di sviluppo,
avrebbero in generale ripercussioni pesanti sulle sequele interattive rimanenti e
quindi effetti deleteri sull’organismo in formazione che si specializza gradualmente.
Ricapitolando, comprendiamo che l’evoluzione procede su ogni linea filogenetica
per modifiche e aggiunte alle fasi di sviluppo embriogenetico più avanzate,
mantenendo sostanzialmente inalterate quelle più precoci. Ciò ha come conseguenza
la circostanza che ogni nuovo individuo che si forma a partire dalla fecondazione
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percorre una serie di tappe cronologiche condivise con le specie che l’hanno
preceduto nel regno vivente. Le sue particolarità adattive compaiono tendenzialmente
nelle ultime fasi di sviluppo. La teoria di Haeckel è oggi inaccettabile, ma è pur vero
che il passato della biosfera permane in ogni individuo in forma vitale e attiva.
L’evoluzione, esordendo con i batteri, le più semplici cellule che esistano, ha
operato in habitat variabili per successive piccole sottrazioni e sostituzioni, ma
soprattutto aggiunte, sino a generare un organismo come l’uomo, il più complesso e
affascinante castello di carte biologico che sia mai esistito sul pianeta.
Roberto Weitnauer
L’immagine successiva mostra un disegno di Haeckel. Gli embrioni illustrati sono nell’ordine
(da sinistra) di pesce, di salamandra, di tartaruga, di pollo, di maiale, di vacca, di coniglio e di
uomo. La raffigurazione è artisticamente pregevole, ma contiene alcune imprecisioni e,
probabilmente, alcune forzature che l’autore aveva compiuto per avallare la sua teoria.
6/6