Venezia e l’Oriente Il 1° giugno prossimo, Jordi Savall aprirà il terzo Festival Monteverdi Vivaldi alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista insieme a cantanti e strumentisti provenienti da Turchia, Israele, Armenia, Grecia, Marocco e Catalogna. Ci ricorderanno che la musica veneziana è anche quella di un impero, quello mediterraneo, e il risultato di processi permanenti di scambio tra la Serenissima e l’Oriente. Fin dalla fondazione del Venetian Centre for Baroque Music, scegliendo il leone di Ectabana come emblema, abbiamo voluto sottolineare le radici orientali del simbolo di San Marco. Oggi, l’evento eccezionale che porta a Venezia, parallelamente al vernissage della Biennale, l’arrivo a Venezia di uno dei pionieri della rinascita del barocco, ci dà lo spunto per riflettere sui 1500 anni di affinità tra la Città dei Dogi e l’Oriente. Benedetto Floriani, Spinetta decorata all’orientale, Venezia, 1572. Bisanzio Fin dalle fine del VI secolo, Bisanzio è legata alla nascita di Venezia. I Bizantini, allora insediati nell’Italia del Nord, favoriscono la fondazione di questa nuova città lagunare dove gli abitanti della regione si ritirano, respinti dai Lombardi. La futura Serenissima è amministrata da Bisanzio dall’esarca di Ravenna. Nel 751, la caduta dell’esarcato favorisce l’emancipazione del doge, eletto dalle popolazioni della laguna; però Venezia rimane una provincia bizantina e il suo doge resta hypatos (console imperiale). Fin dalla sua fondazione, la città è dunque considerata come terra d’Oriente isolata in Occidente; l’archittetura della città è sotto l’influenza bizantina. Il porto di Torcello è un’enclave bizantina; ci si scambiano tessuti di seta, spezie e metalli preziosi contro sale, legno, ma anche schiavi catturati durante le razzie nei territori germanici e franchi. Quando Rialto soppianta Torcello nell’occupazione lagunare, la flotta veneziana diviene il braccio armato di Constantinopoli contro i musulmani e contro i Normanni nel Mediterraneo. Gli interessi militari sono sempre legati a una strategia comerciale: Venezia domina l’importazione di prodotti orientali in Europa, superando Pisa e Genova nel bacino mediterraneo fino al XV secolo. È d’altronde grazie alle sue attività mercantili che la Città dei dogi acquista le reliquie di San Marco, nel 828 ad Alessandria. Fiera del suo santo patrono e sicura del suo buon diritto, la città sancisce l’indipenza del proprio clero nel 997. Da questa data, le relazioni specifiche che la Serenissima mantiene nello stesso tempo con gli imperi di Oriente e di Occidente ne fanno il luogo di lotte di influenza di cui approfitta nell’ambito della riforma gregoriana e dello scisma orientale. Nel 1053, il papa Leone IX riconosce l’esistenza del clero veneziano mentre con l’editto del 1082, l’imperatore d’Oriente concede ai veneziani importanti colonie, che beneficiano di un’esenzione dei diritti di dogana. Nel 1094 la basilica San Marco è solennemente consacrata, sul modello archittetturale bizantino (pianta a croce greca a cinque cupole) per affermare la sua autonomia nei confronti di Roma. All’epoca era considerata il monumento più sontuoso del mondo cristiano. All’alba del secolo XIII, è a una vasta operazione legata agli interessi dei Cristiani in Oriente che Venezia deve l’affermazione della sua supremazia sul mondo mediterraneo: la IV crociata. Il doge Enrico Dandolo, nonostante la sua età e la sua cecità, assume un ruolo decisivo nella storia veneziana. Per finanziare un gruppo di crociati altrimenti squattrinati, decide di garantirsi un’ipoteca sulle loro conquiste future e di partecipare personalmente all’impresa. Nel 1203, Constantinopoli è presa. Veneziani e Franchi dividono il bottino (tra cui i famosi quattro cavalli di bronzo dorato dell’ippodromo di Constantinopoli, che domineranno da qui in avanti la facciata della basilica di San Marco). Venezia ottiene tutta una parte della città (tra cui la basilica Santa Sofia), ma anche dell’impero – esattamente i tre ottavi, un territorio immenso in proporzione ai possedimenti precedenti della città. Così la Serenissima si trova alla testa del solo vero impero coloniale del Medioevo; alla metà del XV secolo, un patrizio veneziano proclama che i tre porteri i più importanti al mondo sono l’imperatore, il papa e il doge. Venezia diviene una tappa del viaggio in terra santa; prende dunque il l’allure di città santa, dove i pellegrini venerano le reliquie prima di partire per l’Oriente. Anonimo veneziano, L’accoglienza degli ambasciatori veneziani a Damasco, Venezia, 1511. Venezia e il mondo musulmano I primi trattati comerciali importanti firmati con i Musulmani risalgono all’apice della dinastia dei Mameluk. Questi governano l’Egitto e la Siria dal 1250 al 1507. Accordano vari agevolazioni ai Veneziani, specialmente a Damasco e ad Aleppo, che divengono allora le due enclave più importanti della Serenissima in Medio Oriente. Per sviluppare questi scambi comerciali, numerosi giovani patrizi veneziani si formano nell’area orientale del Mediterraneo per imparare la contabilità, le tecniche del comercio e sopratutto l’arabo. Da questa lingua, i Veneziani adottano alcune parole relative al comercio (doana, tariffa) oppure al lusso (sofa, divan). Oggi il simbolo più famoso del sogno orientale di Venezia è datato XIII secolo; è l’incredibile viaggio di Marco Polo e il suo Libro delle Meraviglie (1298). In questo periodo e nel secolo successivo, gli artigiani veneziani imitano alcune tecniche orientali, in particolare nella manifattura del vetro, delle stoffe, dei metalli, della ceramica e delle pelle. Anche l’archittetura islamica fa la sua entrata nella Città dei dogi. Come nei palazzi del Levante, si introduce al centro dei patio dei palazzi veneziani una cisterna per raccogliere l’acqua. Le altane sono delle terrazze che vogliono ricordare i tetti piatti delle case orientali. Ricostruito dal 1341, il Palazzo ducale vuole riferirsi ai palazzi di Salomone descritti nella bibbia; così si può vedere, sulla facciata, dei motivi a losanga ispirati dalle ceramiche iraniane e irachene, e una cima merlata che si rifà alla tradizione mameluk. Come al Palazzo ducale e a Ca’ d’Oro, le finestre dei palazzi veneziani sono composte di ogive i cui angoli superiori sono occupati da figure circolari: si tratta di un prestito dal mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca nelle moschee. Infine, il dedalo delle calli veneziane ricorda stranamente quello delle medine. Nel 1415, un grande trattato di pace è firmato con i Mameluk. Non possedendo una flotta marittima, questi si rimettono ai Veneziani per la loro protezione nel Mediteranneo. Le ambasciate si moltiplicano, accompagnate dai piffari veneziani, le trombe che affascinano i sultani – i quali fanno accompagnare dai loro migliori musicisti i diplomatici in viaggio verso Venezia. Nel 1432, si ricopre il campanile della cattedrale di San Pietro di calcare bianco per ricordare il faro di Alessandria… Nel 1453, Constantinopoli cade di fronte a Mehmet il Conquistatore; ecco il vero atto di nascità dell’Impero ottomano. Tutti i manoscritti greci della Biblioteca bizantina sono resi a Venezia. Le carte sono redistribuite: ormai il bacino mediterraneo sarà il teatro di un lungo confronto tra Veneziani e Turchi, che si concluderà solo quattro secoli più tardi a favore dell’Impero ottomano, senza tuttavia alcuna interruzione degli scambi comerciali. Contro i Turchi, Venezia svilupperà le sue relazioni con la Persia sotto il regno di Uzun Hassan (1453-1478). Parallelamente, si pubblica per la prima volta Averroes a Venezia, e la «moda mameluk» si impadronisce della pittura veneziana, come illustrano le tele di Vivarini, Carpaccio, Cima da Conegliano, Giovanni e Gentile Bellini. Quest’ultimo passa due anni a Istanbul, dal 1479 al 1481, su invito del sultano Mehmet che vuole impossessarsi delle tecniche dell’arte italiana e gli commissiona il suo ritratto. Per la sua famosa Predicazione di San Marco a Alessandria, Gentile Bellini utilizzerà i suoi quadernetti di disegno riportati da Istanbul. Gentile Bellini, Predicazione di San Marco a Alessandria, Venezia, 1507. Nel 1520, l’avvento di Solimano il Magnifico estende considerevolmente l’Impero turco, che annette Alger, Tunis e Belgrado – tappa strategica verso Vienna. Ibrahim Pacha, il grande visir di Solimano, diviene l’amico di Alvise, figlio illegittimo di Andrea Gritti, futuro doge di Venezia (r. 1523-1538), allora residente a Istanbul per fare commercio… Nel 1563, Veronese dedica tutto il quarto inferiore sinistro delle sue Nozze di Cana agli ospiti orientali alla tavola del Cristo. Parallelamente, la scoperta del nuovo mondo sposta all’Ovest il centro geopolitico dell’Europa; ecco l’inizio del declino della Serenissima. Nel 1571, la famosa vittoria di Lepanto non porta nulla di sostanziale a Venezia: con il trattato del 1573 firmato con i Turchi, la Città dei dogi perde Cipro in cambio della continuità degli accordi comerciali. Tra il 1645 e il 1669, al termine di una nuova guerra contro gli Ottomani, Venezia perde la Creta. Ultimo bastione della cristianità contro i Turchi, la Serenissima cede terreno. Venezia, Fontego dei Turchi. Apertura All’inizio del XVI secolo, Venezia afferma la propria indipendenza nei confronti di Roma, accogliendo in città prima una importante comunità protestante al Fontego dei Tedeschi, ma soprattutto concedendo il diritto di cittadinanza agli ebrei. Nel 1529 la prima sinagoga v fondata al Ghetto nuovo, la Scuola grande tedesca; e la seconda nel 1532, la Scuola canton. Nel 1580, ci saranno sei sinogoghe a Venezia. Una volta di più, questo pragmatismo veneziano è spiegato da velleità economiche; si tratta di utilizzare le minoranze religiose al servizio del commercio: gli ebrei rappresentano una porta privilegiata aperta sull’Impero ottomano. Come testimonia la creazione dell’Accademia degli Imperiti Bezokrenu e Zion nel 1628, la musica ha sempre rivestito un ruolo importante per gli abitanti del Ghetto, tanto nella vita quotidiana quanto nell’esercizio del culto. La dimensione sacra che gli ebrei attribuiscono al canto si riferisce specialmente al re Davide, che declamava i salmi accompagnandosi con la lira; tutte le letture fatta ad alta voce nella sinagoga sono salmodiate e monodiche. La presenza degli ebrei a Venezia affascina l’Europa. In Inghilterra, Shakespeare compone due tragedie sul soggetto: Il Mercante di Venezia nel 1595 e Otello, il Moro di Venezia nel 1604. Gli interessi commerciali dei Veneziani spiegano un’altra presenza sorpredente sul loro territorio: quella dei Turchi stessi. Creato nel 1621, il Fontego dei Turchi ospita un hammam e una moschea. Si tratta della sola presenza ottomana regolare in terra cristiana. Sullo schacchiere mediterraneo, un’altra arma di negoziato con i Turchi è l’alleanza della Città dei dogi con i Persani. Nella prima metà del XVII secolo, le delegazioni diplomatiche del Shah sono sempre più numerose a Venezia (ne sono testimonianza i vari tappeti persani regalati alla Reppublica). Queste sono spesso accompagnate da Armeni. Come sappiamo, la Reppublica di Venezia si spegne nel 1797; però non il sogno orientale della Serenissima – che continuirà a ispirare vari artisti e intellettuali, come John Ruskin che conferma che «I veneziani meritano una menzione speciale perché è l’unica popolazione europea che sembra aver capito l’istinto meraviglioso delle razze orientali.» All’alba del XX secolo, Mariano Fortuny rende omaggio alla storia orientale di Venezia attraverso le sue lampade e le sue famose stoffe… Oggì è a Jordi Savall che dobbiamo l’apertura di un cantiere di ricerca appena intaccato: quello degli scambi musicali tra la Città dei dogi e l’Oriente. Il grande musicista ha desiderato lasciare la parola ad Amin Maalouf, di cui le parole avranno una risonanza particolare, qualche giorno prima del nostro appuntamento del 1 giugno alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Olivier Lexa Un dialogo delle anime Oggi, il nostro mare comune è il luogo dove si eleva la Muraglia invisibile che divide il pianeta tra un Nord spaventato e un Sud disperato; e tra comunità planetarie che hanno l’abitudine di non fidarsi dell’«altro» e di distinguersi. Il mondo arabo e il mondo ebreo sembrano avere dimenticato la loro feconda parentela di una volta; l’Oriente musulmano e l’Occidente di tradizione cristiana sono impegnati in un dialogo tra sordi. Per rendere alla nostra umanità scombussolata qualche segnale di sperenza, bisogna andare oltre un dialogo delle culture e delle religioni, verso un dialogo delle anime. Tale è, in questo inizio di XXI secolo, la missione insostituibile dell’arte. Ed è precisamente ciò che proviamo all’ascolto di queste bellissime musiche del perimetro mediterraneo, nate in epoche e terre diverse. Improvvisamente scopriamo, o ri-scopriamo che le civiltà che ci sembrano lontane tra di loro, e anche nemiche, sono sorprendentemente vicine e complici. Nel corso di questo viaggio nel tempo e nello spazio, ci chiediamo a ogni momento se i conflitti ai quali siamo abituati non siano ingannevoli, alla fine, e se la verità degli uomini e delle culture non risieda piuttosto in questo dialogo degli strumenti, delle voci, degli accordi, delle cadenze, delle improvvisazioni e dei respiri. Amin Maalouf Tullio Lombardo, San Marco curando Aniamus, Venezia, 1489-1490 (dettaglio). Bassorilievo della facciata della Scuola Grande di San Marco, Venezia.