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EDITORIALE
Dopo oltre un trentennio dal primo annuncio di un’edizione italiana, la traduzione di Das Prinzip Hoffnung di
Ernst Bloch giunge oggi ancor più come un evento. In
primo luogo perchè rende finalmente disponibile a un
vasto pubblico l’opera principale di uno dei più grandi
interpreti e ispiratori della vicenda umana e culturale di
questo secolo, che a differenza della gran parte degli
esuli tedeschi in America, durante la seconda guerra
mondiale, decise nel 1949 di rientrare in patria accettando di stabilirsi nella Germania Est. In secondo luogo
perché questa traduzione giunge in un momento in cui,
per usare le parole stesse di Bloch, «il più antico sogno
ad occhi aperti dell’umanità: il rovesciamento di tutte le
situazioni in cui l’uomo è un essere umiliato, asservito,
abbandonato, spregevole» sembra vanificato e spento
dal richiamo a un “principio di realtà” che vede nella
rassegnazione a un mancato progetto globale di costruzione della storia la conferma di un ineluttabile ferocia
e impulso al dominio dell’uomo sull’altro uomo.
Ma «può la speranza andare delusa?» Questa domanda
Bloch settantaseienne, reduce dal fallimento dell’ “esperimento di Lipsia”, poneva come titolo della sua prolusione all’Università di Tubinga nel 1961, dopo aver
deciso, con la costruzione del muro di Berlino, che non
sarebbe mai più tornato nella Germania Est. Facendo
nostra questa domanda, vogliamo accogliere la pubblicazione de Il principio speranza di Bloch, riportando un
brano di questa prolusione.
altri termini: direttamente riferita al poter essere delusa,
la speranza ha eo ipso in sé la precarietà della vanificazione: non è assolutamente garanzia. Per essere tale essa
è troppo strettamente legata al non essere ancora deciso
del processo storico e cosmico, che certamente non è
ancora vanificato da nessuna parte, ma egualmente da
nessuna parte è ancora stato conquistato. Per essere tale
essa sta troppo pienamente nel topos del possibile-oggettivamente-reale, che circonda il presente anche come
pericolo, e non solo come potenzialmente salvifico.
...Nulla vi è di più umano che oltrepassare ciò che è. Che
i sogni in fiore maturino solo di rado, lo si sa da tempo.
L’esperta speranza lo sa meglio di chiunque altro; anche
in ciò essa non è garanzia. Innanzitutto essa sa, per così
dire a partire dalla sua autodefinizione, che non solo
dov’è il pericolo cresce anche salvezza, ma pure che
dov’è salvezza cresce anche il pericolo. Essa sa che il
vanificante come funzione del nulla s’aggira per il mondo, sa che anche un «invano» è latente nella possibilità
oggettivo-reale che porta in sé, non ancora compiute,
tanto la salvezza quanto la sventura. Da nessuna parte il
processo cosmico è già vinto, ma certo anche da nessuna
parte è già vanificato, e gli uomini sulla terra possono
essere i manovratori degli scambi del suo cammino non
ancora deciso per la salvezza, ma neppure deciso per la
sventura. Il mondo stesso resta nella sua totalità l’attivo
e travagliatissimo laboratorium possibilis salutis. Perciò può essere detto: «Ci sta dinnanzi un giorno e continua a esservi, tanto che è impossibile far finta di non
udirlo, al punto che addirittura gli avvoltoi e coloro che
hanno piegato le loro ginocchia dinnanzi a Baal sono
atterriti dall’immortalità prometeica». Ma Eraclito dice:
«Chi non spera l’insperato non lo troverà». Ciò basti qui
a proposito della vocazione in base alla quale l’essere
uomo, nel senso trascendentale che essa fonda, significa
andare oltre. Tale vocazione si accorda bene con la
dignità umana e apre l’accesso a quel mare del possibile
oggettivo-reale che il positivismo non è in grado di
prosciugare, e su cui la speculazione non deve avventurarsi senza regole. Egualmente, la speranza del futuro
esige uno studio, che non dimentica la miseria, ma
soprattutto ancora meno l’Esodo. L’andare oltre ha molte forme, la filosofia - nil humani alienum - le raccoglie
e le medita tutte.
Così la speranza deve assolutamente poter andare delusa, in primo luogo, perché essa è aperta in avanti, in
direzione del futuro, e non mira a ciò che è già presente
a portata di mano. In quanto è autenticamente in sospensione, anziché sulla ripetizione essa punta sul mutevole,
e con questo ha con sé anche il contingente, senza il quale
non esiste nulla di nuovo. Con tale partecipazione del
contingente, per quanto esso possa anche essere determinato in modo sufficiente, ciò che è continua anche a
restare tale. E ciò per lo meno in quanto la speranza, che
ha il suo campo all’aperto, paga con il rischio il fatto di
non appoggiarsi sul vecchio. In secondo luogo, e in
stretta connessione con il primo momento, la speranza
deve poter essere delusa, poiché, anche se mediata concretamente, non può mai essere mediata con solidi dati di
fatto. Questi per la sua consapevolezza sono in ogni caso
solo momenti reificati soggettivamente, o punti d’arresto reificati oggettivamente di un corso delle cose di
natura storica. Ma questo corso è storico, processuale,
proprio perché non è ancora compiuto come fatto irrevocabile, nel senso di essere già integralmente divenuto.
Perciò non solo l’affetto speranza (con il suo pendant
paura), bensì soprattutto l’aspetto metodico speranza
(con il suo pendant ricordo) sta nell’ambito di un nonancora, di un ancora perdurante non-essere-deciso di un
avvento che concerne soprattutto il contenuto ultimo. In
(Tratto da Ernst Bloch, Volti di giano, a cura di Tomaso
Cavallo, Marietti, Genova 1994)
2
SOMMARIO
5
RESOCONTO
5
Bloch: principio speranza
40 NOTIZIARIO
43 CONVEGNI E SEMINARI
11 SCHEDA
43 Alle radici della filosofia analitica
11 La Biblioteca e il Centro di studi del Saulchoir
44 Al tempo di Poliziano
45 Lo spazio, la distanza, la scrittura
13 AUTORI E IDEE
46 Filosofia della storia e teoria della storicità
13 Teologia politica come teoria sociale
46 Il governo d’eccezione
14 Difesa del realismo
47 Kant politico
15 Cina e Grecia: strategie del senso
48 Rappresentazioni sociali e identità
16 Modernità e immagine
49 Bayle: allegria polemica e piacere logico
17 L’età dell’eloquenza
50 Von Humboldt a Tegel
18 Antiche e nuove geometrie
51 Pitagorismo: matematica e filosofia matematica
18 Hannah Arendt: vita filosofica e politica
52 Sogno e industria
19 Teorie morali tra filosofia e sociologia
53 Estraneità e familiarità
20 Orrore e stupore nell’estetica
55 Spinoza
21 Il linquaggio della politica, il linguaggio della morale
56 Italo Mancini: kerigma e prassi
23 Antropologia, etica e politica
nell’Inghilterra del Settecento
57 Morale e politica
25 La percezione del tempo nell’epoca dei ‘media’
58 CALENDARIO
25 TENDENZE E DIBATTITI
59 DIDATTICA
26 Sul rapporto tra filosofia e scrittura
59 Filosofia e professionalità docente
27 Il prospettivismo di Abel il declino della borghesia
60 Filosofia, formazione, professionalità
28 Nietzche e il declino della borghesia
61 Convegni
29 Nietzche nell’ex DDR
30 Rapporto con il reale e responsabilità della scienza
62 STUDIO
31 Immagini e ipertesti: pratiche della scrittura filosofica
62 Storia dell’astronomia e della cosmologia
32 Differenti concezioni degli animali
63 L’importanza dello scetticismo
34 Gilbert Simondon: individuazione e tecnica
64 RASSEGNA DELLE RIVISTE
35 PROSPETTIVE DI RICERCA
35 Il panteismo di Bruno e Cusano
69 NOVITÀ IN LIBRERIA
ˇ
36 La verità vivente di Sestòv
38 Schleiermacher, Platone e l’ermeneutica
39 Rousseau, teorico di musica e di botanica
39 La filosofia mosaica
3
RESOCONTO
Ernst Bloch
4
RESOCONTO
In una pagina bile. L’analisi parte dal “resoconto” dei
famosa, Ernst «piccoli sogni ad occhi aperti», raccolti
Bloch ha parla- dalla vita di tutti i giorni, dal presente
to della «non opaco e inautentico. Bloch procede quincontempora- di con un’analisi fenomenologica della
neità» di eventi “coscienza anticipante”. Qui si incontra
e situazioni che la scoperta della struttura pulsionale, afpure accadono fettiva e fantastica del non-ancora-codi
nello stess o sciente, dell’inconscio come «luogo psiMirella Carignani
momento, di chico del nuovo» o del non-ancora-coepoche real- sciente, nel suo essere rivolto in avanti.
mente diverse che coesistono l’una ac- La coscienza non è solo consapevolezza
canto all’altra come in un collage cubi- del presente a partire dal peso del passasta. L’imperioso presente, la cosiddetta to, ma anticipazione del futuro. Il futuro
realtà che presume di essere l’unica e la è anticipato nell’incompiutezza del presola possibile si presenta come un calei- sente, nei suoi vuoti e nelle sue contraddoscopio, le cui immagini si trasforma- dizioni, che obbligano il pensiero a prono incessantemente. La pubblicazione, a dursi come oltrepassamento. L’utopia
cura di Remo Bodei, dell’edizione ita- generata dalla speranza percorre l’osculiana dell’opera maggiore di Ernst Bloch, rità del presente, che invoca il futuro per
Das Prinzip Hoffnung, che appare con il titolo: Il principio
speranza (trad. it. di E. De
Angelis e T. Cavallo, Garzanti, Milano 1994), potrebbe
essere un esempio di questa
“non contemporaneità” cara
al filosofo.
Abbozzato negli anni Trenta
e composto da Bloch durante
l’esilio americano (19381949), Das Prinzip Hoffnung
fu pubblicato a Francoforte s/
M. nel 1959 e, dopo grandi
difficoltà, a Berlino Est (excon un’intervista a Remo Bodei
DDR) tra il 1954 e il 1959,
per via delle accuse di revisionismo e di idealismo rivolte contro l’Istituto di Filosofia di Lipsia, diretto da Bloch
- come documentano gli Atti
della conferenza di Lipsia del
1957, voluta dal SED (il partito comunista tedesco orientale), “Problemi della filosoa cura di Riccardo Ruschi
fia blochiana”, raccolti nel
volume: Ernst Blochs Revision des il suo scoprimento: il «non-ancora-conMarxismus (La revisione del marxismo scio» dell’uomo appartiene al non ancodi Ernst Bloch, Berlino 1957) - nel 1957 ra divenuto, manifestato nel mondo. In
la spaccatura tra Bloch e Walter Ulbricht questo modo Bloch fonda un’ “ontologia
era definitiva. L’edizione italiana di Das del non ancora” come realtà del futuro.
Prinzip Hoffnung appare a sua volta con Con l’ausilio di questa lente, Bloch può
un ritardo singolare di decenni rispetto passare all’analisi dei contenuti della
all’annunciata pubblicazione, nel 1962, speranza più sviluppati e ricchi di implidella traduzione di Ettore Brissa per la cazioni che vengono disposti su tre piacasa editrice Il Saggiatore; pubblicazio- ni. Anzitutto il “rispecchiarsi” della falne voluta dallo stesso Bloch per inserirsi sità sociale dominante in contenuti stenel dibattito politico e filosofico interno reotipati: vetrine, fiabe, viaggi, film,
alla Sinistra italiana, dopo la repressione romanzi d’avventure, che Bloch definidi Budapest del 1956.
sce «specchi per abbellire», desideri che
Il principio speranza di Bloch, zibaldo- rispecchiati svolgono una finzione “norne filosofico di più di mille pagine che malizzatrice” del desiderio. Quindi la
spaziano dalla letteratura alla pubblici- “costruzione” immaginaria e intramontà, dal cinema alla psicoanalisi, si pre- dana di una vita migliore, vista nelle
senta come un’enciclopedia dei sogni, utopie mediche, sociali, tecniche, archidelle speranze, dei “non ancora”, conte- tettoniche, geografiche, nelle arti figunuti propri della “coscienza anticipan- rative, nella poesia, dove la fantasia late”, che orientano il comportamento del- scia trasparire il possibile dal reale che
l’uomo, correlati ad un “mondo” proces- apre la vita della speranza come svilupsuale adeguatamente aperto e trasforma- po di una radice di senso. Infine le im-
Il “principio
speranza”
di Ernst Bloch
Bloch:
principio speranza
5
magini e le cifre centrali dell’ “identità”
o dell’attimo adempiuto, che trascendono il mondo presente: gli ideali morali,
la musica, le speranze contro la morte, la
redenzione religiosa, il sommo bene.
Luoghi dove l’uomo sperimenta la sua
identità che risiede nel riconoscimento
del limite e del suo mai ininterrotto tentativo di oltrepassamento. La speranza
allora guarda all’orizzonte dopo aver
scorto l’aspetto nascosto del presente o
la sua “direzione”.
L’edizione de Il principio speranza è
stata presentata ufficialmente a Milano
dalla casa editrice Garzanti in un incontro a cui hanno partecipato Giuseppe
Bevilacqua, Remo Bodei e Gianni
Vattimo.
Giuseppe Bevilacqua ha analizzato la fase
centrale del pensiero di Bloch (1916-17)
evidenziandone il profondo legame con la cultura espressionistica, che proprio in quel periodo presentava una cesura nel
suo decorso storico per il rapido capovolgimento verso una
prospettiva soterica, che prometteva salvezza proprio nel
momento più oscuro, quello
della “grande carneficina” della prima guerra mondiale. La
fase iniziale dell’espressionismo (1904-5), segnata da un
presagio oscuro e minaccioso «si è fatto buio» scriveva Georg Heim, riferendosi a un’angoscia inspiegabile, estesa a
tutti gli strati della popolazione - è presente nella prosa blochiana di Der Geist der Utopie
(Spirito dell’utopia, 1918,
1923), sincopata in brevi proposizioni, come di chi scrive in
una situazione incerta, che ricorda quella di Ludwig Rubiner o la poesia di Jacob van
Hoddis. Ma è “la svolta” da un oscuro
futurismo apocalittico e disperato a una
prospettiva soterica, sospinta da un’onda
di speranze imprecise, incommensurabili,
da un’attesa di palingenesi, che per Bevilacqua rappresenta il vero “snodo fondante” del pensiero di Bloch. «Dove vi è
pericolo, lì cresce anche ciò che può salvare», aveva scritto Friedrich Hölderlin,
nell’Inno caro a Bloch, Patmos.
Se questa pubblicazione de Il principio
speranza sembra venire in controtempo,
in un momento cioè di crollo delle speranze e dove il futuro si presenta più
come minaccia che come promessa, il
problema dell’attualità o inattualità dell’opera di Bloch è stato affrontato da
Remo Bodei attraverso l’analisi dei due
termini chiave della tradizione utopica:
“speranza” e “utopia”. Ripercorrendone
la storia, Bodei ha ricordato come nell’ultimo trentennio del XVIII secolo le
“utopie geografiche” (le isole di utopia),
divengano “ucronie”. Con l’utopia dive-
RESOCONTO
nuta ucronia e con il pensiero politico di Per Gianni Vattimo è paradossalmente cietà di massa, che lì si delineavano Rousseau della “rigenerazione” dell’uo- proprio la distanza temporale con cui leg- proprio per questi suoi caratteri peculiari
mo attraverso il rovesciamento degli osta- giamo Il principio speranza che ci permet- si presenta anche come testo “esistenzialicoli sociali, la storia assume un “carattere te oggi una lettura più autentica del pensie- stico”. Lo Heidegger di Essere e tempo,
vertebrato”, divenendo una mappa in cui i ro di Bloch - i momenti di apertura verso il che rifiuta l’idea di identificare l’essere
vincoli imposti dalla realtà si intrecciano futuro - impedendoci di appiartire il pen- con l’oggettività in quanto l’esistenza delcon possibilità aperte. Quello che Bloch satore in un apologeta dello stalinismo e il l’uomo è sempre progetto, speranza e anmette in questione, ha osservato Bodei, suo progetto in quello di una rivoluzione ticipazione, è per Vattimo molto vicino a
non è il pensiero utopico come pura proie- avvenuta. La possibile attualità di questa Bloch. Il rispetto di Bloch per l’aspetto
zione di desiderio, ma è il pensiero utopico “enciclopedia della speranza” è oggi lega- “concreto” della speranza, che egli coglie
che ha già metabolizzato la dimensione ta, secondo Vattimo, alla possibilità di nei fenomeni apparentemente inautentici,
storica e la storia, innervandola di una accentuare quegli elementi che caratteriz- marginali (la cosmesi, il guardarsi allo
tendenza verso una determinata direzione. zano Spirito dell’utopia. Nell’elemento specchio, il kitch), indica per Vattimo il
Solo che Bloch, assumendo l’idea del- utopico permanentemente insoddisfatto difficile equilibrio presente ne Il principio
l’«utopia concreta» all’interno
speranza. Se da un lato l’autendel marxismo, si trova, per Boticità dell’utopia consiste nel
dei, di fronte ad un’ulteriore
“non avere luogo”, nel non ladivaricazione: il passaggio dalsciarsi riconoscere, la tensione
l’utopia alla scienza (Engels),
al trascendimento dell’esistenche spera in “automatismi” e
te non conduce Bloch sulle poriduce l’intervento umano ad
sizioni estremistiche e snob di
una semplice appendice, e la
Adorno e della Scuola di Frantradizione rivoluzionaria (Socoforte, ma la sua ricerca è volrel), che impone alla storia una
ta a considerare i fenomeni “dedeterminata direzione, forzanteriori” come calco negativo di
done il corso. Per Bloch, la
qualcosa di positivo che sono i
“corrente calda” e la “corrente
progetti di emancipazione. Ocfredda” del marxismo devono
corre però, secondo Vattimo,
essere temperate attraverso un
non correre il rischio di mi“dispositivo mobile”.
schiarsi in analisi eccessivamente rispettose del kitch, con
L’analisi della dimensione onla conseguenza, per la filosonipervasiva della speranza
fia, di dover alla fine prendere
come attesa orientata non soltutto sul serio.
tanto in senso sentimentale come desiderio, brama - ma
L’attualità de Il principio speanche in modo cognitivo, rapranza, ha rilevato Vattimo, conpresenta per Bodei l’aspetto più
siste nel considerare la “raziosignificativo dell’opera di
nalità” come quel «filo rosso»
Bloch. Se Goethe scriveva ne
che permette di leggere, attraGli anni di apprendistato di
verso un’ “ermeneutica del deWilhelm Meister: «I desideri
siderio”, la realtà che si presensono presentimenti delle capata con manifestazioni anticicità che sono in noi», per Bodei
panti, rispondenti a qualche
si può aggiungere indirettamennostro progetto, e con le quali
te, con Bloch, che i desideri
può dialogare la nostra aspettanon fanno nulla, ma dipingono
tiva di futuro, la nostra sperancon particolare fedeltà ciò che
za come prassi emancipativa.
dovrebbe essere fatto. La speE’ per questo stesso motivo che
ranza è allora tutto il nostro
Bloch critica l’anamnesi come
mondo, poiché è presente in
forma di conoscenza passiva e
tutte le manifestazioni della vita
Heidegger l’essere come preTelegramma di Wolfgang Harich (nel riquadro)
in cui è presente la dimensione
senza: la “banalità” consiste nel
a Ernst Bloch per i suoi novantanni.
del desiderio-progetto, che ci
prendere la realtà come se fospermette un incontro con noi
se “vera”. La realtà non è la
stessi. La coscienza che dovrebbe essere il della speranza, della tensione, della fame, verità. La verità è quel tarlo che lavora
luogo “cristallino”, come da Cartesio a è presente per Vattimo la progettualità dentro il reale per farlo diventare altro. Nel
Husserl si è cercato di insegnare, è per “esistenzialistica”. Al di là delle critiche leggere le forme culturali come fenomeni
Bloch il luogo più buio: siamo opachi a noi rivolte da Bloch al pensiero di Heidegger, della coscienza anticipante, ha concluso
stessi. L’utopia di Bloch ha un’immagine con l’eccessiva importanza attribuita al- Vattimo, Bloch ci indica un criterio, nella
“timida”, che vale solo perché accenna, l’«essere per la morte» in Sein und Zeit distinzione tra «affetti inadempiuti» e «aflascia presagire, non afferma. Nelle pagi- (Essere e tempo), Vattimo ha sottolineato fetti di attesa», per cogliere i progetti aune de Il principio speranza, attraverso come in realtà ci sia qualcosa di profonda- tentici. Questi non ci abbandonano a gusti
un’attenta fenomenologia della vita quoti- mente affine tra lo spirito dell’esistenzia- estetici privati, ma ci portano ad un dialodiana - che deriva da Husserl, ma anche lismo di inizio secolo e la “rivolta” del- go autentico con il mondo.
dall’amico Kracauer - Bloch manifesta l’espressionismo.
tutta la potenza esplosiva della speranza, Se Spirito dell’utopia è un testo squisitache una volta riconsiderata in tutte le sue mente espressionistico nello sforzo di afpieghe, può servire da antidoto a quel pa- fermare la potenza dello spirito, dell’interthos della banalità che rinuncia a compren- no verso l’esterno - verso cioè quegli acdere il mondo nel suo stesso movimento.
cenni, già piuttosto significativi della so6
RESOCONTO
Intervista
a Remo Bodei
D. Professor Bodei, per cominciare vorrei chiederLe di presentare
Ernst Bloch.
stesso tempo, una base ontologica, relativa al fatto che non
solo nella nostra psiche è presente questa tendenza verso il
“non-ancora”, verso il completamento del desiderio; anche
nell’essere, nella realtà tutta, non abbiamo l’immobilità, ma
un tendere, un mirare verso le possibilità. Così come nell’evoluzione umana - e questa è la base antica del pensiero
di Bloch, quella positivistica - si sarebbe passati dalla
scimmia all’homo sapiens. È quindi la realtà stessa che
tende verso il meglio.
R. E’ un filosofo che ha scoperto e
valorizzato un “nuovo continente” densamente abitato, ma anche
di
largamente inesplorato: quello
Mirella Carignani
della speranza. Che non è una virtù
teologale o una semplice attesa del
meglio, bensì il fondamento della realtà considerata nel suo
incessante movimento. Bloch non pretende di negare i diritti
della realtà. Si rifiuta però di codificarli secondo criteri
statici e leggi immutabili...
D. Non c’è, in questo, il rischio di un eccessivo ottimismo?
R. No, perché la speranza è soggetta a incertezza e delusione.
Semmai, l’attenzione di Bloch al “non ancora” ha a che fare con
un’idea della nostra natura come espansiva, non conclusa.
D. È in questo senso, dunque, che Bloch sostiene che la
speranza rappresenta anche «un atto orientativo di specie
cognitiva»?
D. Bloch connette la speranza a quell’«oscuro movimento
della realtà che tende verso una meta». Queste parole
ricordano Leibniz e la Bildung goethiana.
R. Sì, la speranza è anche un modo di conoscere: noi non
conosciamo semplicemente come uno specchio che riflette
il già dato. Noi conosciamo in termini dinamici, in modo
simile a quelle figure dei futuristi, Balla e Boccioni, che
hanno un’inerzia di movimento. Quindi la speranza, in
questo senso, non è altro che l’evolversi di una situazione
vista nel suo movimento.
R. Sì, «tendono alla chiarità le cose oscure» - si potrebbe dire
con Montale, che è molto leibniziano. In Bloch, dal punto di
vista storico, vi è una ricostruzione attenta di un’altra linea,
alternativa rispetto al realismo fotografico o all’ontologia
rigida. Mi riferisco all’idea di Rorty, o di Heidegger, per i
quali nell’epoca dell’ “immagine del mondo” tutta la filosofia occidentale è stata metafisica: la mente come specchio
della realtà e mondo. Per Bloch quest’idea è molto sbagliata.
Lui parte da Aristotele, da quella che chiama la “sinistra
aristotelica”, cioè Avicenna, Averroè, Paracelso, Bruno, per
giungere poi a Leibniz, Spinoza e Goethe, mettendo in
evidenza appunto questo primato del possibile, il dynamei
on, l’essente in possibilità: una filosofia del tendere verso
qualche cosa e in cui la realtà non è immobilità, ma anzi
implica il primato dei possibili o dei “compossibili” sul
reale. In termini leibniziani, in Bloch vi è l’idea che prima
viene il possibile e poi il reale, che non è altro che una
raccolta di compossibili in numero legale. Vi è l’idea,
ripresa in Soggetto e Oggetto, che «il presente cammina
gravido del futuro», come scriveva Leibniz in una lettera del
1702; idea che si ritrova in un’altra espressione di Leibniz,
che piaceva molto a Bloch, secondo cui «il futuro non è altro
che il passato che vive in una dimensione più corta», come
in una molla compressa, la cui tensione possiamo già
ritrovare nel passato e nel presente.
D. Quello che sta più a cuore a Bloch è l’indagine del
presente. L’ «utopia concreta» si basa infatti, soprattutto, sul
“qui” e sull’ “ora”.
R. Tuttavia - egli afferma - siamo opachi a noi stessi proprio
nel presente e nella vicinanza, nel momento e nel luogo in
cui ci troviamo. Detto con un proverbio cinese da Bloch
stesso citato: «alla base del faro non c’è luce». E allora,
l’unico modo per redimerci dalla nostra opacità è quello
della coscienza anticipante. L’ “utopia concreta” si presenta
poi come il tentativo di Bloch di contrastare due modelli che
in generale, ma anche nel solo marxismo, hanno dominato:
da una parte un modello, che potremmo dire “iperealistico”,
in cui della realtà e della storia si accettano soprattutto i
vincoli, gli elementi di necessitazione, le famose “doglie del
parto”, dall’altra quello di un socialismo utopistico, per il
quale possiamo dire che se i fatti sono così, tanto peggio per
i fatti, e si forzano le situazioni. Mi viene in mente Rosa
Luxenburg, che negli anni Cinquanta diceva che non vi sono
rivoluzioni tentate e fallite. Bloch si pone quindi anche
contro il putchismo - come lo chiamava lui - del far violenza
alla realtà. L’«utopia concreta» è così una sorta di equilibrio
instabile, per cui le cose si modificano.
D. La nostra esperienza è dunque per definizione insatura;
ma questo sembra che non debba portarci né a lasciarci
sopraffare dalla malinconia della realizzazione, né viceversa a lasciarci incantare dalla perenne fluidità della vita. In
relazione a questo, Lei ha ricordato nell’ “Introduzione” a Il
principio speranza la polemica tra Sartre e Merleau-Ponty.
D. Lei ha accennato prima alla “coscienza anticipante”.
Bloch compie in Il principio speranza un’ermeneutica dei
desideri, il cui passo inaugurale è la distinzione tra gli
“affetti adempiuti” e gli “affetti d’attesa”...
R. Nella Critica alla ragione dialettica di Sartre del 1960 vi
è l’idea che i grandi momenti storici sono quelli in cui le
folle si fondono al “calor bianco” per dare l’assalto alla
Bastiglia o al Palazzo d’Inverno e che poi il movimento si
spegne e ci si rassegna. In questo senso, come ha detto
Merleu-Ponty, Sarte è un ultrabolscevico, cioè un trotzkista
per il quale ha valore soltanto la realtà in movimento. In
Bloch vi è l’idea, invece - e nell’ “Introduzione” cito
R. L’ermeneutica dei desideri in Bloch è quella che determina la speranza nelle sue specificità. Ciò significa che la
speranza ha molte manifestazioni, che si presentano come
“attesa di beni futuri” - che è poi la definizione classica del
desiderio. Quindi i desideri in Bloch hanno anche, nello
7
RESOCONTO
l’esempio del rapporto tra amore e matrimonio - che non
sono belle solo le cose allo stato nascente, ma anche le forme
del sentimento umano che si istituzionalizzano. Così come
non è detto che il matrimonio sia la tomba dell’amore, anche
il periodo postrivoluzionario, com’è successo ad esempio in
Italia dopo il Risorgimento e l’unificazione, non rappresenta necessariamente un momento prosaico, dopo quello
epico. Per Bloch, non è vero che questi siano momenti di
compimento, che comportano la scomparsa dei grandi
ideali, proprio perché niente è mai compiuto. Tutto ciò che
sembra compiuto ha sempre intorno a sé un alone di
incompiutezza. Bisogna allora spremere i possibili della
realtà, che stiamo attraversando, affinché questo momento
di movimento si veda. Quello che Bloch contesta del
vecchio movimento rivoluzionario, è che le rivoluzioni
siano momenti gloriosi, stati di grazia a cui poi segue, in
termini adorniani, il “mondo amministrato”. Bisogna invece saper vedere nei momenti di calma apparente, sia in
termini sociali, sia individuali, questa fermentazione del
possibile.
nostra esperienza, ci sono momenti di nunc stans, in cui
sembra che il nunc, l’attimo, si fermi e che noi, in questi
momenti estatici, entriamo in contatto con qualcosa che ci
riempie di stupore. Può essere un «filo d’erba che trema»,
dice Bloch, citando lo scrittore norvegese Pannedy Amson,
o una fiaba ascoltata da bambini; ciò significa che per
cogliere l’utopia, o la speranza, o l’eternità, noi non abbiamo
bisogno di dilatarci in un tempo infinito. Questa giunge
all’improvviso, come un lampo di un temporale che squarcia il paesaggio, come una tempesta del Giorgione, o come
la guardia di notte in certi quadri di Rembrandt. Sono
momenti, insomma, in cui si squarcia il senso banale delle
cose e si crea una percezione, che non si può dire abbia la
durata di un istante, perché è un istante in cui, come in una
notte buia, non vi era niente e all’improvviso un lampo ci ha
permesso di vedere qualcosa, che poi continua a rimuginare
in noi, a crescere, a lievitare...
D. Prendendo spunto da queste considerazioni, possiamo
far qui riferimento all’importanza, per Bloch, di mantenere
presente nel pensiero lo stupore, la meraviglia?
D. In questo senso Bloch sostiene che la rivoluzione deve
essere un esperimento?
R. Sì, certo. Bloch infatti apprezza molto il Teeteto di
Platone e la Metafisica di Aristotele, che hanno posto la
meraviglia all’origine della filosofia. Tuttavia, dopo il normale shock iniziale, Bloch afferma che dalla filosofia scompare lo stupore, mentre lo stupore deve rimanere sempre
vivo nel pensiero filosofico, come apertura verso il nuovo;
sono cattive, quindi, quelle filosofie, compresa quella grandissima di Hegel, che pretendono di racchiudere il mondo in
un sistema prefabbricato e senza sorprese. Mentre tutta la
cultura - non solo quella filosofica, ma anche quella artistica
e letteraria del ‘900 - ha, secondo Bloch, esaltato giustamente questa dimensione della sorpresa e dello stupore. In
questo senso si può riscontrare in Bloch un’apertura verso
la religione, ad esempio verso il cristianesimo che, rispetto
alle grandi religioni della salvezza, è caratterizzato dall’amore verso ciò che è piccolo e che normalmente non
viene percepito e considerato. Per Bloch, bisogna «diventare come bambini»; e così, quando cita brani evangelici, è per
dimostrare che bisogna riguadagnare, come nell’infanzia,
questa capacità di essere aperti all’elemento del mistero,
sottraendo però alla parola mistero quel suo carattere pomposo e speculativo. Nel mondo non ci sono risposte pronte;
e il pensiero non deve “avere fretta”: «con l’agile speme
precorra gli eventi e sogni la fine del duro servir»...
R. Sì, deve essere un esperimento, appunto un experimentum mundi. La rivoluzione non ha il carattere di “sciogliersi
istantaneamente”, non è una risoluzione istantanea, un
miracolo per cui tutto si modifica.
D. Il fatto che la speranza non si esaurisca nella sua
proiezione verso il futuro comporta la paradossale coincidenza dell’attimo con l’eternità...
R. Questo implica una serie di presupposti. In San Paolo vi
è l’idea della distinzione tra l’aion outos e aion mellon. Aion
è il termine greco che indica “tarda eternità”; ma aion
significa inizialmente pienezza vitale. Per ragioni anche
relative al termine ebraico, nel linguaggio paolino aion vuol
dire mondo ed eternità nello stesso tempo. Aion outos
(questo mondo) è allora il mondo che finisce con l’avvento
di Cristo, mentre aion mellon, che letteralmente vuol dire
eternità futura - il che è paradossale - è relativo alla basileia
tou theou cioè al regno di Dio o ton uoranon (regno dei cieli).
Per San Paolo, questo mette in evidenza il momento dell’immanenza: da quando Cristo è venuto sulla terra,
l’eternità è qui, il mondo è cambiato, non è più quello
dell’Antico Testamento; questa eternità noi ora l’abbiamo,
è presente in questo mondo, che però non è ancora venuto
a compimento. È l’idea di un’eternità che non è fissa, che
non è tempo gonfiato, ma è un momento che lievita, una
pienezza che aumenta, un “più di ieri e meno di domani”.
Questo è il senso dell’utopia blochiana: la si coglie non nel
tempo infinito, ma in questi grandi istanti; una volta che la
si è colta, questa pienezza non è necessariamente immobile.
La grande utopia di Bloch è che essa cresca con noi, anche
se questi momenti di grazia poi spariscono. Ci sono delle
lezioni di Bloch su Proust del 1962-66, in cui vengono fatte
osservazioni sui momenti proustiani della memoria involontaria, sulle petit madeleine, sui «tre alberi, visti in mezzo
alla strada, che sembra vogliano chiamarlo». In Proust, così
come nella grande letteratura, nella musica, ma anche nella
D. Quindi al cristianesimo Bloch riconosce di aver mantenuto viva la dimensione della speranza?
R. Sì, anche se il cristianesimo ha per Bloch la caratteristica
di presentare agli uomini, così come tutte le grandi religioni,
un “se stesso migliore”, nel senso che ciascun individuo si
vede nella religione come “ampliato”, secondo la definizione medioevale della speranza: dilatatio animi ad magna.
D. Esattamente il contrario di ciò che sostiene Spinoza!
R. Sì, per Spinoza non è altro che l’oscillazione della paura.
In Bloch la speranza ha la caratteristica di portarci verso
un’accrescimento di noi stessi, di farci incontrare un nostro
8
RESOCONTO
io dilatato. Il cristianesimo mostra questa dimensione della
speranza, ma la imbriglia attraverso tutto il sistema
dogmatico di cui peraltro non può fare a meno: la paura
dell’inferno, l’apparato ecclesiastico, i dogmi. Per Bloch,
allora, non si tratta tanto di distruggere la religione - e, in
questo senso, è antiilluminista. La religione non è soltanto il cono d’ombra rispetto alla luce della ragione, ma è
qualcosa che addirittura sorregge la ragione, poiché è più
profonda di essa. La religione è l’espressione del desiderio di essere migliori; tuttavia, questa dilatazione dell’animo viene in essa ingabbiata dai vincoli dogmatici
che fanno sì che la religione sia un fatto politico. In
termini spinoziani, ciò che
mina la religione è l’obbedienza.
co, nel senso che il suono porta con sé, nello stesso
tempo, rigore matematico e enorme pathos. È ragione e
nello stesso tempo sentimento, per cui possiede un elemento di indefinitività. Dai suoi studi sulla musica moderna emerge l’elemento della tradizione musicale, da
Beethoven in poi, del tentativo di trasmettere un messaggio che non si può articolare in parole.
D. Per concludere, torniamo un momento ancora all’edizione italiana de Il principio speranza. Dopo essere stata
presente e centrale, con saggi e discussioni, nel dibattito
politico, letterario e filosofico, quest’opera viene pubblicata, dopo decenni di attesa, con un ritardo singolare, quasi in controtempo.
Professor Bodei, quale può
essere oggi il punto di forza di quest’opera monumentale di Bloch?
D. La religione è anche
però in grado di rappresentare i lineamenti di un
mondo migliore. È in questo senso, allora, che per
Bloch essa è legata all’arte e alla filosofia?
R. Innanzitutto, direi, che
c’è in Bloch una punta di
attualità polemica; dopo
tante delusioni, con cui la
R. Sia l’arte, sia la religiostoria ha sancito l’esito di
ne, sia la filosofia, hanno a
progetti utopici, che oggi
che vedere, nel loro nucleo
sembra siano crollati, il nopiù intimo, con quello che
stro orizzonte di attese semHegel chiamava lo Spirito
bra, in realtà, che si sia abassoluto - absolutus in
bassato. In fondo, Bloch ci
quanto ci si scioglie dalle
fa vedere e considerare le
contingenze e si ricerca ciò
cose non così come sono,
che per noi è significativo,
appiattite sul piano della
senza chiederci se possianecessità; in un certo qual
mo mai realizzarlo. Per
modo ci fa alzare di nuovo
esempio, la musica di Belo sguardo, poiché solo nelethoven, o un quadro di
la tensione verso il futuro è
Raffaello, mi danno la perpresente il senso. Il punto
cezione di una bellezza che
di forza di Bloch è appunto
probabilmente non si ragquella sua particolare congiungerà mai, suscitano in
cezione dell’utopia del prenoi questo bisogno di un
sente, tale per cui ogni
assoluto, che pure non si
istante del tempo è tangenpotrà mai realizzare. Quete all’eterno, se per eternità
sto è l’assioma di Bloch, o
intendiamo quei «momenˇ
Ernst Bloch e Herbert Marcuse a Korcula
(Iugoslavia)
forse anche uno degli eleti dell’essere» o di pienezmenti della sua debolezza:
za di vita che ci regala, ad
se esiste un desiderio per ciò che è eterno, assoluto, per esempio, la grande letteratura, dove la densità del senso
ciò che noi non conosciamo nella nostra esperienza, che delle cose ci si manifesta all’improvviso. Lo stupore
è sempre limitata e caduca e temporalizzata; se esiste filosofico di cui parlavamo prima è in realtà un invito che
questo desiderio, allora deve anche esistere l’oggetto che vale per tutti. Dobbiamo essere capaci di trasformare
può soddisfarlo. Questo è anche il ragionamento di quanto ci appare inerte e ovvio, in qualcosa di ricco,
Agostino; per quanto Bloch sappia bene che in termini mobile e problematico. Il fatto è che per Bloch noi tutti
leopardiani può esserci un’illusione, che dal nostro biso- «sottoviviamo», sprechiamo intelligenza, capacità di
gno di eternità ci sprofonda nella notte.
sentire e percepire...
D. E’ per questo dunque che secondo Bloch la musica è
capace di dare «voce all’enigma»?
D. Per eccesso di rassegnazione?
R. ...e per oblio del meglio. Dobbiamo semplicemente
non accontentarci di quello che ci passa il convento!
R. Fin dall’inizio, in Spirito dell’utopia , Bloch vede
nella musica questo elemento non localizzabile, a-topi9
RESOCONTO
Con l’intento
di fornire un
bilancio dell’eredità del
maggior pensatore utopico
del XX secolo,
all’indomani
di
della pubblicaGiuseppe Cospito
zione dell’edizione italiana
della sua opera principale e dopo la fine
dell’esperienza storica del “socialismo reale”, si è tenuto a Genova, nei giorni 27 e
28 febbraio 1995, un convegno dal titolo:
“Attualità e prospettive del ‘principio speranza’. L’opera fondamentale e il pensiero
di Ernst Bloch”. Il convegno è stato organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal GoetheInstitut Genua.
Aprendo i lavori del convegno, Gerardo
Cunico ha sottolineato come la pubblicazione in Italia di Das Prinzip Hoffnung, a
quarant’anni dalla sua prima stesura, costituisca l’occasione per una verifica complessiva di un pensiero che, lungi dall’apparire superato dal fallimento storico del
“socialismo reale”, mantiene tutta la sua
attualità, poiché oggi, come ieri, l’umanità
non può fare a meno della dimensione
della progettualità, del futuro, dell’utopia.
Inoltre, ha rilevato Cunico, l’opera di
Ernst Bloch non si limita alla dimensione
politica, ma coinvolge altre sfere del sapere e dell’agire filosofia, teologia, etica,
estetica , cogliendone nella speranza la
struttura fondamentale.
Per quanto riguarda la tematica religiosa,
il teologo Jürgen Moltmann, ha inserito
il pensiero del giovane Bloch, autore di
Spirito dell’utopia (1918), nell’ambito
della rinascita del messianismo giudaico
dopo la catastrofe della prima guerra mondiale; una rinascita che Bloch vide incarnata nella rivoluzione comunista, unico
possibile sbocco, a suo giudizio, del movimento sionista. Pur non accentuando mai
la sua origine ebraica, Bloch si schierò in
favore del socialismo internazionalista di
Moses Hess contro il nazionalismo di Theodor Herzl, che considerò un tradimento
della missione universale del popolo ebraico. Nei confronti delle religioni rivelate,
ha osservato Moltmann, se da un lato Bloch
non esce dallo schema gerarchico-evolutivo di Hegel (al cui culmine sta il cristianesimo come religione dell’universalità) e
dall’altro riprende la critica antropologica
di Feuerbach, egli approda tuttavia a una
posizione personale, al di là della tradizionale distinzione tra atei e credenti. Una
posizione che si può riassumere nella definizione di sé che Bloch diede allo stesso
Moltmann (che, come altri relatori, ha
ricordato il suo rapporto personale con
l’autore) che lo interrogava sulla questione: «ateo per amore di Dio», per giungere
fino all’affermazione paradossale, conte-
Attualità e
prospettive
del “principio
speranza”
nuta in Ateismo nel cristianesimo, che
«solo un ateo può essere un buon cristiano» e «solo un cristiano un buon ateo».
L’aspetto religioso-messianico del pensiero di Bloch, anche dopo la sua “conversione” al marxismo, è tutto, secondo Moltmann, in quella speranza rivolta al futuro,
destinata a non esaurirsi neanche con l’instaurazione della società senza classi, preconizzata da Marx, nel quale verranno a
soluzione solo le questioni economicosociali, ma non il problema cruciale dell’esistenza umana, vale a dire l’ineluttabilità della morte.
Quanto sia oggi attuale il pensiero religioso “eretico” di Bloch è stato motivo di
fondo dell’intervento di Giovanni Ferretti, che ha sottolineato come Bloch vada
oltre sia la definizione marxiana della fede
come “oppio dei popoli”, sia quella engelsiana di involucro mistico di istanze di
rivoluzione sociale. Nella religione Bloch
riconosce la forma suprema della “coscienza anticipante”, che fonda e tenta di
sperimentare una speranza che non si basa
né su presunte “leggi” dello sviluppo storico (come nella lettura economicistica del
marxismo), né su una fede teologicamente
argomentata, ma sulla protesta di fronte
alla miseria e all’oppressione del proprio
prossimo: questo, secondo Ferretti, il significato del concetto blochiano di “religione in eredità” che, nonostante le aporie
filosofiche in esso contenute, ha profondamente influenzato la recente riflessione
teologica, volta a scoprire nella prassi liberatoria un momento essenziale del messaggio cristiano e a privilegiare l’immagine del Dio crocifisso rispetto a quello
risorto e trionfante.
Nel suo intervento Manfred Riedel ha
ricostruito l’evoluzione del rapporto di
Bloch con Nietzsche, dagli scritti giovanili al “materialismo” di Experimentum
mundi, con particolare riguardo alla contrapposizione tra spirito apollineo e dionisiaco. Pur arrivando a superare tale dicotomia, riconoscendo in Schiller la figura di artista che fonde in sé entrambi gli
aspetti e sostenendo con Kant che l’essenza dell’uomo non è in nessuno dei
due, ma nel suo Io morale, il pensiero
utopico blochiano continuerà a nutrirsi di
quei primi stimoli nietzschiani. L’influenza del pensiero di Nietzsche, oltre a quello di Spinoza, sulla riflessione etica di
Bloch è stata tematizzata anche da Remo
Bodei. A differenza della Scuola di Francoforte, nella “logica del desiderio”, tipica delle società consumistiche, Bloch
coglie, secondo Bodei, anche aspetti positivi, in quanto incarnazione, sia pure
infima - da «paradisi a prezzo scontato»,
come Bloch definiva i primi grandi supermercati, conosciuti durante il suo esilio statunitense -, dello stesso “principio
speranza” che anima il marxiano “sogno
di una cosa” o l’attenzione cristiana per i
“piccoli”; il problema è piuttosto quello
di offrire una prospettiva adeguata al10
l’anelito di ogni uomo per una vita migliore: in questo senso, ha osservato
Bodei, Il principio speranza può essere
letto come una “ortopedia del desiderio”
oltre che come un “sillabario della speranza”, orientata verso una concreta “filosofia della prassi”.
Sul rapporto tra Bloch e l’arte si è pronunciato Stefano Zecchi, secondo il
quale quella estetica è un’utopia asistematica, in cui si ha una preapparizione
(Vorschein) del non-ancora dell’Essere.
Tale visione progettuale dell’arte, ispirata a modelli preromantici, romantici e
schellinghiani, e ancora una volta opposta a quella dei francofortesi oltre che al
“realismo” di Lukács, è destinata ad
avere vita difficile in un’epoca dissolutrice e nichilista (il «ciò che non siamo /
ciò che non vogliamo» di Montale) come
l’attuale. Nello stesso, ha fatto notare
Zecchi, Bloch convive con l’utopia sistematica e “concreta” del materialismo
storico. Gert Üding ha invece parlato
della figura del Don Quijote ne Il principio speranza, rilevando come l’eroe di
Cervantes non rappresenti solo il rimpianto di un’ideale ormai tramontato (la
cavalleria), ma anche l’anelito, che si
potrebbe definire faustiano, verso un
mondo più giusto, che animava lo stesso
Bloch. Numerosi elementi della sua biografia di outsider, come l’adorazione
per Else, che diverrà la sua prima moglie, o il consapevole isolamento, nonché della sua filosofia utopica, come il
ruolo della soggettività, della fantasia,
del “sogno diurno”, “a occhi aperti”,
rimandano anzi, secondo Üding, alla figura letteraria di Alonso Chisciano.
Questo atteggiamento non comporta necessariamente, come ha sottolineato Cunico, una fuga dal presente, ma al contrario una decisa assunzione di responsabilità di fronte ad esso, con la volontà
di rispondere a “la sfida dell’attimo”.
Rinunciando a ogni fondamento eterno o
atemporale dell’esistente, Bloch coglie
nell’attimo l’origine oscura del tempo e
rilegge i due doveri della kantiana Metafisica dei costumi come autorealizzazione e solidarietà, superando l’antitesi tra
individuo e collettività: la risposta alla
sfida dell’attimo non può che essere pratico-politica, in una progettualità che ha
ben presente le condizioni storiche oggettive e non pretende di “violentare il
presente” anche se implica una strategia
per mutarlo (l’ “ottimismo militante” di
Un marxista non ha diritto al pessimismo), superando l’opposizione tra uomo
e natura. Il problema del rapporto tra
Bloch e il materialismo storico è stato
quasi un sotterraneo filo conduttore attraverso i vari interventi al convegno:
comune a tutti, pur nelle differenti accentuazioni, la convinzione che il marxismo sia solo una delle fonti del pensiero
blochiano e che quindi la sua (presunta)
crisi non ne infirmi validità e attualità.
SCHEDA
A Parigi, nel cuore del XIII Arrondissement, al n. 43 bis sicuro punto di riferimento per l’approfondimento di tali
della rue de la Glacière la Bibliothèque du Saulchoir costi- spunti di ricerca.
tuisce un punto di riferimento per tutti coloro che nella Più legato ad un’ispirazione strettamente religiosa appacapitale francese si dedicano allo studio del pensiero antico re il Centro di Studi del Saulchoir, che si affianca da un
e medievale e all’approfondimento della dimensione reli- paio d’anni alla Biblioteca. Creato nel solco delle antiche
giosa e teologica della riflessione filosofica.
Facoltà di Teologia e Filosofia dell’Ordine, esso ha per
La Biblioteca e il connesso Centro di Studi del Saulchoir obiettivo di favorire l’approfondimento della riflessione
costituiscono un centro culturale e teologico di primaria in questi campi e di contribuire alla sensibilizzazione nei
importanza, che fa capo alla Provincia di Francia dell’Ordi- confronti delle polemiche culturali, sociali e civili di più
ne Domenicano. Di tale carattere profondamente religioso stretto interesse spirituale. Costruito sul modello delle
risente in particolare il fondo conservato nella biblioteca. Grandes Ecoles francesi, esso non rilascia alcun diploma
Legata alle vicissitudini dell’Ordine nell’ultimo secolo, e concentra le proprie attività, spesso in cooperazione
questa è infatti venuta mano a mano arricchendo la propria con ricercatori legati ad altre istituzioni, nell’organizzacollezione, che si presenta oggi come un tutto omogeneo, zione di seminari di alto livello, dedicati ai temi propri
rispecchiante i precisi interessi culturali di chi ha contribuito della cultura e della tradizione religiosa; a essi si affiana formarla. Lo spirito unitario e la coerenza tematica che cano numerose giornate di studio destinate principall’hanno improntata si sono tuttavia saldati con una notevole mente a fare il punto su questioni legate a differenti
apertura e ricchezza culturale, che ha condotto ad un accre- aspetti della dimensione culturale e spirituale della vita
scimento non enciclopediumana, e dirette ad un pubco, né specialistico, ma guiI luoghi della filosofia
blico più vasto.
dato piuttosto da una preocTra le attività culturali precupazione attenta alla storia
viste per l’anno 1995, si
del pensiero e delle idee.
segnalano seminari su CaCosì, lungi dall’essere
terina da Siena, Bartolomé
un’esclusiva raccolta di tede las Casas, la mistica
sti religiosi o liturgici, la
ebraica, l’esegesi dei SetBiblioteca accoglie una moltanta, la mistica eckhartiateplicità di campi di ricerca
na e la storia dell’ebraismo
che ne fanno un luogo partiantico. A fianco di queste
colare di consultazione e di
attività fortemente speciastudio. Oltre ad una ricchislistiche, un’attenzione per
di Luca Scarantino
sima collezione patristica e a
problematiche di più imun’importante sezione di stomediata attualità intendoria e pensiero antico, vi si
no esprimere i «Cahiers»
trova uno dei cataloghi medel Centro, il cui primo
dioevali più interessanti di
numero, preparato in vista
Parigi, un importante fondo
della recente Conferenza
giansenista, una notevole vadel Cairo su cooperazione
rietà di testi storici e filosofie sviluppo, compare con il
ci moderni. Proprio questa
titolo monografico: Relimultivocità tematica, unita
gioni e demografia. Alle
alla gradevolezza dell’ambiente, ha contribuito a fare del attività del Centro e della Biblioteca sono inoltre colleSaulchoir uno dei centri di studio più apprezzati dagli gate due pubblicazioni, l’antica e prestigiosa «Revue des
studiosi della tarda antichità, del Medio Evo e delle religio- Sciences philosophiques et théologiques», e «Istina» a
ni. È infatti soprattutto a queste categorie che il centro si carattere più strettamente ecumenico; la comune apparrivolge, costituendo anche, e forse soprattutto, un importan- tenenza all’ordine domenicano consente inoltre una stretta
te punto di ritrovo intellettuale per ricercatori di ogni parte cooperazione e una certa simbiosi con la prestigiosa casa
del mondo. In particolare dev’essere sottolineata la presen- editrice CERF di Parigi.
za in Biblioteca di numerosi antichisti, provenienti dai paesi Occorre infine sottolineare come il carattere fortemente
del Mediterraneo orientale, che hanno trovato nel Saulchoir specialistico di questo Centro ponga tra le proprie prioun accogliente luogo di studio, e che vi hanno potuto rità non tanto l’apertura al grande pubblico o la formazioapportare l’esperienza di una lunga consuetudine con i fondi ne di una “scuola” vera e propria, quanto il costituirsi
arabi ed ellenistici conservati negli archivi mediorientali e come punto di attrazione e occasione di incontri per tutta
libanesi in particolare. Si assiste in tal modo alla creazione quella comunità di ricercatori e studiosi facenti capo ad
di veri e propri circuiti di scambio scientifico in grado di istituzioni culturali differenti e che intendono confronmettere a confronto studiosi provenienti da differenti tarsi su temi e problemi nell’ambito della tradizione
realtà culturali. Ciò in un momento in cui in Francia tanto spirituale e religiosa in generale. Allo stesso tempo la
la medievistica, quanto la ricerca ellenistica, sembrano vivacità culturale e la dimensione collaborativa, il cui
rivolgere un’attenzione particolare alle fonti arabe del merito è in buona misura attribuibile all’impegno del
pensiero antico e medievale; ed infatti in particolare i personale della Biblioteca, ne fanno uno dei centri intelricercatori dell’Ecole Pratique trovano nel Saulchoir un lettuali più vitali e stimolanti della capitale francese.
La Biblioteca
e il Centro di studi
del Saulchoir
11
AUTORI E IDEE
Carl Schmitt (1933)
12
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Teologia politica
come teoria sociale
In ‘Teologia politica’, del 1922, Carl
Schmitt esordiva in modo lapidario e
inequivocabile con l’affermazione che
tutti i concetti politici moderni sono
concetti teologici secolarizzati. Mancava tuttavia finora uno studio che
percorresse in tutta la sua dimensione
la portata della teologia politica schmittiana e, soprattutto, che cercasse
di farne la chiave di lettura della sua
intera opera. Questa lacuna viene ora
colmata dal dibattutissimo studio di
Heinrich Meier, DIE LEHRE CARL SCHMITTS.
VIER KAPITEL ZUR UNTERSCHEIDUNG POLITISCHER THEOLOGIE UND POLITISCHER PHILOSOPHIE (La dottrina di Carl Schmitt.
Quattro capitoli sulla distinzione tra
teologia politica e filosofia politica, J.
B. Metzler, Stoccarda 1994). All’interno di quest’ambito interpretativo, e in
particolare sul rapporto tra Schmitt e
Barth, si inserisce lo studio di Mathias
Eichhorn, ES WIRD REGIERT! DER STAAT IM
DENKEN KARL BARTHS UND CARL SCHMITTS IN
1919 BIS 1938 (Vi sarà un
governo! Lo Stato nel pensiero di Karl
Barth e di Carl Schmitt negli anni dal
1919 al 1938, Duncker & Humblot, Berlino 1994). Completa questo contesto
di riflessione, muovendosi sulla linea
di confine tra approccio filosofico e
storia delle teorie sociologiche, lo studio di Gerhard Wagner, GESELLSCHAFTSTHEORIE ALS POLITISCHE THEOLOGIE? ZUR
DEN JAHREN
KRITIK UND ÜBERWINDUNG DER THEORIEN
(Teoria della
società come teologia politica? Per la
critica e il superamento delle teorie
dell’integrazione normativa, Duncker
& Humblot, Berlino 1993), il cui assunto fondamentale è che non esiste teoria della società che non sia nello stesso tempo teologia politica.
NORMATIVER INTEGRATION
Pur esponendosi al rischio di ridurre la
complessità, le ambiguità, i passaggi irrisolti del pensiero schmittiano ad un’unica
“dottrina”, tirando una netta linea di derivazione tra principi e prese di posizione di
fondo, da un lato, e concetti e formulazioni
teoriche dall’altro, l’interpretazione offer-
ta da Heinrich Meier tenta di cogliere il
momento generativo della teoria della politica di Carl Schmitt. Da questo punto di
vista tutta la polemica ingaggiata da Schmitt contro il liberalismo sarebbe solo in
prima istanza di ordine politico; in realtà, il
motivo di fondo di questa polemica sarebbe di carattere religioso - o meglio: in
Schmitt è proprio la stessa preminenza del
teologico a fondare il politico. In tal senso,
ciò per cui il liberalismo sarebbe da contestare è innanzitutto per gli effetti di neutralizzazione e di depoliticizzazione che esso
produce nel momento in cui, con le sue
pretese di pace e sicurezza, elimina la possibilità stessa del politico, che si fonda sulla
distinzione amico-nemico. Ma ciò che veramente motiva questa critica è che Schmitt vede nel liberalismo l’agente della
pretesa prometeica del Moderno e nella
borghesia la classe sociale che ne ha fatto
da veicolo. Secolarizzazione e Gottunfähigkeit (l’incapacità di porsi in rapporto con
Dio) sono di fatto i veri bersagli della
polemica di Schmitt contro il liberalismo.
Lo studio di Meier intende delimitare in
Schmitt la teologia politica dalla filosofia
politica. L’occasione per cogliere questo
punto di discrimine si era già presentata a
Meier in un’opera precedente, Carl Schmitt, Leo Strauss und ‘Der Begriff des
Politischen’ (Carl Schmitt, Leo Strauss e
‘Il concetto di politico’, 1988). Con questo
nuovo studio Meier intende sviluppare la
tesi, già espressa in precedenza, dell’insuperabile separazione tra una fondazione
filosofica e una teologica della politica, per
cui il pensiero di Schmitt deve essere letto
alla luce della divaricazione teorica di fondo tra il richiamarsi ad un’autorità assoluta
e trascendente, alla verità della rivelazione,
e il fare appello esclusivamente alla ragione umana come unica fonte per determinare i propri doveri nei confronti del mondo.
Il primo capitolo dello studio di Meier si
sofferma proprio sul problema della morale, mostrando, a questo proposito, come il
vero nemico di Schmitt fosse quella progressiva secolarizzazione che ha portato
alla fine della verità della fede, ad una
crescente mancanza di Dio, a cui fa riscontro l’immagine di «un mondo come industria, come macchina che gira a vuoto, che
si perpetua senza scopo e senza meta». La
13
versione politica di questo processo non è
altro che il liberalismo, che ai valori basati
sulla fede in Dio ha sostituito una morale
umanitaria fondata sull’ipocrisia e l’inganno. Secondo Schmitt, invece, è proprio da
un senso morale di sottomissione e obbedienza a Dio che discende la stessa distinzione amico/nemico (la quale non ha tanto
un carattere di tipo giuridico-normativo,
quanto soprattutto un senso ontologicoesistenziale) e con essa il primato stesso del
politico, che senza il suo necessario orizzonte teologico non potrebbe neppure trovare spazio.
Nel secondo capitolo Meier mostra come
in Schmitt il politico abbia a che fare con
l’idea di verità, per cui le contrapposizioni
che in esso (e con esso) si generano non
possono che risolversi in forme, e secondo
un esito, di tipo apocalittico-escatologico.
Ed è forse in questo tipo di propensione per
le soluzioni radicali ed epocali che secondo
Meier deve essere ravvisata l’adesione di
Schmitt al nazionalsocialismo. La questione del fondamento teologico della concezione schmittiana che sta alla base della
distinzione amico/nemico è affrontata da
Meier nel terzo capitolo, mentre nel quarto
viene messa in relazione la radice religiosa
del discorso schmittiano con il suo antigiudaismo.
Rimane però ancora aperto il problema se
la teologia politica di Schmitt esaurisca
qualsiasi tipo di fondazione teologica della
politica. A questo proposito, osserva Meier, Karl Barth ci mostra un esito teorico
che disarma completamente la pretesa schmittiana di assumere il politico come sfera
delle decisioni ultime. Barth, di fatto, pone
il politico nella sfera delle cose penultime,
per cui quando si tratta di esso non può mai
essere in gioco l’eschaton. Nel momento in
cui Schmitt intreccia strettamente l’ordine
politico mondano con l’ordine della salvezza, trascura, secondo Meier, la massima
fondamentale del cristianesimo, secondo
cui il regno di Dio non è di questo mondo.
Questa dualità di piani non è propria solo
della dottrina luterana, ma è condivisa anche dalla Chiesa cattolica. D’altronde, come
lo stesso Meier riconosce, è stato impossibile per Schmitt essere riconosciuto come
legittimo rappresentante delle istanze cattoliche; piuttosto, in lui sono ravvisabili
AUTORI E IDEE
molti tratti del protestantesimo, se si pensa
come il suo esistenzialismo politico richiami per molti versi l’aut-aut della
teologia kierkegaardiana del momento
storico.
Il rapporto tra Schmitt e Barth è in particolare oggetto dello studio di Mathias
Eichhorn, che muove dagli elementi in
comune tra i due pensatori, per approdare ai differenti esiti di pensiero cui essi
pervengono. Sullo sfondo vi è, per entrambi, la crisi delle certezze metafisiche, negli anni attorno alla prima guerra
mondiale, e l’insoddisfazione per le istituzioni moderne, di cui proprio negli
anni di Weimar la Germania andava facendo esperienza. Inoltre, entrambi erano consapevoli di come il relativismo e
l’agnosticismo moderni lasciassero comunque aperta la questione del fondamento, e come dallo stesso processo di
disincantamento e di illuminismo sorgessero continuamente nuovi miti e nuove mitologie.
Da una diagnosi del proprio tempo, per
molti versi dunque simile, Barth e
Schmitt giungono, secondo Eichhorn, a
soluzioni del tutto antitetiche. In sostanza, Barth si sottrae del tutto alla visione
totalizzante che il politico ha in Schmitt,
soprattutto perché in lui il momento teologico è destinato a rimanere del tutto
separato dal politico, per quanto venga a
svolgere una funzione non meno preminente e determinante. In Barth, infatti,
l’ancoraggio teologico da cui le istituzioni mondane vengono a dipendere, fa
di queste qualcosa di derivato e di secondario, mentre in Schmitt il teologico acquista valenza politica solo tramite l’istituzione-Chiesa ed è quindi suscettibile
di assorbirsi completamente, senza residui, nelle categorie del politico. Da questo punto di vista, osserva Eichhorn,
rimane tuttavia il problema di capire in
che senso la teologia politica schmittiana si possa definire cattolica; in altri
termini, posto che Schmitt sia un pensatore cattolico, bisogna determinare di
quale tipo di cattolicesimo si tratta.
Sul rapporto tra teologia e politica in
Schmitt si è dedicata, in questi ultimi
tempi, molta attenzione. Lo confermano
le numerose pubblicazioni apparse in
questo ambito tematico, tra cui la raccolta degli atti del convegno promosso nel
1993 dall’Accademia cattolica “Roberto Mauro”, Die eigentlich katholische
Verschärfung... Konfession, Theologie
und Politik im Werk Carl Schmitts (L’intensificazione propriamente cattolica...
Confessione religiosa, teologia e politica nell’opera di Carl Schmitt, a cura di
Bernd Wacker, Wilhelm Fink, Monaco
di Baviera 1994), da cui emerge una
severa contestazione del carattere cattolico e teologico della teoria politica schmittiana, e lo studio di André Habisch,
Autorität und moderne Kultur. Ekklesiologie und Staatstheorie zwischen Carl
Schmitt und James M. Buchanan (Autorità e cultura moderna. Ecclesiollogia e
teoria dello Stato in Carl Schmitt e James M. Buchanan, Schöning, Paderborn
1994), che individua in Schmitt una “metafisica ateistica”.
Ma intanto sono apparsi anche altri scritti
di Schmitt, che possono contribuire al
chiarimento della controversia in merito
al valore da attribuire al momento teologico nella riflessione politica schmittiana. Con il titolo: Das internationalrechtliche Verbrechen des Angriffskriege
und der Grundstaz “Nullum crimen, nulla
poena sine lege” (Il reato della guerra di
aggressione nel diritto internazionale e
il principio “Nullum crimen, nulla poena, sine lege”, Duncker & Humblot,
Berlino 1994) Helmuth Quaritsch cura
la pubblicazione di un consulto giuridico che Friedrich Flick, portato in giudizio dopo la seconda guerra mondiale
dalle potenze vincitrici, aveva affidato a
Carl Schmitt. Contemporaneamente vengono pubblicate due conversazioni radiofoniche, tenute da Carl Schmitt negli
anni Cinquanta, Gespräch über die Macht und den Zugang zum Machthaber.
Gespräch über den neuen Raum (Conversazione sul potere e sull’accesso al
dominio. Conversazione sul nuovo spazio, Akademie Verlag, Berlino 1994),
che pongono, rispettivamente, la questione del potere nell’età della tecnica e
della crisi del politico in relazione alla
perdita del suo necessario ancoraggio
spaziale.
Per un più ampio inquadramento delle
concezioni fin qui esposte può valere lo
studio di Gerhard Wagner, Gesellschaftstheorie als politische Theologie? Zur
Kritik und Überwindung der Theorien
normativer Integration, che affronta le
teorie dell’integrazione sociale, ovvero
il modo in cui sono stati pensati i meccanismi dell’equilibrio sociale, sia sul piano delle relazioni private, sia su quello
del rapporto tra individuo e società. Le
categorie prese da Wagner in considerazione sono quelle di amicizia, dominio,
contratto, socialità, divisione del lavoro,
morale, secondo il modo in cui esse sono
state trattate nella filosofia politica e
nelle teorie della società. Viene così compiendosi un lungo percorso interpretativo che da Hobbes - la cui riflessione è
considerata paradigmatica per il modo
in cui le forme della teologia politica
assumono un carattere secolarizzato,
secondo l’idea che lo stato hobbesiano
sarebbe una trasposizione di attributi
divini nella figura di una potenza mondana -, passando per Comte, Spencer e
Durkheim (ma tra i filosofi non manca
Feuerbach), giunge, attraverso Weber,
fino a Parsons e Habermas.
Una particolare attenzione viene poi rivolta da Wagner alle costruzioni teoriche che, sulla base di un’antropologia
pessimistica, pervengono al modello
14
della relazione amico/nemico, in cui,
come è appunto il caso di Schmitt, sarebbe ancora operante una veduta sacrale
dell’unità sociale e politica. In questo
modo Wagner perviene al suo intento di
mostrare come il pensiero politico-sociologico non sia altro che una prosecuzione di categorie teologico-metafisiche
in forma secolarizzata e come dunque la
teoria della società non si sia costituita
altrimenti se non attraverso Ersatzbegriffe (concetti trasposti in modo sostitutivo, ma ancora operanti), tratti né più
e né meno dal pensiero metafisico. Tuttavia, bisognerebbe in questi casi ribadire che categorie di pensiero a cui si
perviene attraverso una secolarizzazione di concetti teologici non per questo si
esauriscono nella loro fonte di provenienza, ma devono essere definite all’interno del nuovo campo problematico in
cui vengono fissate. In tal senso il percorso genealogico proposto da Wagner,
per quanto indiscutibile sia la sua rilevanza conoscitiva, non annulla il salto di
paradigma che si compie quando un campo di rinvenimento fenomenico è prodotto attraverso l’uso di categorie che ne
danno una diversa formulazione. Nel
caso di Wagner, comunque, il ricorso
alla tradizione metafisico-teologica di
pensiero come presupposto delle forme
moderne di considerazione politologica
e sociologica può essere l’occasione per
mitigare le pretese di un assolutismo
razionalistico che si vuole per sé autosufficiente e non bisognoso di fondamento. G.B.
Difesa del realismo
Due appassionate difese del realismo, anche se in antitesi tra loro,
costituiscono l’oggetto dell’opera di
Karl Popper, POSCRITTO ALLA LOGICA
DELLA SCOPERTA SCIENTIFICA (a cura di
W. W. Bartley III, trad. it. di M. Benzi
e di S. Mancini, Il Saggiatore, Milano 1994), e dello studio di Vittorio
Possenti, RAZIONALISMO CRITICO E ME TAFISICA (Morcelliana, Brescia 1994).
Il Poscritto alla Logica della scoperta
scientifica, scritto da Karl Popper tra il
1951 e il 1962, è composto da tre volumi, dei quali, sino ad oggi, solo il primo
è stato pubblicato in edizione italiana
con il titolo: Il realismo e lo scopo della
scienza . In questo Poscritto Popper si
occupa dell’induttivismo, della demarcazione, della corroborazione per la scelta delle teorie, della difesa dell’oggettivismo e del problema della probabilità.
Il volume contiene ampi riferimenti a
Berkley, Hume e Kant, che interloquiscono con l’autore sui fondamenti dell’epistemologia. In particolare, gli elementi
AUTORI E IDEE
essenziali di questo scritto, accompagnati
da una chiarezza espositiva forse maggiore della Logica della scoperta scientifica
(1934), sono il tema della falsificazione,
della verosimiglianza e del realismo. Popper corregge qui la sua tesi sulla verosimiglianza, che in Congetture e confutazioni
(1962) assumeva una certa importanza
nella valutazione di una teoria scientifica,
sottolineando che le teorie devono porsi
l’obiettivo di un maggior potere esplicativo, un maggior contenuto e una maggiore
controllabilità, mentre la verosimilitudine
cade nell’abisso della verificazione, inefficace e impossibile nell’impresa scientifica. L’obiettivo diventa allora la costruzione di una teoria soddisfacente, e non
vera in senso assoluto, in grado di rendere
conto della realtà effettiva.
Ulteriori chiarimenti vengono apportati da
Popper anche al tema della falsificabilità
che, con grande chiarezza, viene qui distinta dalla falsificazione. Se, infatti, quest’ultima rappresenta il controllo definitivo di una teoria e di conseguenza la sua
messa fuori gioco per sempre dall’impresa
scientifica, Popper, tuttavia, esprime i suoi
dubbi rispetto alla legittimità di un’operazione del genere: grazie all’ipotesi ad hoc
è impossibile scartare definitivamente una
teoria; per questo la falsificazione diventa
irrealizzabile. Diverso è il discorso sulla
falsificabilità, che riguarda, logicamente,
l’esistenza dei falsificatori potenziali, in
grado di demarcare una teoria scientifica
da una non scientifica. In ogni caso, in
tutte queste argomentazioni emerge la forte esigenza di una compiuto realismo, che
faccia da sfondo alle speculazioni filosofiche e scientifiche. L’accusa implicita è a
tutte quelle epistemologie soggettivisticoidealistiche; la realtà, secondo Popper, ha
una sua durezza e consistenza che prescinde dall’osservatore e dalla sua osservazione. In questo il realismo garantisce alla
consistenza ontologica della realtà anche
una stabilità morale ed umana che, in una
posizione idealistica, sarebbe soggetta all’arbitrio dell’uomo.
Anche lo studio di Vittorio Possenti costituisce un’apologia delle realismo, sebbene da un punto di vista diverso e critico
rispetto a quello di Popper. Possenti, infatti, contrappone la filosofia dell’essere e la
metafisica al razionalismo critico di Popper, evidenziandone i limiti e le contraddizioni. Il volume si presenta così come un
dialogo incessante tra le tesi di Popper e
Albert, apologeti della ragione discorsiva, e quelle della filosofia dell’essere, fondamentalmente intuitiva, che trova in Aristotele l’origine storica.
Possenti apre la sua analisi evidenziando
le somiglianze tra filosofia dell’essere e
razionalismo critico: entrambi infatti, difendendo il realismo e riscontrando il punto di partenza della filosofia nelle cose, si
oppongono a correnti come l’ermeneutica
e l’idealismo. Se, però, il razionalismo
critico esaurisce il compito della filosofia
nella teoria della conoscenza e colloca
nella scienza il sapere massimo dell’uomo, la filosofia dell’essere considera la
filosofia in un contesto più ampio, aperto
anche, e soprattutto, alla trascendenza e
alla metafisica. In base a questa e ad altre
analisi Possenti evidenzia i limiti del razionalismo critico che, opponendosi, ad
esempio, all’induzione, esclude a priori la
possibilità di un sapere assoluto e si pone
come obbiettivo un saper finito e parziale.
Inoltre, esaltando la gnoseologia ed il metodo della scienza, il razionalismo critico
non si chiede il perché di questa operazione, ritagliando il proprio sguardo sulla
realtà in modo confuso e impreciso.
Per tutto questo, Possenti esclude che il
razionalismo critico, portatore della dianoia discorsiva, consista solamente in una
forma indebolita del razionalismo e positivismo classici. Al contrario, la filosofia
dell’essere, che parte dalle cose e dal senso
comune, si determina, fondamentalmente,
nei principi primi, ovvero i fondamenti
della logica classica, come il principio di
identità e di non-contraddizione, che non
necessitano di dimostrazione, ma che costituiscono la base logica per le dimostrazioni. Inoltre, e qui emerge il limite della
ragione dimostrativa, l’essere è colto anche in base a quelle entità date dal senso
comune, come l’esistenza di Dio o dell’anima che, colte dell’intelletto intuitivo,
permettono uno sguardo realistico e compiuto sul mondo. A.S.
Cina e Grecia:
strategie del senso
Saggio di filosofia comparata si potrebbe definire LE DÉTOUR ET L’ACCÈS.
STRATÉGIES DU SENS EN CHINE, EN GRÈCE
(La via traversa e la via retta. Strategie del senso in Cina e in Grecia, Grasset, Parigi 1994), recente studio di
François Jullien, sinologo di fama, che
pone a confronto due strategie antitetiche di pensiero: quella greca che,
nello scontro politico, nell’arte militare o nel dialogo filosofico, privilegia il
confronto a viso aperto e dà la vittoria
a chi ha sgombrato il campo dalle
forze o dalle ragioni altrui, e quella
cinese, incline a percorrere una via
indiretta di accesso al senso, dove è
più significativa la parola che «parla
indirettamente delle cose» o la strategia che disarma l’avversario senza
arrivare allo scontro sul terreno reale.
Un tratto caratteristico della cultura cinese, osserva François Jullien, poggia sull’idea che «la distanza che stabiliamo nei
confronti degli esseri e delle cose ci consente di scoprirli meglio, di evocarli in una
maniera più precisa»; pertanto la trattazione variata del tema e l’allusione prevalgo15
no sul concetto chiaro e distinto. Non che
i Greci ignorassero le strategie traverse,
precisa Jullien in riferimento alla figura di
Ulisse e di Apollo “l’oscuro”; ma esse non
costituiscono il dispositivo fondamentale
del loro modello culturale che, da Aristotele fino all’hardware dei computer, sembra piuttosto seguire il tracciato della logica binaria, dove il falso e il vero sono
termini opposti e normativi: «I Greci afferma Jullien - hanno sottolineato il valore specifico dello scontro e del risultato
che da esso si può trarre, mentre questo
tema risulta assente dalla riflessione cinese. Al contrario, la strategia dell’obliquo,
che i Greci hanno praticato al di fuori della
teorizzazione, è al centro della riflessione
cinese. Quest’ultima ha esplicitato in maniera più significativa l’indiretto, la sottigliezza, e ha valorizzato l’implicito. Importante è solo ciò che ciascuna cultura
rende maggiormente leggibile».
Dal punto di vista della civiltà occidentale,
l’originalità del pensiero cinese risiede nel
non riconoscimento di una separatezza tra
mondo sensibile e mondo intelleggibile,
tra reale e fenomeno: la verità è immanente al reale, non deve essere colta in una sua
propria essenza trascendente. Questo fa sì
che il senso non debba essere raggiunto in
maniera volontaristica, esso si manifesta
autonomamente attraverso una scrittura
“fluttuante”, sensibile alla variazione delle situazioni a cui il senso è perpetuamente
esposto. Da qui la grande raffinatezza della strumentazione letteraria della cultura
cinese, che paga tuttavia l’assenza di un
ricorso al piano delle idee con la debolezza
di fronte al potere politico: dal momento
che non può farsi forte di una verità trascendente, «l’uomo di lettere cinese resta
prigioniero dei rapporti di forza. Non disponendo di un mondo ideale esterno al
mondo della realtà, egli non può porsi di
fronte al potere in maniera autonoma.
L’idealismo occidentale, che non è certo
immune da colpe pagate a caro prezzo, ha
reso possibile la libertà politica».
In conclusione dello studio di Jullien si
precisa il senso di questo pellegrinaggio
erudito tra i classici greci e cinesi che mira:
«non soltanto a interrogarsi “sulla” Cina, e
neppure ad aprire altri modelli di intellegibilità alla filosofia, ma cerca soprattutto di
trovare, in questo va e vieni, degli strumenti capaci di tornare a far presa su alcune
questioni fondamentali, quali ad esempio
l’efficacia, la natura o la morale». Come ha
osservato Tzvetan Todorov in una recensione del saggio di Jullien, la strategia
comparativa, utilizzata qui dall’autore, va
intesa non nel senso banale di stabilire le
influenze o i parallelismi tra due culture,
quanto di utilizzare le differenze con altre
tradizioni per osservare la nostra attraverso
uno sguardo esterno, che ci aiuti a scoprire
il perché siamo così e non altrimenti: la
conoscenza di sé attraverso l’altro. E.N.
AUTORI E IDEE
Andy Warhol, 100 Cans (1962, part.)
Modernità e immagine
Il volume curato da Andreas Kuhlmann,
PHILOSOPHISCHE ANSICHTEN DER KULTUR DER MODERNE(Considerazioni filosofiche dellacultura della modernità, Fischer, Francoforte
s/M. 1994), raccoglie contributi di autori
vari intorno al significato della cultura
prodotta dai nuovi ‘media’ nella società
contemporanea. Un ulteriore approfondimento di questa tematica è offerto dalla
raccolta di saggi curata da Gottfried Boehm, WAS IST EIN BILD (Che cos’è un’immagine, Wilhelm Fink,Monacodi Baviera1994),
un’aperta denuncia dell’illusorietà del dominio dell’uomo sul reale attraverso il suo
imprigionamento in un’immagine. Sul
problema dell’immagine è intervenuto
recentemente anche Ernst H. Gombrich,
di cui viene pubblicato in traduzione
italiana il testo di una lunga intervista
rilasciata a Didier Eribon con il titolo: IL
LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI (trad. it. di M.
Perosino, Einaudi, Torino 1994).
I saggi raccolti da Andreas Kuhlmann in
Philosophische ansichten der kultur der
moderne affrontano in primo luogo le conseguenze del modo in cui viene inteso e
vissuto il rapporto con la cultura dall’uomo contemporaneo. Se l’abitante dell’universo moderno era innanzitutto un “uomo
pubblico”, partecipe del mondo, negli ultimi decenni tale rapporto si è invertito,
cedendo il passo ad un’umanità che accede alla realtà solo “via cavo”, attraverso
cioè la fitta rete creata dai nuovi media.
Grazie alla tecnica l’uomo ha finalmente
sconfitto le grandi distanze ed è in grado di
operare al di là del tempo naturale.
Tra gli autori dei vari contributi al volume,
solo Norbert Bolz saluta con entusiasmo
questo progresso, pronunciandosi a pieno
favore della “cultura postumana” come
definitivo superamento dell’antiquata tradizione culturale europea: ciò che in passato portava il nome vago di “spirito”,
osserva Bolz, viene oggi finalmente tradotto nella chiarezza dei programmi com16
puterizzati. A questa considerazione incondizionatamente positiva della cultura
“postmoderna” - anche se la “postmodernità” di cui parla Bolz è comunque estremamente circoscritta rispetto alla complessità concettuale di tale categoria) Gerhard Schulze contrappone una valutazione critica della stessa, attribuendo il
passaggio dal moderno al postmoderno
alla sostituzione del vecchio sistema di
orientamento della “modernità industriale” con il nuovo sistema della “società
dell’esperienza”: di fronte alla saturazione
dei bisogni materiali e alla conseguente
svalutazione del consumo come scopo principale della vita, il viaggiare all’interno
dell’io e l’ “andare a caccia di esperienze”
rappresentano i nuovi stimoli della cultura
postmoderna, che si configura pertanto
come fuga infantile dal modus vivendi
borghese, dalla banalità insostenibile del
quotidiano, alla ricerca dell’insolito e dell’irripetibile. Schulze si dichiara poco fiducioso nei confronti di un futuro supera-
AUTORI E IDEE
mento dell’attuale predominio dell’esperienza, poiché l’uomo, nel frattempo, ha
trascurato le sue capacità di oggettivazione, di autocritica, di astrazione.
Accanto a questi due interventi il volume
raccoglie vari altri contributi inediti che,
pur non delineando una diagnosi della
contemporaneità, forniscono spunti di riflessione circa le nuove forme di esperienza spazio-temporale e le logiche semantiche impiegate oggi dalle nuove tecnologie
dei mezzi di comunicazione. A questo
proposito si rivela di particolare interesse
lo studio sul valore comunicativo dell’immagine, condotto da Gottfried Boehm in
relazione ad alcuni testi “classici” su questa tematica, raccolti nel volume Was ist
ein Bild, che accanto a digressioni teoriche
di Lacan, Gadamer, Merleau-Ponty, Jonas, propone vari richiami a studi sperimentali sul principio iconico, con l’intento
di muovere una critica serrata all’uso iconoclastico dell’immagine proprio della cultura odierna.
L’iconoclastia, intesa come rifiuto dell’immagine nel suo valore simbolico-evocativo, costituisce la scelta più o meno
consapevole delle attuali forme di comunicazione visiva, che con la vittoria dello
spazio cibernetico celebrano lo smarrimento del ricordo e la perdita della tradizione, restituendo l’illusione di una realtà
dominata e dominabile, costretta nei limiti
quadrangolari della fenestra aperta albertiana. Un confronto obiettivo con la densità significativa del mezzo iconico, fa notare Boehm, costringe però ad ammettere
che il soggetto percipiente non domina,
bensì continua ad essere dominato dal potere evocativo dell’immagine, che agisce
sulle componenti prerazionali della natura
umana, portando ad espressione ciò che
non sarebbe altrimenti esprimibile concettualmente. La rieducazione al valore della
polivocità semantica dell’icona e la sua
restituzione all’ordine del simbolico, osserva Boehm, potrebbero rappresentare un
valido contrappeso al delirio di onnipotenza del secolo della tecnica, abitato da
un’umanità spiritualmente contratta nell’orgoglio della penetrazione razionale
della realtà. L.R.
Nella sua critica della modernità Ernst H.
Gombrich prende in considerazione, a
partire dalla propria esperienza personale,
quella condizione comunicativa dalle mille sfumature in cui intervistatore e intervistato si immergono nel corso di un’intervista, un’arte a cui Gombrich non ritiene di
dover dare alcuna definizione oggettiva,
in quanto frutto di immagini mentali, in
cui occorre innanzitutto riconoscere l’unicità di linguaggio del singolo artista. La
difficoltà di difendere l’arte nella sua purezza si ripropone con una certa frequenza
nel corso dell’intervista di Gombrich con
Didier Eribon, anche a seguito delle esperienze personali di critico, che Gombrich
ha spesso vissuto come semplice adegua-
mento dell’unicità artistica a un sistema
collettivo massificante.
Nell’intervista Gombrich espone la sua
personale opinione sui “generi” dell’arte,
individuando nella dialettica tra singolo
artista e sistema una prerogativa mediatrice e innovatrice, che salvaguarda la singolarità dell’artista e della sua creazione.
Fare arte all’interno di una dialettica tra
tradizione e superamento della medesima
(non distruzione), tra ruolo sociale e libertà individuale, tra opere d’arte e aspettative di pubblico, richiede fiuto e talento da
parte dell’artista insieme ad una elevata
autonomia. La condanna di Gombrich si
rivolge in tal senso contro ogni sistema che
stabilisca una relazione troppo stretta e
univoca tra strutture sociali e forme artistiche, trascurando l’orizzonte dei singoli
soggetti e delle singole opere. Le rivoluzioni artistiche non si realizzano attraverso posizioni distruttive, ma in base a un
metodo che, secondo Gombrich, è l’unico
applicabile: il buon senso, con cui la tradizione viene rispettata e il nuovo accolto.
Che sia una posizione utopica, quella descritta da Gombrich, sembra essere riconfermato dall’attuale contesto socio-culturale assai contraddittorio, che se da una
parte promuove cambiamenti, dall’altra
ne teme il compimento; certo è, comunque, che una tale considerazione non può
essere motivo sufficiente per rinunciare al
processo di crescita umana culturale che
caratterizza la nostra epoca. D.M.
L’età dell’eloquenza
Una nuova edizione de L’AGE DE L’ÉLOQUENCE (L’Età dell’eloquenza, Albin Michel, Parigi 1994, 1ª ed. 1980), di Marc
Fumaroli, vede la luce in Francia insieme a due nuove raccolte di studi del
medesimo autore, LA DIPLOMATIE DE
L’ ESPRIT DE MONTAIGNE A LA FONTAINE (La
diplomazia dello spirito da Montaigne
a La Fontaine, Hermann, Parigi 1994)
e L’ÉCOLE DU SILENCE. LE SENTIMENT DES
IMAGES AU XVII SIÈCLE (La scuola del
silenzio. Il sentimento delle immagini
nel XVII secolo, Flammarion, Parigi
1994).
In L’age de l’éloquence Marc Fumaroli
ci offre un importante studio sull’arte,
oggi perduta, del bene dicendi in età classica, in un’area geografica compresa tra
Parigi, Roma e Madrid. Vengono mostrati
l’apogeo, la decadenza e la fine della retorica come forma privilegiata della comunicazione, «struttura vivente di intellegibilità, suscettibile di una tradizione che si
evolve nel tempo».
Nell’analisi di Fumaroli, l’eloquenza, nata
sull’agorà della città greca, giunta in Occidente attraverso il forum romano, vive
una nuova giovinezza quando la scolastica
17
cede il passo al latino ciceroniano degli
umanisti, senza che questo fatto riesca
tuttavia a rappresentare un vantaggio
immediato per il pensiero. L’Homo rhetoricus, che si rivela al contempo Homo
symbolicus, costruisce il proprio discorso alla stregua di una basilica, avvalendosi tra l’altro di quelle arti della memoria, che l’opera di Frances Yates ha
tanto contribuito a far conoscere. Il discorso retorico tende a strutturarsi in
cinque punti, come sono cinque gli atti
della tragedia, per raggiungere le tre
finalità che gli competono: ammaestrare
(docere), piacere (dilectare), commuovere (movere).
La retorica, che aveva accompagnato la
scrittura a partire dai rotoli pergamenacei, quale ausilio essenziale di una letteratura ancora in buona parte orale, in età
moderna condivide i benefici della stampa, che ne fissa e moltiplica i canoni. In
questa prospettiva, Fumaroli ci presenta
il canto del cigno di una grande arte che
non si estinguerà prima che la Chiesa,
soprattutto quella controriformista, e i
nascenti stati nazionali ne abbiano raccolto i frutti. Se la memoria, sia quella
degli dèi ed eroi omerici, sia quella del
Dio ebraico-cristiano, fu tramandata in
esametri, prima del trionfo della prosa,
Fumaroli mostra come si possano conciliare storia letteraria e storia generale: la
neonata prosa verrà mobilitata, da un
lato, al servizio della Riforma, in risposta ai predicatori messi in campo dal
concilio di Trento, dall’altro servirà, accompagnerà e nutrirà lo Stato di diritto.
La retorica, dopo la grave ricaduta nella
violenza anomica delle guerre di religione, contribuisce infatti al ristabilimento
dello stato di diritto: Montaigne si farà
amare come “breviario delle persone
oneste” e Bordelais prenderà progressivamente il sopravvento su Cicerone.
Per Fumaroli esiste un’eloquenza del
pennello pari a quella delle parole e delle
frasi. L’École du silence, dedicato a
André Chastel, se da un lato ricorda la
Galleria del Marino, seicentesca collezione di virtuosismi letterari ispirati a
immagini illustri, dall’altro mostra come
e quanto l’arte oratoria sia in grado di far
lievitare la visione. Questo testo esemplare di Fumaroli sembra restaurare il
genere del madrigale (epigramma o ecfrasi) nella sua forma più erudita, tracciando un itinerario che va da Annibale
Carracci a Guido Reni, da Nicolas Poussin ai suoi rivali parigini, per toccare,
come sfondo, persino gli incisori di frontespizi e medaglie. In questa sua analisi
Fumaroli riporta alla luce intere regioni
del XVII secolo estetico, dagli specialisti di blasoni fino ai teorici del Parnaso
italiano. Tutti coloro di cui vien fatta
menzione subiscono tuttavia il giudizio
spesso parziale, ma sempre appassionato, di Fumaroli. Così, nell’affresco di un
XVII secolo retorico, mitologico, nobile
AUTORI E IDEE
e posato, l’eccessivo Caravaggio viene
accettato solo nella ripulita veste di “oratore” della spiritualità cattolica, quasi
che la forza e la grandezza di questo
pittore costituissero più un ostacolo che
un titolo di merito alla sua ammissione
nel “Romitaggio ideale”, in cui si risolve, per Fumaroli, il Seicento. La creazione artistica, infatti, viene da questi
concepita come attività di circoli mondani e letterari, organizzati in “società
segrete” - le accademie - nel rispetto di
regole e canoni. Il sistema fumaroliano
dell’opera d’arte si richiama al classicismo, visto come specifica essenza della
produzione francese.
Al concetto di classicismo fa appello anche La Diplomatie de l’esprit. Nella “Prefazione”, Fumaroli afferma che letteratura e “sentimento nazionale” sarebbero
legati nell’intento di far prevalere l’equilibrio e l’armonia tanto sugli individui
che si accaniscono a difendere la propria
singolarità, quanto sul disordine delle
opinioni. Come esempio Fumaroli porta
«quella prodigiosa macchina di Marly in
cui la monarchia aveva messo al riparo il
senso comune francese e la letteratura
era tenuta, insieme alla ragion di stato, a
educarlo e occuparlo». Rispetto al precedente studio sulle immagini, la Diplomazia dello spirito mette in scena un
corteo diverso, ma non meno aristocratico, che comprende Montaigne, La Fontaine, gli storiografi ufficiali di Francia,
Blaise de Vigenère e il cardinal de Retz.
I Greci, i Latini, gli Italiani e gli Spagnoli, antichi e moderni, accompagnano
questa marcia trionfale. L’ecfrasi, lettura-analisi-dissezione, è spinta a un altissimo grado di complessità, al punto che
la scienza in essa profusa diviene arte e
voluttà: arte nell’accostamento pertinente e dell’osservazione puntuale; voluttà
nella rarità della citazione di un’opera
neolatina o italiana mai più riedita, o di
un autore dimenticato. Ma la ricca messe
di materiali offerti al lettore dall’erudizione davvero prodigiosa di Fumaroli non
rinuncia a un intento esemplare: proporre
“misura, dovere e ironia” e il “sorriso del
senso comune” quali antidoti alle aberrazioni e alle violenze della storia. D.F.
Antiche e nuove geometrie
La storia, le origini, le motivazioni
della nascita della geometria costituiscono l’oggetto dell’opera di Michel
Serres, LE ORIGINI DELLA GEOMETRIA (trad.
it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano 1994),
ultimamente pubblicato in Italia. Nello stesso tempo è apparso in Francia
l’ultimo lavoro di Serres, ATLAS (Julliard, Parigi 1994), che intende analizzare lo sviluppo tecnologico e informatizzato della geometria terrestre.
Le origini della geometria di Michel
Serres giunge alla sua stesura definitiva
dopo trentacinque anni di ricerche e di
studi che hanno portato l’autore a rispondere a questioni quali l’origine del concetto di spazio, di tempo, di misurazione e,
pertanto, di matematizzazione della terra.
L’autore, che porta avanti la propria ricerca come una raccolta paratattica di concetti, associati più per legami estetici che
concettuali, risale alla Grecia di ventisei
secoli fa e qui riscontra la genesi della
geometria. Nel far questo Serres abbandona quelle interpretazioni più diffuse, che
fanno risalire la nascita della geometria
ora all’agrimensura egizia, ora alla misurazione della terra di Erodoto, ora agli
Elementi di Euclide.
La misurazione della terra, osserva Serres,
ha una matrice pratica e democratica, che
prende spunto dalla filosofia di Talete e di
Anassimandro. Spinto dall’esigenza, pratica e concreta, di misurare le piramidi e
impossibilitato a eseguire una tale misurazione in campo reale, Talete escogita un
sistema innovativo che determina la nascita della geometria. L’idea di utilizzare
l’ombra della piramide, e quindi, la luce
del sole, permette a Talete di astrarre la
forma della piramide - da qui, poi, il teorema di Talete - e di geometrizzare i fenomeni terrestri. La strada, che poi ha portato a
Pitagora, a Zenone e a Platone, veniva in
questo modo tracciata e la geometria radicata nelle menti degli uomini. La misurazione della terra, nata da esigenze di controllo della natura e di praticità, diventava,
così, possibile.
La figura di Anassimandro, fa notare
Serres, riguarda invece l’origine politica e
culturale della geometria, che accompagna quella più propriamente scientifica.
Anassimandro, infatti, con l’ideazione
dell’apeiron costituisce quello spazio infinito e indefinito che porterà a determinare il finito percepibile negli spazi geometrici ma, in modo ancora più netto, in quelli
politici. La rappresentazione della terra
come un cilindro conferma la geometrizzazione terrestre, ma fornisce al tempo
stesso lo spunto per la divisione equa e
democratica del potere politico. L’apeiron di Anassimandro, ricorda Serres, si fa
portatore della divisibilità e della differenziazione dei poteri politici; basti pensare
all’agorà, fondamento e fulcro della democrazia.
Se la ricerca di Serres si volge all’origine
della geometrizzazione della natura, questo non impedisce un accenno alla geografia che si affaccia all’orizzonte a noi contemporaneo, che appare completamente
distorto, rispetto a quello dei Greci, a causa della tecnologizzazione che determina
la fitta rete di comunicazione sempre più
radicata sul nostro pianeta, considerato
quasi come una piattaforma di lancio per la
conquista del cosmo. A questo tema Serres
dedica il suo ultimo lavoro, Atlas, che si
pone come proseguimento ideale delle
18
Origini della geometria. Serres descrive la
fitta rete di comunicazione che avvolge il
globo terrestre, che più che trasformare il
mondo, ne ha costruito uno nuovo, virtuale e tecnologico, sorto sulle basi di quello
vecchio. Gli aeroplani, i telefoni ed i fax e
gli apparati televisivi creano, infatti, una
rete irreale che possiede le nostre esistenze
senza essere compresa dagli individui
che la vivono, secondo Serres, ad “occhi
chiusi”.
Il labirinto e la confusione odierni portano, così, alla necessità di creare un nuovo
atlante, che non sia da confondere con
nessuna delle interpretazioni finora considerate, sia pure divinità greca, catena
montuosa o insieme delle carte geografiche, bensì una sorta di compendio che
legga le nuove reti di comunicazione e ci
riporti alla semplicità dell’esistenza quasi
del tutto perduta. Serres sottolinea più
volte la necessità di una guida che ci mostri chi siamo e dove siamo e che scavalchi
quel labirinto di comunicazioni che impedisce la conquista dell’universo, meta dell’antica geometria come della nuova. A.S.
Hannah Arendt:
vita filosofica e politica
Diversi studi recenti affrontano l’itinerario intellettuale, tra filosofia e
politica, di Hannah Arendt. Si tratta
del saggio di Simona Forti, VITA DELLA MENTE E TEMPO DELLA POLIS (Franco
Angeli, Milano 1994), che ricostruisce il rapporto tra filosofia e politica
nel pensiero di Arendt, e di due biografie che appaiono entrambe con il
semplice titolo: HANNAH ARENDT ; l’una
ad opera di Elisabeth Young-Bruehl
(trad. it. di D. Mezzacapa, Bollati
Boringhieri, Torino 1994), l’altra di
Sylvie Courtine Denamy (Beifond,
Parigi 1995).
Lo studio di Simona Forti affronta il pensiero di Hannah Arendt considerandone,
in primo luogo, le origini teoriche e politiche e, in secondo luogo, la convergenza di
queste nella teorizzazione della categoria
di giudizio che già in Kant trova la sua
prima contestualizzazione. Se, infatti, la
matrice pratica e politica dell’itinerario
intellettuale arendtiano risiede nel processo Eichmann e viene poi concretizzandosi
nell’Origine del totalitarismo (1938), quella filosofica dipende interamente dagli studi
di Arendt con Martin Heidegger e dalla
critica alla metafisica che nella Vita della
mente trova la sua più completa collocazione. Nel Detto di Anassimandro di
Heidegger, infatti, il ritrarsi dell’essere e
l’apparire dell’ente nell’errare della storia
consegnano ad Arendt la volontà di indirizzare tutte le sue ricerche alla praxis,
rimasta unica dimora dell’ente. In tal modo,
AUTORI E IDEE
mentre Heidegger si volge all’errore metafisico che ricerca, comunque, la persistenza dell’essere, la Arendt si rivolge alla
politica e al modo in cui la metafisica, nel
trascorrere dei secoli, abbia falsato le categorie originarie di questa sfera.
Recuperando il senso autentico di “politica” insito quasi interamente nella polis
greca, Arendt decostruisce le principali
tappe della filosofia occidentale nelle diverse articolazioni delle proposte politiche. L’analisi comincia da Platone, colpevole di avere sostituito alla realtà politica
della polis quella astratta dell’intuizione
intellettuale, e da Aristotele, limitato ancora da un residuo di teoricismo. È la volta
poi di Hobbes, che costruisce un paradigma universale e verticistico, lontano dalle
esigenze effettive degli individui, e di
Rousseau, che nella sua filosofia del soggetto perde di vista il pubblico. Gli ultimi
responsabili del tradimento della filosofia
politica antica sono Hegel e Marx, che
schematizzano il divenire storico in
un’astratta e implacabile necessità. Al contrario, secondo Arendt, la storia va intesa
come narrazione di singoli fatti che acquistano il proprio senso esclusivamente nell’eventualità del momento, materializzato
in categorie pratiche come l’azione, lo
spazio pubblico e l’autorità.
Forti conclude il suo lavoro tornando al
punto di partenza e cioè alla convivenza
delle due matrici, pratica e teorica, nel
pensiero arendtiano. Il giudizio di gusto
kantiano, infatti, costituisce quel punto di
incontro tra teoria e pratica che nel senso
comune realizza la base della pluralità
degli individui.
Le due biografie dedicate a Hannah Arendt
da Elisabeth Young-Bruehl e Sylvie Courtine Denamy ripercorrono l’itinerario filosofico della pensatrice tedesca, partendo
dai vissuti e dagli eventi che hanno caratterizzato la sua esistenza. Elisabeth
Young-Bruehl dirige la sua ricerca verso
gli affetti e i rapporti interpersonali, che
diventano il perno attorno al quale ruotano
gli eventi letterari e politici legati alla vita
di Arendt, che viene descritta come un
personaggio molto schivo e riservato, estremamente legato al privato e alle amicizie,
tra le quali quella con Jaspers, con Benjamin e con Broch occupano un posto di
rilievo. Ampio spazio è dedicato al marito,
Hans Blücher, che costituisce l’alter ego
intellettuale della pensatrice, e al periodo
americano della loro vita in comune. Gli
Stati Uniti, osserva Young-Bruehl, costituirono per Arendt, da una parte, un rifugio
liberatorio dall’oppressione nazista e, grazie al sistema repubblicano, un modello
politicamente quasi perfetto, dall’altra, il
distacco dalla patria culturale tedesca, vissuta con profonda nostalgia e rimpianto.
Nella biografia di Sylvie CourtineDenamy, punto di convergenza tra pensiero filosofico e vissuti psicologici è il
rapporto, intellettuale e sentimentale, con
Martin Heidegger, punto di riferimento
decisivo per tutta la vita di Arendt. Per
quanto concerne l’analisi politica,
Courtine-Denamy mette in luce il carattere essenzialmente contraddittorio di
Arendt, oscillante tra una sorta di “elitismo politico”, da una parte, e passione
per la militanza, dall’altra - si ricordi, a
questo proposito la partecipazione attiva al movimento sionista tedesco -, che
si manifesta nella teorizzazione di un
sistema politico ora conservatore, ora
rivoluzionario. Impegnata nella ricerca
di una storia fatta di singole “perle” e
non di trame universali e deterministiche, secondo l’autrice, il contributo di
pensiero di Arendt è stato determinante
anche nell’analisi del nazismo e dello
stalinismo. Pur considerando, infatti, entrambe le ideologie come causa di terrore e morte, Arendt attribuisce maggiore
responsabilità al nazismo, colpevole anche del crimine dell’antisemitismo e dell’olocausto. A.S.
Teorie morali
tra filosofia e sociologia
Sulla validità della morale come corretto agire sociale da tempo i filosofi
vanno dibattendo. A questo proposito, Jürgen Habermas, filosofo che ha
dedicato gran parte del proprio lavoro alla formulazione di una teoria della società, ci offre nel suo recente
TEORIA DELLA MORALE (trad. it. di V. E.
Tota, Laterza, Bari-Roma 1994) interessanti spunti di riflessione. Quest’ultima pubblicazione giunge in Italia a
seguito di un precedente studio dello
stesso autore, TESTI FILOSOFICI E CONTE STI STORICI (trad. it. di E. Rocca, Laterza,
Bari-Roma 1993), in cui veniva fornito
ampio materiale di indagine e confronto sul complesso rapporto fra la
filosofia, la sociologia e le scienze
sociali in senso ampio.
Di teorie della morale si occupano necessariamente tutti quei testi di filosofia, politica, sociologia, in cui viene riconosciuto come concetto universale,
anche se sotto diverse definizioni, la
norma che condanna gli atti contro l’interesse comune. In Teoria della morale
Jürgen Habermas distingue una morale equa per tutti da quella che assume
valore diverso a seconda del contesto
sociale e dei soggetti. La prima viene
definita morale atemporale, per certi
versi simile all’imperativo categorico
kantiano, con la variante di una legge
che anziché essere interna, viene stabilita dall’esterno. La seconda è una morale
di valutazioni, in cui le coordinate spazio-temporali sono l’elemento in base al
quale di volta in volta viene riconosciuto
il bene personale e sociale. Si potrebbe
19
definire questo secondo tipo di morale una
morale evolutiva, che segue i decorsi del
tempo e dei mutamenti storico-sociali. Si
tratta di una morale dialettica che si muove
in relazione ai singoli soggetti e alle singole situazioni, senza con questo mancare di
autorevolezza; a questi giudizi normativi,
in quanto giudizi legati a finalità contingenti, Habermas riconosce il vantaggio di
scegliere tra possibilità d’azione alternative. La differente portata tra la prima e la
seconda serie di normative, osserva
Habermas, consiste nell’oggetto sociale,
di fronte al quale occorre formulare il
giudizio.
L’analisi elaborata da Habermas sul ruolo
di differenti morali si sgancia da valutazioni filosofiche, per entrare nel merito di
realtà sociali quotidiane; i confini tra filosofia e sociologia risultano in tal caso
debolissimi, tanto da rientrare in un’unica
dimensione. L’intera opera di Habermas si
colloca tra l’ambito della filosofia e quello
delle scienze sociali. La sua è una posizione di rottura nei confronti di una filosofia
depositaria di verità assoluta e di un certo
sistema filosofico che si erge a logica
suprema.
In Testi filosofici e contesti storici
Habermas lascia trasparire l’urgenza di
una riappropriazione dei limiti del sapere
filosofico a vantaggio di un confronto aperto con più discipline e più visioni del
mondo. In questo Habermas si distacca da
un’unica chiave di lettura e di interpretazione del reale, così come rifiuta il concetto di filosofia quale unica depositaria del
sapere. Il ruolo del filosofo, per Habermas,
è quello di cogliere i molteplici contributi
provenienti dalle altre discipline sociali e
non, come spesso avviene, la proclamazione del primato della filosofia. La distinzione tra sapere superiore e inferiore, nel
dialogo tra le discipline umanistiche, riduce il vero sapere che è dato solo dallo
studio interdisciplinare.
L’opera di Habermas è un invito a rivalutare il singolo pensatore che crea idee, che
rivoluziona un sistema di pensiero, prendendo coscienza della crisi della ragione.
La conoscenza, al pari dell’esistenza, è un
processo in evoluzione; non esistono realtà prevedibili e catalogabili, ma conoscenze relative, legate per altro a contesti spazio-temporali, socio-culturali. A questo
proposito Habermas apre un confronto con
Peirce, Simmel, Horkheimer, che hanno
affrontato la ricerca “delle verità”, e non di
un’unica verità, partendo dall’imprescindibile esperienza del limite e del dubbio.
L’atteggiamento del filosofo di fronte alla
contraddizione, all’incertezza, osserva
Habermas, deve essere quello di una consapevole presa d’atto, nel dialogo con diversi impianti di pensiero, filosofici o sociali che siano, lasciandosi dietro prevaricazioni e domini infondati e distruttivi.
D.M.
AUTORI E IDEE
Orrore e stupore nell’estetica
Nella sua recente opera, ESTETICA E
META- FISICA (Upsel, Torino 1994), Livio Bottani delinea una concezione
estetica come espressione attraverso la forma dell’enigma meta-fisico
dell’universo nella sua duplice manifestazione alla coscienza umana
mediante i sentimenti dell’orrore e
dello stupore. Ripercorrendo teorie
filosofiche concernenti il rapporto
tra meta-forica e meta-fisica, Bottani intende mettere in luce lo stretto
legame che intercorre tra filosofia e
poesia. A questa concezione estetica può essere messa a confronto
quella che Mario Perniola presenta
ne IL ‘SEX APPEAL’ DELL’INORGANICO (Einaudi, Torino 1994), in cui viene teorizzata l’esistenza di una sessualità inorganica e neutra attraverso
l’evidenziazione del legame tra filosofia e sessualità.
In Estetica e meta-fisica di Livio Bottani
ci troviamo di fronte all’enigma insondabile dell’universo, al mistero impenetrabile dell’eterno ciclo della vita e della morte;
nella concezione estetica elaborata da
Mario Perniola ci troviamo invece di
fronte al mistero di una sessualità inorganica che riduce l’uomo alla “cosa senziente”. Nonostante la sostanziale diversità di
prospettiva teorica, entrambe queste concezioni ci avvicinano al sublime, sollevando il duplice sentimento dell’orrore e della
meraviglia nella coscienza dell’individuo.
Secondo Bottani il filosofare sorge dal
terribile e sublime abisso nel cui fondo si
scorge l’intreccio malefico di essere e nulla, mentre l’arte non fa che condurre alla
dimensione della forma e dell’immagine
questo enigmatico spalancarsi dell’infinità dell’universo davanti alla coscienza umana. Orrore e meraviglia, fa notare d’altro
canto Bottani, rappresentano due sentimenti strettamente collegati nella teoria
dell’arte: per Aristotele la rappresentazione tragica sortisce l’effetto della catarsi,
della purificazione dalle passioni; per Kant
la contemplazione della natura eleva il
soggetto al sentimento del sublime.
Il sentimento del sublime ci introduce nel
cuore stesso dell’estetica di Bottani. Se
l’immensità della natura, l’aprirsi di orizzonti infiniti nel reale getta l’individuo in
uno stato di orrore, in quanto rivela la sua
finitezza, la sua insignificanza, il suo nonsenso, tuttavia attraverso la consapevolezza della sua soggettività, in cui mirabilmente si manifesta la sua libertà morale e
la sua destinazione sovrasensibile, l’uomo
viene pervaso dal sentimento del sublime.
Qui si verifica, secondo Bottani, un duplice movimento di “dispropriazione” e di
“riappropriazione” della coscienza dell’individuo in relazione all’enigma meta-fisico, orribile e mirabile allo stesso tempo. Si
tratta di un movimento che traccia la figura
dell’ellisse di cui l’orrore e lo stupore sono
i due fuochi; attraverso tale movimento
l’orrore dell’essere, che immancabilmente si sgretola nel nulla, conduce alla “dispropriazione” della coscienza che, perdendo il suo centro, perde se stessa e viene
così posta di fronte alla propria insignificanza, contingenza, caducità. La coscienza, tuttavia, riesce, anche se non in modo
definitivo, a riconquistare se stessa attraverso la “riappropriazione”, che la rende
consapevole della propria destinazione
metafisica.
In questa prospettiva la filosofia, come del
resto la cultura in generale, rappresentano
tentativi di rimedio, di riscatto dal male.
Acuendo la consapevolezza della “ferita
mortale” dell’uomo, poesia e filosofia, rileva Bottani, forniscono una possibile ricomposizione dell’ “infranto”; la poesia,
fissando in forme l’ “infranto”, ridona
senso al reale; la filosofia, esprimendolo
in concetti, riesce a illuminare ambiti parziali del reale, ricostituendo un possibile
senso.
Bottani giunge a mostrare questo rapporto tra filosofia e poesia dopo aver
analizzato il legame tra meta-forica e
meta-fisica in alcuni filosofi. Per
Heidegger la poesia costituisce un “dire
originario” che si qualifica come non
meta-fisico e non meta-forico, dove
metafisico e metaforico si basano sulla
distinzione tra sensibile e intellegibile.
Meta-fisica e meta-forica sono opposte
per Nietzsche, in quanto la metafisica
irrigidisce l’impulso vitale e istintivo
che scaturisce dalla metaforica. Laddove per Vico si può istituire un legame tra
metafisica e metaforica, in quanto la
metafora non si limita a dire le cose ma
le crea, per Derrida questo stesso legame si spiega in base al fatto che la metafora porta sin dall’inizio la sua morte e la
“morte-vita” del concetto filosofico. Riprendendo la teoria di Ricoeur e quella
di Jünger, Bottani arriva infine a prospettare un nuovo rapporto, costruttivo e positivo, tra meta-fisica e meta-forica, basato
sull’emergenza dell’essere nuovo.
Se la concezione estetica di Bottani ci
rende consapevoli dell’abisso dell’essere e del nulla, portando alla luce un
sapere “melanconico”, la concezione
proposta da Mario Perniola delinea un
possibile rapporto tra filosofia e sessualità attraverso la presenza di ciò che egli
chiama “sex appeal” dell’inorganico.
Nello spiegare il significato di questo
termine, Perniola intende contrapporsi
sia alla concezione spiritualistica che,
avvicinando l’uomo a Dio, mira alla sublimazione mistica del sensibile nello
spirituale, sia alla concezione organicosensista di tipo vitalistico, che nel ricondurre l’uomo all’animale privilegia la
dimensione corporea rispetto a quella
spirituale. Secondo Perniola queste due
posizioni sono complementari, in quanto sono costituite da un movimento
20
ascendente o discendente che situa l’uomo a metà tra l’animale e Dio. Perniola
prospetta invece la possibilità di un movimento orizzontale, caratterizzato dall’identificazione dell’uomo con la “cosa senziente”, sulla base di un tipo di sessualità
che conduce gli uomini a sperimentare
appunto il sex appeal dell’inorganico, cioè
un sentire “neutro” di un corpo che non
appartiene né all’uomo, né alla cosa, e
nemmeno nasce dalla loro fusione, ma dal
loro rapporto e dalla totale accessibilità ad
esso.
Il sentire morale delineato da Kant, fa
rilevare ad esempio Perniola, è simile a un
sentire “neutro” e anonimo, in quanto Kant
parla di imperativo categorico impersonale e universale, che porta l’uomo ad avvicinarsi alla cosa in sé. Dall’altro lato Hegel,
parlando della cosa come dotata di un
interno non separabile dal suo esterno,
mostra il carattere della natura come tutto
“d’un getto” e quindi si avvicina alla sensibilità del sex appeal dell’inorganico, che
elimina la distinzione tra interiore ed esteriore in favore di un’esteriorità tutta aperta. Ad essa si avvicina anche Heidegger,
in quanto cerca l’essere nella cosa. La
riflessione di Heidegger sulla cosa, osserva Perniola, si rivela implicitamente sessuale nel suo modo di comprendere la vera
essenza della cosa, rifiutando di considerarla come strumento. Infine, anche
Wittgenstein, rifiutando il primato sia dello spirito, sia del corpo, si avvicina al tipo
di esperienza determinata dalla sessualità
dell’inorganico, abolendo ogni separazione tra gli uomini e le cose, tra l’animato e
l’inerte.
La sessualità dell’inorganico, analizzata
da Perniola, si rivela un tipo di sessualità
che bandisce il legame col piacere, con il
movimento ascendente che culmina nell’orgasmo, per proporre invece una dilatazione all’infinito del piacere in una continua e infinita sperimentazione della “cosa
senziente”. Una tale sessualità trasforma
gli esseri umani in cose, facendo coincidere il desiderio dell’altro con l’immersione,
con l’avvolgimento nella sua “veste” per
conseguire quell’astrattezza della cosa che
costituisce il centro del godimento. Il mondo che questa sessualità instaura, fa notare
Perniola, è un mondo “poroso”, divisibile
all’infinito, in cui viene privilegiato il senso del tatto rispetto a quello della vista e
dell’udito, in cui le cose si compenetrano
senza tuttavia fondersi. All’estetica legata
al senso della vista e quindi all’immagine
della bellezza Perniola oppone un’estetica
“neutra”, nella quale viene riconosciuta
ogni sessualità perversa e patologica pur
non coincidendo con la perversione, in
quanto si tratta di una sessualità legata al
mondo artificiale delle cose senzienti e
allo spazio infinito causato dalla scomparsa del soggetto. M.Mi.
AUTORI E IDEE
Il linguaggio della politica,
il linguaggio della morale
Attraverso una decostruzione dei grandi testi della filosofia e della letteratura, l’ultimo lavoro di Jacques Derrida,
POLITIQUES DE L’AMITIÉ (Politiche dell’amicizia, Galilée, Parigi 1994), traccia la
storia dell’amicizia nella cultura occidentale, anche nei suoi risvolti politici.
Contemporaneamente viene pubblicato un altro scritto di Derrida, più
direttamente politico: FORCE DE LOI (Forza della legge, Galilée, Parigi 1995), da
cui emerge che la possibilità di un
rinnovamento della politica risulta
condizionato dalla capacità di utilizzare un linguaggio altro, che attinga alla
riserva del senso. Un invito ad andare
oltre l’uso consensuale del linguaggio
ci viene anche da François Lyotard in
MORALITÉS POSTMODERNES (Moralità postmoderne, Galilée, Parigi 1994). In un
epoca che impone il tutto leggibile e
comunicabile per rafforzare il legame
sociale compromesso dalla crisi dei
grandi ideali e dei grandi discorsi,
Lyotard propone “scritti d’infanzia”,
come recita il sottotitolo: favole, brevi
dialoghi, piccole riflessioni, in cui l’infanzia, resa alle parole, le rende in
grado di ascoltare “il rumore” da cui
viene il pensiero.
«Oh! Amici miei; non esiste amico alcuno». Queste parole di Aristotele, ricorrenti e variamente interpretate nel corso della
filosofia e della letteratura occidentale,
costituiscono il filo conduttore di Politiques de l’amitié. In quest’opera Jacques
Derrida decostruisce Platone, Aristotele,
Cicerone, Montaigne, Kant, Hegel, Nietzsche, Michelet, Hugo, Schmitt, Heidegger,
Blanchot: tutti autori di un diverso discorso di fraternità e di giustizia che tuttavia,
secondo Derrida, hanno in comune il fatto
di escludere l’amicizia femminile, rivelandosi discorsi di una democrazia ancora
da fare.
Nella sua analisi della storia fallocentrica
dell’amicizia Derrida esordisce seguendo
il motivo della fratellanza nelle memorie
greche e cristiane per arrivare fino al periodo della Rivoluzione francese. Nonostante l’intenso fenomeno di sublimazione, santificazione, universalizzazione, il
valore della fratellanza, osserva Derrida,
resta radicato nella famiglia e nella nascita. Se l’ideale della fratellanza, che nessuna rottura storica è riuscito a scalfire - né il
trapasso dal mondo greco a quello cristiano, né la repubblica post-rivoluzionaria,
né la rivoluzione psicoanalitica - è servito
alla democrazia per definire il proprio orizzonte, questo stesso orizzonte costituisce,
secondo Derrida, anche un limite: la fratellanza repubblicana e universale può in
ogni momento risvegliare la simbologia
del sangue, della nazione, dell’etnia o dell’androcentrismo sublimato.
Jean-François Lyotard (sopra) e Jacques Derrida
21
AUTORI E IDEE
Questa preoccupazione politica ha radici
lontane nella riflessione di Derrida. Quasi
trent’anni fa, infatti, il teorico della decostruzione aveva tenuto dei seminari sul
problema del nazionalismo, preparando il
terreno per l’analisi svolta in Politiques de
l’amitié, nella convinzione che per affrontare una nuova esperienza della responsabilità fosse necessario congedarsi da concetti e pregiudizi persistenti. In questa
prospettiva, la decostruzione, lungi dal
portare ad una posizione di disimpegno e
di abdicazione nichilistica di fronte alle
questioni etiche, sociali e politiche, rappresenta uno dei modi per facilitare questo
congedo.
In Kant, mostra ad esempio Derrida, il soggetto rimane in tal senso troppo “fraterno”,
virile, familiare, nazionale. Carl Schmitt,
invece, caratterizza la politica attraverso la
discriminazione tra amico e nemico; decostruire il pensiero di Schmitt è allora, secondo Derrida, un utile esercizio per dar vita a un
nuovo pensiero del politico. A Maurice
Blanchot, invece, va tutta la simpatia di
Derrida. Blanchot pensa all’amicizia come
ad un rapporto di uguaglianza senza reciprocità, né simmetria: l’amico, per Blanchot,
non pone condizioni, né si aspetta ritorni.
Una tale concezione dell’amicizia, osserva
Derrida, non può tuttavia appartenere ad una
politica dell’amicizia, se si limita la politica
o la democrazia ai tratti di oggi. «Io sogno
invece una politica che resta affettiva senza
far violenza alla possibilità, per quanto improbabile, di una tale amicizia al di là della
mutualità».
Salvaguardando la possibilità di un’amicizia non simmetrica, che vada al di là della
trasparenza del dare-avere, Derrida sembra voler preservare l’eccedenza, lo scarto, la “differenza” come fonte di alimento
e rinnovamento del rapporto di amicizia e
della politica. Questa riflessione ritorna,
sotto altre spoglie, in un altro testo, ancora
più direttamente politico, Force de loi, che
Derrida pubblica insieme a Politiques de
l’amitié. Qui, sostiene Derrida, non è la
giustizia in sé che impone un rispetto infinito per la singolarità, ma la giustizia inscritta, per quel che è possibile, nella generalità del diritto. In altri termini, secondo
Derrida, la giustizia non diventa mai effettiva al di fuori del diritto, della “forza della
legge”, che tuttavia essa supera; il datolegge non esaurisce la riserva-giustizia,
ma costituisce tuttavia l’unico modo in cui
questa riserva può esistere. Per Derrida,
dunque, non ci può essere una politica
rinnovata senza un linguaggio altro, che
attinga alla riserva di senso e non si fermi
al significato dato; non si può rispondere
all’esigenza di giustizia senza pensare e
scrivere diversamente, senza attingere un
nuovo significato delle parole dalla forza
della loro memoria.
In moralités postmodernes ,François
Lyotard tratteggia il ruolo dell’intellettuale come colui che, sottomesso al comandamento dello sviluppo “leggibile e
comunicabile”, si serve del linguaggio per
dire l’urgenza del consenso, per rispondere al bisogno di rafforzare il legame sociale nell’epoca della perdita dei grandi ideali
e delle grandi scommesse della storia: commercio, scambio e circolazione delle idee,
che organizzano la comunità e che legittimano l’esistenza della democrazia liberale, consentendole di perpetuarsi. Per
Lyotard, si tratta di una comunità artificiale, che nello spettacolo, nell’estetizzazione della cultura, nell’imposizione del live
e nel dovere di essere a tutti i costi comunicazionale cerca di nascondere la perdita
dei suoi ideali. Stordimento che funge da
ansiolitico nell’epoca in cui la fine dei
grandi discorsi riconciliatori, riparatori,
che promettevano la Natura, il Paradiso o
la società senza classi, lascia il pensiero
orfano e libera «il sentimento insopportabile (l’angoscia di Heidegger?) che non ci
sia un percorso da seguire».
Lyotard suggerisce allora che «bisogna
accettare di disperarsi»; «il postmoderno è
la malinconia di un pensiero che soffre di
finalità». La malinconia è quindi, per
Lyotard, il modo proprio di essere del
pensiero nell’epoca postmetafisica; malinconia da distinguere dalla nostalgia, in
quanto riesce ad andare al di là dei modi di
circolazione, di integrazione e di estetizzazione delle conoscenze e dei dibattiti,
costituendo una possibilità di incontrare
quel che sfugge all’ingiunzione terroristica che organizza in modo omologante l’essere-insieme planetario. Di fatto, osserva
Lyotard, se i Discorsi sono crollati, c’è
spazio, però, per una favola, un breve
dialogo, una piccola riflessione o una semplice prefazione, in cui l’infanzia, resa alla
parole, le rende in grado di ascoltare quel
rumore «da cui il pensiero viene e attraverso cui viene; da cui esso scaturisce e in cui
esso cerca di entrare».
Le quindici “moralità postmoderne” che
compongono il volume sono tutte favole o
Scritti d’infanzia, come recita il sottotitolo, che entrano nella discussione contemporanea per interrogarla di un mistero, di
una ignoranza, impassibili alle seduzioni
della megalopoli estetica «intaccate da quel
che esse nascondono, manifestandolo: il
pianto muto per la mancanza dell’assoluto». Nel corso del testo, l’analisi di Lyotard
ritorna su ciò che è andato perduto dallo
sguardo del filosofo e su ciò che egli deve
riconquistare: «una vista strabica sul visibile, così divergente da scorgervi quel che
visibile non è». Attraverso incursioni nella
musica, nella pittura, nella letteratura e
nella filosofia, Lyotard mette in atto una
scrittura che testimonia che c’è dell’altro e
invita a riconoscere la mancanza o l’eccedenza che «trascende le forme, pur abitandole», rifiutando l’abbassamento dei segni alla logica dello scambio generalizzato. «Le opere di pittura, scultura, architettura e di letteratura non valgono niente
come risposte al nichilismo, valgono piuttosto come domande poste al niente». A.M.
22
Formazione e cultura
Che i termini di ‘Bildung’ (formazione) e
‘Kultur’ (cultura) costituiscano concetti
chiave della vicenda intellettuale tedesca, con risvolti di carattere sociale e
politico, è noto da tempo. Mancava
però fino ad oggi una ricostruzione storiograficamente soddisfacente che ne
offrisse gli sviluppi e la portata. Viene
opportunamente incontro a questa esigenza, offrendoci un grande affresco di
semantica storica, lo studio di Georg
Bollenbeck, BILDUNG UND KULTUR. GLANZ
UND ELEND EINES DEUTSCHEN DEUTUNGSMUSTER (Formazione e cultura. Splendore
e miseria di un paradigma tedesco, Insel Verlag, Francoforte s/M. 1994 ).
L’intento dell’autore è quello di mostrare
come, perché e in qual modo il concetto di
Kultur si è formato ed è stato recepito e
quindi quali effetti esso ha avuto, attraverso
gli strati sociali che ne sono stati portatori,
sulla sfera pubblica e sulle istituzioni. Proponendosi una ricostruzione quanto più esauriente possibile, Georg Bollenbeck non si
perita di risalire fino alle fonti più antiche - ai
greci, ai romani, al Medioevo - in cui si può
trovare una preistoria del concetto. Tuttavia
sono soprattutto le fonti mistico-pietistiche
ad essere determinanti per la formazione del
concetto di Kultur, per l’accezione con cui
esso si definisce all’interno dell’orizzonte
illuministico e quindi per il nesso ineludibile
che esso stringe con l’idea di Bildung, a
partire dalla quale, soltanto, assume una
valenza specificamente tedesca.
Nel periodo dell’Illuminismo, spiega Bollenbeck, il concetto di Kultur viene elaborato
secondo visioni di filosofia della storia allora
dominanti, per cui esso viene ad esprimere
l’idea di progresso del genere umano (basti
pensare a Herder e a Kant). L’instaurarsi del
nesso che mette in relazione Kultur con
Bildung viene affrontato da Bollenbeck a
partire dallo stesso Kant, e quindi in Goethe,
Schiller, Fichte, Schelling, Hegel. Ma il personaggio chiave di questa svolta è Wilhelm
von Humboldt, che si situa al culmine del
processo di trasposizione del significato di
Kultur dalla prospettiva storico-sociale a
quella interiore dell’autoformazione e del
compimento del Sé. A questo punto si innesta quel percorso parallelo, così tipicamente
tedesco, che permette di coniugare la libertà
accademica con una piena subalternità nei
confronti dell’autorità politica.
La vera cesura che porta il concetto di Kultur
ad abbandonare ogni valenza di carattere
emancipatorio, sia a livello sociale che a
livello personale, si verifica durante il periodo guglielmino e in particolare nel passaggio
di fine secolo. Il concetto di Kultur, inteso
come spazio della vita spirituale di un popolo, svincolato dall’idea di progresso, viene
ora definendosi in antagonismo all’idea di
Zivilisation (civilizzazione), intesa come articolazione puramente meccanica e materiale della sfera esteriore di vita - una polarità
AUTORI E IDEE
questa che diventa la chiave orientativa della
cultura tedesca nel corso della prima guerra
mondiale, in virtù del confronto inesorabile
tra le aspirazioni tedesche alla Kultur, da un
lato, e l’irrecuperabile Zivilisation delle potenze occidentali dall’altro).
Bollenbeck segue poi l’esito fatale in cui si
stringono Kultur e Bildung prima con la
Repubblica di Weimar, poi con il nazionalsocialismo, che ne stabilisce, nello stesso
tempo, il suo uso strumentale, per quanto
contraddittorio, ed il suo definitivo esaurimento. Ma ciò che segna il tracollo del
riferimento tra Bildung e Kultur è la liquidazione, negli anni trenta, dello strato sociale
che ne era stato portatore, quel Bildungsbürgertum, che dopo la prima parentesi liberale,
in seguito alle successive ondate di modernizzazione che l’avevano sempre più relegato in un ambito di insignificanza sociale, si
era del tutto impregnato di un “affetto culturale-critico” contro la democrazia, la massificazione e l’età della tecnica. G. B.
Antropologia, etica e politica
nell’Inghilterra del Settecento
La questione dei rapporti tra antropologia, etica e politica nel dibattito culturale e filosofico dell’Inghilterra del Settecento è l’ambito tematico in cui convergono un classico, quello di Alexander
Pope, SAGGIO SULL’UOMO (trad. it. a cura
di A. Zanini, Liberilibri, Macerata 1994),
e due studi critici, quello di Adelino
Zanini, GENESI IMPERFETTA. IL GOVERNO DELLE PASSIONI IN ADAM SMITH (Giappichelli,
Torino 1995), e quello di Franco Crispini, L’OPINIONE DEL BENE (Morano, Napoli
1994), dedicato alle concezioni di Anthony Shaftesbury sul problema di
un’etica dell’esistenza, basata sull’economia delle passioni, sull’equilibrio tra
emozioni e ragione.
Che cos’è l’uomo? E questa la domanda che
larga parte della cultura inglese ed europea nel
Settecento intendeva assumere come punto di
partenza per sviluppare una dottrina etica. Un
approccio in evidente polemica non solo e non
tanto con una tradizione filosofica determinata,
quanto con un’etica prescrittiva e una riflessione politico-filosofica che non tenessero conto
della natura effettiva dell’uomo. Fu proprio An
essay on man(Saggiosull’uomo, 1733), più che
i suoi Moral essays (Saggi morali, 1731-35), a
conferire ad Alexander Pope una notorietà
europea: all’opera dell’autore inglese Voltaire
riconosceva il merito di aver individuato motivi
«universali e comuni a tutte le nazioni», e anche
Kant si esprimeva con ammirazione nei suoi
confronti.
Il Saggio sull’uomo consta di quattro epistole in
versi, pubblicate separatamente; anche in Italia
l’opera fu, nel corso del Settecento, ripetutamente tradotta, ma l’edizione più recente risale
al 1819. Estremamente opportuna appare
perciò questa traduzione, corredata da un
ampio saggio introduttivo di Adelino Zanini,
Scena etica dell’Essay on man, che illumina
sull’opera e la figura di Pope nel panorama della
storia delle idee a lui contemporanea. Come
avverte il curatore, oltre alla fedeltà letteraria
questa edizione ha di mira l’accuratezza criticofilosofica nel ricostruire il panorama di un
dibattito chehatra i suoi ispiratori Bollingbroke,
ma anche Shaftesbury, Montaigne e La Rochefoucauld, ma anche Pascal e, naturalmente,
Locke. Lo sfondo ideale di Pope è quello di un
naturalismo neoclassico di stampo deista, il cui
motivo ricorrente consiste nella necessità di
conformarsi per imitazione alla natura, nonché
all’esempio degli antichi. Non altro scopo ha
dunque l’antropologia popeana se non una
finalità pratica, alla quale non sono neppure
estranei il legame e l’impegno personali di Pope
con gli ambienti tories. Orientata in senso conservatore appare, in effetti, la prospettiva armonicista in cui l’autore inglese colloca la propria
concezione dell’essenza della natura umana
come fusione di “amor proprio” (self-love), ciò
che sprona, e ragione (reason), ciò che frena.
L’una e l’altra sono entrambe necessarie e
formano la “natura media”: concetto di ascendenza shaftesburiana che emerge, come un leitmotivdecisivo, all’internodelleepistoledi Pope,
il cui conservatorismo, osserva Zanini, va imputato all’ottimismo deistico che fa dell’antropologia il momento di una “teodicea esplicativa”: viviamo nel migliore dei mondi possibili,
ed è insensato (oltre che velleitario) tentarne un
mutamento radicale.
Sulla questione della medietas la riflessione di
Pope entra in relazione con quella di Adam
Smith, al quale Adelino Zanini, già curatore
dell’edizione italiana di Theory of moral sentiments (Teoria dei sentimenti morali, 1991), ha
dedicato un suo recente studio, Genesi imperfetta. Il governo delle passioni in Adam Smith.
La questione della medietà gioca un ruolo
rilevante nel contesto del pensiero politico settecentesco: la nozione smithiana di middle conformation (media conformazione) dimostra,
nella sua lontananza da quella di middle way
(via media) di Shaftesbury e Pope, una valenza critica nei confronti dell’esistente. Zanini
sottolineala dimensioneeuropeadel pensiero di
Smith, che viene indicato, sulla strada aperta da
Hume, comeil punto di avviodellarevisionedel
paradigma antropologico settecentesco, fondato sulla categorizzazione dell’uomo come “essere intermedio”. Da questa revisione scaturisce il precetto etico relativo a una condotta
ispirata al criterio del “giusto mezzo”, che la
ragione realizza nel suo imporre il proprio
governo (lontano, peraltro, da ogni eccesso
rigoristico) alle passioni. Tale categorizzazione mostra, peraltro, il proprio carattere
problematico: la prospettiva della “grande
catena dell’essere”, nella quale essa va collocata, comporta in effetti, come rileva
Lovejoy, l’umiliazionedell’antropocentrismo.
Con Hume, osserva Zanini, i termini del
dibattito subiscono una ridefinizione radicale. Il criterio dell’esperienza sposta infatti la
discussione dal piano aprioristico (dove si
pretendeva di collocare il principio del mo23
ral sense, del senso morale) a quello empirico.
A questo livello si colloca, infatti, il criterio
humeano della utility (utilità), e sullo stesso
piano, pur con significative differenze, si sviluppa l’analisi smithiana. Come sottolinea Zanini, a Smith interessa meno definire in che cosa
consista la “vera” natura umana di quanto non
gli importi osservare ciò che l’esperienza ci
mette sotto gli occhi: non tanto l’essenza della
natura umana, quanto le modalità del suo esplicarsi costituiscono l’obiettivo della sua ricerca.
Per questa via, il criterio di analisi relativo all’
“uomo medio” e perfino il frutto della teorizzazione smithiana, cioè la regola generale relativa
alla moralità dei comportamenti in base all’approvazione o alla disapprovazione, rappresentano, ribadisce Zanini, «un prodotto e
non un principio», in quanto vincolati all’esperienza delle conseguenze di determinate azioni compiute. F.C.
Anthony Shaftesbury è noto tra i pensatori
del primo Settecento come colui che ha
orientato la filosofia morale inglese verso un
definitivo distacco da una tradizione di stampo formalistico. Ne L’opinione del bene
Franco Crispini affronta questa evoluzione
dell’etica attraverso una rigorosa analisi della categoria shaftesburyana di coscienza.
La novità della concezione etica di Shaftesbury
sta nell’autonomia che egli attribuisce a questa
sfera nei confronti delle dottrine metafisiche o
dogmatiche; la sua , fa notare Crispini, è un’etica dell’individuo, elaborata in funzione del
singolo e del bene comune e fondata su un
dialogo interiore dell’uomo con la propria coscienza più intima, che implica un aprirsi autentico a sé e agli altri con il medesimo altruismo e
interesse. Un discorso etico, quello di Shaftesbury, in cui le passioni debbono essere riconosciute nei loro limiti, espresse con una certa
cautela e comunque sempre nei confini della
ragione. Punto di partenza di questo discorso è
l’interiorità; la sua meta un’armonia sociale
come specchio di quella individuale. In questo,
è legittimo quindi che le passioni debbano
essere “economizzate” ed elaborate per garantire la pienezza dell’esperienza morale, altrimenti irrealizzabile.
Nel progetto etico shaftesburiano la mente rappresenta la materia prima; se mal utilizzata,
diviene fonte di degenerazione dello spirito
umano e sociale. Crispini dedica parte del suo
studio all’approfondimento di questi due concetti, riconoscendo in essi i due capisaldi della
dottrina etica del filosofo inglese. Una mente
che guidi il singolo alla scoperta dei valori
profondi presenti nella propria coscienza, non è
equiparabile ad un’altra che si lasci trascinare
dall’immediato, dalla via più facile da seguire;
occorre distinguere il bene dal male non in
virtù di quanto impongono le norme esterne,
ma da come la mente si rapporta a se stessa
e ai piaceri del vivere quotidiano. L’etica
shaftesburiana non si presenta quindi come
un’etica comportamentale, ma rientra in un
contesto più ampio, quello esistenziale in cui
ognuno ha la responsabilità di essere “autentico” e di trasmettere attraverso il proprio
esempio una tale autenticità. D.M.
TENDENZE E DIBATTITI
Fotomontaggio di Tsunehisa Kimura
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TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
La percezione del tempo
nell’epoca dei ‘media’
Nonostante il ritardo con cui la
filosofia si rapporta al mondo dei
‘media’, sempre più evidente appare il fatto che solo attraverso le
categorie filosofiche è possibile
comprendere quale sia la reale
posta in gioco. A questo proposito
si segnalano alcuni recenti studi,
che possono essere considerati
propedeutici a una specifica riflessione filosofica sul tema. In edizione italiana compare lo studio di
Paul Virilio, LO SCHERMO E L ’ OBLIO
(Edizioni Anabasi, Milano 1994), a
cui fa riscontro, sugli effetti perversi del mondo dell’informazione
sulle nostre forme di appercezione
del reale, l’opera di Jean Baudrillard, LE CRIME PARFAIT (Il crimine perfetto, Galilée, Parigi 1994). Sul
modo in cui il nuovo mondo dei
media ha modificato la nostra percezione del tempo si pronuncia anche una raccolta di saggi a cura di
Mike Sandbothe e Walter Ch. Zimmerli, ZEIT , MEDIEN , WAHRNEHMUNG
(Tempo, media, percezione, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
Darmstadt 1994).
L’opera di Paul Virilio, Lo schermo e
l’oblio, che compare in edizione italiana contemporaneamente a quella tedesca, dal il titolo: Die Eroberung des
Körpers. Vom Übermenschen zum
überreizten Menschen (La conquista
del corpo. Dal superuomo all’uomo
sovreccitato, Hanser, Monaco di Baviera 1994), pone come elemento centrale l’affermazione secondo cui dalla
colonizzazione dello spazio come corpo esterno ci stiamo spostando oggi
alla colonizzazione del corpo animale
stesso dell’uomo. Oggi, secondo Virilio, «ci si prepara ad attrezzare lo spessore del vivente con micromacchine
suscettibili di stimolare efficacemente le nostre facoltà», a causa della
condizione di inerzia e di passività
dell’uomo nella società moderna, dove
la «tele-azione ha ormai sostituito
l’azione immediata». Ora non si tratta
più di ridurre lo sforzo fisico dell’uomo, ma di procedere tecnologicamente a risolvere l’insoddisfazione, la frustazione, quali effetti dell’introduzione delle macchine, che si sono sostituite all’azione umana direttamente esercitata sulle cose, condannando l’individuo ad una passività crescente, ad
un’inerzia che lo spoglia della sua attività fisica immediata.
Con ciò, il corpo umano, osserva Virilio, diventerà un corpo veramente
“meta-fisico”, indipendente dalle condizioni dell’ambiente, e tutto ciò che
ha estensione, tutto ciò che si situa
nello spazio, in quanto “spazio reale”
«perderà progressivamente importanza a vantaggio del “tempo reale” di
impulsi, di sovreccitazioni nano-tecnologiche che succederanno ai ritmi
vitali». Avremo così un’evoluzione di
carattere “tecno-scientifico”, che preparerà «il “superuomo” di domani in
quanto “valido sopraequipaggiato”,
che controlla il suo ambiente senza
spostarsi fisicamente, sul modello dell’
“invalido attrezzato” di protesi che,
già ai giorni nostri, agisce e si sposta
senza ricorrere troppo alla forza fisica». Questa trasformazione artificiale
del corpo umano, aggiunge Virilio,
forse preparerà un’epoca di dominio
incontrastato della tecnica, una mitologizzazione della tecnica alla quale
finora non si era mai giunti: un vero e
proprio “integralismo tecno-scientifico”.
Dal punto di vista delle tecnologie mediali, l’uso dei mezzi tecnici di comunicazione, fa notare innanzitutto Virilio, cambia il nostro modo stesso di
partecipazione al processo di interazione sociale. Il mezzo tecnico (come
il cinema o la televisione) trasforma
gli spettatori in una massa, nel momento in cui essi non devono più singolarmente decodificare i dati del reale, ma si trovano tutti insieme a percepire come reale soltanto ciò che la
macchina propone come tale. Nell’universo della comunicazione mediatica
spazio e tempo, categorie dell’intuizione sensibile che rendono possibili
l’esperienza delle cose, si trovano già
25
predefinti al di fuori del soggetto tramite gli strumenti tecnici di comunicazione stessa. I media perciò non sono
in realtà soltanto “mezzi”, il cui scopo
si esaurisce unicamente nel far transitare una realtà che ad essi preesiste e
che essi lascerebbero intoccata, quanto piuttosto strumenti di definizione
della realtà stessa. Anzi, i media si
sostituiscono al reale, al quale non è
più possibile accedere senza di essi.
Tuttavia, la realtà trasmessa dai media
è necessariamente una realtà ficta, sicché alla fine tutto il gigantesco apparato mediatico di comunicazione non
ci serve per accrescere la nostra conoscenza del reale, ma per fare della
realtà una costruzione artefatta. Terrorismo e comunicazione sono oggi
momenti costitutivamente omologhi.
Sulla tesi della perdita di realtà prodotta dai moderni strumenti di comunicazione di massa insiste da anni anche Jean Baudrillard, che con il suo
ultimo lavoro, Le crime parfait, denuncia gli effetti perversi del mondo
dell’informazione sulle nostre forme
di appercezione del reale. Il crimine
perfetto sarebbe quello che i moderni
mezzi tecnologici di comunicazione
intendono operare, vale a dire «la risoluzione anticipata del mondo per
clonazione della realtà e sterminio del
reale». Se nell’universo della riproduzione tecnologica del reale Virilio
mette l’accento soprattutto sull’impossibilità di continuare ad operare con le
categorie morali del bene e del male,
Baudrillard mette l’accento soprattutto sulla scomparsa contemporaneamente della distinzione tra essere e
non essere e di quella tra ciò che è vero
e ciò che non lo è. Il mondo da noi
stessi artificiosamente riprodotto come
rappresentazione ci esonera dal porre
la questione della sua realtà e della sua
verità.
Alle posizioni di Virilio e di Baudrillard è stato mosso il rimprovero di
essere fiction alquanto fantasiosa, ben
lontana dall’offrire una rigorosa conoscenza scientifica del mondo dei
media. È quanto emerge da una serie
di contributi raccolti a cura di Mike
TENDENZE E DIBATTITI
Sandbothe e Walter Ch. Zimmerli nel
volume: Zeit, Medien, Wahrnehmung, in
cui figura, tra gli altri, proprio un intervento dello stesso Jean Baudrillard, il quale
tenta di ridefinire il problema del tempo
introdotto dai media nei termini di una
riflessione sulla durata della storia, proponendo all’idea di “posthistoire” il principio di “retroversione”, con cui la storia
fino ad oggi avrebbe mostrato di operare.
Sebbene, osserva Beaudrillard, con la fine
delle grandi utopie individui e istituzioni
abbiano perduto il loro principio vitale,
essi hanno però conquistato un’immortalità virtuale che nel futuro continuerà ad
occultare la loro fine già avvenuta.
Tra gli altri autori del volume, Hermann
Lübbe osserva come la nostra età di accelerazione tecnologica produca come effetto quello di un restringimento del presente,
per cui si potrebbe dire che dopo lo sradicamento spaziale della prima modernizzazione gli individui vivono lo sradicamento
dal tempo come perdita della loro ora
presente, a cui essi non sentono più di
appartenere. Götz Großklaus mette invece in evidenza come ciò che può andare
smarrito con l’assottigliarsi delle capacità
percettive con cui cogliamo il presente,
venga tuttavia riguadagnato dal considerevole ampliarsi delle nostre possibilità di
recupero del tempo passato, che proprio i
mezzi tecnologici consentono di conservare e di riattualizzare. Tutti gli interventi,
ad ogni modo, convengono sulla completa
sparizione della concezione lineare del
tempo operatasi tramite le categorie percettive offerte dal consumo dei prodotti
della comunicazione di massa. Rimane
aperta solo la questione se, come sostiene
Helga Nowotny, si debba parlare di una
«crescita della pluralità e della multiprospettività», oppure di un’appercezione puntiforme e frammentata, che ci nasconde il senso delle cose nella stessa
lettura in codice che noi facciamo di
esse. G.B.
Sul rapporto tra filosofia
e scrittura
In due volumi, rispettivamente dal
titolo: IL TESTO FILOSOFICO. ANALISI SEMIOTICA E RICOGNIZIONE STORIOGRAFICA,
a cura di Gianfranco Marrone, e IL
TESTO FILOSOFICO. ERMENEUTICA E TEORIA
PRATICA , a cura di Filippo Costa
(L’epos, Palermo 1994), viene delineato, attraverso il contributo di vari
autori, quel complesso movimento,
pieno di paradossi, di ambiguità, di
questioni problematiche, che collega, nel testo, la filosofia alla scrittura e fa del testo filosofico, nella sua
infinita apertura, un oggetto specifico del mondo multiforme e variegato dell’ermeneutica.
Un problema centrale, che viene esaminato nei saggi raccolti nei due volumi de Il testo filosofico, è quello che
concerne il rapporto tra scrittura e filosofia, al fine di evidenziare se tra le
due esista una relazione inessenziale,
per cui la filosofia può esistere al di là
della scrittura, o una relazione costitutiva, in base alla quale la filosofia
non può sussistere senza la scrittura.
Questa considerazione implica, d’altra parte, l’analisi del legame esistente tra filosofia e linguaggio, per stabilire se per l’espressione filosofica sia
più idoneo il linguaggio concettuale o
quello metaforico, quello sistematico
o quello che, nel suo carattere frammentario, lascia trapelare un risvolto
poetico.
Come mostra Gianni Puglisi nel suo
saggio Dal genere letterario al discorso
filosofico, la filosofia è “essa stessa linguaggio” e può essere analizzata in base
ad un’indagine che riveli le sue tecniche
testuali. In tale ottica si pone il problema
dell’inquadramento della filosofia all’interno di un genere discorsivo. Questo
problema, come sottolinea Alessandro
Zinna intervenendo su “Testo-filosofia”
in margine a Qù est-ce que la philosophie? di Deleuze e Guattari, costituisce l’oggetto privilegiato della semiotica. D’altro canto, János Sándor Petöfi
mette in luce, nel suo intervento: Testologia semiotica, come esista una relazione “interattiva” tra l’analisi semiotica
dei testi e la filosofia del linguaggio,
intesa come disciplina che si occupa delle
questioni relative alla comunicazione
umana.
Nella prospettiva individuata da questi
autori si può cogliere la differenza tra
l’analisi linguistica e l’indagine ermeneutica. Questo aspetto viene in particolar modo messo in rilievo nel contributo
di János Kelémen, L’analisi logico-linguistica e quella ermeneutica, che mostra come mentre la linguistica si occupa
dell’opera nel suo carattere di segno, nel
suo rappresentare «l’unione di significante e significato», l’ermeneutica si
struttura attraverso il lavoro di interpretazione del testo filosofico sulla base
della differenza tra “l’intenzione” dell’autore e il significato del testo. Questa
componente ermeneutica del testo filosofico, data dal fatto che esso non coincide mai con i propositi dell’autore, viene in particolare sottolineata dall’intervento di Marcelino Agís Villaverde,
“Testo e interpretazione” Paul Ricoeur
e Hans-Georg Gadamer. Ripercorrendo
la filosofia di Ricouer e di Gadamer,
Villaverde mostra come di fronte al testo
il lettore non sia un «semplice ricevente
di idee finite», ma sia chiamato a completarlo attraverso una “comprensione”
che implica anche la comprensione di
se stesso. Il testo filosofico deve appunto essere concepito, secondo la
26
concezione di Gadamer, come un
“dono” da parte dell’autore che chiama il lettore al lavoro di interpretazione. D’altra parte, il compito principale del lettore è quello di cogliere la
domanda fondamentale che viene significata dal testo attraverso un dialogo “aperto” che impedisce la chiusura
rigida del testo stesso.
Mario Ruggenini, nel suo intervento
su Il testo della finitezza, mette in
risalto come il testo filosofico non
possa essere limitato da un significato
unico e “inviolabile”; esso origina infatti un continuo movimento di interrogazioni che lo espongono ad un infinito lavoro di interpretazione. Per Ruggenini questo carattere “inconclusivo” della filosofia è dovuto al suo
aspetto testuale, che se da un lato, le
imprime il “sigillo della finitezza”,
dall’altro, determina la possibilità di
una sua “apertura infinita”. Il problema del testo filosofico nella sua irrisolvibile e inevitabile “ambiguità” dialettica tra “definizione” ed “infinità”
viene anche esaminato da Adriana
Fabris, che interviene su Testo, contesto, fuori testo. L’ermeneutica relativa al testo filosofico, osserva Fabris,
istituisce un “circolo” che determina
la sostanziale “apertura” del testo. Tale
circolo, dovuto al rapporto tra l’universalità dell’ermeneutica e la sua particolarità, fa sì che il discorso filosofico, non potendo basarsi solo sull’oggetto, sia costretto a porre se stesso
come oggetto, esponendosi così al “paradosso” di parlare nello stesso tempo
di se stesso e di altro.
La complessità della situazione ermeneutica, come evidenzia Leonardo Samonà, intervenendo su Il «Tutt’altro
testo» filosofico. In discussione con
Jacques Derrida, è imputabile alla peculiarità stessa del testo filosofico di
fluire tra due movimenti opposti. Se il
primo movimento conduce il testo filosofico alla prospettiva della reductio ad unum, l’altro invece, rivendicando la particolarità del testo filosofico, lo pone al di fuori di un centro
unitario. Per Samonà, la caratteristica
peculiare del testo filosofico di rimandare ad altro attraverso un continuo
rinvio di segni, senza poter conseguire
la pacificazione di una parola “ultima” e “perfetta”, lo proietta fuori di se
stesso verso un “tutt’altro testo”, che
si qualifica come «anticipazione dell’unità razionale» consegnando al futuro la possibilità di un compimento
che si esplica solo secondo il modello
della “forma differita”. D’altra parte,
come emerge dal contributo di Renè
Vincon, Dilemmi. Note farmaceutiche
nella prospettiva di rimediare a l
problema del “testo “ e del “filosofico”, il testo filosofico vive di continue
ambiguità in quanto, pur sottraendosi
TENDENZE E DIBATTITI
ad un “sistema” per il suo carattere
“ondeggiante”, tuttavia ha per scopo
proprio l’edificazione di un sistema.
La questione del rapporto tra sistema e
testo filosofico viene esaminata anche
da Luigi Capitano nel suo contributo, I
giardini d’Adone. Sui pensatori-scrittori, attraverso l’analisi della relazione
esistente tra scrittura e filosofia. Se il
“filosofo-scrivente” scrive ponendosi
l’obiettivo di raggiungere un carattere
sistematico, il “pensatore-scrittore”
scrive mosso dalla passione della “malinconia”, costruendo il pensiero nell’atto stesso di scrivere: un pensiero
“meditabondo” che germoglia nei «giardini di Adone all’ombra della scrittura». Si tratta di un pensiero che evidenzia la forma poetica della filosofia, come
mette in luce Carlos Baliñas nel suo
intervento, Analisi iconica della filosofia; un pensiero che si serve anche di
“metafore” come strumenti utili di conoscenza per mostrare quell’intuizione
iniziale da cui è sorta l’idea filosofica.
Per Baliñas l’analisi “iconica” del testo
filosofico consente di cogliere, al di là
del discorso concettuale, quel discorso
intessuto di immagini iconiche tratte da
frammenti di significato della vita quotidiana.
In te rv e n e nd o s u Hy p o mn ema ta
Graphein. Platone e la genesi dei testi filosofici, Defyel Thiel definisce
gli Hypomnemata schizzi preparatori
al testo che indicano potenzialità nascoste non esplicate, in grado di fornire una soluzione parziale al dilemma di Platone in relazione alla possibilità di scrivere la filosofia. Infatti,
come evidenzia Mario Vegetti nel suo
contributo, Dal teatro al trattato, la
scrittura platonica rivela il suo carattere paradossale, dal momento che per
Platone nella scrittura della filosofia
viene perduto l’aspetto vivente e dialogico del filosofare, proveniente da un
rapporto diretto tra le anime. Per Platone, la filosofia è una «scienza vivente
scritta nell’anima», il cui apice è costituito da una verità “extralinguistica”.
Pertanto, osserva Vegetti, esiste un legame tra teatro e dialogo nella misura in
cui sono caratterizzati entrambi dall’illusione di manifestare una “voce senza
scrittura”. Del resto, continua Vegetti,
con Aristotele il dilemma di Platone
non viene neppure posto, in quanto la
verità non viene più collocata nell’anima, ma nelle cose del mondo, esigendo
così la sua necessaria trascrizione. In
tal modo la scrittura assume la forma
del trattato, costruendo un “cosmo testuale”.
L’alternativa tra dialogo vivente e
trattato può essere superata attraverso
una scrittura filosofica che conservi il
suo carattere di “apertura”, di “inconclusività” rivelandosi anche nelle tracce, nei frammenti, nelle metafore; una
filosofia che, come risulta dall’intervento di Francesco Marsciani, L’occhio, lo
spirito, la scrittura, sia chiamata a “dipingere”, divenendo “visione” che esprime il visibile del mondo, senza chiudersi
in un senso univoco, ma lasciando intatta la sua pluralità ermeneutica creatrice di sempre nuovi possibili sensi e
produttrice di sempre nuovi possibili
significati. M.Mi.
Il prospettivismo di Abel
Del filosofo berlinese Günter Abel,
autore di un’importante opera su
N i e t z sc h e , è s t a to p u bb l i c at o
un’ampio volume dal titolo: INTER PRETATIONSWELTEN . GEGENWARTSPHILO SOPHIE JENSEITS VON ESSENTIALISMUS
(Mondi dell’interpretazione. La filosofia contemporanea oltre l’essenzialismo e il relativismo Suhrkamp, Francoforte s/
M. 1993). Lasciandosi alle spalle il
concetto “irriflesso” di realtà oggettiva, Abel esamina il carattere
rappresentativo dei “fatti” nei loro
aspetti prospettici. Con il prospettivismo di Abel si confronta Hans
Lenk nel volume: PHILOSOPHIE UND INTERPRETATION . VORSELUNGEN ZUR EN TWICKLUNG KONSTRUKTIONISTISCHER IN TERPRETATIONSANSÄTZE (Filosofia e interpretazione. Lezioni sullo sviluppo di principi d’interpretazione costruzionistici, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1993).
UND RELATIVISMUS
«Chi ha di mira il tutto, si rende sospetto». Con queste parole Günter Abel,
nell’Introduzione alla sua imponente
opera, Interpretationswelten, mette sullo stesso piano il pensiero dei metafisici, che vanno alla ricerca del fondamento ultimo, e quello dei decostruzionisti
postmoderni, prendendo le distanze sia
dalla nascosta dicotomia presente nel
pensiero dell’essenzialismo, che cerca
l’essere e la cosa in sé, sia dal più
radicale relativismo.
Se considerare in blocco i pensatori
postmoderni può sembrare all’inizio un
po’ approssimativo, risulta tuttavia chiaro nello sviluppo delle argomentazioni
l’intento di Abel di conciliare, da buon
pragmatico, teoria e prassi. In tal senso
Nietzsche rappresenta per Abel, a differenza dei postmoderni, non il critico
del soggetto, del linguaggio e della ragione, ma il filosofo «interpretazionista e prospettivista» per eccellenza.
Sul terreno del prospettivismo di Abel
si confronta Hans Lenk con la pubblicazione del suo studio: Philosophie und
Interpretation. La diversa lettura dell’opera di Nietzsche conduce Lenk a un
diverso concetto dell’interpretare. Se
27
da una parte Abel rimarca pragmaticamente il «carattere interpretativo e prospettivistico della coscienza umana del
mondo, dell’ignoto e del sé», dall’altra
Lenk intende l’interpretare dal punto di
vista della storia dell’ermeneutica e riporta nella sua opera i commenti dell’hermeneutica sacra e profana da
Dilthey a Davidson. Abel viceversa si
pone contro la tradizione ermeneutica
prendendo innanzitutto le distanze da
Heidegger, quando afferma che la questione dell’essere non è prioritaria: «La
domanda sull’essere - scrive Abel - sorge dal terreno della domanda sull’interpretazione e non viceversa». Lenk al
contrario, preferisce lasciarsi aperta una
via d’uscita trascendental-idealistica,
quando parla del «carattere di fedeltà
del mondo a se stesso» e non a caso
definisce il suo metodo di pensiero «realismo pragmatico».
Rispetto alla teoria del significato, Lenk
si pone esplicitamente nel solco della
tra d iz io n e p o stk a n tia n a e c riti c a
l’«imperialismo dell’interpretazione»
presente in Abel. Se infatti questi definisce l’interpretare un «processo fondamentale», Lenk considera le diverse
interpretazioni del mondo come necessarie «concettualizzazioni», che se rendono possibili i fatti e la loro conoscenza, sono tuttavia intrinsecamente legate
e rese possibili dai fatti stessi. Siamo
così in presenza di uno “spazio” o
“cosa”, che per Lenk resta al di fuori
dell’interpretazione, che lì non può accedere; uno spazio che è da Abel assolutamente negato. L’interpretazione non
è semplicemente un metodo epistemologico. La filosofia dell’interpretazione di Abel si insinua nello spazio precedente la “cosa” di Lenk, in quanto è già
presente nel “prioritario” punto di vista
dei fatti.
E’ da questa premessa, e dalle precedenti indagini sul «relativismo di ogni
fatto linguistico», che Abel tenta di sviluppare un’etica dell’interpretazione. Se
non si può determinare in modo definitivo e normativo valido per tutti che
cos’è un fatto, diviene allora chiaro in
cosa consiste il grande salto di Abel:
portare alla luce la dimensione democratica del pensiero pragmatico dell’interpretazione che legittima la verità
come relazione al tempo codificata dal
punto di vista culturale. M.C.
TENDENZE E DIBATTITI
Lettera di Nietzsche quindicenne alla madre, Franziska Nietzsche (a destra)
Nietzsche
e il declino della borghesia
In occasione del centocinquantenario
dalla nascita di Friedrich Nietzsche, viene pubblicata in edizione italiana la
biografia di Horst Althaus, NIETZSCHE.
UNA TRAGEDIA BORGHESE (trad. it. di M.
Carpitella, Laterza, Roma-Bari 1994),
che considera gli scritti di Nietzsche
come paradigmatici del crollo dei valori
ottocenteschi e borghesi. Se oggi possediamo una straordinaria quantità di
materiale sulla vita e sul pensiero di
Nietzsche, lo dobbiamo alla zelante opera di raccolta di documenti da parte
della madre, Franziska, e della sorella,
Elisabeth, verso le quali l’atteggiamento del filosofo fu tuttavia sempre ambivalente. Nell’anno dell’anniversario
della nascita del filosofo, la figura della
madre di Nietzsche ha finalmente ottenuto una ricostruzione filologicamente
accurata nell’originale biografia di Klaus
Goch, FRANZISKA NIETZSCHE. EINE BIOGRAPHIE
(Insel, Francoforte s/M. 1994).
La biografia di Horst Althaus - che appare
in Italia dopo che in Germania viene pubblicata la seconda edizione, opportunamente
riveduta, della monumentale biografia di
Nietzsche ad opera di Curt Paul Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie in drei Bänden
(Friedrich Nietzsche. Biografia in tre volumi, Hanser, Monaco di Baviera 1993) - segue
il doppio percorso dei vissuti psicologici e degli
eventi storici che forniscono un contesto biografico e culturale alla genesi delle opere di
Friedrich Nietzsche. In base a questa impostazione, il senso dell’opera nietzscheana si risolve, in primo luogo, nella manifestazione del
declino assiologico, e nichilista, dei valori della
borghesia ottocentesca, la morale, la democrazia e il cristianesimo, e in secondo luogo, nel
preludio ad un’epoca di nuovi idoli, autoritari e
devastanti, conseguenza della massificazione
della società del XIX secolo. Il superuomo,
allora, diventa l’erede di questa omologazione
di fondo e del crollo, tragico e drammatico, della
borghesia. Come Marx, una generazione prima, aveva dimostrato il tramonto degli ideali
borghesi, così Nietzsche prevede la caduta dei
valori liberali, che porteranno alla lotta, inevitabile, per il dominio del pianeta.
Per quanto riguarda gli eventi più strettamente biografici, Althaus sottolinea l’importanza dell’ambiente familiare del giovane Nietzsche che, rimasto senza padre in
tenera età, si vede manovrato dalla volontà di
possesso della madre, Franziska, e della sorella, Elisabeth. Soprattutto a quest’ultima si
deve una insistita interferenza nella vita privata del filosofo, che d’altro canto raramente, se non in modo incompleto e ambiguo,
come nel caso di Lou Salomè, riesce ad
instaurare un rapporto sentimentale con altre
donne. L’amicizia femminile viene, inoltre,
stravolta anche dalla malattia, che agisce
anche nella produzione di pensiero di Nietzsche, consumato lentamente dalla sifilide,
28
che lo porterà alla pazzia e alla morte.
Ampio spazio è dedicato da Althaus all’amicizia tormentata di Nietzsche con Richard
Wagner, che in breve tempo si trova a
passare dall’identificazione con Dioniso e il
dio Wotan a quella dell’ “umano, troppo
umano”, legato irrimediabilmente al cristianesimo. Anche la fedeltà di Nietzsche alla
figura di Bismark, che “con il ferro ed il
sangue” prepara la Prussia all’unità tedesca,
si risolverà nella critica radicale alla politica
tedesca, incapace di avvicinare l’individuo
allo Stato, divenuto sempre più autoritario.
Dopo l’uscita dell’Austria dal Reich, Nietzsche, infatti, estraneo all’ideale di una cultura nordica e razzista, rimprovererà ai tedeschi di aver perduto quelle radici e quella
cultura, proprie della Grecia presocratica,
che sole possono rendere un popolo sovrano.
In questo, Nietzsche dimostra anche un totale rifiuto di ogni apoteosi del cristianesimo
che, nell’alleanza tra il trono e l’altare, ha
contribuito allo sradicamento dell’individuo
dallo Stato.
A queste considerazioni sul presente Althaus
affianca tutta una serie di previsioni di Nietzsche sul futuro che mostrano, innegabilmente, come questi sia estraneo a qualsiasi interpretazione, che lo assimili al nazionalismo
tedesco e all’antisemitismo. Nietzsche prevede infatti, in maniera quasi inquietante, la
forza emergente della Russia, a cui farà
fronte, necessariamente, la potenza europea,
che non accetterà di sottostare al suo dominio. Nel prevedere un conflitto di portata
TENDENZE E DIBATTITI
mondiale, determinato dal nichilismo borghese e dalla emergente volontà di potenza,
Nietzsche si rivela, nell’interpretazione di
Althaus, un abile profeta dei conflitti mondiali, perdendo, ancora una volta, i connotati
di precursore del nazismo. A.S.
Tra le fonti principali della biografia nietzscheana, Elisabeth Förster-Nietzsche aveva già ricevuto, nel 1983, una precisa e
stimolante testimonianza della propria opera
e del proprio ruolo accanto al fratello nella
biografia a lei dedicata da H. F. Peters. Al
contrario, la figura della madre, Franziska
Nietzsche, è rimasta finora legata a superficiali cliché e molte biografie la descrivono
come una donna insensibile, fredda, calcolatrice e ipocritamente devota. L’originale e
filologicamente accurata biografia che Klaus
Goch dedica a Franziska Nietzsche, nell’anniversario della nascita del figlio Friedrich,
ci offre un dettagliato profilo di tutti i componenti della famiglia di Nietzsche (a partire dal
nonno David Ernst Oehler) e nuovi spunti di
lettura per comprendere la figura stessa della
madre, le sue scelte, e il suo rapporto col figlio.
Sposata a un uomo più vecchio di lei e di
diversa estrazione sociale, soffocata da una
suocera oppressiva, Franziska rimase presto
vedova e priva di una fonte di reddito, gravata, ancora giovane, da pesanti responsabilità.
Reagì a tale condizione di disagio rifugiandosi in una religiosità compensatoria, investendo tutte le sue energie nella maternità, e
riversando i desideri insoddisfatti sul giovane figlio. Tuttavia la fulgida carriera di Friedrich non solo non le permise di recuperare
l’agiatezza perduta, ma si rivelò anche una
breve parentesi, conclusa la quale la donna si
trovò sulle spalle un figlio gravemente malato. Fu merito suo se, contro il parere dei
medici, il figlio poté trascorrere gli ultimi
anni della sua vita fuori dall’ospedale.
L’intento generale che caratterizza la biografia di Goch non è comunque quello di giustificare il comportamento di Franziska, o di riabilitarla moralmente, quanto piuttosto di realizzare una scrupolosa archeologia della storia familiare di Nietzsche, che attraverso informazioni
di ordine sociale, economico e psicologico ci
permetta di comprendere, al di là di schemi
precostituiti, gli eventi traumatici che ne coinvolsero i componenti. A.Mo.
Nietzsche nell’ex-DDR
Il centocinquantenario della nascita di
Friedrich Nietzsche ha rappresentato
per i tedeschi della ex-DDR l’occasione
per attuare un emblematico processo
di revisione del pensiero di un filosofo
fino a poco tempo fa fortemente censurato. Così, studiosi e riviste specializzate, tra cui in particolare «Sinn und
Form», si sono confrontati a più riprese
sull’importanza della sua opera nella
storia del pensiero.
La casa natale di Nietzsche a Röcken, presso Lützen
In Ecce Homo Nietzsche pensa «con terrore» al «fatto sinistro» che la sua vita sia quasi
interamente trascorsa «solamente in luoghi
sbagliati e [per lui] senz’altro “proibiti”.
Naumburg, Pforta, la Turingia in genere,
Lipsia...». L’ambiguità di questa frase, per
l’inconscia profezia che contiene, è davvero
singolare. Che proprio quei luoghi fossero
per lui non solo climaticamente, come intendeva l’espressione, ma anche realmente “proibiti”, Nietzsche non l’avrebbe mai immaginato. Eppure ancora oggi bisogna essere
degli addetti ai lavori per ritrovare a Röcken
(ex-DDr), nell’umile casa che ospita, come
allora, una famiglia di pastori, la casa natale
del filosofo. E anche la sua tomba è talmente
modesta, che facilmente accade di non riconoscerla.
Sottoposto per 40 anni al veto della censura,
Nietzsche qui era veramente morto. Fatta
eccezione per una ristretta cerchia di intellettuali, coraggiosamente impegnati nella diffusione del suo pensiero, indifferenza e ostilità generalizzate hanno prodotto un ristagno
di informazioni quasi ricuperatile. Dal 1948
imperava, quale dogma indiscusso per la
ricezione marxista del pensiero di Nietzsche,
il giudizio formulato da Georg Lukács nel
saggio Il fascismo tedesco e Nietzsche, successivamente ampliato nell’opera più famosa, Die Zerstörung der Vernunft; giudizio
che continuò a valere anche quando, dopo la
rivolta ungherese, lo stesso Lukács cadde in
disgrazia. In effetti, in un paese che fondava
la propria costituzione sul presupposto irri29
nunciabile dell’ “antifascismo”, anche il semplice sospetto di prossimità all’ideologia “fascista” non poteva che corrispondere a un
definitivo ostracismo, a un netto e aprioristico rifiuto di ogni altro giudizio. In tal senso,
è significativo, ad esempio, che mentre Richard Wagner, compositore venerato dai
nazisti, venne rapidamente riabilitato, su
Nietzsche, altrettanto adulato dal regime,
continuò a gravare la più aspra condanna. E
non erano soltanto l’elitario individualismo
di Nietzsche, la sua critica alla morale, lo
scetticismo nei confronti dell’autorità e dello
Stato ad essere interpretate come dichiarazioni di guerra al socialismo, ma perfino lo
stile aforistico del suo pensiero suscitava
reazioni di biasimo. «Nell’ex DDR -spiega il
germanista Andreas Schrade - la ricerca
scientifica aderiva a un sistema standardizzato, a una compagine di pensiero chiusa e
precostituita, entro la quale un filosofo, che
non avesse costruito un sistema, veniva
accusato di irrazionalismo e di conseguenza sminuito». Così, per ironia della sorte,
l’accerrimo nemico della decadenza veniva ipostatizzato come quintessenza del
decadentismo.
Osteggiata in campo filosofico, l’influenza
di Nietzsche era comunque rintracciabile
nella letteratura e nell’arte. Verso la metà
degli anni Ottanta, quando Heiner Müller
(scrittore incensurato malgrado la sua frequente e articolata critica al sistema) confessò in un’intervista che Nietzsche aveva per
lui «un’importanza enorme», esprimeva pub-
TENDENZE E DIBATTITI
blicamente un parere condiviso da molti. È
sintomatico che prima di essere conosciuto
come filosofo, nella DDR Nietzsche sia stato
pubblicato come poeta: il suo primo testo
edito fu infatti una lirica, apparsa nel 1976
sull’Antologia tedesca di Stefan Hermlin (e
certo fu questo uno dei motivi per cui quel
libro dal titolo ingenuo ottenne uno straordinario successo). Non meno paradossale, come
ci riferisce lo scrittore berlinese Rolf Schneider, è che la condanna di Nietzsche,
ricorrente in numerosi testi, potesse convivere indisturbata con il ritratto del tutto favorevole tracciato, ad esempio, da Thomas
Mann, autore stimato dalla politica culturale
ufficiale. I testi originali di Nietzsche continuavano tuttavia a restare inaccessibili; unica eccezione un’elegante edizione di Ecce
Homo. In realtà, come spiega Margarethe
Reschke, «l’opera esisteva solo in teoria;
costava più di 200 marchi e nessuno poteva
permettersela. Originariamente era stata pensata per l’esportazione, ma poi non se ne fece
nulla e così rimase confinata nel mercato
nazionale».
Lontano dalla scena politico-culturale ufficiale, persino durante gli anni Quaranta,
Nietzsche era invece oggetto di studio nelle
facoltà teologiche. Al teologo Udo Kern,
autore di una prestigiosa dissertazione sul
pensiero anti-religioso, questa circostanza
non è altro che espressione di quella perversa
“negazione della negazione”, attuata dalla
cultura dello stato totalitario, di tutto ciò che
risultava “fascista” o “parafascista”. Tanto
più se consideriamo che nella DDR lo studio
della teologia era propedeutico a quello della
filosofia (non necessariamente marxista).
La faticosa riabilitazione di Nietzsche nell’ex-DDR giunge a una svolta verso la metà
degli anni Ottanta, grazie all’impegno della
prestigiosa e coraggiosa rivista «Sinn und
Form». In quegli anni il dibattito su Nietzsche, particolarmente vivace, si inserisce
nell’ambito di una discussione sulla rinnovata comprensione marxista delle eredità
culturali (la cosiddetta Erde-Diskussion). Il
filosofo venne difeso da Heinz Pepperle,
che si dichiarò favorevole alla revisione della “caricatura” di Nietzsche che il regime
aveva imposto per 40 anni. A questa dichiarazione aveva seguito, alcune settimane più
tardi, la reazione di Wolfgang Harich, che
al termine di un articolo fortemente polemico, pronunciò l’affermazione che assolutamente nulla in Nietzsche era «degno di essere menzionato», e che questa prescrizione
andava annoverata «fra le regole basilari di
una corretta igiene spirituale». Un’affermazione così drasticamente definitiva provocò
una reazione a catena di commenti sfavorevoli. Poco tempo dopo, infatti, nove eminenti studiosi in campo scientifico e letterario
intervennero sulla medesima rivista schierandosi tutti più o meno decisamente contro
Harich, per sostenere l’importanza di Nietzsche nella storia del pensiero.
Ancora oggi, in un clima culturale completamente rinnovato, «Sinn und Form» continua
a ospitare interventi su Nietzsche. In partico-
lare, nell’ultimo numero del 1994, accanto a
un resoconto delle drammatiche vicende
occorse alla rivista negli anni del regime
comunista, è apparso un articolo di Steffen
Dietzsch sulla situazione dell’ArchivioNietzsche a Weimar, e un intervento di Karl
Heinz Boher sul significato dell’ironia nel
pensiero nietzscheano. A.Mo.
Rapporto con il reale
e responsabilità della scienza
Continuano le importanti ricerche del
gruppo di filosofi e scienziati che fanno
capo al “Zentrum Philosophische Grundlage der Wissenschaften”, diretto da
Hans Jörg Sandkühler all’Università di
Brema. Ora, questo centro presenta
due opere collettive, curate dallo stesso Sandkühkler: THEORIE, MODELLE UND
TATSACHEN. KONZEPTE DER PHILOSOPHIE UND
DER WISSENSCHAFTEN (Teorie, modelli e
fatti. Concetti della filosofia e della scienza, Peter Lang, Francoforte s/M.-Berlino-Berna 1994) e FREIHEIT, VERANTWORTUNG UND FOLGEN IN DER WISSENSCHAFT
(Libertà, responsabilità e conseguenze nella scienza, Peter Lang, Francoforte s/M.-Berlino-Berna 1994).
Nel volume Theorien, Modelle und Tatsachen è centrale il dibattito tra realisti a vario
titolo, costruzionisti, interpretazionisti. Il dibattito internazionale attuale sull’interpretative turn (svolta interpretativa), che soppianta ormai il linguistic turn (svolta linguistica), trova eco innanzitutto nell’intervento
di Günter Abel, secondo cui non solo «teorie, ipotesi e concetti possono venir concepiti
come costrutti interpretativi», ma la stessa
osservazione può essere considerata un costrutto interpretativo e ogni nostra visione
del mondo viene condizionata già nell’apprendimento di una lingua naturale. Abel
considera la filosofia della scienza come
ramo di una più generale “filosofia dell’interpretazione”.
Non condivide quest’ultima tesi Hans Jörg
Sandkühler, che sottolinea il concetto di
“costruzione”, riguardante anche l’attività
scientifica, rifacendosi alla dimensione trascendentale della conoscenza. Con questo
Sandkühler intende salvaguardare una filosofia dello “spirito”, non inteso però come
una sostanzializzazione idealistica: “spirito”
indica «la ragione e il comportamento razionale degli uomini, in quanto sono costruttori
di mondi di azione, vita e pensiero». Sandkühler professa un “realismo interno” o
epistemologico, difendendolo contro ogni
variante di antirealismo relativistico, pur rifiutando, d’altra parte, anche il realismo
metafisico o del senso comune, legato all’idea di riproduzione di una realtà esterna o
di “corrispondenza” delle conoscenze con
tale realtà. Sandkühler sviluppa quindi la
tesi, enunciata da Cassirer, secondo cui «il
30
mondo ha per noi la forma che a esso viene
data dallo spirito». La concezione di Sandkühler trova consonanza soprattutto col
realismo interno di Putnam, che propugna
un concetto di oggettività e razionalità “a
misura d’uomo” e può essere riportato al
kantiano realismo empirico, unito a un idealismo trascendentale. In pratica, la posizione
di Sandkühler presenta intersezioni con l’interpretazionismo così come con il costruttivismo dei neurobiologi, a cui egli rimprovera però la mancanza di fondamento epistemologico, in quanto, riducendo l’attività dello
“spirito” a quella fisiologica cerebrale, “naturalizza” lo spirito e in pratica lo elimina.
Tra i contributi al volume, il costruttivismo è
rappresentato in particolare da Helmut
Schwegler, che partendo dalla natura linguistica delle teorie, suggerita dal secondo
Wittgenstein, propone di intendere la «scienza come gioco linguistico e forma di vita di
una scientific community (comunità scientifica)». Riconosciuto che le teorie sono di
natura linguistica, bisogna tener presente,
osserva Schwegler, che i testi che costituiscono le teorie sono basati su processi di
significazione, non del tutto chiariti, sui quali dovrà far luce soprattutto la neurobiologia,
e comunque molto complessi e indiretti, che
non ci mettono certo in immediato contatto
con la cosiddetta realtà esterna. Né si deve
pretendere che l’attività mentale debba essere indagata in base ad un unico gioco linguistico. Abbandonando il fallimentare ideale
neopositivistico di un linguaggio scientifico
unificato, Schwegler propone di sviluppare
un gioco linguistico comprensivo che permetta di parlare su quelli rappresentati dalle
teorie, nei vari campi, dissolvendo tra l’altro
il dibattutissimo mind-body problem (problema mente-corpo). Il linguaggio proposto
dovrebbe infatti comprendere sia un linguaggio psicologico che parla di percezioni,
aspettative ecc. , sia un linguaggio fisico che
parla di processi cerebrali, senza che ci sia
incompatibilità tra questi due modi di parlare
sulla mente.
In definitiva, per Schwegler il sapere non è
indipendente dalla realtà, la quale però va
intesa essenzialmente come realtà del soggetto di tale sapere e quindi come realtà
costruita. A questo Hans-Peter Böhm obietta
che il soggetto, il pensiero, andrebbe concepito anche come una parte del mondo, sorta
con esso e in esso. Partendo di qui si può
spiegare lo sviluppo sia delle rappresentazioni conoscitive, sia della comunicazione,
mediante la dinamica evoluzionistica legata
al problema della sopravvivenza nell’ambiente. Per avere successo in questo senso,
osserva Böhm, le nostre rappresentazioni
devono dire qualcosa di non arbitrario, anche se non esaustivo, su un certo settore della
realtà. Il costruttivismo, secondo Böhm, ha
ragione solo nella misura in cui contesta un
realismo ingenuo; non invece quando sgancia il pensiero e il linguaggio dal mondo per
tenerlo agganciato solo al mondo del soggetto. Decisamente contrari all’unilateralismo
soggettivistico e in particolare all’interpre-
TENDENZE E DIBATTITI
tazionismo si mostrano anche Ulrich Röseberg (filosofo berlinese immaturamente scomparso) e Gerhard Pasternack,
secondo il quale bisogna tener presente
che il soggetto è, per così dire, impregnato
di mondo e non lo si può concepire staccato da questo.
Impossibile soffermarsi qui su tutta la ricca serie di interventi, da quelli prettamente
storico-filosofici di R. A. Mall su Hume e
di Detlev Pätzold sulla funzione dell’immaginazione come facoltà costruttiva nella filosofia moderna da Cartesio a Kant, a
quelli epistemologici, come il contributo
d’impostazione “strutturalistica” di Ulrich Gähde, e infine quelli legati all’analisi
di specifiche teorie fisiche. Tra gli spunti
maggiormente suscettibili di fecondi sviluppi, Hyong-Sik Yun propone di arricchire la teoria dello “spirito” sia attraverso
la via linguistica e semiotica, che attualmente è la più praticata, sia attraverso
quella di una filosofia dell’agire di cui
vengono trovati degli esempi, in campo
epistemologico, in Bachelard e Hacking.
Un altro versante dell’attività e della riflessione scientifica del “Zentrum Philosophische Grundlage der Wissenschaften”
viene presentato nella raccolta Freiheit,
Verantwortung und Folgen in der Wissenscahft, che prende spunto dal fatto che
oggi le questioni non solo etiche in senso
stretto, ma anche giuridiche e politiche,
legate all’ “etica pratica”, vengono talora
«impedite con mezzi che stanno al di là del
discorso argomentativo», mentre compito
essenziale della scienza è anzitutto far
emergere la ragioni pro e contro le varie
posizioni in questo campo. Secondo Sandkühler è necessario che il sapere, pur
nella sua continua crescita, non risulti alienante e non comporti una perdita della
capacità di giudizio morale e del senso di
responsabilità. Per veitare questo rischio è
necessario sviluppare una concezione del
conoscere come attiva “costruzione” della
realtà e dei significati a partire dalle leggi
del nostro “spirito”: solo la realtà del sapere”, in tal modo costruita, rappresenta un
“mondo a misura d’uomo”.
Tra le tante altre considerazioni, svolte in
questo volume, su problemi dell’etica pratica legati allo sviluppo della scienza, Kurt
Bayertz riflette sulle conseguenze delle
“definizioni” che diamo di certi concetti
collegati alle valutazioni morali, come è il
caso nell’adozione del termine di “morte
cerebrale” al posto di quello di “morte
cardiaca”: passaggio legato sia a nuove
conoscenze fisiologiche sia al problema
pratico di avere un criterio per l’interruzione dei trattamenti di mantenimento in
vita o di precisare condizioni per l’espianto di organi. In casi come questi, osserva
Bayertz, l’individuazione di criteri morali
è legata (e può variare conformemente)
agli sviluppi delle conoscenze scientifiche
che determinano tuttavia non principi o
valori morali in generale, ma alcune premesse empiriche del giudizio morale. F.V.
Immagini e ipertesti: pratiche
della scrittura filosofica
La riflessione sulla questione della scrittura costituisce un tema ormai classico
nel panorama della filosofia contemporanea. Decisamente meno frequentata
appare, invece, la “messa in pratica” di
tale questione, come avviene invece in
due opere recentemente pubblicate,
quella di Paolo D’Alessandro, VIOLENZA,
RAGIONE, STORIA (Cuem, Milano 1994),
primo esempio di ipertesto a carattere
filosofico, e quella di Carlo Sini, SCRIVERE
IL SILENZIO. WITTGENSTEIN E IL PROBLEMA DEL
LINGUAGGIO FILOSOFICO (Egea, Milano
1994).
L’opera di Paolo D’Alessandro, Violenza,
ragione e storia, riveste il carattere della
novità per due ordini di questioni. In primo
luogo perché è la prima a carattere filosofico
in cui al testo scritto viene abbinato (grazie
alla collaborazione della Cattedra di Filosofia Teoretica III con il Centro di Tecnologia
per l’apprendimento dell’Università degli
Studi di Milano) un supporto informatico
che la costituisce in ipertesto, avviando la
possibilità di una pratica interattiva. In secondo luogo, perché questa opportunità non
viene concepita come estrinseca nei confronti del “contenuto” (per quanto possa
risultare legittimo questo termine) veicolato
dal supporto cartaceo, bensì trova la propria
ragione d’essere nell’elaborazione filosofica che, qui e altrove (ricordiamo il recente
studio: Esperienza di lettura e produzione di
pensiero, LED, Milano 1994), D’Alessandro è venuto sviluppando in questi anni.
Sulla scorta soprattutto della riflessione di
Louis Althusser, D’Alessandro ha posto al
centro della propria indagine l’esperienza di
pensiero nel suo articolarsi nel momento
della lettura e in quello della produzione di
testi. Decisiva risulta, a questo proposito, la
nozione di lettura sintomale, quella che fa
emergere, fra le righe del testo scritto, il suo
non detto, che rappresenta poi il senso più
profondo di ciò che viene esplicitato. Iuxta le
indicazioni di alcune correnti dell’ermeneutica contemporanea, il testo appare dunque
come portatore di una “volontà di dire”, che
trascende tanto il significato intenzionalmente espresso dall’autore, quanto la comprensione, di volta in volta determinata, del
lettore. La stessa prassi di lettura di testi, da
parte di D’Alessandro, esemplifica d’altronde in modo adeguato la sua elaborazione
teorica: nel tentativo di chiarire le connessioni messe in gioco dai concetti di violenza,
ragione e storia, le opere attraversate (quelle
di Hobbes e Hegel, anzitutto, ma anche
quelle di Gehlen, Eibl-Eibesfeldt e Lorenz)
rappresentano le tappe di un cammino che
ricontestualizza il significato più evidente
delle affermazioni dei filosofi o degli etnologi interrogati, istituendo fra essi comparabilità finalizzate al percorso individuato dall’interrogante. Questo è il senso della “filosofia teoretica”, ovvero, per D’Alessandro,
31
della pratica filosofica in quanto tale.
Più che l’applicazione pratica di un’elaborazione teorica che risponda a questi presupposti, scrittura e lettura elettroniche appaiono,
nella riflessione di D’Alessandro, come
l’analogon di ciò che accade nell’esperienza
di pensiero in quanto tale. Il carattere interattivo della lettura elettronica diviene perciò
l’esplicitazione di ciò che, sempre e comunque, accade nella lettura di un testo, su qualunque supporto esso sia stato scritto. E’
peraltro da rilevare che, in Violenza, ragione, storia, i livelli di interattività risultano
essere molteplici: l’opera ha preso infatti le
mosse da un’indagine statistica (i risultati
della quale sono presentati in appendice)
relativa al campo semantico dei termini che
compongono il titolo, e delle connessioni
che intercorrono fra essi. Il supporto informatico accluso intende, inoltre, permettere
l’intervento del lettore sul testo medesimo.
La “rivoluzione” avviata dall’uso della scrittura elettronica poggia perciò, ricorda D’Alessandro, sull’aspetto essenzialmente propositivo, piuttosto che impositivo, della scrittura
medesima; rispetto al carattere di realtà del
testo scritto, quello elettronico risulta, in
effetti, essere virtuale, suscettibile di una
continua rielaborazione. Ciò non comporta,
però, un potenziamento meramente quantitativo delle possibilità di intervenire sul testo: con la ridefinizione del concetto di “realtà” del testo medesimo, mutano anche i
termini della questione della “lettura sintomale”, e della produzione di testo da parte
del lettore. L’ipertesto, infatti, non si esibisce
mai nella sua totalità. Ciò che nel testo scritto
su supporto cartaceo si era definito come il
suo “non detto”, ciò che in esso rimane
inespresso, nel testo elettronico diventa un
“testo nascosto” (un riferimento bibliografico, una nota critica, o una esplicativa), con
pari dignità di opzione rispetto al testo esplicitato. Il testo diventa cioè un luogo, il topos
di una scrittura e di una lettura che, come
sottolinea D’Alessandro, sono sempre in
progress: per questo, la scrittura elettronica rappresenta il paradigma del “pensare
ermeneutico”.
L’ “esperimento” proposto da D’Alessandro
è, a un tempo, filosofico e “didattico”: l’introduzione al pensiero si riconosce, in senso
pregnante, come apprendimento alla scrittura. E’ questo un assunto decisivo anche
all’interno del pensiero di Carlo Sini, espresso nell’Introduzione alla sua ultima opera,
Scrivere il silenzio. Wittgenstein e il problema del linguaggio. Qui Sini non si limita a
porre la questione della scrittura filosofica,
ma “mette in pratica” la scrittura medesima,
fino, apparentemente, a negarla; o, perlomeno, a porre un dubbio radicale sulla possibilità di “leggere” la scrittura della filosofia
senza “praticarla”. Quest’opera di Sini non
utilizza, infatti, schemi, soluzioni iconiche e
cromatiche “a esplicazione” di un testo: il
testo stesso è il grafema, il tentativo di pervenire, wittgensteinianamente, a un’ “ideografia”, ovvero a un’immagine del mondo.
Come è evidente, la questione filosofica
TENDENZE E DIBATTITI
della scrittura si intreccia, qui, con quella
dell’immagine. L’ “iconismo” presente in
quest’opera di Sini trova i propri presupposti teorici nei suoi scritti più recenti,
come Filosofia e scrittura (Laterza, RomaBari 1994), nonché in Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura (scritto in collaborazione con R. Fabbrichesi-Leo, Hestia, Como 1993), e nel
tentativo, in essi perseguito, di mostrare la
consustanzialità di filosofia e scrittura chiarendo il carattere “etico” di quest’ultima.
Per un primo verso, si tratta dunque per
Sini di mostrare come una determinata
forma di pensiero (quella che, dai Greci
fino a noi, ha visto il prevalere del logos)
non si esprima “in” una determinata scrittura, quella alfabetica, ma risulti consustanziale con essa, in quanto la presuppone. La filosofia consiste dunque in una
determinata pratica di scrittura; in questo
carattere di pratica, e non in un senso
antropologico, va dunque interpretata la
tesi siniana relativa all’”etica della scrittura”. La nozione di “foglio-mondo”, decisiva nell’ultima fase del pensiero di Sini, fa
cenno al carattere iscrittivo, anziché descrittivo, della scrittura; attraverso tale nozione s’intende perseguire una “trasparenza” del gesto filosofico nel suo mostrarsi,
al di là dei segni dell’alfabeto, appunto
come gesto di scrittura, ovvero come gesto
iscrittivo.
Scrivere il silenzio rappresenta la manifestazione in rebus di tale progetto, un “esercizio di scrittura”. Che cos’è infatti il silenzio di cui, non potendo parlare, sostiene
Sini parafrasando Wittgenstein, occorre
scrivere? Non è “qualcosa” da dire, che
non si possa dire. Non è “qualcosa”; è,
piuttosto, un nulla, da non intendersi come
l’assenza di un ente, bensì come il prodursi, nel nulla, dell’evento dell’iscrizione. In
questo silenzio, che non si può dire, ma che
si deve scrivere, consiste dunque il gesto
scritturale, momento instaurativo di ogni
descrivibilità. La scrittura che scrive questo silenzio non può dunque essere quella
del sapere concettuale. Dovrà essere, invece, una scrittura che, “in pratica”, abbia
abbattuto lo steccato tra ciò che è scrittura
(essa medesima) e ciò che è immagine, tra
ciò che è concetto e ciò che è simbolo, ciò
che è razionale e ciò che non lo è, avendo,
se non rinunciato, almeno messo fenomenologicamente “tra parentesi” queste definizioni. Questa scrittura non può, con tutta
evidenza, essere definita, ricondotta alla
pratica della scrittura alfabetica. Tale scrittura va invece essa stessa praticata: è ciò
che appunto accade in quest’opera di Sini,
con il suo testo costituito da disegni e
schemi, colori e (va da sé) parole. Questa,
sostiene Sini commentando Wittgenstein,
è la funzione della filosofia, nonché il suo
“metodo”: il passaggio alla prassi, l’ “elementare” apprendimento dello scrivere.
F.C.
Differenti concezioni
degli animali
Intento della raccolta di saggi dal titolo:
FILOSOFI ED ANIMALI NEL MONDO ANTICO (Edizioni ETS, Pisa 1994), pubblicata a cura
di Silvana Castignone e Giuliana Lanata, è delineare la complessa concezione
filosofica degli animali nei pensatori
antichi, in rapporto a differenti visioni
del mondo come l’antropocentrismo e
il cosmocentrismo. Il recupero del passato filosofico allo scopo di determinare lo sviluppo del comportamento positivo degli uomini nei confronti degli
animali viene affrontato anche da Luisa
Santonocito ne LO STATUS MORALE DEGLI
ANIMALI NONUMANI. UN’ANALISI SUI LIMITI DEI
CRITERI ETICI DELLA NOSTRA SPECIE (Editrice
Firenze Atheneum, Firenze 1994). In
questo contesto di riflessione si segnala anche i contributi raccolti a cura di
Paola Cavalieri e Peter Singer nel volume: IL PROGETTO GRANDE SCIMMIA, EGUAGLIANZA OLTRE I CONFINI DELLA SPECIE UMANA
(Theoria, Roma 1994), in cui viene sottolineata la rilevanza, nell’attuale dibattito filosofico, di una nozione non
umanistica di persona, applicata ai grandi antropoidi.
Sebbene nel mondo antico prevalesse una concezione antropocentrica, basata sull’affermazione dell’inferiorità animale rispetto all’uomo,
si possono tuttavia rintracciare in alcuni filosofi
antichi posizioni teoriche orientate verso il rafforzamento di una maggiore contiguità tra l’uomo e l’animale e verso il rifiuto di comportamenti tesi allo sfruttamento e al disprezzo crudele degli animali. D’altra parte, l’atteggiamento moderno di svalutazione del mondo animale
e la mancanza di rispetto per la sofferenza degli
animali, che ha determinato l’espandersi della
pratica della vivisezione, affonda le sue radici
proprio in una visione filosofica già presente nel
mondo antico, che negava l’esistenza nell’animale della capacità di sentire e di percepire la
sofferenza.
Come mostra Liliane Bodson nel suo scritto:
L’animale nella morale collettiva e individuale
dell’attività greco-romana, contenuto in Filosofi e animali nel mondo antico, nel mondo
greco-romano il comportamento degli uomini
nei confronti degli animali è stato generalmente
positivo. Riguardo alla relazione tra uomini e
animali nella filosofia antica, come osserva
Giuliana Lanata nel suo contributo al medesimo volume, Antropocentrismo e cosmocentrismo nel pensiero antico, la visione antropocentrica del mondo, riscontrabile in pensatori come
Sallustio, Senofonte, Anassagora, Platone e
Aristotele, tende a giustificare la superiorità
dell’uomo sull’animale non solo attraverso la
trasfigurazione simbolica di dati fisici, ma anche attraverso l’attribuzione esclusiva agli uomini della ragione e dell’anima. D’altro canto,
la visione del mondo cosmocentrica, che negli
antichi è rappresentata da Epicuro, Lucrezio e in
alcuni stoici, stabilisce una stretta affinità tra gli
uomini e gli animali, entrambi generati da una
32
matrice comune, la terra, sovvertendo il presupposto che il mondo fosse stato generato appositamente per gli uomini, creature privilegiate.
Platone ed Aristotele, invece, possono essere
generalmente inquadrati nella prospettiva antropocentrica, che sta alla base del futuro atteggiamento di scarsa considerazione degli animali. Nel suo contributo, Gli animali in Platone:
metafore e tassonomie, Patrizia Pinotti mette
in luce la concezione degli animali di Platone
nel Timeo, nel Fedone e nella Repubblica, dove
emerge un’utilizzazione simbolica degli animali, al fine di rappresentare i vari destini delle
anime e dei corpi lungo la scala dell’essere:
nella contrapposione platonica tra uomini ed
animali, stabilita dalla scala gerarchica degli
esseri soggetti alla reincarnazione, si può riscontrare, da un lato, un disprezzo per gli animali terrestri e marini, in quanto rappresentanti dei
regni umani della stoltezza e dell’ignoranza,
dall’altro un’ammirazione per gli animali celesti come immagini simboliche degli uomini
sapienti. Se in Platone prevale l’immaginario
simbolico e mitologico, in Aristotele, come
sottolinea Mario Vegetti nel suo intervento,
Figure dell’animale in Aristotele, predomina
invece l’atteggiamento scientifico che considera l’animale come puro oggetto di indagine.
Vegetti mostra come l’ispezione conoscitiva
dell’animale da parte di Aristotele determini
l’accettazione del sacrificio e della morte
dell’animale per scopi scientifici, un’accettazione che ha causato la lunga storia della
dissezione e della vivisezione nella biologia
e nella medicina.
Tra i pensatori antichi che hanno manifestato un
differente atteggiamento verso gli animali sono
da annoverare Porfirio e Plutarco. Porfirio,
come sottolinea Giorgio Camassa nel suo
saggio: Frammenti del bestiario pitagorico
nella riflessione di Porfirio, condanna la “sanguinaria ferocia” e il “cannibalismo” che caratterizzano le società politiche tradizionali. In una
simile direzione si muovono anche le riflessioni
di Plutarco sugli animali, menzionate da Giuseppina Santese nel suo contributo, Animali e
razionalità in Plutarco. Plutarco, infatti, accetta
solo quei comportamenti degli uomini nei confronti degli animali dettati unicamente dalle
neccessità primarie della sopravvivenza e della
difesa.
Nel suo studio, Lo status morale degli animali
nonumani, Luisa Santonocito riprende le fila
dell’evoluzione del pensiero filosofico sugli
animali per mostrare come il recupero di alcuni
autori del passato possa fondare l’etica dell’attuale Movimento di Liberazione Animale. Da
questo punto di vista, fa notare Santonocito,
nella tradizione filosofica si contrappongono
Cartesio e Kant: il primo, considerando gli
animali come automi incapaci di soffrire, ha
favorito ancor più profondamente il distacco tra
gli uomini e gli animali; il secondo, invece, ha
ritenuto che fosse necessario rifiutare la crudeltà verso gli animali, poiché poteva determinare lo sviluppo negativo della stessa
moralità umana. Nel 1800, rileva Santonocito, si sono affermate due correnti filosofiche
favorevoli al rispetto degli animali, una ispirata ai principi della bontà e della compassio-
TENDENZE E DIBATTITI
Scimmia neonata tra due madri finte (foto di M. Rogers)
33
TENDENZE E DIBATTITI
ne, l’altra fondata sull’idea di equità e giustizia. Solo quest’ultima, secondo Santonocito,
può veramente dar vita a una mentalità differente, che valorizzi l’animale rifiutando tutti
i tentativi di esaltare la superiorità della
specie umana.
In tale ottica assume grande importanza la
filosofia di Darwin che edifica un terreno di
origine comune per l’uomo e per l’animale,
imputando le specifiche diversità all’evoluzione. L’atteggiamento etico che in futuro
Santonocito auspica si possa affermare per
salvaguardare gli interessi degli animali è
quello che deriva molti dei suoi concetti
dall’etologia e dalla sociobiologia, rifiutando di definire gli esseri viventi in base alla
loro appartenenza a gruppi e specie e valutandoli invece in base alle loro caratteristiche
individuali. M.Mi.
Dopo che la teoria darwiniana dell’evoluzione della specie ha profondamente modificato la nostra visione del mondo, è impossibile
ignorare le profonde somiglianze tra primati
umani e nonumani, come risulta appunto dal
volume curato da Paola Cavalieri e Peter
Singer, Il progetto grande scimmia, eguaglianza oltre i confini della specie umana.
Nodo centrale di questo volume collettaneo,
che raccoglie trenta saggi di filosofi e scienziati, tra cui spiccano noti eticisti, come
James Rachels e Steve Sapontzis, e ricercatori di fama mondiale, come Richard Dawkins
e Jared Diamond, è la Dichiarazione sui
grandi antropoidi. In essa gli autori dei contributi e, naturalmente, i curatori del volume,
chiedono che la comunità degli eguali - ossia
la comunità morale all’interno della quale
noi accettiamo che certi principi o diritti
fondamentali governino le nostre relazioni
reciproche e siano tutelabili giuridicamente
- «venga estesa fino a includere tutti i grandi
antropoidi: esseri umani, scimpanzè, gorilla
e oranghi».
L’interesse per lo status morale degli animali
nonumani va compreso all’interno di un preciso
contesto, quello dell’etica pratica, ovvero dell’applicazione dell’etica a problemi concreti,
che ha costituito negli Stati Uniti una risposta al
lungo periodo di prevalenza della meta-etica.
Grazieai cambiamenti socio-culturali degli anni
Sessanta e Settanta e allo straordinario sviluppo
delle discipline tecnico-scientifiche, le discussioni su forme di discriminazione, come il
razzismo e il sessismo da una parte, e il dibattito
sullo status morale di entità come gli embrioni
e i feti dall’altra, hanno portato ad un riesame di
alcune idee cardine della morale corrente. Conseguenza non ultima di tale riesame è stata la
tendenza a distinguere, all’interno della nozione di “essere umano”, un senso descrittivo (di
matrice biologica) e un senso valutativo (di
matrice filosofica) e a impiegare solo per quest’ultimo il concetto di persona.
La recente formulazione di una nozione di
persona neutrale rispetto alla specie modifica la prospettiva: dal fatto che le grandi
scimmie non-umane posseggano determinate caratteristiche può derivare sia un giudizio di valore, sia l’inserimento del loro caso nel
contesto precostituito della morale tradizionale.
A questo proposito, le ricerche di Jane Goodall
hanno dimostrato che gli scimpanzè sono capaci di sofisticata cooperazione e di complessa
manipolazione sociale e le indagini linguistiche
interspecifiche di Francine Patterson, Lyn
Miles o dei Fouts hanno rivelato come gorilla,
scimpanzè e oranghi siano autocoscienti - si
pensi solo al test dello specchio e alla capacità di
ingannare - ed abbiano memorie ed aspettative
per il futuro. In definitiva, così emerge da questa
raccolta di saggi, non è necessario alcun approccio etico inusuale per introdurre per la prima
volta dei non-umani nel club privilegiato dell’eguaglianza; tutto ciò che dobbiamo fare è
riconoscere imparzialmente come questi individui possiedano delle caratteristiche empiriche, cui l’etica occidentale ha, fino ad oggi,
attribuito rilevanza morale. L.S.
Gilbert Simondon:
individuazione e tecnica
In Francia, il pensiero di Gilbert Simondon, interamente consacrato a cercare
una nuova articolazione tra tecnica e
filosofia e, più in generale, tra uomo e
macchina, si è fatto strada a fatica e,
contrariamente a quello di Heidegger,
con cui condivide questa tematica, è
noto solo nella cerchia degli specialisti.
Nel 1992, a tre anni dalla morte, è stato
organizzato da Françoise Balibar e Etienne Chatelet un convegno, di cui ora
escono gli atti con il titolo: GILBERT SIMONDON. UNE PENSÉE DE L’INDIVIDUATION E
DE LA TECHNIQUE (Gilbert Simondon. Un
pensiero dell’individuazione e della tecnica, Albin Michel, Parigi 1994).
Nato nel 1924, Gilbert Simondon è stato
allievo di personalità di spicco della filosofia
francese - Guérolt, Merleau-Ponty, Jean Hyppolite e Georges Canguilhem. Fin dalla sua
prima opera, Du mode d’existence des objets
techniques (Della modalità di esistenza degli
oggetti tecnici, 1958), Simondon elabora il
progetto filosofico di suscitare una presa di
coscienza del senso degli oggetti tecnici. Per
rendersi conto dell’originalità e dell’importanza di un tale obiettivo, basta riandare con
la mente al clima culturale, violentemente
tecnofobo, degli anni ’50. I concetti che
dovrebbero permettere di descrivere una civiltà, nonostante tutto, sempre più tecnica
fanno difetto. Simondon si impegna a colmare tale lacuna, introducendo la nozione di
“individuo tecnico”. Ciò che caratterizza la
tecnica moderna, sostiene Simondon, è l’apparizione di individui tecnici sotto forma di
macchine. Prima era l’uomo, in quanto “portatore di utensili”, ad essere individuo tecnico; ora, invece, sono le macchine, in quanto
loro stesse portatrici di utensili, a godere di
tale statuto e l’uomo, che ne è diventato il
servo e l’assemblatore, lo perde completamente. Le macchine, dunque, sono esseri dotati di
34
un’esistenza “autonoma”, risultante da un “processo di individuazione” che si tratta di descrivere, riproducendone l’ “ontogenesi”.
Nel suo intervento, Bruno Paradis fa notare
come per Simondon la tecnica sia qualcosa di
più dell’introduzione di un nuovo tipo di essere
nel mondo; la tecnica è «creazione di una nuova
dimensione in cui si attuano rapporti di causalità
reciproca». Nell’oggetto tecnico c’è passaggio
dal progetto alla realizzazione, dall’astratto al
concreto. In termini simondoniani, si tratta di
una “concretizzazione” dell’invenzione umana, vale a dire dell’«umano concretizzato, cristallizzato, incorporato» nell’oggetto tecnico.
D’altronde, il riconoscimento dell’umano nella
tecnica ha un valore strategico nel percorso del
filosofo, che si propone anzitutto di rendere
“intelligente ed amica” la presenza delle macchine nel nostro mondo. Se «la cultura si è
costituita in sistema di difesa contro le tecniche», osserva Simondon, tale difesa «si presenta come una difesa dell’uomo, nel presupposto
che gli oggetti tecnici non contengano realtà
umane». Al contrario, «la macchina, opera di
organizzazione e di informazione, è, come la
vita e con la vita, ciò che si oppone al disordine,
all’appiattimento di ogni cosa tendente a privare l’universo del potere di cambiamento».
Di fronte a questo ottimismo radicale è lecito
chiedersi, come fa Jean-Yves Chateau, se
l’opera di Simondon permetta di conoscere e
pensare rigorosamente e adeguatamente la tecnica. Di fatto, sottolinea Chateau, ponendo
come autonomo il processo di sviluppo della
tecnica, Simondon ha reso problematica la valutazione del rapporto che l’uomo intrattiene
con essa, mentre il suo ottimismo ontologico
circa la modalità di esistenza degli oggetti tecnici «non comporta necessariamente un particolare ottimismo riguardo agli effetti umani e
sociali» della tecnica stessa. Tuttavia, questo
modo, in fondo né ottimista, né pessimista, di
descrivere la tecnica sarebbe «il marchio di un
pensiero autenticamente filosofico». Come
Heidegger, anche Simondon mette in evidenza
l’ambiguità della tecnica moderna; ma, mentre
per il primo solo una radicalizzazione del pericolodellatecnicapermettedi intravedere l’eventualità della salvezza, per il secondo il programma ottimista, assunto in partenza, si rivela sempre più difficile da realizzare, facendo apparire
la tecnica sempre più ambigua.
Secondo François Laruelle, invece, se si vuole
fondare un’autentica “scienza della tecnica”,
occorre rifiutare l’autorità della filosofia sulla
tecnica in favore di una conoscenza rigorosa,
non interpretativa, della tecnica, che la lasci
essere quel che è, senza la pretesa di appropriarsene. Non è dello stesso parere Gilbert Hottois,
cheritieneinvecechela filosofia giochi unruolo
chiave nell’elaborazione di una “cultura tecnica”. In tale prospettiva, quella di Simondon si
presenta come una concezione del sapere di tipo
classico: «Solo la filosofia è adatta a riunificare
pratico e teorico, tecnica e religione, scienza ed
etica». In questo, Simondon non cessa di mostrare come un rapporto libero con la tecnica sia
un rapporto che riconosce la dissimmetria tra
questa e l’uomo, nonché la loro complementarità in un divenire aperto. D.F.
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Il panteismo
di Bruno e Cusano
Sul panteismo e il naturalismo del
‘400 e ‘500 gettano luce due recenti pubblicazione: una raccolta di
scritti di Nicolò Cusano, dal titolo:
IL DIO NASCOSTO (trad. it. di L. Mannarini, Laterza, Bari-Roma 1995),
in cui i segni di Dio vengono ricercati nella natura, e il saggio interpretativo di Eugen Drewermann,
GIORDANO BRUNO (trad. it. di E. Ganni, Rizzoli, Milano 1995), che ci offre un’autobiografia immaginaria
del filosofo nolano.
Il Dio nascosto di Nicolò Cusano
consiste nella raccolta di tre scritti e di
quattro prediche, volti a dimostrare, da
una parte, la presenza di Dio nel creato e,
dall’altra, l’impossibilità da parte dell’uomo di coglierlo con la normale indagine
razionale. Secondo la tradizione neoplatonica, infatti, l’universo nasce dall’emanazione dell’intelletto che procede da Dio;
per questo, solo attraverso l’intuizione intellettuale è possibile cogliere quel Dio
nascosto alla ragione discorsiva, in grado
di comprendere, con le proporzioni, solo il
finito.
Il primo scritto, che da il nome alla raccolta, consiste in un dialogo tra un pagano e
un cristiano, che dimostra tutta la difficoltà per l’uomo di cogliere Dio, essenzialmente sfuggente anche al linguaggio, che
non è in grado di coglierlo. Il termine
Theos, infatti, deriva dal greco theorao,
che significa “vedo”, e rappresenta quindi
la più alta dignità della percezione umana,
la vista, che tuttavia sfugge alla propria
determinazione: la vista, infatti, vede, ma
non può essere, a sua volta, vista. Il secondo scritto, dal titolo: La ricerca di Dio,
rappresenta una guida alla “dotta ignoranza”, in quanto spinge l’uomo ad andare
oltre le comparazioni, dominio della ragione finita, e a volgersi all’osservazione
della natura, luogo inesauribile in cui Dio
si esplica. La migliore manifestazione di
Dio, in ogni caso, è quella descritta nel
terzo saggio, La filiazione di Dio, nel quale
Cusano, attraverso la figura dell’incarnazione, mostra la via d’accesso alla com-
prensione di Dio. La discesa del Verbo,
infatti, accanto alla teofania intellettuale, costituisce quell’elemento di raccordo tra finito e infinito che riesce a colmare, anche se in parte, l’incommensurabilità tra uomo e Dio.
Le quattro prediche, dense di riferimenti
alla mistica di Ekahart, che completano
questa raccolta di scritti, si rifanno ai
concetti di emanazione e di processione,
che rendono possibile la genesi dell’universo. Cusano ricorda come Dio si concentri nell’universo attraverso la sua visibilità e temporalità, che permettono la
presenza del divino in ogni parte del
creato. Il messaggio di Cusano, al di là
dello specifico neoplatonico, costituisce, senza dubbio, sia un rifiuto al dogma e alla ritualità della scolastica, sia un
richiamo alla fides e ai valori di interiorità e di pace tra i popoli, accomunati
tutti dalla condivisione del Dio nascosto.
La fede universale, che va al di là delle
fazioni religiose, e la sicurezza della
presenza di Dio in ogni singolo fenomeno del creato costituiscono il fondamento anche della filosofia di Giordano
Bruno, che Eugen Drewermann ci presenta nella forma di un’autobiografia
possibile. Que st’opera, s critta da
Drewermann con grande partecipazione
emotiva, rappresenta infatti l’autobiografia immaginaria di Bruno, poche settimane prima dell’esecuzione. Drewermann compie qui un’analisi introspettiva di grande riuscita, impostata sulla
base della vita trascorsa, dei vissuti e del
credo filosofico di Bruno, dopo essere
stato condannato a morte. Le pagine scorrono, in questo modo, attraverso il continuo scavo interiore del filosofo che
dialoga con se stesso in una serie di flash
back che ripercorrono le tappe fondamentali della sua esistenza.
Leggendo il volume è difficile non pensare allo stretto collegamento tra la vicenda di Bruno, trascorsa nello scontro
continuo con l’intolleranza della Santa
Inquisizione, e quella di Drewermann
stesso, nei suoi contrasti con le autorità
vaticane. Nell’interpretazione di Drewermann, il “prigioniero-filosofo”, come
Boezio nella medesima situazione secoli prima, trova conforto nell’oggettiva35
zione dei propri pensieri, che costituiscono, da una parte, una sorta di testamento spirituale e, dall’altra, il concentrato della sua speculazione filosofica.
Nel comporre questo diario a ritroso,
Bruno attribuisce, per mano di Drewermann, al suo primo e unico innamoramento la matrice del suo sistema filosofico, fondato sul panteismo e radicalmente opposto alle teorie ecclesiastiche
del tempo. Nei ricordi di Bruno, infatti,
l’incontro con “Diana” rappresenta la
conoscenza dell’amore, in grado di condure il filosofo alla teorizzazione dell’infinità dell’universo, luogo di appartenenza di un’emozione così grande. Tuttavia, se all’inizio del diario Bruno descrive Diana come l’elemento di scatenamento dell’eroico furore, al termine di
questo riconosce di avere sempre temuto, vilmente, un contatto reale con lei e
di meritare, paradossalmente per questo,
una punizione. In ogni caso, la visione
della fanciulla procura a Bruno quello
scatenamento delle passioni in grado di
generare le maggiori critiche al cristianesimo, colpevole, in primo luogo, di
apologizzare il dolore e di porre nella
sofferenza di Cristo l’unico elemento di
collegamento tra Dio e l’uomo e, in secondo luogo, di dimenticare l’amore tra
uomo e donna, autentico elemento di
coesione e fondamento della Santissima
Trinità.
Bruno non risparmia critiche neanche al
“maestro” Cusano, apprezzato per la teorizzazione del panteismo e dell’uomo
come microcosmo, ma, allo stesso tempo, contestato per il suo stretto legame
con la Chiesa cattolica. Secondo Bruno,
infatti, la presenza di Dio nella natura
deve essere colta attraverso la passione e
la vitalità, mentre per Cusano le Sacre
Scritture costituivano l’unica via per raggiungerla. Inoltre, la filosofia di Cusano
presupponeva la positività in toto del
creato, mentre per Bruno la presenza del
dolore costituisce quel fondo oscuro in
Dio ancora del tutto incomprensibile all’uomo. A.S.
PROSPETTIVE DI RICERCA
ˇ
La verità vivente di Sestòv
Nell’opera CONTRA HUSSERL. TRE SAGGI
FILOSOFICI (a cura di F. Dèchet, Guerini
ˇ
e Associati, Milano 1994) Lev Sestòv
delinea il suo distacco dalla filosofia
di Husserl, opponendo alla scienza
rigorosa delle evidenze una concezione irrazionalista che ricerca una verità “vivente” oltre il reale. Contemporaneamente all’edizione italiana, in
Germania vengono ristampate altre
ˇ
due opere di Sestòv:
ATHEN UND JERU SALEM. VERSUCH EINER RELIGIÖSEN PHILOSOPHIE (Atene e Gerusalemme. Tentativo di una filosofia religiosa, trad. dal
russo di H. Ruoff, Matthes & Seitz,
Monaco di Baviera 1994) e TOLSTOI UND
NIETZSCHE. DIE IDEE DES GUTEN IN IHREN
LEHREN (La dottrina del bene in Tolstoi
e Nietzsche, trad. dal russo di N. Strasser, Matthes & Seitz, Monaco di Baviera 1994). Le ragioni della vivace
ˇ
polemica intrapresa da Sestòv
nei
confronti di Husserl risultano più chiare alla luce della filosofia sèstòviana
dell’esistenza, di cui le due opere qui
segnalate ci offrono una significativa
testimonianza.
Pur esprimendo la sua ammirazione per
Husserl, per la sua capacità di sostenere
fino in fondo la sua posizione teorica, distinguendo la filosofia-scienza dalla sagˇ
gezza, in Contra Husserl Lev Sestòv
critica la filosofia husserliana per la sua «illimitata fiducia nella ragione», che impone di
ricercare la verità nell’evidenza scientifiˇ
ca. Nella prospettiva delineata da Sestòv,
la
filosofia di Husserl mostra il suo legame
con il razionalismo nella fondazione scientifica delle essenze ideali, nel rifiuto dello
psicologismo e del relativismo. Contrapponendo il punto di vista gnoseologico a
quello psicologico, Husserl non si accorge,
ˇ
secondo Sestòv,
del pericolo insito in una
filosofia che assolutizzi la verità, rimanendo rinchiusa nell’orizzonte dell’immanente. Il mondo husserliano delle evidenze,
ˇ
che domina il mondo reale, è per Sestòv
un
mondo morto e immobile, privo di quella
vitalità che scaturisce dalla verità suprema
“vivente”. L’obiettivo di Husserl, di fondare in modo rigoroso la scienza delle evidenze, lo rende cieco di fronte a quel “mistero
del reale” che non può essere né dissolto, né
risolto attraverso la ragione e sfugge ad
ogni spiegazione razionale.
ˇ
Il reale, afferma Sestòv,
è caratterizzato da
elementi imprevisti e da continui mutamenti; questa imprevedibilità, questa inafferrabilità e questa mutabilità del reale rivelano il fascino e l’incanto della vita. In
tale prospettiva, la filosofia deve ricercare
la verità non nella ragione, ma al di là di
essa: una verità “vivente”, una verità che
confina con l’assurdo, che si intreccia con
le sofferenze e gli orrori della vita. Nella
ˇ
teoria di Sestòv
riveste un’importanza preminente la filosofia di Plotino, che mostra
ˇ
Edmund Husserl
Didascalia
(sopra) e Lev Sestòv
36
PROSPETTIVE DI RICERCA
di non arretrare di fronte agli angosciosi
ˇ
misteri dell’essere. Secondo Sestòv,
Plotino
ha avuto il coraggio di rovesciare la ragione
che gli altri filosofi consideravano “invincibile”, per immergersi nelle zone “periferiche” del reale, per inebriarsi di una verità
che appare all’improvviso, ribelle di fronte
ad ogni costrizione; una verità che come
una luce repentina si accende nell’anima.
Per Plotino ciò che viene creato dall’Uno si
trova al di là della ragione, quella ragione
che ha osato rinnegare Dio, distogliendolo
dalla vera realtà creata.
Nietzsche, da un lato, che afferma un “al di
là del bene e del male”, e Dostoevskij,
dall’altro, che esprime nella sua opera il
suo distacco dai principi morali del bene e
ˇ
del male, rappresentano per Sestov
coloro
che hanno rifiutato l’esistenza di una verità “morta”, che possa governare gli esseri
viventi. I razionalisti, invece, hanno seguito il cammino della ragione, non osando
guardare in faccia l’orrore, il dolore dell’esistenza e la follia della morte. Viene
ˇ
così rivalutata da Sestòv
la filosofia esistenzialistica, in quanto riesce a superare
tutto ciò che pare “insuperabile” per la
ragione. In tal senso Kierkegaard, ricercando la verità non nella ragione, ma “nell’assurdo”, nel caos imprevedibile del reale, si rivolge con l’animo pieno di “timore” e di “tremore” alla rivelazione, dirigendosi verso quel luogo dove per la ragione inizia lo spazio infinito del nulla
eterno.
ˇ
Per Sèstòv
esistono due tipi di follie: la
follia della ragione, che esaltando la scienza si illude di poter includere tutto il reale
nella sua gabbia razionale, e la follia dell’assurdo, che oppone alla ragione l’irrompere improvviso del reale. L’alternativa è o “deificare la pietra”, o rifiutare “la
verità che costringe”; solo questa seconda
ˇ
alternativa è tuttavia valida per Sestòv,
in
quanto consente di attingere quella verità
vivente che resiste al giogo concettuale
della ragione. M.Mi.
La sincera, profonda e reciproca ammiˇ
razione che Husserl e Sestòv
hanno più
volte manifestato, non ha mai risentito
dell’enorme distanza delle loro concezioni filosofiche. In effetti i due percorsi
intellettuali non sembrano avere altri
punti in comune eccetto la medesima
coerenza e determinazione e il carattere
in qualche modo alternativo che ebbero
rispetto agli orientamenti di pensiero del
loro tempo. Se infatti l’aspirazione husserliana di liberare la filosofia dal soggettivismo e dal relativismo si concretizzava, durante il primo quindicennio
del XX secolo, nel progetto di una “filosofia come scienza rigorosa”, cioè in una
rivendicazione del sapere assoluto, neˇ
gli stessi anni Sestòv
stava vivendo la
sua stagione di rivolta proprio contro
quel tipo di “ragione”, di cui Husserl
proponeva il recupero, e che anzi sarà il
bersaglio principale di una lotta che lo
vedrà impegnato per tutta la vita.
Nato a Kiev nel 1866 e morto a Parigi nel
ˇ
1938, dopo lunghi anni di esilio, Sestòv
interpretò con insolita radicalità e convinzione la crisi che caratterizzava il
pensiero dalla seconda metà dell’Ottocento come l’ultimo stadio di una malattia che affliggeva la filosofia fin dai
primordi, da quando cioè una determinata concezione del sapere, la filosofiascienza della tradizione speculativa, si
era imposta come l’unica vera, indubitabile e necessaria. Tuttavia, secondo
ˇ
Sestòv,
questa impostazione di pensiero
non era stata in grado, a causa della sua
astrattezza, di comprendere l’esistenza
dell’uomo nella sua concretezza, costellata di incertezze, dubbi e continui ripensamenti. Di conseguenza, mentre
Husserl si accingeva a costruire «il muro
di cristallo delle evidenze», con una forza e una convinzione tale da apparire
agli occhi del pensatore russo come il
più grande filosofo della sua epoca,
ˇ
Sestòv
dirigeva il suo interesse verso la
filosofia esistenziale, e cioè verso quella
corrente di pensiero che, confinata ai
margini del pensiero ufficiale, aveva
sempre fatto propria la voce dei singoli,
degli uomini liberi e consapevoli in quanto individui.
ˇ
Sestòv
incontra così, riconoscendovisi,
il pensiero irrazionale e adogmatico di
autori come Lutero, Pascal, Nietzsche,
Tolstoi, Dostoevskij e Kierkegaard (quest’ultimo solo a partire dagli anni Trenta
e proprio su suggerimento di Husserl),
nei cui scritti agisce un tipo di pensiero
e di linguaggio, il cui significato, come
ˇ
scrive Sestòv
in un’opera del 1905, dal
titolo emblematico, Apoteosi della mancanza di fondamento, è quello di «spezzare la catena logica delle deduzioni per
trasportare l’uomo nel mare aperto della
fantasia, dove tutto è insieme possibile e
impossibile». Ed è appunto in questo
ambito che il pensiero può accogliere la
ˇ
verità, che per Sestòv
è più percezione
soggettiva che correttezza formale, più
rivelazione che conoscenza o speculazione, più fede che sapere. La verità non
è mai un dogma, quanto piuttosto un
evento che ha valore soltanto per l’individuo. La ragione e la scienza, che non
hanno interesse per la vita quotidiana,
per la gioia e il dolore dell’individuo,
non sono in grado di fondare né di spiegare la condizione umana, anzi finiscono per privare l’uomo delle sue potenzialità creative, regolate dalla convinzione che tutto accada per necessità.
In opposizione a questa metafisica della
ˇ
necessità, Sestòv
riconosce nella storia
anche una metafisica della libertà. Il
millenario conflitto tra le due tendenze è
il tema di una raccolta di saggi, composti
dal filosofo nella prima metà degli anni
Trenta e confluiti in Athen und Jerusalem, apparso in francese e tedesco nel
37
1938 e in russo solo nel 1951. “Atene”
rappresenta qui la filosofia speculativa,
nata in Grecia e divenuta dominante in
ˇ
Occidente, che Sestòv,
con puntuali riferimenti critici ad Aristotele, Plotino,
Agostino, Spinoza, Cartesio, Leibniz, Kant,
Hegel e Marx, considera e respinge come
una sorta di tirannia intellettuale, un sapere totalitario che ha strappato l’uomo a
Dio, l’«al di là del comprensibile e dell’esprimibile, cioè al di là della comunicazione consentita dal linguaggio e dalla
parola». Il contatto con Dio è possibile
ˇ
soltanto nel segno di ciò che Sestòv
chiama “Gerusalemme”, ossia nello spirito di
quei “filosofi privati”, contrapposti ai “pensatori pubblici”, che furono anzitutto i
profeti altotestamentari. Per Abramo,
Giobbe e Geremia non è il sapere la meta
suprema dell’uomo; la verità non consiste
in una somma di conoscenze, ma in un
mistero che si mostra come tale. In queˇ
st’orizzonte Sestòv
considera perfino la
possibilità che «in qualche luogo e in qualche tempo la piena libertà dell’uomo possa
soppiantare il sapere».
ˇ
Tale svolta, afferma Sestòv,
segnerà sia la
fine della ragione che del linguaggio proprio della ragione, quello cioè finalizzato
alla comprensione e alla comprensibilità.
Già nel suo primo scritto filosofico, il
saggio su Tolstoi e Nietzsche del 1900,
ˇ
Sestòv
aveva chiarito del resto che «la
somma dei concetti astratti presenti nella nostra lingua non è sufficiente per
descrivere la vita umana». Da questo
ˇ
punto di vista, per Sestòv
fu esemplare il
distacco attuato da Nietzsche nei confronti del discorso filosofico scolastico,
il suo coraggio di «parlare una propria
lingua» e di privatizzare il pensiero dominato dalla «filosofia da cattedra». Non
a caso, come si è detto, la successiva e
più aspra critica alla filosofia accademiˇ
ca trovò in Sestòv
uno sbocco nel suo
avvicinarsi alla letteratura: le opere di
Shakespeare e Goethe, Puschkin e
Dostoevskij gli erano infatti più consone rispetto all’erudizione dei cosiddetti
“maestri del pensiero”.
Se lo scopo del linguaggio è di avvicinarci
a Dio, allora è il poeta e non il filosofo a
sapersi esprimere nel modo più adatto. In
luogo di spiegare l’essere nel mondo dell’uomo attraverso criteri generali, il poeta
(e il profeta) illustra « - in un modo spesso
contraddittorio e discontinuo - gli aspetti
più enigmatici e misteriosi dell’esistenza
umana», fino a mettere in dubbio il linguaggio medesimo e la sua capacità di
esprimere «la cosa più importante di tutte». Bisognerebbe forse, come suggeriva
Anton Tschechow, parlare sempre più «sottovoce», e alla fine tacere del tutto, per
rivolgersi all’onnipotente. Laddove il linguaggio, invece di esprimere la Verità
della conoscenza, dà voce alle piccole verità della vita, esso acquista, agli occhi di
ˇ
Sestòv,
un valore più alto, per l’uomo, dell’astratto monologo della filosofia. A.Mo.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Platone e Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher
Schleiermacher, Platone
e l’ermeneutica
Di Friedrich D. E. Schleiermacher appare in edizione italiana l’INTRODUZIONE A PLATONE (trad. it. di G. Sansonetti,
Morcelliana, Brescia 1994). Scritta
come preambolo alla traduzione dei
dialoghi di Platone, l’opera è considerata da sempre un classico della teoria ermeneutica di Shleiermacher.
Sviluppando un’idea di Schlegel, Introduzione a Platone offre un’esposizione chiara e dettagliata delle teorie ermeneutiche di
Friedrich D. E. Schleiermacher, applicate alla filosofia di Platone. L’elemento che
fonda l’intero volume, chiuso da un saggio
di Wilhelm Dilthey sul problema dell’interpretazione storiografica in Schleiermacher, è la considerazione dell’ermeneutica
come metodo interpretativo valido non solo
per i testi sacri, dei quale Schleiermacher
era attento studioso, ma anche per quelli
profani. Tra questi figurano i dialoghi di
Platone, che costituiscono un esempio tipico dell’identità tra metodo e sistema nell’ermeneutica schleiermachiana.
Il proposito di Schleiermacher è quello di
sviluppare un’ermeneutica psicologica, che
attraverso il vissuto dell’interprete riesca a
superare la distanza temporale e a giungere
all’intenzione originaria dell’autore. Il senso dell’interpretazione, in questo modo,
nasce dalla ricostruzione del pensiero del-
l’autore - impresa, ad esempio, impossibile
per Gadamer, che privilegerà nettamente
la figura del lettore -, resa possibile dall’unione simpatetica, il momento “divinatorio”, di lettore e autore. Al fine di superare la distanza temporale che separa il mondo dell’autore da quello dell’interprete, la
forma letteraria del dialogo appare come
l’unica in grado di presentare direttamente
il vissuto dell’autore in contatto dialettico
con il lettore. Distanziandosi da Schlegel,
che vede nel mito, più vicino forse al romanticismo, la forma letteraria prioritaria
in Platone, Schleiermacher attribuisce al
dialogo la sintesi paradigmatica di quello
che egli intende per ermeneutica. Emerge,
in questo modo, la subordinazione della
cultura orale ed esoterica di Platone a quella scritta ed essoterica che, nel Fedro e
nella VII lettera, erano stati oggetto di
numerosi problemi. I vantaggi dell’oralità,
che, ad esempio, non può essere manipolata e resta necessariamente fedele al “padre”, in Schleiermacher diventano, infatti,
evanescenti e lasciano il posto all’apoteosi
della cultura scritta e dialogica, che permette, innanzitutto, di cogliere la presenza
dell’Erlebnis dell’autore e, in secondo luogo, di afferrare il movimento essenziale della
filosofia. La manifestazione del senso, in
questo modo, diventa patrimonio del dialogo, che solo attraverso la dialettica concreta
si fa portatore del pensiero filosofico.
Dall’analisi di Schleiermacher emerge chiaramente l’identità del Platone artista con il
38
Platone filosofo, dove il richiamo alla filosofia dell’identità di Schelling è evidente.
Se, infatti, l’intuizione estetica di Schelling
collocava l’infinito negli elementi finiti
dell’opera d’arte, l’ermeneutica di Schleiermacher riscontra il senso dell’assoluto,
ricercato da Platone, nella forma letteraria
del dialogo, che si compone di enunciati
finiti. L’ermeneutica, allo stesso modo, nel
momento in cui supera la distanza temporale e traspone il lettore nel contesto dell’autore, diventa l’organo della filosofia e
il mezzo per arrivare all’infinito.
L’avvicinamento del lettore all’autore, reso
possibile esclusivamente dalla traduzione,
annulla e vince l’ostacolo della distanza
temporale tra i due dialoganti. Da qui la
teoria schleiermacheriana della traduzione, che accompagna e segue quella dell’interpretazione. Secondo Schleiermacher,
infatti, una buona traduzione è quella in
grado di trasporre il lettore, nel momento
della creazione dell’opera d’arte, nella sua
lingua originaria. Pur essendo consapevole delle difficoltà intrinseche ad un’operazione di tal genere, Schleiermacher traduce i dialoghi di Platone con l’obiettivo
preciso di tornare il più possibile all’origine e all’originale, momento in cui si è
verificata l’identità tra finito ed infinito.
Su questa falsa riga si procede anche a
verificare l’autenticità degli scritti di Platone e a classificarli in ordine cronologico,
valutandone, la forma, il contenuto e, soprattutto, la composizione. A.S.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Rousseau, teorico di musica
e di botanica
Due opere epistolari di Jean-Jacques
Rousseau, LETTERE SULLA BOTANICA (Guerini e Associati, Milano 1994), a cura di
Enzo Cocco, e LETTERA SULLA MUSICA FRANCESE (Biblioteca di Gabriele Chiusano,
Gaeta 1994), a cura di Giancarlo Moretti, rivelano un aspetto dell’opera
filosofica di Rousseau, sconosciuto alla
maggior parte dei lettori. In questi
scritti abbiamo a che fare, da una parte, con un’analisi della musica francese in rapporto a quella italiana, dall’altra è il tema, ancor più particolare per
un filosofo, con una concezione della
botanica come disciplina rigenerante
di animi induriti e corrotti.
sioni quasi mistiche. La musica come qualcosa di etereo e di sublime, che eleva gli
spiriti umani e innalza le coscienze, è il
carattere che Rousseau attribuisce alla
musica italiana, non riconoscendo le stesse
qualità né a quella francese, né tantomeno
alle altre. Il talento musicale italiano è
specchio di un valore sociale profondo, che
Rousseau riporta in questo suo scritto in
modo minuzioso e dettagliato, offrendoci
un’analisi che abbraccia, in un orizzonte
filosofico oltre che linguistico-musicale,
considerazioni in cui i valori estetici e
artistici si fondono con quelli morali e
filosofici. D.M.
La filosofia mosaica
Nella botanica Jean-Jacques Rosseau
vedeva una soluzione ai propri tormenti
interiori, attribuendo alla natura una funzione benefica sugli animi umani, corrotti
da una società materialista. Attraverso il
contatto con la natura era possibile, per
Rousseau, il recupero della propria dimensione più intima e autentica, e la botanica,
l’espressione più nobile di ciò che è stato
creato indipendentemente dall’uomo, permetteva alle coscienze individuali di riscattarsi da uno stato di indurimento interiore. Simili riflessioni sono quelle che
emergono nelle lettere indirizzate da
Rousseau alla duchessa di Porland e a Pierre Clappier, dottore in medicina, con il
quale egli si intrattenne a lungo nelle sue
riflessioni.
Le riflessioni rousseauiane rientrano in una
concezione estetico-mistica, che presupponeva il saper vedere e ascoltare la natura,
il contemplarla, penetrando nei suoi meandri nascosti, in un’armonia totale con essa.
Un senso di comunione con tutti gli uomini
e con il mondo naturale intero è ciò che la
botanica rendeva possibile, implicando un
progressivo allontanamento dal “mondo
macchina” della società dell’epoca. Laddove fisici e filosofi, succubi di un sistema
sociale degenerato, presumono di misurare, di calcolare ogni attimo dell’esistenza,
la natura rappresenta, per Rousseau, un
divenire libero e incessante, inarrestabile
nel suo fluire armonico, e l’uomo, nel contemplarla, si abbandona alla pace interiore.
La trasparenza con cui si presenta anche il
più piccolo frammento di natura, continua
Rousseau, è sorprendente di fronte all’oscurità con cui gli uomini si rendono vittime
dei loro stessi compromessi, dei loro stessi
egoismi: la natura si offre come dono alla
luce del sole; l’uomo si nasconde alla natura per tramare meglio contro il mondo, e
contro se stesso.
Nella Lettera sulla musica francese
Rousseau ci presenta, invece, una sorta di
trattato filosofico sulla qualità delle lingue
e delle musiche. Qui, l’armonia del suono
linguistico e musicale si viene a collocare
in una prospettiva che sconfina in dimen-
L’opera di Filone,
TUTTI I TRATTATI DEL
(Rusconi, Milano 1994), di cui appare un’edizione curata da Roberto Radice, consente di accedere all’essenza della filosofia mosaica di questo autore, frutto
di una sintesi creativa tra la cultura del
mondo greco e la cultura giudaica e che
pur nella sua complessità ed eterogeneità concettuale si rivela ispirata ad
una unitaria cosmologia religiosa.
COMMENTARIO ALLEGORICO ALLA BIBBIA
Attraverso la lettura di quest’opera di Filone è possibile ricostruire la sua filosofia
mosaica, sintesi di cultura greca e giudaica,
cogliendo il significato essenziale del suo
messaggio religioso. Nella prospettiva filoniana predomina la dimensione della rivelazione, come viene ricavata dalla Bibbia, rispetto alla quale la filosofia viene a
trovarsi in una posizione subordinata. Così
Filone inaugura quella concezione religiosa che considera la filosofia un’ancella
della religione.
La complessità dei fattori diversi che formano il mosaico della filosofia di Filone
determina una struttura architettonica estremamente eterogenea e composita che tuttavia è basata sull’ispirazione unitaria religiosa di fondo. Tale filosofia si serve dell’allegoresi, traducendo le immagini e le
figure storiche desunte dalla Bibbia in concetti e in strutture logiche. Il discorso filoniano si muove su vari livelli, da quello
cosmologico a quello antropologico, da
quello psicologico a quello metafisico, da
quello morale a quello teologico, tutti fondati, però, su una peculiare concezione
cosmologica, in cui si può ravvisare l’influsso della filosofia di Platone. Filone
infatti riprende la teoria di Platone, secondo la quale il cosmo è una copia imperfetta
di un mondo ideale perfetto, e la inserisce
all’interno di una concezione mosaica della religione, nella quale campeggia la figura divina. Questo tentativo di integrazione
si rivela nella teoria filoniana della creazione. Infatti, per salvaguardare il principio
greco secondo il quale dal nulla deriva solo
39
il nulla e al contempo per difendere la tesi
religiosa della creazione divina del mondo
dal nulla, Filone costruisce una teoria della
creazione divisa in due momenti. Mentre il
primo momento è quello relativo alla creazione della materia informe da parte di Dio,
il secondo, che rappresenta il culmine dell’attività creatrice, consiste nel conferire
un ordine a questa materia.
Nella stessa prospettiva Filone elabora una
concezione metafisica molto articolata,
costituita da tutta una serie di figure intermediarie tra Dio e gli uomini, tra Dio e il
cosmo, che permettano di sostenere nello
stesso tempo l’assoluta separazione di Dio
dal creato e il suo intervento benefico e
provvidenziale nel mondo. La descrizione
dell’essenza di queste figure intermediarie
mostra l’impasto compiuto da Filone tra la
cultura greca e quella giudaica. Concetti
greci come logos, eidos, pneuma, vengono
ripresi da Filone e rimescolati in maniera
innovativa attraverso il richiamo a figure
bibliche come quelle degli angeli e delle
potenze. In questa sintesi grandiosa si può
riscontrare il tentativo di superamento del
cosmocentrismo di matrice greca attraverso il privilegiamento dell’uomo, inteso
come la creatura più vicina alla natura
divina tra tutti gli esseri viventi, e il ricorso
a concetti sconosciuti al mondo greco, come
fede, speranza, grazia. Ciò nonostante, la
filosofia di Filone non può considerarsi
come reale anticipazione della religione
cristiana, in quanto il pur presente avvicinamento ad essa non sfocia nella compiuta
filantropia cristiana dell’amore indistinto
di Dio per tutti gli uomini.
La filosofia mosaica di Filone può essere
concepita come un itinerario in Dio scandito da tre tappe: l’abbandono della contemplazione del cosmo, la conoscenza di se
stessi e infine l’unione estatica e mistica
con Dio. In tale prospettiva la virtù dell’uomo consiste nel riconoscere la propria nullità, la propria impotenza e nell’offrire a
Dio tutto ciò che ha ricevuto. La virtù più
alta per Filone è proprio quella della fede
che conduce alla perfezione, alla santità e
al distacco totale dalla materia per elevarsi
allo spirito e ritrovarsi nell’essenza divina.
Il Dio di Filone è un Dio uno e unico, al di
là delle sue molteplici manifestazioni; è un
Dio totalmente spirituale, in quanto trascende completamente le cose sensibili ed
è privo di passioni di natura terrena nella
sua totale distanza dalla realtà umana. Infatti, i concetti umani risultano inadeguati
per definire l’essenza divina, che è “innominabile” e che può infondersi nell’anima
umana in un estatico e mistico silenzio. Da
questo punto di vista, se per Filone l’uomo
ha la possibilità di condurre una triplice
vita grazie alle tre componenti che lo costituiscono (corpo, intelletto, spirito), solo la
sua dimensione spirituale e trascendente,
che lo diversifica da tutti gli altri esseri
viventi, lo nobilita in quanto consente di
volgere la sua anima verso la sua più autentica dimensione: Dio. M.Mi.
NOTIZIARIO
In occasione dell’anniversario della morte di THOMAS NIPPERDEY,
lo storico tedesco di formazione
hegeliana scomparso il 14 giugno
del 1992, è stato pubblicato un testo commemorativo, curato da
Wolfgang Hartwig e Harm-Hinrich Brands, dal titolo: Deutschlands Weg in die Moderne:
Politik, Gesellschaft und Kultur
im XIX Jahrhundert (Il cammino
tedesco verso la modernità. Politica, società e cultura nel XIX
secolo”, C. H. Beck, Monaco di
Baviera 1993).
Tema centrale della riflessione storica e filosofica di Nipperdey è il
rapporto dialettico tra tradizione e
modernità, che offre l’occasione
per una constatazione critica di
quella “storiografia impaziente”,
che sacrifica talvolta il passato per
non dilazionare le conquiste del
progresso. Dal canto suo, Nipperdey invita gli storici alla “pazienza”, perchè ritiene che il progresso
sia inevitabile: l’economia di mercato e la democrazia rappresentano il destino dell’umanità, l’evento fondamentale della storia. Tra i
saggi raccolti nel volume, particolarmente significativo si rivela, in
tal senso, quello di un allievo di
Nipperdey, Stefan Zweig, che sottolinea l’originalità metodologica
del maestro in contrapposizione
alla scelta classica della narrazione cronologica degli argomenti;
Nipperdey adotta infatti una forma
di racconto del tutto particolare,
articolata secondo il contrasto tipizzato di passato-presente, conservazione-modernità , allo scopo
di focalizzare la struttura dialettica
della storia e la sua teleologia immanente. Il rapporto tra la filosofia
hegeliana e lo storicismo di Nipperdey è comune oggetto di trattazione degli altri contributi presenti
nel volume (tra i quali spicca un
saggio di Ernst Nolte), che tematizzano l’interdipendenza di modernità e tradizione nel mondo tedesco e riconoscono nel “nazionalliberalismo idealistico” di
Nipperdey un considerevole tentativo di mediazione tra i valori
del passato e le esigenze egualitarie del presente.
In omaggio alla figura di Nipperdey è stato inoltre pubblicato il
catalogo delle sue opere: Thomas
Nipperdey. Bibliographie seiner
Veröffentlichungen, 1953-1992
(Thomas Nipperdey. Bibliografia
delle sue pubblicazioni, 1953-1992,
a cura di H. Holzbauer, C. B. Beck,
Monaco di Baviera 1993), con una
introduzione di Lothar Gall. L.R.
Un motivo per cui il pensiero sociologico e filosofico della SCUOLA
DI FRANCOFORTE è tuttora degno di attenzione è l’effetto determinante che esercitò sulla rivoluzione
culturale del ’68 al di là dei confini
tedeschi. Per salvare dall’oblio e dal
rischio di una superficiale banalizzazione i contributi teorici dei principali rappresentanti di questa tradi-
NOTIZIARIO
zione di pensiero, Marcuse, Adorno
e Horkheimer, Christoph Türcke e
Gerhard Bolz hanno pubblicato
un’opera introduttiva. Einführung in
die kritische Theorie (Introduzione
alla teoria critica, Wiss. Buchgess.,
Darmstatt 1994), che intende non
solo rendere noti ad un vasto pubblico storia e pensiero dei francofortesi, ma anche dimostrare l’attualità
delle loro riflessioni, che talora vengono invece considerate anacronostiche.
Il testo si apre con un’introduzione
storica sulla fondazione dell’Istituto
di Ricerche Sociali di Francoforte,
resa possibile dalla generosa donazione di un commerciante tedesco di
origine ebraica, e s’inoltra quindi
nell’analisi delle fonti teorico-speculative dei suoi rappresentanti più
significativi. Massima attenzione
viene prestata ai legami esistenti tra
i francofortesi e il socialismo marxiano, costante fonte di ispirazione filosofico-sociale, ma anche oggetto di
critica serrata per i suoi presupposti
deterministici. I pensatori della Scuola di Francoforte rifiutano la cieca
fiducia di Marx nella soluzione automatica della storia: la dittatura del
proletariato è bel lungi dal realizzarsi e si configura sempre più come
un’utopia. Seguendo il teorico del
socialismo scientifico, i teorici francofortesi si mostrano comunque
estremamente polemici nei confronti della cultura borghese, che ha condotto l’umanità alla perdita della sua
dignità. L.R.
tema dell’identità ebraica.
Pubblicato postumo nel 1919, La
religione della ragione si può considerare una summa dell’esperienza
intellettuale di Cohen, che propone
una interpretazione dei principi dell’Ebraismo nel quadro del sistema
neokantiano. Religione «razionale»
per eccellenza, l’Ebraismo afferma
la sua originalità non tanto attraverso l’invenzione del monoteismo (che
condivide con altre dottrine), quanto
nel fatto di conferire un significato
essenzialmente etico alla credenza
nel Dio Unico. Esso introduce per la
prima volta nella storia il concetto di
“genere umano” e sottolinea l’universalità della Legge attraverso il
comandamento - religioso e morale
insieme - del rispetto dell’Altro.
L’etica religiosa ebraica, osserva
Hermann Cohen, si risolve così nell’imperativo kantiano di “non fare
ad altri quello che non vorresti fosse
fatto a te” e inaugura una morale
sociale tendenzialmente ugualitaria.
Si può ricordare a questo proposito
la polemica dei marxisti ortodossi
contro il “socialismo neokantiano”
di Cohen; resta che molti punti del
programma politico e sociale di questo pensatore che ha legato il suo
nome alla Scuola di Marburgo, come
ad esempio il tema degli obblighi
dello stato verso le minoranze e gi
stranieri, sono ancora di grande attualità. La considerazione della natura etica dell’Ebraismo porta Cohen
a rifiutare il Sionismo, sostenendo la
necessità storica dell’esilio del popolo di Israele che può affermare il
suo destino messianico unicamente
disperdendosi tra le nazioni e mantenendosi saldo alle proprie radici religiose e morali.
A differenza di Cohen, il suo allievo
Julius Guttmann ritiene che la storia del pensiero ebraico non possa
integrarsi nelle coordinate della metafisica, dal momento che l’idea del
Dio onnipotente e onniscente non dà
luogo ad una interpretazione teoretica del mondo. A partire da ciò, Guttmann espone la dialettica tra religione rivelata, ambito del metaforico e
dell’immaginario, e filosofia, ambito della conoscenza, distinguendo
rigorosamente la peculiarità e l’autonomia di ciascuno di essi. Secondo
Guttmann, la linea fondamentale
della storia della filosofia ebraica si
sviluppa nel segno di una «assimilazione a posteriori di idee straniere
In traduzione francese viene riproposta l’opera di JULIUS GUTTMANN,
che ha costituito un riferimento fondamentale per tutti gli studiosi del
pensiero ebraico: l’Histoire des philosophies juives (Storia delle filosofie ebraiche, Gallimard, Parigi 1994).
Di un rinnovato interesse editoriale
in Francia per il pensiero ebraico
sono ulteriore testimonianza la traduzione dal tedesco in francese di
due opere di HERMANN COHEN,
- che di Guttmann è stato maestro:
Réligion de la raison tirée des sources du Judaïsme (La religione della
ragione dalle fonti dell’Ebraismo,
PUF, Parigi 1994) e L’Ethique du
Judaïsme (Etica dell’Ebraismo, Edition Cerf, Parigi 1994), una raccolta
di articoli e conferenze centrate sul
40
che sono state successivamenmte trasformate e adattate secondo prospettive specificamente ebraiche». Questo è particolarmente evidente nel
periodo ellenistico, quando i filosofi
ebrei fecero ampiamente ricorso a
tesi e ad argomentazioni greche per
sostenere le dottrine morali della
Bibbia. Nel Medioevo, Maimonide,
pensatore di grande originalità, tenta di arrivare ad una sintesi tra l’aristotelismo e la Rivelazione, accordando tuttavia la priorità a quest’ultima. Più difficile, per Guttmann, è
distinguere i tratti di una tradizione
ebraica nel pensiero di Spinoza, il
cui panteismo sembra agli antipodi
dell’immagine del Dio d’Israele, sebbene il filosofo olandese sia stato
inziato alla filosofia da pensatori
ebrei. Il percorso verso una radicale
laicizzazione della filosofia ebraica
segna una tappa fondamentale all’incrocio con l’Illuminismo; da quel
momento diventano sempre più impercettibili i segni di una specifica
tradizione ebraica, del tutto assenti
nella filosofia di Marx e di Husserl.
Occorre attendere il XX secolo, fa
notare Guttmann, per assistere, grazie all’opera di Franz Rosenzweig,
ad un riavvicinamento tra l’orizzonte speculativo e quello culturale-religioso. Facendo valere la separatezza della storia di Israele da
quella degli altri popoli, Rosenzweig situa in una alterità storicamente e culturalmente irriducibile
il destino dell’Ebraismo. Ed è appunto in questa prospettiva, rileva
Guttmann, che Rosenzweig accoglie nel suo pensiero la critica heideggeriana ai fondamenti della metafisica occidentale. E.N.
É stata recentemente ripubblicata la
CITTA’ DEL SOLE (Adelphi, Milano 1995) di Tommaso Campanella. La particolarità della nuova
edizione consiste in una introduzione e in una postfazione di Alberto
Savinio, che accosta all’utopia anche il trattato Questioni sull’ottima
repubblica. Il commento di Savinio,
che vede contrapposti il concetto
umanistico e quello teistico di utopia, muove diverse critiche all’opera
di Campanella. Savinio colloca il
modello letterario dell’utopia in primo luogo all’interno della cultura
greca, della quale Platone risulta
essere l’artefice, e, in secondo luogo, nella struttura della cultura umanistica contemporanea a Campanella. In base a questo contesto, l’utopia
diventa il luogo privilegiato in grado
di realizzare la felicità terrena voluta
e creata dall’uomo, inserito nella
dimensione temporale del presente.
In altre parole, secondo Savinio,
l’utopia trova spazio esclusivamente nelle interpretazioni laiche della
vita, tipiche della Grecia classica e
dell’Umanesimo, che ricercano la
felicità soltanto in ciò che è terreno.
In realtà, l’utopia di Campanella costituisce una dimensione teocratica
e verticistica in cui la proiezione
verso Dio costituisce il fine ultimo
dell’uomo. Per questo, ricorda Savi-
NOTIZIARIO
nio, la Città del Sole non costituisce
una vera e propria utopia, quanto un
modello di “architettura” elevata
verso l’alto, in cui il presupposto di
laicismo lascia spazio ad una visione teocratica dell’esistenza. In
questo modo il concetto classico di
utopia sarebbe sostituito da quello
religioso di escatologia in grado di
realizzare quell’ideale di sapere
universale ed infinito tipico, più
che dell’età umanistica, ancora
dell’età medievale. A.S.
Nel 1992, Marc Sautet fece sensazione creando il “Cabinet de consultations de philosophie” (Gabinetto
di consultazioni filosofiche) e animando ogni domenica nel Café des
Phares, alla Bastiglia, una “chiacchierata filosofica” che faceva uscire questa disciplina dalla sua cornice
passatista ed elitaria. In UN CAFE’
POUR SOCRATE (Un caffé per
Socrate, Laffont, Parigi 1995) Sautet fa il punto su questa sua pratica
anticonformista della filosofia, confuta la tesi della disfatta del pensiero
e, fedele al principio “Filosofare è
mettere in questione”, risale alle origini della filosofia per spiegare il
malessere attuale. Sautet sostiene di
aver riesumato la pratica della conversazione filosofica “nella città”, di
socratica memoria, per uscire dall’alternativa ugualmente dannosa in
cui, a suo avviso, si dibatte attualmente la disciplina: o restare nel
proprio isolamento, sicura di sé e
delle proprie tesi, ma priva di qualsiasi impatto sul corso degli eventi, o
avere raffinatezza e rapidità di reazione rispetto agli eventi, ma senza
alcuna profondità di pensiero. L’alternativa, secondo Sautet, è quella,
socratica, di far prendere coscienza ai cittadini della realtà che li
circonda.
Particolare attenzione, nelle proposte di riflessione di Sautet, è dedicata
all’espulsione del cittadino dal processo di produzione a causa dell’affermarsi della tecnica, che sostituisce all’uomo l’automatismo della
macchina. Sautet propone un parallelo storico tra l’affermarsi massicio
del lavoro degli schiavi nell’antica
Grecia e l’attuale dominio della macchina. In entrambi i casi, a suo avviso, l’acuirsi dei conflitti sociali si
lega al dediderio di condivisione, da
parte delle classi più deboli, dei vantaggi che tali circostanze produttive
garantiscono: la pratica filosofica,
intesa come discussione e messa a
disposizione dei saperi da parte di
chi li detiene, dovrebbe porsi quale
deterrente all’esplosione di una conflittualità nemmeno tanto latente.
D.F.
LEOPOLD KOHR, profeta della
“Kleinräumigkeit” (stretta spaziosità), deceduto lo scorso anno, viene ricordato da Gerhard Lehner
con la pubblicazione di una biografia a lui dedicata, Die Biographie
des Philosophen und Ökonomen Le-
opold Kohr (La biografia del filosofo ed economo Leopold Kohr, Deutsche Verlag, Vienna 1994). Nel corso della sua vita Kohr, titolare del
Premio Nobel alternativo nel 1983,
si è distinto per l’estrema versatilità
e l’ampia gamma dei suoi interessi
culturali. Nato a Salisburgo nel 1909
da famiglia di origine ebraica, è stato
reporter durante la guerra civile spagnola ed è poi emigrato in America
durante gli anni del nazismo, ottenendo vari incarichi presso le università statunitensi. La sua fama è
legata all’opera The break of the
nations (La rottura delle nazioni,
1958), con la quale si schiera pubblicamente contro le grandi formazioni
nazionali e dichiara la propria adesione al programma del movimeno
“Small is beautiful” (piccolo è bello), fondato in quegli anni da Fritz
Schumacher.
In precedenza, Kohr aveva già difeso la causa dell’Austria indipendente quando, negli anni del secondo
conflitto mondiale, tale progetto era
ben lungi dal risvegliare l’interesse
della maggioranza degli emigrati
austriaci. Il suo spirito anarchico ne
ha fatto uno dei principali attivisti
politici a favore delle minoranze culturalmente represse ed un sostenitore delle organizzazioni statali. L.R.
Geist der Neuzeit (Lo spirito della
modernita, 1935). Grazie all’iniziativa di Lars Clausen, Tönnies
ottiene ufficialmente il posto che
gli è dovuto, accanto ai maggiori
classici della sociologia, Weber e
Simmel, e viene finalmente riabilitato di fronte ad un mondo politico
e culturale che lo ha ripetutamente
rifiutato e sottovalutato, etichettandolo come “Sozialromantiker”
(socialromantico) e riconoscendo
nel suo pensiero una possibile fonte di destabilizzazione sociale. L.R.
E stato pubblicato il primo fascicolo di STUDI EUROPEI (Leo S.
Olschki Editore, Firenze 1994), in
cui si annuncia la costituzione del
Dipartimento di Studi di Storia del
Pensiero Europeo “Michele Federico Sciacca”, presso l’Università
degli Studi di Genova. L’obiettivo
principale di tale organismo è quello di favorire la ricerca come momento propedeutico ad una formazione umanistica, costantemente
minacciata dall’eccessivo tecnicismo della cultura dominante. I fascicoli che seguiranno riporteranno notizie riguardanti le attività e i
relativi risultati di ricerca del Dipartimento, che intende orientare
le proprie iniziative in una prospettiva europestica.
Nato sulla scia di iniziative analoghe sorte negli USA, Canada, Germania, Spagna e Gran Bretagna, il
GRUPPO ITALIANO DI STUDI
SARTREANI si propone la creazione di un “Archivio-Sartre” comprendente tutte le pubblicazioni italiane e le principali francesi riguardanti l’autore. É inoltre in fase
di preparazione un bollettino del
Gruppo, che nel frattempo ha organizzato, con il patrocinio dei Dipartimenti di Filosofia delle Università di Roma, Urbino e Firenze,
un convegno dal titolo: “Sartre
contro Sartre: questioni di metodo
e di vita”, svoltosi nei giorni 11-12
maggio 1995, presso il Castello di
Poppi (Arezzo).
Il SEMINARIO PERMANAENTE
DI TEORIA CRITICA, diretto da
Marina Calloni, Alessandro Ferrara e Stefano Petrucciani, è nato nel
1990 dall’esigenza di riunire regolarmente quegli scienziati sociali e
filosofi, che in Italia hanno in comune una medesima matrice filosofico-culturale, la Teoria critica
della società elaborata dalla Scuola di Francoforte, nella sua tradizione originaria (Th.W. Adorno,
M. Horkheimer, H. Marcuse), nuova (J. Habermas, A. Wellmer) e più
recente (A. Honneth, S. Benhabib,
e altri). A partire dal 1990 il Seminario permanente ha regolarmente
organizzato, presso il Centro Filosofico “Aloisianum” di Gallarate,
incontri annuali in collaborazione
con la rivista «Fenomenologia e
Società». Temi dei seminari sono
stati: “La Teoria Critica - Francoforte e oltre” (Gallarate, 31-10/111-1990); “Aspetti della sfera pratica: etica del discorso, teoria del
diritto, razionalità politica” (Gallarate, 1-2/11/1991); “La Teoria
Critica e i suoi critici” (Gallarate,
31-10/1-11-1992); “Cosa sognifica ‘Teoria Critica’?” (Gallarate, 2930/10/1993); “Tipi di argomentazione” (Gallarate, 29-30/10/1994).
Una prima serie di contrubuti presentati durante i suddetti seminari
è attualmente in corso di stampa
sulla rivista «Fenomenologia e
Società», in forma di sezione monografica con il titolo: “Etica della
comunicazione”.
Oltre all’organizzazione di incontri, convegni e presentazione di li-
Il mondo culturale tedesco si è finalmente deciso a riconoscere la rilevanza del pensiero di FERDINAND
TÖNNIES (1855-1936), sociologo
di fama internazionale sinora poco
apprezzato in Germania, benchè fondatore della stessa sociologia tedesca. Il presidente della società tedesca di sociologia, Lars Clausen, ha
infatti personalmente curato i testi
della prossima pubblicazione dell’opera omnia dell’autore, che comparirà presso la casa editrice De
Gruyter in un’edizione di ben 24
volumi. Gli scritti che verranno pubblicati, riordinati secondo un criterio
cronologico, appartengono quasi
esclusivamente alle opere già edite
da Tönnies nel corso della sua vita;
ad aprire la collana saranno due fra
le sue opere più famose, Die Kritik
der ÷ffentlichen Meinung (La critica dell’opinione pubblica, 1922) e
41
bri, dal novembre 1994 il Seminario permanente ha dato il via alla
pubblicazione semestrale del «Bollettino di Teoria critica», in forma
di supplemento alla rivista «Fenomenologia e Società» e curato dai
direttori del suddetto Seminario.
Per l’ottobre 1995 è prevista l’organizzazione di un seminario sul
tema: “Comunità, differenza, convivenza”, a cui parteciperanno anche studiosi stranieri.
E’ stata avviata la nuova serie della
rivista HERMENEUTICA edita
dall’Istituto di Scienze Religiose
“Italo Mancini” di Urbino. Voluto
da don Italo Mancini nel ’69, l’Istituto di Scienze Religiose definisce
con tratto unico le sue attività: trovare un nuovo terreno per la teologia e lo studio della religione. Sotto questo comune intento nasce
anche la nuova serie della rivista
«Hermeneutica», che da quest’anno riprende le pubblicazioni, rinnovata nella veste tipografica e
ampliata. Occasione per la presentazione del primo fascicolo del
1995 è stato il convegno sul tema:
“Dov’è Dio oggi?”, tenutosi il 18
febbraio 1995 nella sede urbinate
dell’Istituto e animato dagli interventi di Piergiorgio Grassi, Paolo
Debenedetti, Giorgio Ripanti e Settimio Cipriani. Sottolineando la
forte spinta all’ecumenismo che caratterizza la rivista, Grassi, direttore dell’Istituto, ha spiegato come
quest’approccio multidisciplinare
e multiconfessionale si richiami al
più generale orientamento dei corsi dell’Istituto. M.P.R.
La FONDAZIONE UGO SPIRITO,
che sinora si è presentata non tanto
come editore, quanto piuttosto
come istituzione di cultura, pur
avendo sempre personalmente
provveduto alla pubblicazione degli «Annali» e dei volumi prodotti
nel corso delle sue ricerche, ora si
appresta a dare alle sue attività il
sostegno editoriale di collane diverse. La «Biblioteca scientifica»,
che prende avvio nel 1994, pubblica due volumi di rilievo: Oltre
il trascendentale, di Armando
Rigobello e, - nell’anno delle
commemorazioni gentiliane - Immagine e costruzione del reale
nel pensiero di Giovanni Gentile, di Hervé A. Cavallera. Con
ciò la Fondazione conserva la
caratteristica di muoversi nella
coerenza di un disegno generale:
partecipare all’attualità culturale non vuol dire di necessità trascurare il pensiero italiano, in
cui una simile organizzazione di
cultura si muove senza allontanarsi dai suoi progetti istituzionali. Discutere argomenti di valore senza discriminare la filosofia italiana rispetto alle altre tradizioni è dunque possibile e la
Fondazione Ugo Spirito ne è una
testimonianza.
CONVEGNI E SEMINARI
Bertrand Russel e Ludwig Wittgenstein
Andrea Bonomi (in piedi) al convegno di Genova (12-15 ottobre 1994)
42
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Alle radici
della filosofia analitica
Si è tenuto a Genova, dal 12 al 15
ottobre 1994, il secondo convegno
nazionale della Società Italiana di
Filosofia Analitica (SIFA) dal titolo:
“ALLE RADICI DELLA FILOSOFIA ANALITICA”.
L’incontro ha rappresentato un’occasione importante per riunire assieme gli studiosi italiani legati alla
tradizione filosofica tipica del mondo angloamericano e oggi ampiamente presente in Europa (la SIFA è
la sezione italiana dell’ESAP, la European Society for Analitic Philosophy). Il successo dell’iniziativa è
testimonianza della vitalità di questo approccio e dello spirito attivo
che caratterizza una nuova generazione di studiosi.
Organizzato da Paolo Comanducci,
Carlo Penco e Marco Santambrogio, il
convegno genovese della Società Italiana di Filosofia Analitica ha riunito nella
medesima città la quasi totalità degli
studiosi italiani che si riconoscono, più o
meno dichiaratamente, nell’approccio
analitico. E così, malgrado tale impostazione venga spesso data per moribonda,
in Italia la crescita appare forte e di
grande interesse, come ha dimostrato il
pieno successo del convegno, stando al
ragguardevole numero dei relatori e delle
persone che hanno seguito ogni giorno i
lavori, articolati in tre sessioni parallele.
I vari interventi hanno rappresentato le
varie anime di cui si compone la filosofia analitica in Italia, e, di riflesso, la
SIFA: in particolare l’anima “pratica”
(etica e filosofia del diritto) e l’anima
“teorica” (filosofia del linguaggio, della
logica e della mente). Nell’ambito della
filosofia pratica, Eugenio Lecaldano ha
affrontato il contributo che un’approccio analitico offre al trattamento della
natura degli obblighi morali, scorgendo
nella ricerca di ragioni e motivazioni
individuali uno dei suoi approdi. Tecla
Mazzarese ha proposto un’analisi critica all’idea che la distinzione fra contesto
della scoperta e della giustificazione
possa essere “esportato” in ambito giu-
diziale. Bruno Celano ha parlato di convenzioni e consuetudini e Giuliano Pontara ha discusso finemente dei problemi
dell’utilitarismo, intervenendo anche
nella tavola rotonda finale.
Per la filosofia del linguaggio, Paolo
Casalegno ha argomentato contro le pretese naturalizzazioni delle nozioni di
verità e riferimento entro la filosofia
della mente e Andrea Bonomi ha indicato, al crocevia fra semantica, logica
temporale e metafisica, quali problemi
si presentano nel trattamento delle forme verbali progressive. Ernest Lepore
ha discusso invece la posizione di Quine
sulla impossibilità di una distinzione rigorosa tra enunciati analitici e sintetici,
sfidando quello che può essere considerato ormai un “dogma” della filosofia
analitica.
A parte le relazioni generali, il convegno
si è comunque presentato come un evento multiplo. In effetti, a dispetto del
titolo, molti interventi hanno oltrepassato l’ambito della ricostruzione e si sono
indirizzati verso aspetti più teoretici,
affrontando gli ambiti della filosofia
analitica nelle sue origini, della filosofia
della mente, della filosofia del linguaggio, della filosofia pratica, della filosofia della logica. Nell’ambito della sezione dedicata alle origini della filosofia
analitica, Aldo Gargani ha tracciato il
ruolo che le Lectures di Wittgenstein a
Cambridge, tra il 1930 e il 1932, possono avere nella ridefinizione del percorso
intellettuale di questo autore, troppo
spesso concepito nella distinzione netta
delle due “fasi”. Luigi Perissinotto ha
rivolto la propria attenzione verso un’affermazione che Wittgenstein fa nelle
Osservazioni sulla filosofia della psicologia, secondo cui nella metafisica la
distinzione fra ricerche concettuali e fattuali è confusa e non chiara. Pasquale
Frascolla ha toccato il problema del
seguire-una-regola, al centro delle riflessioni di Wittgenstein sulla matematica. Tra le altre relazioni che, pur non
esplicitamente inserite in questo gruppo, hanno tuttavia trattato autori fondamentali per lo sviluppo dell’approccio
analitico, vanno ricordate quelle di Luca
Parisoli su Reid; di Guido Tonella e
43
Nicla Vassallo su Frege; di Michele Di
Francesco su Russel; di Luciano Floridi su Collingwood e Ryle; di Maurizio
Mori su Sidgwick; di Paolo Leonardi,
Marina Sbisà, Marzio Vacatello e Claudio Nizzo su Moore, Grice e Austin.
L’altro grande tema con cui molti si sono
confrontati è la ricostruzione della storia
della filosofia analitica che Dummet ha
elaborato in Alle origini della filosofia
analitica, anche se c’è stato chi, come
Alberto Voltolini, che è risalito fino a
Hegel nel cercare alcuni temi analitici.
Claudia Casadio ha esposto il ruolo che
Husserl, in particolare nelle Ricerche
Logiche, ha avuto nella formazione della tradizione analitica, in modo specifico nel contesto dell’analisi formale delle
lingue naturali, della teoria delle categorie semantiche e nell’evoluzione della
grammatica categoriale. Mauro Barberis ha notato come la filosofia analitica
del diritto, nata e cresciuta attorno a
Norberto Bobbio e Uberto Scarpelli,
sia alla ricerca delle proprie radici fondative nelle analisi di Dummett. Franco
Restaino ha confrontato le ricostruzioni
classiche della filosofia analitica con
l’ipotesi, di recente avanzata, secondo
cui le analisi mentaliste stanno capovolgendo l’impostazione della svolta linguistica.
La filosofia della mente è stato un ambito a cui molti relatori hanno dedicato
attenzione. Adriano Palma ha affrontato lo statuto ontologico degli stati di
credenza e la relazione di sopravvenienza come è stata individuata da Davidson
e precisata da Kim. Di segno opposto
l’intervento di Roberta De Monticelli,
il cui bersaglio retorico era la definizione di intelligenza formulata da Turing,
offrendo un argomento a difesa di una
visione essenzialista del significato e
della coscienza con una marcata caratterizzazione antiriduzionista e anti naturalizzatrice. Ma se si guarda al grosso
delle relazioni, sembra proprio che i naturalisti, o meglio i “naturalizzatori”,
l’abbiano fatta da padroni, come testimoniamo gli interventi di Marcello
Frixione su “Semantica naturalizzata”;
di Simone Gozzano su “Sono possibili
pensieri non linguistici?”; di Sandro
CONVEGNI E SEMINARI
Nannini su “Connessionismo e teoria
della mente”; di Gloria Origgi su “Psicologia naturalizzata” e, forse, Sergio
Bernini su “Teorie della credenza” e
Matteo Negro su “Intenzionalità della
percezione”.
Una figura che ha attratto l’attenzione
degli studiosi è stata inoltre quella di
Donald Davidson, che più di altri si è
impegnato nell’analisi del linguaggio
come base da cui partire per le indagini
sul pensiero e l’azione. A Davidson, e
più in generale alle tesi che lo legano a
Quine, hanno dedicato i loro interventi
Andrea Bottani, Raffaella De Rosa e
Michele Marsonet. Problemi connessi
all’analisi del tempo hanno invece attraversato diverse sezioni, dalla filosofia
pratica, con Jean-Pierre Dupuy e Pasquale Pasquino, alla logica, con Gabriele Usberti e Enrico Martino, alla
filosofia della mente, con Mauro Dorato. Nella sezione logica infine, si sono
avute incursioni nel mondo “fuzzy”, da
parte di Maria Luisa Dalla Chiara, e
nella rappresentazione dello spazio, ad
opera di Roberto Casati e Achille Varzi.
Nella Tavola rotonda conclusiva, Evandro Agazzi, Gaetano Carcaterra, Rosaria
Egidi, Diego Marconi e Giuliano Pontara hanno tracciato il quadro entro cui si
colloca la filosofia analitica, che Agazzi
considera riconducibile in certa misura
ad Aristotele e al problema dell’essere
come problema dei modi di dire l’essere,
e al ruolo del filosofo analitico, che
Marconi considera una specie di artigiano, alle prese con problemi specifici
e soluzioni ben individuabili. S.G.
Al tempo di Poliziano
A cinquecento anni dalla morte di
Angelo Ambrogini detto il Poliziano, si è tenuto dal 18 al 21 luglio
1994 a Chianciano e a Montepulciano un convegno internazionale sull’opera e sull’epoca del pensatore
rinascimentale, dal titolo: “POLIZIANO
NEL SUO TEMPO ”. Ideazione e organizzazione dell’incontro è opera di Luisa Rotondi Secchi Tarugi, presidente dell’Istituto F. Petrarca di Milano,
che per l’occasione ha potuto avvalersi della collaborazione di un autorevole comitato promotore, composto da Emilio Bigi, Jean-Louis Charlet, Alessandro Ghisalberti, JeanClaude Margolin, Lionello Sozzi.
Con quest’ultima iniziativa, l’Istituto Francesco Petrarca di Milano giunge al suo
sesto convegno internazionale, confermando una certa linea di continuità con quella
tradizione di ricerca, promossa dall’insigne umanista Giovannangiola Secchi
Tarugi, quando l’Istituto si chiamava Cen-
tro di Studi sul Poliziano. Negli ultimi
anni, la figura di Poliziano ha perso il
carattere unilaterale di lirico sofisticato
e conoscitore raffinato della cultura antica, per acquistare i tratti complessi di
uno studioso completo, innovatore nella
pratica filologica, originale nell’approccio alla tradizione filosofica, arguto e
autonomo nella ripresa dei canoni classici, sapiente interprete e soprattutto critico della tradizione culturale. Nel montaggio delle citazioni, nella scelta dell’apax, nella sapiente cesellatura delle
ripetizioni, prende forma in Poliziano un
mondo nuovo che, legittimato dal riferimento all’antico, cerca vie diverse di
espressione.
Di Poliziano, poeta, filologo, pedagogo,
filosofo, il convegno di Chianciano e
Montepulciano ha saputo restituire il ritratto unitario, la compostezza delle linee, e al contempo le sfaccettature che lo
rendono uno studioso singolare. Molti
interventi al convegno hanno affrontato
l’opera poetica di Poliziano. In un intervento dedicato alla “memoria” poetica
del Poliziano, G. Velli ha voluto rintracciare in questo autore i prestiti e i rifacimenti dell’eredità classica, soffermandosi su alcuni esempi della mutatio. G.
Ponte ha invece proposto uno studio
minuzioso dei modi retorici di Poliziano, il quale controbilancia la “spinta al
maestoso e all’organico” con la nervositas, la rapidità elegante e calcolata di
una lingua tesa a cogliere il momentaneo. J. Irmscher ha sottolineato l’importanza di Poliziano come grecista,
mettendo alla prova una considerazione
di Willamowitz. Sulla poesia volgare si
sono pronunciati R. Bessi, H. Heintze,
che ha presentato un’analisi comprativista e filologica; mentre A. Musumeci si
è interessato alla poesia dei rispetti, generalmente trascurata dalla critica. P.
Viti si è invece concentrato sulle poesie
encomiastiche di Poliziano per Lorenzo
il Magnifico. Sulla poetica in generale
sono intervenuti P. Godman, L. Sozzi,
che ha affrontato la nozione di dignitas,
e infine E. Bigi, a cui gli studi polizianei
debbono molto. Un aspetto originale,
ossia il rapporto fra Pulci e Poliziano, è
stato sottolineato da M. Davie, che ha
preso in considerazione soprattutto i
Cantari XXV e XXVIII del Morgante.
Con uno sguardo ancora più lontano, G.
Marchianò ha tratteggiato un possibile
confronto fra le Stanze di Poliziano e
alcuni componimenti analoghi giapponesi. I. Rowland ha invece proposto un
confronto con la figura di “Fedra” Inghirami. Una nuova prospettiva è stata aperta
da F. Hallyn e P. Galand, che si sono
occupati dell’influenza di Poliziano nei
Paesi Bassi e nella Francia del XVI secolo, in particolare in Nicolas Berault. A.
Bettinzoli ha presentato una relazione
sulla brevitas e sulla composizione a
mosaico nella Manto.
44
Un altro centro di interesse negli interventi
al convegno sono stati i raffronti e gli
innesti fra la poetica di Poliziano e le altre
arti del suo tempo. L. Patetta si è soffermato sulle tensioni culturali nella cultura
architettonica della corte medicea; L. Buratti ha invece analizzato i documenti
catastali relativi alla casa di Poliziano a
Montepulciano. T. Howe ha sviluppato
un’ampia e dettagliata analisi del rapporto
fra la composizione retorica e la cultura
architettonica nell’ambiente del Poliziano; un interesse particolare ha suscitato la
Favola di Orfeo, di cui F. Doglio, Direttore del Centro Studi sul Teatro Medievale e
Rinascimentale di Roma, ha presentato in
video una rappresentazione da lui diretta,
mentre B. Guthmuller ha invece ricordato la difficoltà di classificare quest’opera
in rapporto alle produzioni teatrali cortigiane del tardo quattrocento. Un vivo dibattito ha suscitato la relazione di A. Lovato sui gusti musicali di Poliziano e sul
nesso tra poesia e canto; dal punto di vista
della metrica, Jean-Louis Charlet ha analizzato l’inno O Virgo prudentissima!, sottolineandone il carattere originale.
Su un fronte più filologico, alcuni interventi hanno voluto verificare le diverse
influenze nella scrittura e nella concezione poetica di Poliziano. H. Walter ha
seguito le vicissitudini di un codice pliniano, collazionato da Poliziano; P. Ariatta
si è interessato al Prolugus in Plauti Menaechmos nell’imitazione di Gaudenzio
Merula; U. Pizzani ha analizzato il rapporto tra Lucrezio e Poliziano; M. Koortojaan ha infine investigato il progresso
del metodo archeologico nella ripresa polizianea dell’antichità. Da un punto di vista sociale, K. Eisenbichler ha analizzato
il rapporto di Poliziano a Firenze con le
confraternite dei giovani.
Spunti di riflessione su alcuni nodi tematici del pensiero di Poliziano sono stati proposti da alcuni interventi di ordine più
filosofico. M. Mandosio ha analizzato
criticamente il progetto enciclopedico del
Panepistemon; S. Benassi si è concentrato
sul rapporto tra filosofia e letteratura in
Poliziano e sul ruolo della dialettica e
dell’universale concreto; F. Mariani Zini
si è soffermata sull’idea di genesi poetica
e di profezia al passato nell’opera di Poliziano. L’intervento di S. Camporeale ha
riproposto la discussione filosofica sull’origine del male che riunì Poliziano, Pico,
Ficino e Lorenzo. B. Lavillatte ha invece
proposto un’interpretazione personale della
sospensione poetica del tempo in Poliziano; M. Bertozzi ha rilevato come ne La
Lamia Poliziano rivendichi il diritto di
studiare la filosofia come grammaticus.
Ha chiuso i lavori del convegno G. Borri,
ricordando le scansioni della critica novecentesca del Poliziano. F.M.Z.
CONVEGNI E SEMINARI
Lo spazio, la distanza,
la scrittura
In occasione della presentazione dell’opera di Vincenzo Vitiello, ELOGIO
DELLO SPAZIO. ERMENEUTICA E TOPOLOGIA
(Bompiani, Milano 1994), il 20 ottobre 1994, presso la sala incontri dell’ISU di Milano, si è tenuto un dibattito dal titolo: “L’INTERPRETAZIONE FI LOSOFICA DELLO SPAZIO”, a cui hanno
partecipato, oltre all’autore, Pier
Aldo Rovatti e Carlo Sini. Il dibattito
è stato anche occasione per un confronto tra posizioni di pensiero convergenti sulla questione della scrittura nella sua dimensione “etica”
quale emerge da recenti pubblicazioni: ABITARE LA DISTANZA. PER UN ’ETICA DEL LINGUAGGIO (Feltrinelli, Milano
1994), di Pier Aldo Rovatti, e VARIAZIONI SUL FOGLIO- MONDO . PEIRCE, WITTGENSTEIN, LA SCRITTURA (Hestia, Cernusco Lombardone 1993), di Carlo
Sini e Rossella Fabbrichesi Leo.
Aprendo il dibattito, Carlo Sini ha sottolineato che il “consumarsi” del tempo storico, nel suo lasciar spazio a una prospettiva
topologica, non indica una quantomai problematica “fine della storia”, bensì l’emergere nella storia di un’alterità. Nell’opera
di Vincenzo Vitiello, Elogio dello spazio.
Ermeneutica e topologia, traspare, secondo Sini, il carattere sempre secondo del
filosofare, per cui ogni filosofia si riferisce
sempre a un’altra filosofia; ogni testo rinvia ad altri testi. La topologia si presenta,
dunque, come quel luogo di dislocazione di
luoghi, che già si danno come tali. In ciò si
rivela nondimeno il tentativo di “dire la
cosa”, pervenendo, se non a una definizione, a una “configurazione dell’origine”,
quale si verifica (con Platone, contro
Derrida) nella parola, il cui al di là non è né
il mondo, né la “cosa”, bensì il silenzio.
Quest’ultimo, ha osservato Sini, dà luogo
alla contra-dizione, all’inciampare del linguaggio in se stesso, nel suo tener fede, al
di qua di ogni sintesi, all’aporìa e, con ciò,
a un concetto di possibilità, pensata a partire da se stessa.
Rispondendo a Sini, Vitiello ha fatto notare che la parola della filosofia, distanziandosi dalle cose, riesce a vedere altro dalle
cose; nella parola filosofica non spira, come
sosteneva Eraclito, il logos. Nell’identificazione della nozione di possibilità con
quella di “etica” e con ciò che Sini definisce “pratica”, la topologia di Vitiello si
presenta come il tentativo di un’ “eidetica
della storicità”: gli eide, ovvero i topoi,
costituiscono i luoghi di compresenza degli snodi temporali. Ogni topos contiene in
sé tutti gli altri, ogni punto è “punto di
punti”; l’esistenza topologica comporta una
dilatazione del presente che, attraverso la
dinamica dell’eterno ritorno, rinuncia a
qualsivoglia istanza morale discriminante,
accogliendo nella “grande catena dell’es-
sere” tutte le manifestazioni dell’essere
medesimo. Per quanto autore di un progetto che non viene realizzato a causa del
prevalere di un’istanza etico-prescrittiva,
in cui permane la convinzione della necessità della scelta, Nietzsche appare, con
tutta evidenza, come la figura decisiva
nella concezione topologica di Vitiello.
Questi intende radicalizzare il progetto
nietzscheano, mostrando il carattere di luogo di determinati snodi temporali e gettando altresì uno sguardo, al contempo trasversale e polarizzante, sul decorso cronologico degli eventi, che eviti una direzionalità unica e univoca del senso e della
storia.
Di una tale prospettiva è parte rilevante
l’ermeneutica topologica di Wilhelm
Dilthey, dove la dimensione individuale
(sia essa espressa da esseri, enti o eventi
umani) risulta definita da una miriade di
“punti d’incrocio” (Kreuzungspunkte) e
dall’intersezione di dinamiche che li trascendono. La topologia costituisce dunque
la caratterizzazione essenziale di una prospettiva ermeneutica; lo sguardo topologico si presenta qui come sguardo “archeologico”, in quanto la comprensione della
storia esige che si abbia uno sguardo doppio, storico e “arcaico”, in grado di cogliere una doppia temporalità. Ricorrendo alla
metafora freudiana, secondo la quale la
psiche appare come una città dove le diverse epoche storiche, stratificate nel medesimo luogo, risultano compresenti, Vitiello caratterizza lo sguardo topologico
come l’unità del punto di vista “dinamico”
e di quello “topico”, in quanto la comprensione delle forze che si sviluppano nella
storia non può apparire disgiunta da quella
del loro “dislocarsi”, del loro interagire. Il
luogo di questo sguardo è, dal punto di
vista spaziale, un non luogo, un’ “inquietante u-topia”, come lo definisce Vitiello.
Questo “non luogo” è il linguaggio; «con
esso sorgono infatti tutte le altre determinazioni, e, “prima” di tutte, quelle spaziali». La parola è ciò che “dà luogo”, rinviando tra un “dentro” e un “fuori”, e
genera gli eventi nel loro carattere di “enti
presenti”.
Intervenendo nel dibattito, Pier Aldo
Rovatti ha rilevato come la prospettiva
topologica indicata da Vitiello comporti
una dilatazione del presente che non solo
fagocita il passato, ma intende prendere
altresì le distanze da qualunque discorso
teleologico, ovvero da qualunque aspettativa relativa al futuro. In tal senso, è necessario chiedersi, secondo Rovatti, quale valore (in senso lato) “politico” assuma la
topologia quando essa intende proporsi
come etica. La prospettiva topologica deve
chiarire la connessione fra ethos e topos, in
quanto essa rinvia a una dimensione originaria della spazialità, attingibile attraverso l’epoché fenomenologica.
In Abitare la distanza. Per un’etica del
linguaggio Rovatti esamina, attraverso un
percorso fenomenologico, il costituirsi del45
l’identità del soggetto nel suo rapporto con
l’alterità, nel tentativo di por capo a quel
ne-utrum, a quella terra di nessuno tra il
vedere e il non vedere, tra l’ascoltare e il
chiudersi all’ascolto, tra lo scrivere e il
rinunciare all’espressione, in cui la dicotomia trova, in senso pregnante, il proprio
luogo, ovvero la propria origine: un luogo
a cui si perviene attraverso l’epoché fenomenologica applicata al “vedere”, all’
“ascoltare”, allo “scrivere”. Nella questione del “vedere” fenomenologico, come
emerge in Heidegger nei celebri protocolli dei seminari di Zollikon, Rovatti coglie
l’emergere della spazialità nella categoria
di Lichtung, quello “slargo” che “si fa
luce”, ovvero “ha luogo”, nella sospensione della vis theorica. La percezione dell’essere dell’oggetto, sottolinea Rovatti,
rivela un movimento che non avviene in
una direzione univoca, ma si sviluppa, al
contrario, come duplice: dalla “cosa” al
soggetto e dal soggetto alla “cosa”. Nel
primo senso, la cosa si dà al di là delle sue
caratterizzazioni di oggetto, cioè di ente
“semplicemente presente”; nel secondo, il
movimento di comprensione, prendendo
le mosse dal soggetto, al contempo lo
costituisce: questo secondo movimento si
fa chiaro attraverso quello che Rovatti
definisce un “ascolto del lasciar vedere”.
Qui lo sguardo viene qualificato come
“ascolto”, perché sa cogliere ciò che allo
sguardo ordinario non appare, in quanto
non è “visibile”.
Secondo Carlo Sini e Rossella Fabbrichesi Leo, autori di Variazioni sul fogliomondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura,
il soggetto appare come un “evento”, come
il frutto dell’incrociarsi di pratiche che si
presentano, anzitutto, come linguistiche,
scritturali. Di queste pratiche, quella filosofica ne rappresenta una particolare; la
questione di che cosa si faccia “in pratica”
quando si filosofa costituisce, sottolinea
Sini, l’autentico filosofare. Si tratta di una
questione “di metodo”, intendendo con
ciò non la riflessione sui criteri di correttezza di una ricerca, bensì quella sulla
legittimità del riferirsi del pensiero alla
“correttezza” e alla “verità”, che viene in
tal modo a configurarsi come questione
logico-argomentativa. La fenomenologia,
osserva Sini, costituisce proprio l’ultima
tappa di quel percorso che, a partire da
Parmenide, ha inteso sostituire all’odos
iniziatico il methodos, all’interno del quale potesse farsi luce la verità. In tal senso,
il progetto di Sini intende proporsi come
una radicalizzazione, e insieme un rovesciamento, dell’itinerario che aveva condotto Husserl a scorgere la genesi della
scrittura filosofica nell’affermarsi, presso
gli antichi greci, del “pensiero puro”. La
“cosa stessa” verso la quale occorre andare, sostiene Sini, altro non è se non l’ente
“scritto”; la fenomenologia si ridefinisce
così come fenomenografia, dove la scrittura consiste, prima che in una descrizione, in un’ “iscrizione”. Il concetto di fo-
CONVEGNI E SEMINARI
glio-mondo, che Sini ricava da una terminologia coniata da Peirce, indica appunto
quel luogo etico nel quale la pratica della
scrittura si determina come finita, ovvero
“perfetta” (ogni iscrizione è il mondo, e il
mondo non è se non gesto di scrizione) e, in
quanto tale, intersoggettiva. Qui il soggetto
si definisce come ethos, come “soggetto
mondo”; ogni suo gesto, in quanto gesto di
scrittura, accade sul foglio-mondo, è il foglio-mondo. F.C.
Filosofia della storia
e teoria della storicità
Si è svolto a Karpacz (Polonia) dal 18 al
21 ottobre 1994, nell’ambito della collaborazione tra le università di Bochum (Germania) e Wroclaw (Polonia), un convegno sul tema: “PARADIGMAWECHSEL IM GESCHICHTSDENKEN DES 19.
JAHRHUNDERTS . DER ÜBERGANG VON DER
GESCHICHTSPHILOSOPHIE ZUR THEORIE DER
GESCHICHTLICHKEIT” (Mutamenti di para-
digma nel pensiero storico del XIX
secolo. Dalla filosofia della storia alla
teoria della storicità). Al centro di molti
interventi l’opera di due pensatori
come Wilhelm Dilthey e Paul Yorck
von Wartenburg, nei quali la riflessione filosofica sulla storia - nella consapevolezza della storicità della filosofia
- svolge un ruolo fondamentale.
I lavori del convegno di Karpacz sono stati
aperti da Karol Bal (Wroclaw), che nel
suo saluto ha presentato un programma di
ricerca, attualmente ancora in fase di preparazione, relativo alla tradizione filosofica della Slesia in generale e dell’università
di Wroclaw in particolare. La Slesia, una
regione che nel corso della sua storia ha
visto l’incontro e l’incrocio delle culture
di lingua tedesca e polacca, ha anche dato
i natali a (ed è stata luogo di attività di)
numerosi pensatori, tra cui, come ha ricordato Bal, Jakob Böhme, Angelus Silesius,
Christian Garve, Friedrich Schleiermacher,
Julius Braniß, Otto Liebmann, Wilhelm
Dilthey, Paul Yorck von Wartenburg, Hermann Cohen, Ernst Cassirer, Hans-Georg
Gadamer.
Il compito di rappresentare al convegno
l’Università di Bochum è toccato a Gunter Scholtz, che ha messo in luce il valore
dello scambio e del confronto tra le diverse
culture in un periodo che vede un massiccio ritorno di particolarismi (e conseguentemente di conflitti) di carattere etnico e
religioso. L’intervento di Scholtz, dedicato al tema “Filosofia della storia e storia
della filosofia: Braniß e Dilthey” è quello
che si è forse mantenuto più fedele al tema
del convegno, che proponeva ai partecipanti di analizzare e circoscrivere un “mutamento di paradigma” nell’approccio filosofico alla storia tra Otto e Novecento:
dalle filosofie della storia di matrice idealistica (Hegel, Fichte, Schelling) alle teorie della storia e della cultura sviluppatesi
nell’ambito delle diverse correnti dello
storicismo, del neo-kantismo, dell’ermeneutica, della fenomenologia (da Dilthey a
Simmel, da Windelband e Rickert a M.
Weber, da Yorck a Heidegger).
La maggior parte degli intervenuti si è
invece concentrata sulla trattazione dei
problemi della storia e della storicità, senza mettere esplicitamente in luce un “mutamento di paradigma”. Gudrun KühneBertram (Bochum) ha analizzato le categorie di Urteil (giudizio) e Urteilung (partizione originaria) nella teoria yorckiana
.
della conoscenza storica; Josef Kosian
(Wroclaw) ha preso in considerazione la
categoria di “ocularità” nel pensiero di
Yorck; Matthias Kroß (Berlino) e Zbigniew Kuderowicz (Varsavia) hanno dedicato i loro interventi rispettivamente all’etica e alla dottrina della intuizione del
mondo in Dilthey. Altri relatori hanno
scelto la prospettiva di un confronto tra
pensatori. Qui i nomi intorno a cui si sono
mossi la maggior parte degli interventi
sono stati quelli di Dilthey, Yorck e
Heidegger. Michael Benedikt (Vienna) ha
svolto considerazioni sulla “discussione di
Heidegger con Dilthey e Yorck von Wartenburg”; Maria Kostyszak (Wroclaw) ha
analizzato il “commento” di Heidegger in
Essere e tempo alla filosofia della storia di
Yorck von Wartenburg; Massimo Mezzanzanica (Torino-Bochum) ha confrontato il concetto di “tipo” in Dilthey e in
Yorck. Al confronto tra pensatori, a partire
dal problema della storia, sono stati dedicati anche gli interventi di Leszek Koczanowicz (Wroclaw), su W. Dilthey e G. H.
Mead, e di Jerzy Krakowski (Wroclaw),
su Goethe e Yorck.
Di più ampia prospettiva storica e di
maggiore impegno teorico gli interventi
di Karl Acham (Graz), su “Mutamento
di struttura nelle scienze dello spirito
sotto l’influsso dello storicismo e del
positivismo”, e di Kurt Meist (Bochum),
su “Storicità contro storicismo. Sul programma dello storicismo nella critica di
Haym a Hegel”. Una prospettiva diversa
da tutti gli altri interventi presentati al
convegno, sia per l’impostazione di fondo che per gli interessi del relatore, è
stata quella presentata da Werner Strube (Bochum), uno studioso che applica
all’estetica e ai suoi problemi il metodo
dell’analisi del linguaggio, nell’intervento “Osservazioni analitiche sulla storicità del comprendere”. Il contributo di
Andrzej Bronk e Stanislaw Majdanski (Lublino), dedicato a “Storicità e
classicità” è stato per molti l’occasione
per fare conoscenza con le posizioni della
“scuola di Lublino”, che tenta di sviluppare una posizione di carattere razionalistico e realistico, riferendosi all’opera
di Gilson e Marcel, al tomismo e ad
Aristotele. M.M.
46
Il governo d’eccezione
Dal 26 al 30 settembre, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Pasquale Pasquino, dell’École Polytechnique (CNRS) di Parigi, ha tenuto un
seminario dal titolo “TEORIA POLITICA DEL
GOVERNO D’ECCEZIONE”, prendendo in
esame il concetto di dittatura in C.
Schmitt e nella Roma repubblicana, la
prerogativa regia nel governo inglese
e in J. Locke, la dittatura in Machiavelli
ed infine l’art. 48 della Costituzione
della Repubblica di Weimar.
Sono due, secondo Pasquale Pasquino, i
requisiti del governo d’eccezione: pluralità di organi all’interno di uno Stato; disparità tra “norma” ed “eccezione”.
La differenza tra “norma” ed “eccezione”
non si ritrova nel pensiero politico di Carl
Schmitt, per il quale, come emerge in
Politische Theologie (1922), lo Stato non
coincide con l’ordinamento giuridico, la
sovranità non si risolve nella norma stessa,
perché se così fosse, nel momento in cui si
verificasse una situazione non prevista dalla legge, ossia venisse meno la norma
ordinaria, la sovranità sparirebbe. Per
Schmitt questo non è accettabile, perché è
proprio nella situazione d’emergenza che
si manifesta la natura della sovranità e
l’essenza del diritto. Infatti, è sovrano colui che ha la prerogativa di decidere sullo
stato d’eccezione.
Nella Roma repubblicana, ha invece fatto
notare Pasquino, il governo con poteri eccezionali, ossia la dittatura, era nominato
dai consoli soltanto se il senato decideva lo
stato d’eccezione; per di più il dictator non
aveva la facoltà di modificare la costituzione. Nella Roma repubblicana, dunque, si
realizzavano le due condizioni che permettono il governo d’eccezione, ovvero una
pluralità di organi e una disparità tra norma
ed eccezione.
L’esame che Pasquino ha compiuto del
pensiero politico di Locke si è soffermato
sull’analisi della prerogativa del sovrano
all’interno della sua teoria politica. Secondo Pasquino anche in Locke è presente il
concetto di prerogativa regia, vale a dire il
privilegio che il re, in Inghilterra, aveva
sulla persona o sulla legge, e che consisteva
nel provvedere al bene pubblico in momenti
di grande incertezza, che non potevano essere governati con leggi precise e ben definite.
Nei capitoli 33-34 del primo libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio,
Nicolò Machiavelli, ha osservato Pasquino, pone la necessità di un governo d’eccezione come risultato della eccezionalità del
momento. Secondo Machiavelli era necessario, come avevano fatto i Romani, costituzionalizzare un potere straordinario al
fine di preservare in momenti particolarmente difficili l’ordinamento repubblicano.
Nell’articolo 48 della Costituzione della
Repubblica di Weimar, la necessità di pervenire a un forte equilibrio tra il parlamento
CONVEGNI E SEMINARI
Diego Velásquez, Las Lanzas (La resa di Breda, 1634-35, part.)
e il presidente, condusse ad uno scontro tra
organi dello Stato e alla fuoriuscita dal
quadro costituzionale. La Costituzione di
Weimar, secondo Pasquino, utilizzò un
meccanismo di potere e di contropotere
molto pericoloso, contrariamente al modello romano, in cui dictator non aveva
nessuna controparte, mentre il Presidente
della Repubblica di Weimar era sempre
sotto il contropotere del parlamento che
poteva abrogare le misure previste dal comma 1 e 2 dell’articolo 48, le quali stabilivano che il presidente poteva costringere i
Länder con la forza armata, quando non
realizzavano gli obblighi, ed aveva la facoltà di prendere alcune misure eccezionali
e di sospendere alcuni articoli della Costituzione anche facendo ricorso alla forza
armata. La debolezza della Repubblica di
Weimar sarebbe da imputare appunto al
meccanismo costituzionale che, creando
una situazione di equilibrio tra i diversi
organi dello Stato, condusse inevitabilmente
al disfacimento. A.M.P.
Kant politico
Promossa dalla Società Italiana di
Studi Kantiani, il 30 settembre 1994
si è svolta a Pisa, presso la Scuola
Normale Superiore, una giornata di
studi sul tema “PACE E STORIA IN KANT”,
dedicata ad una rilettura dello scritto kantiano del 1795, ‘Per la pace
perpetua’, nel momento in cui il
mondo, avendo davanti agli occhi
una miriade di conflitti bellici ancora del tutto irrisolti, si trova a celebrare, nel 1995, il cinquantenario
della fondazione dell’ONU, che accoglieva nel suo statuto del 1948 la
maggior parte dei punti previsti dal
progetto kantiano.
Intervenendo su “Diritto cosmopolitico
nel progetto kantiano per la pace perpetua con particolare riferimento al secondo articolo definitivo”, Giuliano Marini ha ricostruito le linee fondamentali di
47
quello “stato federale”, indicato da Kant
come condizione per la realizzazione
«di un istituendo diritto pubblico dei
popoli, per decidere le loro controversie
in modo civile, come a dire attraverso un
processo, non in modo barbarico (al modo
dei selvaggi), cioè attraverso la guerra.»
Marini ha insistito sul fatto che Kant ci
permette di pensare la possibilità di una
“repubblica mondiale”, nella quale la
sovranità dei singoli stati sia da intendersi come un limite al diritto pubblico.
Con Kant, si potrebbe pertanto parlare di
un passaggio dalla sovranità statale alla
sovranità mondiale; nella visione kantiana
della Weltgeschichte (storia del mondo)
l’antagonismo tra Stati continuerebbe a
svolgere un ruolo importante.
Polemizzando con Marini, nella sua relazione, “Pace perpetua e pluralità degli
stati in Kant”, Massimo Mori ha obiettato, a proposito del diritto pubblico interno, che la forma di stato federale indicata da Kant, in quanto forma di
CONVEGNI E SEMINARI
organizzazione giuridica non costituzionale, basata sull’analogia tra individuo statale e individuo privato, risulta essere in contraddizione con l’impianto formale del diritto pubblico elaborato da Kant nella Dottrina del diritto. Considerando poi i fondamenti
storico-antropologici della discordia,
Mori ha ricordato che per Kant è sí
vero che l’uomo vuole la concordia,
ma è altrettanto vero che la natura
vuole la discordia e all’interno della
società civile il male della discordia si
converte solo parzialmente in armonia, sedimentandosi invece nella diseguaglianza sociale. Poste queste premesse, il rapporto tra Storia e moralità può svilupparsi solo nelle tappe della
cultura, della civilizzazione e della
moralità. Mori ha infine mostrato come
quello della “pace perpetua” sia un
progetto al di qua dell’utopia. A differenza di Marini, Mori ha fatto leva sul
significato trascendentale di “pace
perpetua” in quanto idea regolativa
che, pur mirando sempre all’idea finale di una Weltrepublik, tien fermo all’elemento ineliminabile dell’indipendenza tra nazioni, trovando un equilibrio tra il realismo del progetto e l’Idealismo del fine.
La difficile collocazione delle poche
pagine lasciate da Kant su problemi
specificamente storici è stata messa in
luce da Claudio Cesa nella sua relazione su “Quale storia per la pace perpetua”. Tradizionalmente, gli interpreti kantiani hanno legato la storia al
diritto e alla politica, ma un nesso ben
più preciso pare esservi tra la storia e
l’antropologia. Infatti, la famosa ultima questione «Che cos’è l’uomo?»,
che leggiamo nel 4 dell’Introduzione
alla Jäsche-Logik, riguarda allo stesso
titolo l’antropologia e la storia. Poiché, infatti, l’antropologia trova collocazione nell’ambito teleologico - e
più precisamente in quelli della teleologia naturale e della teleologia morale - essa è legata a doppio filo alla
storia, visto che l’ambito proprio della
storia è, appunto, quello della teleologia morale. A proposito del primo supplemento al terzo articolo definitivo
di Per la pace perpetua, la celebre
“garanzia della pace perpetua”, Cesa
ha ribadito come il cammino verso la
pace non sia assimilabile ad una necessità fisica, ma sia veramente avviamento alla moralità.
Gli atti del convegno usciranno, a cura
di Silvestro Marcucci, presso l’editore Giardini di Pisa. R.Po.
Rappresentazioni sociali
e identità
Si è svolta in due parti, dal 15 al 21
settembre 1994, la IV Summer School della Fondazione Collegio San
Carlo di Modena, dedicata a “RAP PRESENTAZIONI SOCIALI E IDENTITÀ NELLA
TEORIA SOCIALE E PSICO- SOCIALE ”. La pri-
ma parte, tenuta da Serge Moscovici, ha seguito il percorso storico che
porta dalla nozione di “rappresentazioni collettive” a quella di “rappresentazioni sociali”; nella seconda parte, Alessandro Pizzorno ha
messo a fuoco la relazione tra “cerchie di riconoscimento” e “definizione del sé”. In entrambi i casi, si è
trattato di problemi di confine, che
sollecitano un maggior dialogo tra
filosofia e scienze sociali.
Il percorso storico che ha portato dalla
scienza delle rappresentazioni collettive
alla scienza delle rappresentazioni sociali
è stato il tema principale delle lezioni
tenute da Serge Moscovici alla Fondazione Collegio San Carlo. Una scienza delle
rappresentazioni collettive viene alla luce
per la prima volta con il sociologo francese
Emile Durkheim. In primo luogo, queste
rappresentazioni vengono separate dalle
rappresentazioni individuali; in secondo
luogo vengono condotte ad assumere come
substrato la società nella sua totalità. Le
rappresentazioni collettive designano qui
principalmente una vasta classe di forme
mentali (scienze, religioni, miti, spazi, tempi), opinioni e saperi senza distinzione,
che posseggono una logica sui generis,
capace di imporsi dall’esterno ad ogni
individuo.
Il lavoro dell’antropologo Levy-Bruhl,
ha mostrato Moscovici, costituisce una
tappa ulteriore lungo questo cammino.
Le rappresentazioni vengono ora studiate come sistemi di credenze e di idee
universalmente presenti nelle diverse
società e sottoponibili ad una comparazione. Dalla differenza tra individuale e
collettivo si passa alla differenza tra
meccanismi logici e psicologici, dove
l’attenzione cade sul rapporto tra una
società e le sue rappresentazioni. Ciò
che ora viene sottolineato è il passaggio
da una mentalità primitiva, basata sulla
logica della partecipazione, ad una civilizzata, basata sulla logica causale e della non-contraddizione. Con ciò, ha fatto
notare Moscovici, si entra in un’altra
fase di studio delle rappresentazioni: ciò
che veramente conta non è più la loro
collettività, bensì la loro dinamica e strutturazione. Protagonisti di questa fase
sono Freud, Piaget e Vigotsky. Per Freud
e Piaget si tratta di comprendere i processi comunicativi che rendono possibile l’emergere delle rappresentazioni stesse. Vigotsky permette invece di spiegare che in tali fenomeni non si tratta sol48
tanto di evoluzione continua, ma anche
di evoluzione discontinua, caratterizzata da grandi rotture, da cesure storiche.
Da questo momento si sviluppa una nuova scienza, una sorta di antropologia
della società moderna; il passaggio avviene quando allo studio delle rappresentazioni collettive viene sostituito
quello delle rappresentazioni sociali.
In questo cambiamento di prospettiva
non sono più i substrati (ad esempio
l’individuo o la collettività) delle rappresentazioni ad essere analizzati, bensì
le interazioni tra individui e gruppi, guidati dalla comunicazione. Alcuni momenti specifici di questa trasformazione
sono stati sottolineati da Moscovici come
indicatori della nuova scienza: il fenomeno del senso comune, che diventa
post-scientifico; il problema dell’errore
e dell’irrazionalità; la prospettiva non
cognitivistica della rappresentazione. Per
quanto riguarda il senso comune, esso
assume da un lato caratteristiche di grande innovatività, di cambiamento, di continua diffusione e trasformazione; dall’altro incorpora costantemente saperi
scientifici, settoriali, che diventano parte integrante del modo in cui oggi viviamo nella quotidianità. In rapporto al problema dell’irrazionalità e dell’errore
Moscovici ha rilevato innanzitutto che
non può esservi una razionalità senza
società: Durkheim ha per primo dimostrato che le culture sono in se stesse
razionali, poiché consistono di criteri e
categorie stabili ed intersoggettive capaci di stabilire modelli propri di razionalità. In secondo luogo una teoria evoluzionistica dell’errore non riesce a spiegare la persistenza dello stesso. Secondo
Moscovici, bisogna più correttamente
osservare la cultura come un insieme
olistico di credenze, sulle quali individualmente si calcolano correttezza ed
errore, razionalità e irrazionalità. Questa riflessione sull’errore conduce ora al
problema della natura della conoscenza.
Le teorie cognitiviste intendono la cognizione come mero trattamento dell’informazione, come processualità solipsistica.
In realtà, ha osservato Moscovici, tutta la
cognizione è prodotta collettivamente e
l’influenza reciproca tra gli attori sociali è
parte integrante del processo.
Attraverso queste riflessioni Moscovici ha
fornito un’immagine estremamente compatta della psicologia sociale. Le rappresentazioni sociali devono essere studiate
con metodologie e con tecniche d’analisi
proprie come un fenomeno emergente della comunicazione e dello scambio tra individui e gruppi, che costantemente rielaborano credenze e immagini già presenti
nella società. Il processo di trasformazione crea nuovi tipi di rappresentazioni, devianti dalla tradizione, che innervano il
tessuto intersoggettivo; su questa base è
possibile comprendere anche la logica dell’agire collettivo.
CONVEGNI E SEMINARI
Ai concetti di azione collettiva e, più in
generale, di azione organizzata, legittimazione e consenso in una società pluralista,
da tempo Alessandro Pizzorno dedica i
propri interessi di ricerca. Nelle sue lezioni
alla Fondazione Collegio San Carlo su identità del sé e riconoscimento, Pizzorno ha
esordito osservando che le capacità di distinguere il proprio sé da altri sé, di immaginarlo coerente nel tempo, di provare soddisfazione per certi suoi stati sono le strategie attraverso le quali ciascun individuo
definisce se stesso e dà senso a quanto
accade intorno a lui. Affinché ciò avvenga,
ha osservato Pizzorno, deve darsi un contesto di altri soggetti, che fungono da “cerchie di riconoscimento”, all’interno delle
quali ogni individuo è classificato, identificato e valorizzato e, come partecipante
attivo delle stesse, ricava una definizione
identificante di sé. Le cerchie di riconoscimento costituiscono una “necessità logica” per le scelte: in loro assenza, non si
potrebbero immaginare le conseguenze
dell’agire.
Definirsi è un’attività intima e sottile; è un
riposizionarsi continuamente secondo/contro la definizione che di noi stessi ci perviene dal contesto, in una negoziazione tra
obbedienza e disobbedienza ad esso. In tale
dialettica, ha fatto notare Pizzorno, si forma l’identità dell’individuo, la quale funziona a sua volta da cerchia di riferimento.
L’identità del soggetto si configura allora
come uno stato di equilibrio tra riconoscimenti attuali e futuri, individuali e collettivi. Come “stato di equilibrio” fra cerchie di
riconoscimento, il concetto di identità getta luce sulle modalità di connessione tra
realtà individuali e struttura di relazioni
sociali, indicando al tempo stesso ciò che,
nella realtà della molteplicità e del mutamento dei ruoli di un individuo, non si
esaurisce in alcuno di essi. Per tal via, il
problema dell’identità si ridefinisce come
il problema della “durata” di una realtà
individuale nella memoria e nei progetti
tanto di un individuo quanto della società
in cui lo stesso individuo si muove.
L’attuale ricerca sul problema dell’identità
individuale, ha aggiunto Pizzorno, è rivolta
all’analisi del significato di strategie di sé,
quali il controllo di sé, l’inganno di sé, la
stima e il rispetto di sé: sono queste alcune
delle strategie di “definizione” (e “presentazione”) di un soggetto che si confronta
con un mondo di cerchie di riconoscimento. Per quanto riguarda il controllo di sé,
Pizzorno ha sollevato l’esempio in cui gli
uomini, per darsi l’identità collettiva di
nazione, statuiscono una costituzione. Tale
statuizione è riconosciuta e condivisa, e
costituisce un patto. La connessione precommitment/patto, come connessione tra
una dimensione temporale e una strutturale, getta luce sulla formazione dell’identità
individuale. L’organizzazione di sé, ha osservato Pizzorno, può infatti essere intesa
come risultante dall’intreccio di una dimensione verticale (temporale) con una
dimensione orizzontale (strutturale) dell’identità, dove l’organizzazione di un sé
stabile (identità forte) deriverebbe dal proponimento di scopi a lungo termine, la cui
probabilità di raggiungimento dipende però
dalla struttura sociale.
Per quanto riguarda l’inganno di sé, Pizzorno ha riportato l’esempio di una madre
che rifiuta, di fronte alla sentenza del tribunale, di accettare che suo figlio sia un
criminale. La madre “si inganna”; in altri
termini, introduce uno schema di spiegazione alternativo, strategicamente selezionato al fine di conservare la distinzione, la
continuità e la stima del proprio sé. La
stima di sé, intesa come capacità di provare
soddisfazione per certi stati del sé, individua, secondo Pizzorno, un tipo di rapporto
con le cerchie di riconoscimento diverso da
quello individuato dal rispetto di sé. La
prima ha a che fare con i caratteri del
soggetto che sono approvati da altri, e che
il soggetto stesso finisce per selezionare
positivamente nella valutazione di sé; la
seconda si attua invece quando un attore
agisce unicamente sulla base del riconoscimento di sé, assumendo, cioè, solo se stesso a cerchia di riferimento.
Intorno a queste considerazioni, ha osservato in conclusione Pizzorno, la riflessione
è tutt’ora in corso, nel tentativo di comprendere i modi in cui gli attori sociali si
definiscono e sulla base dei quali scelgono
tra corsi d’azione alternativi. P.B./R.P.
Bayle: allegria polemica
e piacere logico
Animato dal proposito di partecipare
al pubblico la ‘allégresse polémique’ e
il ‘plasir logique’ che caratterizza la
filosofia di Bayle, Pierre Rétat ha tenuto, dal 17 al 21 ottobre 1994, presso
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario dedicato a
“PIERRE BAYLE”.
Autore di un importante e tutt’ora insuperato studio dal titolo Le Dictionnaire de
Bayle et la lutte philosophique au XVIIIme
siècle, Pierre Rétat ha aperto il suo seminario tratteggiando le fasi principali della
biografia di Pierre Bayle. Nell’affrontare
il pensiero di Bayle, Rétat ha richiamato la
concezione bayliana della tolleranza, fondata sulla radicale teorizzazione dei diritti
della coscienza individuale. Ogni individuo va giudicato in base a ciò che egli
ritiene essere verità religiosa, e la società
deve poter accogliere tutte le opzioni individuali scelte con lealtà, e motivate da
un’autentica ricerca della verità, sia che
questa ricerca corrisponda alle prescrizioni
della legge divina, sia che, al contrario, le
abbia respinte, sia che, per motivi di vario
ordine, non le abbia prese in esame.
Ma come si estrinseca il principio della
49
libertà di coscienza, ha osservato Rétat, all’interno della filosofia politica di Bayle?. Di
fatto, in Bayle, all’ampia libertà accordata
all’individuo nella sfera intellettuale ed etica, si accompagna la difesa dell’assolutismo
in ambito politico. Al rifiuto della sovranità
popolare, ha fatto notare Rétat, Bayle accompagna la decisa condanna della rivoluzione inglese del 1688, e a coloro che considerano la detronizzazione del sovrano inglese a opera di Guglielmo III d’Orange come
conseguenza della tradizione protestante,
Bayle oppone il principio dell’obbedienza
passiva che Moïse Amyraut aveva formulato un quarantennio prima.
La difesa bayliana dell’assolutismo monarchico è da ricercarsi, secondo Rétat, nel
profondo pessimismo di Bayle, per il quale
l’uomo non è in grado di autodeterminarsi,
in quanto incapace di scegliere il bene. Ciò
che consente invece di rivedere, o quantomeno di mitigare, la lettura del suo pensiero in chiave radicalmente scettica, ha rilevato Rétat, è la sua concezione della storia,
o, più propriamente, il suo metodo storicocritico. Con il Dictionnaire Bayle vuole
correggere false date, false notizie, liberando un nucleo di verità storica dalla sovrastruttura costruita dall’errore. A questo proposito, Rétat ha richiamato le pagine di
Cassirer su Bayle contenute nella Filosofia
dell’Illuminismo. Cassirer rileva come
Byale non rivolga il dubbio contro il fatto
storico, bensì se ne serva come mezzo per
scoprire la verità storica stessa; e pur riconoscendo che i fatti storici non hanno la
stessa certezza dei dati matematici, ammette che essi siano suscettibili di continuo
perfezionamento.
Dal punto di vista di una interpretazione
fideista, ha osservato Rétat, Bayle appare
qui mosso da una profonda rivendicazione
di carattere morale. Ne è una conferma la
caratterizzazione di “Simonides”, nel Dictionaire, come incapace di formulare una
definizione dell’essenza divina. Nel corso
dei suoi prolungati indugi, scrive Bayle,
Simonide dovette confrontarsi con una serie
di obiezioni: il rapporto di Dio con l’estensione, con la libertà, che implicavano una
soluzione al problema del male.
Nella discussione che oppone un Bayle
fideista, profondamente permeato dalle teologia del peccato, a un Bayle “ateo virtuoso”, ha osservato Rétat, ha un suo peso la
fortuna che la filosofia bayliana ha trovato
nel corso del XVIII secolo. Precursore di
Voltaire, come lo considera René Pomeau,
Bayle è ugualmente presente nell’Encyclopédie, soprattutto nelle voci redatte
dal pastore ugonotto Louis de Jaucourt. A
fianco dei rapporti che legano la Francia
pre-rivoluzionaria a Bayle, Rétat ha messo
in luce molte altre articolazioni che coinvolgono il suo pensiero: le reazioni all’interno del “Réfuge” (Le Clerc, Jaquelot, La
Placette, Bernard), come anche il debito
nei confronti di Bayle da parte di Shaftesbury e Collins, nonché della Teodicea di
Leibniz. M.S.
CONVEGNI E SEMINARI
Wilhelm von Humboldt
Von Humboldt a Tegel
Nell’ambito delle Karl Jaspers Vorlesungen zu Fragen der Zeit (Oldenburg),
con il convegno “WILHELRN VON HUMB O LDTS H ER MENEN TIK ” dedicato a
Wilhelm von Humboldt, si è concluso
il ciclo d’incontri, iniziato quattro anni
or sono con l’intento d’instaurare un
autentico scambio tra discipline e culture diverse. Humboldt, più di ogni
altro, ha dimostrato infatti un’infaticabile passione nell’ascoltare e comprendere l’ ‘humanitas’ nella diversità
delle sue culture, delle sue lingue, delle sue infinite realizzazioni. Il convegno, tenutosi dal 1 al 3 settembre 1994
a Berlino, ha coronato un dialogo ininterrotto con studiosi di grande rilievo,
come Raimundo Panikkar, Carl F. von
Weizsäcker, Hans G. Gadamer, Ivan
Illich, J. P. S. Uberoi, Humberto Maturana, Marcel Tshiamalenga Ntumba.
Forse, le statue silenziose e le sobrie linee del
Castello di Tegel, in cui Wilhelm von Humboldt si ritirò nel 1822, già da sole suscitano
ammirazione per un pensiero che seppe coniugare l’esatta misura del classico con il
desiderio di conoscere e di comprendere ciò
che classico non è e non può essere: l’alterità
pura delle lingue e delle culture non europee,
delle civiltà che non furono né greche, né
tedesche. È con questo spirito che ha avuto
luogo, nella biblioteca del Castello, grazie
all’ospitalità dei discendenti, Ulrich e Christine von Heinz, un convegno dedicato all’opera di Humboldt. Rudolf Prinz zur Lippe, direttore delle Karl Jaspers Vorlesungen,
e il suo assistente Rüdiger Schmidt, hanno
riunito a Tegel i migliori interpreti di Humboldt: Tilman Borsche, Donatella Di Cesare,
Helmut Gipper, Clemens Menze, Jürgen Trabant; ma anche alcuni filosofi e linguisti
attenti alla riflessione sull’ermeneutica, tanto dello spirito, come Denis Thouard, Heinz
Wismann, quanto della natura, come Wolfgang Neuser, Reinhard Schulz; e, infine,
antropologi, come Jorn Beermann, Leopold
J. Bonny Duala M’bedy.
Tutti gli interventi sono stati concordi nel
riconoscere il carattere dialogico del pensiero di Humboldt e della sua dimensione ermeneutica, spesso trascurata dagli storici dell’interpretazione, se si eccettua Joachim
Wach. Certo, Humboldt, nel redigere grammatiche, generalmente sconosciute, non elaborò mai un progetto sistematico di ermeneutica; tuttavia il comprendere fu per lui
sempre connesso all’atto del parlare, singolarmente individuato, così che l’attività riflessiva della parola e il metodo per investigarla risultano coestensivi.
Joseph Simon (Bonn) ha messo in rapporto
la filosofia del linguaggio di Humboldt con
l’ermeneutica di Gadamer, criticando, di
quest’ultimo, il primato “realista” della cosa
(ossia della tradizione) a scapito della dimensione dell’alterità e del carattere interlocutorio del dialogo. All’abbandono, da parte
50
di Gadamer, dell’esigenza critica kantiana
(ancora sensibile in Dilthey) e alla conseguente “ri-ontologizzazione”, Simon ha contrapposto l’attitudine ermeneutica di Humboldt, contraddisitinta dalla rigorosa assunzione dell’altro e della possibile non-comprensione fra gli interlocutori: per Humboldt, infatti, comprendersi, non è intendersi
sulla cosa, bensì interpretare in modo perspicuo singoli discorsi. Spicca così l’originalità
delle proposizioni teoriche di Humboldt rispetto alla linea dominante della storiografia
dell’ermeneutica, da Schleiermacher a
Gadamer, anche se questo non esclude, come
ha fatto notare Donatella Di Cesare (Roma),
una notevole prossimità tra Humboldt e
Schleiermacher in rapporto al modo di affrontare l’universo del linguaggio a partire
dal discorso effettivo e dalla fondamentale
preoccupazione per l’individualità, trattata
con tutta la prudenza richiesta dalla prospettiva trascendentale.
Jürgen Trabant (Berlino) ha rilanciato la
discussione sul rapporto fra l’ermeneutica e
le scienze umane, presentando il dibattito in
corso nel dominio della linguistica fra i partigiani, come ad esempio Jäger, d’un approccio comunicazionale, che si rifà a Mead,
e coloro, come ad esempio Bierwisch, che si
richiamano a un’ottica cognitivista, ricercando, sulla scia di Chomsky, un universale
del linguaggio e al contempo dello spirito.
Ciò pone il problema del passaggio da un
paradigma descrittivo, che autorizza un approccio “comprensivo”, a un paradigma esplicativo, che ricorre a delle procedure formalizzate, e che Humboldt in effetti non ha mai
escluso dalle sue ricerche. Wolfang Neuser
(Kassel) ha cercato di far valere, a partire
dalla Naturphilosophie romantica, considerata come contro-modello rispetto alla natura delle scienze meccaniche, l’utilità dell’ermeneutica per una considerazione alternativa e feconda della fisica. Reinhard Schulz
(Oldenburg) ha risituato la concezione che
Gadamer ha di Helmholtz, considerato una
volta rappresentante del positivismo delle
scienze naturali del XIX secolo, un’altra
garante dell’universalità dell’ermeneutica.
Il paradosso d’una “xenologia” come autentica scienza dello straniero, nei termini in cui
è stata proposta da Leopold J. Bonny Duala
M’bedy (Düsserldorf) è che, contro la sua
intenzione, quest’approccio resta ancora subordinato al logos occidentale. Non meno
difficile da definire è l’ambito di una antropologia interculturale, attenta al fenomeno
dell’altro, così come è stata delineata da
Jorn Beerman (Starnberg). Infine, ricordando l’origine kantiana delle scienze della
natura, radicata nell’architettonica della Critica della ragion pura, e la fonte altrettanto
kantiana dell’ermeneutica, situata nella soggettività estetica della Critica del Giudizio,
Heinz Wismann (Heidelberg) ha rilevato
come differenti livelli di razionalità, o per
meglio dire, di simbolicità, possano coesistere a condizione che l’istanza della ricostruzione trascendentale operi come un fattore continuo di dedogmatizzazione. D.T.
CONVEGNI E SEMINARI
Pitagorismo: matematica e
filosofia matematica
Con il titolo: “IL
MONDO DEI NUMERI E I
NUMERI DEL MONDO ”, Imre Toth ha tenu-
to dal 10 al 13 ottobre 1994 , presso la
sede napoletana dell’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici, un seminario
dedicato al pitagorismo. Toth ha mostrato come la sintesi pitagorica di
numeri e pensiero si ponga come frutto di una speculazione dalle radici antichissime e, allo stesso tempo, come
momento di una svolta sostanziale
nel cammino della filosofia.
Nella prospettiva pitagorica, secondo Imre
Toth, matematica e filosofia pervengono a
una compenetrazione programmatica, teoricamente positiva. In tal senso, le matematiche (tà mathémata, ciò che viene appreso)
non rappresenterebbero più, di fatto, un
edificio di calcoli strumentali, radicato nel
terreno riproduttivo della téchne, ma, avanzando sul terreno della riflessione, acquisterebbero per la prima volta la valenza di
un sapere universale, unico criterio dell’ordine e del lógos.
Se già intorno alla metà del terzo millennio
a.C. è possibile osservare, presso Egiziani
e Babilonesi, l’esistenza di sistemi di calcolo avanzati e ricchissimi di acquisizioni,
la novità pitagorica, ha fatto notare Toth,
riposa tutta su questo ampliarsi della base
prospettica di una disciplina che smette di
essere “tecnica”, per configurarsi come
“scienza”, che intende comprendere il
mondo nei suoi principi, fondarlo su elementi ad esso immanenti, ma che, pure, lo
trascendono nell’atto della riflessione. E’
merito dei Babilonesi, ha aggiunto Toth,
l’aver introdotto nell’aritmetica un linguaggio simbolico definito, pressoché completo, in base al quale era possibile designare
tutti i numeri e le operazioni di calcolo
utilizzate. Questa codificazione ha facilitato lo sviluppo di un sistema posizionale
binario, paragonabile, nel modo di procedere, ai programmi informatici dei moderni calcolatori. La mancanza della cifra
“zero” - di cui non si aveva ancora la
perfetta consapevolezza teorica - e la reticenza a concepire numeri frazionari, costituiscono il limite più sensibile del calcolo
babilonese. Tuttavia, secondo Toth, sebbene la memoria ellenica tramandi (ad esempio in Erodoto e Platone) la coscienza di
una derivazione egizia delle matematiche,
le antiche matrici babilonesi sono qui sotterraneamente già presenti: nel II Libro
degli Elementi di Euclide, come ha dimostrato il matematico danese Zeuthen, compaiono teoremi e problemi analoghi a quelli reperibili già duemila anni prima nelle
tavolette d’argilla di Babilonia.
Presso gli Egizi, ha continuato Toth, ad un
linguaggio simbolico e decimale non corrisponde più un sistema di scrittura posizionale. Vi si può tuttavia incontrare, per la
prima volta, l’idea di un numero “n”, inde-
Pitagora
finito, e il concetto di numero reciproco.
Ma nonostante le frazioni cominciassero
ad apparire con pieno diritto all’interno del
calcolo, gli egizi non riuscirono ad andare
oltre quelle in cui il numeratore non fosse
uguale ad uno. Né compare, in Egitto, lo
zero: la grafia di questa cifra, ha ricordato
Toth, citando il matematico tedesco Martin Ohm, verrà introdotta dall’alessandrino Tolomeo, il quale, abbreviando il greco
(oudén, nulla), per primo scrive semplicemente “O”.
Dal connubio tra tali presupposti tecnici e
teorici e l’attitudine speculativa greca, ha
fatto notare Toth, deriva la pretesa pitagorica di tradurre la realtà in termini aritmetici, nella convinzione che l’intero universo
non solo sia regolato da leggi matematiche,
ma che esso stesso sia “numero”. Qui il
numero non è “astrazione”, come affermerà Aristotele, né il “denotato di un concetto”, come lo penserà Frege. Nella concezione pitagorica il numero è la realtà stessa,
la sostanza autentica delle cose. Così, ha
aggiunto Toth, se nelle aritmetiche egizia e
babilonese i numeri non furono altro che
strumenti per misurare il mondo, nella
matematica pitagorica essi divengono oggetti autonomi, dotati di uno statuto ontico
positivo.
Uno degli assunti fondamentali della matematica pitagorica, ha osservato Toth, è
senza dubbio il principio di originarietà e
indivisibilità della “monade”, che rappresenta la base metafisica delle scienze pita51
goriche. Da un lato, infatti, esso afferma
l’esistenza oggettiva di un “numero”, quale
ente positivo, posto all’inizio di una successione; dall’altro, tiene ferma l’irriducibilità di tale ente. Per render conto, allora,
dell’operazione di divisione, i pitagorici
introducono il concetto di “relazione”: se la
monade è indivisibile, la settima parte di un
numero non può essere essa stessa un numero, ma è bensì una relazione ordinata tra
due numeri (n:7 # 7:n). La coppia numerica, in cui sussiste la relazione, viene designata dai pitagorici col termine di lógos. In
tal modo, ha fatto notare Toth, si costituisce un universo chiuso, che associa tra loro
termini il cui comune denominatore è, postulatamente, l’esistenza.
Se, come afferma lo storico Rey, quella
pitagorica è soprattutto una “aritmo-geometria”, ha poi fatto rilevare Toth, una
delle necessarie risoluzioni della teoria dei
lógoi non può che essere lo studio delle
figure geometriche tramite i numeri, che
assumono a loro volta vere e proprie configurazioni spaziali: se l’uno, infatti, è il
punto e il due è l’essenza della retta, il tre è
quella del piano e il quattro quella del
solido. Se dunque ogni cosa è numero, tutte
le cose geometriche e le loro misure possono trovare espressione in una coppia di
lógoi. Tuttavia lo “sconcerto metafisico”,
di fronte alla scoperta che tra il lato e la
diagonale di un quadrato non esiste una
comune unità di misura, poterà i pitagorici
all’aporia dell’esistenza di una grandezza
CONVEGNI E SEMINARI
reale, priva però di misura; sicché il lógos
tra diagonale e lato del quadrato verrà definito come lógos à lógos, una “ragione irrazionale”.
Questa scoperta dell’irrazionalità, ha fatto
notare Toth, s’impose lentamente all’interno della scuola, probabilmente all’epoca di Zenone. La conseguenza fu il crollo
inevitabile della metafisica pitagorica.
L’incommensurabilità del lato e della diagonale del quadrato, ha osservato Toth,
non solo introduce il problema del nonessere nel dominio dei numeri, ma si pone
anche come chiave di lettura ante litteram
della speculazione dell’ultimo Platone: il
tentativo di rifondare la dottrina delle idee,
presente nel Parmenide e nel Sofista, non
è mosso da altro che dalla volontà di reperire e di chiarificare la possibilità, all’interno dell’essere, di uno statuto ontologico
del non-essere. All’approfondimento di
questo tema Toth dedicherà un seminario
(“Platone: Geometria e Filosofia”), all’interno del programma dei seminari dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
per l’anno 1995. S.I.
Sogno e industria
Che l’opera di Walter Benjamin non
trovi facile collocazione nella filosofia del ‘900 è cosa nota, ed è
altrettanto noto che la difficoltà si
ripresenta per tutte le facce del
“poliedro” benjaminiano: quella
critico-letteraria, quella estetica,
quella politica. Il recente convegno “SOGNO E INDUSTRIA . A PARTIRE DA
WALTER BENJAMIN ”, tenutosi a Torino dal 21 al 22 ottobre 1994, presso la Galleria d’Arte Moderna, e
organizzato, sotto la direzione di
Enrico Guglielminetti, dall’Assessorato per le risorse culturali e la
comunicazione, in collaborazione
con il Goethe-Institut di Torino, ha
avuto il pregio di trasformare l’eccentricità benjaminiana da puro
dato storico-critico in esperienza
e suggestione ambientale. Il convegno si è svolto all’interno di una
più ampia rassegna sulle arti decorative a Torino negli anni del
Liberty, ossia sull’immaginario
della città industriale di fine ‘800.
Nella prospettiva di Walter Benjamin,
Susan Buck-Morss ha riletto la vicenda
dello Jugendstil e il successivo passaggio
alle avanguardie: dopo la lunga stagione di
fine secolo, l’irrompere delle avanguardie
appare a Benjamin come un risveglio rivoluzionario da una sorta di ipnosi collettiva.
Un risveglio che, sul piano dello stile,
contrappone a un ultimo fantasma di vita
organica il trionfo dell’inorganico e della
macchina. Rinunciando a un confronto
diretto con le tesi benjaminiane, Lucius
Burckhardt ha tracciato invece una genealogia dello stile Liberty e più in generale
del Moderno in architettura a partire dal
genere minore della folly: il padiglione
bizzarro che campeggia nel giardino all’inglese, “citando” ecletticamente le forme
più lontane ed esotiche. Con la moda ottocentesca della folly, ha osservato Burckhardt, nasce un’architettura di citazione o di
secondo grado, che è già “post-moderna”.
Nel loro insieme i vari contributi al convegno hanno mantenuto un’impostazione
“immaginale”, insistendo, sotto varie angolazioni, sulle immagini-guida (Denkbilder) che costellano il percorso critico
benjaminiano. Così Ugo Perone ha messo
a fuoco la figura della “soglia”, richiamandosi tra l’altro al lavoro recente di Winfred Menninghaus, che interpreta l’intera opera di Benjamin come una “teoria
delle soglie” (Schwellenkunde). La “soglia” è anzitutto il passaggio dalla casa al
mondo esterno (e viceversa), luogo ambiguo dove la chiusura protettiva dell’ambiente borghese si apre alle suggestioni del
vagabondaggio, o meglio della flanerie.
Ma la soglia è anche il labile confine tra la
veglia e il sonno, come ha fatto notare
Remo Bodei. Ed è anche passage commerciale, emblema della metropoli opulenta e figura-guida della grande opera
benjaminiana su Parigi. La “soglia” è, secondo Perone, una “zona”, il luogo paradossale che sospende l’opposizione fra
interno ed esterno e in cui Benjamin ama
indugiare, avvertendo, nella beata sospensione di quell’indugio, l’aura del paradiso
perduto.
Se la soglia è anzitutto il passaggio dalla
chiusura della casa e dell’infanzia al mondo esterno e alla vita adulta, (la “finestra
dell’età virile”), la dimensione della casa e
dell’infanzia è già, per altri versi, intimamente ambivalente. Dedicando il proprio
intervento allo straordinario microcosmo
di Infanzia berlinese, Giulio Schiavoni si
è soffermato appunto su quella ambivalenza, per cui la “sicurezza” borghese di fine
secolo si popola di fantasmi, e la casa
paterna del piccolo Walter diventa lo «scenario ideale per un racconto dell’orrore».
Ma c’è un altro luogo, accanto alla casa e
alle vie della città-labirinto, che sembra
assumere nella memoria di Benjamin i
contorni di un mito fondativo: è il “panopticum” circolare della Kaiser-Galerie di
Berlino (il cosidetto “Kaiser Panorama”),
luogo per eccellenza del sogno ad occhi
aperti, e simbolo di una tecnica visiva
dalle spiccate potenzialità “visionarie”.
Il tema del sogno e quello correlativo del
risveglio hanno guidato, almeno in parte,
anche le riflessioni di Francesco Remotti. La proposta di Remotti è stata di leggere
la figura e l’opera di Benjamin come una
vera e propria “antropologia del Moderno”. Lo sguardo di Benjamin sulla cittàlabirinto, ma anche sulla modernità nel
suo complesso, sarebbe affine allo sguar52
do dell’antropologo sui mondi arcaici: uno
sguardo da flaneur e da “raccoglitore”, da
collezzionista. Ma soprattutto, il critico e
l’antropologo sembrano accomunati dal
drastico rifiuto dello storicismo, di una
concezione lineare della storia come mera
successione di epoche: è il mito, non il
tempo storico, a dominare la visione di
entrambi. Il tema del sogno (e del risveglio) entra in gioco proprio a questo punto,
come chiave di lettura della visione benjaminiana della storia. Il sogno va inteso
infatti come l’immagine nascosta, latente
in ogni epoca storica, e in attesa del proprio risveglio: il problema sarà come intendere quel risveglio, se cioè insistere sul
momento della “rottura” rivoluzionaria, o
su quello propriamente mitico dell’immagine e della sua apoteosi.
L’attenzione di Augusto Romano si è
rivolta invece, in chiave psicoanalitica, a
un possibile inventario delle immagini o
delle figure-guida dell’universo benjaminiano: la flanerie, l’interno, il “passaggio”, ma anche la folla, e più in generale la
città. Ed è proprio la città a porsi come
“esperienza primaria”, assumendo connotati decisamente inquietanti: non solo il
passaggio commerciale è un “tempio” la
cui divinità mostra un volto demoniaco, la
Merce, ma la città intera è posseduta dal
“satanismo della merce” e il flaneur vi si
aggira avvertendo la presenza del Minotauro. Si ripropone qui, ha osservato Romano, il tema del risveglio nelle sue due
valenze, “essoterica” ed “esoterica”. Mentre la prima pensa ancora a una possibile
salvezza nella storia, la seconda intende la
storia stessa come l’ “incubo” fondamentale, come il carcere gnostico da cui occorre risvegliarsi.
Sempre in tema di sogno e di risveglio,
l’intervento di Remo Bodei si è soffermato infine sull’attenzione costante di Benjamin per gli stati intermedi tra veglia e
sonno a cominciare da quel fenomeno del
déja vu che lo appassionava come uno
spiraglio patologico sul mistero della temporalità. Qui il dato saliente sembra essere
la concezione benjaminiana della rêverie
come fenomeno intrinseco alla società industriale. Nel passaggio decisivo tra ‘800
e ‘900 la coscienza collettiva, secondo
Benjamin, entra in uno stato di ipnosi,
popolato in misura crescente dalle immagini anonime delle nuove tecniche visive:
la fotografia, il già citato “panorama”, e
infine il cinematografo. L’800 è il secolo
in cui la logica del sogno infiltra la logica
diurna, come se la crisi delle istituzioni
tradizionali - la Chiesa, la Famiglia - richiedesse una compensazione allucinatoria nella forma di una rêverie non più
individuale, ma di massa. F.Cu.
CONVEGNI E SEMINARI
Estraneità e familiarità
Dal 20 al 23 settembre 1994, presso la
Martin Luther Universität di Halle/
Saale, si è svolto il convegno “FREMDHEIT
UND VERTRAUTHEIT. HERMENEUTIK IN EUROPÄISCHEN KONTEXT” (Estraneità e familiarità. L’ermeneutica nel contesto
europeo), promosso da H. J. Adriaanse, R. Enskat, G. Ferretti, J. Greisch,
U. Perone, M. Potepa, W. Sparn, con il
sostegno di importanti istituzioni di
cultura italiane ed europee. Sono intervenuti M. C. Bartolomei, G. Crifò,
G. Galli, V. Mathieu, U. Perone, J.
Petöfi, M. Ruggenini, Paul Ricoeur,
Wolfgang Nethöfel e Peter Winch.
Tutti gli interventi sono stati in qualche modo intersecati dall’interrogativo se per l’ermeneutica sia ancora
questione di prospettive o già di bilanci. L’idea di un’ermeneutica dell’estraneità è sembrata comunque
avviare verso scenari filosofici innovativi rispetto alla tradizione ermeneutica.
Scopo del convegno era di contribuire: 1)
alla revisione della storia dell’ermeneutica, 2) al dialogo tra le ermeneutiche militanti delle principali aree linguistiche europee; 3) all’approfondimento delle connessioni esistenti tra ermeneutica generale
ed ermeneutiche speciali, o tra teoria e
prassi ermeneutica. Questo contributo è
stato svolto specialmente nella direzione
di un requilibrio interno della coppia concettuale “estraneità e familiarità”, elemento caratteristico dell’ermeneutica gadameriana, inadeguato, però, alla nuova forza
d’impatto dell’estraneità nell’esperienza
quotidiana alle soglie del terzo millennio.
Ad una “fenomenologia dell’estraneità”
nelle sue molteplici forme sul piano di un
“ermeneutica del sé” e sotto l’egida della
meta-categoria del “medesimo” e dell’ “altro” è stata dedicata la relazione di Paul
Ricoeur (“Molteplici estraneità”). La fenomenologia dell’estraneità appare come
un’ermeneutica del “patire”, che Ricoeur
ritiene si debba intrecciare con una fenomenologia dell’ “agire”, condotta nel segno della nozione aristotelica di essere
come “potenza e atto”. Il privilegiamento
unilaterale della meta-categoria platonica
dell’alterità promuove una “proliferazione dei modi”, quali modi del “patire” medesimo. Perché ci sia alterità, dev’esserci
identità. L’alterità si articola in tre direzioni fondamentali: l’alterità della carne o del
corpo proprio (tramite il quale viene mediata altresì l’alterità del corpo estraneo);
l’alterità di altri; l’alterità della voce della
coscienza. Seguendo il contrappunto tra i
modi dell’agire (parlare, fare, raccontare,
rispondere di una imputazione morale) e i
corrispondenti modi del patire, e concentrandosi specialmente sull’alterità della
carne, Ricoeur ha valorizzato, nel quadro
di una fenomenologia dell’estraneità, so-
prattutto la nozione psicoanalitica di
“perturbante” (Unheimliches). Quanto
poi all’estraneità di “altri”, ha osservato
Ricoeur, essa si manifesta essenzialmente nella solitudine e nella incomunicabilità; mentre l’estraneità del “for intérieur” consiste nello slontanamento implicito nello stesso atto interiore dell’autoattestazione o della certezza di sé.
L’estraneo, nella forma però del “sovrabbondante”, è stato al centro anche
della riflessione di Vittorio Mathieu
(“L’ermeneutica come ponte sulla differenza ontologica”). L’ermeneutica vi
appare come un esercizio di “riduzione”
dell’estraneità mediante il linguaggio.
La mediazione linguistica è però veramente necessaria solo nel caso in cui tra
il contenuto della comunicazione e lo
strumento di essa (cioè le parole) vi sia
una differenza ontologica, e non meramente ontica. L’ermeneutica è il ponte
tra ciò che non ha figura e ciò in cui esso
prende figura. Fuori dell’ambito religioso, è soprattutto l’esperienza artistica a
confermare la necessità dell’interpretazione: come interpretazione “in avanti”,
in cui l’artista medesimo traduce in una
figura individuale il “senso” dell’opera;
e come interpretazione “a ritroso”, in cui
il critico o il fruitore dell’opera d’arte
sospende la cogenza del prodotto che gli
sta dinanzi e si reimmerge nella fonte
viva del senso. Come - del resto - il senso
sta all’opera, così come “l’essere” sta al
senso. L’artista trova dunque nell’essere
la propria fonte ultima d’ispirazione.
Il totalmente estraneo, nella forma innanzitutto della natura non umana, ha
dato avvio anche alla relazione di Wolfgang Nethöfel (“La cosa altra, gli altri,
l’altro. L’ermeneutica teologica tra media e poteri”). L’attuale disinteresse dell’ermeneutica in generale, e di quella
teologica in particolare, per le scienze
della natura è solo la traccia della sua
origine nel risentimento verso la modernità e verso le scienze esatte. La natura
non umana, il totalmente altro, è lo sfondo oscuro dal quale l’ermeneutica si distacca. Tutti i concetti ermeneutici rappresentano il complementare negativo
di concetti scientifici. Per esempio, c’è
“senso” là dove non c’è “causalità”. A
fronte della svolta epocale della modernità verso la post-modernità, o della società della scrittura verso la società dei
computer e delle reti informatiche, solo
l’ “integrazione” del comprendere con
lo spiegare, dell’ermeneutica con le nuove scienze della natura, può dischiudere
un accesso alla cosa altra e all’altro,
governato dalla responsabilità, e non
dalla violenza. Questo processo creativo
d’integrazione, nel quale sfumano le differenze sulle quali l’ermeneutica è abituata a operare (natura/cultura), determina anche una revisione radicale della
nostra immagine di Dio. Egli non è più
tanto pura trascendenza, ma trascenden53
za nell’immanenza. L’ermeneutica teologica, in questa nuova costellazione, può
conservarsi solo come pensiero critico.
Ad una complessificazione del binomio
estraneità-familiarità nel quadro del nuovo ordine della convivenza mondiale è
stata infine dedicata la relazione di Peter Winch (“Possiamo comprendere noi
stessi?”). Il confine della estraneità passa piuttosto all’interno di ogni singola
cultura, che sul limitare di essa. La conoscenza degli altri mondi e giochi linguistici non può fare a meno di riconoscere
elementi di familiarità in ambiti che un
pregiudizio vorrebbe invece semplicemente estranei. La conoscenza dell’altro
non è mai così oscura da doversi risolvere necessariamente nelle forme dell’equivoco o dell’assimiliazione, o non da poter contare su elementi di affinità e di
immediatezza. L’ermeneutica, a seconda del contesto cui viene applicata, assume pertanto una doppia funzione di amplificazione o di riduzione dell’estraneità (rispettivamente propria e altrui).
Una tavola rotonda conclusiva, moderata da R. Wiehl, ha ripercorso le tappe del
convegno che, come ha evidenziato J.
Greisch, trova le sue origini nel colloquio, tenutosi a Macerata nel 1990, su
“Filosofia e teologia nel futuro dell’Europa”, e ne ha tentato un primo bilancio
nella forma di una suggestiva biografia
intellettuale (W. Sparn) e con attenzione al problema dei rapporti tra filosofia
e teologia (H. Adriaansen), facendo rimarcare l’importanza del fatti che esso
si sia svolto nell’antica, e ora in pieno
rinnovamento, sede di Halle (R. Enskat). Commentando i numerosi interventi del convegno, U. Perone ha proposto di distinguere tra un’ermeneutica propriamente filosofica, intesa, secondo la
sua proposta, come ontologia ermeneutica della finitezza e della modernità. M.
Potepa, dal canto suo, ha ripreso in chiave ermeneutica il tema del comprendere,
che era già stato oggetto di una vivace
discussione nella tavola rotonda tra H.
M. Gauger, J. Hörisch e J. Ladrière.
I lavori del convegno si sono altresì
articolati in conferenze sulla storia dell’ermeneutica (M. Riedel, U. Barth, A.
Neschke-Hentschke), in dibattiti, lavori
di sezione e conferenze di settore (a cui,
tra numerosi altri, hanno partecipato O.
Schwemmer, D. von Uslar, J. Grondin,
H. Ineiehen, H. R. Jauss, R. Kearney, J.
Mardones, I. Dalferth, W. Jeanrond, C.
Geffré, H. de Vries, M. Villela-Petit, M.
Meslin). E.G./U.P.
CONVEGNI E SEMINARI
Baruch Spinoza
54
CONVEGNI E SEMINARI
Spinoza
Dal 3 al 7 ottobre 1994 Jan Sperna
Weiland ha tenuto a Napoli, presso la
sede dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici, un seminario dedicato a “SPINOZA”. Dopo un primo ragguaglio introduttivo su la vita, le opere, le influenze e il fine della filosofia spinoziana, l’attenzione si è spostata su alcuni
temi centrali della riflessione spinoziana: l’uomo, lo Stato, Dio, la libertà.
Secondo Sperna Weiland il grande fascino della filosofia spinoziana risiede
nella dialettica tra negazione della libertà e panegirico della libertà, che
culmina nell’ ‘amor dei intellectualis’.
Jan Sperna Weiland ha esordito innanzitutto ricostruendo il clima politico e religioso
dell’Olanda del ‘600 per arrivare a dimostrare come l’episodio fondamentale della vita
di Spinoza sia stata la scomunica del 1567 e
l’abbandono della comunità ebraica. Sebbene Spinoza abbia pubblicato in vita solo i
Principia philosophiae cartesianae, negli
anni in cui il cartesianesimo si era affermato
in Olanda, e il Tractatus theologico-politicus, ma in forma anonima (1670), egli dovette difendersi in modo acceso dalle accuse di
ateismo e finì per decidere di non pubblicare più.
Per quanto la sua opera principale sia l’Etica,
Spinoza, ha osservato Sperna Weiland, non
intese fornire un’immagine normativa dell’uomo, ma condurlo alla libertà. Punto di
partenza di quest’opera è la descrizione fenomenologica dell’esistenza umana al fine
di mostrare la potenza della natura umana.
L’essenza o natura attuale dell’uomo è il
conatus, con il quale ogni cosa tende a perseverare nel suo essere. Ma ciò che distingue
l’uomo dagli altri esseri viventi è la consapevolezza che egli ha tanto del conatus, quanto
della sua natura finita. Ogni cosa cerca di
perseverare nel suo essere, tranne Dio, che è
al di là di questo conatus.
La seconda parte dell’Etica, ha proseguito
Sperna Weiland, ha per titolo: “Sulla natura
e origine della mente”, che però, nella traduzione olandese dell’edizione postuma, suona: “Sulla natura e origine dell’anima”; lo
stesso vale per la traduzione francese. In
realtà, nell’unità della res cogitans si può
distinguere una dimensione spirituale, la
mente, di cui tratta invece la terza parte
dell’Etica. Nell’uomo, di fatto, troviamo una
dimensione spirituale, a cui appartengono
idee adeguate e inadeguate, e una dimensione dell’anima, a cui appartengono le passioni.
Nella seconda parte dell’Etica, Spinoza definisce tre generi di conoscenza: opinione o
immaginazione, ragione, sapere intuitivo.
«La conoscenza di primo genere è sempre
causa della falsità, mentre quella di secondo
e terzo è necessariamente vera». L’Etica è
basata sugli assiomi e sul raziocinio: se ragioniamo correttamente, ha osservato Sperna
Weiland, seguendo la concatenazione logica delle deduzioni, non può esserci falsità.
Tuttavia, la verità e la falsità delle proposizioni e delle dimostrazioni dipende interamente dalla verità delle definizioni, dei postulati, degli assiomi; proprio perciò c’è bisogno di un terzo genere di conoscenza
chiara e distinta e necessariamente vera. In
tal senso, secondo Weiland, la filosofia di
Spinoza può essere considerata un esempio
di razionalismo seicentesco, a condizione
che la si intenda come un razionalismo condizionato da un’intuizione che va al di là dei
limiti della ragione. Inoltre, nell’intenzione
di descrivere fenomenologicamente la realtà
dell’essere umano, sembra emergere uno
sviluppo che da Spinoza porta fino alla fenomenologia di Husserl, in cui tutto riposa in
una intuizione della “cosa stessa”.
Nella quarta parte dell’Etica, ha proseguito
Sperna Weiland, Spinoza afferma, nel condurre l’analisi delle passioni, che l’affetto
fondamentale che si mostra in tutte le passioni è la cupiditas, l’aspirazione a raggiungere
la felicità, il bene. La cupiditas è l’essenza
stessa dell’uomo, così come il conatus è
l’essenza stessa di ogni cosa. La “letizia” è la
passione che conduce la mente ad una maggiore perfezione o potenza, la “tristezza”, al
contrario, diminuisce la potenza. Cupiditas,
letizia e tristezza sono le tre passioni fondamentali da cui derivano tutte le altre.
Il Tractatus teologico-politicus fu scritto nel
1670 sotto il governo De Witt, che aveva
inaugurato una politica di tolleranza e libertà
limitata. Nel Tractatus Spinoza dimostra
tuttavia che la libertà di filosofare non solo
non mette in pericolo la pace e la pietà della
repubblica, ma addirittura si può dire che
senza libertà di filosofare non può esservi
vera pace e vera pietà. Spinoza, quindi, non
difende la tolleranza, che è condizionata, ma
la libertà, che è illimitata. Egli adotta per il
tema politico lo stesso metodo usato per
quello antropologico; non propone, cioè,
un’immagine normativa, ma delinea fenomenologicamente l’uomo nella realtà sociale, per poi descrivere il passaggio dallo stato
naturale a quello civile. Per Spinoza nessuno
è meno adatto al governo dello Stato dei
filosofi e dei teorici, i quali hanno una visione idealistica della natura umana. I politici,
invece, partono da una considerazione realistica, per cui riconoscono la malvagità insita
nella natura umana e si industriano per prevenirla, sebbene anche in questo caso vi sia
un atteggiamento idealistico.
Tra stato naturale e stato civile, ha aggiunto
inoltre Sperna Weiland, vi è in Spinoza la
distinzione convenzionale che si trova in
Hobbes e nel Contratto sociale di Rousseau.
Lo stato naturale è regolato dal suum esse
conservari, dalla cupidità, che crea un “diritto di natura”, il diritto, cioè, del più forte, la
hobbesiana “guerra di tutti contro tutti”. Se
nello stato naturale si ha diritto a tutto,
allora non può esservi peccato se non verso se stessi: nessuno, infatti, è tenuto, per
diritto di natura, a comportarsi secondo la
volontà altrui e ritenere bene o male se non
ciò che è tale per sua volontà. Ora, poiché la
prima legge di natura, la conservazione, ri55
chiede la pace, il fondamento dello stato
civile è sempre e solo il suum esse conservari. Per Spinoza, nello stato civile vi dovrà
dunque essere un patto, un contratto, delle
leggi da rispettare; l’uomo sarà cittadino e
teoricamente i cittadini sono una moltitudine
guidata come da una sola mente. Il vantaggio
dello stato civile è nella condizione di sicurezza, nella libertà di filosofare ed anche
nella possibilità che si realizzi un certo altruismo. Lo svantaggio consiste nella rinuncia
al proprio diritto su tutto, limitato dalla necessità
di rispettare le leggi. In realtà, ha osservato
Sperna Weiland, nella sua concezione di Stato
razionale Spinoza non può immaginare una
situazione in cui il dettame della ragione possa
negare le leggi dello Stato.
Per quanto riguarda l’accusa di ateismo che
i contemporanei rivolsero a Spinoza, Sperna
Weiland ha fatto notare che questi dimostrò
sia a priori, secondo un “ordine geometrico”,
sia a posteriori l’esistenza di Dio, ente di cui
è impossibile pensare che non esista e non
agisca: quello di Spinoza non è un Dio
statico, bensì attività continua, actus purus,
assolutamente infinito, secondo la formula
scolastica. Dio, inoltre, è sostanza. Se Dio è
sostanza e la sostanza è in sé, indipendente,
causa sui, allora per Spinoza l’essenza di
Dio implica l’esistenza: una concezione di
Dio, questa, in cui si può leggere una trascrizione filosofica dei principi della fede giudaica. Dio, causa di sé, è causa di tutto ed è
causa libera. Infatti, se Dio è in sé e non in
altro, non può essere costretto da nulla. Inoltre, ha aggiunto Sperna Weiland, Dio non è
fuori del mondo; egli è “causa immanente”,
non transitiva, di tutte le cose che sono in lui:
Dio sive natura. Ma questa è una coincidenza paradossale, coincidentia oppositorum,
in quanto Dio rimane l’essere infinito; il
mondo, invece, l’insieme delle cose finite.
Poiché l’infinito non è l’insieme delle cose
finite, e queste non saranno mai infinite,
Spinoza parla di natura naturans e natura
naturata. Nel Breve trattato, Spinoza afferma che la natura naturata universalis consiste di modi che procedono “immediatamente” da Dio; in quanto modi, sono tuttavia
distinti da Dio, sebbene procedendo immediatamente da esso, sono infiniti nel loro
genere e immutabili. Di questi modi infiniti
noi conosciamo solo l’intelletto infinito e il
moto e la quiete. Spinoza, ha fatto notare
Sperna Weiland, fatica per introdurre nella
“natura naturata” l’intelletto infinito e l’infinità di moto e quiete, e gettare così un ponte
tra le cose infinite e quelle finite. Più che
all’emanatismo neoplatonico, Spinoza sembra qui ispirarsi alla mistica ebraica.
In conclusione Sperna Weiland ha mostrato
come in Spinoza il cammino verso la libertà
parta dalla cupidità per qualcosa che non sia
vano e futile. La cupidità, come essenza
attuale dell’uomo, istinto a conservare il
proprio essere, permane in tal senso nella sua
dinamica, spostando però il desiderio dalle
cose futili al vero bene. La gratia cooperans,
a sua volta, aiuta a liberarsi dalle passioni, in
quanto giunti alla vera conoscenza di Dio si
CONVEGNI E SEMINARI
trova l’amore verso Dio. Nella quinta parte
dell’Etica Spinoza afferma infatti che la
libertà non è che amor dei intellectualis in
cui, ha osservato Sperna Weiland, sembra
esserci contraddizione tra i due elementi
dell’amore e dell’intelletto; in realtà per intelletto, contemplazione, Spinoza intende
qui qualcosa di diverso da ciò che noi chiamiamo ragione. Quando Spinoza sostiene
che ogni cosa è effetto di una causa determinata, contraddice, secondo Sperna Weiland,
ciò che egli stesso afferma dell’agire umano,
e cioè che l’uomo, interrompendo la serie
delle cause, agisce, è attivo, quando è causa
adeguata di ciò che accade in lui e fuori di lui;
è passivo, invece, quando accade qualcosa di
cui egli è causa parziale.
La metafisica di Spinoza, ha osservato Sperna Weiland, sembra escludere l’azione; mentre l’etica lega ad essa la beatitudine. Di fatto,
senza la libertà non si può entrare nella
filosofia di Spinoza; con la libertà non vi si
può restare. La soluzione può esservi se si
limita la causalità al mondo naturale e la si
esclude dal mondo intellegibile e si riconosce che il linguaggio delle scienze e quello
del piano intellegibile sono separati. In quest’ottica, Spinoza non può che lasciarsi alle spalle
l’impianto stringente della metafisica. F.F.
Italo Mancini: kerigma e prassi
Promosso dall’Istituto Superiore di
Scienze Religiose dell’Università di Urbino - fondato e diretto per tredici anni
da Italo Mancini - e organizzato in collaborazione con l’Editrice Morcelliana di
Brescia e con la rivista “Humanitas”, si
è tenuto all’Università di Urbino, nei
giorni 14-15 ottobre 1994, un convegno
di studi sul pensiero di Italo Mancini,
dal titolo: «KERIGMA E PRASSI». Come ha
tenuto a precisare nell’intervento di
apertura Piergiorgio Grassi, successore di Mancini nella direzione dell’Istituto, il seminario di studio ha inteso avviare una prima riflessione sistematico-critica sull’itinerario filosofico-teologico del filosofo urbinate, dalle indagini ontologico-metafisiche, alla filosofia della religione e all’ermeneutica del
cristianesimo, alla filosofia del diritto.
Tra i partecipanti, che, amici o colleghi,
hanno conosciuto Italo Mancini più da
vicino: Pasquale Salvucci, Carmelo Vigna, Franco Totaro, Giovanni Ferretti,
Antonio Pieretti, Francesco D’Agostino, Luigi Alfieri, a cui si sono accompagnati interventi di: N. Bosco, Faggiotto,
T. Perlini, A. Milano, E. Moroni, M. Cascavilla, M. Cangiotti, Fr. S. Festa.
In generale, tutti i relatori e gli intervenuti al
dibattito si sono trovati d’accordo, in maniera esplicita o implicita, su alcune premesse
fondamentali: 1) che in Italo Mancini la
filosofia della religione si risolve in erme-
neutica; 2) che questa risoluzione deriva dal
fatto che Mancini ha voluto proprio considerare la religione come kerigma; 3) che il
metodo, poi, di questa peculiare Filosofia
della religione è determinato dal “riconoscere”, mediato da tre livelli di pre-comprensione: “dottrinale”, “vitale” ed “esistenziale”.
Nella sua relazione, Carmelo Vigna ha inteso cogliere nel nucleo di Ontologia fondamentale, apparso nel 1958 (lo stesso anno di
La struttura originaria di Emanuele Severino) quel “presupposto” ontologico che il
successivo pensare ermeneutico non avrebbe certo mai del tutto “disperso”. L’intera
scansione del percorso manciniano, dall’ontologia all’ermeneutica della «grandi masse
di vita religiosa» (Dilthey), sino alle “grandi
masse di vita giuridica”, è stata tracciata
innanzitutto da Giovanni Ferretti, che ha
individuato lo spartiacque tra il momento
ontologico e quello ermeneutico: Mancini fa
riferimento non alla religione “naturale”,
che la sola ragione potrebbe fondare, bensì
alla religione come “figlia della Parola di
Dio”, cioè come Rivelazione e Kerigma,
parola che irrompe barthianamente nella storia quotidiana dell’umanità, sconvolgendola. Di qui, ha osservato Ferretti, l’impegno di
Mancini ad affrontare il Kerigma, non solo con
“armi” teologiche, ma anche filosofiche, più
fortemente teoretiche e “prassiologiche”, criticando le cosiddette “forme spurie” di Filosofia
della religione - l’ermeneutica “tradizionale”, la
riduzione illuministico-liberale, lo strutturalismo, la mera esperienza di vita religiosa traendo da esse motivi ed argomentazioni per
proporre una nuova Filosofia della religione,
condensati in una domanda cruciale: “quale e
quanta filosofia può sopportare il kerigma cristiano?” Sulla base di questa domanda Mancini
sviluppa tre aspetti della struttura ermeneutica:
linguistica del dato, pre-comprensione del dato
come schema di possibilità, pre-comprensione
vitale come esigenza del “contagio” storico,
sociale e culturale, la cui articolazione permette all’ermeneutica di coniugare la religione con la filosofia.
La consapevolezza della non-conclusività
della mediazione ermeneutica induce Mancini, negli ultimi tempi, a formulare una sorta
di dostojevskiana “logica dei doppi pensieri” (la figura di Keller ne L’idiota), dove gli
elementi di kerigma, prassi e decisione esistenziale vengono “colti” in una relazione
“paradossale” di elementi contrari ed opposti, non unificabili né logicamente, né dialetticamente. Su questo momento estremo di
“stile dell’esistere” di Mancini si sono soffermati Antonio Pieretti e Franco Totaro,
che ha felicemente coniato per la filosofia di
Mancini l’espressione di “ontologia militante”, quasi a voler tenere insieme sia il “debito
ontologico bontadiano”, sia l’apertura «ai
dati di ogni genere [...] in vista del significato, di quei pochi o molti significati intesi
come “quanta” assiologici che aiutino a vivere ed a dare senso alla vita». Con la riscoperta delle “anfibolie” gianesche della realtà, Totaro ha fatto notare l’emergere in Mancini di categorie non sempre lineari, piutto56
sto “magmatiche”, capaci di interpretazioni
inesauribili in nome della logica del “paradosso”: il significato cresce sul dato. Mancini, ha concluso Totaro, opera un passaggio
decisivo da un modello di razionalità prevalentemente ontologico ad un modello di razionalità prevalentemente ermeneutico».
Sui presupposti dottrinali, richiamati da Totaro e Ferretti, Antonio Pieretti vede basato
il “progetto puro” del “cristianesimo radicale” e del suo rapporto con le altre culture; un
progetto, questo di Mancini, che poggia su
un paradosso, quello della “doppia fedeltà”
(espressione definitiva della “logica dei contrari” e “logica dei doppi pensieri” ricordata
da Totaro): fedeltà a Dio e alla laicità del
mondo; due grandezze separate, ciascuna
considerata un “totum”, con cui Mancini fa
salvo, per un verso, il rispetto della sovranità
assoluta di Dio e, per l’altro verso, l’autonomia e la libertà dell’uomo, della sua storia e
della sua vita. Luogo preciso, in cui Mancini
vede sia possibile l’esperienza del paradosso
di questa duplice fedeltà a Dio e al mondo, è,
secondo Pieretti, la “vita morale”, dove la
distinzione che separa le due fedeltà è vissuta, oltre che come opposizione reale, anche
come una relazione di opposizione. E’ su
questo terreno che, secondo Mancini, può
prendere forma anche quella cultura e quella
prassi di riconciliazione, non concepita come
sintesi di opposti, ma assunzione delle differenze nel rispetto delle autonomie irriducibili.
Sul tema della “fedeltà alla terra” e sul modo
come Mancini abbia tentato lui stesso di
testimoniarla e realizzarla, si sono soffermati Francesco D’Agostino e Luigi Alfieri,
sottolineando come lo sbocco naturale della
ricerca di Mancini, che sin dall’inizio s’era
prefisso il compito di combinare “lo studio del
mondo di Dio” con “lo studio del mondo dell’uomo”, dovesse essere quello di allargare la
base della sua precomprensione “esistenziale”
nella direzione della praxis. D’Agostino, in
particolare, ha delineato il tragitto di Mancini
dallaFilosofiadellareligione alla Filosofia del
diritto. D’Agostino ha documentato come
dall’ermeneutica della religione, dalla precomprensione del dato rivelato, dall’ermeneutica della rivelazione, la filosofia di Mancini si risolva naturalmente nel passaggio ad
un’ermeneutica della “positività” dell’umanità, ovvero delle “opere e dei giorni” dell’uomo, di ciò che l’uomo crea e produce,
quotidianamente, in modo inesausto. Quasi
con la segreta aspirazione a far sì che il diritto
possa giungere a contenere quanto più possibile dell’ “etica” cristiana, dell’annuncio di
Gesù Cristo, nella sua elaborazione della
Filosofia della Politica e del Diritto, Mancini
si pone nel solco dei grandi pensatori cristiani, consapevoli di una storia dell’umanità di
per sé “portatrice di valori”, ove si avverte
l’incidenza insostituibile della “profezia cristiana” nell’elaborazione di un “ethos” tale
da essere all’altezza di riuscire a costruire un
futuro adeguato alle aspettative dell’uomo.
L’approfondimento della praxis operato da
Mancini, ha invece fatto notare Alfieri, «conduce a due strade, non alternative, ma con-
CONVEGNI E SEMINARI
correnti. Una è la strada dell’utopia» che
consente di mantenere l’esigenza dell’eticità, evitando di oggettivarla in una qualsiasi
forma della contingenza. L’utopia, secondo
Mancini, è «apertura al possibile, inesauribilià del progettare, storicità che non si irrigidisce mai in nessuno dei suoi momenti e che,
ben più autenticamente di qualunque pretesa
fondazione metafisica della verità, può rappresentare anche l’apertura alla trascendenza, lo slancio dell’uomo al di là di se stesso,
oltre la contingenza ed oltre la nostra stessa
morte, come già Bloch, “ateo per amore di
Dio”, aveva ben saputo vedere». L’altra via,
ha fatto notare Alfieri, è quella del radicamento esistenziale della giustizia nella figura dell’ “uomo giusto”, per evitare che la
giustizia rimanga astrazione intellettualistica, «virtù meramente retorica e cartacea [...]».
Questo implica, evidentemente, una completezza umana che richiede l’andar oltre la
dimensione della pura ragione, così come quella del diritto stretto e della moralità astratta
richiede l’andare “verso l’altro”, anch’egli inteso nella sua pienezza umana, come presenza
assorbente a cui l’io fa dono di sé. Qui, ha
concluso Alfieri, «non c’è niente di utopico: la
pienezza del senso è letteralmente a portata di
mano, in ogni momento, nel più semplice e
quotidiano dei gesti: una mano che carezza un
volto». In questa inseparabilità di diritto e giustizia si fonda di fatto la filosofia del diritto di
Mancini e il necessario trapasso del diritto nella
sfera della politica.
Ha fatto da cornice all’intero incontro urbinate una singolare mostra fotografica dal
titolo: “Don Italo: una storia al di là del
mito”, curata da una delle allieve di Mancini,
Ennia Temellini, che ha inteso rappresentare le tre anime di Italo Mancini: del filosofo,
del maestro e del sacerdote. Gli Atti del
convegno appariranno nel corso del 1995
sulla rivista “Hermeneutica” - Nuova Serie,
edita dal 1994 dalla casa editrice Morcelliana di Brescia. S.T./T.La R.
Morale e politica
Dal 3 al 7 ottobre 1994, presso la sede
dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Vittorio Hösle ha tenuto un seminario su “MORALE E POLITICA”, mettendo
in evidenza alcune problematiche connessioni ed altre insanabili divergenze
che tali concetti mostrano in seno alla
modernità, sia dal punto di vista storico-genealogico, sia da quello teoreticofondativo.
Vittorio Hösle ha esordito rilevando l’esigenza di una nuova scienza politica, diagnostica e terapeutica, che rifletta i profondi
mutamenti della civiltà occidentale dopo il
crollo del comunismo. Con il crollo delle
categorie progressive dell’Illuminismo, la
pace universale si è trasformata in violenza
esplosiva tra gli Stati, la crescita dei bisogni
ha ingenerato un’enorme povertà alla periferia del benessere, mentre l’espansione della
libertà individuale ha condotto a un diffuso
indifferentismo politico.
Dal punto di vista storico, la scissione tra
essere e dover essere nel rapporto individuosocietà si è fatta sempre più forte. Sebbene al
mondo greco mancassero gli ideali universalistici della modernità, i Greci, ha osservato Hösle, si sono interrogati per primi circa la
bontà delle varie istituzioni politiche, cominciando a legittimare il politico con argomenti morali. La teoria delle idee espressa da
Platone nella Repubblica rinviava ad una
critica dei valori della propria cultura sulla
base di un oggettivo, e non “soggettivo”,
dover-essere, modellato sul passato e radicato nelle esigenze della comunità. L’omologia platonica tra città, anima e cosmo non
lasciava spazio ad alcun finalismo storicopolitico, e faceva dipendere il valore di un
uomo dalla conoscenza razionale, che doveva essere sacrificata al bene della comunità.
Questo paradigma, ha rilevato Hösle, entra
in crisi già con Aristotele e poi con l’Ellenismo, aprendo la scissione tra eudaimonismo
morale (particolarismo) e normativismo politico oggettivo. Il pragmatismo della cultura
romana, da parte sua, porta a una giustificazione a posteriori, giuridica e immanente,
del sistema politico. Solo con il cristianesimo, come religione soteriologica, s’impone
definitivamente il divario fra morale e politica, con la svalutazione della seconda, e un
rovesciamento completo del modello greco.
Dopo l’opposizione medievale fra Stato e
Chiesa, se la Riforma contrappone alla totalità intersoggettiva la solitaria coscienza
morale, lo Stato territoriale favorisce la scollatura fra soggettività atomistica e concentrazione del potere. L’utopia di Moro e la
strategia del Principe di Machiavelli, ha
osservato Hösle, partono da un’analisi morale della società storicamente data e dalla
dissociazione che il cristianesimo ha prodotto tra etica e politica. In Machiavelli tuttavia
emerge la figura del politico, come di colui
che serve lo Stato, strumentalizzando sia i
soggetti che le procedure in vista del potere.
Assai più cogente dal punto di vista teorico,
il metodo di Hobbes porta ad una scienza
meccanicistica del politico e dello Stato,
fondata antropologicamente. L’universalismo egoistico hobbesiano sancisce un nuovo concetto di virtù politica inaugurato da
Machiavelli e basato sul diritto naturale.
All’autorità tradizionale si sostituisce la razionalizzazione giuridica dei mezzi per ottenere e conservare il potere, e per evitare la
violenza. Sul piano empirico, la morale si
distanzia dalla politica, in quanto l’egoismo
economico capitalistico offre risultati positivi per la totalità del sistema statale e la
categoria del politico viene subordinata al
suo funzionamento ottimale.
Hösle ha poi analizzato il problema moralepolitica dal punto di vista teorico, distinguendo fra “cratologia” (regole e strategia di
una lotta di “forza” per il potere) e politica
vera e propria, di cui la cratologia è solo una
57
parte. Senza cratologia, ha osservato Hösle,
non vi è politica; ma bisogna respingere la
riduzione della morale a cratologia nell’ambito della politica occidentale. Gli scopi e le
competenze richieste dall’azione politica
implicano la capacità “morale” di decidere
per il benessere comune e di mediare oltre la
logica ristretta di uno Stato o di un gruppo di
potere. L’etica, ha fatto notare Hösle, può
argomentare riflessivamente sulla moralità relativa di un’azione politica o di uno Stato e
fondare la filosofia politica sulla filosofia del
diritto, stabilendo la legittimità morale di “ogni”
azione politica relativa. In questo senso essa si
distingue dalle scienze sociali, che descrivono
fenomenologicamente la politica.
Richiamandosi a Kant, Hösle ha posto l’accento sui problemi dell’etica normativa, che
ha bisogno, per realizzarsi e operare storicamente, della comunicazione e della persuasione. Per questo sono necessari una “mediazione” tra universalismo etico e rigoroso
intenzionalismo kantiano, una “conciliazione” tra etica kantiana ed etica utilitaristica. Il
principale difetto dell’universalismo etico è
l’astrazione dal particolare in virtù dell’idea
di giustizia. Il formalismo etico non si preoccupa della distinzione asimmetrica tra doveri perfetti e imperfetti, come anche delle differenze
tra individui che hanno una rilevanza morale. Il
principiodigeneralizzabilità, haosservatoHösle,
essendo relativo e ipotetico, non è sufficiente a
fondare l’etica; mentre le relazioni emozionali
fra soggetti sono compatibili con l’universalismo etico e con una metafisica della vita.
Secondo Hösle si può relativizzare l’idea di
giustizia nella filosofia politica e proporre
un’etica materiale dei valori e dei doveri,
fornendo ad essi concetti comparativi, non
astrattamente classificatori. Contro Kant, ha
quindi sostenuto Hösle, l’etica ha bisogno
dell’esperienza, ma non viene “confutata”
dal fatto dell’esperienza. Piuttosto, la problematicità della definizione di un soggetto
morale, l’insondabilità della vita interiore, la
complessità del riconoscimento intersoggettivo, le barriere culturali indicano invece
l’emergenza di una capacità ermeneutica
all’interno dell’etica. L’ermeneutica consente
all’etica di porsi il problema della comprensione dell’altro, della sua diversità morale
nel medio della comunicazione, e di colmare
parzialmente quel divario tra complessità
dei mezzi e lontananza dei fini, che caratterizza il mondo contemporaneo.
Hösle ha infine analizzato alcuni problemi
strategici e cairologici concernenti l’azione
politica in rapporto alla morale, facendo
riferimento alla teoria dei giochi ed a quella
delle decisioni: esse possono essere assunte
dal politico, ma con restrizioni morali e con
criteri oggettivi (seppur non deterministici) di
validità. Analogamente, non si può ascrivere al
successo il valore di un’azione politica che
richieda una decisione morale - da compiere
“prima” di poterne valutare la buona riuscita:
pragmatismo e probabilismo sono due estremi
che escludono la moralità dalla prassi politica,
anche se resta impossibile superare e sanare
completamente il divario fra le due. E.de C.
CALENDARIO
Nel marzo 1995, Reiner Wiehl ha tenuto presso il Dipartimento di Filosofia
della III Università degli Studi di Roma
un ciclo di seminari su La “psicologia
delle visioni del mondo”. Questi i
temi affrontati nelle singole sedute seminariali: 10 marzo: “La Psicologia
delle visioni del mondo tra psicologia
comprendente e filosofia profetica. Il
confronto di Jaspers con Nietzsche e la
critica neokantiana alla filosofia della
vita”; 17 marzo: “Gli atteggiamenti del
soggetto e le esperienze dell’autocoscienza. Jaspers e la Fenomenologia
dello spirito di Hegel; 24 marzo: “L’esistenza umana nelle situazioni-limite.
Ragione ed esistenza. Il kantismo di
Jaspers”; 31 marzo: “Il confronto di
Heidegger con la Psicologia delle visioni del mondo. Il confronto implicito tra
Jaspers e Heidegger.
Sempre presso la III Università degli
Studi di Roma, Language and the
construction of social reality è
stato invece il tema di un ciclo di lezioni,
tenuto nell’aprile 1995 da John Searle.
Questo il calendario degli incontri: 21
aprile: “The Building Blocks of Social
Reality”; 28 aprile: “The General Theory of Institutional Facts”; 5 maggio:
“Forms of Institutional Power”; 12 maggio: “Does the Real World Exist?”.
Informazioni: Segreteria del Dipartimento di Filosofia, via Magenta 5,
00185 Roma, tel. 06 491 632 - 491 629,
fax 06 446 2428.
•
Multimedia, medicina, felicità e solitudine: questi i temi di alcuni incontri
organizzati nel mese di maggio 1995
dalla Casa della Cultura di Milano. 4
maggio: Il multimedia è morto,
viva il multimedia, a cura di E. Mango, F. Mizzau, F. Vagliasindi; martedì 9
maggio, in occasione della pubblicazione del libro di Giorgio Cosmacini, La
qualità del medico. Per una filosofia
della medicina, si è parlato de I fondamenti filosofici della medicina,
con interventi di G. Cosmacini, G. Giorello, A. Malliani, F. Papi; martedì 16
maggio: presentazione del volume: La
felicità. Saggio di teoria degli effetti, di
Salvatore Natoli, con interventi di C.
Formentini, C. Sini, M. Vegetti; giovedì
25 maggio: presentazione del volume:
La solitudine: forme di un sentimento, a
cura di E. Morpurgo e V. Egidi Morpurgo, con interventi di S. Vegetti Finzi e F.
Petrella.
Informazioni: Casa della Cultura,
via Borgogna 3, 20122 Milano, tel 02
795567.
CALENDARIO
a cura di Luisa Santonocito
Informazioni: Istituto Italiano per
•gli Studi
Filosofici, via Monte di Dio 14,
storia economica”. Il 20 giugno si è
inoltre tenuta una tavola rotonda sul tema
“Speranze e paure della tecnica” con P.
Barcellona, F. Barone, E. Lorenzini, P.
Rossi.
Informazioni: Istituto Banfi, via
Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, tel. e
fax 0522 554360
Napoli, tel: 081 7646907.
•
In occasionedella pubblicazione dei volumi Storia del nulla di Sergio Givone e
Cristianesimo senza redenzione di V.
Vitiello, sabato 13 maggio 1995, l’Associazione Alfredo Guida Amici del
Libro di Napoli e l’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, hanno
organizzato un incontro con M.
Cacciari e B. Forte sul tema: Cristianesimo e Filosofia, presso la libreria Guida Port’Alba di Napoli.
Informazioni: Associazione Alfredo Guida Amici del Libro, via Port’Alba
19, Napoli, tel. 081 - 290768/446377
Le Centre d’Etudes du Saulchoir in collaborazionecon l’Association pour l’Etude de Catherine de Sienne ha organizzato, sabato 13 maggio 1995, una giornata
di studio su “L’extase”, phénomène
mystique et notion théologique.
Un seminario di studi è stato invece
organizzato dal Centre, in collaborazione con l’Ecole Biblique et Archèologique Francaise, su Notre victoire sur la
mort selon les données bibliques
con il seguente programma: martedì 6
giugno 1995: “Le thème de la résurrection (pensée sèmitique) en Dan 12,1-3 et
1 Cor 15,35-57”; giovedì 8 giugno: “Le
thème de l’immortalité (pensée grecque). Un compromis entre thèmes grec et
sémitique en Sag 1-9 et 2 Cor 3-5 (spécialement 5,1-8)”; martedì 13 giugno: “La
pensée de Jésus selon les quatre évangiles: résurrection ou immortalité?”; giovedì 15 giugno: “Lesapparitions du Christ
ressuscité. Conclusions, aspects philosophiques de la question”. Il seminario,
che si terrà presso il Convento di SaintJacques (20 rue des Tanneries, Parigi),
vedrà la partecipazione di M. E. Boismard.
Informazioni: Le Centre d’Etudes
du Saulchoir, 43 bis, rue de la Glacière,
75013 Parigi, tel (1) 44 08 71 97.
•
In occasione della presentazione del volume Individuo e modernità. Saggi
sulla filosofia di Hegel (Guerini e
Associati, Milano 1994), giovedì 25
maggio 1995, presso il Dipartimento di
Studi Filosofici ed Epistemologici dell’Università “La Sapienza” di Roma, si è
tenuto un incontro con R. Bodei, G.
Cantillo, F. S. Trincia, V. Verra.
Informazioni: Dipartimento di Studi Filosofici ed Epistemologici, Università “La Sapienza”, Villa Mirafiori, via
Nomentana 118, Roma.
02 809431.
Promosso dal Goethe Institut di Torino e
dal Dipartimento di Ermeneutica dell’Università degli Studi di Torino, si è
tenuto, dal 25 al 27 maggio 1995 presso
la Galleria d’Arte Moderna di Torino, un
convegno internazionale su: Romanticismo e modernità. La sessione inaugurale di giovedì 25 maggio, su “Romanticismo: teoria e storia”, ha visto
interventi di E. Beheler: “La teoria della
storia del primo romanticismo in conflitto con l’illuminismo e l’idealismo trascendentale”; O. Poggeler: “Il punto d’osservazione alto ed ampio della storia
dell’umanità. Concezioni della filosofia
della storia intorno al 180"; M. Frank:
“Ogni verità è relativa ogni sapere simbolico. Il fondamento scettico della
Fruhromantik: Jena 1796”. Venerdì 26
maggio, la seconda sessione è stata dedicata alla “Filosofia della Religione” con
interventi di H. Timm, “Dove la natura si
è fatta libertà. La religione creatrice della
Fruhromantik”, e D. Henrich, “Critica e
teoria della religione dopo Kant”. Nel
pomeriggio si è parlato di “Filosofia
dell’arte e della natura” con interventi di
G. Carchia: “Il romanticismo come concetto sistematico”; S. Givone: “Nel segno di Dioniso”. La sessione si è conclusa sabato 27 maggio con K. H. Bohrer: “Il
fantastico romantico come coscienza che
non ha più centro”, e F. Moiso: “Filosofia
trascendentale e teoria della fisica nel
romanticismo”. E’ seguita poi una tavola
rotonda su: “Romanticismo come modernità?”, a cui hanno partecipato A.
Chiarloni, P. Derossi, G. Paolini, U.
Perone, F. Vercellone, V. Vitiello, S.
Zecchi.
Informazioni: Dipartimento di Ermeneutica dell’Università degli Studi
di Torino, via San Ottavio 20, tel. 011
8125780.
•
•
•
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
in collaborazione con il Dipartimento di
Filologia Classica dell’Università di
Napoli «Federico II» ha organizzato, dal
24 al 26 maggio 1995 a Napoli, due
giornate di studio su F. A. Wolf e la
scienza dell’antichità.
Informazioni: Istituto Italiano per
gli Sudi Filosofici di Napoli, Palazzo
Serra di Cassano, via Monte di Dio 14,
Napoli.
•
Per il ciclo di incontri La tecnica e le
sue immagini, organizzato dall’Istituto Banfi di Reggio Emilia nell’ambito
del progetto pluriennale dal titolo complessivo Culture della tecnica, l’8
maggio 1995, D. Noble ha tenuto una
relazione su “Fantasie tecnologiche”; il
9 maggio M. Palazzi ha invece parlato di
“Lavoro femminile e tecnologia” e P.
Manacorda di “Tecnologia e vita quotidiana”; il 19 e il 20 giugno N. Rosenberg
e R. Giannetti hanno tenuto due conferenze rispettivamente su: “La dinamica
storica dell’Innovazione” e “Tecnica e
I.S.U. Ufficio Cultu•ra, C.soInformazioni:
di Porta Romana 19, Milano, tel.
L’AssociazioneNazionale dei Magistrati,
la Giunta Distrettuale di Napoli, l’Associazione Italiana Giovani Avvocati della
sezione di Napoli e l’Istituto per gli Studi
Filosofici di Napoli sono stati promotori
del I Seminario di studio sulla procedura penale, tenutosi da marzo a
giugno 1995, presso Palazzo Serra di
Cassano a Napoli. Sulla “Valutazione
della prova” sono intervenuti, venerdì 5
maggio: V. Albano, M. Cerabona, P.
Mancuso; lunedì 22 maggio: A. Briganti,
a. D’Alterio, L. Riello hanno discusso di
“Misure cautelari personali e reali. Impugnazioni”. La sezione di venerdì 9 giugno, a cura di S. Iovane, S. Iovino, S.
Torraca, è stata dedicata al tema della
“Esecuzione”.
•
In occasione della pubblicazione del volume Walter Benjamin lettore di Kafka
(Edizioni Unicopli, Milano 1995), giovedì 25 maggio 1995, presso la Sala
Incontri dell’Istituto per il Diritto allo
Studio Universitario dell’Università degli Studi di Milano, si è svolta una conversazione su Benjamin interprete
di Kafka con E. Agazzi, L. Bonesio, G.
Penzo, G. Scaramuzza.
58
Challenges to Law at the End of
the 20th Century è il titolo del prossimo Congresso Mondiale IVR (Internationale Vereinigung fur Rechts und Sozialphilosophie) che si tiene a Bologna
dal 16 al 21 giugno 1995. Dopo la giornata di apertura di venerdì 16 giugno, il
programma prevede le seguenti sessioni:
sabato 17 giugno: “Diritti e altre forme di
tutela giuridica”, con interventi di S. Cotta,
G. Martinez, A. Heller, A. Sen; domenica 18 giugno: “Nuove forme di sovranità
e cittadinanza”, con interventi di L. Ferrajoli, A. Bayefsky, J. Habermas, R.
Dworkin; lunedì 19 giugno: “Antiche e
nuove fonti del diritto”, con interventi di
R. Guastini, C. Choi, J. Raz; martedì 20:
“Diritto, tecnologia e ambiente”, con
interventi di V. Frosini, F. Ost, C. Alchourron, D. Bourcier.
Informazioni: CIRFID “H. Kelsen”,
Università degli Studi di Bologna, via
Zamboni 27, 40126 Bologna, tel. 051
228207-225176, fax 051 260782.
•
A cura della Università degli Studi della
Repubblica di San Marino, del Centro
CALENDARIO
Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi e della Società di Filosofia del
Linguaggio, dal 19 al 28 giugno 1995
presso l’ex monastero di Santa Chiara
nella Repubblica di San Marino, si tiene
un ciclo di lezioni su Language and
Understanding. Questo l’elenco dei
relatori e delle conferenze: R. Jackendoff
(“Conceptual semantics”; D. Marconi:
“Competence and the lexicon”), P. Jacob
(“Can semantics be naturalized?”), M.
Gnerre (“Understanding and misunderstanding: communicative startegies and
socio-cultural representations”), S. Garrod (“Language comprehension and linguistic comunication: a psychological
perspective”), T. De Mauro (“Comprendere l’incomprensione”). Sono previste
conferenze di G. Wilson, R. Simone, U.
Eco, F. Lo Piparo, G. Ferrari.
Informazioni: Università di San
Marino, Contrada Omerelli 77, 47031
Repubblica di San Marino, tel 0549
882516 - fax 882519
•
Presso l’Università Friedrich Schiller di
Jena, il 19 giugno 1995, a cura della
Internationale Schelling-Gesellschaft e
della Schelling-Kommission dell’Acca-
demia delle Scienze di Baviera, si terrà
una giornata di studio su La filosofia
del giovane Schelling, con interventi
di H. M. Baumgartner, B. Sandkaulen, L.
Huhn e M. Boenke. Avrà invece luogo a
Dubrovnik, dal 20 al 26 agosto 1995, un
Corso di lezioni su Schelling, diretto da J. Jantzen e D. Barbaric.
Informazioni: PD Dr. Jörg Jantzen,
Schelling Kommission der Bayerischen
Akademie der Wissenschaften, Marstallplatz 8, D-80539 Monaco di Baviera,
fax: 089 23031-100.
DIDATTICA
A Caracas, dal 15 al 22 luglio 1995, si
terrà il II Congresso Mondiale di Fenomenologia, promosso da The World Institute for Advanced Phenomenological
Research and Learning, in collaborazione con la Venezuelan Philosophy Society. Pur estendendosi a tutti i settori
della filosofia con una prospettiva interdisciplinare, il congresso si focalizzerà
sul tema: Phenomenology of life
and of human creative condition:
nova et vetera.
Informazioni: Professor A. Tymieniecka, 2nd World Congress, 34B Payson Rd. Belmont, MA 02178.
a cura di Riccardo Lazzari
•
Filosofia
e professionalità docente
A conclusione del Progetto ISPER,
“Filosofia e nuovi linguaggi per la
professionalità docente” (cfr., «Informazione Filosofica» n. 22-23),
sono stati pubblicati i primi due testi, che raccolgono il frutto del lavoro di due diversi gruppi di ricerca:
FILOSOFIA E LETTERATURA. FUNZIONI DELLA
•
METAFORA NEL PENSIERO DI ALCUNI POETI E
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
PENSATORI DEL ‘600 (Edizioni dell’Arco,
Via Monte di Dio 14, Napoli.
Milano 1994), con contributi di E.
Barone, P. D’Alessandro, G. Sidoni,
R. Mosconi, G. Gaviani, G. Romanelli, R. Diodato, e FILOSOFIA E MATEMATICA. LA NASCITA DELLA MATEMATICA COME
SCIENZA PURA DA PLATONE A PROCLO (a
cura di G. Sidoni, Edizioni dell’Arco,
Milano 1994), con interventi di G.
Micheli, A. Monti, G. Sidoni, G. M.
Cerquetti, M. Sacchi, A. Stellica, C.
Benzi, R. Russo, V. Contini. Seguiranno, in futuro, i testi relativi ai
gruppi di ricerca su filosofia e scienze dell’educazione, filosofia e arte,
filosofia e cinema, filosofia e storia,
filosofia e musica.
29 maggio-1 giugno 1995
Franco Chiereghin
Le aporie dell’agire
e le condizioni
di una vita buona
La dialettica della coscienza morale Gli elementi costitutivi dell’agire - I
possibili rapporti tra gli elementi costitutivi dell’agire - La vita buona.
5-7 giugno 1995
Jürgen Habermas
Erläuterungen
zum paradigmenbegriff
in der philosophie
Grundzügen des metaphysischen Paradigmas - Grundzügen des mentalistichen Paradigmas - Grundzügen des
linguistichen Paradigmas.
politico liberale nel pensiero di
Silvio Spaventa.
3-7 luglio 1995
Remo Bodei
Filosofia, ideali e vita civile
nell’Italia repubblicana
La tradizione di «filosofia civile» nella
storia d’Italia - dallo Stato etico al
partito etico: valori comuni, valori
contrastati e cultura filosofica nel dopoguerra - La Chiesa, la democrazia,
le istituzioni: idee ed ethos negli anni
Cinquanta e Sessanta - L’apertura al
mondo, il consumismo e lo sviluppo
delle comunicazioni di massa: la loro
incidenza sul pensiero filosofico - Le
ragioni dei dibattiti teorici recenti:
nuovi problemi e forme di impatto
con la mentalità e il costume.
12-16 giugno 1995
Vincenzo Vitiello
Linguaggio poetico
e contraddizione
Dialettica e linguaggio: la contraddizione risolta (Hegel) - «polla ta deina...»: il linguaggio della tragedia
(Hölderlin) - La lingua pura e i linguaggi della storia: rivelazione e traduzione (Heidegger e Benjamin) - Il
canto d’Orfeo e la parola dell’uomo
(Rilke) - Gegenwort: il linguaggio
della poesia (Celan).
10-14 luglio 1995
Imre Toth
Platone: geometria e filosofia
L’universo delle forme matematiche
e la sua conoscibilità - «Misure incommensurabili» e «ragione irrazionale» nei dialoghi platonici - L’ontologia eleatica e la critica di Platone La «diade infinita» e l’esistenza dell’infinito in atto - Eudosso e l’impatto
della filosofia platonica sullo sviluppo delle scienze matematiche.
26-29 giugno 1995
Cesare Scarano
Stato ed Economia
in Silvio Spaventa
Silvio Spaventa ministro dei
LL.PP. e la questione ferroviaria All’opposizione: la polemica con
la Sinistra Storica sulla questione
ferroviaria - Liberismo e protezionismo nella concezione spaventiana dello Stato - La crisi del sistema
17-21 luglio 1995
Domenico Losurdo
Per una rilettura di Marx
Economismo storico o materialismo
storico? (I) - Economismo storico o
materialismo storico? (II) - Ideologia, critica dell’ideologia e realizzazione dell’ideologia - La fenomenologia del potere: Marx e la tradizione
liberale - Marx e il bilancio storico
del Novecento.
Come indicano Eros Barone e Paolo
D’Alessandro nella loro “Introduzione”,
il percorso seguito nel volume Filosofia e
letteratura nasce da tre domande relative a
come sia possibile cogliere il valore conoscitivo della metafora all’interno del linguaggio specificatamente filosofico o letterario, a come si possa configurare il
rapporto tra filosofia e letteratura, cui la
metafora fa in certo qual modo da cerniera,
e se l’indagine su significato, struttura e
funzione della metafora possa risultare
strumento utile a collegare discipline diverse. Si è trattato quindi di condurre
«un’analisi filosofica dei testi letterari e
un’analisi letteraria dei testi filosofici»,
ancorate in particolare allo studio di autori
del Seicento quali Bacone, Cartesio, Tasso, Marino e Spinoza, avvalendosi sia del
metodo “semiologico-ermeneutico”, sia di
quello “storico-critico”.
Intento del saggio di Roberto Mosconi
(“La metafora in Francesco Bacone tra
progresso e utopia”) è quello di esplorare il
59
DIDATTICA
«gran mondo della messa in scena baconiana... per mostrare la ricchezza delle trovate,
delle meraviglie, il desiderio di stupire e di
rappresentare... le piroettanti esibizioni di
quell’imprevedibile funambolo che è la fantasia». Gianfranco Gavianu (“L’inventio
metaforica nel Canto XVI della Gerusalemme liberata”) intende invece portare alla
luce i «nuclei semici profondi che, agendo su
determinati terreni tematici, hanno generato,
ai diversi livelli in cui si è attuata l’inventio
mitopoietica tassiana, una ricca pluralità di
metafore-simbolo, una proliferazione-disseminazione di tropi». Eros Barone (“Le ‘strategie della seduzione’ messe in opera dal
Discours de la méthode”) ha cercato di chiarire «quale ruolo assolva il linguaggio metaforico e come si articolino fra di loro metafora e metafisica... nel testo cartesiano».
Partendo dall’«esame letterario e linguistico di
metafore presenti con ricorrente frequenza in
alcune liriche di Marino», Giovanna Romanelli (“La ‘rosa’ in Marino. Metamorfosi di una
metafora”) porta alla luce la produzione di
significati imprevedibili e il senso profondo
della metafora barocca, come invenzione di un
linguaggio dell’immaginazione. Roberto Diodato (“Immagine e metafora. Note per una
interpretazione dello scolio della proposizione
17 della prima parte dell’Etica di Spinoza”) ha
invece preso le mosse dalla celebre metafora
spinoziana del “cane” per illustrare la strategia
del testo di Spinoza e le sue straordinarie potenzialità di autointerpretazione.
Nel suo contributo a mo’ di “Prefazione” al
volume Filosofia e matematica, Maria Assunta Del Torre mette in luce come l’individuazione del mondo di cultura greco quale «punto di
partenza più valido per proporre ai docenti della
scuola media superiore il modello di analisi del
rapporto filosofia-matematica» tenga conto del
fatto che in questo modo vengono studiati autori
ben presenti negli attuali programmi d’insegnamento, benché «in un taglio diverso da quello
tradizionale». Questo significa anche, come
sottolineano Gianni Micheli e Aurelia Monti
nella loro “Introduzione” al volume, che questa
scelta è stata motivata dal fatto che «i testi in cui
si ha l’esposizione e la discussione» dei problemi studiati dal gruppo di ricerca «sono di autori
che fanno parte integrante del programma di
insegnamento della filosofia nella scuola secondaria, e quindi ben noti agli insegnanti».
Dopo un breve intervento di inquadramento
complessivo della ricerca (“Filosofia e matematica: ragioni di un dialogo”), Gianna
Sidoni propone una sintesi del Commento di
Proclo al I Libro degli Elementi di Euclide,
cui fa seguito una presentazione e una sintesi
dell’excursus storico di Proclo sulla geometria euclidea (tratto dal prologo al medesimo
Commento) a cura di Grazia Maria Cerquetti. La scelta del Commento di Proclo si
giustifica per il fatto che ha costituito dal V
secolo d.C. fino alle soglie dell’età moderna
un riferimento importantissimo per la conoscenza matematica nella nostra cultura occidentale. In particolare, dall’excursus storico
viene alla luce la coscienza che la tarda antichità
ebbe degli sviluppi della razionalità propria del
sapere della geometria greca e la consapevolezza della radicale diversità di questa rispetto al
sapere matematico degli Egizi. Martino Sacchi ha svolto un’analisi sulla “Matematica
nella Repubblica di Platone”, riportando ampi
passi del testo platonico; mentre Adriano
Stellica ha svolto una analisi della “Matematica nel Menone di Platone”. Segue un intervento di Carlo Benzi su “Geometria e proporzioni nel Timeo di Platone”.
Altri interventi esplorano i temi relativi alla
“Concezione della scienza e gerarchia del saperein Aristotele”(Rossella Russo) e al “Concetto
di matematica in Aristotele” (Valerio Contini).
Tutti i contributi sono seguiti da questionari,
percorsi di verifica e materiali di sostegno all’itinerario didattico attraverso i testi. Viene infine
presentata una proposta di intervento didattico
di V. Contini relativa ai Libri II e III della Fisica
di Aristotele. Tutto ciò fa sì che gli articoli e i
contributi che compongono il volume Filosofia
e matematica si presentino da un lato come
“inviti” alla ricerca, dall’altro come ipotesi fruibili sul piano didattico. La diffusione tra i
docenti di filosofia di questo testo può dunque
favorire lo sviluppo di un approccio più attento
ai temi del rapporto tra filosofia e scienza nei
curricula liceali. (Per l’acquisizione di questi
volumi, ci si può rivolgere all’IRRSAE Lombardia, via Leone XIII, 10, 20145 Milano, o
direttamente alle Edizioni dell’Arco, via Meravigli, 18, 20123 Milano, tel. 02/466695.) R.L.
Filosofia, formazione,
professionalità
Con il titolo: FILOSOFIA, FORMAZIONE, PROFESSIONALITÀ (Bollate-Milano 1994) è apparsa
la raccolta degli Atti dell’omonimo convegno, svoltosi dal 7 al 9 maggio 1992 presso l’I.T.C. con corsi sperimentali Erasmo
da Rotterdam di Bollate (Milano), che ha
promosso anche questa pubblicazione. Il
tema del convegno riguardava il senso
dell’insegnamento della filosofia nella
formazione dello studente di scuola
secondaria superiore e metteva a fuoco, in particolare, il contributo delle
scuole sperimentali.
Nell’“Introduzione” alla raccolta degli Atti
del convegno, Manuela Micelli e Giuseppe
Falcioni, curatori della pubblicazione, sviluppano alcune riflessioni sul titolo del convegno. Se da un lato appare consolidato da
una lunga tradizione il nesso filosofia-formazione, più incerto risulta invece quello
filosofia-professionalità. La professionalità
sembra infatti sinonimo di “massima specializzazione”, dunque di qualcosa che si pone
al di fuori dei requisiti tradizionalmente riconosciuti al sapere filosofico. D’altra parte, lo
stesso concetto di formazione merita oggi di
essere ripensato in relazione all’«irrompere
della filosofia... nella scuola di massa e negli
indirizzi tecnologici», che rende necessario,
oltretutto, lo sviluppo nei giovani di una
60
criticità nuova rispetto al passato, consapevole delle nuove tecnologie, che sollecita,
negli insegnanti, l’uso di strumenti didattici
innovativi. Sotto questo profilo, il nesso
filosofia-professionalità appare ridefinirsi
come «riflessione critica sul nesso tra scienza e tecnica, fare e pensare, poetiche degli
artisti e riflessione estetica». Alla luce di
queste considerazioni, il convegno si era
appunto articolato intorno a tre principali nuclei
problematici: 1) le riflessioni del mondo accademico e istituzionale sul problema del nesso
filosofia-formazione-professionalità; 2) l’intreccio tra filosofia e altri saperi, con particolare
attenzione ai problemi posti dalle forme attuali
della comunicazione di massa e dalle tecnologie informatiche; 3) la discussione intorno
alle esperienze didattiche maturate tra gli
insegnanti di filosofia, che operano sia nelle
istituzioni liceali tradizionali, sia all’interno
delle scuole sperimentali.
Nella loro “Introduzione”, Micelli e Falcioni
ripercorrono anche i momenti salienti dell’esperienza legata all’insegnamento della
filosofia all’interno dell’I.T.C. con corsi sperimentali di Bollate (Maxisperimentazione
ex art. 3). Scartata l’ipotesi di una dissoluzione di tale insegnamento in quello delle scienze umane, l’introduzione della filosofia avvenne inizialmente secondo criteri che non
costituivano semplicemente un adeguamento al modello vigente nell’istruzione classica. Nel corso degli anni si è passati da uno
studio di tipo interdisciplinare, attraverso seminari mensili con altre discipline, in primo luogo
storia dell’arte, musica e lingua, ad un’estensione di tale approccio all’area scientifica e al
complesso delle discipline, all’interno di una
scuola superiore che veniva configurandosi
sempre più come “liceo tecnico”.
Negli anni Ottanta sono state operate alcune
revisioni del modello formativo, in relazione
ad una progressiva riduzione di presenza
dell’area comune nel curricolo complessivo:
la filosofia è andata così sempre più a collegarsi con le aree di intervento dei singoli
indirizzi. La sua specificità veniva individuata nella capacità di “unificazione critica
dei saperi diffusi nella società” (come sottolineano gli autori, riprendendo una felice
espressione di Mario Dal Pra), precisandosi
come indagine gnoseologico-epistemologica e
come riflessione sull’etica e sulle teorie politiche. Veniva inoltre individuato il metodo storico come lo strumento più idoneo per l’insegnamento, in quanto esso «consente di cogliere il
senso del domandare e del ricercare e dà uno
spessore concreto-esistenziale alle pratiche conoscitive che una società elabora, vive e fruisce
come cultura, tecnica, arte, sapere in generale».
Nonostante l’orizzonte comunicativo semantico dei destinatari, le situazioni socio-familiari
dei giovani, le caratteristiche ambientali, per lo
più carenti di adeguati stimoli culturali, tuttavia,
fanno notare Micelli e Falcioni, «la sensibilità
“affettiva” degli studenti nei confronti di una
disciplina così “esoterica” come la filosofia è
sempre risultata piuttosto elevata». (Per l’acquisizione degli Atti, ci si può rivolgere all’I.T.C.
con corsi sperimentali “Erasmo da Rotter-
DIDATTICA
dam”, via Varalli, 24 - 20021 Bollate (Milano), tel. (02)350646/75 - fax 33300549. La
riproduzione di parti dell’opuscolo è consentita alle scuole ed enti pubblici di formazione purché venga citata la fonte.) R.L
Convegni
La riflessione sulla didattica della filosofia
è sempre stata assai viva in Italia. Prendendo le mosse dalla sua esperienza di
collaboratore al progetto di riforma dei
curricoli della scuola secondaria superiore (i cosidetti “Programmi Brocca”) Vittorio De Cesare, dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, ha ripercorso criticamente la storia dell’elaborazione dei programmi di filosofia per la scuola italiana in un
seminario dal titolo: «FILOSOFIA E DIDATTICA
DELLA FILOSOFIA DALLA RIFORMA GENTILE AI “PROGRAMMI BROCCA”», svoltosi dal 24 al 27
ottobre 1994 presso la sede napoletana
dell’Istituto.
Vittorio De Cesare ha esordito precisando
che prima della riforma gentiliana la filosofia, in Italia, era insegnata per quattro ore
settimanali negli ultimi due anni del Ginnasio/Liceo. La filosofia era quindi inserita
nella scuola italiana come “la” materia caratterizzante gli anni finali dell’unica istituzione che permetteva l’accesso all’Università e
di fronte all’estrema selettività del Ginnasio/
Liceo non poteva non essere concepita che
come “Filosofia per pochi”; il che condizionerà per lunghissimo tempo la riflessione
sulla sua didattica.
Nei primi due decenni del Novecento, ha
proseguito De Cesare, la scuola italiana deve
però cominciare a fare i conti con esigenze di
un allargamento e di un rinnovamento delle
istituzioni scolastiche, che produrranno un
dibattito in cui verranno coinvolte pressoché
tutte le componenti culturali e politiche della
società italiana di inizio secolo, accomunate
dall’esigenza di formazione di una nuova
classe dirigente che possa superare la crisi
della società. In questo dibattito la posizione
di Croce e Gentile, ha fatto notare De Cesare,
rappresenta la trasposizione in campo curriculare della lotta contro il positivismo in
nome dell’ “unità dello spirito”. Ma mentre
la posizione di Croce sarà comunque più
aperta ed attenta all’empirico, quella di Gentile si mostrerà molto più rigida e schematica
nella sua posizione contro le discipline non
filoaofiche e, in particolare, contro le cosidette “scienze sociali”. Per Gentile l’unica
“libertà” che può essere concepita è «la
coincidenza del singolo con l’universalità
dello spirito», e chi giudica della presenza
dell’universalità dello spirito e della verità
nell’insegnamento è il concreto spirito in
atto, ovvero lo “Stato”. Sarà allora quella
filosofia che è un tutt’uno con lo Stato concretamente presente a dover decidere l’organizzazione complessiva ed i contenuti con-
creti di una “scuola dello spirito”.
Nei confronti della soluzione gentiliana, basata
sulla identificazione immotivata e non argomentata di filosofia e Stato, di libertà e autorità,
Vittorio De Cesare ha fatto valere la critica di
Marx ai concetti della logica hegeliana: idee
eccessivamente astratte che proprio perciò tendono a trasformarsi nei loro corrispettivi empirici, addobbati di una pseudouniversalità. La
fortuna storica della scuola gentiliana può essere forse ricercata proprio in questa sua duttilità
a piegarsi alle idee politiche e religiose dominanti. Le idee gentiliane si traducono in realtà
concreta quando Gentile diviene Ministro della
Pubblica Istruzione del governo fascista. Egli
decide che il processo di autosviluppo dello
spirito non è compatibile con programmi di
“insegnamento”, per cui egli si limita a definire
dei programmi di “esame”, in cui invital’allievo
a “fare” concretamente filosofia attraverso la
discussione dei classici del pensiero. La storia
della filosofia non è di per sé materia di esame,
poiché lo sforzo notevole richiesto al candidato
sarà quello di fare filosofia attraverso l’esposizione e il commento dei testi.
A questa impostazione, ha fatto notare De
Cesare, il Ministero della Pubblica Istruzione postgentiliano risponderà da un lato attenuando la rigorosità dei programmi d’esame
e accentuando l’aspetto storico dell’insegnamento, dall’altro imponendo in particolare all’insegnante di filosofia di non abbordare tematiche che potessero «turbare o
mettere a disagio la coscienza religiosa e
morale dell’alunno». Il rapporto sempre più
stretto del fascismo con la gerarchia cattolica
comporterà difatti la sempre più accentuata
necessità che l’insegnamento della filosofia
non entri in contrasto con quello della religione,
introdotta dopo il Concordato anche nelle scuole superiori. I “ritocchi” alla riforma Gentile
culminano nel 1936 con il rovesciamento dell’impostazione gentiliana dell’insegnamento
della filosofia: se nei programmi gentiliani
“d’esame” il candidato doveva conferire su una
serie di testi classici, accorpati per problemi e da
inquadrare storicamente, nei programmi “d’insegnamento” del 1936, ha rilevato De Cesare, il
sommario di storia della filosofia diveniva invece centrale e i classici, ridotti ad uno per anno, un
dato di puro contorno. Per quanto paradossale,
l’impiantocomplessivodei programmi del 1936
sopravvive anche alla revisione che ne viene
fatta nel 1944 da parte di una commissione
istituita dal governo alleato.
I primissimi anni Cinquanta vedono una
proposta di riforma dell’insegnamento della
filosofia da parte di una “Consulta Didattica
Nazionale”, che tende a sostituire l’insegnamento storico della filosofia con un insegnamento problematico; questa proposta, ha
osservato De Cesare, si inquadrava all’interno di una campagna del pensiero cattolico
contro l’insegnamento storico della filosofia
e a favore di una ripresa dell’insegnamento
tomistico. Gli anni Sessanta e Settanta vedono la proposta del “Centro Didattico Nazionale per i Licei” di attivare per la filosofia un
insegnamento storico-problematico; nel primo anno vi sarebbe stato un insegnamento
61
propedeutico sulle strutture logiche del discorso; negli anni successivi si sarebbe attivato
un insegnamento dello sviluppo storico dei
problemi principali e delle posizioni tradizionali del pensiero filosofico. Ma la proposta che
sembrò avere in un primo momento maggior
presa fu quella di “aprire” l’insegnamento della
filosofia alle cosiddette “scienze umane”. Tale
“apertura” avviene tuttavia a discapito della
specificità della materia “filosofia”, arrivando
addirittura a mutare per alcuni anni il titolo
stesso dell’insegnamento liceale da “Filosofia e
scienze dell’educazione” a “Scienze umane”.
Quest’ultimo avvenimento, ha rlevato De Cesare, porterà negli anni Ottanta la “Società
Filosofica Italiana” ad impegnarsi nella difesa
dell’insegnamento della filosofia. Si tratterà di
una difesa non puramente retorica e passatista, ma che anzi troverà i suoi motivi di forza
nelle ipotesi di riforma della “didattica” della
filosofia che dia a questa materia la capacità
di sviluppare in pieno le sue capacità formative nei confronti degli adolescenti. Collegato a
questo discorso è l’affermazione di una visione
“plurale” della filosofia, e in quest’ottica l’insegnamento storico della filosofia viene definitivamente rivalutato. Per la prima volta gli insegnanti di filosofia cominceranno a porsi per la
loro materia una serie di problematiche legate
alle “tecniche” educative, e in primo luogo la
distinzione tra “obiettivi cognitivi” ed “obiettivi
formativi”.
Gli anni ’90 vedono infine l’articolazione di un
progetto complessivo di riforma della scuola
secondaria superiore - il cosiddetto “Progetto
Brocca” - nel quale l’insegnamento della filosofia viene rivisitato e ad esso viene offerto un
ruolo assolutamente centrale. Il progetto in
questione, infatti, punta sulla complessiva unitarietà dell’insegnamento nelle varie articolazioni della scuola secondaria superiore, cosa
che comporta la presenza di tutta una serie di
materie comuni a tutti gli indirizzi e tra queste,
appunto, la filosofia. A questo proposito Vittorio De Cesare ha sottolineato il tentativo di
invertire l’idea che l’allargamento dell’istruzione formativa porti necessariamente ad un suo
scadimento, la scommessa, in altri termini, su di
“un’istruzione formativa di massa”. Inserendo
la filosofia, in quanto materia formativa per
eccellenza, negli indirizzi tecnici e commerciali, il “Progetto Brocca” rinnega radicalmente sia
l’idea che l’insegnamento della filosofia risulti
inutile di fronte alle necessità di indirizzi professionalizzanti, sia la tentazione passata di dissolverla in un generico insegnamento di “scienze
umane”. Il “Progetto Brocca”, ha aggiunto De
Cesare, attribuisce alla filosofia capacità formative nei confronti delle capacità critiche degli
adolescenti: la filosofia non deve “trasmettere”
né valori teoretici, né tanto meno etici, ma
offrire gli strumenti per “giudicare” all’interno
della pluralità di tali valori. Il raggiungimento di
un tale obiettivo ha portato gli estensori del
progetto ad esplicitare tutta una serie di puntigliose e utilissime indicazioni didattiche, rivolte
in primo luogo alla capacità di comprensione
del testo filosofico, divenuto (o meglio ritornato
ad essere) “l’oggetto principale dell’insegnamento di filosofia”. E.V.
STUDIO
STUDIO
Storia dell’astronomia
e della cosmologia
Lo studio di John North,
ASTRONOMY
AND COSMOLOGY (Fontana, Londra 1994),
ripercorre storicamente lo sforzo dell’uomo di conoscere l’universo e il proprio ruolo all’interno di esso. Partendo
dalle prime forme umane di osservazione dei fenomeni cosmici, l’indagine
di North prende in esame gli studi
astronomici degli egizi, dei babilonesi, dei greci e dei romani, e con l’intento di redigere una storia della cosmologia e dell’astronomia il più possibile
documentata, presta anche attenzione alle astronomie non occidentali e
giungendo a dedicare i due capitoli
conclusivi alle scoperte cosmologiche
degli ultimi cinquant’anni.
Nel suo nuovo ponderoso saggio Astronomy and Cosmology, John North ripercorre l’indagine dell’universo svolta dall’uomo in cinque millenni di storia: dalla
concezione della terra piatta a quella della
terra sferica; dalla teoria geocentrica dell’universo a quella eliocentrica. A differenza di molte altre storie della cosmologia e
dell’astronomia, che si occupano soprattutto degli sviluppi del nostro secolo, il
testo di North ripercorre con ampiezza ogni
fase del tentativo dell’uomo di comprendere la natura e la struttura dell’universo e il
suo posto all’interno di esso. In quest’ottica, l’ipotesi eliocentrica di Copernico viene presentata dall’autore solo a metà del
suo saggio solo dopo aver dato ampio spazio all’evoluzione della teoria geocentrica
di Tolomeo (nonché aver illustrato i risultati delle astronomie non-occidentali) e le
scoperte degli ultimi 50 anni occupano i
due capitoli finali.
North fa notare che tutta la storia della
cosmologia e dell’astronomia è percorsa
dal legame, o dal conflitto, con i dogmi
religiosi o astronomici delle diverse civiltà. Anche le grandi costruzioni egizie, risalenti a tre millenni prima di Cristo, sono
orientate in rapporto al Sole, una delle
maggiori divinità della civiltà egizia. Nel
VI e V secolo a.C. i Babilonesi, nell’intento
di sviluppare e sostenere le loro credenze
astrologiche, stabilirono con precisione le
effemeridi per la luna e i pianeti (tavole che
stabiliscono le coordinate degli astri a intervalli di tempo determinati ed equidistanti), i valori per il sinodico (lo spazio tra una
nuova luna e l’altra), e gli anomalistici (il
periodo tra i più vicini avvicinamenti dell’orbita della luna alla terra).
Furono i Greci, specialmente Aristotele, e
i Romani a cambiare l’orientamento della
ricerca astronomica da scienza al servizio
della religione a scienza autonoma della
comprensione dei fenomeni celesti. Tre
secoli prima di Cristo Aristotele espose
nella Fisica e ne Il Cielo teorie fisiche e
cosmologiche, che vennero considerate irrefutabili e per due millenni, cioè fino al
XVI e XVII, guidarono la conoscenza dell’uomo dei fenomeni naturali e cosmologici. Il pensiero cosmologico aristotelico fissa la posizione centrale della terra nell’universo e la credenza nella perfezione della
sfera e del cerchio. Il maggiore problema
teorico di questa concezione, osserva North,
era il movimento del sole, della luna e dei
pianeti; in particolare, non era in grado di
spiegare la retrogradazione del movimento
dei pianeti, se si suppone che essi si muovono attorno alla terra secondo orbite circolari. Questa ipotesi fu considerata una verità
indiscutibile per più di 1500 anni, poiché
Platone, con la sua autorità, affermava che
la soluzione che avrebbe dato conto delle
apparenze doveva essere trovata in funzione del movimento uniforme, ordinato e
circolare dei pianeti.
Questa impostazione di pensiero portò alla
brillante concezione geometrica dell’epiciclo: la terra è posta al centro di un cerchio
rotante - il deferente - mentre gli altri pianeti sono situati in altri cerchi - gli epicicli
- che hanno il loro centro in altrettanti punti
interni al deferente. L’origine dell’idea di
epiciclo è controversa; infatti, fa notare
North, già i pitagorici ed Eudosso avevano
formulato un modello geometrico circolare di universo, ma solo Apollonio, che
visse nella seconda metà del III secolo a. C.
, formulò una vera e propria teoria dell’epiciclo, indicando le velocità dei diversi cerchi. La sua teoria era in grado di spiegare le
apparenti irregolarità del movimento dei
pianeti, ma non riusciva a spiegare problemi minori, come la previsione di precisi
intervalli tra gli equinozi, che furono risolti
62
da Ipparco di Nicea nel II secolo a.C.. Fu
Tolomeo, nel II secolo d.C., a completare
lo schema dell’epiciclo con l’idea di equante, spiegando così il movimento del sole,
della luna e di altri pianeti attorno alla
terra. Tolomeo definì l’equante come quel
punto separato dal centro dell’orbita del
pianeta, rispetto al quale la sua velocità è
costante. La teoria tolemaica, descritta negli
ultimi quattro libri dell’Almagesto, è, secondo North, essenzialmente aristotelica.
Dei 1500 anni che dividono Tolomeo da
Copernico, Galileo e Keplero, North ci
fornisce una illustrazione che spazia in
tutto il mondo delle teorie astronomiche.
In particolare, accanto a considerazioni
sulla ricerca astronomica nel sud America,
nell’India, nella Persia, nell’Islam e nell’Europa medioevale, dell’astronomia cinese viene rimarcata l’estrema precisione
delle osservazioni e la registrazione dell’esplosione di una supernova del 1054
d.C., che fu uno dei contributi cardinali per
lo studio, svolto nel dopoguerra, della fine
dell’evoluzione di una stella.
Diversamente da quanto sostenuto da molti storici, North inizia la trattazione della
teoria copernicana affermando che l’ipotesi eliocentrica di Copernico non garantiva al suo nascere una corretta spiegazione del moto dei pianeti. Infatti, essa era già
stata proposta nel III secolo a.C. da Aristarco di Samo, ma si rivelò incapace di
rendere conto delle irregolarità del movimento dei pianeti. Copernico proponeva
di passare dall’ipotesi geocentrica a quella
eliocentrica, salvando l’intoccabilità del
moto circolare dei pianeti e rimuovendo
l’innaturalità dell’equante introdotto da
Tolomeo, dal momento che, se la terra
ruota circolarmente attorno al sole, si poteva fare a meno di esso. Tuttavia, per
salvare l’ipotesi eliocentrica, Copernico
fu costretto ad inserire una serie di cerchi,
eccentrici ed epicicli minori, che non erano né più semplici né portavano ad una
predizione più accurata di quella del sistema tolemaico. Così, a metà del XVI secolo, osserva North, la teoria eliocentrica era
ancora una ipotesi.
Determinante risultò allora il contributo
dell’astronomo danese Tycho Brahe che,
pur opponendosi alla teoria copernicana,
nel novembre 1572 osservò una stella bril-
STUDIO
lante come Venere dove non ne era mai
stata osservata una e provò che questa
nuova stella era immobile tra le stelle
fisse; in altre parole vide quella che nella
terminologia astronomica moderna viene
chiamata una supernova. Questa rilevazione di Brahe scosse dottrine teologiche,
dogmi aristotelici e credenze popolari, insinuando che asserire la perfezione e l’immutabilità delle sfere era eretico quanto
suggerire che la terra non era fissata al
centro dell’universo.
La crisi intellettuale e teologica che seguì
all’inizio del XVII secolo viene affrontata
da North combinando le osservazioni al
telescopio di Galileo e le leggi sul movimento planetario di Keplero con la distruzione della credenza millenaria nella fissità della terra al centro dell’universo e nella
sua perfezione. North individua nel processo a Galileo il punto di rottura della
sintesi tra il dogma teologico e la credenza
scientifica, sopravvissuta fino ad allora
attraverso l’era cristiana, e rifiuta l’opinione di quegli studiosi che vedono in esso un
solo esercizio intellettuale. La scoperta,
alla fine del XVII secolo, della teoria di
gravitazione universale, che fornì le basi
fisiche per la comprensione dell’universo
e lo sviluppo dei telescopi, fece sorgere
l’astrofisica, spostando l’interesse degli
astronomi verso l’universo stellare. Uno
dei giganti di questa indagine fu l’astronomo William Herschel, che scoprì con
telescopi di sua costruzione, nel 1781, il
pianeta Urano e, senza alcuna possibilità
di misurare le distanze astronomiche, fece
importantissime osservazioni sulla Via Lattea e sull’esistenza di un sistema di stelle
esterne alla galassia locale.
Ciò che caratterizza il XX secolo, conclude North, è che un numero enorme di
astronomi producono un’immensa quantità di conoscenze e di teorie, che sono
destinate però ad essere superate in tempi
brevi. Inoltre, rileva North, in questo secolo, di fronte all’indubitabilità dei risultati
ottenuti con tecnologie sempre più sofisticate, le radici dell’astronomia tornano ad
incrociarsi con quelle della religione . M.G.
L’importanza dello scetticismo
Nel suo studio,
LA STORIA DELLO SCETTI-
CISMO. DA ERASMO A SPINOZA
(Anabasi,
Milano 1995) Richard H. Popkin si propone di mostrare la funzione positiva
svolta dallo scetticismo nell’ambito
della storia della filosofia, poiché esso
costituisce un importante punto di
partenza per realizzare una costruzione del sapere scevra dal dogmatismo
e quindi critica, capace di coniugarsi
sia con una epistemologia fondata
sulla separazione della scienza dalla
metafisica, che con una concezione
religiosa di tipo fideistico.
Nel suo studio Richard H. Popkin ripercorre la storia della filosofia per individuare l’importanza che lo scetticismo ha avuto all’interno di essa, rivalutando positivamente lo scetticismo come forza propulsiva contro il dogmatismo, come arma necessaria per costruire un sapere critico,
che non rifugga dall’analisi dei dubbi, e
come fondamento teorico di una concezione religiosa di tipo fideistico contro la
pretesa di conciliare la ragione con la fede.
Con questo intento, partendo dall’esame
del periodo greco, in cui sorse il movimento scettico, Popkin giunge sino alla filosofia di Cartesio e di Spinoza, dopo aver
ripercorso il periodo del Rinascimento e
della Riforma.
Come visione teorica del mondo, lo scetticismo, sottolinea Popkin, nato nell’antica Grecia, è costituito da due correnti
principali: la filosofia scettica dell’Accademia e lo scetticismo di Pirrone.
Mentre lo scetticismo dell’Accademia,
nella sua negazione di ogni forma di
conoscenza della verità, rivela il suo
legame con il dogmatismo nella sua versione negativa, lo scetticismo di Pirrone rifiuta qualsiasi dogmatismo, sostenendo la sospensione del giudizio. Tra le
due forme di scetticismo, quella destinata a riproporsi nei secoli successivi è per
Popkin il pirronismo, dato il suo carattere critico ed antidogmatico.
Inoltre Popkin mette in evidenza come
lo scetticismo si possa collegare con una
forma di religione di tipo fideistico, opposta ad ogni tentativo di dimostrare
razionalmente le verità della fede. Questa forma di scetticismo religioso può
essere riscontrata in pensatori come Erasmo, Montaigne, La Vayer, La Peyrère,
e Simon. Così, se Erasmo sostiene un
tipo di “ragione scettica”, appellandosi
alla fede priva di fondamenti razionali,
Montaigne difende una posizione di fideismo radicale, ritenendo che il dubbio
“universale” sulla razionalità si manifesti parallelamente ad una religiosità basata su una fede che non dipende dalle
capacità umane, ma dalla grazia divina.
Dal suo canto, La Vayer viene considerato da Popkin uno scettico cristiano,
poiché si oppone, con la formulazione di
un cattolicesimo liberale, ad una religiosità superstiziosa e ad un protestantesimo fanatico. Mettendo in dubbio la paternità mosaica della scrittura, La
Peyrère si propone invece di fondare su
base scettica la possibilità di cogliere le
verità religiose. In linea con La Peyrère,
Simon manifestò tuttavia i suoi dubbi
riguardo alle origini del testo biblico e
alla sua autenticità.
Una posizione particolare all’interno
dello scetticismo è quella di Spinoza,
che fu radicalmente scettico riguardo
alla pretesa di dimostrare l’esistenza della
verità religiosa, essendo per lui la profezia religiosa solo un’ «opinione priva di
interesse», appartenente ad un periodo
63
passato. D’altra parte, Spinoza appoggiò un assoluto antiscetticismo per quanto concerne la conoscenza razionale della metafisica e della matematica: in tale
ambito lo scetticismo è solo frutto dell’ignoranza, poiché la conoscenza dell’
“idea vera ed adeguata di Dio” è in grado
di eliminare lo scetticismo. In questo
Popkin attribuisce a Spinoza il merito di
avere separato la ragione dalla teologia.
Un’altra forma di scetticismo analizzato
da Popkin è lo scetticismo “costruttivo”
e “mitigato” di Mersenne e Gassendi.
Pur riconoscendo come illusorie le pretese conoscitive di Platone e Aristotele,
Mersenne sostiene la possibilità di conseguire una forma di conoscenza radicalmente diversa, basata su ipotesi, invece che su certezze incontrovertibili.
Tale conoscenza non pretende di essere
la copia fedele della realtà e si fonda
quindi sulla separazione della scienza
dalla metafisica. Anche Gassendi elaborò, nell’ultima fase della sua riflessione filosofica, uno scetticismo costruttivo, affermando la possibilità di conoscere come le cose appaiono e non il loro
essere sostanziale.
In questa interpretazione una posizione
particolare ricopre la filosofia di
Cartesio. Questi si misura infatti, secondo Popkin, con la più distruttiva tra le
potenzialità scettiche, cioè la possibilità
che non solo le informazioni sulla realtà
esterna siano errate e illusorie, ma siano
anche ingannatrici, giungendo fino a
postulare un pirronismo totale attraverso l’ipotesi del genio maligno che mette
in crisi la stessa affidabilità delle facoltà
razionali dell’uomo. La forma assoluta
di scetticismo proposta da Cartesio consiste nel trovare una verità assolutamente indubitabile tale da non poter essere
messa in crisi da nessun pirronismo, né
umano, né demoniaco. In Cartesio, osserva Popkin, il cogito distrugge il mostro dello scetticismo e abolisce il dubbio.
L’analisi filosofica di Popkin si ferma a
Cartesio e a Spinoza. La posizione tipica
di quest’ultimo, che tende a coniugare lo
scetticismo religioso con il dogmatismo
metafisico, fu d’altra parte appoggiata
dai deisti e da molti esponenti dell’illuminismo. Solo con Hume lo scetticismo
religioso e lo scetticismo gnoseologico
trovarono un punto d’incontro. M.Mi.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
PARADIGMI
Anno XII, n. 36, settembre-dicembre 1994
Schena, Brindisi
punto di vista di una valutazione complessiva delle diversità tra le loro filosofie, ma
anche da quello di un più ampio ripensamento dei rapporti tra scienza e arte.
ARCHIVIO DI STORIA DELLA CULTURA
Parsimonia, frugalità, decoro. Sombart
e l’antropologia del “borghese virtuoso”, di I. Crispini: analisi del saggio di
Sombart, Der Bourgeois (1913), in cui
l’autore intende descrivere i mutamenti
attraverso cui è passato lo spirito economico nella storia della civiltà occidentale, passando allo “spirito capitalistico”
tipico del nostro tempo.
Anno VII, 1994
Morano Editore, Napoli
Lineamenti di Historica, di G. G. Gervinus.
Il fascicolo si apre con una breve nota dal
titolo Karl R. Popper, l’ultimo razionalista, di R. Egidi, in omaggio alla memoria di
uno dei primi collaboratori della rivista.
Tra “saggezza” e “illusioni”. La filosofia
alle soglie dell’”era ecologica”, di F. De
Natale: il rapporto tra filosofia ed ecologia
a partire dall’immagine del nesso uomonatura.
La sfida della retorica in Paul Ricoeur, di
P. Carravetta: dopo aver brevemente ripercorso l’opera del filosofo francese, l’articolo sviluppa la problematica della retorica come punto di incontro tra metodo e
teoria.
Morfologia ed aspetti sociali del sentimento nella filosofia di J. J. Rousseau, di R.
Pallavidini: l’articolo scandaglia i cinque
aspetti che può assumere il sentimento in
Rousseau, aspetti caratterizzati da un reciproco dinamismo per cui si passa da un
sentimento in natura, ad uno conflittuale
all’interno dei rapporti sociali, fino a forme
di sentimento sublimate e religiose frutto di
un processo di educazione di tipo armonicistico e comunitario.
Nietzsche e la favola, di A. Caputo: la
favola viene interpretata alla luce di tre
chiavi di lettura filosofica: la favola come
paradigma del cosiddetto “mondo vero”
che, come illusione di un assoluto, si rivela
una menzogna; la favola come emblema
del superamento della rigidità della logica
e della razionalità e apertura di nuovi percorsi per la soggettività e la conoscenza,
basati sulla fantasia; infine la favola come
progettualità di tipo utopico, come luogo di
mete che non-sono-ancora.
Individualità e conformismo in Gramsci,
di C. Mancina.
La discriminazione tra scienza ed arte: un
problema per il relativismo epistemico, di
M. De Caro: il problema della “demarcazione” in Kuhn e Feyerabend, non solo dal
La ‘Histoire’ e le sue scienze ausiliari: le
lezioni di enciclopedia delle scienze storiche nelle università tedesche durante il
Settecento, di G. Valera.
Storia della cultura e giudizio morale nella
storiografia di F. C. Schlosser, di M. Martirano.
Religione, etica e politica nel pensiero di
Ernst Troeltsch, di G. Cantillo: il rapporto
tra religione e politica si colloca all’interno
della ricostruzione storico-sistematica dell’etica cristiana, per la cui analisi il filosofo
muove comunque da considerazioni generali sull’etica, cioè da una teoria generale
dell’etica come base di un sistema etico
comprendente, programmaticamente, una
parte teoretica ed una pratica.
Catene di civiltà. La seconda fase del
pensiero di Oswald Spengler, di D. Conte:
dai volumi postumi e dall’epistolario spengleriani si evidenziano le tracce di una
grande opera della sua maturità pensata,
ma mai pubblicata, da cui emerge un recupero alla considerazione storica delle civiltà primitive, recupero incentrato proprio sul concetto stesso di civiltà, portatrice di una “forma” e quindi oggetto di
un’analisi “morfologica”. Ciò che segna
una differenza di fondo tra le due fasi del
suo pensiero è la metodologia che da prevalentemente letteraria ed artistica diviene, grazie al rapporto con Frobenius e
Meyer, etnologica e storica.
Utopia e predestinazione nella Cristianopoli di J. V. Andreä, di M. Cambi.
Teoria e prassi della storiografia in J. G.
Eichhorn, di G. D’Alessandro.
64
RIVISTA DI STORIA
DELLA FILOSOFIA
Anno XLIX, n. 3, 1994
Franco Angeli, Milano
I quattro libri sull’anima di Sorano e lo
scritto ‘De anima’ di Tertulliano, di R.
Polito: l’articolo analizza le fonti del
trattato De anima di Tertulliano, opera
di carattere materialistico che, ispirandosi alla dottrina stoica, si contrappone
alla tradizione cristiana posteriore, centrata sul principio dell’incorporeità dell’anima fondata su categorie platonicoaristoteliche. Il ricorso alla cultura pagana viene peraltro giustificata nell’ottica di una polemica antignostica. Tra le
fonti dello scritto dell’apologista è importante lo scritto del medico metodico
Sorano di Efeso, da cui Tertulliano avrebbe mutuato proprio il carattere stoico
della sua posizione.
La funzione storica della metodologia
ramista, di G. Oldrini: analisi della teoria del metodo di Ramo, filosofo del
Rinascimento, animato da tendenze praticistiche tipiche di un mondo ormai proiettato verso l’esplosione del fenomeno
del capitalismo.
Il rifiuto della distinzione tra potentia
absoluta e potentia ordinata di Dio e
l’affermazione dell’universo infinito in
Giordano Bruno, di M. A. Granada: la
concezione bruniana, per cui la manifestazione più autentica della dignità umana è rappresentata dalla contemplazione
e dalla comunione con l’universo infini-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
to, simulacro di Dio, si scontra con la
distinzione tra potentia absoluta e potentia ordinata di Dio, codificata dalla
scolastica e bollata da Bruno come blasfema e contraddittoria.
Apropositodi Platone, Aristoteleeilneoplatonismo (risposta a Franco Trabattoni), di
E. Berti.
Una nuova storia della filosofia, di G.
Giannantoni: analisi del primo volume dei sei previsti della Storia della
filosofia (Laterza, Bari-Roma) di P.
Rossi e A. Viano.
Due note kierkegaardiane, di D. Borso.
Lo sviluppo della riduzione fenomenologica: dalla filosofia dell’aritmetica a ‘Ideen’, di V. Costa: l’articolo
intende analizzare il problema della
riduzione fenomenologica, questione
oggetto di continui ritorni da parte di
Husserl, evidenziandone lo sviluppo a
partire dall’analisi psicologica della
Filosofia dell’aritmetica a quella fenomenologica delle Ricerche logiche;
un’evoluzione che va da un’idea di
evidenza di matrice cartesiana ad una
concezione ispirata al progetto monadologico di Leibniz.
L’uso dell’Index Thomisticus nello studio delle fonti di Tommaso d’Aquino:
considerazioni generali e questioni di
metodo, di E. Portalupi.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXVI, n. 3
luglio-settembre 1994
Vita e Pensiero, Milano
VERIFICHE
Tra stoicismo e platonismo: concezione della filosofia e del fine ultimo
dell’uomo in Seneca, di M. Natali: il
pensiero di Seneca non può essere ricondotto totalmente alla matrice stoica, in quanto il platonismo ha un peso
rilevantissimo non solo in campo antropologico, ma anche in merito a questioni di ordine ontologico, dal cui
intreccio emerge la posizione senecana relativa al fine ultimo dell’uomo,
inteso platonicamente come assimilazione a Dio, e al significato della filosofia come “fuga dal mondo” e anticipazione della vita dell’al di là.
Hegel e Cousin: storie di plagi e di
censure, di P. Becchi: l’articolo analizza l’evolversi dei rapporti tra Hegel
e Cousin, rapporti caratterizzati da un
progressivo rovesciamento; se inizialmente fu Hegel a imparare da Cousin,
successivamente quest’ultimo non solo
imparò da Hegel, ma approfittò della
conoscenza sua e dei suoi allievi.
Plotino, Ficino e noi stessi: alcuni
riflessi etici, di J. M. Rist: l’articolo
intende mostrare che a partire dalla
riscoperta del platonismo nel Rinascimento e dalla traduzione ficiniana delle
Enneadi hanno preso il via ricerche
relative a problemi concernenti l’uomo considerato non solo come fatto
fisico, ma come agente di scelta e come
identità personale in rapporto a norme
etiche oggettive.
Analogia della legge, di A. Vendemiati:
uno studio del posto e della funzione
della legge, con le relative implicazioni
teologiche, in S. Tommaso.
La grammatica ed il problema degli
universali nel Medioevo cristiano, di
E. Bertola: l’articolo vuole mettere in
evidenza come il problema degli universali, senz’altro una delle questioni
più dibattute del Medioevo cristiano,
si leghi alla grammatica sia dal punto
di vista genetico, sia dal punto di vista
dei reciproci rapporti.
Anno XXIII, n. 3-4/1994
Esedra, Trento
Il tempo nella Naturphilosophie di
Hegel, di G. Erle: la questione del
tempo in Hegel, riassumibile nella tesi
secondo cui il tempo è caratterizzato
da un essere che mentre è, non è e
mentre non è, è, va da un lato collocata
all’interno del sistema e del movimento dialettico, dall’altro, definito il tempo come “unità negativa”, opera in
maniera dialettica all’interno di tutta
la “Filosofia della Natura”.
Croce critico di Hegel: la filosofia
della storia, di F. Biasutti: il rapporto
di Croce con Hegel è stato caratterizzato da un lato dall’assorbimento del
pensiero di Hegel, dall’altro da una
critica ed una confutazione di tesi hegeliane, soprattutto per quanto riguarda la filosofia della storia; di Hegel,
Croce critica la negazione dell’autonomia della storiografia, il conseguente “disprezzo” per gli storici professionisti e la riduzione della storia ad
una costruzione “a priori”.
Il soggetto della scienza fisico-matematica di Galileo, di L. Congiunti: la
riflessione galileiana si manifesta spesso attraverso forme espressive orientate verso la retorica, tra cui particolarmente rilevante appare la figura
della maschera, cioè la “finzione”.
65
Dietro la nozione di maschera è possibile tuttavia individuare uno spessore
teorico preciso, una riflessione sulla
nozione e sull’azione del soggetto nel
sapere fisico-matematico.
Il linguaggio della libertà in ‘Enneadi’ VI, 8, di L. Spataro: l’analisi plotiniana della libertà come costituita da
una struttura ontologica originaria, che
lega individuo e realtà.
Le “Vorlesungen” hegeliane sulla storia della filosofia: a proposito di una
recente edizione, di I. Fabiani: l’edizione delle Volesungen curata da Jaeschke (Meiner, Amburgo).
La concezione hegeliana del Cristianesimo, di G. Bonacina: il ruolo del
Cristianesimo nella storia come necessità, secondo Hegel, e la posizione
dei teorici del Cristianesimo a lui posteriori.
Le condizioni del pensiero post-metafisico secondo Habermas e la riflessione teologica, di M. L. Perri: viene
qui preso in considerazione il saggio
del teologo H. Peukert, Agire comunicativo, sistemi di accrescimento del
potere e illuminismo e teologia come
prog etti incompiuti , conten uto in
A.A.V.V., Habermas e la teologia
(Queriniana, Brescia 1992).
AUT AUT
n. 264, novembre-dicembre 1994
La Nuova Italia, Firenze
Tema della rivista: “L’epoca della psicoanalisi?”
Il sospetto e la diffidenza, di M. Trevi:
l’articolo pone la questione se la psicoanalisi possa essere considerata come la cifra
caratteristica del nostro secolo. Benché,
secondo l’autore, il suo influsso sull’arte e
sulla letteratura sia per ora molto limitato,
tuttavia deve essere preso in considerazione il contributo di sospetto rispetto alle
certezze dell’uomo che essa ha introdotto.
La psicoanalisi demitologizzata, di G. Jervis: il rapporto tra pratica analitica e principi della sua filosofia.
La psicoanalisi ha fatto epoca?, di A. Sciacchitano: la psicoanalisi vive ancora nell’epoca della scienza come figlia di essa.
La psicoanalisi e la psichiatria, di E.
Borgna: la psichiatria antropologica e
fenomenologica si costituisce come psichiatria dell’intersoggettività e si confronta praticamente e teoricamente con
la psicoanalisi.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Fantasmi della civiltà, di J. Hillman.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Opinioni di un resistente. Sulla psicanalisi come pratica culturale, di A.
Dal Lago: la funzione culturale della
psicoanalisi è la riduzione del mondo
alla coscienza.
Vol. LXXI, n. 3, luglio-settembre 1994
Giuffré Editore, Milano
Geroglifico e alfabeto. Freud e il problema della metafisica, di M. Ferraris.
Il problema della definizione generale del
diritto, di L. Bagolini: la definizione generale del diritto in alcune dottrine contemporanee che presuppongono la separazione
tra diritto e giustizia.
Apologia della psicoanalisi, di A. G.
Gargani: psicoanalisi e tema filosofico
della differenza.
Fort/da. Note sull’epoca della psicoanalisi, di P. A. Rovatti: Derrida e Freud
a partire dall’opera di J. Derrida., “Essere giusti con Freud”. La storia della
follia nell’età della psicoanalisi (Cortina, Milano 1994).
Validità sintattica vs. invalidità sintattica
in Geiger, di C. A. Cabrera.
Lo stato moderno: profili storici e dottrinali, di A. Catania: il saggio vuole delineare concettualmente i tratti dello Stato
moderno, determinando anche in quale
momento storico esso si sia delineato. Viene poi fornito un profilo dottrinale dello
Stato moderno.
Il concetto di archivio: un’impressione,
di J. Derrida.
Giuridicità e durata, di V. Marinelli: il
concetto di regola, caratteristico di una
prescrizione che manifesta e realizza finalità di durata oltre una singola azione od
omissione.
IL PENSIERO
An introduction to the philosophy of Giuseppe Capograssi. Of law and politics,
di U. Pagallo.
Vol XXXIII, 1993
GEI, Roma
Kant sul fondamento cercato dell’empirico e del soprasensibile, di F. Duque: il
rapporto tra finito ed infinito in Kant
attraverso una ricostruzione dei fondamenti del suo sistema.
Inconscio, fondamento, abisso nella
‘Scienza della logica’ di Hegel, di G.
Severino.
Merleau-Ponty Bergson: un dialogo “se
faisant”, di E. Lisciani Petrini: l’atteggiamento critico di Merleau-Ponty verso Bergson nella sua evoluzione, attraverso cui è possibile rilevare un’influenza rilevante del secondo nei confronti
del primo.
L’unità della differenza in Heidegger, di
M. De Carolis: il problema del rapporto
tra le due fasi del pensiero di Heidegger
alla luce della prospettiva metodologica
dell’indicazione di quali motivazioni di
base del pensiero heideggeriano implichino la rottura e quali problemi, legati
alla riflessione sul linguaggio, incidano
su queste stesse motivazioni, imponendo la trasformazione.
L’itinerario speculativo di Bernardino
Varisco, di B. Minozzi.
Il molteplice empirico nella koinonia
dei generi. Il ‘Sofista’ di Platone, di G.
Traversa: questione centrale di questo
dialogo platonico è il problema dell’essere e della koinonia dei generi sommi e
quella del non essere e del diverso.
Performativi in Jean Louis Gardies: verità, verificabilità, vero-funzionalità, di
A. Rossetti.
Detto/dire, significazione/significatività, di S. Petrilli: le considerazioni sul
linguaggio di Lévinas in relazione al
problema dell’alterità, della relazione
interpersonale, della dialogicità.
Per una lettura “etico-politica” del pensiero di Lèvinas, di B. Gisonna.
Uccidere/nutrire: la corporeità al di fuori del concetto di R. Trovato: una riflessione sul carattere della concretezza in
Lévinas, carattere che si specifica nella
corporeità.
L’anti-umanesimo di Emmanuel Lévinas, di P. Cimmino.
La nascosta prudenza di Lévinas, di F.
Cassano: l’importanza della lezione di
Lévinas.
La critica al potere dell’identità: Lèvinas e Foucault, di J. F. Giner: il rapporto
tra due pensatori che hanno in comune la
polemica contro il logocentrismo e la
valorizzazione dell’Altro, che, secondo
l’autore, deve essere collocato nella sfera politica.
Musica e alterità: a partire da Foucault,
di J. E. Adell Pitarch.
Per Italo Mancini, di P. Grassi.
IDEE
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
n. 25, 1994
Milella, Lecce
Vol. 48, n. 4, 1994
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “Sulla traccia di
Lévinas”.
Tema della rivista: “Port- Royal”.
Mondo e non-indifferenza, di A. Ponzio: un ripensamento della struttura
speculativa della filosofia di Lévinas
attraverso la nozione di “mondo” nel
confronto con quelle di morte, scandalo e buona coscienza.
Per un’etica della responsabilità come
dia-cronia e an-archia, di M. Signore.
Cittadinanza e trascendenza del volto, di
F. Fistetti: la riflessione politica di Lévinas.
La philosophie d’Antoine Arnauld, di A.
R. Ndiaye: l’originalità del pensiero di Arnauld rispetto al cartesianesimo sta nella
questione delle idee; egli infatti elabora
una filosofia delle idee come teoria della
comunicazione, anche se non si tratta di
una trattazione sistematica ed essa viene
posta comunque costantemente in rapporto
alle sue prospettive teologiche, morali e
pastorali. L’articolo si sviluppa attorno a
tre punti: la creazione delle verità eterne, la
distinzione tra ragione e fede, i rapporti tra
idee e segno.
De Husserl a Lévinas: un autre discours
sur L’Europe et la philosophie de l’histoire, di G. E. Sarfati: il confronto
Husserl-Lévinas sul tema dell’Europa in
chiave filosofica, tema legato alla filosofia della storia ed alla crisi della modernità e della teodicea.
Dualism and occasionalism, di S. Nadler:
la posizione di Arnauld in rapporto al dualismo cartesiano ed all’occasionalismo.
L’umanesimo di Lévinas e l’incontro a
Davos, di X. Antich: rilettura dell’eurocentrismo e dell’umanesimo di Lévinas.
Arnauld et Pascal, di M. Le Guern: l’influenza di Arnauld su Pascal è rilevante,
in particolare per quanto riguarda la rifles-
66
Arnauld et Malebranche, di C. Senofonte: il dibattito tra Arnauld e Malebranche
in merito alla questione delle idee.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
sione sul problema della grazia e la lotta
contro una moralità non rigorosa. Limitata
risulta invece l’influenza di Pascal su Arnauld, che si risolve in una certa concezione e pratica della retorica ed alla teoria
della fede umana.
A propos de l’analyse des jugements
universels dans la Logique de Port-Royal,
di R. Schmit.
filosofo ad affermare l’ateismo di principio della filosofia ed a sottolineare la positività della scienza teologica. Dopo la svolta
e l’anticristianesimo acuto che caratterizza questo periodo, la dimensione del sacro
riappare e dopo aver mostrato la struttura
ontoteologica fondamentale della metafisica, Heidegger distingue nettamente la
teologia della fede dalla theiologia del
pensiero.
Du calcul des idées à las sémantique
formelle, di M. Dominicy: questi ultimi
due articoli analizzano i problemi e la
modernità della logica di Port-Royal.
De l’Esprit, di P. Ricoeur: il termine spirito
designa qui il dinamismo che anima il
desiderio di verità, il potere d’agire in campo pratico ed i sentimenti morali di base.
Urgence kérygmatique et délais herméneutiques, di J. Y. Lacoste: il confronto tra
le ragioni filosofiche e quelle teologiche.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Tomo 92, n. 2-3, maggio-agosto 1994
Institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
Tema della rivista: “Fede e filosofia”.
La preuve anselmienne de l’existence de
Dieu est-elle un argument “ontologique”?,
di J. Mc Evoj: l’articolo analizza le recenti
valutazioni della prova anselmiana condotte da R. Sokolowski, G. E. M. Ascombe, J. L. Marion.
Contribution au problème du lien ontothéologique dans la démarche métaphysique de S. Thomas D’Aquin, di G.
Gérard: a partire da un’analisi della determinazione tomista della metafisica
come scienza dell’essere che contemporaneamente include Dio come causa prima dell’essere stesso, l’articolo vuole
dimostrare la tesi dell’identità in Dio di
essenza ed essere. Ciò si presta ad una
duplice interpretazione: da una parte Dio
sarebbe l’essere necessario per sé che
non può non essere, con la conseguenza
che il termine “essere” esprime adeguatamente cio che Dio è; accanto a questa
interpretazione positiva ne emerge tuttavia un’altra negativa, secondo cui l’approccio metafisico a Dio come essere
stesso, lungi dal fornire una quasi definizione di Dio, esprimerebbe piuttosto la
nostra ignoranza su di lui.
Foi et philosophie selon Schleiermacher,
di E. Brito: l’articolo analizza il rapporto
tra filosofia e fede in Schleiermacher attraverso il rapporto tra filosofia e religione,
maturato dopo Dialektik, quello tra teologia e filosofia in Kurze Darstellung, quello
tra morale filosofica e morale cristiana in
Ethik e Christichle Sitte.
Heidegger et la theologie, di F. Dastur:
Heidegger stesso dichiara che i suoi studi
di teologia sono stati all’origine del suo
interrogare filosofico. Il periodo che precede e che segue immediatamente la pubblicazione di Essere e Tempo, distinguendo
radicalmente tra pensiero e fede, porta il
Philosophie et acte de foi chrétien, di R.
Sokolowski: la fede cristiana come virtù e
azione e il confronto tra gli atti propri della
virtù naturale.
Le projet philosophique et la foi chrétienne, di J. Ladrière: pur evocando la differenza radicale che separa il progetto filosofico
dalla fede cristiana, l’articolo si domanda
che cosa spieghi l’interesse di una gran
parte della tradizione cristiana accordato
alla filosofia.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
Le problème de la connaissance dans la
doctrine philosophique de F. H. Jacobi,
di L. Strauss: la tesi di L. Strauss, scritta
sotto la direzione di Cassirer nel 1921 ad
Amburgo.
L’anthropologia in nuce de Kant et Hamann, di M. Cohen-Halimi: la comparsa
nel 1764 di un uomo definito “selvaggio”
nelle foreste di Königsberg fornisce a Kant
e a Hamann l’occasione di un confronto dei
loro punti di vista sull’intellegibilità della
naturalità e della fattualità umana. Emergono qui due posizioni contrastanti: l’interpretazione teologica di Hamann e
quella in nuce, di Kant, dell’applicazione
del metodo sperimentale all’antropologia.
Max Weber et le néo-kantisme. Pour une
politique de la modernité, di C. Piché:
l’etica della politica di Weber ci indica che
la” convinzione” costituisce un elemento
tanto essenziale della condotta umana quanto il sentimento di responsabilità. La filosofia neokantiana dei valori fornisce uno
strumento teorico per l’elaborazione della
sociologia.
Le sphinx de la connaissance: Husserl et
l’énigme de l’a priori corrélationnel, di W.
Miskiewicz: le figure principali del Korrelationsgedanke di Husserl nella prospettiva aperta dai corsi sulla teoria del significato del 1908.
Histoire, mémoire et oubli chez Walter
Benjamin, di J. M. Gagnebin.
n. 3, luglio-settembre 1994
PUF, Paris
La cosmologie contemporaine doit-elle
intéresser les philosophes?, di J. MerleauPonty.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
Logique et existence, di X. Verley: dopo
Kant i logici hanno ridotto l’esistenza ad un
predicato che non può che essere pensato
nella cornice della generalità. Esso non ha
senso che relativamente al formalismo scelto; resta esteriore all’individuazione vera
ed è difficile da pensare a partire da un
universo simbolico.
Tema della rivista: “Filosofia inglese”.
Quine, le continuisme e la fin de l’épistemologie néo-positiviste, di J. Largeault.
L’analyse philosophique selon G. E. Moore,
di R. Daval: la rivalutazione dell’opera di
Moore, spesso ignorata in Francia, alla luce
di un’accentuazione del termine “analisi”
nella sua valenza di analisi filosofica.
L’ontologie de la specificité, di E. Martineau:
la presenza del concetto di specificità nella
riflessione contemporanea.
luglio-settembre 1994
PUF, Paris
Le Bien est-il indéfinissable? Le point de
vue d’Aristote dans sa critique contre l’idée
platonicienne du Bien. A propos des ‘Principia Ethica’ de G. E. R. Moore, di F. Bravo:
le argomentazioni logiche di Moore relative
alla determinazione del termine “buono”.
Aspects de la métaphore chez Thomas
Hobbes, di M. Labrune: l’articolo intende
delineare condizioni e limiti dell’uso della
metafora in Hobbes.
REVUE DE METAPHYSIQUE
ET DE MORALE
Vol. 99, n. 3, luglio-settembre 1994
Armand Colin, Paris
Tema della rivista: “Filosofi tedeschi”.
67
Note sur la distribution baconienne des
sciences et l’Encyclopédie, di F. Vert.
Remplissement et accomplissement. Etude
critique sur l’évidence chez Husserl, di P.
Guillamaud.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Vol. XXXIV, n. 3, settembre 1994
Fordham University, New York
Objects of representations and Kant’s
second analogy, di S. M. Bayne: la strategia utilizzata da Kant per dimostrare la
causalità.
Souls, attunements and variations in degree: ‘Phaedo’ 93-94, di J. D. G. Evans:
la questione dell’identità personale in
Platone.
Two perspectives on Kant’s appearances
and things in themselves, di H. Robinson:
la questione dell’idealismo in Kant a partire da un confronto con Berkeley.
Intentionality and the imperative, di A.
Lingis: riflessioni e difficoltà su imperativo e intenzionalità cognitiva in Heidegger
e Merleau-Ponty.
Form and content in Kant’s aesthetic: locating beauty and the sublime in the work
of art, di K. Pillow.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Begriffsgeschlichtliches zur Theodizee, di
C. F. Geyer: il problema della teodicea in
Leibniz, Kant, l’idealismo, Schopenhauer
e Hartmann, il neokantismo e la teologia
naturale.
RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVIII,
What have we learned from ontological
devil-arguments?, di D. F. Haight.
Galileo’s infinished case and its cartesian
product: method, history and rationality,
di D. J. Balestra: il contributo galileiano
alla nascita del metodo della scienza, in
rapporto alle tesi di Copernico ed alla luce
di un particolare modello di argomentazione razionale.
Hume as classical moralist di M. A. Martin: la posizione del sistema morale di Hume
in rapporto alla morale di epicurei, stoici,
scettici e platonici.
Merleau-Ponty’s ontological quest, di W.
J. Hurst: un’analisi delle principali nozioni
ontologiche di Merleau-Ponty.
Fundamental ontology and existential
analysis in Heidegger’s ‘Being and Time’,
di M. Miles.
Transcending the human: a kierkegaardian reading of Martha Nussbaum, di R. L.
Hall: la dialettica di Kierkegaard può
essere colta alla luce di una prospettiva
ermeneutica quale quella dell’americana
Martha Nussbaum.
Kant’s society of nations: free federation
or world republic?, di G. Cavallar: la teoria politica della libera federazione di Stati
ben si accorda con la filosofia morale
kantiana.
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE
FORSCHUNG
Vol. 48, n. 4, ottobre-dicembre 1994
V. Klostermann, Frankfurt a/M
Wozu noch erste Philosophie? Über
das Wechselverhältnis von Subjectivität und raumzeitlicher Einzelnheit, di
A. F. Koch.
Karl Marx und die soziale Wirklichkeit,
di M. Epple: l’analisi marxiana della
realtà sociale attraverso la descrizione del mondo sociale e dei suoi conflitti.
In welchem Sinne ist die Identität eine
Äquivalenzrelation?, di U. Pardey: la critica al concetto di identità nell’analisi logica
del linguaggio.
Boethius und die Tradition, di E. Sonderegger: la posizione di Boezio all’interno di
una molteplicità di tradizioni culturali e
filosofiche.
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Vol. XXXII, n. 3, luglio 1994
Washington University, St. Louis
Synthesis and the content of pure concepts
in Kant’s first critique, di J. M. Young: alla
luce di considerazioni non eziologiche, ma
logiche ed epistemologiche, viene qui analizzata la questione della sintesi nella Critica della ragion pura.
The trascendental deduction and skepticism,
di S. Engstrom: se al centro della deduzione trascendentale c’è il rifiuto dello
scetticismo, ci si chiede qui di quale
scetticismo si tratti, tenendo presenti i
due tipi di scetticismo, quello cartesiano
e quello humeano.
ARCHIV FÜR GESCHICHTE
DER PHILOSOPHIE
Vol. 75, n. 1, 1993
Walter de Gruyter, Berlin, New York
The homonymy of the body in Aristotle, di
C. Shields: la concezione ilemorfica di
anima e corpo, il rapporto tra le funzioni
tipiche del corpo umano vivente e quelle di
un corpo morto.
Aristotle’s measure doctrine and pleasure,
di P. Gottlieb: l’Etica nicomachea in relazione al problema del rapporto tra bene
reale e bene apparente; il confronto con
Protagora.
68
n. 4, ottobre-dicembre 1994) presenta
due articoli sulla lettura gentiliana di
Rosmini ed un intervento di S. Porrino,
Hegel: la riscoperta dell’ortodossia cristiana (seguito del fascicolo precedente).
IL VERRI (n. 3-4, settembre-dicembre 1994,
Mucchi Editore, Milano) pubblica una
serie di poesie postume di Giuseppe
Raimondi che vanno dal 1924 al 1982 e
che si affiancano all’opera narrativa dello scrittore.
NUOVA CORRENTE (n. 113/1994, Til-
gher, Genova) pubblica una serie di
saggi sul tema: “Il saggio nel Novecento italiano”.
TEOLOGIA (Anno XIX, n. 3, settembre
1994, Glossa, Milano) presenta un articolo
di I. Biffi su Figure medievali della teologia: la teologia in Sigieri di Brabante e
Boezio di Dacia.
NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE
(Anno XII, n. 2-3, 1994, Nuova Eri,
Roma) raccoglie le relazioni del ciclo di
conferenze tenuto a Forlì nell’autunnoinverno 1993-94 dal titolo: “Scienza e
tecnica nel Rinascimento”. Al centro
della riflessione sta il problema della
valutazione di continuità e differenze
nei concetti di “scienza” e “tecnica” nel
corso del divenire storico delle civiltà.
All’interno di questo contesto la cifra
caratteristica del Rinascimento è costituita dall’intreccio profondo tra sapere
scientifico e sapere umanistico, poi separati dalla modernità. Ciò determina un
continuo scambio tra ambiti culturali
diversi che investe proprio la tematica al
centro della discussione; interessanti in
quest’ottica, tra gli altri, gli interventi
dedicati al rapporto tra tecnica e poesia
in Ariosto e Tasso e tra tecnica, scienza
e filosofia in campo musicologico.
STUDI SCIACCHIANI (Vol. X, n. 1-2,
1994, L’Arcipelago, Genova) pubblica un lungo saggio di A. Modugno dal
titolo: Intelligenza e ragione. La struttura dell’antropologia metafisica di
Sciacca (I).
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA.VV.
Philosophie chinoise
Minuit, gennaio 1995
pp. 95, F 59
Il volume contiene capitoli sui seguenti argomenti e dei seguenti autori: Tchouang-Tse; Ts’i wou-louen:
“Que tous le discours se valent”; JeanFrançois Billeter: “Arrêt, vision et
language: essai d’interpretation du
Ts’i wu louen de Tchouang-Tse”;
Anne Cheng: “Li, ou la leçon de choses.” Si tratta di specialisti del settore.
AA.VV.
Plato to Nato:
Studies in Political Thought
Penguin, febbraio 1995
pp.224, £ 6.99
Si tratta di una raccolta di quattordici
saggi sul pensiero politico. Gli argomenti spaziano da pensatori come
Platone, Machiavelli, Hobbes, Locke,
Rousseau e Marx, fino alle concezioni di filosofi come Herbert Marcuse e
Hannah Arendt.
AA.VV.
Metzler Philosophen Lexikon.
Dreihundert
biographisch-werkgeschichtliche
Porträts von den Vorsokratikern
bis zu den Neuen Philosophen
Metzler, febbraio 1995
pp. 300, DM 39,80
AA.VV.
Il realismo pragmatico
di Hilary Putnam
a cura di M. Ostinelli
Liguori, gennaio 1995
pp. 199, L. 22.000
L’influenza del modus analyticus,
che ha positivamente caratterizzato la filosofia americana a partire
dagli anni trenta, è ancora molto
forte ma alcuni elementi nuovi sono
apparsi; altri lasciano intendere che
una nuova stagione è forse venuta
per la filosofia del pragmatismo.
Tra i più convinti sostenitori della
bontà di questa impresa vi è appunto Putnam. Questo volume, che
nasce da un seminario promosso a
Lugano dalla Società filosofica
della Svizzera italiana, ne esamina
e approfondisce alcuni aspetti particolarmente controversi.
Abelardo, Pietro
Etica
Mondadori, marzo 1995
pp. 192, L. 16.000
La dottrina etico-filosofica di uno dei
più acuti e spregiudicati filosofi del
medioevo cristiano.
Addelson, Kathryn Pyne
Moral Passages: Notes toward
a Collectivist Moral Theory
Routledge, gennaio 1995
pp. 256, £ 11.99
Questo lavoro unisce filosofia, teoria
femminista e sociologia, allo scopo
di esaminare i problemi sociali e
morali. Il principio che è alla base di
questo saggio è che il sapere e la
moralità sono generati dall’azione
collettiva e che essa fissa il principio
in opposizione alle teoria individualiste dell’etica.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Adinolfi, Massimo
La deduzione trascendentale
e il problema della finitezza
in Kant
Esi, febbraio 1995
pp. 190, L. 28.000
Saggio che, a partire dagli esiti epistemologici e gnoseologici del
kantismo,prende in considerazione e
analizza il passaggio della Critica della
ragion pura tradizionalmente ritenuto come il “punto debole” di tutta la
costruzione sistematica del filosofo
prussiano.
Alican, Necip Fikri
Mill’s Principle of Utility.
A Defense of John Stuart Mill’s
Notorious Proof
Rodopi, dic.-gennaio 94/95
pp. 240, FOL 75
Questo libro è un’analisi approfondita, un’interpretazione ed una difesa
della nota prova di Mills, riguardante
il principio di utilità.
Amadio, Carla
Fichte e la dimensione estetica
della politica
Guerini, febbraio 1995
pp. 128, L. 25.000
Le posizioni di Fichte relativamente
ai rapporti tra riflessione estetica, filosofia e politica.
Adorno Th.W. Archiv (a cura di)
Frankfurter Adorno Blätter
vol. III
Edition Text & Kritik
dicembre-gennaio 94/95
pp. 160, DM 35
Centro del libro è la ricezione di Beckett da parte di Adorno, insieme al
suo impegno per lo scrittore. Vengono anche pubblicati undici aggiunte
alle Gesammelte Schriften ed un contributo, apparso sotto lo pseudonimo
Castor Zwieback, dal titolo Surrealistische Lesestücke.
Ankersmit, F.R.
History and Tropology.
The Rise and Fall of Metaphor
California UP, febbraio 1995
pp. 256, $ 48
L’autore, rispondendo ai lavori di
Hayden White, Arthur Danto e Hans
Georg Gadamer, esamina argomenti
come la differenza tra la rappresentazione storica e l’espressione artistica,
lo status della metafora nella descrizione storica e la relazione del postmodernismo con lo storicismo.
Akerma, Karim
Soll eine Menschheit sein?.
Eine fundamentalistische Frage
Junghans, febbraio 1995
pp. 94, DM 28
Aristotele
Traité du temps
tr. e a cura di C. Colbert
Kimé, gennaio 1995
pp. 128, F 100
Con Aristotele, l’interrogazione sulla natura, sviluppata nella Fisica, mostra un nuovo aspetto. Si sposta e si
sviluppa all’orizzonte del movimento. Se l’essere naturale è un essere in
movimento, è anche un essere nel
tempo.
Alain
Mars ou La guerré jugée;
précédé de ‘De quelques-unes
des causes réelles de la guerre
entre nations civilisées’
Gallimard, febbraio 1995
pp. 560, F 55
Alain giudica la guerra senza dimenticarsi della storia, della rivolta, del
potere, della situazione del soldato,
del contadino o del proletario, della
violenza, della passione per la morte.
Aristotele
Politics
a cura di R. Stalley
Oxford Paperbacks, febbraio 1995
pp. 464, £ 6.99
Si tratta della traduzione inglese di
uno dei testi più importanti della storia del pensiero politico, che solleva
le questioni dell’organizzazione e del
governo delle società umane. L’introduzione esamina lo sfondo storico
e filosofico di quest’opera e la portata
che ha ancora ai nostri giorni.
Albrecht, Michael
Eklektik. Eine Begriffsgeschichte
mit Hinweisen auf die Philosophie
und Wissensschaftsgeschichte
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 771, DM 230
Algra, Keimpe
Concepts of Space
in Greek Thought
Brill, dicembre-gennaio 94/95
FOL 145
69
Arkush, Allan
Moses Mendelssohn
and the Enlightment
State Univ. of New York Press
dicembre-gennaio 94/95
pp. 320, DM 20
Questo libro situa il pensiero di
Mendelssohn all’interno della scuola leibniziano-wolffiana, nel contesto degli scritti di Kant e Lessing e
delle maggiori figure dell’Illuminismo e nel filone dell’antica tradizione ebraica.
Arndt, Andreas
Dialektik und Reflexion.
Zur Rekonstruktion
des Vernunftbegriffes
Mienre, dicembre-gennaio 94/95
DM 98
Arndt, Andreas et al. (a cura di)
Hegel-Jahrbuch 1993/94
Akademie Vlg., dic.-gennaio 94/95
pp. 500, DM 98
Questo volume, appartenente ad una
collana dedicata a Hegel e fondata da
Wilhelm Raimund Beier, contiene i
contributi di una cinquantina di studiosi di Hegel a livello internazionale. Si tratta della trascrizione degli
interventi tenuti in occasione del XIX
Congresso internazionale su Hegel,
dal tema “Stato e Diritto”, tenutosi a
Norimberga nel ’92.
Assoun, Paul-Larent
Freud, la philosophie
et les philosophes
PUF, gennaio 1995
pp. 400, F 78
Che cos’era la filosofia e cos’erano i
filosofi per il fondatore della psicoanalisi? Da un lato, Freud non ha formulato in maniera abbastanza convincente la possibilità che la filosofia
legiferi sulla scienza psicanalitica;
dall’altro, si può osservare un ritorno
costante ed il riferimento a certi sistemi che sembrano assolvere ad una
funzione necessaria all’interno dell’argomentazione freudiana. Si tratta
di un testo universitario.
Atmanspacher, H. et al. (a cura di)
Der Pauli-Jung-Dialog
und seine Bedeutung
für die moderne Wissenschaft
Springer, febbraio 1995
pp. 350, DM 78
Il volume contiene degli scritti inediti
di W. Pauli, spiegazioni e saggi di
scienziati, filosofi e psicologi tra i più
noti ai nostri giorni. I materiali affascinanti e le idee importanti offrono a
fisici, filosofi, psicologi ed altri studiosi spunti per ulteriori ricerche.
Audi, Paul
De la veritable philosophie:
Rouseau au commencement
Nouveau commerce, febbraio 1995
pp. 158, F 165
Come si impossessa il pensiero di ciò
che gli è proprio? Che incidenza avrà
questa decisione sull’esistenza di un
fiolsofo? Oppure, utilizzando le parole di Rousseau, che cosa bisognerebbe essere per far sì che la “vera
filosofia” diventi “inseparabile dal
titolo di filosofo”?
NOVITÀ IN LIBRERIA
Badiou, Alain
L’essere e l’avvenimento
Melangolo, marzo 1995
pp. 560, L. 70.000
Teoria filosofica che cerca una soluzione alternativa a partire da quelle formulate rispettivamente da
Heidegger e Lacan, al problema
dell’essere e della soggettività.
Bagnoregio, Bonaventura da
Itinerario della mente verso Dio
Rizzoli, febbraio 1995
pp. 204, L. 16.000
Opera classica nella storia del pensiero teologico-filosofico del medioevo
occidentale.
Baier, Kurt
The Rational and the Moral Order.
The Social Roots of Reason
and Morality
Open Court Publ., febbraio 1995
pp. 360, £ 17
Questo testo offre delle teorie della
ragione e della moralità avanzate da
Baier nelle sue Carus Lectures. Egli
sostiene che possono essere distinti
due tipi di ragione pratica: la ragione
self-anchored (“ancorata in sé) e quella society-anchored (“ancorata nella
società”). La seconda è, per sua natura, preminente.
Barber, K.F. - Gracia, J.J.E.
(a cura di)
Individuation and Identity
in Early Modern Philosophy.
Descartes to Kant
State Univ. of New York Pr.
dicembre-gennaio 94/95
pp. 256, $ 19
Questo è il primo libro che si concentra sul problema dell’individuazione
e dell’identità nella filosofia moderna e che ne delinea in modo coerente
lo sviluppo filosofico.
Bartolommei, Sergio
Etica e natura
Laterza, gennaio 1995
pp. 240, L. 15.000
Riflessioni intorno ai problemi etici posti dalla crisi ecologica dei
nostri tempi.
Battaille, George
Teoria della religione
Se, marzo 1995
pp. 128, L. 20.000
Una intrepretazione complessiva dei
fenomeni religiosi, fondata sulla problematicità - e centralità - ancora irrisolta della presenza del male nella
storia, il male come eclisse della ragione, come perdizione.
Bauman, Zygmunt
Life in Fragments.
Essays in Postmodern Moralities
Blackwell, febbraio 1995
pp. 256, £ 14
Questo libro è il seguito dell’importante e famoso studio di Bauman,
Postmodern Ethics (1993). A partire
da Morality Without Ethics fino alle
controverse questioni della politica
post-moderna di Life in Fragments,
l’opera di questo autore è un contributo al pensiero sociale contemporaneo.
Baumartner, H.M. (a cura di)
Zeitbegriffe und Zeiterfahrung
Karl Alber, dicembre-gennaio 94/95
pp. 320, DM 78
filosofici classici e che egli non
ignora gli argomenti legati alla teoria della conoscenza: lo statuto
della metafisica, l’induzione, la
razionalità, il determinismo.
Becchi, Paolo
Il tutto e le parti. Organicismo
e liberalismo in Hegel
Esi, febbraio 1995
pp. 206, L. 30.000
Un’intrepretazione della storia delle
dottrine politiche alternativa a quella
“tradizionale”, fondata sulla contrapposizione tra teorie individualistiche
e teorie organicistiche della società.
Bradie, Michael
The Secret Chain. Evolution
and Ethics
State Univ. of New York Press
dicembre-gennaio 94/95
pp. 212, $ 15
Bradie chiarisce la posizione che
dovrebbe aver assunto o assumere
ogni studioso, dal XVIII secolo fino
ai giorni nostri, che ha qualcosa di
importante da dire sul rapporto tra
evoluzione ed etica.
Bernstein, J.M.
Recovering Ethical Life.
Jürgen Habermas and the Future
of Critical Theory
Routledge, febbraio 1995
pp. 304, £ 14
La costruzione della teoria della società critica sociale che si fonda sulla
ragione comunicativa è una delle poche invenzioni sociali realmente filosofiche degli ultimi tempi. Questo
studio elaborato e simpatetico colloca il progetto di Habermas nel contesto della teoria critica nel suo complesso passato e futuro.
Bras, Gérard - Cléro, Jean-Pierre
Pascal: figures de l’imagination
PUF, dicembre 1994
pp. 128, F 45
Si è spesso ripetuto che l’immaginazione è stata trattata come ispiratrice di errori o di falsità da parte
di Pascal. Ma l’originalità della
proposta di Pascal sta proprio nel
suo mostrare che non ci si sbarazza
mai dell’immaginazione, che è costitutiva, non solo per il mondo
sensibile, ma anche per la condizione umana con tutte le sue contrarietà.
Biemel, Walter
Gesammelte Schriften
vol. I: Schriften zur Philosophie
vol. II: Schriften zur Kunst
Froommann-Holzboog,
febbraio 1995
pp. 800, DM 80
Braude, Stephen E.
First Person Plural:
Multiple Personality
and the Philosophy of Mind
Rowman & Littlefield, gennaio 1995
pp. 320, £ 19.95
Questo testo sostiene che la maggior
parte delle interpretazioni delle personalità multiple non riescono a distinguere chiaramente alcuni stati ad
esse legati come il trance ipnotico, il
sogno, la medianità. Secondo l’autore, anche la personalità profondamente divisa ha un’unità psicologica nascosta.
Blackburn, Simon
The Oxford Dictionary
of Philosophy
Oxford UP, dicembre-gennaio 94/95
pp. 448, £ 20
Da Aristotele allo Zen, questo dizionario contiene 2500 definizioni di
concetti filosofici, dal tempo degli
antichi Greci ai giorni nostri. Ci sono
voci riguardanti quasi cinquecento
filosofi. Le prospettive moderne vengono discusse utilizzando anche termini da discipline attigue.
Braun, Bernhard
Ontische Metaphysik.
Zur Aktualität
der Thomasdeutung Cajetans
Königshausen & Neumann
febbraio 1995
pp. 220, DM 58
Cajetan legge nei testi di Tommaso
d’Aquino una posizione ontologica,
che sfocia poi nella concretezza dell’essere. Questa vicinanza al nominalismo, la simpatia per il modello empirico e lo scetticismo nei confronti
del razionalismo e del suo apriorismo
caratterizzano la posizione sul realismo tipica di Cajetan.
Blackwell - Ruja - Turcon
A Bibliography of Bertrand Russel
II: Separate Publications
II: Serial Publications
III: Indexes
Routledge, febbraio 1995
pp. 1.504, £ 250
Boella, Laura
Hannah Arendt. Agire
politicamente. Pensare praticamente
Feltrinelli, marzo 1995
pp. 224, L. 28.000
Un profilo che delinea il ritratto di
una donna presente al suo tempo, la
sua produzione di saggista, giornalista, biografa, il suo pensiero storicopolitico e teoretico.
Bruno, Giordano
La cena delle ceneri
Mondadori, marzo 1995
pp. 250. L. 12.000
I cinque dialoghi in cui il filosofo
combattè le teorie aristoteliche e esaltò quelle copernicane.
Boyer, Alain
Introduction à la lecture
de Karl Popper
Ecole normale supérieure
dicembre 1994
pp. 288, F 160
Il volume mostra che l’autore di Congiunture e refutazioni tratta problemi
70
Brüntrup, Godehard
Mentale Verursachung.
Eine Theorie aus der Perspektive
des semantischen Anti-Realismus
Kohlhammer,
dicembre-gennaio 94/95
pp. 283, DM 69,80
Bubner, R. et al. (a cura di)
Ansätze der Philosophie um 1800
Vandenhoecke & Ruprecht
febbraio 1995
pp. 128, DM 40
Con questo volume si conclude la
sezione Neue Hefte für Philosophie.
Bubner, Rüdiger
Innovationen des Idealismus
Vandenhoeck & Ruprecht
febbraio 1995
pp. 215, DM 39
Questa raccolta di saggi si occupa in
particolar modo della forza innovativa e della dinamica pensante della
filosofia post-kantiana. La costruzione della sistematica idealista, l’integrazione del pensiero della storia e gli
impulsi dell’estetica ne costituiscono
i punti principali.
Bugault, Guy
L’Inde pense-t-elle?
PUF, dicembre 1994
pp. 352, F 198
L’Encyclopédie philosophique universelle ha iniziato a fare l’inventario
dei concetti e delle opere indiane che
hanno pertinenza per la filosofia. Lo
scopo di questo saggio è di ridare vita
agli elementi di questa nomenclatura,
fornendo esempi concreti, ricollocando i problemi al loro posto, sulla base
di esempi scelti liberamenti all’interno dei diversi ambiti dell’indianità.
Burke, Tom
Dewey’s New Logic.
A Reply to Russel
Univ. of Chicago, febbraio 1995
pp. 320, $ 37
Burke mostra come la logica di Dewis
si rivolga ai postulati della filosofia
del linguaggio e della psicologia, dell’informatica e della semantica formale in un modo diverso rispetto a
quello della logica di Russel.
Cambiano, Giuseppe
Le retour des anciens
tr. dall’italiano
di S. Milanezi, N. Loraux
Belin, gennaio 1994
pp. 202, F 139
La filosofia contemporanea non ha
mai smesso di definirsi in rapporto
all’Antichità. G. Cambiano analizza
le diverse letture che, a partire da
Hegel fino a Foucault, sono state tentate, al fine di avvicinare i Greci alla
nostra attualità. Mostrando la fecondità di questi avvicinamenti, egli mette
in luce le diverse posizione di partito
preso che hanno condotto gli autori a
crearsi, in momenti differenti, un’immagine della Grecia a loro misura. Si
tratta di un argomento di sicuro interesse per un vasto pubblico.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Carabellese, Pantaleo
Il problema teologico
come filosofia
Ed. Scientifiche, febbraio 1995
pp. 200, L. 31.000
Il problema teologico come filosofia,
che qui si presenta in edizione anastatica, è certamente il “capolavoro” di
Carabellese, apparso nel 1931 e mai
più ristampato, malgrado la sua grande rilevanza nel panorama della filosofia italiana dell’epoca.
Casavola, Franco
L’appello del futuro
Studium, febbraio 1995
pp. 268, L. 28.000
Attraverso il riferimento a celebri
personaggi della cultura religiosa occidentale, si cerca di porre le basi di
una visione etica, ed escatologica,
che tenga le generazioni solidali tra
loro, legate da una fondamentale continuità del processo storico che salda
passato, presente e futuro.
Cassirer, Ernst
Descartes,. Lehre Persönlichketit Wirkung
intr. a cura di Rainer A. Bast
Meiner, febbraio 1995
pp. 409, DM 68
Cassirer, Ernst
Goethe und die geschichtliche Welt
intr. a cura di Rainer A. Bast
Meiner, febbraio 1995
pp. 142, DM 36
Cavell, Stanley
Philosophical Passages
Wittgenstein, Emarson,
Austin, Derrida
Blackwell, febbraio 1995
pp. 208, £ 11
Stanley Cavell è uno dei più importanti filosofi americani contemporanei. In questa sua ultima raccolta,
Cavell fornisce una straordinaria e
circostanziata lettura di Fate di Emerson, della risposta di Derrida a Signature Event Context di J.L. Austin e
delle Investigazioni filosofiche di
Wittgenstein.
Caygill, Howard
A Kant Dictionary
Blackwell, febbraio 1995
pp. 400, £ 15
In questa nuova indagine lessicale delle opere di Kant, Howard Caygill presenta i concetti e la terminologia kantiani introducendo e chiarificando le
idee ai lettori e agli studiosi di Kant.
Chenet, François-Xavier
L’assise de l’ontologie
critique: l’esthétique
transcendentale
Université de Lille, febbraio 1995
pp. 440, F 240
L’estetica trascendentale viene qui
difesa contro chi vede in essa la parte
meno interessante della Critica della
ragion pura, ovvero una vestigia del
pensiero precritico o contro chi invoca un’incompatibilità, nello spirito
come nella scrittura, tra l’estetica e
l’analitica trascendentali. Il volume
incontrerà certamente l’interesse del
pubblico.
Childs, Gilbert
Rudolf Steiner: His Life and Work:
an Illustrated Biography
Floris books, febbraio 1995
pp. 128, £ 4.99
Si tratta di un’introduzione alla vita
ed al pensiero di Rudolf Steiner, che
descrive come sono state messe in
pratica le sue idee e come stanno
ancora ispirando e guidando molte
persone al mondo. La base di queste
ricerche è la “scienza dello spirito”
che egli chiamò antroposofia.
Conte, Domenico
Catene di civiltà
Studi su Spengler
Esi, febbraio 1995
pp. 388, L. 58.000
Saggio storico-filosofico che cerca di
coordinare, in una teoria organica, lo
scritto più noto di Spengler (Il tramonto dell’occidente) con il resto della
sua opera.
Cornaz, Laurent
L’Ecriture ou Le Tragique
de la transmission: esquisse
pour une histoire de la lettre
L’Harmattan, gennaio 1995
pp. 217, F 120
Inaugurando una pratica dell’alfabeto, i Greci hanno conosciuto l’idea di
un logos matematizzabile e trasmissibile integralmente. La nostra modernità scopre, formalizzando la scrittura del sapere, l’impossibilità di portare a termine il progetto di trasmettere la verità della scienza. Proliferano
quindi le tecnologie. Ma qual’è il
rapporto tra scrittura e trasmissione?
Il pubblico avrà molto interesse per
questo libro.
Cirera, Ramon
Carnap and the Vienna Circle.
Empiricism and Logical Syntax
Ed. Rodopi, dicembre-gennaio 94/95
pp. 414, FOL 130
Questo libro sostiene una lettura alternativa delle diverse influenze su
Carnap, di Schlick, Wittgenstein,
Neurath e Popper, rendendo anche
conto dell’evoluzione di Carnap, dal
fisicalismo al fenomenalismo fino ad
una visione sintattica.
Clarke, Robert
L’uomo mutante
Sperling & Kupfer, febbraio 1995
pp. 220, L. 29.000
Prospettive e ipotesi sul futuro dell’uomo.
Cotroneo, Girolamo
Questioni crociane e post-crociane
Esi, febbraio 1995
pp. 220, L. 33.000
Alcune questioni del pensiero di Benedetto Croce di natura teoretica,
metodologica ed etica.
Clarke, W. Norris
Explorations in Metaphysics:
Being-God-Person
Univ Notre Dame, gennaio 1995
pp. 256, £ 17.95
Questa raccolta di saggi è una rassegna del pensiero e delle opere di
W. Norris Clarke, un filosofo ispiratosi alla tradizione tomistica.
Ogni saggio offre delle argomentazioni e discute ciò che è stato
sostenuto nei saggi precedenti, realtivi ai temi della metafisica della
realtà ed alla filosofia di Dio.
Cowan, R. - Rizzo, M.J.
(a cura di)
Profits and Morality
The Univ. of Chicago Pr.
febbraio 1995
pp. 192, $ 30
Attraverso la lente dell’economia,
della filosofia e della legge, questi sei
saggi esplorano la moralità del profitto dal liberalismo, all’utilitarismo fino
alle prospettive che ne conseguono.
Comte-Sponville, André
Petit traité des grandes vertus
PUF, gennaio 1995
pp. 392, F 149
La virtù è potenza, eccellenza, esigenza. Essa non è in sé il bene; il bene
non esiste, deve essere fatto ed è ciò
che si chiama virtù. Si tratta di un’etica che continua quella di Spinoza. E’
un libro universitario.
Curi, Umberto
Endiadi
Feltrinelli, marzo 1995
pp. 256, L. 36.000
Nel serrato riferimento ai principali
nodi speculativi intorno a cui si articola la ricerca di Parmenide e Eraclito,
Platone, Aristotele e Plotino, questo
libro rilegge alcuni fra i testi più significativi della tragedia attica - da
Eschilo a Euripide - e del repertorio
mitologico classico, valorizzandone
la straordinaria ricchezza filosofica.
Condillac, Etienne Bonnot de
Les monades
Millon, febbraio 1995
pp. 256, F 150
Composto nel 1746 in occasione di
un’interrogazione, oggetto di un concorso presso l’Accademia di Berlino,
lo scritto sulle monadi rivela un Condillac decisamente metafisico, a dispetto di chi vorrebbe sostenere il
contrario. Nell’introduzione al volume, L. Bongie, rintraccia ad uno ad
uno i fili di questo intrigo filosofico
appassionante e stimolante, quale
l’eredità di Leibniz sottesa al pensiero di Condillac e al suo sviluppo. Si
tratta di un libro universitario.
D’Abbiero, Marcello - Vinci, Paolo
(a cura di)
Individuo e società
nel pensiero hegeliano
Guerini, febbraio 1995
pp.240, L. 34.000
Raccolta di saggi centrati su una rilettura del nesso individuo-società nel
pensiero di Hegel.
Dann, O. - Klippel, D.
(a cura di)
Naturrecht - Spätaufklärung
- Revolution
Meiner, febbraio 1995
DM 96
71
Decher, Friedhelm
Die Ästhetik K.W.F. Solgers
Winter, febbraio 1995
pp. 404, DM 98
Dellaporta, Nicolò
Scienza, metascienza e metafisica
Cedam, febbraio 1995
pp. 314, L. 35.000
Descombes, Vincent
La denrée mentale
Minuit, febbraio 1995
pp. 348, F 148
Parlando del mentale, i filosofi collocano la spirito sia “dentro” che “fuori”. L’autore sostiene la tesi dell’esteriorità dello spirito e prende parte alla
vivace discussione delle scienze umane che caratterizza tutto il nostro secolo: ermeneutica contro positivismo,
filosofia del soggetto contro strutturalismo, individualismo metodologico contro olismo del mentale. Il pubblico sarà certamente interessato al
volume.
Diderot, Denis
Trattato sul bello
Se, marzo 1995
pp. 80, L. 13.000
Le teorie estetiche del grande illuminista francese.
Didier, Raymond
Schopenhauer
Seuil, febbraio 1995
pp. 187, F 59
Si tratta di una biografia e di una
presentazione di questo filosofo, un
pensatore solitario, allergico all’ottimismo ereditato dallo spirito illuminista. Il volume è di sicuro interesse
anche per il grande pubblico.
Docker, John
Postmodernism
and Popular Culture:
A cultural History
Cambridge UP, gennaio 1995
pp. 328, £ 35
Questo testo, in dieci piccoli tomi,
include una guida introduttiva alla
storia del modernismo, delle considerazioni sullo sviluppo del postmodernismo, una spiegazione delle differenze tra lo strutturalismo
ed il post-strutturalismo, una discussione ed un resoconto dei dibattiti e dei conflitti suscitati da
questi movimenti.
Dorter, Kenneth
Form and Good in Plato’s Eleatic
Dialogues. The ‘Parmenides’,
‘Theatetus’, ‘Sophist’
and ‘Statesman’
California UP, febbraio 1995
pp. 277, $ 55
I quattro dialoghi eleatici di Platone
vengono considerati come un unico
argomento. Secondo Dorter, Platone
riconsidera la teoria delle forme proposta nei dialoghi precedenti e, esaminandone le limitazioni teoretiche,
la riafferma e ne dimostra i caratteri
di essenzialità.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Düll, Rupprecht
Zur Regulation der ‘Harmonia’.
Der Regelkreis als Modell
ganzheitlicher Organisation unter
dem Aspekt des Bewußtseins
Academia-Vlg., febbraio 1995
pp. 240, DM 48
Duverney, Claude
Le critère de subsomption
Slatkine, gennaio 1995
pp. 444, F 300
L’autore vuole confutare la dimensione e la vera portata del realismo
empirico di Kant. L’interpretazione
tradizionale del criticismo teorico di
Kant tende invece a mettere in discussione la coerenza del progetto del
filosofo.
Ebeling, Hans
Gut und Böse. Überquerung
des Nihilismus jenseits
von Nietzsche
Königshausen & Neumann
febbraio 1995
pp. 90, DM 24
Nell’epoca della cosiddetta autorealizzazione, la quale non conosce in
realtà il sé e non ha un sé che possa
essere realizzato, resta comunque una
possibilità di ritorno: il riconoscimento del diritto che, da Platone in poi, è
vincolante e legato a queste questioni, e dei legami che la problematica
ha con la teoria del soggetto della
modernità.
Ebert, Theodor
Sokrates als Pythagorareer
und die Anamnesis
in Platons ‘Phaidon’
Steiner, dicembre-gennaio 94/95
pp. 106, DM 49
Eidam, H. - Schmied-Kowarzik, W.
(a cura di)
Kritische Philosophie
gesellschaftlicher Praxis.
Auseinandersetzungen
mit der Marxschen Theorie
nach dem Zusammenbruch
des Realsozialismus
Königshausen & Neumann
febbraio 1995
pp. 394, DM 68
Emrich, H.M. - Smith, G.
(a cura di)
‘Vom Nutzen des Vergessens’
Akademie-Vlg
dicembre-gennaio 94/95
pp. 200, DM 48
Le ricostruzioni della necessità funzionale del dimenticare fornite dalla
psicoanalisi, dalla sociologia, dall’estetica e dalla filosofia si basano
principalmente su di un presupposto
orientato ai mezzi ed ai media e che
ne analizza il discorso.
Epitteto
Manuel
tr. dal greco di M. Gondicas
Mille et une nuits, febbraio 1995
pp. 48, F 10
Nato verso al metà del I secolo d.C.,
figlio di uno schiavo e schiavo egli
stesso, Epitteto aveva in sé già tutti i
presupposti per applicare concretamente nella propria vita questo con-
densato di morale stoica. Il suo insegnamento ci ricorda che “il solo nemico di cui si debba temere è se
stessi”.
guidarci verso un futuro morale? Farber, diversamente rispetto ad altri che
hanno scritto un’etica evolutiva, prende in considerazione le risposte fornite dai filosofi nel corso di diversi
anni. Egli sostiene che le loro critiche
devastanti sono state dimenticate, facendo quindi della storia dell’etica
evolutiva una serie di malintesi filosofici ripetuti.
Epitteto
The Discourses of Epictetus
a cura di C. Gill
J M Dent, febbraio 1995
pp. 442, £ 5.99
Il testo ha un formato che consente di
avere dei larghi margini sulle pagine,
all’interno dei quali sono inserite le
note dell’editore. Nell’introduzione,
il volume presenta la teoria di Epitteto; include delle note, un sommario
del testo, alcuni estratti della critica e
la cronologia della vita e del periodo
in cui visse Epitteto.
Fasching, G.
Man sollte nicht den Finger,
der auf den Mond weist,
für den Mond selbst halten
Springer, febbraio 1995
pp. 98, DM 25
Molto spesso si ritiene che l’immagine della natura fornita dalle scienze
che si occupano di questo settore sia
l’unica maniera adatta e legittima di
vedere la realtà. Ci sono quindi diverse realtà?
Epstein, Richard
The Semantic Foundations
of Logic: Predicate Logic
vol I, tomo 1
Oxford UP Inc, gennaio 1995
pp. 412, £ 45
Questo testo copre tutti gli aspetti
della semantica e delle sue applicazioni alla logica, descrivendo la semantica formale, le tavole e le traslazioni tra le logiche. Il testo interesserà
a chi si occupa di informatica, di
intelligenza artificiale, di linguistica,
ai filosofi e a chi si occupa di matematica applicata.
Ferguson, Harvie
Melancholy and the Critique
of Modernity. Soren Kierkegaard’s
Religious Psychology
Routledge, febbraio 1995
pp. 256, £ 14
Il volume esamina i legami tra l’emergenza della società moderna e l’esperienza della malinconia. L’idea della
“tristezza senza una causa” ha avuto
un ruolo importante nell’autocomprensione umana all’interno dello
sviluppo della società occidentele.
Eraclito
Les Fragments
tr. di Michel Puoille
COMP’ACT, febbraio 1995
pp. 120, F 140
I Frammenti sembrano, sia che li si
guardi da vicino o da lontano, una
serie di prismi sapientemente intagliati, che nei loro angoli vivi spostano il significato, ridicolizzando tutti i
possibili riferimenti alla tradizione
filosofica. Si tratta di un libro universitario. Il volume è bilingue, grecofrancese.
Fermer, Karl
Versuch über den Nihilismus
in ‘Sein und Zeit’
R.G. Fischer, febbraio 1995
pp. 68, DM 24
Ferry, Jean-Marc
Justice politique
et démocratie procedurale
Cerf, gennaio 1995
pp. 125, F 59
La giustizia politica e la democrazia
procedurale non si oppongono, anzi
sono una il presupposto dell’altra,
all’interno di un’argomentazione che
deve dar voce a ciò che è ragionevole
e a ciò che è razionale.
Evans, Gillian R.
Philosophie und Theologie
vol. II: Mittelalter
Kohlhammer,
dicembre-gennaio 94/95
pp. 126, DM 38
Fikentscher, Wolfgang
Modes of Thought.
A Study in the Anthropology
of Law and Religion
Mohr, dicembre-gennaio 94/95
pp. 630, DM 190
Fikentscher definisce le mode di pensiero come delle limitazioni al pensiero umano, contrapponendosi alla
nuova teoria dei paragoni inter-culturali. Le concezioni di spazio, tempo,
rischio, etica ed organizzabilità vengono discusse transculturalmente. Il
libro contiene anche un’introduzione
all’antropologia della legge e della
religione.
Evard, Jean-Luc
La faute à Moïse:
essais sur la condition juive
L’Harmattan, gennaio 1995
pp. 170, F 110
Se l’antisemitismo è la forma estrema
di rancore in un mondo cristiano decristianizzato, il desiderio di incriminazione rilancia però lo stesso meccanismo discriminante. Si cercheranno quindi, all’interno della storia del
popolo ebraico, le correnti di pensiero che permetteranno di ricostruire,
simmetricamente, gli altri anelli della
catena, quelli del rancore antiebraico.
Fischer, Huber
Geistreiche und philosophierende
Frauen. Ein Ausschnitt
aus Jahrhunderten
Kovac, febbraio 1995
pp. 194, DM 79,80
Farber, Paul Lawrence
The Temptations of Evolutionary
Ethics
California UP, dic.-gennaio 94/95
pp. 224, $42
La teoria evolutiva racconta del nostro passato biologico; ma può anche
72
Fischer, John Martin
The Metaphysics of Free Will.
An Essay on Control
Blackwell, febbraio 1995
pp. 256, £ 40
Fischer identifica e spiega i tipi di
controllo che vengono associati alla
personalità ed alla responsabilità e
dimostra quanto questo trovi corrispondenze nel determinismo causale
(o esistenza di Dio). Il nostro modo di
considerarci come persone e come
agenti morali responsabili può quindi
essere protetto da tentativi potenti e
disturbatori dovuti alla religione o
alla scienza.
Fisette, Denis
Lecture frégéenne
de la phénoménologie
Eclat, gennaio 1995
pp. 128, F 98
La lettura fregiana della fenomenologia designa un’interpretazione della
teoria husserliana dell’intenzionalità
che si ispira al pensiero di Gottlob
Frege. Questa lettura, molto diffusa
nella tradizione americana, segna il
ritorno ai problemi fondamentali che
sono all’origine della filosofia contemporanea.
Follon, Jacques - McEvoy, James
(a cura di)
Actualité de la pensée médiévale:
receuil d’articles
Peeters - Institut supérieur
de philosophie, Peeters-France
gennaio 1995
pp. 360, F 360
Queste ricerche sono caratterizzate
da due tendenze fondamentali: una
stretta collaborazione tra le due discipline scientifiche che sono il mediovalismo e la filosofia, da una parte, la
volontà di considerare la filosofia
come un pensiero sempre vivo, dall’altra. E’ un libro universitario.
French, Peter A.
Philosophical Naturalism
vol XIX
Univ Notre Dame, gennaio 1995
pp. 608, £ 24.50
Si tratta di una raccolta di saggi rimasti non pubblicati fino a quest’edizione, che presentano delle discussioni
sul Naturalismo.
Gadamer, Hans-Georg
L’Idée du bien comme
enjeu platonico-aristotélicien;
Le Savoir pratique
tr. dal tedesco di P. David
D. Saatdjian
Vrin, dicembre 1994
pp. 176, F 120
La critica aristotelica di Platone non
si trova già in Platone? L’autore, fedele al suo metodo ermeneutico, invita a rivisitare gli ambiti aperti dalla
lettura e dal confronto tra Platone ed
Aristotele sullo stesso problema, quello del bene e del male, che ha implicazioni sia etiche che politiche, sia
cosmologiche che ontologiche.
Galeotti, Anna Elisabetta
La tolleranza
Liguori, gennaio 1995
pp. 224, L. 25.000
NOVITÀ IN LIBRERIA
Perché la tolleranza è ancora un problema nelle democrazie liberali che
pure ne hanno riconosciuto il valore e
l’hanno difeso con i diritti di libertà
d’opinione, d’espressione e d’associazione? La risposta contenuta nel
volume è che le questioni di tolleranza oggi più scottanti, per essere affrontate adeguatamente, richiedono
una revisione e un ampliamento della
tradizionale
Gaskin, John
The Epicurean Philosophers
J M Dent, febbraio 1995
£ 5.99
Questo libro, che è caratterizzato da
un ampio formato di pagina, che consente di avere dello spazio per le note,
presenta le ultime dottrine di Epicuro,
insieme a delle note e ad una bibliografia. Il volume contiene anche dei
lavori e delle espressioni di saggezza
di Epicuro, nonché un resoconto della scienza naturale di Epicuro nell’opera di Lucrezio Sulla natura dell’universo.
Gauker, Christopher
Thinking out Loud.
An Essay on the Ratio between
Thought and Language
Princenton UP, febbraio 1995
pp. 384, $ 42
Molti filosofi, psicologi e linguisti
pensano che il linguaggio sia un mezzo attraverso il quale chi parla esprime il suo pensiero a qualcun’altro.
Gauker chiama questo modo di vedere “la teoria del linguaggio di Locke”,
visto che Locke ne è stato uno dei
primi esponenti. L’autore ritiene che
si tratti di un grave malinteso.
Giamblico
Il numero e il divino
Rusconi, marzo 1995
pp. 500
I tre maggiori trattati del filosofo
neoplatonico vissuto tra III e IV
secolo d.C.
Giammetta, Sossio
Nietzsche e i suoi interpreti
Oltre il nichilismo
Marsilio, marzo 1995
pp. 176, L. 28.000
Consapevole che la grande “attualità” del dibattito filosofico su Nietzsche rischia di far dimenticare la sua
“inattualità”, Giammetta sottolinea la
necessità di depurare il moralismo
nietzscheano dalle sue crasse incrostazioni.
Gilead, Amihud
The Platonic Odyssey.
A philosophical-literary
Inquiry into the ‘Phaedo’
Ed. Rodopi, dicembre-gennaio 94/95
pp. 187, FOL 60
Questo libro è uno studio dettagliato
di come Platone costruiva il suo dialogo filosofico seminale, il Fedo,
una tragedia unica, un capolavoro
poetico la cui struttura è organica e
simmetrica.
Gill, C.B. (a cura di)
Bataille. Writing the Sacred
Routledge, febbraio 1995
pp. 240, £ 15
L’autore, raccoglie i contributi di specialisti internazionali su Bataille, scritti da filosofi, letterati ed esperti di
storia dell’arte. Questa raccolta esplora le diverse sfaccettature delle sue
opere.
il futuro delle nostre concezioni e
delle nostre immagini della natura. In
questo primo volume, l’autrice osserva lo sviluppo ed i cambiamenti del
pensiero scientifico.
Granger, Gilles-Gaston
Le probable, le possible
et le virtuel
O. Jacob, febbraio 1995
pp. 248, F 180
Professore di epistemologia comparativa, l’autore prosegue la sua riflessione sulla razionalità scientifica
moderna e sceglie di esaminare il
ruolo del probabile, del possibile e
del virtuale all’interno del pensiero
oggettivo. Essi, in effetti, corrispondono ai momenti essenziali della conoscenza del mondo empirico. L’argomento sarà di sicuro interesse per il
pubblico.
Gilles, Donald - Giorello, Giulio
La filosofia della scienza
nel XX secolo
Laterza, marzo 1995
pp. 464
Nel delineare il profilo storico della
filosofia della scienza nel Novecento, Gilles articola la trattazione attorno ai temi maggiori mentre Giorello
analizza il pensiero di filosofi come
Popper, Kuhn, Lakatos e Feyerabend.
Gillespie, Michael Allen
Nihilism before Nietzsche
Univ. of Chicago Pr, febbraio 1995
pp. 320, $ 32
Ricostruendo le origini spirituali ed
intellettuali del nichilismo prima che
Nietzsche ne desse una definizione
determinante, Gillespie si sofferma
sui punti di svolta cruciali per lo sviluppo del nichilismo, da Ockham e la
rivoluzione nominalista di Cartesio,
attraverso Fichte, il romanticismo tedesco, il nichilismo russo per giungere fino a Nietzsche stesso.
Grondin, Jean
Hermeneutische Wahrheit?
Zum Wahrheitsbegriff
Hans-Georg Gadamers
Beltz Athenäum
dicembre-gennaio 94/95
pp. 210, DM 34
Si tratta della seconda edizione, rivista, di questo libro.
Guttenplan, S. (a cura di)
A Companion to the Philosophy
of Mind
Blackwell, dicembre-gennaio 94/95
pp. 576, £ 60
Questo Companion è un’opera di consultazione, una guida ordinata alfabeticamente, relativa alla filosofia
della mente, ma con una serie di voci
riguardanti campi di interesse ad essa
adiacenti.
Giovannangeli, Daniel
La passion de l’origine
Galilée, febbraio 1995
pp. 168, F 140
“Nell’impossibilità di pensare la mia
nascita e la mia morte come di vivere
la vita di qualcun’altro, limitato quindi da esse come da un orizzonte, io
sono, secondo l’espressione forte di
Merleau-Ponty, dato a me stesso.”
Habermas, Jürgen
Textes et contextes:
essais de reconnnaissance
théorique
tr. dal tedesco di M. Hunyadi,
R. Rchlitz
Cerf, dicembre 1994
pp.198, F 195
Il volume discute ed esamina le opere
di grandi filosofi come Peirce,
Husserl, Wittgenstein, Horkheimer,
Simmel, Mitschelich e Heidegger.
Girndt, H. - Schrader, W.H.
(a cura di)
Realität und Gewißheit.
Tagung der Internationalen
J.-G.-Fichte-Gesellschaft
(6.-9. Oktober 1992) in Ramenau
Ed. Rodopi, dicembre-gennaio 94/95
pp. 448, FOL 135
Il volume è curato con la collaborazione dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli e contiene le relazioni del congresso internazionale della
Società Fichte.
Häfner, Ralph
Johann Gottfried Herders
Kulturentstehungslehre.
Studien zu den Quellen
und zur Methode seines
Geschichtsdenkens
Meiner, febbraio 1995
pp. 355, DM 96
Givone, Sergio
Storia del nulla
Laterza, marzo 1995
pp. 256
Che si può dire e pensare del nulla?
Nulla, sembrerebbe di dover rispondere. E invece questo volume affascinante mostra quale varietà e ricchezza di interpretazioni ne hanno dato,
nei secoli, i grandi filosofi e letterati,
da Parmenide a Heidegger, da Pascal
a Leopardi e Sartre.
Halfwasser, Jens
Geist und Selbstbewußtsein.
Studien zu Plotin und Numenios
Franz Steiner
dicembre-gennaio 94/95
pp. 71, DM 34
Gloy, Karen
Das Verständnis der Natur.
Die Geschichte
des wissenachaftlichen Denkens
vol. I
C.H. Beck, febbraio 1995
pp. 350, DM 48
La filosofa Gloy mostra nel suo libro
Halpérin, Jean - Lévitte, Georges
(a cura di)
Colloque des Intellectuels juifs
de langue française,
L’Idée d’humanité: données
et débats: actes du XXXIVe Colloque
des Intellectuels juifs
73
de langue française
Albin Michel, gennaio 1995
F 90
L’idea di umanità è una nozione difficile e quindi essenziale anche nella
nostra vita quotidiana. Questi studi
tentano di far luce su questo punto.
Sono tutti seguiti da una sintesi del
dibattito suscitato dagli oratori. Si
tratta di un argomento di sicuro interesse per un vasto pubblico.
Hankinson, R.J.
The Sceptics
Routledge, febbraio 1995
pp. 432, £ 50
Si tratta del primo volume esaustivo
ed aggiornato sullo scetticismo greco, dagli inizi dell’epistemologia con
Xenofane fino allo sviluppo completo del pirronismo, così come rappresentato dalle opere di Sesto Empirico.
Harrison, Paul R.
The Disinchantement of Reason.
The Problem of Socrates
in Modernity
State Univ. of New York Press
dicembre-gennaio 94/95
pp. 256, $ 17
Si tratta di un esame delle interpretazioni del XX secolo di Socrate, fornite da Hegel, Kierkegaard e Nietzsche
alla luce del dibattito contemporaneo
sulla razionalità nel mondo moderno.
Hauser, Christian
Selbstbewußtsein und personale
Identität. Positionen und Aporien
ihrer vorkantischen Geschichte.
Locke, Leibniz, Hume und Tetens
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 210, DM 70
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Morceaux choisis
tr. e a cura di H. Lefebvre
N. Guterman
Gallimard, febbraio 1995
pp. 696, F 58
Si tratta di una scelta di testi che
offrono una sintesi della filosofia hegeliana: l’uomo e la storia, la fenomenologia, la logica, la natura, l’arte, la
religione, la filosofia sono le grandi
sezioni di questo libro..
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Concept préliminaire
de la philosophie
tr. e a cura di B. Bourgeois
Vrin, febbraio 1995
pp. 286, F 55
Questo testo, che precede l’Enciclopedia delle scienze filosofiche è accompagnato da un apparato criticopedagogico. Si tratta di un libro universitario.
Heimbach-Steins, M. (a cura di)
Brennpunkt Sozialethik.
Theorien, Aufgaben, Methoden
Herder, dicembre-gennaio 94/95
pp. 488, DM 88
Heisterkamp, Jens
Der biotechnische Mensch.
Genetische Utopien in ihre
Rechtfertigung durch ‘Bioethik’
NOVITÀ IN LIBRERIA
intr. di H Köhler
Info-3-Vlg., dic.-gennaio 94/95
pp. 96, DM 18
Heitsch, Ernst
Erkenntnis und Lebensführung.
Eine Platonische Aporie
Franz Steiner, dic.-gennaio 94/95
DM 29,60
Heytesbury, Guillaume
‘Sophismata asinina’:
une introduction aux
disputes médiévales
pres. Critica ed analisi
di F. Pironet
Vrin, gennaio 1995
pp. 644, F 330
Guillaume Haytesbury, nato verso il
1313 e morto nel 1372-’73, è uno di
quei logici che vengono chiamati “calcolatori di Oxford”. I Sophismata asina sono il rapporto delle dispute così
chiamate perché ogni sofisma comincia con al stessa proposizione impossibile: “Tu sei un asino”. Lo scopo di
questo gioco era di cercare di provarne lo scopo utilizzando tutte le risorse
della logica.
Hindes, James H.
Renewing Christianity:
Rudolf Steiner’s Ideas in Practice
Floris books, febbraio 1995
pp. 128, £ 4.99
Il volume fa parte di una serie che si
prefigge lo scopo di introdurre alle
idee di Rudolf Steiner, mostrando come
sono state applicate ai giorni nostri. Il
libro descrive la comunità che Steiner
aiutò a fondare e che doveva servire al
rinnovamento cristiano.
Hinske, N. (a cura di)
Der Aufbruch in den Kantianismus.
Der Frühkantianismus
an der Universität Jena
von 1785-1800
und seine Vorgeschichte
Frommann-Holzboog, febbraio 1995
pp. 280, DM 84
Hobbes, Thomas
L’arte della retorica
a cura di Rosaria Carotenuto
Liguori, gennaio 1995
pp. 119, L. 20.000
L’interesse per la retorica, maturato
ovunque in questi ultimi anni, ha indotto l’autrice a presentare in traduzione italiana un’opera assolutamente trascurata, quasi ignorata, di
Hobbes, la traduzione della Retorica
di Aristotele il cui studio fa sì che il
filosofo inglese individui nella retorica una chiave di lettura degli eventi
politici della propria epoca.
Hodge, Joanna
Heidegger and Ethics
Routledge, febbraio 1995
pp. 240, £ 13
L’espressione “Heidegger e l’etica” è
molto discussa. Martin Heidegger
stesso rifiutò la nozione di etica, mentre il suo assenso al nazismo viene
considerato come non etico. Questo
importante studio esamina in maniera nuova i temi complessi e controversi che stanno alla base di questa
giustapposizione.
Höffe, Otfried
Kategorische Rechtsprinzipien.
Ein Kontrapunkt der Moderne
Suhrkamp, febbraio 1995
pp. 432, DM 27,80
Le Meditazioni cartesiane hanno voluto essere sia un’introduzione alla
fenomenologia trascendentale sia una
sintesi delle ricerche del loro autore.
Alla loro origine ci sono le conferenze
tenute a Parigi e poi a Strasburgo nel
1929. Questa traduzione segue l’edizione degli Archivi Husserl di Lovanio del 1949 ed offre il testo delle
Conferenze di Parigi tradotto per la
prima volta. E’ un libro universitario.
Holbach, Paul Henri Dietrch d’
Système social: 1773
Fayard, dicembre 1994
F 260
Questa pubblicazione permette di
sottolineare il ruolo decisivo ed ingiustamente non riconosciuto di Holbach nella diffusione dell’Illuminismo, dello spirito critico e della realizzazione dello Stato di diritto e delle
libertà del cittadino moderno.
Husserl, Edmund
Esperienza e giudizio
Bompiani, marzo 1995
pp. 290. L. 35.000
Ricerca logico-fenomenologica intorno alla categoria della “antepredicatività”. Si riallaccia al lavoro complessivo che il filosofo tedesco dedicò
alla “crisi delle scienze europee”, alle
opere di logica e di filosofia della
mente.
Honneth, A. (a cura di)
Pathologien des Sozialen.
Die Aufgaben der Sozialphilosophie
Fischer Taschenbuch Vlg
dicembre-gennaio 94/95
DM 29,90
Si assiste ad un escalation della violenza, al disciogliersi dei legami di
famiglia, la corruzione dilaga... E’
possibile tener fede alla promessa del
mondo sociale, cioè di riconciliare
reciprocamente la libertà individuale
ed i legami sociali?
Husserl, Edmund
L’idea di fenomenologia
a cura di E. Franzini
Mondadori, marzo 1995
pp. 192, L. 16.000
Un’esposizione sintetica del nucleo
teorico fondamentale della filosofia
husserliana.
Honneth, Axel
The Struggle for Recognition:
The Moral Grammar
of Social Conflicts
Polity Press, gennaio 1995
pp. 260, £ 39.50
Questo lavoro sostiene che la struggle for recognition (“lotta per il riconoscimento”) è e dovrebbe essere al
centro dei conflitti sociali. Honneth
esamina gli argomenti proposti da
Hegel e li situa sullo sfondo della
concezione delle vita umana come
lotta per l’esistenza, proposta dalla
filosofia moderna.
Huxley, Thomas Henry
Evoluzione ed etica
Bollati Boringhieri, febbraio 1995
pp. 232, L. 32.000
La natura e l’evoluzione ci danno un
insegnamento morale? Qual è il posto
dei valori, del bene e del male, del
giusto e dell’ingiusto nel processo
cosmico che ha portato le prime forme animali all’uomo civilizzato? Ha
senso parlare di “diritti naturali”? E’
possibile un’etica biologica?
Huyler, Jerome
Locke in America:
The Moral Philosophy
of the Founding Era
Univ. of Kansas, gennaio 1995
pp. 370, £ 35.95
Questa tesi per PhD, è un resoconto
sul legame tra il pensiero di Locke e
l’American Founding (la fondazione
americana del 1787). L’autore sostiene che gli scrittori venuti prima di lui
hanno interpretato male l’influenza
di Locke sui Founders (fondatori):
egli traccia un ritratto del filosofo, in
cui egli è un moralista moderato del
XVII secolo che rivendica un ruolo
per l’individualismo che gli permetta
di convivere con il repubblicanesimo
classico.
Hubert, Christiane
Les premières réfutations
de Spinoza: Aubert de Versé
Wittich, Lamy
Université de Paris-Sorbonne
gennaio 1995
pp. 150, F 85
Il libro analizza le linee della forza
comuni a tre opere: Impie covainu
(Colonia, 1684) di Abert Versé, AntiSpinoza (Amsterdam, 1690) di Wittich e Le nouvel athéisme (Parigi, 1690)
di Lamy. L’autore è uno specialista
dei questo argomento.
Humber, J.M. - Almeder, R.F.
Allocating Health Resources
Humana Press, gennaio 1995
pp. 259, £ 35
Esamina gli argomenti medici, etici,
legali e filosofici implicati dalla ripartizione e dalla distribuzione delle
risorse devolute alla sanità. Questo
libro sarà di sicuro interesse per i
medici, il personale medico ed i filosofi.
Jaeschke, W. (a cura di)
Religionsphilosophie
und spekulative Theologie.
Der Streit um die Göttlichen Dinge
Meiner, dicembre-gennaio 94/95
DM 136
Jaki, Stanley
Lo scopo di tutto.
Scienza, filosofia e teologia
si interrogano sulle finalità
Ares, febbraio 1995
pp. 288, L. 32.000
Un’analisi filosofica del concetto di
progresso.
Husserl, Edmund
Méditations cartésiennes;
Conférences
PUF, gennaio 1995
pp. 256, F 198
74
James, William
Selected Writings
a cura di G. Bird
J M Dent, febbraio 1995
£ 5.99
Questo libro, con il suo ampio formato pagina che permette di avere un
buon margine per le note, presenta la
dottrina di James con note, bibliografia e cronologia della sua vita e del
suo tempo. Il libro contiene anche dei
riassunti dei lavori di William James,
che è stato uno dei primi popolari
scrittori di psicologia.
James, William
Was ist Pragmatismus?
Beltz Athenäum
dicembre-gennaio 94/95
pp. 100, DM 24
Jánoska - Bondell
Kindle - Hofer
Das ‘Methodenkapitel’
von Karl Marx.
Ein historischer und systematischer
Kommentar
Schwabe Vlg., dic.-gennaio 94/95
pp. 296, CHF 65
Jaspers, Karl
Metafisica
Mursia, gennaio 1995
pp. 376, L. 16.000
In edizione economica, l’introduzione generale e il terzo volume
della Filosofia, che è appunto la
Metafisica.
Jaumann, H. (a cura di)
Rousseau in Deutschland.
Neue Beiträge zur Erforschung
seiner Rezeption
de Gruyter, febbraio 1995
pp. 326, DM 170
Il confrontarsi della letteratura tedesca del XVII e dell’inizio del XIX
secolo con Rousseau (in autori come
Lessing, Wieland, F.H. Jacobi ed altri) è alla base dei risultati di un’approfondita indagine interdisciplinare, i cui contributi riguardano, tra gli
altri argomenti trattati, gli influssi di
e la critica a Rousseau nella filosofia
di Kant e di Fichte e nella tradizione
tedesca delle teorie dello Stato.
Jens, W. - Küng, H.
Menschenwürdig sterben.
Ein Plädoyer
für Selbstverantwortung
Piper, febbraio 1995
pp. 176, DM 29,80
Questo libro susciterà l’attenzione dei
lettori, a causa della sua difesa dell’aiuto responsabile che porti alla
morte. Non si tratta però solo di un
contributo a questa discussione: il
volume parla del modo corretto di
affrontare la morte all’interno della
vita di un individuo.
Jolley, Nicholas (a cura di)
The Cambridge Companion to Leibniz
Cambridge UP, dic.-gennaio 94/95
£ 13
Questo volume si prefigge di rendere
conto dell’ampio raggio del pensiero
di Leibniz, esplorandone la metafisica e mostrando il suo sottile e complesso rapporto con la sua concezione
NOVITÀ IN LIBRERIA
della logica, del linguaggio, della fisica e della teologia. Degli altri capitoli esaminano il contesto intellettuale del suo pensiero.
Jones, L. Gregory
Rethinking Metaphysics
Blackwell Publishers, febbraio 1995
£ 13.99
Il volume si occupa di una serie di
tradizioni filosofiche e teologiche, con
esponenti di tutto rispetto come Platone ed Agostino, così come Jacques
Derrida e Jean Luc Marion. Gli autori
di questo saggio mettono a confronto
la varietà delle speculazioni dei critici della metafisica post-moderni.
Jourde, Pierre
L’alcool du silence:
sur la décadence
Champio, febbraio 1995
pp. 328, F 290
Questo saggio tenta di costruire e di
illustrare, a partire dalle opere di Lorrain, Huysmana, Wilde, Laforgue ed
altri, una teoria della decadenza fondata sulla nozione di dialettica. L’argomento sarà di sicuro interesse per il
pubblico.
Joy, Robert
Glane de philosophie antique:
Scripta Minora
Ousia, febbraio 1995
pp. 326, F 171
Il volume raccoglie i principali studi
dell’autore, consacrati alla filosofia
antica: da Pitagora a Gregoria da Nissa, passando per Platone, Aristotele,
lo stoicismo, il medio platonismo, ma
anche Don Crisostomo, Luciano da
Samostato, Giustino. Si tratta di un
libro universitario.
Jullien, François
Le détour et l’accès:
stratégies du sens en Chine
en Grèce
Grasset, gennaio 1995
pp. 460, F 145
Quest’analisi della stampa, dell’informazione, della letteratura, dell’arte e del pensiero in Cina mostra che
un Cinese pensa e si esprime sempre
a zig-zag. L’indagine viene svolta
comparando il sistema orientale a
quello occidentale.
Kamm, F.M.
Morality, Mortality:
Rights, Duties and Value
vol II
Oxford UP Inc, febbraio 1995
pp. 352, £ 37.50
In questo secondo volume, l’autrice
continua il suo sviluppo della teoria
etica non-consequenzialista e delle
sue applicazioni a problemi etici concreti. Esamina inoltre, la distinzione
tra uccidere e permettere di morire ed
i concetti di diritto, prerogativa e super erogazione.
Kant, Immanuel
Auteur présumé. Réponse
du professeur Kant de Königsberg
à l’abbé Sieyès de Paris
Ed de l’Aube, gennaio 1995
pp. 208, F 89
Probabilmente Kant non è l’autore di
questo testo apocrifo, ma esso è importante per la storia dell’idee che
questo libro ha fatto circolare sotto
firma dell’autore, ancora vivente, in
Germania. Sieyès d’altra parte pensava che la filosofia kantiana fosse un
complemento indispensabile alla Rivoluzione. E’ dunque lo scambio di
questi due pensieri che è al centro di
questa Risposta.
Krüger, L. - Falkenburg, B.
( a cura di)
Physik, Philosophie
und die Einheit der Wissenschaften
BI-Wiss. Vlg., febbraio 1995
pp. 300, DM 48
Lacoue-Labarthe, Philippe
Musica ficta: Figures of Wagner
Stanford UP, gennaio 1995
pp. 176, £ 10.95
Il volume cerca di riarticolare la relazione tra musica e letteratura rispetto
al problema della mimesis, della presentazione e della ripresentazione. Il
libro si compone di quattro “scene”,
che sono tutte risposte a Wagner: due
di poeti francesi (Baudelaire e Mallarmé) e due di filosofi tedeschi
(Heidegger e Adorno).
Kant, Immanuel
Critique de la faculté de juger
tr. di A. Renaut
Aubier, febbraio 1995
pp. 528, F. 180
Si tratta della nuova traduzione di
questo testo, che assicura di essere
coerente al sistema kantiano rispondendo alla domanda: come articolare
nell’uomo la sottomissione alla natura? Questa riflessione sulla legge ed il
diritto è anche un testo fondamentale
di estetica.
Lacrosse, Joachim
L’amour chez Plotin:
érôs hénologique, érôs noétique,
érôs psychique
Ousia, febbraio 1995
pp. 142, F 77
L’onnipresenza dell’eros nel sistema
filosofico di Plotino costituisce il filo
conduttore di questo studio. Il volume si prefigge di chiarire la nozione
di eros nella sua complementarietà, a
tutti i livelli del reale, con il logos
come atto della processione-emanazione dall’Uno. Si tratta di un testo
universitario.
Kanz, K.T. (a cura di)
Philosophie des Organischen
in der Goethe-Zeit. Studien
zur Werk und Wirkung
des Naturforschers Carl Friedrich
Kielmeyer (1765-1844)
Steiner, dicembre-gennaio 94/95
pp. 281, DM 78
Kelly, L.G. (a cura di)
Michaelis de Marbasio:
Summa de modis significandi
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 260, DM 198
Lahno, Bernd
Versprechen. Überlegungen
zu einer künstlichen Tugend
Oldenbourg, dic.-gennaio 94/95
pp. 313, DM 128
Le promesse sono legami. Come funzionano? David Hume sviluppò una
teoria della promessa. Lahno analizza le argomentazioni di Hume da un
punto di vista moderno e le interroga
criticamente. Al lettore vengono forniti anche alcuni concetti fondamentali della teoria delle decisioni.
Kintzinger, Martin
Norma elementorum. Studien
zum naturphilosophischen
und politischen Ordungsdenken
des ausgehenden Mittelalters
Steiner, febbraio 1995
pp. 146, DM 58
Klagenfurt, Kurt
Technologische Zivilisation
und transklassische Logik
Suhrkamp, dicembre-gennaio 94/95
DM 16,80
Laks, Andre
Justice and Generosity:
Studies in Hellenistic Social
and Political Philosophy
Proceedings of the Sixth
Symposium Hellenisticum
Cambridge UP, gennaio 1995
pp. 320, £40
Il verdetto di Hegel sul carattere apolitico della filosofia nell’epoca ellenistica, che ha trovato così ampia
eco, viene messo in discussione in
questa raccolta di saggi, presentata
originariamente durante il sesto incontro del Symposium Hellenisticum: studiosi a livello internazionale rivelano una scena intellettuale
molto diversificata.
Klima, Ladislav
Le monde comme conscience
et comme rien
tr. dal ceco di E. Abrams
La Différence, febbraio 1995
pp. 176, F 138
Metafisica, fisica, chimica, botanica,
zoologia, estetica, antropologia, sociologia e scienza politica: un grandioso castello di carte da percorrere
secondo il filo conduttore di un demiurgo nichilista. Il primo libro di
Klima, pubblicato nel 1904 anonimamente ed a spese dell’autore.
Lambrecht, Jürgen
Welle und Sein. Entwurf
einer naturwissenschaftlich
begründeten Ontologie
R.G. Fischer, febbraio 1995
pp. 314, DM 46
Koniaris, G.L.
Maximus Tyrius:
‘Philosophumena -Dialexis’
de Gruyter, febbraio 1995
pp. 527, DM 390
Si tratta di un’edizione critica delle
Lezioni di Massimo di Tiro (Phoenicia), un filosofo retorico ed eclettico
del II secolo a.C.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Philosophical Writings
a cura di G.H.R. Parkinson
J M Dent, febbraio 1995
75
pp. 336, £ 4.99
Il libro ha il formato pagina piuttosto
ampio per le note. L’editore presenta
le ultime dottrine di Leibniz in un’introduzione ed include anche delle
note, integrandole con critiche selezionate e la cronologia della vita e
dell’epoca di Leibniz.
Leone, Salvino
Privitera, Salvatore (a cura di)
Il contesto culturale dell’etica
della vita
Armando, febbraio 1995
pp. 143, L. 25.000
Saggio sull’etica della vita e sulla
bioetica che a sua volta può considerarsi un’etica per la vita.
Levinas, Emmanuel
Difficile liberté
Albin Michel, gennaio 1995
F 98
Questi saggi filosofici sulla libertà
umana e sulle sue possibilità nella
nostra società vengono ristampati,
dopo la loro prima uscita, nel 1963.
Levinas, Emmanuel
Dieu, la mort et le temps
LGF, gennaio 1995
pp. 288, F 42
Comprende un “dialogo” con i grandi
filosofi come Heidegger o Aristotele
sulle nozioni di morte e di tempo ed
una ricerca assidua sul tema del
“nome” o del “concetto” divino. Tutti
argomenti di cui Levinas è uno specialista.
Liebsch, Burkhard
Verzeitliche Welt.
Variationen über die Philosophie
Karl Löwiths
Königshausen & Neumann
febbraio 1995
pp. 120, DM 29,80
Liessmann, Konrad P.
Philosphie der modernen Kunst.
Eine Einführung
WUV Univ.-Vlg., febbraio 1995
pp. 260,
Si tratta della seconda edizione rivista ed ampliata di questo libro.
Lilje, Chr.
Klinische ‘ethics consultation’
in den USA. Hintergründe,
Denkstile und Praxis
Enke, dicembre-gennaio 94/95
pp. 200, DM 39,80
L’etica medica viene spesso meno
nei dibattiti intorno ai fondamenti dei
valori. Come risposta a questo, negli
U.S.A. è nato il concetto della ethics
consultation. Si tratta di una tematica
poco conosciuta in Europa, già affermata però negli Stati Uniti, dove è
diventata un punto di riferimento per
la pratica medica.
Lohner, Alexander
Peter Wust: Gewißheit als Wagnis.
Eine Gesamtdarstellung
seiner Philosophie
Schönigh, dicembre-gennaio 94/95
pp. 470, DM 64
NOVITÀ IN LIBRERIA
Macnamara, John
Reyes, Gonzalo E.
The Logical Foundations
of Cognition
Oxford UP Inc, gennaio 1995
pp.396, £ 18.95
Questo volume esamina il ruolo della
psicologia cognitiva, alla luce dei recenti sviluppi della nuova teoria semantica, come quello di Gonzalo
Reyes. I capitoli rivelano le prospettive delle applicazioni di queste nuove teorie alla psicologia cognitiva,
alla sceinza della cognizione, alla linguistica, alla filosofia della lingua ed
alla logica.
Malebranche, Nicolas de
Conversations chrétiennes;
suivi de Entretiens sur
ma méthaphysique,
sur la religion et sur la mort
a cura di G. Rodis-Lewis
Gallimard, gennaio 1995
pp. 725, F 69
Con le Conversations chrétiennes,
destinate a convincere i cartesiani
della verità della fede, nasce una filosofia particolare: il malebranscismo,
le cui eco e polemiche durano fino ai
giorni nostri.
Malebranche, Nicolas de
Traité de morale
a cura di J.-P. Osier
Flammarion, febbraio 1995
pp. 432, F 53
Si tratta di un testo universitario, un
trattato caratterizzato da una morale
molto austera.
Margolin, Jean-Claude
Erasme, précepteur de l’Europe
Julliard, febbraio 1995
pp. 421, F 145
Martinez, Rafael
Unità e autonomia del sapere
Il dibattito del XIII secolo
Armando, febbraio 1995
pp. 208, L. 28.000
E’ possibile in un’epoca che assiste
ad una specializzazione estrema, conservare una prospettiva unitaria della
realtà e dell’uomo, conciliando la diversità delle scienze con l’unità del
sapere?
McHoul, Alec - Grace, Wendy
A Foucault Primer:
Discourse, Power and the Subject
Univ Melbourne, gennaio 1995
pp. 160, £ 10.95
Questo manuale si rivolge a chi ha
bisogno di un aiuto quando viene a
contatto con le opere voluminose e
complesse di Foucault. Negli ultimi
tre decenni, queste opere di Foucault
hanno avuto molto influsso sugli studiosi di lingua inglese che si occupano di scienze umane e sociali.
McKeon, Richard
On Knowing - The Natural Sciences
Univ. of Chicago, dic.-gennaio 94/95
pp. 400, $ 22
Molto prima della nostra epoca, in cui
la decostruzione ed il multiculturalismo sono diventati familiari, McKeon diffuse una filosofia del pluralismo mostrando come i “fatti” ed i
“valori” dipendono in maniera diversa dalla lettura dei testi. Questo libro
è una trascrizione dell’intero corso,
anche delle due conferenze tenute da
McKeon e della discussione degli studenti.
si trasfigurato nel Pifferaio Magico
della fiaba che, con il richiamo irresistibile del suo “dolce flauto”, ha sedotto intere schiere di epistemologi.
Con lo scopo dichiarato di sottoporre
ad analisi puntuale il quadro di questa
diffusa seduzione il lavoro offre un
articolato accesso critico introduttivo
ad alcuni degli autori più rappresentativi connessi con la “new philosophy of science”.
Meehan, Johanna
Habermas and Feminism
Routledge, gennaio 1995
pp. 256, £ 11.99
Questi saggi analizzano diversi aspetti
della teoria di Habermas, dalla teoria
morale agli argomenti politici dell’identità e della partecipazione. Illustrano anche il significato potenziale
del lavoro di Habermas per le riflessioni femministe su potere, norme e
soggettività.
Mindell, Arnold
River’s Way: The Process Science
of the Dreambody
Arkana, gennaio 1995
pp. 176 p., £ 6.99
Il lavoro presenta la cornice teoretica
degli studi di Mindell sulla psicologia
dell’esperienza corporea, Dreambody e Working With the Dreaming
Body. Cercando di oltrepassare le
divisioni tra psicoterapia, medicina e
fisica, il volume fornisce ai clienti ed
ai terapeuti un approccio alla personalità totale.
Melberg, Arne
Theories of Mimesis
Cambridge UP, gennaio 1995
pp.230, £ 10.95
Si tratta di un resoconto del linguaggio e del tempo, che registra il movimento della mimesis dalla filosofia
platonica della similitudine fino alle
idee moderne della diversità. Il saggio discute le teorie delle storia della
mimesi attraverso un’analisi narratologica dei testi di Platone, Cervantes,
Rousseau e Kierkegaard.
Montebello, Pierre
La décomposition de la pensée:
dualité et impirisme
chez Maine de Biran
J. Millon, gennaio 1995
pp. 280, F 170
La Mémoire sur la décomposition de
la pensée di Maine de Biran costituisce la rimessa in causa della metafisica che si fonda sul dualismo. Rompendo con la divisione tra anima,
pensiero e corpo, Maine de Biran
elabora una filosofia che che afferma
che il pensiero è fondamerntalemente
dualità. L’autore è uno specialista del
settore.
Mengue, Philippe
Gilles Deleuze ou Le système
du multiple
Kimé, febbraio 1995
pp. 320, F 180
Non ha senso obiettare qualcosa al
pensiero di Deleuze non perché è
particolarmente solido, ma perché non
si può mai avere l’ultima parola. Non
una parte in cui si possa pensare di
chiudere una volta per tutte il pensiero. Si è sempre nelle cose, nella loro
variazione accidentale ed inaccessibile, con il pensiero fuori.
Moore, E.C. - Robin, R.S.
(a cura di)
From Time and Chance
to Consciousness. Studies
in Metaphysics of Charles Peirce
Berg Publ., febbraio 1995
pp. 224, £ 40
Si tratta di una selezione delle trascrizioni degli interventi tenuti durante lo
Harvard Congress in commemorazione del centocinquantesimo della
nascita di Charles Peirce.
Mesch, Walter
Ontologie und Dialektik
bei Aristoteles
Vandenhoeck & Ruprecht
dicembre-gennaio 94/95
pp. 203, DM 60
Questa ricerca dimostra che la metafisica aristotelica è da intendersi, nella sua concezione dell’ontologia,
come uno sviluppo della dialettica
socratico-platonica.
della tradizione filosofica e letteraria
occidentale ed è uno dei vertici del
Rinascimento. Questa edizione pubblica il testo latino di Tommaso Moro
e la tradizione inglese a fronte, un
commento, una guida testuale ed
un’introduzione.
Morris, Brian
Anthropology of the Self
Pluto Pr., dicembre-gennaio 94/95
pp. 256, $ 13
In questo testo unico, Morris esplora
le origini, le dottrine e concezioni del
sé nelle società occidentale, asiatica,
africana, arrivando fino alla filosofia
greca, il buddismo, l’induismo, il confucianesimo, il taoismo e la filosofia
africana e concludendo con il femminismo.
Murphy, Cornelius F.
Beyond Feminism: Towards
a Dialogue on Difference
Catholic UP USA, gennaio 1995
£ 13.50
In questo studio, la discussione sulle
relazioni tra uomini e donne viene
lanciata a partire da una premessa
cruciale: che la lotta per uguali diritti
per le donne ha raggiunto un punto in
cui la collaborazione e non la confrontazione tra i sessi si è resa necessaria per un progresso continuativo.
Nagl, L. - Silverman, H.J.
(a cura di)
Textualität der Philosophie.
Philosophie und Literatur
Oldenbourg,
dicembre-gennaio 94/95
pp. 240, DM 46
Nietzsche, Friedrich
Human, trop humain
vol. II e II
tr. dal tedesco di H. Albert
pref. e note di A. Kremer Marietti
Si tratta di una serie di aforismi
concepiti originariamente come
“considerazioni inattuali” e dedicati a Voltaire. L’autore oppone al
mondo metafisico la propria filosofia storica.
Midgley, Mary
The Ethical Primate.
Humans, Freedom and Morality
Routledge, febbraio 1995
pp. 208, £ 18
Mary Midgley è stata recentemente
definita “...una delle penne critiche
più fini dell’Occidente”. In questo
suo nuovo libro, l’autrice scandaglia
le importanti domande intorno alla
libertà dell’uomo.
Moravia, Sergio
The Enigma of the Mind:
The Mind-body Problem
in Contemporary Thought
Cambridge UP, febbraio 1995
£ 12.95
Pubblicato in italiano con il titolo
L’enigma delle mente, questo libro
fornisce un ampio resoconto criticostorico di uno dei dibattiti fondamentali della filosofia della mente: il rapporto tra mente e corpo. Dopo aver
illustrato le recenti teorie del problema mente-corpo, l’autore formula la
sua tesi.
Nietzsche, Friedrich
Les philosophes préplatoniciens
trad. dal tedesco di N. Ferrand
pres. e note di P. D’Iorio
Eclat, gennaio 1995
pp. 400, F 220
Si tratta della traduzione dell’edizione integrale delle lezioni del 1872’73, stabilite sulla base dei manoscritti conservati presso gli archivi
Goethe-Schiller di Weimar. Contiene quattro inediti su Anassimandro,
Parmenide e Xenofane, Zenone ed
Anassagora. Nel volume si trova
amche un breve articolo sui “Successori dei filosofi”. Si tratta di un volume universitario.
Minazzi, Fabio
Il flauto di Popper
Saggio critico sulla “new
philosophy of science” e la sua
interpretazione di Galileo
FrancoAngeli, marzo 1995
pp. 512, L. 53.000
Popper, suo malgrado, sembra esser-
More, Sir Thomas
More: “Utopia”: Latin Text
and English Translation
a cura di G.M. Logan
Cambridge UP, gennaio 1995
£ 50
L’Utopia, pubblicata in latino nel
1516, è uno dei più importanti libri
Nordmann, Ingeborg
Hannah Arendt
Campus, dicembre-gennaio 94/95
pp. 150, DM 24,80
Nordmann introduce al mondo di
pensiero di H. Arendt come se si
trattasse di un’officina, all’interno
della quale le diverse tradizioni -
76
NOVITÀ IN LIBRERIA
Aristotele, Agostino, Kant, Nietzsche, Benjamin e Heidegger - possono essere combinate in modo sorprendente.
Norman, Richard
Ethics, Killing and War
Cambridge UP, gennaio 1995
pp. 228, £ 9.95
La guerra può mai essere giustificata? Perché è sbagliato uccidere? Norman considera queste questioni ed
altre ad esse legate, esaminando la
possibilità di argomentazioni morali
razionali e della natura. Gli esempi,
come la guerra del Golfo e quella
delle Falkland, dimostrano che se la
filosofia morale non ha risposte, può
senz’altro gettar luce sui problemi.
Nozick, Robert
La natura della razionalità
Feltrinelli, marzo 1995
pp. 320, L. 50.000
Emerge una nuova teoria dell’azione
razionale in cui al significato causale
evidenziale degli atti umani si aggiunge quello simbolico.
Nutzinger, H.G.
Wirtschaftsethische Perspektiven
vol. II: Unternehmen
und Organisationen, philosophische
Begründungen, individuelle
und kollektive Rationalität
Duncker & Humblot, febbraio 1995
pp. 193, DM 96
O’Neill, John
The Poverty of Postmodernism
Routledge, febbraio 1995
pp. 240, £ 13
O’Neill esamina il corso post-moderno delle scienze sociali. Dal punto di
partenza fenomenologico (Husserl,
Merleau Ponty, Schutz, Winch), l’autore mette in discussione il post-razionalismo di Lyotard che legge
Wittgenstein e Habermas allo scopo
di difendere la ragione del buon senso
ed i valori della vita quotidiana.
O’Regan, Cyril
The Heterodox Hegel
State Univ. of New York,
dicembre-gennaio 94/95
pp. 448, $ 25
Il primo studio completo dello sfondo mistico di Hegel. Il lavoro di O’Regan è uno studio innovativo che metterà il lettore in grado di capire l’opera di Hegel nel contesto della tradizione mistica che egli rivendicava
come propria.
Oberdorfer, Bernd
Geselligkeit und Realisierung
von Sittlichkeit.
Die Theorieentwicklung
Friedrich Schleiermachers bis 1799
de Gruyter, febbraio 1995
pp. 570, DM 278
Si tratta di uno studio dell’opera giovanile di Friederich Schleiermacher,
Über die Religion, edita in forma
completa dal 1984 e che raccoglie
alcuni discorsi. Il complesso teorico
storico-sistematico che caratterizza
le prime opere di Schleiermacher
viene qui ricostruito in modo socioteoretico.
Onfray, Michel
La raison gourmande:
philosphie du goût
Grasset, febbraio 1995
pp. 267, F 120
Si tratta di un’analisi della filosofia
del gusto: qual’è la metafisica promessa da un stufato o da una pietanza
bruciata? Quale tecnica gastronomica sono autorizzati ad utilizzare i grandi sistemi filosofici? L’opera è composta da un capitolo liquido e da un
capitolo solido. Dom-Perrillon, Brillat-Savarin, Carême diventano, con
Leibniz, Cartesio e Condillac, gli eroi
di questo libro sapiente e bizzarro.
Pestalozzi, Johann Heinrich
Mes recherches sur la marche
de la nature dans l’évolution
du genre humain
tr. e a cura di M. Soëtard
Payot.Lausanne, febbraio 1995
pp. 294, F 139
Queste ricerche del 1797 gettano le
basi di una filosofia dell’educazione, ma aprono anche la strada alla
costruzione di un metodo, così come
verrà elaborato a Stans, a Berthoud e
a Yverdon. Una filosofia dell’educazione che interroga quella di
Rousseau, l’etica di Jacobi, Spinoza,
Fichte e la filosofia tedesca. L’autore è uno specialista del settore.
Paetzold, Heinz
Ernst Cassirer: Von Marburg
nach New York. Eine philosophische
Biographie
Wiss. Buchges., febbraio 1995
pp. 264, DM 39,80
E’ la prima biografia di Ernst Cassirer,
dedicatagli nel cinquantesimo della
morte, che tratta sia della vita che
dell’opera e del pensiero dell’importante filosofo del nostro secolo.
Pico della Mirandola
Le périple intellectuel
de Jean Pic de La Mirandole
suivi de ‘Discours de la dignite
de l’homme et de l’être et l’un’
a cura di L. Valcke, R. Galibois
Université Laval, febbraio 1995
pp. 353, F 192
Questo itinerario intellettuale di Givanni Pico della Mirandola ci prepara
alla lettura Oratio de hominis dignitate e di De ente et uno di cui si
trovano qui le traduzioni.
Parkes, Graham
Composing the Soul. The Reaches
of Nietzsche’s Psychology
Univ. of Chicago Press
febbraio 1995
pp. 440, $ 44
Pieper, A. (a cura di)
Die Gegenwart des Absurden.
Studien su Albert Camus
A. Francke, dicembre-gennaio 94/95
pp. 104, DM 36
Parrini, Paolo
Conoscenza e realtà
Saggio di filosofia positiva
Laterza, marzo 1995
pp. 256
In un momento di diffuso scetticismo
sul senso e il valore del discorso filosofico, l’Autore affronta i problemi
della verità, della oggettività e della
razionalità per concezione positiva
del sapere.
Platone
Parménide
tr. e a cura di L. Brisson
Flammarion, gennaio 1995
pp. 352, F 45
Si tratta di uno dei famosi dialoghi di
Platone, uno dei vertici della metafisica occidentale.
Platone
Platon par lui-même
Flammarion, gennaio 1995
pp. 288, F 37
Si tratta di un’antologia platonica, di
un’introduzione al pensiero di Platone. Un’opera utile non solo agli studenti ed agli insegnanti, ma anche a
chi preferisce farsi da sé un’idea del
corpus platonico.
Pascal, Blaise
Discors sur les passions
de l’amour
Mille et une nuits, febbraio 1995
pp. 48, F 10
Pascal è l’autore del Discorso sulle
passioni dell’amore? La severità dei
Pensieri ricorda molti passi di questo
inno alla grandezza dell’uomo, alle
sue aspirazione innate al sublime. Un
testo misterioso in cui la meccanica
contraddittoria del sentimento è analizzata con la precisione di un trattato
di fisica.
Platone
Sämtliche Werke in 4 Bänden
vol. I: Apologie des Sokrates
und Frühdialoge - Ethik
vol. II: Mittlere Dialoge
- Ideen, Eros, Staatsmodell
vol. III: Späte mittlere
und späte Dialoge. Briefe Probleme der Ideenlehre,
Sein, Wahrheit, Wissen
vol. IV: Späte Dialoge
- Kosmologie und Gesetzlehre
Rohwohlts Taschenbuch,
dicembre-gennaio 94/95
DM 22,90 al vol.
Perelman, Bob
The Trouble with Genius:
Reading Pound, Joyce, Stein,
and Zukofsky
Univ California, febbraio 1995
pp. 300, £ 12.95
Questo testo mostra come l’inaccessibilità degli scritti di scrittori come
Pound, Joyce, Stein e Zukofsky riveli
i conflitti tra lo scopo di essere socialmente rilevanti e l’innovazione letteraria. L’autore vede il genio come un
ruolo che è sia sociale che poetico.
Platone
Werke. Übersetzung und Kommentar
vol IX,2: ‘Nomoi’ (Gesetze)
libri I-III
tr.e commento di Kl. Schöpsdau
a cura di E.Heitsch, C.W. Müller
Vandenhoeck & Ruprecht
77
febbraio 1995
pp. 540, DM 158
Il volume è edito per conto della Kommittee für Klassische Philologie der
AdW und der Literatur di Magonza.
Plotino
Ennead 3.6: With Introduction,
Translation, and Commentary
a cura di D.B. Fleet
Clarendon Press, gennaio 1995
pp. 352, £ 40
Si tratta di una traduzione in lingua
inglese del lavoro seminale di Plotino,
all’interno del primo pensiero occidentale. Il testo offre anche un commento dettagliato curato da degli studiosi di Plotino e che riguarda questo
particolare settore della sua filosofia.
Il volume è quindi indirizzato a chi si
interessa di filosofia antica e di teologia cristiana.
Popkin, Richard H.
La storia dello scetticismo
Da Erasmo a Spinoza
Anabasi, febbraio 1995
pp. 352, L. 50.000
Il ruolo dello scetticismo rinascimentale nella formazione della filosofia
moderna, con particolare riferimento
alla problematica del rapporto federeligione.
Popper, Sir Karl
Knowledge and the Body-Mind
Problem. In Defense of Interaction
Routledge, dicembre-gennaio 94/95
pp. 128, £ 20
Il volume si basa sulle lezioni di Kenan, tenute da Popper alla Emory
University nel 1969. Vengono sollevati i problemi relativi alla libertà
umana, la creatività, la razionalità ed
alle relazioni tra esseri umani e alle
loro azioni.
Popper, Sir Karl
The Myth of the Framework.
In Defense of Science and Rationality
Routledge, dicembre-gennaio 94/95
pp. 176, £ 25
I saggi di questo libro si occupano di
argomenti come gli scopi della scienza, il ruolo che ha nella nostra civiltà, la responsabilità morale dello
scienziato, la funzione dell’università, la scelta perenne tra ragione e
rivoluzione.
Porath, Erik (a cura di)
Aufzeichnung und Analyse
Königshausen & Neumann,
febbraio 1995
pp. 207, DM 46
La situazione della ricerca sulla memoria non è facilmente definibile. La
filosofia dovrebbe cercare di mettere
in relazione i divergenti approcci
scientifici e di verificare la loro portata. Questo compito è una parte del
lavoro della memoria culturale.
Portales, Gonzalo
Hegels frühe Idee der Philosophie
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 220, DM 88
NOVITÀ IN LIBRERIA
Proust, Joëlle
La connaissance philosophique:
essai sur l’oeuvre
de Gilles-Gaston Granger
a cura di E. Schwartz
PUF, gennaio 1995
pp. 368, F 198
Filosofo delle scienze matematiche e
del linguaggio, storico della scienza e
della filosofia, G.-G. Granger ha anche posto le basi per una critica filosofica degli utensili formali delle
scienze sociali. L’oggetto di quest’opera è la spiegazione di alcune
proposizioni centrali alla teorizzazione dell’autore. Nel volume, viene
anche fatto bilancio dei problemi risolti e delle difficili questioni rimaste
pendenti.
Puster, W. (a cura di)
Veritas filia temporis?
Philosphiehistorie zwischen
Wahrheit und Geschichte.
Festschrift für Rainer Specht
zum 65. Geburtstag
de Gruyter, febbraio 1995
pp. 311, DM 174
Si tratta di uno scritto dedicato a Rainer Specht, in occasione del suo sessantacinquesimo compleanno.
Putnam, Hilary
Pragmatism. An Open Question
Blackwell, dicembre-gennaio 94/95
pp. 140, £ 10
In questo libro viene preso in considerazione il pragmatismo, non solo a
causa di un interesse per le questioni
teoriche, ma soprattutto per rispondere alla domanda se è possibile trovare un’alternativa allo scetticismo
morale corrosivo, da una parte, ed
all’autoritarismo morale dall’altra.
Questo avviene confrontando gli
scritti di James, Peirce, Dewey e
Wittgenstein.
Pyle, Andrew
Atomism and its Critics
Thoemmes Press, febbraio 1995
pp. 700, £ 65
Si tratta di uno studio della storia
della teoria atomica della materia tra
l’epoca di Democrito e quella di
Newton. Il lavoro testimonia un approccio critico alle argomentazioni
utilizzate a favore e contro queste
quattro tesi, in tre periodi diversi:
l’antichità, il medioevo ed il XVII
secolo.
Ramond, Charles
Qualité et quantité dans
la philosophie de Spinoza
PUF, febbraio 1995
pp. 336, F 188
Sondando l’insieme dei contesti e gli
aspetti di questa coppia di nozioni
(qualità e quantità), l’autore sottolinea la loro portata come operatori
della rilettura del sistema spinoziano.
Si tratta di un testo universitario.
Rancière, Jacques
La mésentente:
politique et philosophie
Galillé, febbraio 1995
pp. 187, F 145
La filosofia politica comincia con il
rifiuto platonico dell’apparenza, del-
la delusione e del litigio propri della
democrazia, che identifica la collezione degli incommensurabili della
comunità e la richiesta di una politica
“in verità”. Ci si interrogherà sulle
trasformazioni di regime di questa
verità.
vidualizzati interagisca con i bisogni
e gli interessi diffusi in una intera
compagine sociale.
Rotenstreich, Nathan
Reason and its Manifestations.
A Study on Kant and Hegel
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 210, DM 68
Reale, Giovanni
La saggezza antica. Terapia
per i mali dell’uomo d’oggi
Cortina, gennaio 1995
pp. 200. L. 25.000
Una sorta di itinerario fra i mali che
affliggono l’uomo d’oggi che mostra come la saggezza antica offra i
modi per la cura dei malanni contemporanei.
Rousseau, Jean Jacques
Lettere sulla botanica
Guerini, gennaio 1995
pp. 160, L. 26.000
Le lettere e gli scritti che il filosofo
ginevrino dedicò all’osservazione del
regno vegetale.
Rebstock, Hans-Otto
Philosphische Vergewisserung.
Wider postmodernen Skeptizismus
und Marxismus-Nostalgie
Kovac, febbraio 1995
pp. 98, DM 59,80
Saarinen, Risto
Weakness of the Will
in Medieval Thought.
From Augustine to Buridan
Brill, dicembre-gennaio 94/95
pp. 140, FOL 135
Reichholf, Josef H.
L’impulso creativo
Garzanti, febbraio 1995
pp. 320, L. 35.000
Reichholf rilegge la storia della vita
tenendo conto non solo delle scoperte
della genetica, ma soprattutto delle
moderne conoscenze sul metabolismo degli esseri viventi, giungendo a
conclusioni di grandissimo interesse
e per certi aspetti sorprendenti.
Salomé, Lou Andreas
Friedrich Nietzsche
in seinen Werken
Insel, dicembre-gennaio 94/95
pp. 360, DM 38
Si tratta di una nuova edizione di
questo libro, con le note di Th.
Pfeiffer.
Sand, Christian
Die große Freiheit.
Über einige Ähnlichkeiten
und Unterschiede
in den Freiheitsverständnissen
der europäischen, indischen
und chinesischen Philosophie
Junghans, febbraio 1995
pp. 250, DM 54
Rockmore, Tom
Heidegger and French Philosophy.
Humanism, Antihumanism and Being
Routledge, febbraio 1995
pp. 304, £ 15
L’autore rintraccia l’influenza di
Heidegger sulla natura del dibattito
filosofico in Francia ed analizza come
filosofi com Sartre, Lacan, Foucault,
Derrida, Irigaray e Lacoue-Labarthe
hanno adottato il suo pensiero.
Sartre, Jean-Paul
Beauvoir, Simone de
Quiet Moments in a War:
The Letters of Jean-Paul Sartre
to Simone de Beauvoir - 1940-1963
Penguin, gennaio 1995
pp. 336, £ 8.99
Questo volume, un pendant a Testimonianza della mia vita, raccoglie le
lettere di Jean-Paul Sartre a Simone
de Beauvoir, che coprono gli anni che
vanno dal 1940 al 1963. Le lettere
descrivono la sua guerra, come soldato e come prigioniero, e tracciano il
suo cammino fino alla fama con la
pubblicazione delle sue opere più
important.
Rorty, Richard
Hoffnung statt Erkenntnis.
Eine Einführung
in die pragmatische Philosophie
Passagen Vlg., febbraio 1995
pp. 104, DM 25
Rosenthal, Sandra B.
Charles’ Peirce’s Pragmatic
Pluralism
Stae Univ. of New York,
febbraio 1995
pp. 192, $ 17
L’autrice considera in modo nuovo
quella che sembra essere una pietra
miliare della posizione di Peirce: il
convergere da parte della comunità di
chi interpreta le opere dei filosofi, nel
lungo periodo, verso un’opinione finale e definitiva.
Sautet, Marc
Un café pour Socrate:
comment la philosophie peut
nous aider à comprendre
le monde d’aujourd’hui
Laffont, febbraio 1995
pp. 315, F 139
Dopo aver ricordato le grandi tappe
della storia della filosofia occidentale ed i grandi uomini che le hanno
elaborate, l’autore interroga il presente alla luce del passato e vuole
invitare il lettore a filosofeggiare per
capire meglio la sua vita ed il suo
mondo attuali. Il libro è adatto al
vasto pubblico.
Rossetti, Guido - Bellini, Ornella
(a cura di)
Teorie e forme della razionalità
pratica
Ed. Scientifiche, gennaio 1995
pp. 124, L. 16.000
Il volume affronta la questione di
quale razionalità sia capace il progetto sociale e come il perseguimento di
obiettivi particolari e di interessi indi-
78
Schaeffler, Richard
Erfahrung als Dialog
mit der Wirklichkeit.
Eine Untersuchung zur Logik
der Erfahrung
Karl Alber, dicembre-gennaio 94/95
pp. 800, DM 168
Schaper, Susanne
Ironie und Absurdität
als philosophische Standpunkte
Königshausen & Neumann
dicembre-gennaio 94/95
pp. 172, DM 44
Si tratta della tesi di laurea tenuta
dalla Schaper presso l’Università di
Gießen nel ’93.
Schelling, Friedrich
Lettere filosofiche su dommatismo
e criticismo. Nuova introduzione
del diritto naturale
a cura di Giuseppe Semerari
Laterza, marzo 1995
pp. 176
Il volume raccoglie le Lettere che
hanno rappresentato un documento
di grande rilievo nella disputa filosofica dell’ultimo Settecento tedesco e
la Nuova deduzione, scritta nello stesso periodo, dove sono evidenti le tendenze anarchiche, libertarie e individualistiche del giovane Schelling.
Schelling, Friedrich Wilhelm J.
Philosophie de la révélation
libro III, parte II
tr. e a cura di L.F. Marquet
J.-F. Courtine
PUF, dicembre 1994
pp. 384, F 248
Questo terzo ed ultimo libro dell’opera
di Schelling, costituisce la conclusione sistematica della filosofia positiva, come seconda parte, speciale, della filosofia della rivelazione.
Schervish, Paul G.
Coutsoukis, Platon E.
Lewis, Ethan
Gospels of Wealth:
How the Rich Portray their Lives
Praeger Publishers, gennaio 1995
pp. 304, £ 18.95
Il volume contiene una ricostruzione,
da parte di soggetti sani, della loro
vita ed esperienza e dimostra come
gli aspetti delal loro vita religiosa e
finanziaria si sviluppino e spesso si
intreccino. Questo testo sviluppa una
sociologia che va al di là delle teorie
convenzionali, dell’elite del potere,
del marxismo e del gruppo di Stato.
Schiefenhövel, W. (a cura di)
Gemachte und gedachte Welten.
Der Mensch und seine Ideen
Trias, febbraio 1995
pp. 250, DM 34
Schubert, Rainer
Was heißt, sich im Denken
orientieren? Eine christlich
-philosophische Abhandlung
Lang, febbraio 1995
pp. 250, DM 80
NOVITÀ IN LIBRERIA
Schürmann, Reiner
Dai principi all’anarchia
Essere e agire in Heidegger
Il Mulino, marzo 1995
pp.590, L.60.000
Il pensiero heideggeriano pone le
condizioni per ripensare la questione cruciale del rapporto fra teoria e pratica
Schwaiger, Clemens
Das Problem des Glücks
im Denken Christian Wolffs.
Eine quellen-, begriffsund entwicklungsgeschichtliche
Studie zu Schlüsselbegriffen
seiner Ethik
Frommann-Holzboog, febbraio 1995
pp. 230, DM 82
Sellier, Philippe
Pascal et Sanit-Augustin
Albin Michel, febbraio 1995
pp. 645, F 85
L’influenza dell’eredità augustiniana, non solamente su Pascal, ma sull’insieme degli autori del XVII secolo è stata notevole. L’autore analizza
in particolare la lettura pascaliana di
Sant’Agostino attraverso il gruppo
giansenista. L’argomento sarà di sicuro interesse per il pubblico.
Semerari, Giuseppe
Filosofia. Lezioni preliminari
Guerini, gennaio 1995
pp. 176, L. 30.000
Rivolto al lettore non specialista e
allo studente, spiega i nodi del pensiero filosofico e le sue articolazioni
con le altre branche del sapere.
Seneca, San Paolo
Epistolario apocrifo
Rusconi, marzo 1995
Un falso storico che ha origine nel IV
secolo d.C., l’epistolario apocrifo tra il
filosofo stoico Seneca e il “semileggendario” apostolo cristiano, Paolo.
Sestov, Leone
Contra Husserl
Una polemica filosofica
Guerini, gennaio 1995
pp. 192, L. 28.000
Tre scritti realizzati dal filosofo russo
tra il 1917 e il 1938, che scandiscono,
a distanza di dieci anni uno dall’altro,
la sua dura opposizione alla filosofia
come scienza rigorosa di Husserl.
Seung, T.K.
Kant’s Platonic Revolution
in Moral and Political Philosophy
John Opkins UP, febbraio 1995
pp. 312, $ 40
A partire da Kant, le forme platoniche
sono idee basilari per la costruzione
della morale, dell’estetica e delle norme e degli standard politici. Questa è
l’essenza del construttivismo platonico di Kant che viene spiegato da
Seung paragonandolo ad altri programmi di costruzione, come il convenzionalismo di Hobbes e lo storicismo di Hegel.
Severino, Emanuele
Antologia filosofica.
Le pagine più significative
del pensiero occidentale
Rizzoli, febbraio 1995
pp. 486, L. 16.000
Stephenson, R.H
The Mind at Work:
Goethe’s Conception
of Knowledge and Science
Edinburgh UP, gennaio 1995
pp. 300, £ 30
Il libro esamina il contesto culturale
delle opere scientifiche di Goethe. Si
occupa delle differenze operate da
Goethe tra l’amatore e l’esperto, di
ciò che intercorre tra la scienza dell’Illuminismo e la Naturphilosophie
del Romanticismo e cerca di collocare il suo pensiero scientifico all’interno del contesto in cui è nato.
Sherman, William H.
John Dee: The Politics
of Reading and Writing
in the English Renaissance
Univ Massachusetts, febbraio 1995
pp. 272, £ 31.50
Questo testo presenta una ricostruzione della carriera e dello sfondo
culturale di John Dee. Mette in
discussione l’immagine del filosofo eccentrico e colloca Dee in un
contesto nuovo, rivelandone la posizione di consulente molto ben
visto e conosciuto nei circoli accademici, di corte e commerciali ai
suoi giorni.
Stern, David G.
Wuttgenstein on Mind and Language
Oxford UP, dicembre-gennaio 94/95
pp. 272, £ 30
Questo trattato sostiene che le idee di
Wittgenstein sono molto più semplici
e molto più radicali di quello che
siamo portati a pensare. Partendo da
materiale di Wittgenstein non ancora
pubblicato, l’autore tenta di determinare che cosa motivò gli scritti di
Wittgenstein.
Singer, Peter
How are we to Live?:
Ethics in the Age of Self-interest
Mandarin, gennaio 1995
pp. 400, £ 7.99
Questo libro costituisce un’affermazione della natura e della società
umane e suggerisce che la gente che
ha un approccio etico alla vita spesso
sfugge alla mancanza di significato
prevalente nella società moderna e
trova invece molta soddisfazione in
ciò che fa.
Stern, J.P.
The Dear Purchase:
A Theme in German Modernism
Cambridge UP, gennaio 1995
pp. 438, £ 40
Questo testo studia i lavori individuali di dodici scrittori del modernismo
tedesco, in relazione alla storia del
XX secolo. Esplora il dear purchase
(“caro acquisto”) - la perseveranza
morale ed il sacrificio - visto come
caratteristica della Germania dopo
Nietzsche e rivela il lato oscuro che
sottostà a questa nozione.
Sinnott-Armstrong, Walter
Modality, Morality and Belief:
Essays in Honor
of Ruth Barcan Marcus
Cambridge UP, febbraio 1995
£ 35
Modalità, moralità e fede sono tra gli
argomenti più controversi della filosofia moderna e pochi filosofi hanno
dato forma a questo dibattito come
Ruth Barcan Marcus. Un gruppo di
filosofi, ispirati dai suoi lavori, esplora questi argomenti.
Tanizaki, Junichiro
Libro d’ombra
Bompiani, marzo 1995
pp. 120, L. 12.000
La luce, emblema del pensiero filosofico occidentale, e la penombra, simbolo della cultura orientale, vengono
messe a confronto. Da tale contrapposizione esce vittoriosa la seconda,
per il suo ruolo nello sviluppo armonioso e umano dell’esistenza.
Smith, Michael
The Moral Problem
Blackwell, dicembre-gennaio 94/95
pp. 240, £ 15
Questo volume, di cui si era già parlato prima della pubblicazione, è
un’introduzione sistematica al dibattito animato che si svolge all’interno
della filosofia morale, di cui si tenta
qui anche un’analisi originale. Il libro
interesserà chiunque si occupa dei
fondamenti filosofici dell’etica.
Taylor, Benjamin
Into the Open: Reflections on Genius
New York UP, gennaio 1995
pp. 176, £ 39.95
Invocando la drastica critica del genio di Nietzsche, questo libro valuta i
casi meno programmatici e più ansiosi di Pater, Valery e Freud sul ruolo di
Leonardo da Vinci. Mentre Nietzsche cercava e trovava una fuga nell’umanesimo romantico, gli altri non
potevano rinunciare all’idea di genio.
Söling, Caspar
Das Gehirn-Seele-Problem.
Neurobilogie und theologische
Anthropologie
Schöningh, febbraio 1995
pp. 320, DM 88
Teller, Paul
An Interpretative Introduction
to Quantum Field Theory
Princenton UP, febbraio 1995
pp. 216, $ 40
Si tratta del primo libro che presenta
la teoria del campo dei quanti in modo
accessible ai filosofi.
Sosa, E. (a cura di)
A Companion to Methaphysics
Blackwell, dicembre-gennaio 94/95
pp. 500, £ 60
Il Companion è un repertorio di tutta
la metafisica, che include anche articoli di molti dei più accreditati studiosi del settore. Contiene più di 200
voci.
79
Ten, C.L.
Routledge History of Philosophy
vol. VII: The Ninteenth Century
Routledge, dicembre-gennaio 94/95
pp. 496, £ 55
I filosofi discussi in questo volume
includono gli esponenti delle tradizioni “analitica” e “continentale”, ma
anche quelli della non meno influente
tradizione pragmatica americana.
Ogni capitolo è scritto da un diverso
autore che presenta gli argomenti ed
i temi nel contesto e nel periodo in cui
sono sorti, mentre non dimentica la
loro importanza ed il loro interesse
per la filosofia attuale.
Terestchenko, Michel
Philosophie politique
vol. I: Individu et societé
Hachette-Classiques, gennaio 1995
pp. 158, F 56
Il volume permette di arrivare ad una
comprensione migliore dei problemi
principali che vengono posti alle società democratiche contemporanee.
Terestchenko, Michel
Philosophie politique
vol. II: Ethique, science et droit
Hachette-Classiques, gennaio 1995
pp. 156, F 56
Vengono trattati i seguenti argomenti: razzismo ed antirazzismo; nazione
e nazionalismo; cittadinanza ed emigrazione; etica e scienza.
Theis, Robert
Gott. Untersuchung zur Entwicklung
des theologischen Diskurses
in Kants Schriften zur theoretischen
Philosophie bis hin zum Erscheinen
der ‘Kritik der reinen Vernunft’
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 374, DM 135
Thofern, D. ( a cura di)
Rationalität im Diskurs.
Rudolf Wolfgang Müller
zum 60. Geburtstag
Diagonal-Vlg., febbraio 1995
pp. 412, DM 58
Thompson, P. (a cura di)
Issues in Evolutionary Ethics
State Univ. of New York Pr.
dicembre-gennaio 94/95
pp. 384, $ 25
La discussione riguardante la possibilità che la pratica etica e la teoria
etica trovino il loro fondamento nella
teoria dell’evoluzione ha preso una
nuova direzione, significatamente
diversa rispetto alla precedente, attraverso il contributo della socio-biologia. La questione si sta dimostrando di fondamentale importanza perché mette in discussione tutto il pensiero precedente. Questo libro mette
al corrente sulla portata e trasmette
l’importanza di questa discussione.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Timmermans Benoît
Le Résolution des problèmes
de Descartes à Kant: l’analyse
à l’âge de la révolution
scientifique
PUF, febbraio 1995
pp. 336, F 198
La rivoluzione scientifica del XVII
secolo, vede Cartesio inventare la
geometria analitica e Leibniz l’analisi dell’inifinito. Da dove viene questo
capovolgimento dell’analisi, la sua
fecondità che si compie con Kant? Il
volume propone anche una storia dell’evoluzione delle scienze nei secoli
XVII e XVIII ed uno studio dei rapporti tra la scienza, la metafisica e la
morale in quell’epoca. Si tratta di un
testo universitario.
Tonelli, Giorgio
Kant’s ‘Critique of Pure Reason’
within the Tradition
of Modern Logic. A Commentary
on its History
Olms, dicembre-gennaio 94/95
pp. 383, DM 128
Tuana, Nancy
Feminism and Philosophy:
Essential Readings in Theory,
Reinterpretation, and Application
Westview Press, gennaio 1995
pp. 632, £ 17.95
Si tratta di una raccolta di letture
da diversi lavori di filosofe femministe. Il libro cerca di rispondere a
domande come: che tipo di accordo sarà possibile con la corrente
predominante in filosofia, cioè
quella non femminista? Ed in che
modo, fino a che punto le femministe cambieranno gli argomenti che
sono oggetto dei filosofi?
Ueberweg, Friedrich
Grundriß der Geschichte
der Philosophie.
Die Philosophie der Antike
vol. IV: Die hellenistische
Philosophie
a cura di H. Flashar
Schwabe, dicembre-gennaio 94/95
pp. 1300, CHF 290
Il saggio contiene i seguenti contributi: “Epicuro, la scuola di
Epicuro, Lucrezio” di Michael
Erlere; “La Stoa” di Peter Steinmetz; “L’antico Pirroismo, la
nuova accademia, Antioco di
Ascalona” di Woldemar Görler;
“Cicerone” di Günter Gawlick e
Woldemar Görler.
luogo provilegiato di quest’operazione: testimone di un’eredità anziana, diventa il veicolo di innovazioni decisive. Si tratta di un testo
universitario.
sone dipende dalla loro competenza razionale, dalla loro capacità di
capire le ragioni morali e di controllare di conseguenza i loro comportamenti.
Viaud, Pierre
Une Humanité affranchie
de Dieu au XIXe siècle:
recherche d’un ordre universel
pr. R.J. Dupuy
Cerf, dicembre 1994
pp. 384, F 120
L’idea dell’unità della genesi e del
destino dell’umanità ha conosciuto, dal Rinascimento in Occidente
fino alla fine del XIX secolo, una
lenta laicizzazione, un affrancarsi
progressivo da Dio, a cui l’umanità
universale era legata e quindi limitata. Si trattava, come è noto, del
pensiero che ipotizzava un’organizzazione politica diversa dei sistemi monarchici europei.
Warrender, Howard
Il pensiero politico di Hobbes
Laterza, febbraio 1995
pp. 384, L. 27.000
Interpretazione dell’opera hobbesiana in cui è assunta come categoria portante di tutto il sistema del
filosofo inglese il concetto di “obbligazione morale”, un classico
della critica hobbesiana.
Winchester, James J.
Nietzsche’s Aesthetic Turn.
Reading Nietzsche after Heidegger,
Deleuze, Derrida
State Univ. of New York Pr.
dicembre-gennaio 94/95
pp. 224, $ 18
Questo libro, scritto in uno stile
chiaro ed indirizzato sia agli specialisti che ai non specialisti, si
concentra sugli ultimi scritti di
Nietzsche, in cui egli appare non
sistematico ed indifferente alle
questioni legate alla verità.
Vlastos, Gregory
Studies in Greek Philosophy
vol. I: The Presocratics
vol. II: Socrates, Plato
and their Tradition
a cura di D.W. Graham
Princenton UP,
dicembre-gennaio 94/95
pp. 384 + 344, $ 100
Gregory Vlastos (1907-1991) è stato uno dei più importanti studiosi
della filosofia dell’antichità nel XX
secolo.
Wohlrapp, H. (a cura di)
Wege der Argumentationsforschung
Frommann-Holzboog
dicembre-gennaio 94/95
pp. 400, DM 120
Vogeley, Kai Thorsten
Repräsentation und Identität.
Zur Konvergenz von Hinforschung
und Gehirn-Geist-Philosophie
Akademie, dic.-gennaio 94/95
pp. 320, DM 98
Il lavoro di Vogeley si occupa del
dibattito interdisciplinare tra ricerca e filosofia per quanto riguarda i
fenomeni fisici e psichici, che vengono trattati secondo il problema
tradizionale corpo-anima.
Valenza, Pierluigi
Reinhold e Hegel
Cedam, febbraio 1995
pp. 308, L. 48.000
Volkmann-Schluck, Karl-Heinz
Kants transzendentale Metaphysik
und die Begründung
der Naturwissenschaften
a cura di L. Koch e I. Strohmeyer
Königshausen & Neumann
febbraio 1995
pp. 140, DM 34
Alla base di quest’interpretazione
c’è il presupposto che la metafisica
trascendentale di Kant, così come
la si può desumere dalla Critica
della facoltà di giudicare teologica, rappresenta la chiave per capire
l’essere e le possibilità dell’essere
delle scienze naturali moderne.
Vegnières, Solange
Ethique et politique
chez Aristote:
physis, ethos, nomos
PUF, febbraio 1995
pp. 320, F 198
Raccogliendo la triplice eredità aristocratica, sofista e platonica, Aristotele ridefinisce l’etica e la politica tessendo dei legami tra di esse
che ne garantiscono la specificità
rispettiva. Il concetto di ethos è il
Wallace, R. Jay
Responsibility
and the Moral Sentiments
Harvard UP, gennaio 1995
pp. 320, £ 31.95
Questo testo sostiene che la responsabilità morale si affanna intorno a domande, come: quando è
giusto ritenere moralmente responsabili le persone per quello che
fanno? La questione se sia giusto o
meno ritenere responsabili le per-
Wolbert, W. (a cura di)
Moral in der Kultur
der Massenmedien
Herder, dicembre-gennaio 94/95
pp. 176, DM 34
Zanetti, Véronique
La nature a-t-elle une fin?:
le problème de la téléologie
chez Kant
Ousia, febbraio 1995
pp. 296, F 135
Come sostenere che una natura determinata produce degli esseri liberi? E come è possibile riconciliare la realizzazione dell’imperativo categorico con il determinismo fisico? L’idea della finalità
permette di pensare ad un luogo di
incontro possibile tra la storia dell’evoluzione naturale e la storia
delle azioni umane, ma questo non
consente di oltrepassare il fossato
del dualismo. Si tratta di un testo
universitario.
Zecchi, Stefano
Il bello e il brutto
Mondadori, febbario 1995
pp. 100, L. 20.000
Il bello e il brutto sono categorie
applicabili non solo all’arte o al
gusto, ma a tutti gli aspetti della
vita, come una vacanza o una scelta politica.
80
Ziefle, Reiner G.
Raumzeit-Paradoxa.
Analyse und Kritik
der relativischen Weltvorstellung
Haag & Herchen, febbraio 1995
pp. 140', DM 24,80
Zimmerman, Michael E:
Contesting Earth’s Future.
Radical Ecology and Postmodernity
California UP, febbraio 1995
pp. 460, $ 38
Il libro offre una valutazione positiva, ma molto equilibrata e di cui
c’era un notevole bisogno, dei principi, delle mete e dei limiti dei
principi dell’ecologia radicale.
L’autore colloca l’ecologia radicale all’interno del complesso terreno culturale della fine del XX secolo, mostrando i legami con il
pensiero anti-tecnologico di Martin Heidegger, del contro-culturalismo degli anni ’60, delle teorie
contemporanee del post-strutturalismo e della post-modernità.
Zsok, Otto
Zustimmung zum Leben.
Logotherapeutisch-philosophische
Betrachtungen um die Sinnfrage.
Mit einem Präludium von E. Lukas
Eos- Vlg., dicembre-gennaio 94/95
pp. 192, DM 22
Zwick, Jochen
Nietzsches Leben als Werk.
Ein systematischer Versuch über
die Symbolik der Biographie
bei Nietzsche
Aesthesis-Vlg, dic.-gennaio 94/95
pp. 224, DM 39,80
Si tratta della tesi di laurea, tenuta da
Zwick presso l’Università di Stoccarda nel ’94.
Zwilling, R. (a cura di)
Natural Sciences
and Human Thought
Springer, dicembre-gennaio 94/95
pp. 200, DM 118
Questo libro, selezionando i risultati
delle ricerche contemporanee, si pone
lo scopo di enfatizzare l’influenze
delle scienze naturali sul pensiero
umano e sul nostro modo di percepire
il mondo.