UNA BREVE STORIA DELLO “STANDARD” NELLA MUSICA JAZZ (di UMBERTO PETRIN) Nella musica Jazz, con il termine “standard” si intende un brano che tutti i musicisti conoscono e che può essere eseguito durante le “Jam Sessions” (incontri estemporanei tra musicisti) senza necessità di prove. Solitamente, nei primi decenni del ‘900, lo standard era rappresentato da una canzone, spesso tratta da musicals, ma con il passare degli anni è accaduto che gli stessi musicisti scrivessero brani di particolare successo o che suscitassero un tale interesse tra i colleghi da farli ritenere automaticamente “standard”. La struttura di questi brani è piuttosto costante, forma canzone in 4/4 o 3/4, 32 battute, tonale. Nelle varie epoche lo standard è sempre stato un contenitore (e lo è ancora oggi, spesso per fini didattici) all’interno del quale ciascun musicista poteva verificare ed approfondire la propria attitudine all’improvvisazione o sperimentare nuove soluzioni. All’inizio degli anni ’40, con l’ascesa del Jazz moderno, il BeBop, divenne consuetudine prendere la struttura armonica di una canzone e ricostruirne la parte melodica, spesso (come accade in molti temi di Charlie Parker) sostituita da una vera e propria improvvisazione “scritta”, che quindi diventava il nuovo tema. Il nuovo standard cambiava di conseguenza anche il titolo. Pertanto la vecchia canzone “How high the moon” si trasformava in “Ornithology”. Un altro sistema consisteva nel mantenere la melodia originale della canzone, cambiandone invece la struttura armonica. Questa pratica continuò anche nel “Cool Jazz” degli anni ’50, in modo ancor più evidente. I capiscuola, come Lennie Tristano o Lee Konitz, usavano scrivere temi molto articolati, spesso assai complessi, sullo scheletro armonico di vecchi standard. Ovviamente, come già detto in precedenza, parallelamente alle canzoni nascevano anche nuovi brani di repertorio, costituiti da temi scritti interamente dai vari musicisti, che quindi proponevano nuove forme in base agli sviluppi che nel corso del ‘900 q uesto genere andava affrontando. Conseguentemente all’invenzione della Bossa-Nova brasiliana, sviluppatasi soprattutto negli anni ’60, molti di quei temi (parecchi dei quali scritti da Antonio Carlos Jobim) divennero standard. Con l’avvento dell’avanguardia del “Free Jazz” (1960), lo standard perse molto del suo potere. Il linguaggio cambiava e così pure mutavano le regole (infatti ,contrariamente a quanto si possa pensare, anche il Free ha le sue regole, a volte ancor più rigorose che in altri stili). Nonostante ciò, va rilevato che alcuni temi del Free (ad esempio “Round Trip” o “Lonely woman” di Ornette Coleman) sono divenuti a loro modo come standard, per coloro che praticano il genere. Negli anni successivi la musica Jazz assu nse molteplici ramificazioni, questo anche a causa dell’incontro con altri generi, come il Rock, la musica Popolare di tradizione (o Etnica, che dir si voglia), il Pop o l’Elettronica. Emersero quindi i nuovi standard e Miles Davis (quello più recente del “periodo elettrico”) proponeva negli anni ’80 brani di Michael Jackson o di Cindy Lauper. Iniziò quindi una serie di rivisitazioni in chiave Jazz di brani Pop o Rock. Anche in Italia le canzoni dei vari cantautori (Tenco, Bindi, De Andrè, Fossati , Battisti ecc.) sono trattate ancora oggi alla stregua degli standard. UNA SINTETICA STORIA DEL JAZZ : LE ORIGINI Per la sua struttura e il suo tipico ritmo in 2/4, certamente il ragtime è da considerare come una prima forma embrionale di jazz. Sviluppatosi a cavallo tra l’800 e il 900, ebbe come suo principale esponente il leggendario Scott Joplin. Ma la patria del jazz fu indubbiamente New Orleans . Da lì provengono pionieri come Jelly Roll Morton, Joe “King” Oliver e Buddy Bolden che dopo aver formato una banda nel 1895 viene considerato il primo jazzista della storia. Un ruolo predominante lo ebbe il quartiere di Storyville che tra il 1986 e il 1917 fu teatro di delinquenza, di prostituzione e di una nuova musica che veniva suonata in ogni locale e in ogni angolo di strada. Probabilmente è a questo che si deve la pessima reputazione che nei primi tempi aleggiava sul jazz. Negli anni ‘10 e ‘20 la migrazione degli afroamericani nelle città del nord porta molto rapidamente alla sua diffusione ma per ironia della sorte, nel 1917 il primo disco jazz ad essere pubblicato è ad opera di un complesso composto da soli bianchi. Si tratta di “Livery Stable Blues” dell’ Original Dixieland Jass Band. Gli anni ‘20 vedono la definitiva affermazione del jazz anche grazie a musicisti come Louis Armstrong, il primo a rendere predominante la figura del solista e Fletcher Henderson, pianista fondamentale nel divulgare il ruolo di leader e arrangiatore di un’orchestra. Nel frattempo, le prime tourneé concertistiche in Europa contribuiscono notevolmente alla diffusione del suo verbo oltreoceano. L’ascesa del jazz è inarrestabile. Viene celebrata in letteratura come nel caso de “ Il grande Gatsby” (1925) di Francis Scott Fitzgerald, e viene sublimata al cinema con “ Il cantante di jazz” (1927), il primo film sonoro della storia diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolson. E diviene da subito oggetto di studi con André Schaeffner, musicologo francese che nel 1926 pubblica un libro dal titolo inequivocabile: “ Le jazz“. Verso la fine degli anni ‘20 e fino ai ‘40 si distinguono le big band dirette da musicisti come Benny Goodman, Artie Shaw, Duke Ellington, Count Basie e Glenn Miller. Il successo di questi complessi allargati consente da un lato di mettere in luce molti solisti dotati e dall’altro di accompagnare la diffusione di nuovi balli. Il più celebre di questi balli fu di gran lunga lo swing (che porta l’accento ritmico sul secondo e sul quarto tempo della battuta) tant’è che per riferirsi a quel periodo si parla comunemente di ‘Swing Era’. IL JAZZ DAL 1940 AD OGGI L’avvento della seconda guerra mondiale pose fine al periodo delle grandi orchestre, non solo per le ristrettezze economiche. Gli anni ‘40 infatti, segnano un momento cruciale nel processo di maturazione del jazz. A New York, dalle jam session notturne di una nuova generazione di jazzisti, prende avvio la rivoluzione bebop. Il termine deriva dal caratteristico suono di due note che ricorrevano nei brani. Era una musica basata su piccoli complessi che attraverso un approccio libero e ardito ristrutturava completamente l’idea di jazz dal punto di vista, armonico, ritmico, melodico e sonoro. Furono molti i protagonisti storici di quel periodo. Da Charlie Parker e Dizzy Gillespie (i due esponenti principali del movimento), a Thelonius Monk, Bud Powell, Fats Navarro, Miles Davis, Charles Mingus, Kenny Clarke, Max Roach, John Coltrane e tanti tanti altri nomi fondamentali che di lì a poco entreranno nella mitologia jazzistica. Nel frattempo con l’avvento dei dischi a microsolco (1949), i jazzisti hanno la possibilità di sperimentare nuove soluzioni e trovare nuove formule per esprimere la loro creatività grazie ai tempi più lunghi. E’ da qui che il jazz abbandona i favori del pubblico di massa per iniziare un incredibile sviluppo artistico che farà degli anni ‘50 e ‘60 un periodo dorato. Vengono battuti sentieri di straordinaria influenza ed importanza come il cool jazz (dallo stile melodico e rilassato), il jazz modale (basato sulle scale modali di origine greca anziché sulla successione degli accordi) e il free jazz (caratterizzato da metriche irregolari e un antischematismo di base che rende tutti e perennemente solisti). Attraverso un’altra generazione di straordinari musicisti il jazz continua a produrre linfa vitale anche nei decenni successivi (Herbie Hancock, Wayne Shorter, Joe Zawinul, Keith Jarreth, Chick Corea, Pat Metheny, ecc. ). Negli anni ‘70 si diffonde la fusion (o jazz fusion), un nuovo stile che porta alla contaminazione col rock e col funk e all’utilizzo di strumenti elettrici ed elettronici. Verso la fine degli anni ‘80 nasce l’ acid jazz , ennesima forma di integrazione tra elementi jazz e vecchi e nuovi stili che si impongono sulla scena musicale, in particolare hip hop, house e soul. La sua storia continua e, come ha sempre fatto, si insinua in un modo o nell’altro in qualunque altro tipo di musica. Per un approfondimento della storia di questo genere musicale si consiglia anche il libro “JAZZ” di Arrigo Polillo (ed. Mondadori Oscar).