INFORMAZIONE FILOSOFICA FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. 50%, Milano. Singola copia: lire 10.000 Copia arretrata: 15.000 Abbonamento a 5 fascicoli: Italia: 45.000, enti 50.000, studenti 35.000; Europa: 55.000, enti 60.000, studenti 45.000; Extra-Europa: 85.000, enti 90.000, studenti 75.000. Redazione, direzione, amministrazione: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714 fax (02) 55015245 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s. r. l. 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In secondo luogo perché questa traduzione giunge in un momento in cui, per usare le parole stesse di Bloch, «il più antico sogno ad occhi aperti dell’umanità: il rovesciamento di tutte le situazioni in cui l’uomo è un essere umiliato, asservito, abbandonato, spregevole» sembra vanificato e spento dal richiamo a un “principio di realtà” che vede nella rassegnazione a un mancato progetto globale di costruzione della storia la conferma di un ineluttabile ferocia e impulso al dominio dell’uomo sull’altro uomo. Ma «può la speranza andare delusa?» Questa domanda Bloch settantaseienne, reduce dal fallimento dell’ “esperimento di Lipsia”, poneva come titolo della sua prolusione all’Università di Tubinga nel 1961, dopo aver deciso, con la costruzione del muro di Berlino, che non sarebbe mai più tornato nella Germania Est. Facendo nostra questa domanda, vogliamo accogliere la pubblicazione de Il principio speranza di Bloch, riportando un brano di questa prolusione. altri termini: direttamente riferita al poter essere delusa, la speranza ha eo ipso in sé la precarietà della vanificazione: non è assolutamente garanzia. Per essere tale essa è troppo strettamente legata al non essere ancora deciso del processo storico e cosmico, che certamente non è ancora vanificato da nessuna parte, ma egualmente da nessuna parte è ancora stato conquistato. Per essere tale essa sta troppo pienamente nel topos del possibile-oggettivamente-reale, che circonda il presente anche come pericolo, e non solo come potenzialmente salvifico. ...Nulla vi è di più umano che oltrepassare ciò che è. Che i sogni in fiore maturino solo di rado, lo si sa da tempo. L’esperta speranza lo sa meglio di chiunque altro; anche in ciò essa non è garanzia. Innanzitutto essa sa, per così dire a partire dalla sua autodefinizione, che non solo dov’è il pericolo cresce anche salvezza, ma pure che dov’è salvezza cresce anche il pericolo. Essa sa che il vanificante come funzione del nulla s’aggira per il mondo, sa che anche un «invano» è latente nella possibilità oggettivo-reale che porta in sé, non ancora compiute, tanto la salvezza quanto la sventura. Da nessuna parte il processo cosmico è già vinto, ma certo anche da nessuna parte è già vanificato, e gli uomini sulla terra possono essere i manovratori degli scambi del suo cammino non ancora deciso per la salvezza, ma neppure deciso per la sventura. Il mondo stesso resta nella sua totalità l’attivo e travagliatissimo laboratorium possibilis salutis. Perciò può essere detto: «Ci sta dinnanzi un giorno e continua a esservi, tanto che è impossibile far finta di non udirlo, al punto che addirittura gli avvoltoi e coloro che hanno piegato le loro ginocchia dinnanzi a Baal sono atterriti dall’immortalità prometeica». Ma Eraclito dice: «Chi non spera l’insperato non lo troverà». Ciò basti qui a proposito della vocazione in base alla quale l’essere uomo, nel senso trascendentale che essa fonda, significa andare oltre. Tale vocazione si accorda bene con la dignità umana e apre l’accesso a quel mare del possibile oggettivo-reale che il positivismo non è in grado di prosciugare, e su cui la speculazione non deve avventurarsi senza regole. Egualmente, la speranza del futuro esige uno studio, che non dimentica la miseria, ma soprattutto ancora meno l’Esodo. L’andare oltre ha molte forme, la filosofia - nil humani alienum - le raccoglie e le medita tutte. Così la speranza deve assolutamente poter andare delusa, in primo luogo, perché essa è aperta in avanti, in direzione del futuro, e non mira a ciò che è già presente a portata di mano. In quanto è autenticamente in sospensione, anziché sulla ripetizione essa punta sul mutevole, e con questo ha con sé anche il contingente, senza il quale non esiste nulla di nuovo. Con tale partecipazione del contingente, per quanto esso possa anche essere determinato in modo sufficiente, ciò che è continua anche a restare tale. E ciò per lo meno in quanto la speranza, che ha il suo campo all’aperto, paga con il rischio il fatto di non appoggiarsi sul vecchio. In secondo luogo, e in stretta connessione con il primo momento, la speranza deve poter essere delusa, poiché, anche se mediata concretamente, non può mai essere mediata con solidi dati di fatto. Questi per la sua consapevolezza sono in ogni caso solo momenti reificati soggettivamente, o punti d’arresto reificati oggettivamente di un corso delle cose di natura storica. Ma questo corso è storico, processuale, proprio perché non è ancora compiuto come fatto irrevocabile, nel senso di essere già integralmente divenuto. Perciò non solo l’affetto speranza (con il suo pendant paura), bensì soprattutto l’aspetto metodico speranza (con il suo pendant ricordo) sta nell’ambito di un nonancora, di un ancora perdurante non-essere-deciso di un avvento che concerne soprattutto il contenuto ultimo. In (Tratto da Ernst Bloch, Volti di giano, a cura di Tomaso Cavallo, Marietti, Genova 1994) 2 SOMMARIO 5 RESOCONTO 5 Bloch: principio speranza 40 NOTIZIARIO 43 CONVEGNI E SEMINARI 11 SCHEDA 43 Alle radici della filosofia analitica 11 La Biblioteca e il Centro di studi del Saulchoir 44 Al tempo di Poliziano 45 Lo spazio, la distanza, la scrittura 13 AUTORI E IDEE 46 Filosofia della storia e teoria della storicità 13 Teologia politica come teoria sociale 46 Il governo d’eccezione 14 Difesa del realismo 47 Kant politico 15 Cina e Grecia: strategie del senso 48 Rappresentazioni sociali e identità 16 Modernità e immagine 49 Bayle: allegria polemica e piacere logico 17 L’età dell’eloquenza 50 Von Humboldt a Tegel 18 Antiche e nuove geometrie 51 Pitagorismo: matematica e filosofia matematica 18 Hannah Arendt: vita filosofica e politica 52 Sogno e industria 19 Teorie morali tra filosofia e sociologia 53 Estraneità e familiarità 20 Orrore e stupore nell’estetica 55 Spinoza 21 Il linquaggio della politica, il linguaggio della morale 56 Italo Mancini: kerigma e prassi 23 Antropologia, etica e politica nell’Inghilterra del Settecento 57 Morale e politica 25 La percezione del tempo nell’epoca dei ‘media’ 58 CALENDARIO 25 TENDENZE E DIBATTITI 59 DIDATTICA 26 Sul rapporto tra filosofia e scrittura 59 Filosofia e professionalità docente 27 Il prospettivismo di Abel il declino della borghesia 60 Filosofia, formazione, professionalità 28 Nietzche e il declino della borghesia 61 Convegni 29 Nietzche nell’ex DDR 30 Rapporto con il reale e responsabilità della scienza 62 STUDIO 31 Immagini e ipertesti: pratiche della scrittura filosofica 62 Storia dell’astronomia e della cosmologia 32 Differenti concezioni degli animali 63 L’importanza dello scetticismo 34 Gilbert Simondon: individuazione e tecnica 64 RASSEGNA DELLE RIVISTE 35 PROSPETTIVE DI RICERCA 35 Il panteismo di Bruno e Cusano 69 NOVITÀ IN LIBRERIA ˇ 36 La verità vivente di Sestòv 38 Schleiermacher, Platone e l’ermeneutica 39 Rousseau, teorico di musica e di botanica 39 La filosofia mosaica 3 RESOCONTO Ernst Bloch 4 RESOCONTO In una pagina bile. L’analisi parte dal “resoconto” dei famosa, Ernst «piccoli sogni ad occhi aperti», raccolti Bloch ha parla- dalla vita di tutti i giorni, dal presente to della «non opaco e inautentico. Bloch procede quincontempora- di con un’analisi fenomenologica della neità» di eventi “coscienza anticipante”. Qui si incontra e situazioni che la scoperta della struttura pulsionale, afpure accadono fettiva e fantastica del non-ancora-codi nello stess o sciente, dell’inconscio come «luogo psiMirella Carignani momento, di chico del nuovo» o del non-ancora-coepoche real- sciente, nel suo essere rivolto in avanti. mente diverse che coesistono l’una ac- La coscienza non è solo consapevolezza canto all’altra come in un collage cubi- del presente a partire dal peso del passasta. L’imperioso presente, la cosiddetta to, ma anticipazione del futuro. Il futuro realtà che presume di essere l’unica e la è anticipato nell’incompiutezza del presola possibile si presenta come un calei- sente, nei suoi vuoti e nelle sue contraddoscopio, le cui immagini si trasforma- dizioni, che obbligano il pensiero a prono incessantemente. La pubblicazione, a dursi come oltrepassamento. L’utopia cura di Remo Bodei, dell’edizione ita- generata dalla speranza percorre l’osculiana dell’opera maggiore di Ernst Bloch, rità del presente, che invoca il futuro per Das Prinzip Hoffnung, che appare con il titolo: Il principio speranza (trad. it. di E. De Angelis e T. Cavallo, Garzanti, Milano 1994), potrebbe essere un esempio di questa “non contemporaneità” cara al filosofo. Abbozzato negli anni Trenta e composto da Bloch durante l’esilio americano (19381949), Das Prinzip Hoffnung fu pubblicato a Francoforte s/ M. nel 1959 e, dopo grandi difficoltà, a Berlino Est (excon un’intervista a Remo Bodei DDR) tra il 1954 e il 1959, per via delle accuse di revisionismo e di idealismo rivolte contro l’Istituto di Filosofia di Lipsia, diretto da Bloch - come documentano gli Atti della conferenza di Lipsia del 1957, voluta dal SED (il partito comunista tedesco orientale), “Problemi della filosoa cura di Riccardo Ruschi fia blochiana”, raccolti nel volume: Ernst Blochs Revision des il suo scoprimento: il «non-ancora-conMarxismus (La revisione del marxismo scio» dell’uomo appartiene al non ancodi Ernst Bloch, Berlino 1957) - nel 1957 ra divenuto, manifestato nel mondo. In la spaccatura tra Bloch e Walter Ulbricht questo modo Bloch fonda un’ “ontologia era definitiva. L’edizione italiana di Das del non ancora” come realtà del futuro. Prinzip Hoffnung appare a sua volta con Con l’ausilio di questa lente, Bloch può un ritardo singolare di decenni rispetto passare all’analisi dei contenuti della all’annunciata pubblicazione, nel 1962, speranza più sviluppati e ricchi di implidella traduzione di Ettore Brissa per la cazioni che vengono disposti su tre piacasa editrice Il Saggiatore; pubblicazio- ni. Anzitutto il “rispecchiarsi” della falne voluta dallo stesso Bloch per inserirsi sità sociale dominante in contenuti stenel dibattito politico e filosofico interno reotipati: vetrine, fiabe, viaggi, film, alla Sinistra italiana, dopo la repressione romanzi d’avventure, che Bloch definidi Budapest del 1956. sce «specchi per abbellire», desideri che Il principio speranza di Bloch, zibaldo- rispecchiati svolgono una finzione “norne filosofico di più di mille pagine che malizzatrice” del desiderio. Quindi la spaziano dalla letteratura alla pubblici- “costruzione” immaginaria e intramontà, dal cinema alla psicoanalisi, si pre- dana di una vita migliore, vista nelle senta come un’enciclopedia dei sogni, utopie mediche, sociali, tecniche, archidelle speranze, dei “non ancora”, conte- tettoniche, geografiche, nelle arti figunuti propri della “coscienza anticipan- rative, nella poesia, dove la fantasia late”, che orientano il comportamento del- scia trasparire il possibile dal reale che l’uomo, correlati ad un “mondo” proces- apre la vita della speranza come svilupsuale adeguatamente aperto e trasforma- po di una radice di senso. Infine le im- Il “principio speranza” di Ernst Bloch Bloch: principio speranza 5 magini e le cifre centrali dell’ “identità” o dell’attimo adempiuto, che trascendono il mondo presente: gli ideali morali, la musica, le speranze contro la morte, la redenzione religiosa, il sommo bene. Luoghi dove l’uomo sperimenta la sua identità che risiede nel riconoscimento del limite e del suo mai ininterrotto tentativo di oltrepassamento. La speranza allora guarda all’orizzonte dopo aver scorto l’aspetto nascosto del presente o la sua “direzione”. L’edizione de Il principio speranza è stata presentata ufficialmente a Milano dalla casa editrice Garzanti in un incontro a cui hanno partecipato Giuseppe Bevilacqua, Remo Bodei e Gianni Vattimo. Giuseppe Bevilacqua ha analizzato la fase centrale del pensiero di Bloch (1916-17) evidenziandone il profondo legame con la cultura espressionistica, che proprio in quel periodo presentava una cesura nel suo decorso storico per il rapido capovolgimento verso una prospettiva soterica, che prometteva salvezza proprio nel momento più oscuro, quello della “grande carneficina” della prima guerra mondiale. La fase iniziale dell’espressionismo (1904-5), segnata da un presagio oscuro e minaccioso «si è fatto buio» scriveva Georg Heim, riferendosi a un’angoscia inspiegabile, estesa a tutti gli strati della popolazione - è presente nella prosa blochiana di Der Geist der Utopie (Spirito dell’utopia, 1918, 1923), sincopata in brevi proposizioni, come di chi scrive in una situazione incerta, che ricorda quella di Ludwig Rubiner o la poesia di Jacob van Hoddis. Ma è “la svolta” da un oscuro futurismo apocalittico e disperato a una prospettiva soterica, sospinta da un’onda di speranze imprecise, incommensurabili, da un’attesa di palingenesi, che per Bevilacqua rappresenta il vero “snodo fondante” del pensiero di Bloch. «Dove vi è pericolo, lì cresce anche ciò che può salvare», aveva scritto Friedrich Hölderlin, nell’Inno caro a Bloch, Patmos. Se questa pubblicazione de Il principio speranza sembra venire in controtempo, in un momento cioè di crollo delle speranze e dove il futuro si presenta più come minaccia che come promessa, il problema dell’attualità o inattualità dell’opera di Bloch è stato affrontato da Remo Bodei attraverso l’analisi dei due termini chiave della tradizione utopica: “speranza” e “utopia”. Ripercorrendone la storia, Bodei ha ricordato come nell’ultimo trentennio del XVIII secolo le “utopie geografiche” (le isole di utopia), divengano “ucronie”. Con l’utopia dive- RESOCONTO nuta ucronia e con il pensiero politico di Per Gianni Vattimo è paradossalmente cietà di massa, che lì si delineavano Rousseau della “rigenerazione” dell’uo- proprio la distanza temporale con cui leg- proprio per questi suoi caratteri peculiari mo attraverso il rovesciamento degli osta- giamo Il principio speranza che ci permet- si presenta anche come testo “esistenzialicoli sociali, la storia assume un “carattere te oggi una lettura più autentica del pensie- stico”. Lo Heidegger di Essere e tempo, vertebrato”, divenendo una mappa in cui i ro di Bloch - i momenti di apertura verso il che rifiuta l’idea di identificare l’essere vincoli imposti dalla realtà si intrecciano futuro - impedendoci di appiartire il pen- con l’oggettività in quanto l’esistenza delcon possibilità aperte. Quello che Bloch satore in un apologeta dello stalinismo e il l’uomo è sempre progetto, speranza e anmette in questione, ha osservato Bodei, suo progetto in quello di una rivoluzione ticipazione, è per Vattimo molto vicino a non è il pensiero utopico come pura proie- avvenuta. La possibile attualità di questa Bloch. Il rispetto di Bloch per l’aspetto zione di desiderio, ma è il pensiero utopico “enciclopedia della speranza” è oggi lega- “concreto” della speranza, che egli coglie che ha già metabolizzato la dimensione ta, secondo Vattimo, alla possibilità di nei fenomeni apparentemente inautentici, storica e la storia, innervandola di una accentuare quegli elementi che caratteriz- marginali (la cosmesi, il guardarsi allo tendenza verso una determinata direzione. zano Spirito dell’utopia. Nell’elemento specchio, il kitch), indica per Vattimo il Solo che Bloch, assumendo l’idea del- utopico permanentemente insoddisfatto difficile equilibrio presente ne Il principio l’«utopia concreta» all’interno speranza. Se da un lato l’autendel marxismo, si trova, per Boticità dell’utopia consiste nel dei, di fronte ad un’ulteriore “non avere luogo”, nel non ladivaricazione: il passaggio dalsciarsi riconoscere, la tensione l’utopia alla scienza (Engels), al trascendimento dell’esistenche spera in “automatismi” e te non conduce Bloch sulle poriduce l’intervento umano ad sizioni estremistiche e snob di una semplice appendice, e la Adorno e della Scuola di Frantradizione rivoluzionaria (Socoforte, ma la sua ricerca è volrel), che impone alla storia una ta a considerare i fenomeni “dedeterminata direzione, forzanteriori” come calco negativo di done il corso. Per Bloch, la qualcosa di positivo che sono i “corrente calda” e la “corrente progetti di emancipazione. Ocfredda” del marxismo devono corre però, secondo Vattimo, essere temperate attraverso un non correre il rischio di mi“dispositivo mobile”. schiarsi in analisi eccessivamente rispettose del kitch, con L’analisi della dimensione onla conseguenza, per la filosonipervasiva della speranza fia, di dover alla fine prendere come attesa orientata non soltutto sul serio. tanto in senso sentimentale come desiderio, brama - ma L’attualità de Il principio speanche in modo cognitivo, rapranza, ha rilevato Vattimo, conpresenta per Bodei l’aspetto più siste nel considerare la “raziosignificativo dell’opera di nalità” come quel «filo rosso» Bloch. Se Goethe scriveva ne che permette di leggere, attraGli anni di apprendistato di verso un’ “ermeneutica del deWilhelm Meister: «I desideri siderio”, la realtà che si presensono presentimenti delle capata con manifestazioni anticicità che sono in noi», per Bodei panti, rispondenti a qualche si può aggiungere indirettamennostro progetto, e con le quali te, con Bloch, che i desideri può dialogare la nostra aspettanon fanno nulla, ma dipingono tiva di futuro, la nostra sperancon particolare fedeltà ciò che za come prassi emancipativa. dovrebbe essere fatto. La speE’ per questo stesso motivo che ranza è allora tutto il nostro Bloch critica l’anamnesi come mondo, poiché è presente in forma di conoscenza passiva e tutte le manifestazioni della vita Heidegger l’essere come preTelegramma di Wolfgang Harich (nel riquadro) in cui è presente la dimensione senza: la “banalità” consiste nel a Ernst Bloch per i suoi novantanni. del desiderio-progetto, che ci prendere la realtà come se fospermette un incontro con noi se “vera”. La realtà non è la stessi. La coscienza che dovrebbe essere il della speranza, della tensione, della fame, verità. La verità è quel tarlo che lavora luogo “cristallino”, come da Cartesio a è presente per Vattimo la progettualità dentro il reale per farlo diventare altro. Nel Husserl si è cercato di insegnare, è per “esistenzialistica”. Al di là delle critiche leggere le forme culturali come fenomeni Bloch il luogo più buio: siamo opachi a noi rivolte da Bloch al pensiero di Heidegger, della coscienza anticipante, ha concluso stessi. L’utopia di Bloch ha un’immagine con l’eccessiva importanza attribuita al- Vattimo, Bloch ci indica un criterio, nella “timida”, che vale solo perché accenna, l’«essere per la morte» in Sein und Zeit distinzione tra «affetti inadempiuti» e «aflascia presagire, non afferma. Nelle pagi- (Essere e tempo), Vattimo ha sottolineato fetti di attesa», per cogliere i progetti aune de Il principio speranza, attraverso come in realtà ci sia qualcosa di profonda- tentici. Questi non ci abbandonano a gusti un’attenta fenomenologia della vita quoti- mente affine tra lo spirito dell’esistenzia- estetici privati, ma ci portano ad un dialodiana - che deriva da Husserl, ma anche lismo di inizio secolo e la “rivolta” del- go autentico con il mondo. dall’amico Kracauer - Bloch manifesta l’espressionismo. tutta la potenza esplosiva della speranza, Se Spirito dell’utopia è un testo squisitache una volta riconsiderata in tutte le sue mente espressionistico nello sforzo di afpieghe, può servire da antidoto a quel pa- fermare la potenza dello spirito, dell’interthos della banalità che rinuncia a compren- no verso l’esterno - verso cioè quegli acdere il mondo nel suo stesso movimento. cenni, già piuttosto significativi della so6 RESOCONTO Intervista a Remo Bodei D. Professor Bodei, per cominciare vorrei chiederLe di presentare Ernst Bloch. stesso tempo, una base ontologica, relativa al fatto che non solo nella nostra psiche è presente questa tendenza verso il “non-ancora”, verso il completamento del desiderio; anche nell’essere, nella realtà tutta, non abbiamo l’immobilità, ma un tendere, un mirare verso le possibilità. Così come nell’evoluzione umana - e questa è la base antica del pensiero di Bloch, quella positivistica - si sarebbe passati dalla scimmia all’homo sapiens. È quindi la realtà stessa che tende verso il meglio. R. E’ un filosofo che ha scoperto e valorizzato un “nuovo continente” densamente abitato, ma anche di largamente inesplorato: quello Mirella Carignani della speranza. Che non è una virtù teologale o una semplice attesa del meglio, bensì il fondamento della realtà considerata nel suo incessante movimento. Bloch non pretende di negare i diritti della realtà. Si rifiuta però di codificarli secondo criteri statici e leggi immutabili... D. Non c’è, in questo, il rischio di un eccessivo ottimismo? R. No, perché la speranza è soggetta a incertezza e delusione. Semmai, l’attenzione di Bloch al “non ancora” ha a che fare con un’idea della nostra natura come espansiva, non conclusa. D. È in questo senso, dunque, che Bloch sostiene che la speranza rappresenta anche «un atto orientativo di specie cognitiva»? D. Bloch connette la speranza a quell’«oscuro movimento della realtà che tende verso una meta». Queste parole ricordano Leibniz e la Bildung goethiana. R. Sì, la speranza è anche un modo di conoscere: noi non conosciamo semplicemente come uno specchio che riflette il già dato. Noi conosciamo in termini dinamici, in modo simile a quelle figure dei futuristi, Balla e Boccioni, che hanno un’inerzia di movimento. Quindi la speranza, in questo senso, non è altro che l’evolversi di una situazione vista nel suo movimento. R. Sì, «tendono alla chiarità le cose oscure» - si potrebbe dire con Montale, che è molto leibniziano. In Bloch, dal punto di vista storico, vi è una ricostruzione attenta di un’altra linea, alternativa rispetto al realismo fotografico o all’ontologia rigida. Mi riferisco all’idea di Rorty, o di Heidegger, per i quali nell’epoca dell’ “immagine del mondo” tutta la filosofia occidentale è stata metafisica: la mente come specchio della realtà e mondo. Per Bloch quest’idea è molto sbagliata. Lui parte da Aristotele, da quella che chiama la “sinistra aristotelica”, cioè Avicenna, Averroè, Paracelso, Bruno, per giungere poi a Leibniz, Spinoza e Goethe, mettendo in evidenza appunto questo primato del possibile, il dynamei on, l’essente in possibilità: una filosofia del tendere verso qualche cosa e in cui la realtà non è immobilità, ma anzi implica il primato dei possibili o dei “compossibili” sul reale. In termini leibniziani, in Bloch vi è l’idea che prima viene il possibile e poi il reale, che non è altro che una raccolta di compossibili in numero legale. Vi è l’idea, ripresa in Soggetto e Oggetto, che «il presente cammina gravido del futuro», come scriveva Leibniz in una lettera del 1702; idea che si ritrova in un’altra espressione di Leibniz, che piaceva molto a Bloch, secondo cui «il futuro non è altro che il passato che vive in una dimensione più corta», come in una molla compressa, la cui tensione possiamo già ritrovare nel passato e nel presente. D. Quello che sta più a cuore a Bloch è l’indagine del presente. L’ «utopia concreta» si basa infatti, soprattutto, sul “qui” e sull’ “ora”. R. Tuttavia - egli afferma - siamo opachi a noi stessi proprio nel presente e nella vicinanza, nel momento e nel luogo in cui ci troviamo. Detto con un proverbio cinese da Bloch stesso citato: «alla base del faro non c’è luce». E allora, l’unico modo per redimerci dalla nostra opacità è quello della coscienza anticipante. L’ “utopia concreta” si presenta poi come il tentativo di Bloch di contrastare due modelli che in generale, ma anche nel solo marxismo, hanno dominato: da una parte un modello, che potremmo dire “iperealistico”, in cui della realtà e della storia si accettano soprattutto i vincoli, gli elementi di necessitazione, le famose “doglie del parto”, dall’altra quello di un socialismo utopistico, per il quale possiamo dire che se i fatti sono così, tanto peggio per i fatti, e si forzano le situazioni. Mi viene in mente Rosa Luxenburg, che negli anni Cinquanta diceva che non vi sono rivoluzioni tentate e fallite. Bloch si pone quindi anche contro il putchismo - come lo chiamava lui - del far violenza alla realtà. L’«utopia concreta» è così una sorta di equilibrio instabile, per cui le cose si modificano. D. La nostra esperienza è dunque per definizione insatura; ma questo sembra che non debba portarci né a lasciarci sopraffare dalla malinconia della realizzazione, né viceversa a lasciarci incantare dalla perenne fluidità della vita. In relazione a questo, Lei ha ricordato nell’ “Introduzione” a Il principio speranza la polemica tra Sartre e Merleau-Ponty. D. Lei ha accennato prima alla “coscienza anticipante”. Bloch compie in Il principio speranza un’ermeneutica dei desideri, il cui passo inaugurale è la distinzione tra gli “affetti adempiuti” e gli “affetti d’attesa”... R. Nella Critica alla ragione dialettica di Sartre del 1960 vi è l’idea che i grandi momenti storici sono quelli in cui le folle si fondono al “calor bianco” per dare l’assalto alla Bastiglia o al Palazzo d’Inverno e che poi il movimento si spegne e ci si rassegna. In questo senso, come ha detto Merleu-Ponty, Sarte è un ultrabolscevico, cioè un trotzkista per il quale ha valore soltanto la realtà in movimento. In Bloch vi è l’idea, invece - e nell’ “Introduzione” cito R. L’ermeneutica dei desideri in Bloch è quella che determina la speranza nelle sue specificità. Ciò significa che la speranza ha molte manifestazioni, che si presentano come “attesa di beni futuri” - che è poi la definizione classica del desiderio. Quindi i desideri in Bloch hanno anche, nello 7 RESOCONTO l’esempio del rapporto tra amore e matrimonio - che non sono belle solo le cose allo stato nascente, ma anche le forme del sentimento umano che si istituzionalizzano. Così come non è detto che il matrimonio sia la tomba dell’amore, anche il periodo postrivoluzionario, com’è successo ad esempio in Italia dopo il Risorgimento e l’unificazione, non rappresenta necessariamente un momento prosaico, dopo quello epico. Per Bloch, non è vero che questi siano momenti di compimento, che comportano la scomparsa dei grandi ideali, proprio perché niente è mai compiuto. Tutto ciò che sembra compiuto ha sempre intorno a sé un alone di incompiutezza. Bisogna allora spremere i possibili della realtà, che stiamo attraversando, affinché questo momento di movimento si veda. Quello che Bloch contesta del vecchio movimento rivoluzionario, è che le rivoluzioni siano momenti gloriosi, stati di grazia a cui poi segue, in termini adorniani, il “mondo amministrato”. Bisogna invece saper vedere nei momenti di calma apparente, sia in termini sociali, sia individuali, questa fermentazione del possibile. nostra esperienza, ci sono momenti di nunc stans, in cui sembra che il nunc, l’attimo, si fermi e che noi, in questi momenti estatici, entriamo in contatto con qualcosa che ci riempie di stupore. Può essere un «filo d’erba che trema», dice Bloch, citando lo scrittore norvegese Pannedy Amson, o una fiaba ascoltata da bambini; ciò significa che per cogliere l’utopia, o la speranza, o l’eternità, noi non abbiamo bisogno di dilatarci in un tempo infinito. Questa giunge all’improvviso, come un lampo di un temporale che squarcia il paesaggio, come una tempesta del Giorgione, o come la guardia di notte in certi quadri di Rembrandt. Sono momenti, insomma, in cui si squarcia il senso banale delle cose e si crea una percezione, che non si può dire abbia la durata di un istante, perché è un istante in cui, come in una notte buia, non vi era niente e all’improvviso un lampo ci ha permesso di vedere qualcosa, che poi continua a rimuginare in noi, a crescere, a lievitare... D. Prendendo spunto da queste considerazioni, possiamo far qui riferimento all’importanza, per Bloch, di mantenere presente nel pensiero lo stupore, la meraviglia? D. In questo senso Bloch sostiene che la rivoluzione deve essere un esperimento? R. Sì, certo. Bloch infatti apprezza molto il Teeteto di Platone e la Metafisica di Aristotele, che hanno posto la meraviglia all’origine della filosofia. Tuttavia, dopo il normale shock iniziale, Bloch afferma che dalla filosofia scompare lo stupore, mentre lo stupore deve rimanere sempre vivo nel pensiero filosofico, come apertura verso il nuovo; sono cattive, quindi, quelle filosofie, compresa quella grandissima di Hegel, che pretendono di racchiudere il mondo in un sistema prefabbricato e senza sorprese. Mentre tutta la cultura - non solo quella filosofica, ma anche quella artistica e letteraria del ‘900 - ha, secondo Bloch, esaltato giustamente questa dimensione della sorpresa e dello stupore. In questo senso si può riscontrare in Bloch un’apertura verso la religione, ad esempio verso il cristianesimo che, rispetto alle grandi religioni della salvezza, è caratterizzato dall’amore verso ciò che è piccolo e che normalmente non viene percepito e considerato. Per Bloch, bisogna «diventare come bambini»; e così, quando cita brani evangelici, è per dimostrare che bisogna riguadagnare, come nell’infanzia, questa capacità di essere aperti all’elemento del mistero, sottraendo però alla parola mistero quel suo carattere pomposo e speculativo. Nel mondo non ci sono risposte pronte; e il pensiero non deve “avere fretta”: «con l’agile speme precorra gli eventi e sogni la fine del duro servir»... R. Sì, deve essere un esperimento, appunto un experimentum mundi. La rivoluzione non ha il carattere di “sciogliersi istantaneamente”, non è una risoluzione istantanea, un miracolo per cui tutto si modifica. D. Il fatto che la speranza non si esaurisca nella sua proiezione verso il futuro comporta la paradossale coincidenza dell’attimo con l’eternità... R. Questo implica una serie di presupposti. In San Paolo vi è l’idea della distinzione tra l’aion outos e aion mellon. Aion è il termine greco che indica “tarda eternità”; ma aion significa inizialmente pienezza vitale. Per ragioni anche relative al termine ebraico, nel linguaggio paolino aion vuol dire mondo ed eternità nello stesso tempo. Aion outos (questo mondo) è allora il mondo che finisce con l’avvento di Cristo, mentre aion mellon, che letteralmente vuol dire eternità futura - il che è paradossale - è relativo alla basileia tou theou cioè al regno di Dio o ton uoranon (regno dei cieli). Per San Paolo, questo mette in evidenza il momento dell’immanenza: da quando Cristo è venuto sulla terra, l’eternità è qui, il mondo è cambiato, non è più quello dell’Antico Testamento; questa eternità noi ora l’abbiamo, è presente in questo mondo, che però non è ancora venuto a compimento. È l’idea di un’eternità che non è fissa, che non è tempo gonfiato, ma è un momento che lievita, una pienezza che aumenta, un “più di ieri e meno di domani”. Questo è il senso dell’utopia blochiana: la si coglie non nel tempo infinito, ma in questi grandi istanti; una volta che la si è colta, questa pienezza non è necessariamente immobile. La grande utopia di Bloch è che essa cresca con noi, anche se questi momenti di grazia poi spariscono. Ci sono delle lezioni di Bloch su Proust del 1962-66, in cui vengono fatte osservazioni sui momenti proustiani della memoria involontaria, sulle petit madeleine, sui «tre alberi, visti in mezzo alla strada, che sembra vogliano chiamarlo». In Proust, così come nella grande letteratura, nella musica, ma anche nella D. Quindi al cristianesimo Bloch riconosce di aver mantenuto viva la dimensione della speranza? R. Sì, anche se il cristianesimo ha per Bloch la caratteristica di presentare agli uomini, così come tutte le grandi religioni, un “se stesso migliore”, nel senso che ciascun individuo si vede nella religione come “ampliato”, secondo la definizione medioevale della speranza: dilatatio animi ad magna. D. Esattamente il contrario di ciò che sostiene Spinoza! R. Sì, per Spinoza non è altro che l’oscillazione della paura. In Bloch la speranza ha la caratteristica di portarci verso un’accrescimento di noi stessi, di farci incontrare un nostro 8 RESOCONTO io dilatato. Il cristianesimo mostra questa dimensione della speranza, ma la imbriglia attraverso tutto il sistema dogmatico di cui peraltro non può fare a meno: la paura dell’inferno, l’apparato ecclesiastico, i dogmi. Per Bloch, allora, non si tratta tanto di distruggere la religione - e, in questo senso, è antiilluminista. La religione non è soltanto il cono d’ombra rispetto alla luce della ragione, ma è qualcosa che addirittura sorregge la ragione, poiché è più profonda di essa. La religione è l’espressione del desiderio di essere migliori; tuttavia, questa dilatazione dell’animo viene in essa ingabbiata dai vincoli dogmatici che fanno sì che la religione sia un fatto politico. In termini spinoziani, ciò che mina la religione è l’obbedienza. co, nel senso che il suono porta con sé, nello stesso tempo, rigore matematico e enorme pathos. È ragione e nello stesso tempo sentimento, per cui possiede un elemento di indefinitività. Dai suoi studi sulla musica moderna emerge l’elemento della tradizione musicale, da Beethoven in poi, del tentativo di trasmettere un messaggio che non si può articolare in parole. D. Per concludere, torniamo un momento ancora all’edizione italiana de Il principio speranza. Dopo essere stata presente e centrale, con saggi e discussioni, nel dibattito politico, letterario e filosofico, quest’opera viene pubblicata, dopo decenni di attesa, con un ritardo singolare, quasi in controtempo. Professor Bodei, quale può essere oggi il punto di forza di quest’opera monumentale di Bloch? D. La religione è anche però in grado di rappresentare i lineamenti di un mondo migliore. È in questo senso, allora, che per Bloch essa è legata all’arte e alla filosofia? R. Innanzitutto, direi, che c’è in Bloch una punta di attualità polemica; dopo tante delusioni, con cui la R. Sia l’arte, sia la religiostoria ha sancito l’esito di ne, sia la filosofia, hanno a progetti utopici, che oggi che vedere, nel loro nucleo sembra siano crollati, il nopiù intimo, con quello che stro orizzonte di attese semHegel chiamava lo Spirito bra, in realtà, che si sia abassoluto - absolutus in bassato. In fondo, Bloch ci quanto ci si scioglie dalle fa vedere e considerare le contingenze e si ricerca ciò cose non così come sono, che per noi è significativo, appiattite sul piano della senza chiederci se possianecessità; in un certo qual mo mai realizzarlo. Per modo ci fa alzare di nuovo esempio, la musica di Belo sguardo, poiché solo nelethoven, o un quadro di la tensione verso il futuro è Raffaello, mi danno la perpresente il senso. Il punto cezione di una bellezza che di forza di Bloch è appunto probabilmente non si ragquella sua particolare congiungerà mai, suscitano in cezione dell’utopia del prenoi questo bisogno di un sente, tale per cui ogni assoluto, che pure non si istante del tempo è tangenpotrà mai realizzare. Quete all’eterno, se per eternità sto è l’assioma di Bloch, o intendiamo quei «momenˇ Ernst Bloch e Herbert Marcuse a Korcula (Iugoslavia) forse anche uno degli eleti dell’essere» o di pienezmenti della sua debolezza: za di vita che ci regala, ad se esiste un desiderio per ciò che è eterno, assoluto, per esempio, la grande letteratura, dove la densità del senso ciò che noi non conosciamo nella nostra esperienza, che delle cose ci si manifesta all’improvviso. Lo stupore è sempre limitata e caduca e temporalizzata; se esiste filosofico di cui parlavamo prima è in realtà un invito che questo desiderio, allora deve anche esistere l’oggetto che vale per tutti. Dobbiamo essere capaci di trasformare può soddisfarlo. Questo è anche il ragionamento di quanto ci appare inerte e ovvio, in qualcosa di ricco, Agostino; per quanto Bloch sappia bene che in termini mobile e problematico. Il fatto è che per Bloch noi tutti leopardiani può esserci un’illusione, che dal nostro biso- «sottoviviamo», sprechiamo intelligenza, capacità di gno di eternità ci sprofonda nella notte. sentire e percepire... D. E’ per questo dunque che secondo Bloch la musica è capace di dare «voce all’enigma»? D. Per eccesso di rassegnazione? R. ...e per oblio del meglio. Dobbiamo semplicemente non accontentarci di quello che ci passa il convento! R. Fin dall’inizio, in Spirito dell’utopia , Bloch vede nella musica questo elemento non localizzabile, a-topi9 RESOCONTO Con l’intento di fornire un bilancio dell’eredità del maggior pensatore utopico del XX secolo, all’indomani di della pubblicaGiuseppe Cospito zione dell’edizione italiana della sua opera principale e dopo la fine dell’esperienza storica del “socialismo reale”, si è tenuto a Genova, nei giorni 27 e 28 febbraio 1995, un convegno dal titolo: “Attualità e prospettive del ‘principio speranza’. L’opera fondamentale e il pensiero di Ernst Bloch”. Il convegno è stato organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal GoetheInstitut Genua. Aprendo i lavori del convegno, Gerardo Cunico ha sottolineato come la pubblicazione in Italia di Das Prinzip Hoffnung, a quarant’anni dalla sua prima stesura, costituisca l’occasione per una verifica complessiva di un pensiero che, lungi dall’apparire superato dal fallimento storico del “socialismo reale”, mantiene tutta la sua attualità, poiché oggi, come ieri, l’umanità non può fare a meno della dimensione della progettualità, del futuro, dell’utopia. Inoltre, ha rilevato Cunico, l’opera di Ernst Bloch non si limita alla dimensione politica, ma coinvolge altre sfere del sapere e dell’agire filosofia, teologia, etica, estetica , cogliendone nella speranza la struttura fondamentale. Per quanto riguarda la tematica religiosa, il teologo Jürgen Moltmann, ha inserito il pensiero del giovane Bloch, autore di Spirito dell’utopia (1918), nell’ambito della rinascita del messianismo giudaico dopo la catastrofe della prima guerra mondiale; una rinascita che Bloch vide incarnata nella rivoluzione comunista, unico possibile sbocco, a suo giudizio, del movimento sionista. Pur non accentuando mai la sua origine ebraica, Bloch si schierò in favore del socialismo internazionalista di Moses Hess contro il nazionalismo di Theodor Herzl, che considerò un tradimento della missione universale del popolo ebraico. Nei confronti delle religioni rivelate, ha osservato Moltmann, se da un lato Bloch non esce dallo schema gerarchico-evolutivo di Hegel (al cui culmine sta il cristianesimo come religione dell’universalità) e dall’altro riprende la critica antropologica di Feuerbach, egli approda tuttavia a una posizione personale, al di là della tradizionale distinzione tra atei e credenti. Una posizione che si può riassumere nella definizione di sé che Bloch diede allo stesso Moltmann (che, come altri relatori, ha ricordato il suo rapporto personale con l’autore) che lo interrogava sulla questione: «ateo per amore di Dio», per giungere fino all’affermazione paradossale, conte- Attualità e prospettive del “principio speranza” nuta in Ateismo nel cristianesimo, che «solo un ateo può essere un buon cristiano» e «solo un cristiano un buon ateo». L’aspetto religioso-messianico del pensiero di Bloch, anche dopo la sua “conversione” al marxismo, è tutto, secondo Moltmann, in quella speranza rivolta al futuro, destinata a non esaurirsi neanche con l’instaurazione della società senza classi, preconizzata da Marx, nel quale verranno a soluzione solo le questioni economicosociali, ma non il problema cruciale dell’esistenza umana, vale a dire l’ineluttabilità della morte. Quanto sia oggi attuale il pensiero religioso “eretico” di Bloch è stato motivo di fondo dell’intervento di Giovanni Ferretti, che ha sottolineato come Bloch vada oltre sia la definizione marxiana della fede come “oppio dei popoli”, sia quella engelsiana di involucro mistico di istanze di rivoluzione sociale. Nella religione Bloch riconosce la forma suprema della “coscienza anticipante”, che fonda e tenta di sperimentare una speranza che non si basa né su presunte “leggi” dello sviluppo storico (come nella lettura economicistica del marxismo), né su una fede teologicamente argomentata, ma sulla protesta di fronte alla miseria e all’oppressione del proprio prossimo: questo, secondo Ferretti, il significato del concetto blochiano di “religione in eredità” che, nonostante le aporie filosofiche in esso contenute, ha profondamente influenzato la recente riflessione teologica, volta a scoprire nella prassi liberatoria un momento essenziale del messaggio cristiano e a privilegiare l’immagine del Dio crocifisso rispetto a quello risorto e trionfante. Nel suo intervento Manfred Riedel ha ricostruito l’evoluzione del rapporto di Bloch con Nietzsche, dagli scritti giovanili al “materialismo” di Experimentum mundi, con particolare riguardo alla contrapposizione tra spirito apollineo e dionisiaco. Pur arrivando a superare tale dicotomia, riconoscendo in Schiller la figura di artista che fonde in sé entrambi gli aspetti e sostenendo con Kant che l’essenza dell’uomo non è in nessuno dei due, ma nel suo Io morale, il pensiero utopico blochiano continuerà a nutrirsi di quei primi stimoli nietzschiani. L’influenza del pensiero di Nietzsche, oltre a quello di Spinoza, sulla riflessione etica di Bloch è stata tematizzata anche da Remo Bodei. A differenza della Scuola di Francoforte, nella “logica del desiderio”, tipica delle società consumistiche, Bloch coglie, secondo Bodei, anche aspetti positivi, in quanto incarnazione, sia pure infima - da «paradisi a prezzo scontato», come Bloch definiva i primi grandi supermercati, conosciuti durante il suo esilio statunitense -, dello stesso “principio speranza” che anima il marxiano “sogno di una cosa” o l’attenzione cristiana per i “piccoli”; il problema è piuttosto quello di offrire una prospettiva adeguata al10 l’anelito di ogni uomo per una vita migliore: in questo senso, ha osservato Bodei, Il principio speranza può essere letto come una “ortopedia del desiderio” oltre che come un “sillabario della speranza”, orientata verso una concreta “filosofia della prassi”. Sul rapporto tra Bloch e l’arte si è pronunciato Stefano Zecchi, secondo il quale quella estetica è un’utopia asistematica, in cui si ha una preapparizione (Vorschein) del non-ancora dell’Essere. Tale visione progettuale dell’arte, ispirata a modelli preromantici, romantici e schellinghiani, e ancora una volta opposta a quella dei francofortesi oltre che al “realismo” di Lukács, è destinata ad avere vita difficile in un’epoca dissolutrice e nichilista (il «ciò che non siamo / ciò che non vogliamo» di Montale) come l’attuale. Nello stesso, ha fatto notare Zecchi, Bloch convive con l’utopia sistematica e “concreta” del materialismo storico. Gert Üding ha invece parlato della figura del Don Quijote ne Il principio speranza, rilevando come l’eroe di Cervantes non rappresenti solo il rimpianto di un’ideale ormai tramontato (la cavalleria), ma anche l’anelito, che si potrebbe definire faustiano, verso un mondo più giusto, che animava lo stesso Bloch. Numerosi elementi della sua biografia di outsider, come l’adorazione per Else, che diverrà la sua prima moglie, o il consapevole isolamento, nonché della sua filosofia utopica, come il ruolo della soggettività, della fantasia, del “sogno diurno”, “a occhi aperti”, rimandano anzi, secondo Üding, alla figura letteraria di Alonso Chisciano. Questo atteggiamento non comporta necessariamente, come ha sottolineato Cunico, una fuga dal presente, ma al contrario una decisa assunzione di responsabilità di fronte ad esso, con la volontà di rispondere a “la sfida dell’attimo”. Rinunciando a ogni fondamento eterno o atemporale dell’esistente, Bloch coglie nell’attimo l’origine oscura del tempo e rilegge i due doveri della kantiana Metafisica dei costumi come autorealizzazione e solidarietà, superando l’antitesi tra individuo e collettività: la risposta alla sfida dell’attimo non può che essere pratico-politica, in una progettualità che ha ben presente le condizioni storiche oggettive e non pretende di “violentare il presente” anche se implica una strategia per mutarlo (l’ “ottimismo militante” di Un marxista non ha diritto al pessimismo), superando l’opposizione tra uomo e natura. Il problema del rapporto tra Bloch e il materialismo storico è stato quasi un sotterraneo filo conduttore attraverso i vari interventi al convegno: comune a tutti, pur nelle differenti accentuazioni, la convinzione che il marxismo sia solo una delle fonti del pensiero blochiano e che quindi la sua (presunta) crisi non ne infirmi validità e attualità. SCHEDA A Parigi, nel cuore del XIII Arrondissement, al n. 43 bis sicuro punto di riferimento per l’approfondimento di tali della rue de la Glacière la Bibliothèque du Saulchoir costi- spunti di ricerca. tuisce un punto di riferimento per tutti coloro che nella Più legato ad un’ispirazione strettamente religiosa appacapitale francese si dedicano allo studio del pensiero antico re il Centro di Studi del Saulchoir, che si affianca da un e medievale e all’approfondimento della dimensione reli- paio d’anni alla Biblioteca. Creato nel solco delle antiche giosa e teologica della riflessione filosofica. Facoltà di Teologia e Filosofia dell’Ordine, esso ha per La Biblioteca e il connesso Centro di Studi del Saulchoir obiettivo di favorire l’approfondimento della riflessione costituiscono un centro culturale e teologico di primaria in questi campi e di contribuire alla sensibilizzazione nei importanza, che fa capo alla Provincia di Francia dell’Ordi- confronti delle polemiche culturali, sociali e civili di più ne Domenicano. Di tale carattere profondamente religioso stretto interesse spirituale. Costruito sul modello delle risente in particolare il fondo conservato nella biblioteca. Grandes Ecoles francesi, esso non rilascia alcun diploma Legata alle vicissitudini dell’Ordine nell’ultimo secolo, e concentra le proprie attività, spesso in cooperazione questa è infatti venuta mano a mano arricchendo la propria con ricercatori legati ad altre istituzioni, nell’organizzacollezione, che si presenta oggi come un tutto omogeneo, zione di seminari di alto livello, dedicati ai temi propri rispecchiante i precisi interessi culturali di chi ha contribuito della cultura e della tradizione religiosa; a essi si affiana formarla. Lo spirito unitario e la coerenza tematica che cano numerose giornate di studio destinate principall’hanno improntata si sono tuttavia saldati con una notevole mente a fare il punto su questioni legate a differenti apertura e ricchezza culturale, che ha condotto ad un accre- aspetti della dimensione culturale e spirituale della vita scimento non enciclopediumana, e dirette ad un pubco, né specialistico, ma guiI luoghi della filosofia blico più vasto. dato piuttosto da una preocTra le attività culturali precupazione attenta alla storia viste per l’anno 1995, si del pensiero e delle idee. segnalano seminari su CaCosì, lungi dall’essere terina da Siena, Bartolomé un’esclusiva raccolta di tede las Casas, la mistica sti religiosi o liturgici, la ebraica, l’esegesi dei SetBiblioteca accoglie una moltanta, la mistica eckhartiateplicità di campi di ricerca na e la storia dell’ebraismo che ne fanno un luogo partiantico. A fianco di queste colare di consultazione e di attività fortemente speciastudio. Oltre ad una ricchislistiche, un’attenzione per di Luca Scarantino sima collezione patristica e a problematiche di più imun’importante sezione di stomediata attualità intendoria e pensiero antico, vi si no esprimere i «Cahiers» trova uno dei cataloghi medel Centro, il cui primo dioevali più interessanti di numero, preparato in vista Parigi, un importante fondo della recente Conferenza giansenista, una notevole vadel Cairo su cooperazione rietà di testi storici e filosofie sviluppo, compare con il ci moderni. Proprio questa titolo monografico: Relimultivocità tematica, unita gioni e demografia. Alle alla gradevolezza dell’ambiente, ha contribuito a fare del attività del Centro e della Biblioteca sono inoltre colleSaulchoir uno dei centri di studio più apprezzati dagli gate due pubblicazioni, l’antica e prestigiosa «Revue des studiosi della tarda antichità, del Medio Evo e delle religio- Sciences philosophiques et théologiques», e «Istina» a ni. È infatti soprattutto a queste categorie che il centro si carattere più strettamente ecumenico; la comune apparrivolge, costituendo anche, e forse soprattutto, un importan- tenenza all’ordine domenicano consente inoltre una stretta te punto di ritrovo intellettuale per ricercatori di ogni parte cooperazione e una certa simbiosi con la prestigiosa casa del mondo. In particolare dev’essere sottolineata la presen- editrice CERF di Parigi. za in Biblioteca di numerosi antichisti, provenienti dai paesi Occorre infine sottolineare come il carattere fortemente del Mediterraneo orientale, che hanno trovato nel Saulchoir specialistico di questo Centro ponga tra le proprie prioun accogliente luogo di studio, e che vi hanno potuto rità non tanto l’apertura al grande pubblico o la formazioapportare l’esperienza di una lunga consuetudine con i fondi ne di una “scuola” vera e propria, quanto il costituirsi arabi ed ellenistici conservati negli archivi mediorientali e come punto di attrazione e occasione di incontri per tutta libanesi in particolare. Si assiste in tal modo alla creazione quella comunità di ricercatori e studiosi facenti capo ad di veri e propri circuiti di scambio scientifico in grado di istituzioni culturali differenti e che intendono confronmettere a confronto studiosi provenienti da differenti tarsi su temi e problemi nell’ambito della tradizione realtà culturali. Ciò in un momento in cui in Francia tanto spirituale e religiosa in generale. Allo stesso tempo la la medievistica, quanto la ricerca ellenistica, sembrano vivacità culturale e la dimensione collaborativa, il cui rivolgere un’attenzione particolare alle fonti arabe del merito è in buona misura attribuibile all’impegno del pensiero antico e medievale; ed infatti in particolare i personale della Biblioteca, ne fanno uno dei centri intelricercatori dell’Ecole Pratique trovano nel Saulchoir un lettuali più vitali e stimolanti della capitale francese. La Biblioteca e il Centro di studi del Saulchoir 11 AUTORI E IDEE Carl Schmitt (1933) 12 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Teologia politica come teoria sociale In ‘Teologia politica’, del 1922, Carl Schmitt esordiva in modo lapidario e inequivocabile con l’affermazione che tutti i concetti politici moderni sono concetti teologici secolarizzati. Mancava tuttavia finora uno studio che percorresse in tutta la sua dimensione la portata della teologia politica schmittiana e, soprattutto, che cercasse di farne la chiave di lettura della sua intera opera. Questa lacuna viene ora colmata dal dibattutissimo studio di Heinrich Meier, DIE LEHRE CARL SCHMITTS. VIER KAPITEL ZUR UNTERSCHEIDUNG POLITISCHER THEOLOGIE UND POLITISCHER PHILOSOPHIE (La dottrina di Carl Schmitt. Quattro capitoli sulla distinzione tra teologia politica e filosofia politica, J. B. Metzler, Stoccarda 1994). All’interno di quest’ambito interpretativo, e in particolare sul rapporto tra Schmitt e Barth, si inserisce lo studio di Mathias Eichhorn, ES WIRD REGIERT! DER STAAT IM DENKEN KARL BARTHS UND CARL SCHMITTS IN 1919 BIS 1938 (Vi sarà un governo! Lo Stato nel pensiero di Karl Barth e di Carl Schmitt negli anni dal 1919 al 1938, Duncker & Humblot, Berlino 1994). Completa questo contesto di riflessione, muovendosi sulla linea di confine tra approccio filosofico e storia delle teorie sociologiche, lo studio di Gerhard Wagner, GESELLSCHAFTSTHEORIE ALS POLITISCHE THEOLOGIE? ZUR DEN JAHREN KRITIK UND ÜBERWINDUNG DER THEORIEN (Teoria della società come teologia politica? Per la critica e il superamento delle teorie dell’integrazione normativa, Duncker & Humblot, Berlino 1993), il cui assunto fondamentale è che non esiste teoria della società che non sia nello stesso tempo teologia politica. NORMATIVER INTEGRATION Pur esponendosi al rischio di ridurre la complessità, le ambiguità, i passaggi irrisolti del pensiero schmittiano ad un’unica “dottrina”, tirando una netta linea di derivazione tra principi e prese di posizione di fondo, da un lato, e concetti e formulazioni teoriche dall’altro, l’interpretazione offer- ta da Heinrich Meier tenta di cogliere il momento generativo della teoria della politica di Carl Schmitt. Da questo punto di vista tutta la polemica ingaggiata da Schmitt contro il liberalismo sarebbe solo in prima istanza di ordine politico; in realtà, il motivo di fondo di questa polemica sarebbe di carattere religioso - o meglio: in Schmitt è proprio la stessa preminenza del teologico a fondare il politico. In tal senso, ciò per cui il liberalismo sarebbe da contestare è innanzitutto per gli effetti di neutralizzazione e di depoliticizzazione che esso produce nel momento in cui, con le sue pretese di pace e sicurezza, elimina la possibilità stessa del politico, che si fonda sulla distinzione amico-nemico. Ma ciò che veramente motiva questa critica è che Schmitt vede nel liberalismo l’agente della pretesa prometeica del Moderno e nella borghesia la classe sociale che ne ha fatto da veicolo. Secolarizzazione e Gottunfähigkeit (l’incapacità di porsi in rapporto con Dio) sono di fatto i veri bersagli della polemica di Schmitt contro il liberalismo. Lo studio di Meier intende delimitare in Schmitt la teologia politica dalla filosofia politica. L’occasione per cogliere questo punto di discrimine si era già presentata a Meier in un’opera precedente, Carl Schmitt, Leo Strauss und ‘Der Begriff des Politischen’ (Carl Schmitt, Leo Strauss e ‘Il concetto di politico’, 1988). Con questo nuovo studio Meier intende sviluppare la tesi, già espressa in precedenza, dell’insuperabile separazione tra una fondazione filosofica e una teologica della politica, per cui il pensiero di Schmitt deve essere letto alla luce della divaricazione teorica di fondo tra il richiamarsi ad un’autorità assoluta e trascendente, alla verità della rivelazione, e il fare appello esclusivamente alla ragione umana come unica fonte per determinare i propri doveri nei confronti del mondo. Il primo capitolo dello studio di Meier si sofferma proprio sul problema della morale, mostrando, a questo proposito, come il vero nemico di Schmitt fosse quella progressiva secolarizzazione che ha portato alla fine della verità della fede, ad una crescente mancanza di Dio, a cui fa riscontro l’immagine di «un mondo come industria, come macchina che gira a vuoto, che si perpetua senza scopo e senza meta». La 13 versione politica di questo processo non è altro che il liberalismo, che ai valori basati sulla fede in Dio ha sostituito una morale umanitaria fondata sull’ipocrisia e l’inganno. Secondo Schmitt, invece, è proprio da un senso morale di sottomissione e obbedienza a Dio che discende la stessa distinzione amico/nemico (la quale non ha tanto un carattere di tipo giuridico-normativo, quanto soprattutto un senso ontologicoesistenziale) e con essa il primato stesso del politico, che senza il suo necessario orizzonte teologico non potrebbe neppure trovare spazio. Nel secondo capitolo Meier mostra come in Schmitt il politico abbia a che fare con l’idea di verità, per cui le contrapposizioni che in esso (e con esso) si generano non possono che risolversi in forme, e secondo un esito, di tipo apocalittico-escatologico. Ed è forse in questo tipo di propensione per le soluzioni radicali ed epocali che secondo Meier deve essere ravvisata l’adesione di Schmitt al nazionalsocialismo. La questione del fondamento teologico della concezione schmittiana che sta alla base della distinzione amico/nemico è affrontata da Meier nel terzo capitolo, mentre nel quarto viene messa in relazione la radice religiosa del discorso schmittiano con il suo antigiudaismo. Rimane però ancora aperto il problema se la teologia politica di Schmitt esaurisca qualsiasi tipo di fondazione teologica della politica. A questo proposito, osserva Meier, Karl Barth ci mostra un esito teorico che disarma completamente la pretesa schmittiana di assumere il politico come sfera delle decisioni ultime. Barth, di fatto, pone il politico nella sfera delle cose penultime, per cui quando si tratta di esso non può mai essere in gioco l’eschaton. Nel momento in cui Schmitt intreccia strettamente l’ordine politico mondano con l’ordine della salvezza, trascura, secondo Meier, la massima fondamentale del cristianesimo, secondo cui il regno di Dio non è di questo mondo. Questa dualità di piani non è propria solo della dottrina luterana, ma è condivisa anche dalla Chiesa cattolica. D’altronde, come lo stesso Meier riconosce, è stato impossibile per Schmitt essere riconosciuto come legittimo rappresentante delle istanze cattoliche; piuttosto, in lui sono ravvisabili AUTORI E IDEE molti tratti del protestantesimo, se si pensa come il suo esistenzialismo politico richiami per molti versi l’aut-aut della teologia kierkegaardiana del momento storico. Il rapporto tra Schmitt e Barth è in particolare oggetto dello studio di Mathias Eichhorn, che muove dagli elementi in comune tra i due pensatori, per approdare ai differenti esiti di pensiero cui essi pervengono. Sullo sfondo vi è, per entrambi, la crisi delle certezze metafisiche, negli anni attorno alla prima guerra mondiale, e l’insoddisfazione per le istituzioni moderne, di cui proprio negli anni di Weimar la Germania andava facendo esperienza. Inoltre, entrambi erano consapevoli di come il relativismo e l’agnosticismo moderni lasciassero comunque aperta la questione del fondamento, e come dallo stesso processo di disincantamento e di illuminismo sorgessero continuamente nuovi miti e nuove mitologie. Da una diagnosi del proprio tempo, per molti versi dunque simile, Barth e Schmitt giungono, secondo Eichhorn, a soluzioni del tutto antitetiche. In sostanza, Barth si sottrae del tutto alla visione totalizzante che il politico ha in Schmitt, soprattutto perché in lui il momento teologico è destinato a rimanere del tutto separato dal politico, per quanto venga a svolgere una funzione non meno preminente e determinante. In Barth, infatti, l’ancoraggio teologico da cui le istituzioni mondane vengono a dipendere, fa di queste qualcosa di derivato e di secondario, mentre in Schmitt il teologico acquista valenza politica solo tramite l’istituzione-Chiesa ed è quindi suscettibile di assorbirsi completamente, senza residui, nelle categorie del politico. Da questo punto di vista, osserva Eichhorn, rimane tuttavia il problema di capire in che senso la teologia politica schmittiana si possa definire cattolica; in altri termini, posto che Schmitt sia un pensatore cattolico, bisogna determinare di quale tipo di cattolicesimo si tratta. Sul rapporto tra teologia e politica in Schmitt si è dedicata, in questi ultimi tempi, molta attenzione. Lo confermano le numerose pubblicazioni apparse in questo ambito tematico, tra cui la raccolta degli atti del convegno promosso nel 1993 dall’Accademia cattolica “Roberto Mauro”, Die eigentlich katholische Verschärfung... Konfession, Theologie und Politik im Werk Carl Schmitts (L’intensificazione propriamente cattolica... Confessione religiosa, teologia e politica nell’opera di Carl Schmitt, a cura di Bernd Wacker, Wilhelm Fink, Monaco di Baviera 1994), da cui emerge una severa contestazione del carattere cattolico e teologico della teoria politica schmittiana, e lo studio di André Habisch, Autorität und moderne Kultur. Ekklesiologie und Staatstheorie zwischen Carl Schmitt und James M. Buchanan (Autorità e cultura moderna. Ecclesiollogia e teoria dello Stato in Carl Schmitt e James M. Buchanan, Schöning, Paderborn 1994), che individua in Schmitt una “metafisica ateistica”. Ma intanto sono apparsi anche altri scritti di Schmitt, che possono contribuire al chiarimento della controversia in merito al valore da attribuire al momento teologico nella riflessione politica schmittiana. Con il titolo: Das internationalrechtliche Verbrechen des Angriffskriege und der Grundstaz “Nullum crimen, nulla poena sine lege” (Il reato della guerra di aggressione nel diritto internazionale e il principio “Nullum crimen, nulla poena, sine lege”, Duncker & Humblot, Berlino 1994) Helmuth Quaritsch cura la pubblicazione di un consulto giuridico che Friedrich Flick, portato in giudizio dopo la seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, aveva affidato a Carl Schmitt. Contemporaneamente vengono pubblicate due conversazioni radiofoniche, tenute da Carl Schmitt negli anni Cinquanta, Gespräch über die Macht und den Zugang zum Machthaber. Gespräch über den neuen Raum (Conversazione sul potere e sull’accesso al dominio. Conversazione sul nuovo spazio, Akademie Verlag, Berlino 1994), che pongono, rispettivamente, la questione del potere nell’età della tecnica e della crisi del politico in relazione alla perdita del suo necessario ancoraggio spaziale. Per un più ampio inquadramento delle concezioni fin qui esposte può valere lo studio di Gerhard Wagner, Gesellschaftstheorie als politische Theologie? Zur Kritik und Überwindung der Theorien normativer Integration, che affronta le teorie dell’integrazione sociale, ovvero il modo in cui sono stati pensati i meccanismi dell’equilibrio sociale, sia sul piano delle relazioni private, sia su quello del rapporto tra individuo e società. Le categorie prese da Wagner in considerazione sono quelle di amicizia, dominio, contratto, socialità, divisione del lavoro, morale, secondo il modo in cui esse sono state trattate nella filosofia politica e nelle teorie della società. Viene così compiendosi un lungo percorso interpretativo che da Hobbes - la cui riflessione è considerata paradigmatica per il modo in cui le forme della teologia politica assumono un carattere secolarizzato, secondo l’idea che lo stato hobbesiano sarebbe una trasposizione di attributi divini nella figura di una potenza mondana -, passando per Comte, Spencer e Durkheim (ma tra i filosofi non manca Feuerbach), giunge, attraverso Weber, fino a Parsons e Habermas. Una particolare attenzione viene poi rivolta da Wagner alle costruzioni teoriche che, sulla base di un’antropologia pessimistica, pervengono al modello 14 della relazione amico/nemico, in cui, come è appunto il caso di Schmitt, sarebbe ancora operante una veduta sacrale dell’unità sociale e politica. In questo modo Wagner perviene al suo intento di mostrare come il pensiero politico-sociologico non sia altro che una prosecuzione di categorie teologico-metafisiche in forma secolarizzata e come dunque la teoria della società non si sia costituita altrimenti se non attraverso Ersatzbegriffe (concetti trasposti in modo sostitutivo, ma ancora operanti), tratti né più e né meno dal pensiero metafisico. Tuttavia, bisognerebbe in questi casi ribadire che categorie di pensiero a cui si perviene attraverso una secolarizzazione di concetti teologici non per questo si esauriscono nella loro fonte di provenienza, ma devono essere definite all’interno del nuovo campo problematico in cui vengono fissate. In tal senso il percorso genealogico proposto da Wagner, per quanto indiscutibile sia la sua rilevanza conoscitiva, non annulla il salto di paradigma che si compie quando un campo di rinvenimento fenomenico è prodotto attraverso l’uso di categorie che ne danno una diversa formulazione. Nel caso di Wagner, comunque, il ricorso alla tradizione metafisico-teologica di pensiero come presupposto delle forme moderne di considerazione politologica e sociologica può essere l’occasione per mitigare le pretese di un assolutismo razionalistico che si vuole per sé autosufficiente e non bisognoso di fondamento. G.B. Difesa del realismo Due appassionate difese del realismo, anche se in antitesi tra loro, costituiscono l’oggetto dell’opera di Karl Popper, POSCRITTO ALLA LOGICA DELLA SCOPERTA SCIENTIFICA (a cura di W. W. Bartley III, trad. it. di M. Benzi e di S. Mancini, Il Saggiatore, Milano 1994), e dello studio di Vittorio Possenti, RAZIONALISMO CRITICO E ME TAFISICA (Morcelliana, Brescia 1994). Il Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, scritto da Karl Popper tra il 1951 e il 1962, è composto da tre volumi, dei quali, sino ad oggi, solo il primo è stato pubblicato in edizione italiana con il titolo: Il realismo e lo scopo della scienza . In questo Poscritto Popper si occupa dell’induttivismo, della demarcazione, della corroborazione per la scelta delle teorie, della difesa dell’oggettivismo e del problema della probabilità. Il volume contiene ampi riferimenti a Berkley, Hume e Kant, che interloquiscono con l’autore sui fondamenti dell’epistemologia. In particolare, gli elementi AUTORI E IDEE essenziali di questo scritto, accompagnati da una chiarezza espositiva forse maggiore della Logica della scoperta scientifica (1934), sono il tema della falsificazione, della verosimiglianza e del realismo. Popper corregge qui la sua tesi sulla verosimiglianza, che in Congetture e confutazioni (1962) assumeva una certa importanza nella valutazione di una teoria scientifica, sottolineando che le teorie devono porsi l’obiettivo di un maggior potere esplicativo, un maggior contenuto e una maggiore controllabilità, mentre la verosimilitudine cade nell’abisso della verificazione, inefficace e impossibile nell’impresa scientifica. L’obiettivo diventa allora la costruzione di una teoria soddisfacente, e non vera in senso assoluto, in grado di rendere conto della realtà effettiva. Ulteriori chiarimenti vengono apportati da Popper anche al tema della falsificabilità che, con grande chiarezza, viene qui distinta dalla falsificazione. Se, infatti, quest’ultima rappresenta il controllo definitivo di una teoria e di conseguenza la sua messa fuori gioco per sempre dall’impresa scientifica, Popper, tuttavia, esprime i suoi dubbi rispetto alla legittimità di un’operazione del genere: grazie all’ipotesi ad hoc è impossibile scartare definitivamente una teoria; per questo la falsificazione diventa irrealizzabile. Diverso è il discorso sulla falsificabilità, che riguarda, logicamente, l’esistenza dei falsificatori potenziali, in grado di demarcare una teoria scientifica da una non scientifica. In ogni caso, in tutte queste argomentazioni emerge la forte esigenza di una compiuto realismo, che faccia da sfondo alle speculazioni filosofiche e scientifiche. L’accusa implicita è a tutte quelle epistemologie soggettivisticoidealistiche; la realtà, secondo Popper, ha una sua durezza e consistenza che prescinde dall’osservatore e dalla sua osservazione. In questo il realismo garantisce alla consistenza ontologica della realtà anche una stabilità morale ed umana che, in una posizione idealistica, sarebbe soggetta all’arbitrio dell’uomo. Anche lo studio di Vittorio Possenti costituisce un’apologia delle realismo, sebbene da un punto di vista diverso e critico rispetto a quello di Popper. Possenti, infatti, contrappone la filosofia dell’essere e la metafisica al razionalismo critico di Popper, evidenziandone i limiti e le contraddizioni. Il volume si presenta così come un dialogo incessante tra le tesi di Popper e Albert, apologeti della ragione discorsiva, e quelle della filosofia dell’essere, fondamentalmente intuitiva, che trova in Aristotele l’origine storica. Possenti apre la sua analisi evidenziando le somiglianze tra filosofia dell’essere e razionalismo critico: entrambi infatti, difendendo il realismo e riscontrando il punto di partenza della filosofia nelle cose, si oppongono a correnti come l’ermeneutica e l’idealismo. Se, però, il razionalismo critico esaurisce il compito della filosofia nella teoria della conoscenza e colloca nella scienza il sapere massimo dell’uomo, la filosofia dell’essere considera la filosofia in un contesto più ampio, aperto anche, e soprattutto, alla trascendenza e alla metafisica. In base a questa e ad altre analisi Possenti evidenzia i limiti del razionalismo critico che, opponendosi, ad esempio, all’induzione, esclude a priori la possibilità di un sapere assoluto e si pone come obbiettivo un saper finito e parziale. Inoltre, esaltando la gnoseologia ed il metodo della scienza, il razionalismo critico non si chiede il perché di questa operazione, ritagliando il proprio sguardo sulla realtà in modo confuso e impreciso. Per tutto questo, Possenti esclude che il razionalismo critico, portatore della dianoia discorsiva, consista solamente in una forma indebolita del razionalismo e positivismo classici. Al contrario, la filosofia dell’essere, che parte dalle cose e dal senso comune, si determina, fondamentalmente, nei principi primi, ovvero i fondamenti della logica classica, come il principio di identità e di non-contraddizione, che non necessitano di dimostrazione, ma che costituiscono la base logica per le dimostrazioni. Inoltre, e qui emerge il limite della ragione dimostrativa, l’essere è colto anche in base a quelle entità date dal senso comune, come l’esistenza di Dio o dell’anima che, colte dell’intelletto intuitivo, permettono uno sguardo realistico e compiuto sul mondo. A.S. Cina e Grecia: strategie del senso Saggio di filosofia comparata si potrebbe definire LE DÉTOUR ET L’ACCÈS. STRATÉGIES DU SENS EN CHINE, EN GRÈCE (La via traversa e la via retta. Strategie del senso in Cina e in Grecia, Grasset, Parigi 1994), recente studio di François Jullien, sinologo di fama, che pone a confronto due strategie antitetiche di pensiero: quella greca che, nello scontro politico, nell’arte militare o nel dialogo filosofico, privilegia il confronto a viso aperto e dà la vittoria a chi ha sgombrato il campo dalle forze o dalle ragioni altrui, e quella cinese, incline a percorrere una via indiretta di accesso al senso, dove è più significativa la parola che «parla indirettamente delle cose» o la strategia che disarma l’avversario senza arrivare allo scontro sul terreno reale. Un tratto caratteristico della cultura cinese, osserva François Jullien, poggia sull’idea che «la distanza che stabiliamo nei confronti degli esseri e delle cose ci consente di scoprirli meglio, di evocarli in una maniera più precisa»; pertanto la trattazione variata del tema e l’allusione prevalgo15 no sul concetto chiaro e distinto. Non che i Greci ignorassero le strategie traverse, precisa Jullien in riferimento alla figura di Ulisse e di Apollo “l’oscuro”; ma esse non costituiscono il dispositivo fondamentale del loro modello culturale che, da Aristotele fino all’hardware dei computer, sembra piuttosto seguire il tracciato della logica binaria, dove il falso e il vero sono termini opposti e normativi: «I Greci afferma Jullien - hanno sottolineato il valore specifico dello scontro e del risultato che da esso si può trarre, mentre questo tema risulta assente dalla riflessione cinese. Al contrario, la strategia dell’obliquo, che i Greci hanno praticato al di fuori della teorizzazione, è al centro della riflessione cinese. Quest’ultima ha esplicitato in maniera più significativa l’indiretto, la sottigliezza, e ha valorizzato l’implicito. Importante è solo ciò che ciascuna cultura rende maggiormente leggibile». Dal punto di vista della civiltà occidentale, l’originalità del pensiero cinese risiede nel non riconoscimento di una separatezza tra mondo sensibile e mondo intelleggibile, tra reale e fenomeno: la verità è immanente al reale, non deve essere colta in una sua propria essenza trascendente. Questo fa sì che il senso non debba essere raggiunto in maniera volontaristica, esso si manifesta autonomamente attraverso una scrittura “fluttuante”, sensibile alla variazione delle situazioni a cui il senso è perpetuamente esposto. Da qui la grande raffinatezza della strumentazione letteraria della cultura cinese, che paga tuttavia l’assenza di un ricorso al piano delle idee con la debolezza di fronte al potere politico: dal momento che non può farsi forte di una verità trascendente, «l’uomo di lettere cinese resta prigioniero dei rapporti di forza. Non disponendo di un mondo ideale esterno al mondo della realtà, egli non può porsi di fronte al potere in maniera autonoma. L’idealismo occidentale, che non è certo immune da colpe pagate a caro prezzo, ha reso possibile la libertà politica». In conclusione dello studio di Jullien si precisa il senso di questo pellegrinaggio erudito tra i classici greci e cinesi che mira: «non soltanto a interrogarsi “sulla” Cina, e neppure ad aprire altri modelli di intellegibilità alla filosofia, ma cerca soprattutto di trovare, in questo va e vieni, degli strumenti capaci di tornare a far presa su alcune questioni fondamentali, quali ad esempio l’efficacia, la natura o la morale». Come ha osservato Tzvetan Todorov in una recensione del saggio di Jullien, la strategia comparativa, utilizzata qui dall’autore, va intesa non nel senso banale di stabilire le influenze o i parallelismi tra due culture, quanto di utilizzare le differenze con altre tradizioni per osservare la nostra attraverso uno sguardo esterno, che ci aiuti a scoprire il perché siamo così e non altrimenti: la conoscenza di sé attraverso l’altro. E.N. AUTORI E IDEE Andy Warhol, 100 Cans (1962, part.) Modernità e immagine Il volume curato da Andreas Kuhlmann, PHILOSOPHISCHE ANSICHTEN DER KULTUR DER MODERNE(Considerazioni filosofiche dellacultura della modernità, Fischer, Francoforte s/M. 1994), raccoglie contributi di autori vari intorno al significato della cultura prodotta dai nuovi ‘media’ nella società contemporanea. Un ulteriore approfondimento di questa tematica è offerto dalla raccolta di saggi curata da Gottfried Boehm, WAS IST EIN BILD (Che cos’è un’immagine, Wilhelm Fink,Monacodi Baviera1994), un’aperta denuncia dell’illusorietà del dominio dell’uomo sul reale attraverso il suo imprigionamento in un’immagine. Sul problema dell’immagine è intervenuto recentemente anche Ernst H. Gombrich, di cui viene pubblicato in traduzione italiana il testo di una lunga intervista rilasciata a Didier Eribon con il titolo: IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI (trad. it. di M. Perosino, Einaudi, Torino 1994). I saggi raccolti da Andreas Kuhlmann in Philosophische ansichten der kultur der moderne affrontano in primo luogo le conseguenze del modo in cui viene inteso e vissuto il rapporto con la cultura dall’uomo contemporaneo. Se l’abitante dell’universo moderno era innanzitutto un “uomo pubblico”, partecipe del mondo, negli ultimi decenni tale rapporto si è invertito, cedendo il passo ad un’umanità che accede alla realtà solo “via cavo”, attraverso cioè la fitta rete creata dai nuovi media. Grazie alla tecnica l’uomo ha finalmente sconfitto le grandi distanze ed è in grado di operare al di là del tempo naturale. Tra gli autori dei vari contributi al volume, solo Norbert Bolz saluta con entusiasmo questo progresso, pronunciandosi a pieno favore della “cultura postumana” come definitivo superamento dell’antiquata tradizione culturale europea: ciò che in passato portava il nome vago di “spirito”, osserva Bolz, viene oggi finalmente tradotto nella chiarezza dei programmi com16 puterizzati. A questa considerazione incondizionatamente positiva della cultura “postmoderna” - anche se la “postmodernità” di cui parla Bolz è comunque estremamente circoscritta rispetto alla complessità concettuale di tale categoria) Gerhard Schulze contrappone una valutazione critica della stessa, attribuendo il passaggio dal moderno al postmoderno alla sostituzione del vecchio sistema di orientamento della “modernità industriale” con il nuovo sistema della “società dell’esperienza”: di fronte alla saturazione dei bisogni materiali e alla conseguente svalutazione del consumo come scopo principale della vita, il viaggiare all’interno dell’io e l’ “andare a caccia di esperienze” rappresentano i nuovi stimoli della cultura postmoderna, che si configura pertanto come fuga infantile dal modus vivendi borghese, dalla banalità insostenibile del quotidiano, alla ricerca dell’insolito e dell’irripetibile. Schulze si dichiara poco fiducioso nei confronti di un futuro supera- AUTORI E IDEE mento dell’attuale predominio dell’esperienza, poiché l’uomo, nel frattempo, ha trascurato le sue capacità di oggettivazione, di autocritica, di astrazione. Accanto a questi due interventi il volume raccoglie vari altri contributi inediti che, pur non delineando una diagnosi della contemporaneità, forniscono spunti di riflessione circa le nuove forme di esperienza spazio-temporale e le logiche semantiche impiegate oggi dalle nuove tecnologie dei mezzi di comunicazione. A questo proposito si rivela di particolare interesse lo studio sul valore comunicativo dell’immagine, condotto da Gottfried Boehm in relazione ad alcuni testi “classici” su questa tematica, raccolti nel volume Was ist ein Bild, che accanto a digressioni teoriche di Lacan, Gadamer, Merleau-Ponty, Jonas, propone vari richiami a studi sperimentali sul principio iconico, con l’intento di muovere una critica serrata all’uso iconoclastico dell’immagine proprio della cultura odierna. L’iconoclastia, intesa come rifiuto dell’immagine nel suo valore simbolico-evocativo, costituisce la scelta più o meno consapevole delle attuali forme di comunicazione visiva, che con la vittoria dello spazio cibernetico celebrano lo smarrimento del ricordo e la perdita della tradizione, restituendo l’illusione di una realtà dominata e dominabile, costretta nei limiti quadrangolari della fenestra aperta albertiana. Un confronto obiettivo con la densità significativa del mezzo iconico, fa notare Boehm, costringe però ad ammettere che il soggetto percipiente non domina, bensì continua ad essere dominato dal potere evocativo dell’immagine, che agisce sulle componenti prerazionali della natura umana, portando ad espressione ciò che non sarebbe altrimenti esprimibile concettualmente. La rieducazione al valore della polivocità semantica dell’icona e la sua restituzione all’ordine del simbolico, osserva Boehm, potrebbero rappresentare un valido contrappeso al delirio di onnipotenza del secolo della tecnica, abitato da un’umanità spiritualmente contratta nell’orgoglio della penetrazione razionale della realtà. L.R. Nella sua critica della modernità Ernst H. Gombrich prende in considerazione, a partire dalla propria esperienza personale, quella condizione comunicativa dalle mille sfumature in cui intervistatore e intervistato si immergono nel corso di un’intervista, un’arte a cui Gombrich non ritiene di dover dare alcuna definizione oggettiva, in quanto frutto di immagini mentali, in cui occorre innanzitutto riconoscere l’unicità di linguaggio del singolo artista. La difficoltà di difendere l’arte nella sua purezza si ripropone con una certa frequenza nel corso dell’intervista di Gombrich con Didier Eribon, anche a seguito delle esperienze personali di critico, che Gombrich ha spesso vissuto come semplice adegua- mento dell’unicità artistica a un sistema collettivo massificante. Nell’intervista Gombrich espone la sua personale opinione sui “generi” dell’arte, individuando nella dialettica tra singolo artista e sistema una prerogativa mediatrice e innovatrice, che salvaguarda la singolarità dell’artista e della sua creazione. Fare arte all’interno di una dialettica tra tradizione e superamento della medesima (non distruzione), tra ruolo sociale e libertà individuale, tra opere d’arte e aspettative di pubblico, richiede fiuto e talento da parte dell’artista insieme ad una elevata autonomia. La condanna di Gombrich si rivolge in tal senso contro ogni sistema che stabilisca una relazione troppo stretta e univoca tra strutture sociali e forme artistiche, trascurando l’orizzonte dei singoli soggetti e delle singole opere. Le rivoluzioni artistiche non si realizzano attraverso posizioni distruttive, ma in base a un metodo che, secondo Gombrich, è l’unico applicabile: il buon senso, con cui la tradizione viene rispettata e il nuovo accolto. Che sia una posizione utopica, quella descritta da Gombrich, sembra essere riconfermato dall’attuale contesto socio-culturale assai contraddittorio, che se da una parte promuove cambiamenti, dall’altra ne teme il compimento; certo è, comunque, che una tale considerazione non può essere motivo sufficiente per rinunciare al processo di crescita umana culturale che caratterizza la nostra epoca. D.M. L’età dell’eloquenza Una nuova edizione de L’AGE DE L’ÉLOQUENCE (L’Età dell’eloquenza, Albin Michel, Parigi 1994, 1ª ed. 1980), di Marc Fumaroli, vede la luce in Francia insieme a due nuove raccolte di studi del medesimo autore, LA DIPLOMATIE DE L’ ESPRIT DE MONTAIGNE A LA FONTAINE (La diplomazia dello spirito da Montaigne a La Fontaine, Hermann, Parigi 1994) e L’ÉCOLE DU SILENCE. LE SENTIMENT DES IMAGES AU XVII SIÈCLE (La scuola del silenzio. Il sentimento delle immagini nel XVII secolo, Flammarion, Parigi 1994). In L’age de l’éloquence Marc Fumaroli ci offre un importante studio sull’arte, oggi perduta, del bene dicendi in età classica, in un’area geografica compresa tra Parigi, Roma e Madrid. Vengono mostrati l’apogeo, la decadenza e la fine della retorica come forma privilegiata della comunicazione, «struttura vivente di intellegibilità, suscettibile di una tradizione che si evolve nel tempo». Nell’analisi di Fumaroli, l’eloquenza, nata sull’agorà della città greca, giunta in Occidente attraverso il forum romano, vive una nuova giovinezza quando la scolastica 17 cede il passo al latino ciceroniano degli umanisti, senza che questo fatto riesca tuttavia a rappresentare un vantaggio immediato per il pensiero. L’Homo rhetoricus, che si rivela al contempo Homo symbolicus, costruisce il proprio discorso alla stregua di una basilica, avvalendosi tra l’altro di quelle arti della memoria, che l’opera di Frances Yates ha tanto contribuito a far conoscere. Il discorso retorico tende a strutturarsi in cinque punti, come sono cinque gli atti della tragedia, per raggiungere le tre finalità che gli competono: ammaestrare (docere), piacere (dilectare), commuovere (movere). La retorica, che aveva accompagnato la scrittura a partire dai rotoli pergamenacei, quale ausilio essenziale di una letteratura ancora in buona parte orale, in età moderna condivide i benefici della stampa, che ne fissa e moltiplica i canoni. In questa prospettiva, Fumaroli ci presenta il canto del cigno di una grande arte che non si estinguerà prima che la Chiesa, soprattutto quella controriformista, e i nascenti stati nazionali ne abbiano raccolto i frutti. Se la memoria, sia quella degli dèi ed eroi omerici, sia quella del Dio ebraico-cristiano, fu tramandata in esametri, prima del trionfo della prosa, Fumaroli mostra come si possano conciliare storia letteraria e storia generale: la neonata prosa verrà mobilitata, da un lato, al servizio della Riforma, in risposta ai predicatori messi in campo dal concilio di Trento, dall’altro servirà, accompagnerà e nutrirà lo Stato di diritto. La retorica, dopo la grave ricaduta nella violenza anomica delle guerre di religione, contribuisce infatti al ristabilimento dello stato di diritto: Montaigne si farà amare come “breviario delle persone oneste” e Bordelais prenderà progressivamente il sopravvento su Cicerone. Per Fumaroli esiste un’eloquenza del pennello pari a quella delle parole e delle frasi. L’École du silence, dedicato a André Chastel, se da un lato ricorda la Galleria del Marino, seicentesca collezione di virtuosismi letterari ispirati a immagini illustri, dall’altro mostra come e quanto l’arte oratoria sia in grado di far lievitare la visione. Questo testo esemplare di Fumaroli sembra restaurare il genere del madrigale (epigramma o ecfrasi) nella sua forma più erudita, tracciando un itinerario che va da Annibale Carracci a Guido Reni, da Nicolas Poussin ai suoi rivali parigini, per toccare, come sfondo, persino gli incisori di frontespizi e medaglie. In questa sua analisi Fumaroli riporta alla luce intere regioni del XVII secolo estetico, dagli specialisti di blasoni fino ai teorici del Parnaso italiano. Tutti coloro di cui vien fatta menzione subiscono tuttavia il giudizio spesso parziale, ma sempre appassionato, di Fumaroli. Così, nell’affresco di un XVII secolo retorico, mitologico, nobile AUTORI E IDEE e posato, l’eccessivo Caravaggio viene accettato solo nella ripulita veste di “oratore” della spiritualità cattolica, quasi che la forza e la grandezza di questo pittore costituissero più un ostacolo che un titolo di merito alla sua ammissione nel “Romitaggio ideale”, in cui si risolve, per Fumaroli, il Seicento. La creazione artistica, infatti, viene da questi concepita come attività di circoli mondani e letterari, organizzati in “società segrete” - le accademie - nel rispetto di regole e canoni. Il sistema fumaroliano dell’opera d’arte si richiama al classicismo, visto come specifica essenza della produzione francese. Al concetto di classicismo fa appello anche La Diplomatie de l’esprit. Nella “Prefazione”, Fumaroli afferma che letteratura e “sentimento nazionale” sarebbero legati nell’intento di far prevalere l’equilibrio e l’armonia tanto sugli individui che si accaniscono a difendere la propria singolarità, quanto sul disordine delle opinioni. Come esempio Fumaroli porta «quella prodigiosa macchina di Marly in cui la monarchia aveva messo al riparo il senso comune francese e la letteratura era tenuta, insieme alla ragion di stato, a educarlo e occuparlo». Rispetto al precedente studio sulle immagini, la Diplomazia dello spirito mette in scena un corteo diverso, ma non meno aristocratico, che comprende Montaigne, La Fontaine, gli storiografi ufficiali di Francia, Blaise de Vigenère e il cardinal de Retz. I Greci, i Latini, gli Italiani e gli Spagnoli, antichi e moderni, accompagnano questa marcia trionfale. L’ecfrasi, lettura-analisi-dissezione, è spinta a un altissimo grado di complessità, al punto che la scienza in essa profusa diviene arte e voluttà: arte nell’accostamento pertinente e dell’osservazione puntuale; voluttà nella rarità della citazione di un’opera neolatina o italiana mai più riedita, o di un autore dimenticato. Ma la ricca messe di materiali offerti al lettore dall’erudizione davvero prodigiosa di Fumaroli non rinuncia a un intento esemplare: proporre “misura, dovere e ironia” e il “sorriso del senso comune” quali antidoti alle aberrazioni e alle violenze della storia. D.F. Antiche e nuove geometrie La storia, le origini, le motivazioni della nascita della geometria costituiscono l’oggetto dell’opera di Michel Serres, LE ORIGINI DELLA GEOMETRIA (trad. it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano 1994), ultimamente pubblicato in Italia. Nello stesso tempo è apparso in Francia l’ultimo lavoro di Serres, ATLAS (Julliard, Parigi 1994), che intende analizzare lo sviluppo tecnologico e informatizzato della geometria terrestre. Le origini della geometria di Michel Serres giunge alla sua stesura definitiva dopo trentacinque anni di ricerche e di studi che hanno portato l’autore a rispondere a questioni quali l’origine del concetto di spazio, di tempo, di misurazione e, pertanto, di matematizzazione della terra. L’autore, che porta avanti la propria ricerca come una raccolta paratattica di concetti, associati più per legami estetici che concettuali, risale alla Grecia di ventisei secoli fa e qui riscontra la genesi della geometria. Nel far questo Serres abbandona quelle interpretazioni più diffuse, che fanno risalire la nascita della geometria ora all’agrimensura egizia, ora alla misurazione della terra di Erodoto, ora agli Elementi di Euclide. La misurazione della terra, osserva Serres, ha una matrice pratica e democratica, che prende spunto dalla filosofia di Talete e di Anassimandro. Spinto dall’esigenza, pratica e concreta, di misurare le piramidi e impossibilitato a eseguire una tale misurazione in campo reale, Talete escogita un sistema innovativo che determina la nascita della geometria. L’idea di utilizzare l’ombra della piramide, e quindi, la luce del sole, permette a Talete di astrarre la forma della piramide - da qui, poi, il teorema di Talete - e di geometrizzare i fenomeni terrestri. La strada, che poi ha portato a Pitagora, a Zenone e a Platone, veniva in questo modo tracciata e la geometria radicata nelle menti degli uomini. La misurazione della terra, nata da esigenze di controllo della natura e di praticità, diventava, così, possibile. La figura di Anassimandro, fa notare Serres, riguarda invece l’origine politica e culturale della geometria, che accompagna quella più propriamente scientifica. Anassimandro, infatti, con l’ideazione dell’apeiron costituisce quello spazio infinito e indefinito che porterà a determinare il finito percepibile negli spazi geometrici ma, in modo ancora più netto, in quelli politici. La rappresentazione della terra come un cilindro conferma la geometrizzazione terrestre, ma fornisce al tempo stesso lo spunto per la divisione equa e democratica del potere politico. L’apeiron di Anassimandro, ricorda Serres, si fa portatore della divisibilità e della differenziazione dei poteri politici; basti pensare all’agorà, fondamento e fulcro della democrazia. Se la ricerca di Serres si volge all’origine della geometrizzazione della natura, questo non impedisce un accenno alla geografia che si affaccia all’orizzonte a noi contemporaneo, che appare completamente distorto, rispetto a quello dei Greci, a causa della tecnologizzazione che determina la fitta rete di comunicazione sempre più radicata sul nostro pianeta, considerato quasi come una piattaforma di lancio per la conquista del cosmo. A questo tema Serres dedica il suo ultimo lavoro, Atlas, che si pone come proseguimento ideale delle 18 Origini della geometria. Serres descrive la fitta rete di comunicazione che avvolge il globo terrestre, che più che trasformare il mondo, ne ha costruito uno nuovo, virtuale e tecnologico, sorto sulle basi di quello vecchio. Gli aeroplani, i telefoni ed i fax e gli apparati televisivi creano, infatti, una rete irreale che possiede le nostre esistenze senza essere compresa dagli individui che la vivono, secondo Serres, ad “occhi chiusi”. Il labirinto e la confusione odierni portano, così, alla necessità di creare un nuovo atlante, che non sia da confondere con nessuna delle interpretazioni finora considerate, sia pure divinità greca, catena montuosa o insieme delle carte geografiche, bensì una sorta di compendio che legga le nuove reti di comunicazione e ci riporti alla semplicità dell’esistenza quasi del tutto perduta. Serres sottolinea più volte la necessità di una guida che ci mostri chi siamo e dove siamo e che scavalchi quel labirinto di comunicazioni che impedisce la conquista dell’universo, meta dell’antica geometria come della nuova. A.S. Hannah Arendt: vita filosofica e politica Diversi studi recenti affrontano l’itinerario intellettuale, tra filosofia e politica, di Hannah Arendt. Si tratta del saggio di Simona Forti, VITA DELLA MENTE E TEMPO DELLA POLIS (Franco Angeli, Milano 1994), che ricostruisce il rapporto tra filosofia e politica nel pensiero di Arendt, e di due biografie che appaiono entrambe con il semplice titolo: HANNAH ARENDT ; l’una ad opera di Elisabeth Young-Bruehl (trad. it. di D. Mezzacapa, Bollati Boringhieri, Torino 1994), l’altra di Sylvie Courtine Denamy (Beifond, Parigi 1995). Lo studio di Simona Forti affronta il pensiero di Hannah Arendt considerandone, in primo luogo, le origini teoriche e politiche e, in secondo luogo, la convergenza di queste nella teorizzazione della categoria di giudizio che già in Kant trova la sua prima contestualizzazione. Se, infatti, la matrice pratica e politica dell’itinerario intellettuale arendtiano risiede nel processo Eichmann e viene poi concretizzandosi nell’Origine del totalitarismo (1938), quella filosofica dipende interamente dagli studi di Arendt con Martin Heidegger e dalla critica alla metafisica che nella Vita della mente trova la sua più completa collocazione. Nel Detto di Anassimandro di Heidegger, infatti, il ritrarsi dell’essere e l’apparire dell’ente nell’errare della storia consegnano ad Arendt la volontà di indirizzare tutte le sue ricerche alla praxis, rimasta unica dimora dell’ente. In tal modo, AUTORI E IDEE mentre Heidegger si volge all’errore metafisico che ricerca, comunque, la persistenza dell’essere, la Arendt si rivolge alla politica e al modo in cui la metafisica, nel trascorrere dei secoli, abbia falsato le categorie originarie di questa sfera. Recuperando il senso autentico di “politica” insito quasi interamente nella polis greca, Arendt decostruisce le principali tappe della filosofia occidentale nelle diverse articolazioni delle proposte politiche. L’analisi comincia da Platone, colpevole di avere sostituito alla realtà politica della polis quella astratta dell’intuizione intellettuale, e da Aristotele, limitato ancora da un residuo di teoricismo. È la volta poi di Hobbes, che costruisce un paradigma universale e verticistico, lontano dalle esigenze effettive degli individui, e di Rousseau, che nella sua filosofia del soggetto perde di vista il pubblico. Gli ultimi responsabili del tradimento della filosofia politica antica sono Hegel e Marx, che schematizzano il divenire storico in un’astratta e implacabile necessità. Al contrario, secondo Arendt, la storia va intesa come narrazione di singoli fatti che acquistano il proprio senso esclusivamente nell’eventualità del momento, materializzato in categorie pratiche come l’azione, lo spazio pubblico e l’autorità. Forti conclude il suo lavoro tornando al punto di partenza e cioè alla convivenza delle due matrici, pratica e teorica, nel pensiero arendtiano. Il giudizio di gusto kantiano, infatti, costituisce quel punto di incontro tra teoria e pratica che nel senso comune realizza la base della pluralità degli individui. Le due biografie dedicate a Hannah Arendt da Elisabeth Young-Bruehl e Sylvie Courtine Denamy ripercorrono l’itinerario filosofico della pensatrice tedesca, partendo dai vissuti e dagli eventi che hanno caratterizzato la sua esistenza. Elisabeth Young-Bruehl dirige la sua ricerca verso gli affetti e i rapporti interpersonali, che diventano il perno attorno al quale ruotano gli eventi letterari e politici legati alla vita di Arendt, che viene descritta come un personaggio molto schivo e riservato, estremamente legato al privato e alle amicizie, tra le quali quella con Jaspers, con Benjamin e con Broch occupano un posto di rilievo. Ampio spazio è dedicato al marito, Hans Blücher, che costituisce l’alter ego intellettuale della pensatrice, e al periodo americano della loro vita in comune. Gli Stati Uniti, osserva Young-Bruehl, costituirono per Arendt, da una parte, un rifugio liberatorio dall’oppressione nazista e, grazie al sistema repubblicano, un modello politicamente quasi perfetto, dall’altra, il distacco dalla patria culturale tedesca, vissuta con profonda nostalgia e rimpianto. Nella biografia di Sylvie CourtineDenamy, punto di convergenza tra pensiero filosofico e vissuti psicologici è il rapporto, intellettuale e sentimentale, con Martin Heidegger, punto di riferimento decisivo per tutta la vita di Arendt. Per quanto concerne l’analisi politica, Courtine-Denamy mette in luce il carattere essenzialmente contraddittorio di Arendt, oscillante tra una sorta di “elitismo politico”, da una parte, e passione per la militanza, dall’altra - si ricordi, a questo proposito la partecipazione attiva al movimento sionista tedesco -, che si manifesta nella teorizzazione di un sistema politico ora conservatore, ora rivoluzionario. Impegnata nella ricerca di una storia fatta di singole “perle” e non di trame universali e deterministiche, secondo l’autrice, il contributo di pensiero di Arendt è stato determinante anche nell’analisi del nazismo e dello stalinismo. Pur considerando, infatti, entrambe le ideologie come causa di terrore e morte, Arendt attribuisce maggiore responsabilità al nazismo, colpevole anche del crimine dell’antisemitismo e dell’olocausto. A.S. Teorie morali tra filosofia e sociologia Sulla validità della morale come corretto agire sociale da tempo i filosofi vanno dibattendo. A questo proposito, Jürgen Habermas, filosofo che ha dedicato gran parte del proprio lavoro alla formulazione di una teoria della società, ci offre nel suo recente TEORIA DELLA MORALE (trad. it. di V. E. Tota, Laterza, Bari-Roma 1994) interessanti spunti di riflessione. Quest’ultima pubblicazione giunge in Italia a seguito di un precedente studio dello stesso autore, TESTI FILOSOFICI E CONTE STI STORICI (trad. it. di E. Rocca, Laterza, Bari-Roma 1993), in cui veniva fornito ampio materiale di indagine e confronto sul complesso rapporto fra la filosofia, la sociologia e le scienze sociali in senso ampio. Di teorie della morale si occupano necessariamente tutti quei testi di filosofia, politica, sociologia, in cui viene riconosciuto come concetto universale, anche se sotto diverse definizioni, la norma che condanna gli atti contro l’interesse comune. In Teoria della morale Jürgen Habermas distingue una morale equa per tutti da quella che assume valore diverso a seconda del contesto sociale e dei soggetti. La prima viene definita morale atemporale, per certi versi simile all’imperativo categorico kantiano, con la variante di una legge che anziché essere interna, viene stabilita dall’esterno. La seconda è una morale di valutazioni, in cui le coordinate spazio-temporali sono l’elemento in base al quale di volta in volta viene riconosciuto il bene personale e sociale. Si potrebbe 19 definire questo secondo tipo di morale una morale evolutiva, che segue i decorsi del tempo e dei mutamenti storico-sociali. Si tratta di una morale dialettica che si muove in relazione ai singoli soggetti e alle singole situazioni, senza con questo mancare di autorevolezza; a questi giudizi normativi, in quanto giudizi legati a finalità contingenti, Habermas riconosce il vantaggio di scegliere tra possibilità d’azione alternative. La differente portata tra la prima e la seconda serie di normative, osserva Habermas, consiste nell’oggetto sociale, di fronte al quale occorre formulare il giudizio. L’analisi elaborata da Habermas sul ruolo di differenti morali si sgancia da valutazioni filosofiche, per entrare nel merito di realtà sociali quotidiane; i confini tra filosofia e sociologia risultano in tal caso debolissimi, tanto da rientrare in un’unica dimensione. L’intera opera di Habermas si colloca tra l’ambito della filosofia e quello delle scienze sociali. La sua è una posizione di rottura nei confronti di una filosofia depositaria di verità assoluta e di un certo sistema filosofico che si erge a logica suprema. In Testi filosofici e contesti storici Habermas lascia trasparire l’urgenza di una riappropriazione dei limiti del sapere filosofico a vantaggio di un confronto aperto con più discipline e più visioni del mondo. In questo Habermas si distacca da un’unica chiave di lettura e di interpretazione del reale, così come rifiuta il concetto di filosofia quale unica depositaria del sapere. Il ruolo del filosofo, per Habermas, è quello di cogliere i molteplici contributi provenienti dalle altre discipline sociali e non, come spesso avviene, la proclamazione del primato della filosofia. La distinzione tra sapere superiore e inferiore, nel dialogo tra le discipline umanistiche, riduce il vero sapere che è dato solo dallo studio interdisciplinare. L’opera di Habermas è un invito a rivalutare il singolo pensatore che crea idee, che rivoluziona un sistema di pensiero, prendendo coscienza della crisi della ragione. La conoscenza, al pari dell’esistenza, è un processo in evoluzione; non esistono realtà prevedibili e catalogabili, ma conoscenze relative, legate per altro a contesti spazio-temporali, socio-culturali. A questo proposito Habermas apre un confronto con Peirce, Simmel, Horkheimer, che hanno affrontato la ricerca “delle verità”, e non di un’unica verità, partendo dall’imprescindibile esperienza del limite e del dubbio. L’atteggiamento del filosofo di fronte alla contraddizione, all’incertezza, osserva Habermas, deve essere quello di una consapevole presa d’atto, nel dialogo con diversi impianti di pensiero, filosofici o sociali che siano, lasciandosi dietro prevaricazioni e domini infondati e distruttivi. D.M. AUTORI E IDEE Orrore e stupore nell’estetica Nella sua recente opera, ESTETICA E META- FISICA (Upsel, Torino 1994), Livio Bottani delinea una concezione estetica come espressione attraverso la forma dell’enigma meta-fisico dell’universo nella sua duplice manifestazione alla coscienza umana mediante i sentimenti dell’orrore e dello stupore. Ripercorrendo teorie filosofiche concernenti il rapporto tra meta-forica e meta-fisica, Bottani intende mettere in luce lo stretto legame che intercorre tra filosofia e poesia. A questa concezione estetica può essere messa a confronto quella che Mario Perniola presenta ne IL ‘SEX APPEAL’ DELL’INORGANICO (Einaudi, Torino 1994), in cui viene teorizzata l’esistenza di una sessualità inorganica e neutra attraverso l’evidenziazione del legame tra filosofia e sessualità. In Estetica e meta-fisica di Livio Bottani ci troviamo di fronte all’enigma insondabile dell’universo, al mistero impenetrabile dell’eterno ciclo della vita e della morte; nella concezione estetica elaborata da Mario Perniola ci troviamo invece di fronte al mistero di una sessualità inorganica che riduce l’uomo alla “cosa senziente”. Nonostante la sostanziale diversità di prospettiva teorica, entrambe queste concezioni ci avvicinano al sublime, sollevando il duplice sentimento dell’orrore e della meraviglia nella coscienza dell’individuo. Secondo Bottani il filosofare sorge dal terribile e sublime abisso nel cui fondo si scorge l’intreccio malefico di essere e nulla, mentre l’arte non fa che condurre alla dimensione della forma e dell’immagine questo enigmatico spalancarsi dell’infinità dell’universo davanti alla coscienza umana. Orrore e meraviglia, fa notare d’altro canto Bottani, rappresentano due sentimenti strettamente collegati nella teoria dell’arte: per Aristotele la rappresentazione tragica sortisce l’effetto della catarsi, della purificazione dalle passioni; per Kant la contemplazione della natura eleva il soggetto al sentimento del sublime. Il sentimento del sublime ci introduce nel cuore stesso dell’estetica di Bottani. Se l’immensità della natura, l’aprirsi di orizzonti infiniti nel reale getta l’individuo in uno stato di orrore, in quanto rivela la sua finitezza, la sua insignificanza, il suo nonsenso, tuttavia attraverso la consapevolezza della sua soggettività, in cui mirabilmente si manifesta la sua libertà morale e la sua destinazione sovrasensibile, l’uomo viene pervaso dal sentimento del sublime. Qui si verifica, secondo Bottani, un duplice movimento di “dispropriazione” e di “riappropriazione” della coscienza dell’individuo in relazione all’enigma meta-fisico, orribile e mirabile allo stesso tempo. Si tratta di un movimento che traccia la figura dell’ellisse di cui l’orrore e lo stupore sono i due fuochi; attraverso tale movimento l’orrore dell’essere, che immancabilmente si sgretola nel nulla, conduce alla “dispropriazione” della coscienza che, perdendo il suo centro, perde se stessa e viene così posta di fronte alla propria insignificanza, contingenza, caducità. La coscienza, tuttavia, riesce, anche se non in modo definitivo, a riconquistare se stessa attraverso la “riappropriazione”, che la rende consapevole della propria destinazione metafisica. In questa prospettiva la filosofia, come del resto la cultura in generale, rappresentano tentativi di rimedio, di riscatto dal male. Acuendo la consapevolezza della “ferita mortale” dell’uomo, poesia e filosofia, rileva Bottani, forniscono una possibile ricomposizione dell’ “infranto”; la poesia, fissando in forme l’ “infranto”, ridona senso al reale; la filosofia, esprimendolo in concetti, riesce a illuminare ambiti parziali del reale, ricostituendo un possibile senso. Bottani giunge a mostrare questo rapporto tra filosofia e poesia dopo aver analizzato il legame tra meta-forica e meta-fisica in alcuni filosofi. Per Heidegger la poesia costituisce un “dire originario” che si qualifica come non meta-fisico e non meta-forico, dove metafisico e metaforico si basano sulla distinzione tra sensibile e intellegibile. Meta-fisica e meta-forica sono opposte per Nietzsche, in quanto la metafisica irrigidisce l’impulso vitale e istintivo che scaturisce dalla metaforica. Laddove per Vico si può istituire un legame tra metafisica e metaforica, in quanto la metafora non si limita a dire le cose ma le crea, per Derrida questo stesso legame si spiega in base al fatto che la metafora porta sin dall’inizio la sua morte e la “morte-vita” del concetto filosofico. Riprendendo la teoria di Ricoeur e quella di Jünger, Bottani arriva infine a prospettare un nuovo rapporto, costruttivo e positivo, tra meta-fisica e meta-forica, basato sull’emergenza dell’essere nuovo. Se la concezione estetica di Bottani ci rende consapevoli dell’abisso dell’essere e del nulla, portando alla luce un sapere “melanconico”, la concezione proposta da Mario Perniola delinea un possibile rapporto tra filosofia e sessualità attraverso la presenza di ciò che egli chiama “sex appeal” dell’inorganico. Nello spiegare il significato di questo termine, Perniola intende contrapporsi sia alla concezione spiritualistica che, avvicinando l’uomo a Dio, mira alla sublimazione mistica del sensibile nello spirituale, sia alla concezione organicosensista di tipo vitalistico, che nel ricondurre l’uomo all’animale privilegia la dimensione corporea rispetto a quella spirituale. Secondo Perniola queste due posizioni sono complementari, in quanto sono costituite da un movimento 20 ascendente o discendente che situa l’uomo a metà tra l’animale e Dio. Perniola prospetta invece la possibilità di un movimento orizzontale, caratterizzato dall’identificazione dell’uomo con la “cosa senziente”, sulla base di un tipo di sessualità che conduce gli uomini a sperimentare appunto il sex appeal dell’inorganico, cioè un sentire “neutro” di un corpo che non appartiene né all’uomo, né alla cosa, e nemmeno nasce dalla loro fusione, ma dal loro rapporto e dalla totale accessibilità ad esso. Il sentire morale delineato da Kant, fa rilevare ad esempio Perniola, è simile a un sentire “neutro” e anonimo, in quanto Kant parla di imperativo categorico impersonale e universale, che porta l’uomo ad avvicinarsi alla cosa in sé. Dall’altro lato Hegel, parlando della cosa come dotata di un interno non separabile dal suo esterno, mostra il carattere della natura come tutto “d’un getto” e quindi si avvicina alla sensibilità del sex appeal dell’inorganico, che elimina la distinzione tra interiore ed esteriore in favore di un’esteriorità tutta aperta. Ad essa si avvicina anche Heidegger, in quanto cerca l’essere nella cosa. La riflessione di Heidegger sulla cosa, osserva Perniola, si rivela implicitamente sessuale nel suo modo di comprendere la vera essenza della cosa, rifiutando di considerarla come strumento. Infine, anche Wittgenstein, rifiutando il primato sia dello spirito, sia del corpo, si avvicina al tipo di esperienza determinata dalla sessualità dell’inorganico, abolendo ogni separazione tra gli uomini e le cose, tra l’animato e l’inerte. La sessualità dell’inorganico, analizzata da Perniola, si rivela un tipo di sessualità che bandisce il legame col piacere, con il movimento ascendente che culmina nell’orgasmo, per proporre invece una dilatazione all’infinito del piacere in una continua e infinita sperimentazione della “cosa senziente”. Una tale sessualità trasforma gli esseri umani in cose, facendo coincidere il desiderio dell’altro con l’immersione, con l’avvolgimento nella sua “veste” per conseguire quell’astrattezza della cosa che costituisce il centro del godimento. Il mondo che questa sessualità instaura, fa notare Perniola, è un mondo “poroso”, divisibile all’infinito, in cui viene privilegiato il senso del tatto rispetto a quello della vista e dell’udito, in cui le cose si compenetrano senza tuttavia fondersi. All’estetica legata al senso della vista e quindi all’immagine della bellezza Perniola oppone un’estetica “neutra”, nella quale viene riconosciuta ogni sessualità perversa e patologica pur non coincidendo con la perversione, in quanto si tratta di una sessualità legata al mondo artificiale delle cose senzienti e allo spazio infinito causato dalla scomparsa del soggetto. M.Mi. AUTORI E IDEE Il linguaggio della politica, il linguaggio della morale Attraverso una decostruzione dei grandi testi della filosofia e della letteratura, l’ultimo lavoro di Jacques Derrida, POLITIQUES DE L’AMITIÉ (Politiche dell’amicizia, Galilée, Parigi 1994), traccia la storia dell’amicizia nella cultura occidentale, anche nei suoi risvolti politici. Contemporaneamente viene pubblicato un altro scritto di Derrida, più direttamente politico: FORCE DE LOI (Forza della legge, Galilée, Parigi 1995), da cui emerge che la possibilità di un rinnovamento della politica risulta condizionato dalla capacità di utilizzare un linguaggio altro, che attinga alla riserva del senso. Un invito ad andare oltre l’uso consensuale del linguaggio ci viene anche da François Lyotard in MORALITÉS POSTMODERNES (Moralità postmoderne, Galilée, Parigi 1994). In un epoca che impone il tutto leggibile e comunicabile per rafforzare il legame sociale compromesso dalla crisi dei grandi ideali e dei grandi discorsi, Lyotard propone “scritti d’infanzia”, come recita il sottotitolo: favole, brevi dialoghi, piccole riflessioni, in cui l’infanzia, resa alle parole, le rende in grado di ascoltare “il rumore” da cui viene il pensiero. «Oh! Amici miei; non esiste amico alcuno». Queste parole di Aristotele, ricorrenti e variamente interpretate nel corso della filosofia e della letteratura occidentale, costituiscono il filo conduttore di Politiques de l’amitié. In quest’opera Jacques Derrida decostruisce Platone, Aristotele, Cicerone, Montaigne, Kant, Hegel, Nietzsche, Michelet, Hugo, Schmitt, Heidegger, Blanchot: tutti autori di un diverso discorso di fraternità e di giustizia che tuttavia, secondo Derrida, hanno in comune il fatto di escludere l’amicizia femminile, rivelandosi discorsi di una democrazia ancora da fare. Nella sua analisi della storia fallocentrica dell’amicizia Derrida esordisce seguendo il motivo della fratellanza nelle memorie greche e cristiane per arrivare fino al periodo della Rivoluzione francese. Nonostante l’intenso fenomeno di sublimazione, santificazione, universalizzazione, il valore della fratellanza, osserva Derrida, resta radicato nella famiglia e nella nascita. Se l’ideale della fratellanza, che nessuna rottura storica è riuscito a scalfire - né il trapasso dal mondo greco a quello cristiano, né la repubblica post-rivoluzionaria, né la rivoluzione psicoanalitica - è servito alla democrazia per definire il proprio orizzonte, questo stesso orizzonte costituisce, secondo Derrida, anche un limite: la fratellanza repubblicana e universale può in ogni momento risvegliare la simbologia del sangue, della nazione, dell’etnia o dell’androcentrismo sublimato. Jean-François Lyotard (sopra) e Jacques Derrida 21 AUTORI E IDEE Questa preoccupazione politica ha radici lontane nella riflessione di Derrida. Quasi trent’anni fa, infatti, il teorico della decostruzione aveva tenuto dei seminari sul problema del nazionalismo, preparando il terreno per l’analisi svolta in Politiques de l’amitié, nella convinzione che per affrontare una nuova esperienza della responsabilità fosse necessario congedarsi da concetti e pregiudizi persistenti. In questa prospettiva, la decostruzione, lungi dal portare ad una posizione di disimpegno e di abdicazione nichilistica di fronte alle questioni etiche, sociali e politiche, rappresenta uno dei modi per facilitare questo congedo. In Kant, mostra ad esempio Derrida, il soggetto rimane in tal senso troppo “fraterno”, virile, familiare, nazionale. Carl Schmitt, invece, caratterizza la politica attraverso la discriminazione tra amico e nemico; decostruire il pensiero di Schmitt è allora, secondo Derrida, un utile esercizio per dar vita a un nuovo pensiero del politico. A Maurice Blanchot, invece, va tutta la simpatia di Derrida. Blanchot pensa all’amicizia come ad un rapporto di uguaglianza senza reciprocità, né simmetria: l’amico, per Blanchot, non pone condizioni, né si aspetta ritorni. Una tale concezione dell’amicizia, osserva Derrida, non può tuttavia appartenere ad una politica dell’amicizia, se si limita la politica o la democrazia ai tratti di oggi. «Io sogno invece una politica che resta affettiva senza far violenza alla possibilità, per quanto improbabile, di una tale amicizia al di là della mutualità». Salvaguardando la possibilità di un’amicizia non simmetrica, che vada al di là della trasparenza del dare-avere, Derrida sembra voler preservare l’eccedenza, lo scarto, la “differenza” come fonte di alimento e rinnovamento del rapporto di amicizia e della politica. Questa riflessione ritorna, sotto altre spoglie, in un altro testo, ancora più direttamente politico, Force de loi, che Derrida pubblica insieme a Politiques de l’amitié. Qui, sostiene Derrida, non è la giustizia in sé che impone un rispetto infinito per la singolarità, ma la giustizia inscritta, per quel che è possibile, nella generalità del diritto. In altri termini, secondo Derrida, la giustizia non diventa mai effettiva al di fuori del diritto, della “forza della legge”, che tuttavia essa supera; il datolegge non esaurisce la riserva-giustizia, ma costituisce tuttavia l’unico modo in cui questa riserva può esistere. Per Derrida, dunque, non ci può essere una politica rinnovata senza un linguaggio altro, che attinga alla riserva di senso e non si fermi al significato dato; non si può rispondere all’esigenza di giustizia senza pensare e scrivere diversamente, senza attingere un nuovo significato delle parole dalla forza della loro memoria. In moralités postmodernes ,François Lyotard tratteggia il ruolo dell’intellettuale come colui che, sottomesso al comandamento dello sviluppo “leggibile e comunicabile”, si serve del linguaggio per dire l’urgenza del consenso, per rispondere al bisogno di rafforzare il legame sociale nell’epoca della perdita dei grandi ideali e delle grandi scommesse della storia: commercio, scambio e circolazione delle idee, che organizzano la comunità e che legittimano l’esistenza della democrazia liberale, consentendole di perpetuarsi. Per Lyotard, si tratta di una comunità artificiale, che nello spettacolo, nell’estetizzazione della cultura, nell’imposizione del live e nel dovere di essere a tutti i costi comunicazionale cerca di nascondere la perdita dei suoi ideali. Stordimento che funge da ansiolitico nell’epoca in cui la fine dei grandi discorsi riconciliatori, riparatori, che promettevano la Natura, il Paradiso o la società senza classi, lascia il pensiero orfano e libera «il sentimento insopportabile (l’angoscia di Heidegger?) che non ci sia un percorso da seguire». Lyotard suggerisce allora che «bisogna accettare di disperarsi»; «il postmoderno è la malinconia di un pensiero che soffre di finalità». La malinconia è quindi, per Lyotard, il modo proprio di essere del pensiero nell’epoca postmetafisica; malinconia da distinguere dalla nostalgia, in quanto riesce ad andare al di là dei modi di circolazione, di integrazione e di estetizzazione delle conoscenze e dei dibattiti, costituendo una possibilità di incontrare quel che sfugge all’ingiunzione terroristica che organizza in modo omologante l’essere-insieme planetario. Di fatto, osserva Lyotard, se i Discorsi sono crollati, c’è spazio, però, per una favola, un breve dialogo, una piccola riflessione o una semplice prefazione, in cui l’infanzia, resa alla parole, le rende in grado di ascoltare quel rumore «da cui il pensiero viene e attraverso cui viene; da cui esso scaturisce e in cui esso cerca di entrare». Le quindici “moralità postmoderne” che compongono il volume sono tutte favole o Scritti d’infanzia, come recita il sottotitolo, che entrano nella discussione contemporanea per interrogarla di un mistero, di una ignoranza, impassibili alle seduzioni della megalopoli estetica «intaccate da quel che esse nascondono, manifestandolo: il pianto muto per la mancanza dell’assoluto». Nel corso del testo, l’analisi di Lyotard ritorna su ciò che è andato perduto dallo sguardo del filosofo e su ciò che egli deve riconquistare: «una vista strabica sul visibile, così divergente da scorgervi quel che visibile non è». Attraverso incursioni nella musica, nella pittura, nella letteratura e nella filosofia, Lyotard mette in atto una scrittura che testimonia che c’è dell’altro e invita a riconoscere la mancanza o l’eccedenza che «trascende le forme, pur abitandole», rifiutando l’abbassamento dei segni alla logica dello scambio generalizzato. «Le opere di pittura, scultura, architettura e di letteratura non valgono niente come risposte al nichilismo, valgono piuttosto come domande poste al niente». A.M. 22 Formazione e cultura Che i termini di ‘Bildung’ (formazione) e ‘Kultur’ (cultura) costituiscano concetti chiave della vicenda intellettuale tedesca, con risvolti di carattere sociale e politico, è noto da tempo. Mancava però fino ad oggi una ricostruzione storiograficamente soddisfacente che ne offrisse gli sviluppi e la portata. Viene opportunamente incontro a questa esigenza, offrendoci un grande affresco di semantica storica, lo studio di Georg Bollenbeck, BILDUNG UND KULTUR. GLANZ UND ELEND EINES DEUTSCHEN DEUTUNGSMUSTER (Formazione e cultura. Splendore e miseria di un paradigma tedesco, Insel Verlag, Francoforte s/M. 1994 ). L’intento dell’autore è quello di mostrare come, perché e in qual modo il concetto di Kultur si è formato ed è stato recepito e quindi quali effetti esso ha avuto, attraverso gli strati sociali che ne sono stati portatori, sulla sfera pubblica e sulle istituzioni. Proponendosi una ricostruzione quanto più esauriente possibile, Georg Bollenbeck non si perita di risalire fino alle fonti più antiche - ai greci, ai romani, al Medioevo - in cui si può trovare una preistoria del concetto. Tuttavia sono soprattutto le fonti mistico-pietistiche ad essere determinanti per la formazione del concetto di Kultur, per l’accezione con cui esso si definisce all’interno dell’orizzonte illuministico e quindi per il nesso ineludibile che esso stringe con l’idea di Bildung, a partire dalla quale, soltanto, assume una valenza specificamente tedesca. Nel periodo dell’Illuminismo, spiega Bollenbeck, il concetto di Kultur viene elaborato secondo visioni di filosofia della storia allora dominanti, per cui esso viene ad esprimere l’idea di progresso del genere umano (basti pensare a Herder e a Kant). L’instaurarsi del nesso che mette in relazione Kultur con Bildung viene affrontato da Bollenbeck a partire dallo stesso Kant, e quindi in Goethe, Schiller, Fichte, Schelling, Hegel. Ma il personaggio chiave di questa svolta è Wilhelm von Humboldt, che si situa al culmine del processo di trasposizione del significato di Kultur dalla prospettiva storico-sociale a quella interiore dell’autoformazione e del compimento del Sé. A questo punto si innesta quel percorso parallelo, così tipicamente tedesco, che permette di coniugare la libertà accademica con una piena subalternità nei confronti dell’autorità politica. La vera cesura che porta il concetto di Kultur ad abbandonare ogni valenza di carattere emancipatorio, sia a livello sociale che a livello personale, si verifica durante il periodo guglielmino e in particolare nel passaggio di fine secolo. Il concetto di Kultur, inteso come spazio della vita spirituale di un popolo, svincolato dall’idea di progresso, viene ora definendosi in antagonismo all’idea di Zivilisation (civilizzazione), intesa come articolazione puramente meccanica e materiale della sfera esteriore di vita - una polarità AUTORI E IDEE questa che diventa la chiave orientativa della cultura tedesca nel corso della prima guerra mondiale, in virtù del confronto inesorabile tra le aspirazioni tedesche alla Kultur, da un lato, e l’irrecuperabile Zivilisation delle potenze occidentali dall’altro). Bollenbeck segue poi l’esito fatale in cui si stringono Kultur e Bildung prima con la Repubblica di Weimar, poi con il nazionalsocialismo, che ne stabilisce, nello stesso tempo, il suo uso strumentale, per quanto contraddittorio, ed il suo definitivo esaurimento. Ma ciò che segna il tracollo del riferimento tra Bildung e Kultur è la liquidazione, negli anni trenta, dello strato sociale che ne era stato portatore, quel Bildungsbürgertum, che dopo la prima parentesi liberale, in seguito alle successive ondate di modernizzazione che l’avevano sempre più relegato in un ambito di insignificanza sociale, si era del tutto impregnato di un “affetto culturale-critico” contro la democrazia, la massificazione e l’età della tecnica. G. B. Antropologia, etica e politica nell’Inghilterra del Settecento La questione dei rapporti tra antropologia, etica e politica nel dibattito culturale e filosofico dell’Inghilterra del Settecento è l’ambito tematico in cui convergono un classico, quello di Alexander Pope, SAGGIO SULL’UOMO (trad. it. a cura di A. Zanini, Liberilibri, Macerata 1994), e due studi critici, quello di Adelino Zanini, GENESI IMPERFETTA. IL GOVERNO DELLE PASSIONI IN ADAM SMITH (Giappichelli, Torino 1995), e quello di Franco Crispini, L’OPINIONE DEL BENE (Morano, Napoli 1994), dedicato alle concezioni di Anthony Shaftesbury sul problema di un’etica dell’esistenza, basata sull’economia delle passioni, sull’equilibrio tra emozioni e ragione. Che cos’è l’uomo? E questa la domanda che larga parte della cultura inglese ed europea nel Settecento intendeva assumere come punto di partenza per sviluppare una dottrina etica. Un approccio in evidente polemica non solo e non tanto con una tradizione filosofica determinata, quanto con un’etica prescrittiva e una riflessione politico-filosofica che non tenessero conto della natura effettiva dell’uomo. Fu proprio An essay on man(Saggiosull’uomo, 1733), più che i suoi Moral essays (Saggi morali, 1731-35), a conferire ad Alexander Pope una notorietà europea: all’opera dell’autore inglese Voltaire riconosceva il merito di aver individuato motivi «universali e comuni a tutte le nazioni», e anche Kant si esprimeva con ammirazione nei suoi confronti. Il Saggio sull’uomo consta di quattro epistole in versi, pubblicate separatamente; anche in Italia l’opera fu, nel corso del Settecento, ripetutamente tradotta, ma l’edizione più recente risale al 1819. Estremamente opportuna appare perciò questa traduzione, corredata da un ampio saggio introduttivo di Adelino Zanini, Scena etica dell’Essay on man, che illumina sull’opera e la figura di Pope nel panorama della storia delle idee a lui contemporanea. Come avverte il curatore, oltre alla fedeltà letteraria questa edizione ha di mira l’accuratezza criticofilosofica nel ricostruire il panorama di un dibattito chehatra i suoi ispiratori Bollingbroke, ma anche Shaftesbury, Montaigne e La Rochefoucauld, ma anche Pascal e, naturalmente, Locke. Lo sfondo ideale di Pope è quello di un naturalismo neoclassico di stampo deista, il cui motivo ricorrente consiste nella necessità di conformarsi per imitazione alla natura, nonché all’esempio degli antichi. Non altro scopo ha dunque l’antropologia popeana se non una finalità pratica, alla quale non sono neppure estranei il legame e l’impegno personali di Pope con gli ambienti tories. Orientata in senso conservatore appare, in effetti, la prospettiva armonicista in cui l’autore inglese colloca la propria concezione dell’essenza della natura umana come fusione di “amor proprio” (self-love), ciò che sprona, e ragione (reason), ciò che frena. L’una e l’altra sono entrambe necessarie e formano la “natura media”: concetto di ascendenza shaftesburiana che emerge, come un leitmotivdecisivo, all’internodelleepistoledi Pope, il cui conservatorismo, osserva Zanini, va imputato all’ottimismo deistico che fa dell’antropologia il momento di una “teodicea esplicativa”: viviamo nel migliore dei mondi possibili, ed è insensato (oltre che velleitario) tentarne un mutamento radicale. Sulla questione della medietas la riflessione di Pope entra in relazione con quella di Adam Smith, al quale Adelino Zanini, già curatore dell’edizione italiana di Theory of moral sentiments (Teoria dei sentimenti morali, 1991), ha dedicato un suo recente studio, Genesi imperfetta. Il governo delle passioni in Adam Smith. La questione della medietà gioca un ruolo rilevante nel contesto del pensiero politico settecentesco: la nozione smithiana di middle conformation (media conformazione) dimostra, nella sua lontananza da quella di middle way (via media) di Shaftesbury e Pope, una valenza critica nei confronti dell’esistente. Zanini sottolineala dimensioneeuropeadel pensiero di Smith, che viene indicato, sulla strada aperta da Hume, comeil punto di avviodellarevisionedel paradigma antropologico settecentesco, fondato sulla categorizzazione dell’uomo come “essere intermedio”. Da questa revisione scaturisce il precetto etico relativo a una condotta ispirata al criterio del “giusto mezzo”, che la ragione realizza nel suo imporre il proprio governo (lontano, peraltro, da ogni eccesso rigoristico) alle passioni. Tale categorizzazione mostra, peraltro, il proprio carattere problematico: la prospettiva della “grande catena dell’essere”, nella quale essa va collocata, comporta in effetti, come rileva Lovejoy, l’umiliazionedell’antropocentrismo. Con Hume, osserva Zanini, i termini del dibattito subiscono una ridefinizione radicale. Il criterio dell’esperienza sposta infatti la discussione dal piano aprioristico (dove si pretendeva di collocare il principio del mo23 ral sense, del senso morale) a quello empirico. A questo livello si colloca, infatti, il criterio humeano della utility (utilità), e sullo stesso piano, pur con significative differenze, si sviluppa l’analisi smithiana. Come sottolinea Zanini, a Smith interessa meno definire in che cosa consista la “vera” natura umana di quanto non gli importi osservare ciò che l’esperienza ci mette sotto gli occhi: non tanto l’essenza della natura umana, quanto le modalità del suo esplicarsi costituiscono l’obiettivo della sua ricerca. Per questa via, il criterio di analisi relativo all’ “uomo medio” e perfino il frutto della teorizzazione smithiana, cioè la regola generale relativa alla moralità dei comportamenti in base all’approvazione o alla disapprovazione, rappresentano, ribadisce Zanini, «un prodotto e non un principio», in quanto vincolati all’esperienza delle conseguenze di determinate azioni compiute. F.C. Anthony Shaftesbury è noto tra i pensatori del primo Settecento come colui che ha orientato la filosofia morale inglese verso un definitivo distacco da una tradizione di stampo formalistico. Ne L’opinione del bene Franco Crispini affronta questa evoluzione dell’etica attraverso una rigorosa analisi della categoria shaftesburyana di coscienza. La novità della concezione etica di Shaftesbury sta nell’autonomia che egli attribuisce a questa sfera nei confronti delle dottrine metafisiche o dogmatiche; la sua , fa notare Crispini, è un’etica dell’individuo, elaborata in funzione del singolo e del bene comune e fondata su un dialogo interiore dell’uomo con la propria coscienza più intima, che implica un aprirsi autentico a sé e agli altri con il medesimo altruismo e interesse. Un discorso etico, quello di Shaftesbury, in cui le passioni debbono essere riconosciute nei loro limiti, espresse con una certa cautela e comunque sempre nei confini della ragione. Punto di partenza di questo discorso è l’interiorità; la sua meta un’armonia sociale come specchio di quella individuale. In questo, è legittimo quindi che le passioni debbano essere “economizzate” ed elaborate per garantire la pienezza dell’esperienza morale, altrimenti irrealizzabile. Nel progetto etico shaftesburiano la mente rappresenta la materia prima; se mal utilizzata, diviene fonte di degenerazione dello spirito umano e sociale. Crispini dedica parte del suo studio all’approfondimento di questi due concetti, riconoscendo in essi i due capisaldi della dottrina etica del filosofo inglese. Una mente che guidi il singolo alla scoperta dei valori profondi presenti nella propria coscienza, non è equiparabile ad un’altra che si lasci trascinare dall’immediato, dalla via più facile da seguire; occorre distinguere il bene dal male non in virtù di quanto impongono le norme esterne, ma da come la mente si rapporta a se stessa e ai piaceri del vivere quotidiano. L’etica shaftesburiana non si presenta quindi come un’etica comportamentale, ma rientra in un contesto più ampio, quello esistenziale in cui ognuno ha la responsabilità di essere “autentico” e di trasmettere attraverso il proprio esempio una tale autenticità. D.M. TENDENZE E DIBATTITI Fotomontaggio di Tsunehisa Kimura 24 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI La percezione del tempo nell’epoca dei ‘media’ Nonostante il ritardo con cui la filosofia si rapporta al mondo dei ‘media’, sempre più evidente appare il fatto che solo attraverso le categorie filosofiche è possibile comprendere quale sia la reale posta in gioco. A questo proposito si segnalano alcuni recenti studi, che possono essere considerati propedeutici a una specifica riflessione filosofica sul tema. In edizione italiana compare lo studio di Paul Virilio, LO SCHERMO E L ’ OBLIO (Edizioni Anabasi, Milano 1994), a cui fa riscontro, sugli effetti perversi del mondo dell’informazione sulle nostre forme di appercezione del reale, l’opera di Jean Baudrillard, LE CRIME PARFAIT (Il crimine perfetto, Galilée, Parigi 1994). Sul modo in cui il nuovo mondo dei media ha modificato la nostra percezione del tempo si pronuncia anche una raccolta di saggi a cura di Mike Sandbothe e Walter Ch. Zimmerli, ZEIT , MEDIEN , WAHRNEHMUNG (Tempo, media, percezione, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1994). L’opera di Paul Virilio, Lo schermo e l’oblio, che compare in edizione italiana contemporaneamente a quella tedesca, dal il titolo: Die Eroberung des Körpers. Vom Übermenschen zum überreizten Menschen (La conquista del corpo. Dal superuomo all’uomo sovreccitato, Hanser, Monaco di Baviera 1994), pone come elemento centrale l’affermazione secondo cui dalla colonizzazione dello spazio come corpo esterno ci stiamo spostando oggi alla colonizzazione del corpo animale stesso dell’uomo. Oggi, secondo Virilio, «ci si prepara ad attrezzare lo spessore del vivente con micromacchine suscettibili di stimolare efficacemente le nostre facoltà», a causa della condizione di inerzia e di passività dell’uomo nella società moderna, dove la «tele-azione ha ormai sostituito l’azione immediata». Ora non si tratta più di ridurre lo sforzo fisico dell’uomo, ma di procedere tecnologicamente a risolvere l’insoddisfazione, la frustazione, quali effetti dell’introduzione delle macchine, che si sono sostituite all’azione umana direttamente esercitata sulle cose, condannando l’individuo ad una passività crescente, ad un’inerzia che lo spoglia della sua attività fisica immediata. Con ciò, il corpo umano, osserva Virilio, diventerà un corpo veramente “meta-fisico”, indipendente dalle condizioni dell’ambiente, e tutto ciò che ha estensione, tutto ciò che si situa nello spazio, in quanto “spazio reale” «perderà progressivamente importanza a vantaggio del “tempo reale” di impulsi, di sovreccitazioni nano-tecnologiche che succederanno ai ritmi vitali». Avremo così un’evoluzione di carattere “tecno-scientifico”, che preparerà «il “superuomo” di domani in quanto “valido sopraequipaggiato”, che controlla il suo ambiente senza spostarsi fisicamente, sul modello dell’ “invalido attrezzato” di protesi che, già ai giorni nostri, agisce e si sposta senza ricorrere troppo alla forza fisica». Questa trasformazione artificiale del corpo umano, aggiunge Virilio, forse preparerà un’epoca di dominio incontrastato della tecnica, una mitologizzazione della tecnica alla quale finora non si era mai giunti: un vero e proprio “integralismo tecno-scientifico”. Dal punto di vista delle tecnologie mediali, l’uso dei mezzi tecnici di comunicazione, fa notare innanzitutto Virilio, cambia il nostro modo stesso di partecipazione al processo di interazione sociale. Il mezzo tecnico (come il cinema o la televisione) trasforma gli spettatori in una massa, nel momento in cui essi non devono più singolarmente decodificare i dati del reale, ma si trovano tutti insieme a percepire come reale soltanto ciò che la macchina propone come tale. Nell’universo della comunicazione mediatica spazio e tempo, categorie dell’intuizione sensibile che rendono possibili l’esperienza delle cose, si trovano già 25 predefinti al di fuori del soggetto tramite gli strumenti tecnici di comunicazione stessa. I media perciò non sono in realtà soltanto “mezzi”, il cui scopo si esaurisce unicamente nel far transitare una realtà che ad essi preesiste e che essi lascerebbero intoccata, quanto piuttosto strumenti di definizione della realtà stessa. Anzi, i media si sostituiscono al reale, al quale non è più possibile accedere senza di essi. Tuttavia, la realtà trasmessa dai media è necessariamente una realtà ficta, sicché alla fine tutto il gigantesco apparato mediatico di comunicazione non ci serve per accrescere la nostra conoscenza del reale, ma per fare della realtà una costruzione artefatta. Terrorismo e comunicazione sono oggi momenti costitutivamente omologhi. Sulla tesi della perdita di realtà prodotta dai moderni strumenti di comunicazione di massa insiste da anni anche Jean Baudrillard, che con il suo ultimo lavoro, Le crime parfait, denuncia gli effetti perversi del mondo dell’informazione sulle nostre forme di appercezione del reale. Il crimine perfetto sarebbe quello che i moderni mezzi tecnologici di comunicazione intendono operare, vale a dire «la risoluzione anticipata del mondo per clonazione della realtà e sterminio del reale». Se nell’universo della riproduzione tecnologica del reale Virilio mette l’accento soprattutto sull’impossibilità di continuare ad operare con le categorie morali del bene e del male, Baudrillard mette l’accento soprattutto sulla scomparsa contemporaneamente della distinzione tra essere e non essere e di quella tra ciò che è vero e ciò che non lo è. Il mondo da noi stessi artificiosamente riprodotto come rappresentazione ci esonera dal porre la questione della sua realtà e della sua verità. Alle posizioni di Virilio e di Baudrillard è stato mosso il rimprovero di essere fiction alquanto fantasiosa, ben lontana dall’offrire una rigorosa conoscenza scientifica del mondo dei media. È quanto emerge da una serie di contributi raccolti a cura di Mike TENDENZE E DIBATTITI Sandbothe e Walter Ch. Zimmerli nel volume: Zeit, Medien, Wahrnehmung, in cui figura, tra gli altri, proprio un intervento dello stesso Jean Baudrillard, il quale tenta di ridefinire il problema del tempo introdotto dai media nei termini di una riflessione sulla durata della storia, proponendo all’idea di “posthistoire” il principio di “retroversione”, con cui la storia fino ad oggi avrebbe mostrato di operare. Sebbene, osserva Beaudrillard, con la fine delle grandi utopie individui e istituzioni abbiano perduto il loro principio vitale, essi hanno però conquistato un’immortalità virtuale che nel futuro continuerà ad occultare la loro fine già avvenuta. Tra gli altri autori del volume, Hermann Lübbe osserva come la nostra età di accelerazione tecnologica produca come effetto quello di un restringimento del presente, per cui si potrebbe dire che dopo lo sradicamento spaziale della prima modernizzazione gli individui vivono lo sradicamento dal tempo come perdita della loro ora presente, a cui essi non sentono più di appartenere. Götz Großklaus mette invece in evidenza come ciò che può andare smarrito con l’assottigliarsi delle capacità percettive con cui cogliamo il presente, venga tuttavia riguadagnato dal considerevole ampliarsi delle nostre possibilità di recupero del tempo passato, che proprio i mezzi tecnologici consentono di conservare e di riattualizzare. Tutti gli interventi, ad ogni modo, convengono sulla completa sparizione della concezione lineare del tempo operatasi tramite le categorie percettive offerte dal consumo dei prodotti della comunicazione di massa. Rimane aperta solo la questione se, come sostiene Helga Nowotny, si debba parlare di una «crescita della pluralità e della multiprospettività», oppure di un’appercezione puntiforme e frammentata, che ci nasconde il senso delle cose nella stessa lettura in codice che noi facciamo di esse. G.B. Sul rapporto tra filosofia e scrittura In due volumi, rispettivamente dal titolo: IL TESTO FILOSOFICO. ANALISI SEMIOTICA E RICOGNIZIONE STORIOGRAFICA, a cura di Gianfranco Marrone, e IL TESTO FILOSOFICO. ERMENEUTICA E TEORIA PRATICA , a cura di Filippo Costa (L’epos, Palermo 1994), viene delineato, attraverso il contributo di vari autori, quel complesso movimento, pieno di paradossi, di ambiguità, di questioni problematiche, che collega, nel testo, la filosofia alla scrittura e fa del testo filosofico, nella sua infinita apertura, un oggetto specifico del mondo multiforme e variegato dell’ermeneutica. Un problema centrale, che viene esaminato nei saggi raccolti nei due volumi de Il testo filosofico, è quello che concerne il rapporto tra scrittura e filosofia, al fine di evidenziare se tra le due esista una relazione inessenziale, per cui la filosofia può esistere al di là della scrittura, o una relazione costitutiva, in base alla quale la filosofia non può sussistere senza la scrittura. Questa considerazione implica, d’altra parte, l’analisi del legame esistente tra filosofia e linguaggio, per stabilire se per l’espressione filosofica sia più idoneo il linguaggio concettuale o quello metaforico, quello sistematico o quello che, nel suo carattere frammentario, lascia trapelare un risvolto poetico. Come mostra Gianni Puglisi nel suo saggio Dal genere letterario al discorso filosofico, la filosofia è “essa stessa linguaggio” e può essere analizzata in base ad un’indagine che riveli le sue tecniche testuali. In tale ottica si pone il problema dell’inquadramento della filosofia all’interno di un genere discorsivo. Questo problema, come sottolinea Alessandro Zinna intervenendo su “Testo-filosofia” in margine a Qù est-ce que la philosophie? di Deleuze e Guattari, costituisce l’oggetto privilegiato della semiotica. D’altro canto, János Sándor Petöfi mette in luce, nel suo intervento: Testologia semiotica, come esista una relazione “interattiva” tra l’analisi semiotica dei testi e la filosofia del linguaggio, intesa come disciplina che si occupa delle questioni relative alla comunicazione umana. Nella prospettiva individuata da questi autori si può cogliere la differenza tra l’analisi linguistica e l’indagine ermeneutica. Questo aspetto viene in particolar modo messo in rilievo nel contributo di János Kelémen, L’analisi logico-linguistica e quella ermeneutica, che mostra come mentre la linguistica si occupa dell’opera nel suo carattere di segno, nel suo rappresentare «l’unione di significante e significato», l’ermeneutica si struttura attraverso il lavoro di interpretazione del testo filosofico sulla base della differenza tra “l’intenzione” dell’autore e il significato del testo. Questa componente ermeneutica del testo filosofico, data dal fatto che esso non coincide mai con i propositi dell’autore, viene in particolare sottolineata dall’intervento di Marcelino Agís Villaverde, “Testo e interpretazione” Paul Ricoeur e Hans-Georg Gadamer. Ripercorrendo la filosofia di Ricouer e di Gadamer, Villaverde mostra come di fronte al testo il lettore non sia un «semplice ricevente di idee finite», ma sia chiamato a completarlo attraverso una “comprensione” che implica anche la comprensione di se stesso. Il testo filosofico deve appunto essere concepito, secondo la 26 concezione di Gadamer, come un “dono” da parte dell’autore che chiama il lettore al lavoro di interpretazione. D’altra parte, il compito principale del lettore è quello di cogliere la domanda fondamentale che viene significata dal testo attraverso un dialogo “aperto” che impedisce la chiusura rigida del testo stesso. Mario Ruggenini, nel suo intervento su Il testo della finitezza, mette in risalto come il testo filosofico non possa essere limitato da un significato unico e “inviolabile”; esso origina infatti un continuo movimento di interrogazioni che lo espongono ad un infinito lavoro di interpretazione. Per Ruggenini questo carattere “inconclusivo” della filosofia è dovuto al suo aspetto testuale, che se da un lato, le imprime il “sigillo della finitezza”, dall’altro, determina la possibilità di una sua “apertura infinita”. Il problema del testo filosofico nella sua irrisolvibile e inevitabile “ambiguità” dialettica tra “definizione” ed “infinità” viene anche esaminato da Adriana Fabris, che interviene su Testo, contesto, fuori testo. L’ermeneutica relativa al testo filosofico, osserva Fabris, istituisce un “circolo” che determina la sostanziale “apertura” del testo. Tale circolo, dovuto al rapporto tra l’universalità dell’ermeneutica e la sua particolarità, fa sì che il discorso filosofico, non potendo basarsi solo sull’oggetto, sia costretto a porre se stesso come oggetto, esponendosi così al “paradosso” di parlare nello stesso tempo di se stesso e di altro. La complessità della situazione ermeneutica, come evidenzia Leonardo Samonà, intervenendo su Il «Tutt’altro testo» filosofico. In discussione con Jacques Derrida, è imputabile alla peculiarità stessa del testo filosofico di fluire tra due movimenti opposti. Se il primo movimento conduce il testo filosofico alla prospettiva della reductio ad unum, l’altro invece, rivendicando la particolarità del testo filosofico, lo pone al di fuori di un centro unitario. Per Samonà, la caratteristica peculiare del testo filosofico di rimandare ad altro attraverso un continuo rinvio di segni, senza poter conseguire la pacificazione di una parola “ultima” e “perfetta”, lo proietta fuori di se stesso verso un “tutt’altro testo”, che si qualifica come «anticipazione dell’unità razionale» consegnando al futuro la possibilità di un compimento che si esplica solo secondo il modello della “forma differita”. D’altra parte, come emerge dal contributo di Renè Vincon, Dilemmi. Note farmaceutiche nella prospettiva di rimediare a l problema del “testo “ e del “filosofico”, il testo filosofico vive di continue ambiguità in quanto, pur sottraendosi TENDENZE E DIBATTITI ad un “sistema” per il suo carattere “ondeggiante”, tuttavia ha per scopo proprio l’edificazione di un sistema. La questione del rapporto tra sistema e testo filosofico viene esaminata anche da Luigi Capitano nel suo contributo, I giardini d’Adone. Sui pensatori-scrittori, attraverso l’analisi della relazione esistente tra scrittura e filosofia. Se il “filosofo-scrivente” scrive ponendosi l’obiettivo di raggiungere un carattere sistematico, il “pensatore-scrittore” scrive mosso dalla passione della “malinconia”, costruendo il pensiero nell’atto stesso di scrivere: un pensiero “meditabondo” che germoglia nei «giardini di Adone all’ombra della scrittura». Si tratta di un pensiero che evidenzia la forma poetica della filosofia, come mette in luce Carlos Baliñas nel suo intervento, Analisi iconica della filosofia; un pensiero che si serve anche di “metafore” come strumenti utili di conoscenza per mostrare quell’intuizione iniziale da cui è sorta l’idea filosofica. Per Baliñas l’analisi “iconica” del testo filosofico consente di cogliere, al di là del discorso concettuale, quel discorso intessuto di immagini iconiche tratte da frammenti di significato della vita quotidiana. In te rv e n e nd o s u Hy p o mn ema ta Graphein. Platone e la genesi dei testi filosofici, Defyel Thiel definisce gli Hypomnemata schizzi preparatori al testo che indicano potenzialità nascoste non esplicate, in grado di fornire una soluzione parziale al dilemma di Platone in relazione alla possibilità di scrivere la filosofia. Infatti, come evidenzia Mario Vegetti nel suo contributo, Dal teatro al trattato, la scrittura platonica rivela il suo carattere paradossale, dal momento che per Platone nella scrittura della filosofia viene perduto l’aspetto vivente e dialogico del filosofare, proveniente da un rapporto diretto tra le anime. Per Platone, la filosofia è una «scienza vivente scritta nell’anima», il cui apice è costituito da una verità “extralinguistica”. Pertanto, osserva Vegetti, esiste un legame tra teatro e dialogo nella misura in cui sono caratterizzati entrambi dall’illusione di manifestare una “voce senza scrittura”. Del resto, continua Vegetti, con Aristotele il dilemma di Platone non viene neppure posto, in quanto la verità non viene più collocata nell’anima, ma nelle cose del mondo, esigendo così la sua necessaria trascrizione. In tal modo la scrittura assume la forma del trattato, costruendo un “cosmo testuale”. L’alternativa tra dialogo vivente e trattato può essere superata attraverso una scrittura filosofica che conservi il suo carattere di “apertura”, di “inconclusività” rivelandosi anche nelle tracce, nei frammenti, nelle metafore; una filosofia che, come risulta dall’intervento di Francesco Marsciani, L’occhio, lo spirito, la scrittura, sia chiamata a “dipingere”, divenendo “visione” che esprime il visibile del mondo, senza chiudersi in un senso univoco, ma lasciando intatta la sua pluralità ermeneutica creatrice di sempre nuovi possibili sensi e produttrice di sempre nuovi possibili significati. M.Mi. Il prospettivismo di Abel Del filosofo berlinese Günter Abel, autore di un’importante opera su N i e t z sc h e , è s t a to p u bb l i c at o un’ampio volume dal titolo: INTER PRETATIONSWELTEN . GEGENWARTSPHILO SOPHIE JENSEITS VON ESSENTIALISMUS (Mondi dell’interpretazione. La filosofia contemporanea oltre l’essenzialismo e il relativismo Suhrkamp, Francoforte s/ M. 1993). Lasciandosi alle spalle il concetto “irriflesso” di realtà oggettiva, Abel esamina il carattere rappresentativo dei “fatti” nei loro aspetti prospettici. Con il prospettivismo di Abel si confronta Hans Lenk nel volume: PHILOSOPHIE UND INTERPRETATION . VORSELUNGEN ZUR EN TWICKLUNG KONSTRUKTIONISTISCHER IN TERPRETATIONSANSÄTZE (Filosofia e interpretazione. Lezioni sullo sviluppo di principi d’interpretazione costruzionistici, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1993). UND RELATIVISMUS «Chi ha di mira il tutto, si rende sospetto». Con queste parole Günter Abel, nell’Introduzione alla sua imponente opera, Interpretationswelten, mette sullo stesso piano il pensiero dei metafisici, che vanno alla ricerca del fondamento ultimo, e quello dei decostruzionisti postmoderni, prendendo le distanze sia dalla nascosta dicotomia presente nel pensiero dell’essenzialismo, che cerca l’essere e la cosa in sé, sia dal più radicale relativismo. Se considerare in blocco i pensatori postmoderni può sembrare all’inizio un po’ approssimativo, risulta tuttavia chiaro nello sviluppo delle argomentazioni l’intento di Abel di conciliare, da buon pragmatico, teoria e prassi. In tal senso Nietzsche rappresenta per Abel, a differenza dei postmoderni, non il critico del soggetto, del linguaggio e della ragione, ma il filosofo «interpretazionista e prospettivista» per eccellenza. Sul terreno del prospettivismo di Abel si confronta Hans Lenk con la pubblicazione del suo studio: Philosophie und Interpretation. La diversa lettura dell’opera di Nietzsche conduce Lenk a un diverso concetto dell’interpretare. Se 27 da una parte Abel rimarca pragmaticamente il «carattere interpretativo e prospettivistico della coscienza umana del mondo, dell’ignoto e del sé», dall’altra Lenk intende l’interpretare dal punto di vista della storia dell’ermeneutica e riporta nella sua opera i commenti dell’hermeneutica sacra e profana da Dilthey a Davidson. Abel viceversa si pone contro la tradizione ermeneutica prendendo innanzitutto le distanze da Heidegger, quando afferma che la questione dell’essere non è prioritaria: «La domanda sull’essere - scrive Abel - sorge dal terreno della domanda sull’interpretazione e non viceversa». Lenk al contrario, preferisce lasciarsi aperta una via d’uscita trascendental-idealistica, quando parla del «carattere di fedeltà del mondo a se stesso» e non a caso definisce il suo metodo di pensiero «realismo pragmatico». Rispetto alla teoria del significato, Lenk si pone esplicitamente nel solco della tra d iz io n e p o stk a n tia n a e c riti c a l’«imperialismo dell’interpretazione» presente in Abel. Se infatti questi definisce l’interpretare un «processo fondamentale», Lenk considera le diverse interpretazioni del mondo come necessarie «concettualizzazioni», che se rendono possibili i fatti e la loro conoscenza, sono tuttavia intrinsecamente legate e rese possibili dai fatti stessi. Siamo così in presenza di uno “spazio” o “cosa”, che per Lenk resta al di fuori dell’interpretazione, che lì non può accedere; uno spazio che è da Abel assolutamente negato. L’interpretazione non è semplicemente un metodo epistemologico. La filosofia dell’interpretazione di Abel si insinua nello spazio precedente la “cosa” di Lenk, in quanto è già presente nel “prioritario” punto di vista dei fatti. E’ da questa premessa, e dalle precedenti indagini sul «relativismo di ogni fatto linguistico», che Abel tenta di sviluppare un’etica dell’interpretazione. Se non si può determinare in modo definitivo e normativo valido per tutti che cos’è un fatto, diviene allora chiaro in cosa consiste il grande salto di Abel: portare alla luce la dimensione democratica del pensiero pragmatico dell’interpretazione che legittima la verità come relazione al tempo codificata dal punto di vista culturale. M.C. TENDENZE E DIBATTITI Lettera di Nietzsche quindicenne alla madre, Franziska Nietzsche (a destra) Nietzsche e il declino della borghesia In occasione del centocinquantenario dalla nascita di Friedrich Nietzsche, viene pubblicata in edizione italiana la biografia di Horst Althaus, NIETZSCHE. UNA TRAGEDIA BORGHESE (trad. it. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 1994), che considera gli scritti di Nietzsche come paradigmatici del crollo dei valori ottocenteschi e borghesi. Se oggi possediamo una straordinaria quantità di materiale sulla vita e sul pensiero di Nietzsche, lo dobbiamo alla zelante opera di raccolta di documenti da parte della madre, Franziska, e della sorella, Elisabeth, verso le quali l’atteggiamento del filosofo fu tuttavia sempre ambivalente. Nell’anno dell’anniversario della nascita del filosofo, la figura della madre di Nietzsche ha finalmente ottenuto una ricostruzione filologicamente accurata nell’originale biografia di Klaus Goch, FRANZISKA NIETZSCHE. EINE BIOGRAPHIE (Insel, Francoforte s/M. 1994). La biografia di Horst Althaus - che appare in Italia dopo che in Germania viene pubblicata la seconda edizione, opportunamente riveduta, della monumentale biografia di Nietzsche ad opera di Curt Paul Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie in drei Bänden (Friedrich Nietzsche. Biografia in tre volumi, Hanser, Monaco di Baviera 1993) - segue il doppio percorso dei vissuti psicologici e degli eventi storici che forniscono un contesto biografico e culturale alla genesi delle opere di Friedrich Nietzsche. In base a questa impostazione, il senso dell’opera nietzscheana si risolve, in primo luogo, nella manifestazione del declino assiologico, e nichilista, dei valori della borghesia ottocentesca, la morale, la democrazia e il cristianesimo, e in secondo luogo, nel preludio ad un’epoca di nuovi idoli, autoritari e devastanti, conseguenza della massificazione della società del XIX secolo. Il superuomo, allora, diventa l’erede di questa omologazione di fondo e del crollo, tragico e drammatico, della borghesia. Come Marx, una generazione prima, aveva dimostrato il tramonto degli ideali borghesi, così Nietzsche prevede la caduta dei valori liberali, che porteranno alla lotta, inevitabile, per il dominio del pianeta. Per quanto riguarda gli eventi più strettamente biografici, Althaus sottolinea l’importanza dell’ambiente familiare del giovane Nietzsche che, rimasto senza padre in tenera età, si vede manovrato dalla volontà di possesso della madre, Franziska, e della sorella, Elisabeth. Soprattutto a quest’ultima si deve una insistita interferenza nella vita privata del filosofo, che d’altro canto raramente, se non in modo incompleto e ambiguo, come nel caso di Lou Salomè, riesce ad instaurare un rapporto sentimentale con altre donne. L’amicizia femminile viene, inoltre, stravolta anche dalla malattia, che agisce anche nella produzione di pensiero di Nietzsche, consumato lentamente dalla sifilide, 28 che lo porterà alla pazzia e alla morte. Ampio spazio è dedicato da Althaus all’amicizia tormentata di Nietzsche con Richard Wagner, che in breve tempo si trova a passare dall’identificazione con Dioniso e il dio Wotan a quella dell’ “umano, troppo umano”, legato irrimediabilmente al cristianesimo. Anche la fedeltà di Nietzsche alla figura di Bismark, che “con il ferro ed il sangue” prepara la Prussia all’unità tedesca, si risolverà nella critica radicale alla politica tedesca, incapace di avvicinare l’individuo allo Stato, divenuto sempre più autoritario. Dopo l’uscita dell’Austria dal Reich, Nietzsche, infatti, estraneo all’ideale di una cultura nordica e razzista, rimprovererà ai tedeschi di aver perduto quelle radici e quella cultura, proprie della Grecia presocratica, che sole possono rendere un popolo sovrano. In questo, Nietzsche dimostra anche un totale rifiuto di ogni apoteosi del cristianesimo che, nell’alleanza tra il trono e l’altare, ha contribuito allo sradicamento dell’individuo dallo Stato. A queste considerazioni sul presente Althaus affianca tutta una serie di previsioni di Nietzsche sul futuro che mostrano, innegabilmente, come questi sia estraneo a qualsiasi interpretazione, che lo assimili al nazionalismo tedesco e all’antisemitismo. Nietzsche prevede infatti, in maniera quasi inquietante, la forza emergente della Russia, a cui farà fronte, necessariamente, la potenza europea, che non accetterà di sottostare al suo dominio. Nel prevedere un conflitto di portata TENDENZE E DIBATTITI mondiale, determinato dal nichilismo borghese e dalla emergente volontà di potenza, Nietzsche si rivela, nell’interpretazione di Althaus, un abile profeta dei conflitti mondiali, perdendo, ancora una volta, i connotati di precursore del nazismo. A.S. Tra le fonti principali della biografia nietzscheana, Elisabeth Förster-Nietzsche aveva già ricevuto, nel 1983, una precisa e stimolante testimonianza della propria opera e del proprio ruolo accanto al fratello nella biografia a lei dedicata da H. F. Peters. Al contrario, la figura della madre, Franziska Nietzsche, è rimasta finora legata a superficiali cliché e molte biografie la descrivono come una donna insensibile, fredda, calcolatrice e ipocritamente devota. L’originale e filologicamente accurata biografia che Klaus Goch dedica a Franziska Nietzsche, nell’anniversario della nascita del figlio Friedrich, ci offre un dettagliato profilo di tutti i componenti della famiglia di Nietzsche (a partire dal nonno David Ernst Oehler) e nuovi spunti di lettura per comprendere la figura stessa della madre, le sue scelte, e il suo rapporto col figlio. Sposata a un uomo più vecchio di lei e di diversa estrazione sociale, soffocata da una suocera oppressiva, Franziska rimase presto vedova e priva di una fonte di reddito, gravata, ancora giovane, da pesanti responsabilità. Reagì a tale condizione di disagio rifugiandosi in una religiosità compensatoria, investendo tutte le sue energie nella maternità, e riversando i desideri insoddisfatti sul giovane figlio. Tuttavia la fulgida carriera di Friedrich non solo non le permise di recuperare l’agiatezza perduta, ma si rivelò anche una breve parentesi, conclusa la quale la donna si trovò sulle spalle un figlio gravemente malato. Fu merito suo se, contro il parere dei medici, il figlio poté trascorrere gli ultimi anni della sua vita fuori dall’ospedale. L’intento generale che caratterizza la biografia di Goch non è comunque quello di giustificare il comportamento di Franziska, o di riabilitarla moralmente, quanto piuttosto di realizzare una scrupolosa archeologia della storia familiare di Nietzsche, che attraverso informazioni di ordine sociale, economico e psicologico ci permetta di comprendere, al di là di schemi precostituiti, gli eventi traumatici che ne coinvolsero i componenti. A.Mo. Nietzsche nell’ex-DDR Il centocinquantenario della nascita di Friedrich Nietzsche ha rappresentato per i tedeschi della ex-DDR l’occasione per attuare un emblematico processo di revisione del pensiero di un filosofo fino a poco tempo fa fortemente censurato. Così, studiosi e riviste specializzate, tra cui in particolare «Sinn und Form», si sono confrontati a più riprese sull’importanza della sua opera nella storia del pensiero. La casa natale di Nietzsche a Röcken, presso Lützen In Ecce Homo Nietzsche pensa «con terrore» al «fatto sinistro» che la sua vita sia quasi interamente trascorsa «solamente in luoghi sbagliati e [per lui] senz’altro “proibiti”. Naumburg, Pforta, la Turingia in genere, Lipsia...». L’ambiguità di questa frase, per l’inconscia profezia che contiene, è davvero singolare. Che proprio quei luoghi fossero per lui non solo climaticamente, come intendeva l’espressione, ma anche realmente “proibiti”, Nietzsche non l’avrebbe mai immaginato. Eppure ancora oggi bisogna essere degli addetti ai lavori per ritrovare a Röcken (ex-DDr), nell’umile casa che ospita, come allora, una famiglia di pastori, la casa natale del filosofo. E anche la sua tomba è talmente modesta, che facilmente accade di non riconoscerla. Sottoposto per 40 anni al veto della censura, Nietzsche qui era veramente morto. Fatta eccezione per una ristretta cerchia di intellettuali, coraggiosamente impegnati nella diffusione del suo pensiero, indifferenza e ostilità generalizzate hanno prodotto un ristagno di informazioni quasi ricuperatile. Dal 1948 imperava, quale dogma indiscusso per la ricezione marxista del pensiero di Nietzsche, il giudizio formulato da Georg Lukács nel saggio Il fascismo tedesco e Nietzsche, successivamente ampliato nell’opera più famosa, Die Zerstörung der Vernunft; giudizio che continuò a valere anche quando, dopo la rivolta ungherese, lo stesso Lukács cadde in disgrazia. In effetti, in un paese che fondava la propria costituzione sul presupposto irri29 nunciabile dell’ “antifascismo”, anche il semplice sospetto di prossimità all’ideologia “fascista” non poteva che corrispondere a un definitivo ostracismo, a un netto e aprioristico rifiuto di ogni altro giudizio. In tal senso, è significativo, ad esempio, che mentre Richard Wagner, compositore venerato dai nazisti, venne rapidamente riabilitato, su Nietzsche, altrettanto adulato dal regime, continuò a gravare la più aspra condanna. E non erano soltanto l’elitario individualismo di Nietzsche, la sua critica alla morale, lo scetticismo nei confronti dell’autorità e dello Stato ad essere interpretate come dichiarazioni di guerra al socialismo, ma perfino lo stile aforistico del suo pensiero suscitava reazioni di biasimo. «Nell’ex DDR -spiega il germanista Andreas Schrade - la ricerca scientifica aderiva a un sistema standardizzato, a una compagine di pensiero chiusa e precostituita, entro la quale un filosofo, che non avesse costruito un sistema, veniva accusato di irrazionalismo e di conseguenza sminuito». Così, per ironia della sorte, l’accerrimo nemico della decadenza veniva ipostatizzato come quintessenza del decadentismo. Osteggiata in campo filosofico, l’influenza di Nietzsche era comunque rintracciabile nella letteratura e nell’arte. Verso la metà degli anni Ottanta, quando Heiner Müller (scrittore incensurato malgrado la sua frequente e articolata critica al sistema) confessò in un’intervista che Nietzsche aveva per lui «un’importanza enorme», esprimeva pub- TENDENZE E DIBATTITI blicamente un parere condiviso da molti. È sintomatico che prima di essere conosciuto come filosofo, nella DDR Nietzsche sia stato pubblicato come poeta: il suo primo testo edito fu infatti una lirica, apparsa nel 1976 sull’Antologia tedesca di Stefan Hermlin (e certo fu questo uno dei motivi per cui quel libro dal titolo ingenuo ottenne uno straordinario successo). Non meno paradossale, come ci riferisce lo scrittore berlinese Rolf Schneider, è che la condanna di Nietzsche, ricorrente in numerosi testi, potesse convivere indisturbata con il ritratto del tutto favorevole tracciato, ad esempio, da Thomas Mann, autore stimato dalla politica culturale ufficiale. I testi originali di Nietzsche continuavano tuttavia a restare inaccessibili; unica eccezione un’elegante edizione di Ecce Homo. In realtà, come spiega Margarethe Reschke, «l’opera esisteva solo in teoria; costava più di 200 marchi e nessuno poteva permettersela. Originariamente era stata pensata per l’esportazione, ma poi non se ne fece nulla e così rimase confinata nel mercato nazionale». Lontano dalla scena politico-culturale ufficiale, persino durante gli anni Quaranta, Nietzsche era invece oggetto di studio nelle facoltà teologiche. Al teologo Udo Kern, autore di una prestigiosa dissertazione sul pensiero anti-religioso, questa circostanza non è altro che espressione di quella perversa “negazione della negazione”, attuata dalla cultura dello stato totalitario, di tutto ciò che risultava “fascista” o “parafascista”. Tanto più se consideriamo che nella DDR lo studio della teologia era propedeutico a quello della filosofia (non necessariamente marxista). La faticosa riabilitazione di Nietzsche nell’ex-DDR giunge a una svolta verso la metà degli anni Ottanta, grazie all’impegno della prestigiosa e coraggiosa rivista «Sinn und Form». In quegli anni il dibattito su Nietzsche, particolarmente vivace, si inserisce nell’ambito di una discussione sulla rinnovata comprensione marxista delle eredità culturali (la cosiddetta Erde-Diskussion). Il filosofo venne difeso da Heinz Pepperle, che si dichiarò favorevole alla revisione della “caricatura” di Nietzsche che il regime aveva imposto per 40 anni. A questa dichiarazione aveva seguito, alcune settimane più tardi, la reazione di Wolfgang Harich, che al termine di un articolo fortemente polemico, pronunciò l’affermazione che assolutamente nulla in Nietzsche era «degno di essere menzionato», e che questa prescrizione andava annoverata «fra le regole basilari di una corretta igiene spirituale». Un’affermazione così drasticamente definitiva provocò una reazione a catena di commenti sfavorevoli. Poco tempo dopo, infatti, nove eminenti studiosi in campo scientifico e letterario intervennero sulla medesima rivista schierandosi tutti più o meno decisamente contro Harich, per sostenere l’importanza di Nietzsche nella storia del pensiero. Ancora oggi, in un clima culturale completamente rinnovato, «Sinn und Form» continua a ospitare interventi su Nietzsche. In partico- lare, nell’ultimo numero del 1994, accanto a un resoconto delle drammatiche vicende occorse alla rivista negli anni del regime comunista, è apparso un articolo di Steffen Dietzsch sulla situazione dell’ArchivioNietzsche a Weimar, e un intervento di Karl Heinz Boher sul significato dell’ironia nel pensiero nietzscheano. A.Mo. Rapporto con il reale e responsabilità della scienza Continuano le importanti ricerche del gruppo di filosofi e scienziati che fanno capo al “Zentrum Philosophische Grundlage der Wissenschaften”, diretto da Hans Jörg Sandkühler all’Università di Brema. Ora, questo centro presenta due opere collettive, curate dallo stesso Sandkühkler: THEORIE, MODELLE UND TATSACHEN. KONZEPTE DER PHILOSOPHIE UND DER WISSENSCHAFTEN (Teorie, modelli e fatti. Concetti della filosofia e della scienza, Peter Lang, Francoforte s/M.-Berlino-Berna 1994) e FREIHEIT, VERANTWORTUNG UND FOLGEN IN DER WISSENSCHAFT (Libertà, responsabilità e conseguenze nella scienza, Peter Lang, Francoforte s/M.-Berlino-Berna 1994). Nel volume Theorien, Modelle und Tatsachen è centrale il dibattito tra realisti a vario titolo, costruzionisti, interpretazionisti. Il dibattito internazionale attuale sull’interpretative turn (svolta interpretativa), che soppianta ormai il linguistic turn (svolta linguistica), trova eco innanzitutto nell’intervento di Günter Abel, secondo cui non solo «teorie, ipotesi e concetti possono venir concepiti come costrutti interpretativi», ma la stessa osservazione può essere considerata un costrutto interpretativo e ogni nostra visione del mondo viene condizionata già nell’apprendimento di una lingua naturale. Abel considera la filosofia della scienza come ramo di una più generale “filosofia dell’interpretazione”. Non condivide quest’ultima tesi Hans Jörg Sandkühler, che sottolinea il concetto di “costruzione”, riguardante anche l’attività scientifica, rifacendosi alla dimensione trascendentale della conoscenza. Con questo Sandkühler intende salvaguardare una filosofia dello “spirito”, non inteso però come una sostanzializzazione idealistica: “spirito” indica «la ragione e il comportamento razionale degli uomini, in quanto sono costruttori di mondi di azione, vita e pensiero». Sandkühler professa un “realismo interno” o epistemologico, difendendolo contro ogni variante di antirealismo relativistico, pur rifiutando, d’altra parte, anche il realismo metafisico o del senso comune, legato all’idea di riproduzione di una realtà esterna o di “corrispondenza” delle conoscenze con tale realtà. Sandkühler sviluppa quindi la tesi, enunciata da Cassirer, secondo cui «il 30 mondo ha per noi la forma che a esso viene data dallo spirito». La concezione di Sandkühler trova consonanza soprattutto col realismo interno di Putnam, che propugna un concetto di oggettività e razionalità “a misura d’uomo” e può essere riportato al kantiano realismo empirico, unito a un idealismo trascendentale. In pratica, la posizione di Sandkühler presenta intersezioni con l’interpretazionismo così come con il costruttivismo dei neurobiologi, a cui egli rimprovera però la mancanza di fondamento epistemologico, in quanto, riducendo l’attività dello “spirito” a quella fisiologica cerebrale, “naturalizza” lo spirito e in pratica lo elimina. Tra i contributi al volume, il costruttivismo è rappresentato in particolare da Helmut Schwegler, che partendo dalla natura linguistica delle teorie, suggerita dal secondo Wittgenstein, propone di intendere la «scienza come gioco linguistico e forma di vita di una scientific community (comunità scientifica)». Riconosciuto che le teorie sono di natura linguistica, bisogna tener presente, osserva Schwegler, che i testi che costituiscono le teorie sono basati su processi di significazione, non del tutto chiariti, sui quali dovrà far luce soprattutto la neurobiologia, e comunque molto complessi e indiretti, che non ci mettono certo in immediato contatto con la cosiddetta realtà esterna. Né si deve pretendere che l’attività mentale debba essere indagata in base ad un unico gioco linguistico. Abbandonando il fallimentare ideale neopositivistico di un linguaggio scientifico unificato, Schwegler propone di sviluppare un gioco linguistico comprensivo che permetta di parlare su quelli rappresentati dalle teorie, nei vari campi, dissolvendo tra l’altro il dibattutissimo mind-body problem (problema mente-corpo). Il linguaggio proposto dovrebbe infatti comprendere sia un linguaggio psicologico che parla di percezioni, aspettative ecc. , sia un linguaggio fisico che parla di processi cerebrali, senza che ci sia incompatibilità tra questi due modi di parlare sulla mente. In definitiva, per Schwegler il sapere non è indipendente dalla realtà, la quale però va intesa essenzialmente come realtà del soggetto di tale sapere e quindi come realtà costruita. A questo Hans-Peter Böhm obietta che il soggetto, il pensiero, andrebbe concepito anche come una parte del mondo, sorta con esso e in esso. Partendo di qui si può spiegare lo sviluppo sia delle rappresentazioni conoscitive, sia della comunicazione, mediante la dinamica evoluzionistica legata al problema della sopravvivenza nell’ambiente. Per avere successo in questo senso, osserva Böhm, le nostre rappresentazioni devono dire qualcosa di non arbitrario, anche se non esaustivo, su un certo settore della realtà. Il costruttivismo, secondo Böhm, ha ragione solo nella misura in cui contesta un realismo ingenuo; non invece quando sgancia il pensiero e il linguaggio dal mondo per tenerlo agganciato solo al mondo del soggetto. Decisamente contrari all’unilateralismo soggettivistico e in particolare all’interpre- TENDENZE E DIBATTITI tazionismo si mostrano anche Ulrich Röseberg (filosofo berlinese immaturamente scomparso) e Gerhard Pasternack, secondo il quale bisogna tener presente che il soggetto è, per così dire, impregnato di mondo e non lo si può concepire staccato da questo. Impossibile soffermarsi qui su tutta la ricca serie di interventi, da quelli prettamente storico-filosofici di R. A. Mall su Hume e di Detlev Pätzold sulla funzione dell’immaginazione come facoltà costruttiva nella filosofia moderna da Cartesio a Kant, a quelli epistemologici, come il contributo d’impostazione “strutturalistica” di Ulrich Gähde, e infine quelli legati all’analisi di specifiche teorie fisiche. Tra gli spunti maggiormente suscettibili di fecondi sviluppi, Hyong-Sik Yun propone di arricchire la teoria dello “spirito” sia attraverso la via linguistica e semiotica, che attualmente è la più praticata, sia attraverso quella di una filosofia dell’agire di cui vengono trovati degli esempi, in campo epistemologico, in Bachelard e Hacking. Un altro versante dell’attività e della riflessione scientifica del “Zentrum Philosophische Grundlage der Wissenschaften” viene presentato nella raccolta Freiheit, Verantwortung und Folgen in der Wissenscahft, che prende spunto dal fatto che oggi le questioni non solo etiche in senso stretto, ma anche giuridiche e politiche, legate all’ “etica pratica”, vengono talora «impedite con mezzi che stanno al di là del discorso argomentativo», mentre compito essenziale della scienza è anzitutto far emergere la ragioni pro e contro le varie posizioni in questo campo. Secondo Sandkühler è necessario che il sapere, pur nella sua continua crescita, non risulti alienante e non comporti una perdita della capacità di giudizio morale e del senso di responsabilità. Per veitare questo rischio è necessario sviluppare una concezione del conoscere come attiva “costruzione” della realtà e dei significati a partire dalle leggi del nostro “spirito”: solo la realtà del sapere”, in tal modo costruita, rappresenta un “mondo a misura d’uomo”. Tra le tante altre considerazioni, svolte in questo volume, su problemi dell’etica pratica legati allo sviluppo della scienza, Kurt Bayertz riflette sulle conseguenze delle “definizioni” che diamo di certi concetti collegati alle valutazioni morali, come è il caso nell’adozione del termine di “morte cerebrale” al posto di quello di “morte cardiaca”: passaggio legato sia a nuove conoscenze fisiologiche sia al problema pratico di avere un criterio per l’interruzione dei trattamenti di mantenimento in vita o di precisare condizioni per l’espianto di organi. In casi come questi, osserva Bayertz, l’individuazione di criteri morali è legata (e può variare conformemente) agli sviluppi delle conoscenze scientifiche che determinano tuttavia non principi o valori morali in generale, ma alcune premesse empiriche del giudizio morale. F.V. Immagini e ipertesti: pratiche della scrittura filosofica La riflessione sulla questione della scrittura costituisce un tema ormai classico nel panorama della filosofia contemporanea. Decisamente meno frequentata appare, invece, la “messa in pratica” di tale questione, come avviene invece in due opere recentemente pubblicate, quella di Paolo D’Alessandro, VIOLENZA, RAGIONE, STORIA (Cuem, Milano 1994), primo esempio di ipertesto a carattere filosofico, e quella di Carlo Sini, SCRIVERE IL SILENZIO. WITTGENSTEIN E IL PROBLEMA DEL LINGUAGGIO FILOSOFICO (Egea, Milano 1994). L’opera di Paolo D’Alessandro, Violenza, ragione e storia, riveste il carattere della novità per due ordini di questioni. In primo luogo perché è la prima a carattere filosofico in cui al testo scritto viene abbinato (grazie alla collaborazione della Cattedra di Filosofia Teoretica III con il Centro di Tecnologia per l’apprendimento dell’Università degli Studi di Milano) un supporto informatico che la costituisce in ipertesto, avviando la possibilità di una pratica interattiva. In secondo luogo, perché questa opportunità non viene concepita come estrinseca nei confronti del “contenuto” (per quanto possa risultare legittimo questo termine) veicolato dal supporto cartaceo, bensì trova la propria ragione d’essere nell’elaborazione filosofica che, qui e altrove (ricordiamo il recente studio: Esperienza di lettura e produzione di pensiero, LED, Milano 1994), D’Alessandro è venuto sviluppando in questi anni. Sulla scorta soprattutto della riflessione di Louis Althusser, D’Alessandro ha posto al centro della propria indagine l’esperienza di pensiero nel suo articolarsi nel momento della lettura e in quello della produzione di testi. Decisiva risulta, a questo proposito, la nozione di lettura sintomale, quella che fa emergere, fra le righe del testo scritto, il suo non detto, che rappresenta poi il senso più profondo di ciò che viene esplicitato. Iuxta le indicazioni di alcune correnti dell’ermeneutica contemporanea, il testo appare dunque come portatore di una “volontà di dire”, che trascende tanto il significato intenzionalmente espresso dall’autore, quanto la comprensione, di volta in volta determinata, del lettore. La stessa prassi di lettura di testi, da parte di D’Alessandro, esemplifica d’altronde in modo adeguato la sua elaborazione teorica: nel tentativo di chiarire le connessioni messe in gioco dai concetti di violenza, ragione e storia, le opere attraversate (quelle di Hobbes e Hegel, anzitutto, ma anche quelle di Gehlen, Eibl-Eibesfeldt e Lorenz) rappresentano le tappe di un cammino che ricontestualizza il significato più evidente delle affermazioni dei filosofi o degli etnologi interrogati, istituendo fra essi comparabilità finalizzate al percorso individuato dall’interrogante. Questo è il senso della “filosofia teoretica”, ovvero, per D’Alessandro, 31 della pratica filosofica in quanto tale. Più che l’applicazione pratica di un’elaborazione teorica che risponda a questi presupposti, scrittura e lettura elettroniche appaiono, nella riflessione di D’Alessandro, come l’analogon di ciò che accade nell’esperienza di pensiero in quanto tale. Il carattere interattivo della lettura elettronica diviene perciò l’esplicitazione di ciò che, sempre e comunque, accade nella lettura di un testo, su qualunque supporto esso sia stato scritto. E’ peraltro da rilevare che, in Violenza, ragione, storia, i livelli di interattività risultano essere molteplici: l’opera ha preso infatti le mosse da un’indagine statistica (i risultati della quale sono presentati in appendice) relativa al campo semantico dei termini che compongono il titolo, e delle connessioni che intercorrono fra essi. Il supporto informatico accluso intende, inoltre, permettere l’intervento del lettore sul testo medesimo. La “rivoluzione” avviata dall’uso della scrittura elettronica poggia perciò, ricorda D’Alessandro, sull’aspetto essenzialmente propositivo, piuttosto che impositivo, della scrittura medesima; rispetto al carattere di realtà del testo scritto, quello elettronico risulta, in effetti, essere virtuale, suscettibile di una continua rielaborazione. Ciò non comporta, però, un potenziamento meramente quantitativo delle possibilità di intervenire sul testo: con la ridefinizione del concetto di “realtà” del testo medesimo, mutano anche i termini della questione della “lettura sintomale”, e della produzione di testo da parte del lettore. L’ipertesto, infatti, non si esibisce mai nella sua totalità. Ciò che nel testo scritto su supporto cartaceo si era definito come il suo “non detto”, ciò che in esso rimane inespresso, nel testo elettronico diventa un “testo nascosto” (un riferimento bibliografico, una nota critica, o una esplicativa), con pari dignità di opzione rispetto al testo esplicitato. Il testo diventa cioè un luogo, il topos di una scrittura e di una lettura che, come sottolinea D’Alessandro, sono sempre in progress: per questo, la scrittura elettronica rappresenta il paradigma del “pensare ermeneutico”. L’ “esperimento” proposto da D’Alessandro è, a un tempo, filosofico e “didattico”: l’introduzione al pensiero si riconosce, in senso pregnante, come apprendimento alla scrittura. E’ questo un assunto decisivo anche all’interno del pensiero di Carlo Sini, espresso nell’Introduzione alla sua ultima opera, Scrivere il silenzio. Wittgenstein e il problema del linguaggio. Qui Sini non si limita a porre la questione della scrittura filosofica, ma “mette in pratica” la scrittura medesima, fino, apparentemente, a negarla; o, perlomeno, a porre un dubbio radicale sulla possibilità di “leggere” la scrittura della filosofia senza “praticarla”. Quest’opera di Sini non utilizza, infatti, schemi, soluzioni iconiche e cromatiche “a esplicazione” di un testo: il testo stesso è il grafema, il tentativo di pervenire, wittgensteinianamente, a un’ “ideografia”, ovvero a un’immagine del mondo. Come è evidente, la questione filosofica TENDENZE E DIBATTITI della scrittura si intreccia, qui, con quella dell’immagine. L’ “iconismo” presente in quest’opera di Sini trova i propri presupposti teorici nei suoi scritti più recenti, come Filosofia e scrittura (Laterza, RomaBari 1994), nonché in Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura (scritto in collaborazione con R. Fabbrichesi-Leo, Hestia, Como 1993), e nel tentativo, in essi perseguito, di mostrare la consustanzialità di filosofia e scrittura chiarendo il carattere “etico” di quest’ultima. Per un primo verso, si tratta dunque per Sini di mostrare come una determinata forma di pensiero (quella che, dai Greci fino a noi, ha visto il prevalere del logos) non si esprima “in” una determinata scrittura, quella alfabetica, ma risulti consustanziale con essa, in quanto la presuppone. La filosofia consiste dunque in una determinata pratica di scrittura; in questo carattere di pratica, e non in un senso antropologico, va dunque interpretata la tesi siniana relativa all’”etica della scrittura”. La nozione di “foglio-mondo”, decisiva nell’ultima fase del pensiero di Sini, fa cenno al carattere iscrittivo, anziché descrittivo, della scrittura; attraverso tale nozione s’intende perseguire una “trasparenza” del gesto filosofico nel suo mostrarsi, al di là dei segni dell’alfabeto, appunto come gesto di scrittura, ovvero come gesto iscrittivo. Scrivere il silenzio rappresenta la manifestazione in rebus di tale progetto, un “esercizio di scrittura”. Che cos’è infatti il silenzio di cui, non potendo parlare, sostiene Sini parafrasando Wittgenstein, occorre scrivere? Non è “qualcosa” da dire, che non si possa dire. Non è “qualcosa”; è, piuttosto, un nulla, da non intendersi come l’assenza di un ente, bensì come il prodursi, nel nulla, dell’evento dell’iscrizione. In questo silenzio, che non si può dire, ma che si deve scrivere, consiste dunque il gesto scritturale, momento instaurativo di ogni descrivibilità. La scrittura che scrive questo silenzio non può dunque essere quella del sapere concettuale. Dovrà essere, invece, una scrittura che, “in pratica”, abbia abbattuto lo steccato tra ciò che è scrittura (essa medesima) e ciò che è immagine, tra ciò che è concetto e ciò che è simbolo, ciò che è razionale e ciò che non lo è, avendo, se non rinunciato, almeno messo fenomenologicamente “tra parentesi” queste definizioni. Questa scrittura non può, con tutta evidenza, essere definita, ricondotta alla pratica della scrittura alfabetica. Tale scrittura va invece essa stessa praticata: è ciò che appunto accade in quest’opera di Sini, con il suo testo costituito da disegni e schemi, colori e (va da sé) parole. Questa, sostiene Sini commentando Wittgenstein, è la funzione della filosofia, nonché il suo “metodo”: il passaggio alla prassi, l’ “elementare” apprendimento dello scrivere. F.C. Differenti concezioni degli animali Intento della raccolta di saggi dal titolo: FILOSOFI ED ANIMALI NEL MONDO ANTICO (Edizioni ETS, Pisa 1994), pubblicata a cura di Silvana Castignone e Giuliana Lanata, è delineare la complessa concezione filosofica degli animali nei pensatori antichi, in rapporto a differenti visioni del mondo come l’antropocentrismo e il cosmocentrismo. Il recupero del passato filosofico allo scopo di determinare lo sviluppo del comportamento positivo degli uomini nei confronti degli animali viene affrontato anche da Luisa Santonocito ne LO STATUS MORALE DEGLI ANIMALI NONUMANI. UN’ANALISI SUI LIMITI DEI CRITERI ETICI DELLA NOSTRA SPECIE (Editrice Firenze Atheneum, Firenze 1994). In questo contesto di riflessione si segnala anche i contributi raccolti a cura di Paola Cavalieri e Peter Singer nel volume: IL PROGETTO GRANDE SCIMMIA, EGUAGLIANZA OLTRE I CONFINI DELLA SPECIE UMANA (Theoria, Roma 1994), in cui viene sottolineata la rilevanza, nell’attuale dibattito filosofico, di una nozione non umanistica di persona, applicata ai grandi antropoidi. Sebbene nel mondo antico prevalesse una concezione antropocentrica, basata sull’affermazione dell’inferiorità animale rispetto all’uomo, si possono tuttavia rintracciare in alcuni filosofi antichi posizioni teoriche orientate verso il rafforzamento di una maggiore contiguità tra l’uomo e l’animale e verso il rifiuto di comportamenti tesi allo sfruttamento e al disprezzo crudele degli animali. D’altra parte, l’atteggiamento moderno di svalutazione del mondo animale e la mancanza di rispetto per la sofferenza degli animali, che ha determinato l’espandersi della pratica della vivisezione, affonda le sue radici proprio in una visione filosofica già presente nel mondo antico, che negava l’esistenza nell’animale della capacità di sentire e di percepire la sofferenza. Come mostra Liliane Bodson nel suo scritto: L’animale nella morale collettiva e individuale dell’attività greco-romana, contenuto in Filosofi e animali nel mondo antico, nel mondo greco-romano il comportamento degli uomini nei confronti degli animali è stato generalmente positivo. Riguardo alla relazione tra uomini e animali nella filosofia antica, come osserva Giuliana Lanata nel suo contributo al medesimo volume, Antropocentrismo e cosmocentrismo nel pensiero antico, la visione antropocentrica del mondo, riscontrabile in pensatori come Sallustio, Senofonte, Anassagora, Platone e Aristotele, tende a giustificare la superiorità dell’uomo sull’animale non solo attraverso la trasfigurazione simbolica di dati fisici, ma anche attraverso l’attribuzione esclusiva agli uomini della ragione e dell’anima. D’altro canto, la visione del mondo cosmocentrica, che negli antichi è rappresentata da Epicuro, Lucrezio e in alcuni stoici, stabilisce una stretta affinità tra gli uomini e gli animali, entrambi generati da una 32 matrice comune, la terra, sovvertendo il presupposto che il mondo fosse stato generato appositamente per gli uomini, creature privilegiate. Platone ed Aristotele, invece, possono essere generalmente inquadrati nella prospettiva antropocentrica, che sta alla base del futuro atteggiamento di scarsa considerazione degli animali. Nel suo contributo, Gli animali in Platone: metafore e tassonomie, Patrizia Pinotti mette in luce la concezione degli animali di Platone nel Timeo, nel Fedone e nella Repubblica, dove emerge un’utilizzazione simbolica degli animali, al fine di rappresentare i vari destini delle anime e dei corpi lungo la scala dell’essere: nella contrapposione platonica tra uomini ed animali, stabilita dalla scala gerarchica degli esseri soggetti alla reincarnazione, si può riscontrare, da un lato, un disprezzo per gli animali terrestri e marini, in quanto rappresentanti dei regni umani della stoltezza e dell’ignoranza, dall’altro un’ammirazione per gli animali celesti come immagini simboliche degli uomini sapienti. Se in Platone prevale l’immaginario simbolico e mitologico, in Aristotele, come sottolinea Mario Vegetti nel suo intervento, Figure dell’animale in Aristotele, predomina invece l’atteggiamento scientifico che considera l’animale come puro oggetto di indagine. Vegetti mostra come l’ispezione conoscitiva dell’animale da parte di Aristotele determini l’accettazione del sacrificio e della morte dell’animale per scopi scientifici, un’accettazione che ha causato la lunga storia della dissezione e della vivisezione nella biologia e nella medicina. Tra i pensatori antichi che hanno manifestato un differente atteggiamento verso gli animali sono da annoverare Porfirio e Plutarco. Porfirio, come sottolinea Giorgio Camassa nel suo saggio: Frammenti del bestiario pitagorico nella riflessione di Porfirio, condanna la “sanguinaria ferocia” e il “cannibalismo” che caratterizzano le società politiche tradizionali. In una simile direzione si muovono anche le riflessioni di Plutarco sugli animali, menzionate da Giuseppina Santese nel suo contributo, Animali e razionalità in Plutarco. Plutarco, infatti, accetta solo quei comportamenti degli uomini nei confronti degli animali dettati unicamente dalle neccessità primarie della sopravvivenza e della difesa. Nel suo studio, Lo status morale degli animali nonumani, Luisa Santonocito riprende le fila dell’evoluzione del pensiero filosofico sugli animali per mostrare come il recupero di alcuni autori del passato possa fondare l’etica dell’attuale Movimento di Liberazione Animale. Da questo punto di vista, fa notare Santonocito, nella tradizione filosofica si contrappongono Cartesio e Kant: il primo, considerando gli animali come automi incapaci di soffrire, ha favorito ancor più profondamente il distacco tra gli uomini e gli animali; il secondo, invece, ha ritenuto che fosse necessario rifiutare la crudeltà verso gli animali, poiché poteva determinare lo sviluppo negativo della stessa moralità umana. Nel 1800, rileva Santonocito, si sono affermate due correnti filosofiche favorevoli al rispetto degli animali, una ispirata ai principi della bontà e della compassio- TENDENZE E DIBATTITI Scimmia neonata tra due madri finte (foto di M. Rogers) 33 TENDENZE E DIBATTITI ne, l’altra fondata sull’idea di equità e giustizia. Solo quest’ultima, secondo Santonocito, può veramente dar vita a una mentalità differente, che valorizzi l’animale rifiutando tutti i tentativi di esaltare la superiorità della specie umana. In tale ottica assume grande importanza la filosofia di Darwin che edifica un terreno di origine comune per l’uomo e per l’animale, imputando le specifiche diversità all’evoluzione. L’atteggiamento etico che in futuro Santonocito auspica si possa affermare per salvaguardare gli interessi degli animali è quello che deriva molti dei suoi concetti dall’etologia e dalla sociobiologia, rifiutando di definire gli esseri viventi in base alla loro appartenenza a gruppi e specie e valutandoli invece in base alle loro caratteristiche individuali. M.Mi. Dopo che la teoria darwiniana dell’evoluzione della specie ha profondamente modificato la nostra visione del mondo, è impossibile ignorare le profonde somiglianze tra primati umani e nonumani, come risulta appunto dal volume curato da Paola Cavalieri e Peter Singer, Il progetto grande scimmia, eguaglianza oltre i confini della specie umana. Nodo centrale di questo volume collettaneo, che raccoglie trenta saggi di filosofi e scienziati, tra cui spiccano noti eticisti, come James Rachels e Steve Sapontzis, e ricercatori di fama mondiale, come Richard Dawkins e Jared Diamond, è la Dichiarazione sui grandi antropoidi. In essa gli autori dei contributi e, naturalmente, i curatori del volume, chiedono che la comunità degli eguali - ossia la comunità morale all’interno della quale noi accettiamo che certi principi o diritti fondamentali governino le nostre relazioni reciproche e siano tutelabili giuridicamente - «venga estesa fino a includere tutti i grandi antropoidi: esseri umani, scimpanzè, gorilla e oranghi». L’interesse per lo status morale degli animali nonumani va compreso all’interno di un preciso contesto, quello dell’etica pratica, ovvero dell’applicazione dell’etica a problemi concreti, che ha costituito negli Stati Uniti una risposta al lungo periodo di prevalenza della meta-etica. Grazieai cambiamenti socio-culturali degli anni Sessanta e Settanta e allo straordinario sviluppo delle discipline tecnico-scientifiche, le discussioni su forme di discriminazione, come il razzismo e il sessismo da una parte, e il dibattito sullo status morale di entità come gli embrioni e i feti dall’altra, hanno portato ad un riesame di alcune idee cardine della morale corrente. Conseguenza non ultima di tale riesame è stata la tendenza a distinguere, all’interno della nozione di “essere umano”, un senso descrittivo (di matrice biologica) e un senso valutativo (di matrice filosofica) e a impiegare solo per quest’ultimo il concetto di persona. La recente formulazione di una nozione di persona neutrale rispetto alla specie modifica la prospettiva: dal fatto che le grandi scimmie non-umane posseggano determinate caratteristiche può derivare sia un giudizio di valore, sia l’inserimento del loro caso nel contesto precostituito della morale tradizionale. A questo proposito, le ricerche di Jane Goodall hanno dimostrato che gli scimpanzè sono capaci di sofisticata cooperazione e di complessa manipolazione sociale e le indagini linguistiche interspecifiche di Francine Patterson, Lyn Miles o dei Fouts hanno rivelato come gorilla, scimpanzè e oranghi siano autocoscienti - si pensi solo al test dello specchio e alla capacità di ingannare - ed abbiano memorie ed aspettative per il futuro. In definitiva, così emerge da questa raccolta di saggi, non è necessario alcun approccio etico inusuale per introdurre per la prima volta dei non-umani nel club privilegiato dell’eguaglianza; tutto ciò che dobbiamo fare è riconoscere imparzialmente come questi individui possiedano delle caratteristiche empiriche, cui l’etica occidentale ha, fino ad oggi, attribuito rilevanza morale. L.S. Gilbert Simondon: individuazione e tecnica In Francia, il pensiero di Gilbert Simondon, interamente consacrato a cercare una nuova articolazione tra tecnica e filosofia e, più in generale, tra uomo e macchina, si è fatto strada a fatica e, contrariamente a quello di Heidegger, con cui condivide questa tematica, è noto solo nella cerchia degli specialisti. Nel 1992, a tre anni dalla morte, è stato organizzato da Françoise Balibar e Etienne Chatelet un convegno, di cui ora escono gli atti con il titolo: GILBERT SIMONDON. UNE PENSÉE DE L’INDIVIDUATION E DE LA TECHNIQUE (Gilbert Simondon. Un pensiero dell’individuazione e della tecnica, Albin Michel, Parigi 1994). Nato nel 1924, Gilbert Simondon è stato allievo di personalità di spicco della filosofia francese - Guérolt, Merleau-Ponty, Jean Hyppolite e Georges Canguilhem. Fin dalla sua prima opera, Du mode d’existence des objets techniques (Della modalità di esistenza degli oggetti tecnici, 1958), Simondon elabora il progetto filosofico di suscitare una presa di coscienza del senso degli oggetti tecnici. Per rendersi conto dell’originalità e dell’importanza di un tale obiettivo, basta riandare con la mente al clima culturale, violentemente tecnofobo, degli anni ’50. I concetti che dovrebbero permettere di descrivere una civiltà, nonostante tutto, sempre più tecnica fanno difetto. Simondon si impegna a colmare tale lacuna, introducendo la nozione di “individuo tecnico”. Ciò che caratterizza la tecnica moderna, sostiene Simondon, è l’apparizione di individui tecnici sotto forma di macchine. Prima era l’uomo, in quanto “portatore di utensili”, ad essere individuo tecnico; ora, invece, sono le macchine, in quanto loro stesse portatrici di utensili, a godere di tale statuto e l’uomo, che ne è diventato il servo e l’assemblatore, lo perde completamente. Le macchine, dunque, sono esseri dotati di 34 un’esistenza “autonoma”, risultante da un “processo di individuazione” che si tratta di descrivere, riproducendone l’ “ontogenesi”. Nel suo intervento, Bruno Paradis fa notare come per Simondon la tecnica sia qualcosa di più dell’introduzione di un nuovo tipo di essere nel mondo; la tecnica è «creazione di una nuova dimensione in cui si attuano rapporti di causalità reciproca». Nell’oggetto tecnico c’è passaggio dal progetto alla realizzazione, dall’astratto al concreto. In termini simondoniani, si tratta di una “concretizzazione” dell’invenzione umana, vale a dire dell’«umano concretizzato, cristallizzato, incorporato» nell’oggetto tecnico. D’altronde, il riconoscimento dell’umano nella tecnica ha un valore strategico nel percorso del filosofo, che si propone anzitutto di rendere “intelligente ed amica” la presenza delle macchine nel nostro mondo. Se «la cultura si è costituita in sistema di difesa contro le tecniche», osserva Simondon, tale difesa «si presenta come una difesa dell’uomo, nel presupposto che gli oggetti tecnici non contengano realtà umane». Al contrario, «la macchina, opera di organizzazione e di informazione, è, come la vita e con la vita, ciò che si oppone al disordine, all’appiattimento di ogni cosa tendente a privare l’universo del potere di cambiamento». Di fronte a questo ottimismo radicale è lecito chiedersi, come fa Jean-Yves Chateau, se l’opera di Simondon permetta di conoscere e pensare rigorosamente e adeguatamente la tecnica. Di fatto, sottolinea Chateau, ponendo come autonomo il processo di sviluppo della tecnica, Simondon ha reso problematica la valutazione del rapporto che l’uomo intrattiene con essa, mentre il suo ottimismo ontologico circa la modalità di esistenza degli oggetti tecnici «non comporta necessariamente un particolare ottimismo riguardo agli effetti umani e sociali» della tecnica stessa. Tuttavia, questo modo, in fondo né ottimista, né pessimista, di descrivere la tecnica sarebbe «il marchio di un pensiero autenticamente filosofico». Come Heidegger, anche Simondon mette in evidenza l’ambiguità della tecnica moderna; ma, mentre per il primo solo una radicalizzazione del pericolodellatecnicapermettedi intravedere l’eventualità della salvezza, per il secondo il programma ottimista, assunto in partenza, si rivela sempre più difficile da realizzare, facendo apparire la tecnica sempre più ambigua. Secondo François Laruelle, invece, se si vuole fondare un’autentica “scienza della tecnica”, occorre rifiutare l’autorità della filosofia sulla tecnica in favore di una conoscenza rigorosa, non interpretativa, della tecnica, che la lasci essere quel che è, senza la pretesa di appropriarsene. Non è dello stesso parere Gilbert Hottois, cheritieneinvecechela filosofia giochi unruolo chiave nell’elaborazione di una “cultura tecnica”. In tale prospettiva, quella di Simondon si presenta come una concezione del sapere di tipo classico: «Solo la filosofia è adatta a riunificare pratico e teorico, tecnica e religione, scienza ed etica». In questo, Simondon non cessa di mostrare come un rapporto libero con la tecnica sia un rapporto che riconosce la dissimmetria tra questa e l’uomo, nonché la loro complementarità in un divenire aperto. D.F. PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Il panteismo di Bruno e Cusano Sul panteismo e il naturalismo del ‘400 e ‘500 gettano luce due recenti pubblicazione: una raccolta di scritti di Nicolò Cusano, dal titolo: IL DIO NASCOSTO (trad. it. di L. Mannarini, Laterza, Bari-Roma 1995), in cui i segni di Dio vengono ricercati nella natura, e il saggio interpretativo di Eugen Drewermann, GIORDANO BRUNO (trad. it. di E. Ganni, Rizzoli, Milano 1995), che ci offre un’autobiografia immaginaria del filosofo nolano. Il Dio nascosto di Nicolò Cusano consiste nella raccolta di tre scritti e di quattro prediche, volti a dimostrare, da una parte, la presenza di Dio nel creato e, dall’altra, l’impossibilità da parte dell’uomo di coglierlo con la normale indagine razionale. Secondo la tradizione neoplatonica, infatti, l’universo nasce dall’emanazione dell’intelletto che procede da Dio; per questo, solo attraverso l’intuizione intellettuale è possibile cogliere quel Dio nascosto alla ragione discorsiva, in grado di comprendere, con le proporzioni, solo il finito. Il primo scritto, che da il nome alla raccolta, consiste in un dialogo tra un pagano e un cristiano, che dimostra tutta la difficoltà per l’uomo di cogliere Dio, essenzialmente sfuggente anche al linguaggio, che non è in grado di coglierlo. Il termine Theos, infatti, deriva dal greco theorao, che significa “vedo”, e rappresenta quindi la più alta dignità della percezione umana, la vista, che tuttavia sfugge alla propria determinazione: la vista, infatti, vede, ma non può essere, a sua volta, vista. Il secondo scritto, dal titolo: La ricerca di Dio, rappresenta una guida alla “dotta ignoranza”, in quanto spinge l’uomo ad andare oltre le comparazioni, dominio della ragione finita, e a volgersi all’osservazione della natura, luogo inesauribile in cui Dio si esplica. La migliore manifestazione di Dio, in ogni caso, è quella descritta nel terzo saggio, La filiazione di Dio, nel quale Cusano, attraverso la figura dell’incarnazione, mostra la via d’accesso alla com- prensione di Dio. La discesa del Verbo, infatti, accanto alla teofania intellettuale, costituisce quell’elemento di raccordo tra finito e infinito che riesce a colmare, anche se in parte, l’incommensurabilità tra uomo e Dio. Le quattro prediche, dense di riferimenti alla mistica di Ekahart, che completano questa raccolta di scritti, si rifanno ai concetti di emanazione e di processione, che rendono possibile la genesi dell’universo. Cusano ricorda come Dio si concentri nell’universo attraverso la sua visibilità e temporalità, che permettono la presenza del divino in ogni parte del creato. Il messaggio di Cusano, al di là dello specifico neoplatonico, costituisce, senza dubbio, sia un rifiuto al dogma e alla ritualità della scolastica, sia un richiamo alla fides e ai valori di interiorità e di pace tra i popoli, accomunati tutti dalla condivisione del Dio nascosto. La fede universale, che va al di là delle fazioni religiose, e la sicurezza della presenza di Dio in ogni singolo fenomeno del creato costituiscono il fondamento anche della filosofia di Giordano Bruno, che Eugen Drewermann ci presenta nella forma di un’autobiografia possibile. Que st’opera, s critta da Drewermann con grande partecipazione emotiva, rappresenta infatti l’autobiografia immaginaria di Bruno, poche settimane prima dell’esecuzione. Drewermann compie qui un’analisi introspettiva di grande riuscita, impostata sulla base della vita trascorsa, dei vissuti e del credo filosofico di Bruno, dopo essere stato condannato a morte. Le pagine scorrono, in questo modo, attraverso il continuo scavo interiore del filosofo che dialoga con se stesso in una serie di flash back che ripercorrono le tappe fondamentali della sua esistenza. Leggendo il volume è difficile non pensare allo stretto collegamento tra la vicenda di Bruno, trascorsa nello scontro continuo con l’intolleranza della Santa Inquisizione, e quella di Drewermann stesso, nei suoi contrasti con le autorità vaticane. Nell’interpretazione di Drewermann, il “prigioniero-filosofo”, come Boezio nella medesima situazione secoli prima, trova conforto nell’oggettiva35 zione dei propri pensieri, che costituiscono, da una parte, una sorta di testamento spirituale e, dall’altra, il concentrato della sua speculazione filosofica. Nel comporre questo diario a ritroso, Bruno attribuisce, per mano di Drewermann, al suo primo e unico innamoramento la matrice del suo sistema filosofico, fondato sul panteismo e radicalmente opposto alle teorie ecclesiastiche del tempo. Nei ricordi di Bruno, infatti, l’incontro con “Diana” rappresenta la conoscenza dell’amore, in grado di condure il filosofo alla teorizzazione dell’infinità dell’universo, luogo di appartenenza di un’emozione così grande. Tuttavia, se all’inizio del diario Bruno descrive Diana come l’elemento di scatenamento dell’eroico furore, al termine di questo riconosce di avere sempre temuto, vilmente, un contatto reale con lei e di meritare, paradossalmente per questo, una punizione. In ogni caso, la visione della fanciulla procura a Bruno quello scatenamento delle passioni in grado di generare le maggiori critiche al cristianesimo, colpevole, in primo luogo, di apologizzare il dolore e di porre nella sofferenza di Cristo l’unico elemento di collegamento tra Dio e l’uomo e, in secondo luogo, di dimenticare l’amore tra uomo e donna, autentico elemento di coesione e fondamento della Santissima Trinità. Bruno non risparmia critiche neanche al “maestro” Cusano, apprezzato per la teorizzazione del panteismo e dell’uomo come microcosmo, ma, allo stesso tempo, contestato per il suo stretto legame con la Chiesa cattolica. Secondo Bruno, infatti, la presenza di Dio nella natura deve essere colta attraverso la passione e la vitalità, mentre per Cusano le Sacre Scritture costituivano l’unica via per raggiungerla. Inoltre, la filosofia di Cusano presupponeva la positività in toto del creato, mentre per Bruno la presenza del dolore costituisce quel fondo oscuro in Dio ancora del tutto incomprensibile all’uomo. A.S. PROSPETTIVE DI RICERCA ˇ La verità vivente di Sestòv Nell’opera CONTRA HUSSERL. TRE SAGGI FILOSOFICI (a cura di F. Dèchet, Guerini ˇ e Associati, Milano 1994) Lev Sestòv delinea il suo distacco dalla filosofia di Husserl, opponendo alla scienza rigorosa delle evidenze una concezione irrazionalista che ricerca una verità “vivente” oltre il reale. Contemporaneamente all’edizione italiana, in Germania vengono ristampate altre ˇ due opere di Sestòv: ATHEN UND JERU SALEM. VERSUCH EINER RELIGIÖSEN PHILOSOPHIE (Atene e Gerusalemme. Tentativo di una filosofia religiosa, trad. dal russo di H. Ruoff, Matthes & Seitz, Monaco di Baviera 1994) e TOLSTOI UND NIETZSCHE. DIE IDEE DES GUTEN IN IHREN LEHREN (La dottrina del bene in Tolstoi e Nietzsche, trad. dal russo di N. Strasser, Matthes & Seitz, Monaco di Baviera 1994). Le ragioni della vivace ˇ polemica intrapresa da Sestòv nei confronti di Husserl risultano più chiare alla luce della filosofia sèstòviana dell’esistenza, di cui le due opere qui segnalate ci offrono una significativa testimonianza. Pur esprimendo la sua ammirazione per Husserl, per la sua capacità di sostenere fino in fondo la sua posizione teorica, distinguendo la filosofia-scienza dalla sagˇ gezza, in Contra Husserl Lev Sestòv critica la filosofia husserliana per la sua «illimitata fiducia nella ragione», che impone di ricercare la verità nell’evidenza scientifiˇ ca. Nella prospettiva delineata da Sestòv, la filosofia di Husserl mostra il suo legame con il razionalismo nella fondazione scientifica delle essenze ideali, nel rifiuto dello psicologismo e del relativismo. Contrapponendo il punto di vista gnoseologico a quello psicologico, Husserl non si accorge, ˇ secondo Sestòv, del pericolo insito in una filosofia che assolutizzi la verità, rimanendo rinchiusa nell’orizzonte dell’immanente. Il mondo husserliano delle evidenze, ˇ che domina il mondo reale, è per Sestòv un mondo morto e immobile, privo di quella vitalità che scaturisce dalla verità suprema “vivente”. L’obiettivo di Husserl, di fondare in modo rigoroso la scienza delle evidenze, lo rende cieco di fronte a quel “mistero del reale” che non può essere né dissolto, né risolto attraverso la ragione e sfugge ad ogni spiegazione razionale. ˇ Il reale, afferma Sestòv, è caratterizzato da elementi imprevisti e da continui mutamenti; questa imprevedibilità, questa inafferrabilità e questa mutabilità del reale rivelano il fascino e l’incanto della vita. In tale prospettiva, la filosofia deve ricercare la verità non nella ragione, ma al di là di essa: una verità “vivente”, una verità che confina con l’assurdo, che si intreccia con le sofferenze e gli orrori della vita. Nella ˇ teoria di Sestòv riveste un’importanza preminente la filosofia di Plotino, che mostra ˇ Edmund Husserl Didascalia (sopra) e Lev Sestòv 36 PROSPETTIVE DI RICERCA di non arretrare di fronte agli angosciosi ˇ misteri dell’essere. Secondo Sestòv, Plotino ha avuto il coraggio di rovesciare la ragione che gli altri filosofi consideravano “invincibile”, per immergersi nelle zone “periferiche” del reale, per inebriarsi di una verità che appare all’improvviso, ribelle di fronte ad ogni costrizione; una verità che come una luce repentina si accende nell’anima. Per Plotino ciò che viene creato dall’Uno si trova al di là della ragione, quella ragione che ha osato rinnegare Dio, distogliendolo dalla vera realtà creata. Nietzsche, da un lato, che afferma un “al di là del bene e del male”, e Dostoevskij, dall’altro, che esprime nella sua opera il suo distacco dai principi morali del bene e ˇ del male, rappresentano per Sestov coloro che hanno rifiutato l’esistenza di una verità “morta”, che possa governare gli esseri viventi. I razionalisti, invece, hanno seguito il cammino della ragione, non osando guardare in faccia l’orrore, il dolore dell’esistenza e la follia della morte. Viene ˇ così rivalutata da Sestòv la filosofia esistenzialistica, in quanto riesce a superare tutto ciò che pare “insuperabile” per la ragione. In tal senso Kierkegaard, ricercando la verità non nella ragione, ma “nell’assurdo”, nel caos imprevedibile del reale, si rivolge con l’animo pieno di “timore” e di “tremore” alla rivelazione, dirigendosi verso quel luogo dove per la ragione inizia lo spazio infinito del nulla eterno. ˇ Per Sèstòv esistono due tipi di follie: la follia della ragione, che esaltando la scienza si illude di poter includere tutto il reale nella sua gabbia razionale, e la follia dell’assurdo, che oppone alla ragione l’irrompere improvviso del reale. L’alternativa è o “deificare la pietra”, o rifiutare “la verità che costringe”; solo questa seconda ˇ alternativa è tuttavia valida per Sestòv, in quanto consente di attingere quella verità vivente che resiste al giogo concettuale della ragione. M.Mi. La sincera, profonda e reciproca ammiˇ razione che Husserl e Sestòv hanno più volte manifestato, non ha mai risentito dell’enorme distanza delle loro concezioni filosofiche. In effetti i due percorsi intellettuali non sembrano avere altri punti in comune eccetto la medesima coerenza e determinazione e il carattere in qualche modo alternativo che ebbero rispetto agli orientamenti di pensiero del loro tempo. Se infatti l’aspirazione husserliana di liberare la filosofia dal soggettivismo e dal relativismo si concretizzava, durante il primo quindicennio del XX secolo, nel progetto di una “filosofia come scienza rigorosa”, cioè in una rivendicazione del sapere assoluto, neˇ gli stessi anni Sestòv stava vivendo la sua stagione di rivolta proprio contro quel tipo di “ragione”, di cui Husserl proponeva il recupero, e che anzi sarà il bersaglio principale di una lotta che lo vedrà impegnato per tutta la vita. Nato a Kiev nel 1866 e morto a Parigi nel ˇ 1938, dopo lunghi anni di esilio, Sestòv interpretò con insolita radicalità e convinzione la crisi che caratterizzava il pensiero dalla seconda metà dell’Ottocento come l’ultimo stadio di una malattia che affliggeva la filosofia fin dai primordi, da quando cioè una determinata concezione del sapere, la filosofiascienza della tradizione speculativa, si era imposta come l’unica vera, indubitabile e necessaria. Tuttavia, secondo ˇ Sestòv, questa impostazione di pensiero non era stata in grado, a causa della sua astrattezza, di comprendere l’esistenza dell’uomo nella sua concretezza, costellata di incertezze, dubbi e continui ripensamenti. Di conseguenza, mentre Husserl si accingeva a costruire «il muro di cristallo delle evidenze», con una forza e una convinzione tale da apparire agli occhi del pensatore russo come il più grande filosofo della sua epoca, ˇ Sestòv dirigeva il suo interesse verso la filosofia esistenziale, e cioè verso quella corrente di pensiero che, confinata ai margini del pensiero ufficiale, aveva sempre fatto propria la voce dei singoli, degli uomini liberi e consapevoli in quanto individui. ˇ Sestòv incontra così, riconoscendovisi, il pensiero irrazionale e adogmatico di autori come Lutero, Pascal, Nietzsche, Tolstoi, Dostoevskij e Kierkegaard (quest’ultimo solo a partire dagli anni Trenta e proprio su suggerimento di Husserl), nei cui scritti agisce un tipo di pensiero e di linguaggio, il cui significato, come ˇ scrive Sestòv in un’opera del 1905, dal titolo emblematico, Apoteosi della mancanza di fondamento, è quello di «spezzare la catena logica delle deduzioni per trasportare l’uomo nel mare aperto della fantasia, dove tutto è insieme possibile e impossibile». Ed è appunto in questo ambito che il pensiero può accogliere la ˇ verità, che per Sestòv è più percezione soggettiva che correttezza formale, più rivelazione che conoscenza o speculazione, più fede che sapere. La verità non è mai un dogma, quanto piuttosto un evento che ha valore soltanto per l’individuo. La ragione e la scienza, che non hanno interesse per la vita quotidiana, per la gioia e il dolore dell’individuo, non sono in grado di fondare né di spiegare la condizione umana, anzi finiscono per privare l’uomo delle sue potenzialità creative, regolate dalla convinzione che tutto accada per necessità. In opposizione a questa metafisica della ˇ necessità, Sestòv riconosce nella storia anche una metafisica della libertà. Il millenario conflitto tra le due tendenze è il tema di una raccolta di saggi, composti dal filosofo nella prima metà degli anni Trenta e confluiti in Athen und Jerusalem, apparso in francese e tedesco nel 37 1938 e in russo solo nel 1951. “Atene” rappresenta qui la filosofia speculativa, nata in Grecia e divenuta dominante in ˇ Occidente, che Sestòv, con puntuali riferimenti critici ad Aristotele, Plotino, Agostino, Spinoza, Cartesio, Leibniz, Kant, Hegel e Marx, considera e respinge come una sorta di tirannia intellettuale, un sapere totalitario che ha strappato l’uomo a Dio, l’«al di là del comprensibile e dell’esprimibile, cioè al di là della comunicazione consentita dal linguaggio e dalla parola». Il contatto con Dio è possibile ˇ soltanto nel segno di ciò che Sestòv chiama “Gerusalemme”, ossia nello spirito di quei “filosofi privati”, contrapposti ai “pensatori pubblici”, che furono anzitutto i profeti altotestamentari. Per Abramo, Giobbe e Geremia non è il sapere la meta suprema dell’uomo; la verità non consiste in una somma di conoscenze, ma in un mistero che si mostra come tale. In queˇ st’orizzonte Sestòv considera perfino la possibilità che «in qualche luogo e in qualche tempo la piena libertà dell’uomo possa soppiantare il sapere». ˇ Tale svolta, afferma Sestòv, segnerà sia la fine della ragione che del linguaggio proprio della ragione, quello cioè finalizzato alla comprensione e alla comprensibilità. Già nel suo primo scritto filosofico, il saggio su Tolstoi e Nietzsche del 1900, ˇ Sestòv aveva chiarito del resto che «la somma dei concetti astratti presenti nella nostra lingua non è sufficiente per descrivere la vita umana». Da questo ˇ punto di vista, per Sestòv fu esemplare il distacco attuato da Nietzsche nei confronti del discorso filosofico scolastico, il suo coraggio di «parlare una propria lingua» e di privatizzare il pensiero dominato dalla «filosofia da cattedra». Non a caso, come si è detto, la successiva e più aspra critica alla filosofia accademiˇ ca trovò in Sestòv uno sbocco nel suo avvicinarsi alla letteratura: le opere di Shakespeare e Goethe, Puschkin e Dostoevskij gli erano infatti più consone rispetto all’erudizione dei cosiddetti “maestri del pensiero”. Se lo scopo del linguaggio è di avvicinarci a Dio, allora è il poeta e non il filosofo a sapersi esprimere nel modo più adatto. In luogo di spiegare l’essere nel mondo dell’uomo attraverso criteri generali, il poeta (e il profeta) illustra « - in un modo spesso contraddittorio e discontinuo - gli aspetti più enigmatici e misteriosi dell’esistenza umana», fino a mettere in dubbio il linguaggio medesimo e la sua capacità di esprimere «la cosa più importante di tutte». Bisognerebbe forse, come suggeriva Anton Tschechow, parlare sempre più «sottovoce», e alla fine tacere del tutto, per rivolgersi all’onnipotente. Laddove il linguaggio, invece di esprimere la Verità della conoscenza, dà voce alle piccole verità della vita, esso acquista, agli occhi di ˇ Sestòv, un valore più alto, per l’uomo, dell’astratto monologo della filosofia. A.Mo. PROSPETTIVE DI RICERCA Platone e Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher Schleiermacher, Platone e l’ermeneutica Di Friedrich D. E. Schleiermacher appare in edizione italiana l’INTRODUZIONE A PLATONE (trad. it. di G. Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1994). Scritta come preambolo alla traduzione dei dialoghi di Platone, l’opera è considerata da sempre un classico della teoria ermeneutica di Shleiermacher. Sviluppando un’idea di Schlegel, Introduzione a Platone offre un’esposizione chiara e dettagliata delle teorie ermeneutiche di Friedrich D. E. Schleiermacher, applicate alla filosofia di Platone. L’elemento che fonda l’intero volume, chiuso da un saggio di Wilhelm Dilthey sul problema dell’interpretazione storiografica in Schleiermacher, è la considerazione dell’ermeneutica come metodo interpretativo valido non solo per i testi sacri, dei quale Schleiermacher era attento studioso, ma anche per quelli profani. Tra questi figurano i dialoghi di Platone, che costituiscono un esempio tipico dell’identità tra metodo e sistema nell’ermeneutica schleiermachiana. Il proposito di Schleiermacher è quello di sviluppare un’ermeneutica psicologica, che attraverso il vissuto dell’interprete riesca a superare la distanza temporale e a giungere all’intenzione originaria dell’autore. Il senso dell’interpretazione, in questo modo, nasce dalla ricostruzione del pensiero del- l’autore - impresa, ad esempio, impossibile per Gadamer, che privilegerà nettamente la figura del lettore -, resa possibile dall’unione simpatetica, il momento “divinatorio”, di lettore e autore. Al fine di superare la distanza temporale che separa il mondo dell’autore da quello dell’interprete, la forma letteraria del dialogo appare come l’unica in grado di presentare direttamente il vissuto dell’autore in contatto dialettico con il lettore. Distanziandosi da Schlegel, che vede nel mito, più vicino forse al romanticismo, la forma letteraria prioritaria in Platone, Schleiermacher attribuisce al dialogo la sintesi paradigmatica di quello che egli intende per ermeneutica. Emerge, in questo modo, la subordinazione della cultura orale ed esoterica di Platone a quella scritta ed essoterica che, nel Fedro e nella VII lettera, erano stati oggetto di numerosi problemi. I vantaggi dell’oralità, che, ad esempio, non può essere manipolata e resta necessariamente fedele al “padre”, in Schleiermacher diventano, infatti, evanescenti e lasciano il posto all’apoteosi della cultura scritta e dialogica, che permette, innanzitutto, di cogliere la presenza dell’Erlebnis dell’autore e, in secondo luogo, di afferrare il movimento essenziale della filosofia. La manifestazione del senso, in questo modo, diventa patrimonio del dialogo, che solo attraverso la dialettica concreta si fa portatore del pensiero filosofico. Dall’analisi di Schleiermacher emerge chiaramente l’identità del Platone artista con il 38 Platone filosofo, dove il richiamo alla filosofia dell’identità di Schelling è evidente. Se, infatti, l’intuizione estetica di Schelling collocava l’infinito negli elementi finiti dell’opera d’arte, l’ermeneutica di Schleiermacher riscontra il senso dell’assoluto, ricercato da Platone, nella forma letteraria del dialogo, che si compone di enunciati finiti. L’ermeneutica, allo stesso modo, nel momento in cui supera la distanza temporale e traspone il lettore nel contesto dell’autore, diventa l’organo della filosofia e il mezzo per arrivare all’infinito. L’avvicinamento del lettore all’autore, reso possibile esclusivamente dalla traduzione, annulla e vince l’ostacolo della distanza temporale tra i due dialoganti. Da qui la teoria schleiermacheriana della traduzione, che accompagna e segue quella dell’interpretazione. Secondo Schleiermacher, infatti, una buona traduzione è quella in grado di trasporre il lettore, nel momento della creazione dell’opera d’arte, nella sua lingua originaria. Pur essendo consapevole delle difficoltà intrinseche ad un’operazione di tal genere, Schleiermacher traduce i dialoghi di Platone con l’obiettivo preciso di tornare il più possibile all’origine e all’originale, momento in cui si è verificata l’identità tra finito ed infinito. Su questa falsa riga si procede anche a verificare l’autenticità degli scritti di Platone e a classificarli in ordine cronologico, valutandone, la forma, il contenuto e, soprattutto, la composizione. A.S. PROSPETTIVE DI RICERCA Rousseau, teorico di musica e di botanica Due opere epistolari di Jean-Jacques Rousseau, LETTERE SULLA BOTANICA (Guerini e Associati, Milano 1994), a cura di Enzo Cocco, e LETTERA SULLA MUSICA FRANCESE (Biblioteca di Gabriele Chiusano, Gaeta 1994), a cura di Giancarlo Moretti, rivelano un aspetto dell’opera filosofica di Rousseau, sconosciuto alla maggior parte dei lettori. In questi scritti abbiamo a che fare, da una parte, con un’analisi della musica francese in rapporto a quella italiana, dall’altra è il tema, ancor più particolare per un filosofo, con una concezione della botanica come disciplina rigenerante di animi induriti e corrotti. sioni quasi mistiche. La musica come qualcosa di etereo e di sublime, che eleva gli spiriti umani e innalza le coscienze, è il carattere che Rousseau attribuisce alla musica italiana, non riconoscendo le stesse qualità né a quella francese, né tantomeno alle altre. Il talento musicale italiano è specchio di un valore sociale profondo, che Rousseau riporta in questo suo scritto in modo minuzioso e dettagliato, offrendoci un’analisi che abbraccia, in un orizzonte filosofico oltre che linguistico-musicale, considerazioni in cui i valori estetici e artistici si fondono con quelli morali e filosofici. D.M. La filosofia mosaica Nella botanica Jean-Jacques Rosseau vedeva una soluzione ai propri tormenti interiori, attribuendo alla natura una funzione benefica sugli animi umani, corrotti da una società materialista. Attraverso il contatto con la natura era possibile, per Rousseau, il recupero della propria dimensione più intima e autentica, e la botanica, l’espressione più nobile di ciò che è stato creato indipendentemente dall’uomo, permetteva alle coscienze individuali di riscattarsi da uno stato di indurimento interiore. Simili riflessioni sono quelle che emergono nelle lettere indirizzate da Rousseau alla duchessa di Porland e a Pierre Clappier, dottore in medicina, con il quale egli si intrattenne a lungo nelle sue riflessioni. Le riflessioni rousseauiane rientrano in una concezione estetico-mistica, che presupponeva il saper vedere e ascoltare la natura, il contemplarla, penetrando nei suoi meandri nascosti, in un’armonia totale con essa. Un senso di comunione con tutti gli uomini e con il mondo naturale intero è ciò che la botanica rendeva possibile, implicando un progressivo allontanamento dal “mondo macchina” della società dell’epoca. Laddove fisici e filosofi, succubi di un sistema sociale degenerato, presumono di misurare, di calcolare ogni attimo dell’esistenza, la natura rappresenta, per Rousseau, un divenire libero e incessante, inarrestabile nel suo fluire armonico, e l’uomo, nel contemplarla, si abbandona alla pace interiore. La trasparenza con cui si presenta anche il più piccolo frammento di natura, continua Rousseau, è sorprendente di fronte all’oscurità con cui gli uomini si rendono vittime dei loro stessi compromessi, dei loro stessi egoismi: la natura si offre come dono alla luce del sole; l’uomo si nasconde alla natura per tramare meglio contro il mondo, e contro se stesso. Nella Lettera sulla musica francese Rousseau ci presenta, invece, una sorta di trattato filosofico sulla qualità delle lingue e delle musiche. Qui, l’armonia del suono linguistico e musicale si viene a collocare in una prospettiva che sconfina in dimen- L’opera di Filone, TUTTI I TRATTATI DEL (Rusconi, Milano 1994), di cui appare un’edizione curata da Roberto Radice, consente di accedere all’essenza della filosofia mosaica di questo autore, frutto di una sintesi creativa tra la cultura del mondo greco e la cultura giudaica e che pur nella sua complessità ed eterogeneità concettuale si rivela ispirata ad una unitaria cosmologia religiosa. COMMENTARIO ALLEGORICO ALLA BIBBIA Attraverso la lettura di quest’opera di Filone è possibile ricostruire la sua filosofia mosaica, sintesi di cultura greca e giudaica, cogliendo il significato essenziale del suo messaggio religioso. Nella prospettiva filoniana predomina la dimensione della rivelazione, come viene ricavata dalla Bibbia, rispetto alla quale la filosofia viene a trovarsi in una posizione subordinata. Così Filone inaugura quella concezione religiosa che considera la filosofia un’ancella della religione. La complessità dei fattori diversi che formano il mosaico della filosofia di Filone determina una struttura architettonica estremamente eterogenea e composita che tuttavia è basata sull’ispirazione unitaria religiosa di fondo. Tale filosofia si serve dell’allegoresi, traducendo le immagini e le figure storiche desunte dalla Bibbia in concetti e in strutture logiche. Il discorso filoniano si muove su vari livelli, da quello cosmologico a quello antropologico, da quello psicologico a quello metafisico, da quello morale a quello teologico, tutti fondati, però, su una peculiare concezione cosmologica, in cui si può ravvisare l’influsso della filosofia di Platone. Filone infatti riprende la teoria di Platone, secondo la quale il cosmo è una copia imperfetta di un mondo ideale perfetto, e la inserisce all’interno di una concezione mosaica della religione, nella quale campeggia la figura divina. Questo tentativo di integrazione si rivela nella teoria filoniana della creazione. Infatti, per salvaguardare il principio greco secondo il quale dal nulla deriva solo 39 il nulla e al contempo per difendere la tesi religiosa della creazione divina del mondo dal nulla, Filone costruisce una teoria della creazione divisa in due momenti. Mentre il primo momento è quello relativo alla creazione della materia informe da parte di Dio, il secondo, che rappresenta il culmine dell’attività creatrice, consiste nel conferire un ordine a questa materia. Nella stessa prospettiva Filone elabora una concezione metafisica molto articolata, costituita da tutta una serie di figure intermediarie tra Dio e gli uomini, tra Dio e il cosmo, che permettano di sostenere nello stesso tempo l’assoluta separazione di Dio dal creato e il suo intervento benefico e provvidenziale nel mondo. La descrizione dell’essenza di queste figure intermediarie mostra l’impasto compiuto da Filone tra la cultura greca e quella giudaica. Concetti greci come logos, eidos, pneuma, vengono ripresi da Filone e rimescolati in maniera innovativa attraverso il richiamo a figure bibliche come quelle degli angeli e delle potenze. In questa sintesi grandiosa si può riscontrare il tentativo di superamento del cosmocentrismo di matrice greca attraverso il privilegiamento dell’uomo, inteso come la creatura più vicina alla natura divina tra tutti gli esseri viventi, e il ricorso a concetti sconosciuti al mondo greco, come fede, speranza, grazia. Ciò nonostante, la filosofia di Filone non può considerarsi come reale anticipazione della religione cristiana, in quanto il pur presente avvicinamento ad essa non sfocia nella compiuta filantropia cristiana dell’amore indistinto di Dio per tutti gli uomini. La filosofia mosaica di Filone può essere concepita come un itinerario in Dio scandito da tre tappe: l’abbandono della contemplazione del cosmo, la conoscenza di se stessi e infine l’unione estatica e mistica con Dio. In tale prospettiva la virtù dell’uomo consiste nel riconoscere la propria nullità, la propria impotenza e nell’offrire a Dio tutto ciò che ha ricevuto. La virtù più alta per Filone è proprio quella della fede che conduce alla perfezione, alla santità e al distacco totale dalla materia per elevarsi allo spirito e ritrovarsi nell’essenza divina. Il Dio di Filone è un Dio uno e unico, al di là delle sue molteplici manifestazioni; è un Dio totalmente spirituale, in quanto trascende completamente le cose sensibili ed è privo di passioni di natura terrena nella sua totale distanza dalla realtà umana. Infatti, i concetti umani risultano inadeguati per definire l’essenza divina, che è “innominabile” e che può infondersi nell’anima umana in un estatico e mistico silenzio. Da questo punto di vista, se per Filone l’uomo ha la possibilità di condurre una triplice vita grazie alle tre componenti che lo costituiscono (corpo, intelletto, spirito), solo la sua dimensione spirituale e trascendente, che lo diversifica da tutti gli altri esseri viventi, lo nobilita in quanto consente di volgere la sua anima verso la sua più autentica dimensione: Dio. M.Mi. NOTIZIARIO In occasione dell’anniversario della morte di THOMAS NIPPERDEY, lo storico tedesco di formazione hegeliana scomparso il 14 giugno del 1992, è stato pubblicato un testo commemorativo, curato da Wolfgang Hartwig e Harm-Hinrich Brands, dal titolo: Deutschlands Weg in die Moderne: Politik, Gesellschaft und Kultur im XIX Jahrhundert (Il cammino tedesco verso la modernità. Politica, società e cultura nel XIX secolo”, C. H. Beck, Monaco di Baviera 1993). Tema centrale della riflessione storica e filosofica di Nipperdey è il rapporto dialettico tra tradizione e modernità, che offre l’occasione per una constatazione critica di quella “storiografia impaziente”, che sacrifica talvolta il passato per non dilazionare le conquiste del progresso. Dal canto suo, Nipperdey invita gli storici alla “pazienza”, perchè ritiene che il progresso sia inevitabile: l’economia di mercato e la democrazia rappresentano il destino dell’umanità, l’evento fondamentale della storia. Tra i saggi raccolti nel volume, particolarmente significativo si rivela, in tal senso, quello di un allievo di Nipperdey, Stefan Zweig, che sottolinea l’originalità metodologica del maestro in contrapposizione alla scelta classica della narrazione cronologica degli argomenti; Nipperdey adotta infatti una forma di racconto del tutto particolare, articolata secondo il contrasto tipizzato di passato-presente, conservazione-modernità , allo scopo di focalizzare la struttura dialettica della storia e la sua teleologia immanente. Il rapporto tra la filosofia hegeliana e lo storicismo di Nipperdey è comune oggetto di trattazione degli altri contributi presenti nel volume (tra i quali spicca un saggio di Ernst Nolte), che tematizzano l’interdipendenza di modernità e tradizione nel mondo tedesco e riconoscono nel “nazionalliberalismo idealistico” di Nipperdey un considerevole tentativo di mediazione tra i valori del passato e le esigenze egualitarie del presente. In omaggio alla figura di Nipperdey è stato inoltre pubblicato il catalogo delle sue opere: Thomas Nipperdey. Bibliographie seiner Veröffentlichungen, 1953-1992 (Thomas Nipperdey. Bibliografia delle sue pubblicazioni, 1953-1992, a cura di H. Holzbauer, C. B. Beck, Monaco di Baviera 1993), con una introduzione di Lothar Gall. L.R. Un motivo per cui il pensiero sociologico e filosofico della SCUOLA DI FRANCOFORTE è tuttora degno di attenzione è l’effetto determinante che esercitò sulla rivoluzione culturale del ’68 al di là dei confini tedeschi. Per salvare dall’oblio e dal rischio di una superficiale banalizzazione i contributi teorici dei principali rappresentanti di questa tradi- NOTIZIARIO zione di pensiero, Marcuse, Adorno e Horkheimer, Christoph Türcke e Gerhard Bolz hanno pubblicato un’opera introduttiva. Einführung in die kritische Theorie (Introduzione alla teoria critica, Wiss. Buchgess., Darmstatt 1994), che intende non solo rendere noti ad un vasto pubblico storia e pensiero dei francofortesi, ma anche dimostrare l’attualità delle loro riflessioni, che talora vengono invece considerate anacronostiche. Il testo si apre con un’introduzione storica sulla fondazione dell’Istituto di Ricerche Sociali di Francoforte, resa possibile dalla generosa donazione di un commerciante tedesco di origine ebraica, e s’inoltra quindi nell’analisi delle fonti teorico-speculative dei suoi rappresentanti più significativi. Massima attenzione viene prestata ai legami esistenti tra i francofortesi e il socialismo marxiano, costante fonte di ispirazione filosofico-sociale, ma anche oggetto di critica serrata per i suoi presupposti deterministici. I pensatori della Scuola di Francoforte rifiutano la cieca fiducia di Marx nella soluzione automatica della storia: la dittatura del proletariato è bel lungi dal realizzarsi e si configura sempre più come un’utopia. Seguendo il teorico del socialismo scientifico, i teorici francofortesi si mostrano comunque estremamente polemici nei confronti della cultura borghese, che ha condotto l’umanità alla perdita della sua dignità. L.R. tema dell’identità ebraica. Pubblicato postumo nel 1919, La religione della ragione si può considerare una summa dell’esperienza intellettuale di Cohen, che propone una interpretazione dei principi dell’Ebraismo nel quadro del sistema neokantiano. Religione «razionale» per eccellenza, l’Ebraismo afferma la sua originalità non tanto attraverso l’invenzione del monoteismo (che condivide con altre dottrine), quanto nel fatto di conferire un significato essenzialmente etico alla credenza nel Dio Unico. Esso introduce per la prima volta nella storia il concetto di “genere umano” e sottolinea l’universalità della Legge attraverso il comandamento - religioso e morale insieme - del rispetto dell’Altro. L’etica religiosa ebraica, osserva Hermann Cohen, si risolve così nell’imperativo kantiano di “non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te” e inaugura una morale sociale tendenzialmente ugualitaria. Si può ricordare a questo proposito la polemica dei marxisti ortodossi contro il “socialismo neokantiano” di Cohen; resta che molti punti del programma politico e sociale di questo pensatore che ha legato il suo nome alla Scuola di Marburgo, come ad esempio il tema degli obblighi dello stato verso le minoranze e gi stranieri, sono ancora di grande attualità. La considerazione della natura etica dell’Ebraismo porta Cohen a rifiutare il Sionismo, sostenendo la necessità storica dell’esilio del popolo di Israele che può affermare il suo destino messianico unicamente disperdendosi tra le nazioni e mantenendosi saldo alle proprie radici religiose e morali. A differenza di Cohen, il suo allievo Julius Guttmann ritiene che la storia del pensiero ebraico non possa integrarsi nelle coordinate della metafisica, dal momento che l’idea del Dio onnipotente e onniscente non dà luogo ad una interpretazione teoretica del mondo. A partire da ciò, Guttmann espone la dialettica tra religione rivelata, ambito del metaforico e dell’immaginario, e filosofia, ambito della conoscenza, distinguendo rigorosamente la peculiarità e l’autonomia di ciascuno di essi. Secondo Guttmann, la linea fondamentale della storia della filosofia ebraica si sviluppa nel segno di una «assimilazione a posteriori di idee straniere In traduzione francese viene riproposta l’opera di JULIUS GUTTMANN, che ha costituito un riferimento fondamentale per tutti gli studiosi del pensiero ebraico: l’Histoire des philosophies juives (Storia delle filosofie ebraiche, Gallimard, Parigi 1994). Di un rinnovato interesse editoriale in Francia per il pensiero ebraico sono ulteriore testimonianza la traduzione dal tedesco in francese di due opere di HERMANN COHEN, - che di Guttmann è stato maestro: Réligion de la raison tirée des sources du Judaïsme (La religione della ragione dalle fonti dell’Ebraismo, PUF, Parigi 1994) e L’Ethique du Judaïsme (Etica dell’Ebraismo, Edition Cerf, Parigi 1994), una raccolta di articoli e conferenze centrate sul 40 che sono state successivamenmte trasformate e adattate secondo prospettive specificamente ebraiche». Questo è particolarmente evidente nel periodo ellenistico, quando i filosofi ebrei fecero ampiamente ricorso a tesi e ad argomentazioni greche per sostenere le dottrine morali della Bibbia. Nel Medioevo, Maimonide, pensatore di grande originalità, tenta di arrivare ad una sintesi tra l’aristotelismo e la Rivelazione, accordando tuttavia la priorità a quest’ultima. Più difficile, per Guttmann, è distinguere i tratti di una tradizione ebraica nel pensiero di Spinoza, il cui panteismo sembra agli antipodi dell’immagine del Dio d’Israele, sebbene il filosofo olandese sia stato inziato alla filosofia da pensatori ebrei. Il percorso verso una radicale laicizzazione della filosofia ebraica segna una tappa fondamentale all’incrocio con l’Illuminismo; da quel momento diventano sempre più impercettibili i segni di una specifica tradizione ebraica, del tutto assenti nella filosofia di Marx e di Husserl. Occorre attendere il XX secolo, fa notare Guttmann, per assistere, grazie all’opera di Franz Rosenzweig, ad un riavvicinamento tra l’orizzonte speculativo e quello culturale-religioso. Facendo valere la separatezza della storia di Israele da quella degli altri popoli, Rosenzweig situa in una alterità storicamente e culturalmente irriducibile il destino dell’Ebraismo. Ed è appunto in questa prospettiva, rileva Guttmann, che Rosenzweig accoglie nel suo pensiero la critica heideggeriana ai fondamenti della metafisica occidentale. E.N. É stata recentemente ripubblicata la CITTA’ DEL SOLE (Adelphi, Milano 1995) di Tommaso Campanella. La particolarità della nuova edizione consiste in una introduzione e in una postfazione di Alberto Savinio, che accosta all’utopia anche il trattato Questioni sull’ottima repubblica. Il commento di Savinio, che vede contrapposti il concetto umanistico e quello teistico di utopia, muove diverse critiche all’opera di Campanella. Savinio colloca il modello letterario dell’utopia in primo luogo all’interno della cultura greca, della quale Platone risulta essere l’artefice, e, in secondo luogo, nella struttura della cultura umanistica contemporanea a Campanella. In base a questo contesto, l’utopia diventa il luogo privilegiato in grado di realizzare la felicità terrena voluta e creata dall’uomo, inserito nella dimensione temporale del presente. In altre parole, secondo Savinio, l’utopia trova spazio esclusivamente nelle interpretazioni laiche della vita, tipiche della Grecia classica e dell’Umanesimo, che ricercano la felicità soltanto in ciò che è terreno. In realtà, l’utopia di Campanella costituisce una dimensione teocratica e verticistica in cui la proiezione verso Dio costituisce il fine ultimo dell’uomo. Per questo, ricorda Savi- NOTIZIARIO nio, la Città del Sole non costituisce una vera e propria utopia, quanto un modello di “architettura” elevata verso l’alto, in cui il presupposto di laicismo lascia spazio ad una visione teocratica dell’esistenza. In questo modo il concetto classico di utopia sarebbe sostituito da quello religioso di escatologia in grado di realizzare quell’ideale di sapere universale ed infinito tipico, più che dell’età umanistica, ancora dell’età medievale. A.S. Nel 1992, Marc Sautet fece sensazione creando il “Cabinet de consultations de philosophie” (Gabinetto di consultazioni filosofiche) e animando ogni domenica nel Café des Phares, alla Bastiglia, una “chiacchierata filosofica” che faceva uscire questa disciplina dalla sua cornice passatista ed elitaria. In UN CAFE’ POUR SOCRATE (Un caffé per Socrate, Laffont, Parigi 1995) Sautet fa il punto su questa sua pratica anticonformista della filosofia, confuta la tesi della disfatta del pensiero e, fedele al principio “Filosofare è mettere in questione”, risale alle origini della filosofia per spiegare il malessere attuale. Sautet sostiene di aver riesumato la pratica della conversazione filosofica “nella città”, di socratica memoria, per uscire dall’alternativa ugualmente dannosa in cui, a suo avviso, si dibatte attualmente la disciplina: o restare nel proprio isolamento, sicura di sé e delle proprie tesi, ma priva di qualsiasi impatto sul corso degli eventi, o avere raffinatezza e rapidità di reazione rispetto agli eventi, ma senza alcuna profondità di pensiero. L’alternativa, secondo Sautet, è quella, socratica, di far prendere coscienza ai cittadini della realtà che li circonda. Particolare attenzione, nelle proposte di riflessione di Sautet, è dedicata all’espulsione del cittadino dal processo di produzione a causa dell’affermarsi della tecnica, che sostituisce all’uomo l’automatismo della macchina. Sautet propone un parallelo storico tra l’affermarsi massicio del lavoro degli schiavi nell’antica Grecia e l’attuale dominio della macchina. In entrambi i casi, a suo avviso, l’acuirsi dei conflitti sociali si lega al dediderio di condivisione, da parte delle classi più deboli, dei vantaggi che tali circostanze produttive garantiscono: la pratica filosofica, intesa come discussione e messa a disposizione dei saperi da parte di chi li detiene, dovrebbe porsi quale deterrente all’esplosione di una conflittualità nemmeno tanto latente. D.F. LEOPOLD KOHR, profeta della “Kleinräumigkeit” (stretta spaziosità), deceduto lo scorso anno, viene ricordato da Gerhard Lehner con la pubblicazione di una biografia a lui dedicata, Die Biographie des Philosophen und Ökonomen Le- opold Kohr (La biografia del filosofo ed economo Leopold Kohr, Deutsche Verlag, Vienna 1994). Nel corso della sua vita Kohr, titolare del Premio Nobel alternativo nel 1983, si è distinto per l’estrema versatilità e l’ampia gamma dei suoi interessi culturali. Nato a Salisburgo nel 1909 da famiglia di origine ebraica, è stato reporter durante la guerra civile spagnola ed è poi emigrato in America durante gli anni del nazismo, ottenendo vari incarichi presso le università statunitensi. La sua fama è legata all’opera The break of the nations (La rottura delle nazioni, 1958), con la quale si schiera pubblicamente contro le grandi formazioni nazionali e dichiara la propria adesione al programma del movimeno “Small is beautiful” (piccolo è bello), fondato in quegli anni da Fritz Schumacher. In precedenza, Kohr aveva già difeso la causa dell’Austria indipendente quando, negli anni del secondo conflitto mondiale, tale progetto era ben lungi dal risvegliare l’interesse della maggioranza degli emigrati austriaci. Il suo spirito anarchico ne ha fatto uno dei principali attivisti politici a favore delle minoranze culturalmente represse ed un sostenitore delle organizzazioni statali. L.R. Geist der Neuzeit (Lo spirito della modernita, 1935). Grazie all’iniziativa di Lars Clausen, Tönnies ottiene ufficialmente il posto che gli è dovuto, accanto ai maggiori classici della sociologia, Weber e Simmel, e viene finalmente riabilitato di fronte ad un mondo politico e culturale che lo ha ripetutamente rifiutato e sottovalutato, etichettandolo come “Sozialromantiker” (socialromantico) e riconoscendo nel suo pensiero una possibile fonte di destabilizzazione sociale. L.R. E stato pubblicato il primo fascicolo di STUDI EUROPEI (Leo S. Olschki Editore, Firenze 1994), in cui si annuncia la costituzione del Dipartimento di Studi di Storia del Pensiero Europeo “Michele Federico Sciacca”, presso l’Università degli Studi di Genova. L’obiettivo principale di tale organismo è quello di favorire la ricerca come momento propedeutico ad una formazione umanistica, costantemente minacciata dall’eccessivo tecnicismo della cultura dominante. I fascicoli che seguiranno riporteranno notizie riguardanti le attività e i relativi risultati di ricerca del Dipartimento, che intende orientare le proprie iniziative in una prospettiva europestica. Nato sulla scia di iniziative analoghe sorte negli USA, Canada, Germania, Spagna e Gran Bretagna, il GRUPPO ITALIANO DI STUDI SARTREANI si propone la creazione di un “Archivio-Sartre” comprendente tutte le pubblicazioni italiane e le principali francesi riguardanti l’autore. É inoltre in fase di preparazione un bollettino del Gruppo, che nel frattempo ha organizzato, con il patrocinio dei Dipartimenti di Filosofia delle Università di Roma, Urbino e Firenze, un convegno dal titolo: “Sartre contro Sartre: questioni di metodo e di vita”, svoltosi nei giorni 11-12 maggio 1995, presso il Castello di Poppi (Arezzo). Il SEMINARIO PERMANAENTE DI TEORIA CRITICA, diretto da Marina Calloni, Alessandro Ferrara e Stefano Petrucciani, è nato nel 1990 dall’esigenza di riunire regolarmente quegli scienziati sociali e filosofi, che in Italia hanno in comune una medesima matrice filosofico-culturale, la Teoria critica della società elaborata dalla Scuola di Francoforte, nella sua tradizione originaria (Th.W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse), nuova (J. Habermas, A. Wellmer) e più recente (A. Honneth, S. Benhabib, e altri). A partire dal 1990 il Seminario permanente ha regolarmente organizzato, presso il Centro Filosofico “Aloisianum” di Gallarate, incontri annuali in collaborazione con la rivista «Fenomenologia e Società». Temi dei seminari sono stati: “La Teoria Critica - Francoforte e oltre” (Gallarate, 31-10/111-1990); “Aspetti della sfera pratica: etica del discorso, teoria del diritto, razionalità politica” (Gallarate, 1-2/11/1991); “La Teoria Critica e i suoi critici” (Gallarate, 31-10/1-11-1992); “Cosa sognifica ‘Teoria Critica’?” (Gallarate, 2930/10/1993); “Tipi di argomentazione” (Gallarate, 29-30/10/1994). Una prima serie di contrubuti presentati durante i suddetti seminari è attualmente in corso di stampa sulla rivista «Fenomenologia e Società», in forma di sezione monografica con il titolo: “Etica della comunicazione”. Oltre all’organizzazione di incontri, convegni e presentazione di li- Il mondo culturale tedesco si è finalmente deciso a riconoscere la rilevanza del pensiero di FERDINAND TÖNNIES (1855-1936), sociologo di fama internazionale sinora poco apprezzato in Germania, benchè fondatore della stessa sociologia tedesca. Il presidente della società tedesca di sociologia, Lars Clausen, ha infatti personalmente curato i testi della prossima pubblicazione dell’opera omnia dell’autore, che comparirà presso la casa editrice De Gruyter in un’edizione di ben 24 volumi. Gli scritti che verranno pubblicati, riordinati secondo un criterio cronologico, appartengono quasi esclusivamente alle opere già edite da Tönnies nel corso della sua vita; ad aprire la collana saranno due fra le sue opere più famose, Die Kritik der ÷ffentlichen Meinung (La critica dell’opinione pubblica, 1922) e 41 bri, dal novembre 1994 il Seminario permanente ha dato il via alla pubblicazione semestrale del «Bollettino di Teoria critica», in forma di supplemento alla rivista «Fenomenologia e Società» e curato dai direttori del suddetto Seminario. Per l’ottobre 1995 è prevista l’organizzazione di un seminario sul tema: “Comunità, differenza, convivenza”, a cui parteciperanno anche studiosi stranieri. E’ stata avviata la nuova serie della rivista HERMENEUTICA edita dall’Istituto di Scienze Religiose “Italo Mancini” di Urbino. Voluto da don Italo Mancini nel ’69, l’Istituto di Scienze Religiose definisce con tratto unico le sue attività: trovare un nuovo terreno per la teologia e lo studio della religione. Sotto questo comune intento nasce anche la nuova serie della rivista «Hermeneutica», che da quest’anno riprende le pubblicazioni, rinnovata nella veste tipografica e ampliata. Occasione per la presentazione del primo fascicolo del 1995 è stato il convegno sul tema: “Dov’è Dio oggi?”, tenutosi il 18 febbraio 1995 nella sede urbinate dell’Istituto e animato dagli interventi di Piergiorgio Grassi, Paolo Debenedetti, Giorgio Ripanti e Settimio Cipriani. Sottolineando la forte spinta all’ecumenismo che caratterizza la rivista, Grassi, direttore dell’Istituto, ha spiegato come quest’approccio multidisciplinare e multiconfessionale si richiami al più generale orientamento dei corsi dell’Istituto. M.P.R. La FONDAZIONE UGO SPIRITO, che sinora si è presentata non tanto come editore, quanto piuttosto come istituzione di cultura, pur avendo sempre personalmente provveduto alla pubblicazione degli «Annali» e dei volumi prodotti nel corso delle sue ricerche, ora si appresta a dare alle sue attività il sostegno editoriale di collane diverse. La «Biblioteca scientifica», che prende avvio nel 1994, pubblica due volumi di rilievo: Oltre il trascendentale, di Armando Rigobello e, - nell’anno delle commemorazioni gentiliane - Immagine e costruzione del reale nel pensiero di Giovanni Gentile, di Hervé A. Cavallera. Con ciò la Fondazione conserva la caratteristica di muoversi nella coerenza di un disegno generale: partecipare all’attualità culturale non vuol dire di necessità trascurare il pensiero italiano, in cui una simile organizzazione di cultura si muove senza allontanarsi dai suoi progetti istituzionali. Discutere argomenti di valore senza discriminare la filosofia italiana rispetto alle altre tradizioni è dunque possibile e la Fondazione Ugo Spirito ne è una testimonianza. CONVEGNI E SEMINARI Bertrand Russel e Ludwig Wittgenstein Andrea Bonomi (in piedi) al convegno di Genova (12-15 ottobre 1994) 42 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Alle radici della filosofia analitica Si è tenuto a Genova, dal 12 al 15 ottobre 1994, il secondo convegno nazionale della Società Italiana di Filosofia Analitica (SIFA) dal titolo: “ALLE RADICI DELLA FILOSOFIA ANALITICA”. L’incontro ha rappresentato un’occasione importante per riunire assieme gli studiosi italiani legati alla tradizione filosofica tipica del mondo angloamericano e oggi ampiamente presente in Europa (la SIFA è la sezione italiana dell’ESAP, la European Society for Analitic Philosophy). Il successo dell’iniziativa è testimonianza della vitalità di questo approccio e dello spirito attivo che caratterizza una nuova generazione di studiosi. Organizzato da Paolo Comanducci, Carlo Penco e Marco Santambrogio, il convegno genovese della Società Italiana di Filosofia Analitica ha riunito nella medesima città la quasi totalità degli studiosi italiani che si riconoscono, più o meno dichiaratamente, nell’approccio analitico. E così, malgrado tale impostazione venga spesso data per moribonda, in Italia la crescita appare forte e di grande interesse, come ha dimostrato il pieno successo del convegno, stando al ragguardevole numero dei relatori e delle persone che hanno seguito ogni giorno i lavori, articolati in tre sessioni parallele. I vari interventi hanno rappresentato le varie anime di cui si compone la filosofia analitica in Italia, e, di riflesso, la SIFA: in particolare l’anima “pratica” (etica e filosofia del diritto) e l’anima “teorica” (filosofia del linguaggio, della logica e della mente). Nell’ambito della filosofia pratica, Eugenio Lecaldano ha affrontato il contributo che un’approccio analitico offre al trattamento della natura degli obblighi morali, scorgendo nella ricerca di ragioni e motivazioni individuali uno dei suoi approdi. Tecla Mazzarese ha proposto un’analisi critica all’idea che la distinzione fra contesto della scoperta e della giustificazione possa essere “esportato” in ambito giu- diziale. Bruno Celano ha parlato di convenzioni e consuetudini e Giuliano Pontara ha discusso finemente dei problemi dell’utilitarismo, intervenendo anche nella tavola rotonda finale. Per la filosofia del linguaggio, Paolo Casalegno ha argomentato contro le pretese naturalizzazioni delle nozioni di verità e riferimento entro la filosofia della mente e Andrea Bonomi ha indicato, al crocevia fra semantica, logica temporale e metafisica, quali problemi si presentano nel trattamento delle forme verbali progressive. Ernest Lepore ha discusso invece la posizione di Quine sulla impossibilità di una distinzione rigorosa tra enunciati analitici e sintetici, sfidando quello che può essere considerato ormai un “dogma” della filosofia analitica. A parte le relazioni generali, il convegno si è comunque presentato come un evento multiplo. In effetti, a dispetto del titolo, molti interventi hanno oltrepassato l’ambito della ricostruzione e si sono indirizzati verso aspetti più teoretici, affrontando gli ambiti della filosofia analitica nelle sue origini, della filosofia della mente, della filosofia del linguaggio, della filosofia pratica, della filosofia della logica. Nell’ambito della sezione dedicata alle origini della filosofia analitica, Aldo Gargani ha tracciato il ruolo che le Lectures di Wittgenstein a Cambridge, tra il 1930 e il 1932, possono avere nella ridefinizione del percorso intellettuale di questo autore, troppo spesso concepito nella distinzione netta delle due “fasi”. Luigi Perissinotto ha rivolto la propria attenzione verso un’affermazione che Wittgenstein fa nelle Osservazioni sulla filosofia della psicologia, secondo cui nella metafisica la distinzione fra ricerche concettuali e fattuali è confusa e non chiara. Pasquale Frascolla ha toccato il problema del seguire-una-regola, al centro delle riflessioni di Wittgenstein sulla matematica. Tra le altre relazioni che, pur non esplicitamente inserite in questo gruppo, hanno tuttavia trattato autori fondamentali per lo sviluppo dell’approccio analitico, vanno ricordate quelle di Luca Parisoli su Reid; di Guido Tonella e 43 Nicla Vassallo su Frege; di Michele Di Francesco su Russel; di Luciano Floridi su Collingwood e Ryle; di Maurizio Mori su Sidgwick; di Paolo Leonardi, Marina Sbisà, Marzio Vacatello e Claudio Nizzo su Moore, Grice e Austin. L’altro grande tema con cui molti si sono confrontati è la ricostruzione della storia della filosofia analitica che Dummet ha elaborato in Alle origini della filosofia analitica, anche se c’è stato chi, come Alberto Voltolini, che è risalito fino a Hegel nel cercare alcuni temi analitici. Claudia Casadio ha esposto il ruolo che Husserl, in particolare nelle Ricerche Logiche, ha avuto nella formazione della tradizione analitica, in modo specifico nel contesto dell’analisi formale delle lingue naturali, della teoria delle categorie semantiche e nell’evoluzione della grammatica categoriale. Mauro Barberis ha notato come la filosofia analitica del diritto, nata e cresciuta attorno a Norberto Bobbio e Uberto Scarpelli, sia alla ricerca delle proprie radici fondative nelle analisi di Dummett. Franco Restaino ha confrontato le ricostruzioni classiche della filosofia analitica con l’ipotesi, di recente avanzata, secondo cui le analisi mentaliste stanno capovolgendo l’impostazione della svolta linguistica. La filosofia della mente è stato un ambito a cui molti relatori hanno dedicato attenzione. Adriano Palma ha affrontato lo statuto ontologico degli stati di credenza e la relazione di sopravvenienza come è stata individuata da Davidson e precisata da Kim. Di segno opposto l’intervento di Roberta De Monticelli, il cui bersaglio retorico era la definizione di intelligenza formulata da Turing, offrendo un argomento a difesa di una visione essenzialista del significato e della coscienza con una marcata caratterizzazione antiriduzionista e anti naturalizzatrice. Ma se si guarda al grosso delle relazioni, sembra proprio che i naturalisti, o meglio i “naturalizzatori”, l’abbiano fatta da padroni, come testimoniamo gli interventi di Marcello Frixione su “Semantica naturalizzata”; di Simone Gozzano su “Sono possibili pensieri non linguistici?”; di Sandro CONVEGNI E SEMINARI Nannini su “Connessionismo e teoria della mente”; di Gloria Origgi su “Psicologia naturalizzata” e, forse, Sergio Bernini su “Teorie della credenza” e Matteo Negro su “Intenzionalità della percezione”. Una figura che ha attratto l’attenzione degli studiosi è stata inoltre quella di Donald Davidson, che più di altri si è impegnato nell’analisi del linguaggio come base da cui partire per le indagini sul pensiero e l’azione. A Davidson, e più in generale alle tesi che lo legano a Quine, hanno dedicato i loro interventi Andrea Bottani, Raffaella De Rosa e Michele Marsonet. Problemi connessi all’analisi del tempo hanno invece attraversato diverse sezioni, dalla filosofia pratica, con Jean-Pierre Dupuy e Pasquale Pasquino, alla logica, con Gabriele Usberti e Enrico Martino, alla filosofia della mente, con Mauro Dorato. Nella sezione logica infine, si sono avute incursioni nel mondo “fuzzy”, da parte di Maria Luisa Dalla Chiara, e nella rappresentazione dello spazio, ad opera di Roberto Casati e Achille Varzi. Nella Tavola rotonda conclusiva, Evandro Agazzi, Gaetano Carcaterra, Rosaria Egidi, Diego Marconi e Giuliano Pontara hanno tracciato il quadro entro cui si colloca la filosofia analitica, che Agazzi considera riconducibile in certa misura ad Aristotele e al problema dell’essere come problema dei modi di dire l’essere, e al ruolo del filosofo analitico, che Marconi considera una specie di artigiano, alle prese con problemi specifici e soluzioni ben individuabili. S.G. Al tempo di Poliziano A cinquecento anni dalla morte di Angelo Ambrogini detto il Poliziano, si è tenuto dal 18 al 21 luglio 1994 a Chianciano e a Montepulciano un convegno internazionale sull’opera e sull’epoca del pensatore rinascimentale, dal titolo: “POLIZIANO NEL SUO TEMPO ”. Ideazione e organizzazione dell’incontro è opera di Luisa Rotondi Secchi Tarugi, presidente dell’Istituto F. Petrarca di Milano, che per l’occasione ha potuto avvalersi della collaborazione di un autorevole comitato promotore, composto da Emilio Bigi, Jean-Louis Charlet, Alessandro Ghisalberti, JeanClaude Margolin, Lionello Sozzi. Con quest’ultima iniziativa, l’Istituto Francesco Petrarca di Milano giunge al suo sesto convegno internazionale, confermando una certa linea di continuità con quella tradizione di ricerca, promossa dall’insigne umanista Giovannangiola Secchi Tarugi, quando l’Istituto si chiamava Cen- tro di Studi sul Poliziano. Negli ultimi anni, la figura di Poliziano ha perso il carattere unilaterale di lirico sofisticato e conoscitore raffinato della cultura antica, per acquistare i tratti complessi di uno studioso completo, innovatore nella pratica filologica, originale nell’approccio alla tradizione filosofica, arguto e autonomo nella ripresa dei canoni classici, sapiente interprete e soprattutto critico della tradizione culturale. Nel montaggio delle citazioni, nella scelta dell’apax, nella sapiente cesellatura delle ripetizioni, prende forma in Poliziano un mondo nuovo che, legittimato dal riferimento all’antico, cerca vie diverse di espressione. Di Poliziano, poeta, filologo, pedagogo, filosofo, il convegno di Chianciano e Montepulciano ha saputo restituire il ritratto unitario, la compostezza delle linee, e al contempo le sfaccettature che lo rendono uno studioso singolare. Molti interventi al convegno hanno affrontato l’opera poetica di Poliziano. In un intervento dedicato alla “memoria” poetica del Poliziano, G. Velli ha voluto rintracciare in questo autore i prestiti e i rifacimenti dell’eredità classica, soffermandosi su alcuni esempi della mutatio. G. Ponte ha invece proposto uno studio minuzioso dei modi retorici di Poliziano, il quale controbilancia la “spinta al maestoso e all’organico” con la nervositas, la rapidità elegante e calcolata di una lingua tesa a cogliere il momentaneo. J. Irmscher ha sottolineato l’importanza di Poliziano come grecista, mettendo alla prova una considerazione di Willamowitz. Sulla poesia volgare si sono pronunciati R. Bessi, H. Heintze, che ha presentato un’analisi comprativista e filologica; mentre A. Musumeci si è interessato alla poesia dei rispetti, generalmente trascurata dalla critica. P. Viti si è invece concentrato sulle poesie encomiastiche di Poliziano per Lorenzo il Magnifico. Sulla poetica in generale sono intervenuti P. Godman, L. Sozzi, che ha affrontato la nozione di dignitas, e infine E. Bigi, a cui gli studi polizianei debbono molto. Un aspetto originale, ossia il rapporto fra Pulci e Poliziano, è stato sottolineato da M. Davie, che ha preso in considerazione soprattutto i Cantari XXV e XXVIII del Morgante. Con uno sguardo ancora più lontano, G. Marchianò ha tratteggiato un possibile confronto fra le Stanze di Poliziano e alcuni componimenti analoghi giapponesi. I. Rowland ha invece proposto un confronto con la figura di “Fedra” Inghirami. Una nuova prospettiva è stata aperta da F. Hallyn e P. Galand, che si sono occupati dell’influenza di Poliziano nei Paesi Bassi e nella Francia del XVI secolo, in particolare in Nicolas Berault. A. Bettinzoli ha presentato una relazione sulla brevitas e sulla composizione a mosaico nella Manto. 44 Un altro centro di interesse negli interventi al convegno sono stati i raffronti e gli innesti fra la poetica di Poliziano e le altre arti del suo tempo. L. Patetta si è soffermato sulle tensioni culturali nella cultura architettonica della corte medicea; L. Buratti ha invece analizzato i documenti catastali relativi alla casa di Poliziano a Montepulciano. T. Howe ha sviluppato un’ampia e dettagliata analisi del rapporto fra la composizione retorica e la cultura architettonica nell’ambiente del Poliziano; un interesse particolare ha suscitato la Favola di Orfeo, di cui F. Doglio, Direttore del Centro Studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale di Roma, ha presentato in video una rappresentazione da lui diretta, mentre B. Guthmuller ha invece ricordato la difficoltà di classificare quest’opera in rapporto alle produzioni teatrali cortigiane del tardo quattrocento. Un vivo dibattito ha suscitato la relazione di A. Lovato sui gusti musicali di Poliziano e sul nesso tra poesia e canto; dal punto di vista della metrica, Jean-Louis Charlet ha analizzato l’inno O Virgo prudentissima!, sottolineandone il carattere originale. Su un fronte più filologico, alcuni interventi hanno voluto verificare le diverse influenze nella scrittura e nella concezione poetica di Poliziano. H. Walter ha seguito le vicissitudini di un codice pliniano, collazionato da Poliziano; P. Ariatta si è interessato al Prolugus in Plauti Menaechmos nell’imitazione di Gaudenzio Merula; U. Pizzani ha analizzato il rapporto tra Lucrezio e Poliziano; M. Koortojaan ha infine investigato il progresso del metodo archeologico nella ripresa polizianea dell’antichità. Da un punto di vista sociale, K. Eisenbichler ha analizzato il rapporto di Poliziano a Firenze con le confraternite dei giovani. Spunti di riflessione su alcuni nodi tematici del pensiero di Poliziano sono stati proposti da alcuni interventi di ordine più filosofico. M. Mandosio ha analizzato criticamente il progetto enciclopedico del Panepistemon; S. Benassi si è concentrato sul rapporto tra filosofia e letteratura in Poliziano e sul ruolo della dialettica e dell’universale concreto; F. Mariani Zini si è soffermata sull’idea di genesi poetica e di profezia al passato nell’opera di Poliziano. L’intervento di S. Camporeale ha riproposto la discussione filosofica sull’origine del male che riunì Poliziano, Pico, Ficino e Lorenzo. B. Lavillatte ha invece proposto un’interpretazione personale della sospensione poetica del tempo in Poliziano; M. Bertozzi ha rilevato come ne La Lamia Poliziano rivendichi il diritto di studiare la filosofia come grammaticus. Ha chiuso i lavori del convegno G. Borri, ricordando le scansioni della critica novecentesca del Poliziano. F.M.Z. CONVEGNI E SEMINARI Lo spazio, la distanza, la scrittura In occasione della presentazione dell’opera di Vincenzo Vitiello, ELOGIO DELLO SPAZIO. ERMENEUTICA E TOPOLOGIA (Bompiani, Milano 1994), il 20 ottobre 1994, presso la sala incontri dell’ISU di Milano, si è tenuto un dibattito dal titolo: “L’INTERPRETAZIONE FI LOSOFICA DELLO SPAZIO”, a cui hanno partecipato, oltre all’autore, Pier Aldo Rovatti e Carlo Sini. Il dibattito è stato anche occasione per un confronto tra posizioni di pensiero convergenti sulla questione della scrittura nella sua dimensione “etica” quale emerge da recenti pubblicazioni: ABITARE LA DISTANZA. PER UN ’ETICA DEL LINGUAGGIO (Feltrinelli, Milano 1994), di Pier Aldo Rovatti, e VARIAZIONI SUL FOGLIO- MONDO . PEIRCE, WITTGENSTEIN, LA SCRITTURA (Hestia, Cernusco Lombardone 1993), di Carlo Sini e Rossella Fabbrichesi Leo. Aprendo il dibattito, Carlo Sini ha sottolineato che il “consumarsi” del tempo storico, nel suo lasciar spazio a una prospettiva topologica, non indica una quantomai problematica “fine della storia”, bensì l’emergere nella storia di un’alterità. Nell’opera di Vincenzo Vitiello, Elogio dello spazio. Ermeneutica e topologia, traspare, secondo Sini, il carattere sempre secondo del filosofare, per cui ogni filosofia si riferisce sempre a un’altra filosofia; ogni testo rinvia ad altri testi. La topologia si presenta, dunque, come quel luogo di dislocazione di luoghi, che già si danno come tali. In ciò si rivela nondimeno il tentativo di “dire la cosa”, pervenendo, se non a una definizione, a una “configurazione dell’origine”, quale si verifica (con Platone, contro Derrida) nella parola, il cui al di là non è né il mondo, né la “cosa”, bensì il silenzio. Quest’ultimo, ha osservato Sini, dà luogo alla contra-dizione, all’inciampare del linguaggio in se stesso, nel suo tener fede, al di qua di ogni sintesi, all’aporìa e, con ciò, a un concetto di possibilità, pensata a partire da se stessa. Rispondendo a Sini, Vitiello ha fatto notare che la parola della filosofia, distanziandosi dalle cose, riesce a vedere altro dalle cose; nella parola filosofica non spira, come sosteneva Eraclito, il logos. Nell’identificazione della nozione di possibilità con quella di “etica” e con ciò che Sini definisce “pratica”, la topologia di Vitiello si presenta come il tentativo di un’ “eidetica della storicità”: gli eide, ovvero i topoi, costituiscono i luoghi di compresenza degli snodi temporali. Ogni topos contiene in sé tutti gli altri, ogni punto è “punto di punti”; l’esistenza topologica comporta una dilatazione del presente che, attraverso la dinamica dell’eterno ritorno, rinuncia a qualsivoglia istanza morale discriminante, accogliendo nella “grande catena dell’es- sere” tutte le manifestazioni dell’essere medesimo. Per quanto autore di un progetto che non viene realizzato a causa del prevalere di un’istanza etico-prescrittiva, in cui permane la convinzione della necessità della scelta, Nietzsche appare, con tutta evidenza, come la figura decisiva nella concezione topologica di Vitiello. Questi intende radicalizzare il progetto nietzscheano, mostrando il carattere di luogo di determinati snodi temporali e gettando altresì uno sguardo, al contempo trasversale e polarizzante, sul decorso cronologico degli eventi, che eviti una direzionalità unica e univoca del senso e della storia. Di una tale prospettiva è parte rilevante l’ermeneutica topologica di Wilhelm Dilthey, dove la dimensione individuale (sia essa espressa da esseri, enti o eventi umani) risulta definita da una miriade di “punti d’incrocio” (Kreuzungspunkte) e dall’intersezione di dinamiche che li trascendono. La topologia costituisce dunque la caratterizzazione essenziale di una prospettiva ermeneutica; lo sguardo topologico si presenta qui come sguardo “archeologico”, in quanto la comprensione della storia esige che si abbia uno sguardo doppio, storico e “arcaico”, in grado di cogliere una doppia temporalità. Ricorrendo alla metafora freudiana, secondo la quale la psiche appare come una città dove le diverse epoche storiche, stratificate nel medesimo luogo, risultano compresenti, Vitiello caratterizza lo sguardo topologico come l’unità del punto di vista “dinamico” e di quello “topico”, in quanto la comprensione delle forze che si sviluppano nella storia non può apparire disgiunta da quella del loro “dislocarsi”, del loro interagire. Il luogo di questo sguardo è, dal punto di vista spaziale, un non luogo, un’ “inquietante u-topia”, come lo definisce Vitiello. Questo “non luogo” è il linguaggio; «con esso sorgono infatti tutte le altre determinazioni, e, “prima” di tutte, quelle spaziali». La parola è ciò che “dà luogo”, rinviando tra un “dentro” e un “fuori”, e genera gli eventi nel loro carattere di “enti presenti”. Intervenendo nel dibattito, Pier Aldo Rovatti ha rilevato come la prospettiva topologica indicata da Vitiello comporti una dilatazione del presente che non solo fagocita il passato, ma intende prendere altresì le distanze da qualunque discorso teleologico, ovvero da qualunque aspettativa relativa al futuro. In tal senso, è necessario chiedersi, secondo Rovatti, quale valore (in senso lato) “politico” assuma la topologia quando essa intende proporsi come etica. La prospettiva topologica deve chiarire la connessione fra ethos e topos, in quanto essa rinvia a una dimensione originaria della spazialità, attingibile attraverso l’epoché fenomenologica. In Abitare la distanza. Per un’etica del linguaggio Rovatti esamina, attraverso un percorso fenomenologico, il costituirsi del45 l’identità del soggetto nel suo rapporto con l’alterità, nel tentativo di por capo a quel ne-utrum, a quella terra di nessuno tra il vedere e il non vedere, tra l’ascoltare e il chiudersi all’ascolto, tra lo scrivere e il rinunciare all’espressione, in cui la dicotomia trova, in senso pregnante, il proprio luogo, ovvero la propria origine: un luogo a cui si perviene attraverso l’epoché fenomenologica applicata al “vedere”, all’ “ascoltare”, allo “scrivere”. Nella questione del “vedere” fenomenologico, come emerge in Heidegger nei celebri protocolli dei seminari di Zollikon, Rovatti coglie l’emergere della spazialità nella categoria di Lichtung, quello “slargo” che “si fa luce”, ovvero “ha luogo”, nella sospensione della vis theorica. La percezione dell’essere dell’oggetto, sottolinea Rovatti, rivela un movimento che non avviene in una direzione univoca, ma si sviluppa, al contrario, come duplice: dalla “cosa” al soggetto e dal soggetto alla “cosa”. Nel primo senso, la cosa si dà al di là delle sue caratterizzazioni di oggetto, cioè di ente “semplicemente presente”; nel secondo, il movimento di comprensione, prendendo le mosse dal soggetto, al contempo lo costituisce: questo secondo movimento si fa chiaro attraverso quello che Rovatti definisce un “ascolto del lasciar vedere”. Qui lo sguardo viene qualificato come “ascolto”, perché sa cogliere ciò che allo sguardo ordinario non appare, in quanto non è “visibile”. Secondo Carlo Sini e Rossella Fabbrichesi Leo, autori di Variazioni sul fogliomondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura, il soggetto appare come un “evento”, come il frutto dell’incrociarsi di pratiche che si presentano, anzitutto, come linguistiche, scritturali. Di queste pratiche, quella filosofica ne rappresenta una particolare; la questione di che cosa si faccia “in pratica” quando si filosofa costituisce, sottolinea Sini, l’autentico filosofare. Si tratta di una questione “di metodo”, intendendo con ciò non la riflessione sui criteri di correttezza di una ricerca, bensì quella sulla legittimità del riferirsi del pensiero alla “correttezza” e alla “verità”, che viene in tal modo a configurarsi come questione logico-argomentativa. La fenomenologia, osserva Sini, costituisce proprio l’ultima tappa di quel percorso che, a partire da Parmenide, ha inteso sostituire all’odos iniziatico il methodos, all’interno del quale potesse farsi luce la verità. In tal senso, il progetto di Sini intende proporsi come una radicalizzazione, e insieme un rovesciamento, dell’itinerario che aveva condotto Husserl a scorgere la genesi della scrittura filosofica nell’affermarsi, presso gli antichi greci, del “pensiero puro”. La “cosa stessa” verso la quale occorre andare, sostiene Sini, altro non è se non l’ente “scritto”; la fenomenologia si ridefinisce così come fenomenografia, dove la scrittura consiste, prima che in una descrizione, in un’ “iscrizione”. Il concetto di fo- CONVEGNI E SEMINARI glio-mondo, che Sini ricava da una terminologia coniata da Peirce, indica appunto quel luogo etico nel quale la pratica della scrittura si determina come finita, ovvero “perfetta” (ogni iscrizione è il mondo, e il mondo non è se non gesto di scrizione) e, in quanto tale, intersoggettiva. Qui il soggetto si definisce come ethos, come “soggetto mondo”; ogni suo gesto, in quanto gesto di scrittura, accade sul foglio-mondo, è il foglio-mondo. F.C. Filosofia della storia e teoria della storicità Si è svolto a Karpacz (Polonia) dal 18 al 21 ottobre 1994, nell’ambito della collaborazione tra le università di Bochum (Germania) e Wroclaw (Polonia), un convegno sul tema: “PARADIGMAWECHSEL IM GESCHICHTSDENKEN DES 19. JAHRHUNDERTS . DER ÜBERGANG VON DER GESCHICHTSPHILOSOPHIE ZUR THEORIE DER GESCHICHTLICHKEIT” (Mutamenti di para- digma nel pensiero storico del XIX secolo. Dalla filosofia della storia alla teoria della storicità). Al centro di molti interventi l’opera di due pensatori come Wilhelm Dilthey e Paul Yorck von Wartenburg, nei quali la riflessione filosofica sulla storia - nella consapevolezza della storicità della filosofia - svolge un ruolo fondamentale. I lavori del convegno di Karpacz sono stati aperti da Karol Bal (Wroclaw), che nel suo saluto ha presentato un programma di ricerca, attualmente ancora in fase di preparazione, relativo alla tradizione filosofica della Slesia in generale e dell’università di Wroclaw in particolare. La Slesia, una regione che nel corso della sua storia ha visto l’incontro e l’incrocio delle culture di lingua tedesca e polacca, ha anche dato i natali a (ed è stata luogo di attività di) numerosi pensatori, tra cui, come ha ricordato Bal, Jakob Böhme, Angelus Silesius, Christian Garve, Friedrich Schleiermacher, Julius Braniß, Otto Liebmann, Wilhelm Dilthey, Paul Yorck von Wartenburg, Hermann Cohen, Ernst Cassirer, Hans-Georg Gadamer. Il compito di rappresentare al convegno l’Università di Bochum è toccato a Gunter Scholtz, che ha messo in luce il valore dello scambio e del confronto tra le diverse culture in un periodo che vede un massiccio ritorno di particolarismi (e conseguentemente di conflitti) di carattere etnico e religioso. L’intervento di Scholtz, dedicato al tema “Filosofia della storia e storia della filosofia: Braniß e Dilthey” è quello che si è forse mantenuto più fedele al tema del convegno, che proponeva ai partecipanti di analizzare e circoscrivere un “mutamento di paradigma” nell’approccio filosofico alla storia tra Otto e Novecento: dalle filosofie della storia di matrice idealistica (Hegel, Fichte, Schelling) alle teorie della storia e della cultura sviluppatesi nell’ambito delle diverse correnti dello storicismo, del neo-kantismo, dell’ermeneutica, della fenomenologia (da Dilthey a Simmel, da Windelband e Rickert a M. Weber, da Yorck a Heidegger). La maggior parte degli intervenuti si è invece concentrata sulla trattazione dei problemi della storia e della storicità, senza mettere esplicitamente in luce un “mutamento di paradigma”. Gudrun KühneBertram (Bochum) ha analizzato le categorie di Urteil (giudizio) e Urteilung (partizione originaria) nella teoria yorckiana . della conoscenza storica; Josef Kosian (Wroclaw) ha preso in considerazione la categoria di “ocularità” nel pensiero di Yorck; Matthias Kroß (Berlino) e Zbigniew Kuderowicz (Varsavia) hanno dedicato i loro interventi rispettivamente all’etica e alla dottrina della intuizione del mondo in Dilthey. Altri relatori hanno scelto la prospettiva di un confronto tra pensatori. Qui i nomi intorno a cui si sono mossi la maggior parte degli interventi sono stati quelli di Dilthey, Yorck e Heidegger. Michael Benedikt (Vienna) ha svolto considerazioni sulla “discussione di Heidegger con Dilthey e Yorck von Wartenburg”; Maria Kostyszak (Wroclaw) ha analizzato il “commento” di Heidegger in Essere e tempo alla filosofia della storia di Yorck von Wartenburg; Massimo Mezzanzanica (Torino-Bochum) ha confrontato il concetto di “tipo” in Dilthey e in Yorck. Al confronto tra pensatori, a partire dal problema della storia, sono stati dedicati anche gli interventi di Leszek Koczanowicz (Wroclaw), su W. Dilthey e G. H. Mead, e di Jerzy Krakowski (Wroclaw), su Goethe e Yorck. Di più ampia prospettiva storica e di maggiore impegno teorico gli interventi di Karl Acham (Graz), su “Mutamento di struttura nelle scienze dello spirito sotto l’influsso dello storicismo e del positivismo”, e di Kurt Meist (Bochum), su “Storicità contro storicismo. Sul programma dello storicismo nella critica di Haym a Hegel”. Una prospettiva diversa da tutti gli altri interventi presentati al convegno, sia per l’impostazione di fondo che per gli interessi del relatore, è stata quella presentata da Werner Strube (Bochum), uno studioso che applica all’estetica e ai suoi problemi il metodo dell’analisi del linguaggio, nell’intervento “Osservazioni analitiche sulla storicità del comprendere”. Il contributo di Andrzej Bronk e Stanislaw Majdanski (Lublino), dedicato a “Storicità e classicità” è stato per molti l’occasione per fare conoscenza con le posizioni della “scuola di Lublino”, che tenta di sviluppare una posizione di carattere razionalistico e realistico, riferendosi all’opera di Gilson e Marcel, al tomismo e ad Aristotele. M.M. 46 Il governo d’eccezione Dal 26 al 30 settembre, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Pasquale Pasquino, dell’École Polytechnique (CNRS) di Parigi, ha tenuto un seminario dal titolo “TEORIA POLITICA DEL GOVERNO D’ECCEZIONE”, prendendo in esame il concetto di dittatura in C. Schmitt e nella Roma repubblicana, la prerogativa regia nel governo inglese e in J. Locke, la dittatura in Machiavelli ed infine l’art. 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar. Sono due, secondo Pasquale Pasquino, i requisiti del governo d’eccezione: pluralità di organi all’interno di uno Stato; disparità tra “norma” ed “eccezione”. La differenza tra “norma” ed “eccezione” non si ritrova nel pensiero politico di Carl Schmitt, per il quale, come emerge in Politische Theologie (1922), lo Stato non coincide con l’ordinamento giuridico, la sovranità non si risolve nella norma stessa, perché se così fosse, nel momento in cui si verificasse una situazione non prevista dalla legge, ossia venisse meno la norma ordinaria, la sovranità sparirebbe. Per Schmitt questo non è accettabile, perché è proprio nella situazione d’emergenza che si manifesta la natura della sovranità e l’essenza del diritto. Infatti, è sovrano colui che ha la prerogativa di decidere sullo stato d’eccezione. Nella Roma repubblicana, ha invece fatto notare Pasquino, il governo con poteri eccezionali, ossia la dittatura, era nominato dai consoli soltanto se il senato decideva lo stato d’eccezione; per di più il dictator non aveva la facoltà di modificare la costituzione. Nella Roma repubblicana, dunque, si realizzavano le due condizioni che permettono il governo d’eccezione, ovvero una pluralità di organi e una disparità tra norma ed eccezione. L’esame che Pasquino ha compiuto del pensiero politico di Locke si è soffermato sull’analisi della prerogativa del sovrano all’interno della sua teoria politica. Secondo Pasquino anche in Locke è presente il concetto di prerogativa regia, vale a dire il privilegio che il re, in Inghilterra, aveva sulla persona o sulla legge, e che consisteva nel provvedere al bene pubblico in momenti di grande incertezza, che non potevano essere governati con leggi precise e ben definite. Nei capitoli 33-34 del primo libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Nicolò Machiavelli, ha osservato Pasquino, pone la necessità di un governo d’eccezione come risultato della eccezionalità del momento. Secondo Machiavelli era necessario, come avevano fatto i Romani, costituzionalizzare un potere straordinario al fine di preservare in momenti particolarmente difficili l’ordinamento repubblicano. Nell’articolo 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar, la necessità di pervenire a un forte equilibrio tra il parlamento CONVEGNI E SEMINARI Diego Velásquez, Las Lanzas (La resa di Breda, 1634-35, part.) e il presidente, condusse ad uno scontro tra organi dello Stato e alla fuoriuscita dal quadro costituzionale. La Costituzione di Weimar, secondo Pasquino, utilizzò un meccanismo di potere e di contropotere molto pericoloso, contrariamente al modello romano, in cui dictator non aveva nessuna controparte, mentre il Presidente della Repubblica di Weimar era sempre sotto il contropotere del parlamento che poteva abrogare le misure previste dal comma 1 e 2 dell’articolo 48, le quali stabilivano che il presidente poteva costringere i Länder con la forza armata, quando non realizzavano gli obblighi, ed aveva la facoltà di prendere alcune misure eccezionali e di sospendere alcuni articoli della Costituzione anche facendo ricorso alla forza armata. La debolezza della Repubblica di Weimar sarebbe da imputare appunto al meccanismo costituzionale che, creando una situazione di equilibrio tra i diversi organi dello Stato, condusse inevitabilmente al disfacimento. A.M.P. Kant politico Promossa dalla Società Italiana di Studi Kantiani, il 30 settembre 1994 si è svolta a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore, una giornata di studi sul tema “PACE E STORIA IN KANT”, dedicata ad una rilettura dello scritto kantiano del 1795, ‘Per la pace perpetua’, nel momento in cui il mondo, avendo davanti agli occhi una miriade di conflitti bellici ancora del tutto irrisolti, si trova a celebrare, nel 1995, il cinquantenario della fondazione dell’ONU, che accoglieva nel suo statuto del 1948 la maggior parte dei punti previsti dal progetto kantiano. Intervenendo su “Diritto cosmopolitico nel progetto kantiano per la pace perpetua con particolare riferimento al secondo articolo definitivo”, Giuliano Marini ha ricostruito le linee fondamentali di 47 quello “stato federale”, indicato da Kant come condizione per la realizzazione «di un istituendo diritto pubblico dei popoli, per decidere le loro controversie in modo civile, come a dire attraverso un processo, non in modo barbarico (al modo dei selvaggi), cioè attraverso la guerra.» Marini ha insistito sul fatto che Kant ci permette di pensare la possibilità di una “repubblica mondiale”, nella quale la sovranità dei singoli stati sia da intendersi come un limite al diritto pubblico. Con Kant, si potrebbe pertanto parlare di un passaggio dalla sovranità statale alla sovranità mondiale; nella visione kantiana della Weltgeschichte (storia del mondo) l’antagonismo tra Stati continuerebbe a svolgere un ruolo importante. Polemizzando con Marini, nella sua relazione, “Pace perpetua e pluralità degli stati in Kant”, Massimo Mori ha obiettato, a proposito del diritto pubblico interno, che la forma di stato federale indicata da Kant, in quanto forma di CONVEGNI E SEMINARI organizzazione giuridica non costituzionale, basata sull’analogia tra individuo statale e individuo privato, risulta essere in contraddizione con l’impianto formale del diritto pubblico elaborato da Kant nella Dottrina del diritto. Considerando poi i fondamenti storico-antropologici della discordia, Mori ha ricordato che per Kant è sí vero che l’uomo vuole la concordia, ma è altrettanto vero che la natura vuole la discordia e all’interno della società civile il male della discordia si converte solo parzialmente in armonia, sedimentandosi invece nella diseguaglianza sociale. Poste queste premesse, il rapporto tra Storia e moralità può svilupparsi solo nelle tappe della cultura, della civilizzazione e della moralità. Mori ha infine mostrato come quello della “pace perpetua” sia un progetto al di qua dell’utopia. A differenza di Marini, Mori ha fatto leva sul significato trascendentale di “pace perpetua” in quanto idea regolativa che, pur mirando sempre all’idea finale di una Weltrepublik, tien fermo all’elemento ineliminabile dell’indipendenza tra nazioni, trovando un equilibrio tra il realismo del progetto e l’Idealismo del fine. La difficile collocazione delle poche pagine lasciate da Kant su problemi specificamente storici è stata messa in luce da Claudio Cesa nella sua relazione su “Quale storia per la pace perpetua”. Tradizionalmente, gli interpreti kantiani hanno legato la storia al diritto e alla politica, ma un nesso ben più preciso pare esservi tra la storia e l’antropologia. Infatti, la famosa ultima questione «Che cos’è l’uomo?», che leggiamo nel 4 dell’Introduzione alla Jäsche-Logik, riguarda allo stesso titolo l’antropologia e la storia. Poiché, infatti, l’antropologia trova collocazione nell’ambito teleologico - e più precisamente in quelli della teleologia naturale e della teleologia morale - essa è legata a doppio filo alla storia, visto che l’ambito proprio della storia è, appunto, quello della teleologia morale. A proposito del primo supplemento al terzo articolo definitivo di Per la pace perpetua, la celebre “garanzia della pace perpetua”, Cesa ha ribadito come il cammino verso la pace non sia assimilabile ad una necessità fisica, ma sia veramente avviamento alla moralità. Gli atti del convegno usciranno, a cura di Silvestro Marcucci, presso l’editore Giardini di Pisa. R.Po. Rappresentazioni sociali e identità Si è svolta in due parti, dal 15 al 21 settembre 1994, la IV Summer School della Fondazione Collegio San Carlo di Modena, dedicata a “RAP PRESENTAZIONI SOCIALI E IDENTITÀ NELLA TEORIA SOCIALE E PSICO- SOCIALE ”. La pri- ma parte, tenuta da Serge Moscovici, ha seguito il percorso storico che porta dalla nozione di “rappresentazioni collettive” a quella di “rappresentazioni sociali”; nella seconda parte, Alessandro Pizzorno ha messo a fuoco la relazione tra “cerchie di riconoscimento” e “definizione del sé”. In entrambi i casi, si è trattato di problemi di confine, che sollecitano un maggior dialogo tra filosofia e scienze sociali. Il percorso storico che ha portato dalla scienza delle rappresentazioni collettive alla scienza delle rappresentazioni sociali è stato il tema principale delle lezioni tenute da Serge Moscovici alla Fondazione Collegio San Carlo. Una scienza delle rappresentazioni collettive viene alla luce per la prima volta con il sociologo francese Emile Durkheim. In primo luogo, queste rappresentazioni vengono separate dalle rappresentazioni individuali; in secondo luogo vengono condotte ad assumere come substrato la società nella sua totalità. Le rappresentazioni collettive designano qui principalmente una vasta classe di forme mentali (scienze, religioni, miti, spazi, tempi), opinioni e saperi senza distinzione, che posseggono una logica sui generis, capace di imporsi dall’esterno ad ogni individuo. Il lavoro dell’antropologo Levy-Bruhl, ha mostrato Moscovici, costituisce una tappa ulteriore lungo questo cammino. Le rappresentazioni vengono ora studiate come sistemi di credenze e di idee universalmente presenti nelle diverse società e sottoponibili ad una comparazione. Dalla differenza tra individuale e collettivo si passa alla differenza tra meccanismi logici e psicologici, dove l’attenzione cade sul rapporto tra una società e le sue rappresentazioni. Ciò che ora viene sottolineato è il passaggio da una mentalità primitiva, basata sulla logica della partecipazione, ad una civilizzata, basata sulla logica causale e della non-contraddizione. Con ciò, ha fatto notare Moscovici, si entra in un’altra fase di studio delle rappresentazioni: ciò che veramente conta non è più la loro collettività, bensì la loro dinamica e strutturazione. Protagonisti di questa fase sono Freud, Piaget e Vigotsky. Per Freud e Piaget si tratta di comprendere i processi comunicativi che rendono possibile l’emergere delle rappresentazioni stesse. Vigotsky permette invece di spiegare che in tali fenomeni non si tratta sol48 tanto di evoluzione continua, ma anche di evoluzione discontinua, caratterizzata da grandi rotture, da cesure storiche. Da questo momento si sviluppa una nuova scienza, una sorta di antropologia della società moderna; il passaggio avviene quando allo studio delle rappresentazioni collettive viene sostituito quello delle rappresentazioni sociali. In questo cambiamento di prospettiva non sono più i substrati (ad esempio l’individuo o la collettività) delle rappresentazioni ad essere analizzati, bensì le interazioni tra individui e gruppi, guidati dalla comunicazione. Alcuni momenti specifici di questa trasformazione sono stati sottolineati da Moscovici come indicatori della nuova scienza: il fenomeno del senso comune, che diventa post-scientifico; il problema dell’errore e dell’irrazionalità; la prospettiva non cognitivistica della rappresentazione. Per quanto riguarda il senso comune, esso assume da un lato caratteristiche di grande innovatività, di cambiamento, di continua diffusione e trasformazione; dall’altro incorpora costantemente saperi scientifici, settoriali, che diventano parte integrante del modo in cui oggi viviamo nella quotidianità. In rapporto al problema dell’irrazionalità e dell’errore Moscovici ha rilevato innanzitutto che non può esservi una razionalità senza società: Durkheim ha per primo dimostrato che le culture sono in se stesse razionali, poiché consistono di criteri e categorie stabili ed intersoggettive capaci di stabilire modelli propri di razionalità. In secondo luogo una teoria evoluzionistica dell’errore non riesce a spiegare la persistenza dello stesso. Secondo Moscovici, bisogna più correttamente osservare la cultura come un insieme olistico di credenze, sulle quali individualmente si calcolano correttezza ed errore, razionalità e irrazionalità. Questa riflessione sull’errore conduce ora al problema della natura della conoscenza. Le teorie cognitiviste intendono la cognizione come mero trattamento dell’informazione, come processualità solipsistica. In realtà, ha osservato Moscovici, tutta la cognizione è prodotta collettivamente e l’influenza reciproca tra gli attori sociali è parte integrante del processo. Attraverso queste riflessioni Moscovici ha fornito un’immagine estremamente compatta della psicologia sociale. Le rappresentazioni sociali devono essere studiate con metodologie e con tecniche d’analisi proprie come un fenomeno emergente della comunicazione e dello scambio tra individui e gruppi, che costantemente rielaborano credenze e immagini già presenti nella società. Il processo di trasformazione crea nuovi tipi di rappresentazioni, devianti dalla tradizione, che innervano il tessuto intersoggettivo; su questa base è possibile comprendere anche la logica dell’agire collettivo. CONVEGNI E SEMINARI Ai concetti di azione collettiva e, più in generale, di azione organizzata, legittimazione e consenso in una società pluralista, da tempo Alessandro Pizzorno dedica i propri interessi di ricerca. Nelle sue lezioni alla Fondazione Collegio San Carlo su identità del sé e riconoscimento, Pizzorno ha esordito osservando che le capacità di distinguere il proprio sé da altri sé, di immaginarlo coerente nel tempo, di provare soddisfazione per certi suoi stati sono le strategie attraverso le quali ciascun individuo definisce se stesso e dà senso a quanto accade intorno a lui. Affinché ciò avvenga, ha osservato Pizzorno, deve darsi un contesto di altri soggetti, che fungono da “cerchie di riconoscimento”, all’interno delle quali ogni individuo è classificato, identificato e valorizzato e, come partecipante attivo delle stesse, ricava una definizione identificante di sé. Le cerchie di riconoscimento costituiscono una “necessità logica” per le scelte: in loro assenza, non si potrebbero immaginare le conseguenze dell’agire. Definirsi è un’attività intima e sottile; è un riposizionarsi continuamente secondo/contro la definizione che di noi stessi ci perviene dal contesto, in una negoziazione tra obbedienza e disobbedienza ad esso. In tale dialettica, ha fatto notare Pizzorno, si forma l’identità dell’individuo, la quale funziona a sua volta da cerchia di riferimento. L’identità del soggetto si configura allora come uno stato di equilibrio tra riconoscimenti attuali e futuri, individuali e collettivi. Come “stato di equilibrio” fra cerchie di riconoscimento, il concetto di identità getta luce sulle modalità di connessione tra realtà individuali e struttura di relazioni sociali, indicando al tempo stesso ciò che, nella realtà della molteplicità e del mutamento dei ruoli di un individuo, non si esaurisce in alcuno di essi. Per tal via, il problema dell’identità si ridefinisce come il problema della “durata” di una realtà individuale nella memoria e nei progetti tanto di un individuo quanto della società in cui lo stesso individuo si muove. L’attuale ricerca sul problema dell’identità individuale, ha aggiunto Pizzorno, è rivolta all’analisi del significato di strategie di sé, quali il controllo di sé, l’inganno di sé, la stima e il rispetto di sé: sono queste alcune delle strategie di “definizione” (e “presentazione”) di un soggetto che si confronta con un mondo di cerchie di riconoscimento. Per quanto riguarda il controllo di sé, Pizzorno ha sollevato l’esempio in cui gli uomini, per darsi l’identità collettiva di nazione, statuiscono una costituzione. Tale statuizione è riconosciuta e condivisa, e costituisce un patto. La connessione precommitment/patto, come connessione tra una dimensione temporale e una strutturale, getta luce sulla formazione dell’identità individuale. L’organizzazione di sé, ha osservato Pizzorno, può infatti essere intesa come risultante dall’intreccio di una dimensione verticale (temporale) con una dimensione orizzontale (strutturale) dell’identità, dove l’organizzazione di un sé stabile (identità forte) deriverebbe dal proponimento di scopi a lungo termine, la cui probabilità di raggiungimento dipende però dalla struttura sociale. Per quanto riguarda l’inganno di sé, Pizzorno ha riportato l’esempio di una madre che rifiuta, di fronte alla sentenza del tribunale, di accettare che suo figlio sia un criminale. La madre “si inganna”; in altri termini, introduce uno schema di spiegazione alternativo, strategicamente selezionato al fine di conservare la distinzione, la continuità e la stima del proprio sé. La stima di sé, intesa come capacità di provare soddisfazione per certi stati del sé, individua, secondo Pizzorno, un tipo di rapporto con le cerchie di riconoscimento diverso da quello individuato dal rispetto di sé. La prima ha a che fare con i caratteri del soggetto che sono approvati da altri, e che il soggetto stesso finisce per selezionare positivamente nella valutazione di sé; la seconda si attua invece quando un attore agisce unicamente sulla base del riconoscimento di sé, assumendo, cioè, solo se stesso a cerchia di riferimento. Intorno a queste considerazioni, ha osservato in conclusione Pizzorno, la riflessione è tutt’ora in corso, nel tentativo di comprendere i modi in cui gli attori sociali si definiscono e sulla base dei quali scelgono tra corsi d’azione alternativi. P.B./R.P. Bayle: allegria polemica e piacere logico Animato dal proposito di partecipare al pubblico la ‘allégresse polémique’ e il ‘plasir logique’ che caratterizza la filosofia di Bayle, Pierre Rétat ha tenuto, dal 17 al 21 ottobre 1994, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario dedicato a “PIERRE BAYLE”. Autore di un importante e tutt’ora insuperato studio dal titolo Le Dictionnaire de Bayle et la lutte philosophique au XVIIIme siècle, Pierre Rétat ha aperto il suo seminario tratteggiando le fasi principali della biografia di Pierre Bayle. Nell’affrontare il pensiero di Bayle, Rétat ha richiamato la concezione bayliana della tolleranza, fondata sulla radicale teorizzazione dei diritti della coscienza individuale. Ogni individuo va giudicato in base a ciò che egli ritiene essere verità religiosa, e la società deve poter accogliere tutte le opzioni individuali scelte con lealtà, e motivate da un’autentica ricerca della verità, sia che questa ricerca corrisponda alle prescrizioni della legge divina, sia che, al contrario, le abbia respinte, sia che, per motivi di vario ordine, non le abbia prese in esame. Ma come si estrinseca il principio della 49 libertà di coscienza, ha osservato Rétat, all’interno della filosofia politica di Bayle?. Di fatto, in Bayle, all’ampia libertà accordata all’individuo nella sfera intellettuale ed etica, si accompagna la difesa dell’assolutismo in ambito politico. Al rifiuto della sovranità popolare, ha fatto notare Rétat, Bayle accompagna la decisa condanna della rivoluzione inglese del 1688, e a coloro che considerano la detronizzazione del sovrano inglese a opera di Guglielmo III d’Orange come conseguenza della tradizione protestante, Bayle oppone il principio dell’obbedienza passiva che Moïse Amyraut aveva formulato un quarantennio prima. La difesa bayliana dell’assolutismo monarchico è da ricercarsi, secondo Rétat, nel profondo pessimismo di Bayle, per il quale l’uomo non è in grado di autodeterminarsi, in quanto incapace di scegliere il bene. Ciò che consente invece di rivedere, o quantomeno di mitigare, la lettura del suo pensiero in chiave radicalmente scettica, ha rilevato Rétat, è la sua concezione della storia, o, più propriamente, il suo metodo storicocritico. Con il Dictionnaire Bayle vuole correggere false date, false notizie, liberando un nucleo di verità storica dalla sovrastruttura costruita dall’errore. A questo proposito, Rétat ha richiamato le pagine di Cassirer su Bayle contenute nella Filosofia dell’Illuminismo. Cassirer rileva come Byale non rivolga il dubbio contro il fatto storico, bensì se ne serva come mezzo per scoprire la verità storica stessa; e pur riconoscendo che i fatti storici non hanno la stessa certezza dei dati matematici, ammette che essi siano suscettibili di continuo perfezionamento. Dal punto di vista di una interpretazione fideista, ha osservato Rétat, Bayle appare qui mosso da una profonda rivendicazione di carattere morale. Ne è una conferma la caratterizzazione di “Simonides”, nel Dictionaire, come incapace di formulare una definizione dell’essenza divina. Nel corso dei suoi prolungati indugi, scrive Bayle, Simonide dovette confrontarsi con una serie di obiezioni: il rapporto di Dio con l’estensione, con la libertà, che implicavano una soluzione al problema del male. Nella discussione che oppone un Bayle fideista, profondamente permeato dalle teologia del peccato, a un Bayle “ateo virtuoso”, ha osservato Rétat, ha un suo peso la fortuna che la filosofia bayliana ha trovato nel corso del XVIII secolo. Precursore di Voltaire, come lo considera René Pomeau, Bayle è ugualmente presente nell’Encyclopédie, soprattutto nelle voci redatte dal pastore ugonotto Louis de Jaucourt. A fianco dei rapporti che legano la Francia pre-rivoluzionaria a Bayle, Rétat ha messo in luce molte altre articolazioni che coinvolgono il suo pensiero: le reazioni all’interno del “Réfuge” (Le Clerc, Jaquelot, La Placette, Bernard), come anche il debito nei confronti di Bayle da parte di Shaftesbury e Collins, nonché della Teodicea di Leibniz. M.S. CONVEGNI E SEMINARI Wilhelm von Humboldt Von Humboldt a Tegel Nell’ambito delle Karl Jaspers Vorlesungen zu Fragen der Zeit (Oldenburg), con il convegno “WILHELRN VON HUMB O LDTS H ER MENEN TIK ” dedicato a Wilhelm von Humboldt, si è concluso il ciclo d’incontri, iniziato quattro anni or sono con l’intento d’instaurare un autentico scambio tra discipline e culture diverse. Humboldt, più di ogni altro, ha dimostrato infatti un’infaticabile passione nell’ascoltare e comprendere l’ ‘humanitas’ nella diversità delle sue culture, delle sue lingue, delle sue infinite realizzazioni. Il convegno, tenutosi dal 1 al 3 settembre 1994 a Berlino, ha coronato un dialogo ininterrotto con studiosi di grande rilievo, come Raimundo Panikkar, Carl F. von Weizsäcker, Hans G. Gadamer, Ivan Illich, J. P. S. Uberoi, Humberto Maturana, Marcel Tshiamalenga Ntumba. Forse, le statue silenziose e le sobrie linee del Castello di Tegel, in cui Wilhelm von Humboldt si ritirò nel 1822, già da sole suscitano ammirazione per un pensiero che seppe coniugare l’esatta misura del classico con il desiderio di conoscere e di comprendere ciò che classico non è e non può essere: l’alterità pura delle lingue e delle culture non europee, delle civiltà che non furono né greche, né tedesche. È con questo spirito che ha avuto luogo, nella biblioteca del Castello, grazie all’ospitalità dei discendenti, Ulrich e Christine von Heinz, un convegno dedicato all’opera di Humboldt. Rudolf Prinz zur Lippe, direttore delle Karl Jaspers Vorlesungen, e il suo assistente Rüdiger Schmidt, hanno riunito a Tegel i migliori interpreti di Humboldt: Tilman Borsche, Donatella Di Cesare, Helmut Gipper, Clemens Menze, Jürgen Trabant; ma anche alcuni filosofi e linguisti attenti alla riflessione sull’ermeneutica, tanto dello spirito, come Denis Thouard, Heinz Wismann, quanto della natura, come Wolfgang Neuser, Reinhard Schulz; e, infine, antropologi, come Jorn Beermann, Leopold J. Bonny Duala M’bedy. Tutti gli interventi sono stati concordi nel riconoscere il carattere dialogico del pensiero di Humboldt e della sua dimensione ermeneutica, spesso trascurata dagli storici dell’interpretazione, se si eccettua Joachim Wach. Certo, Humboldt, nel redigere grammatiche, generalmente sconosciute, non elaborò mai un progetto sistematico di ermeneutica; tuttavia il comprendere fu per lui sempre connesso all’atto del parlare, singolarmente individuato, così che l’attività riflessiva della parola e il metodo per investigarla risultano coestensivi. Joseph Simon (Bonn) ha messo in rapporto la filosofia del linguaggio di Humboldt con l’ermeneutica di Gadamer, criticando, di quest’ultimo, il primato “realista” della cosa (ossia della tradizione) a scapito della dimensione dell’alterità e del carattere interlocutorio del dialogo. All’abbandono, da parte 50 di Gadamer, dell’esigenza critica kantiana (ancora sensibile in Dilthey) e alla conseguente “ri-ontologizzazione”, Simon ha contrapposto l’attitudine ermeneutica di Humboldt, contraddisitinta dalla rigorosa assunzione dell’altro e della possibile non-comprensione fra gli interlocutori: per Humboldt, infatti, comprendersi, non è intendersi sulla cosa, bensì interpretare in modo perspicuo singoli discorsi. Spicca così l’originalità delle proposizioni teoriche di Humboldt rispetto alla linea dominante della storiografia dell’ermeneutica, da Schleiermacher a Gadamer, anche se questo non esclude, come ha fatto notare Donatella Di Cesare (Roma), una notevole prossimità tra Humboldt e Schleiermacher in rapporto al modo di affrontare l’universo del linguaggio a partire dal discorso effettivo e dalla fondamentale preoccupazione per l’individualità, trattata con tutta la prudenza richiesta dalla prospettiva trascendentale. Jürgen Trabant (Berlino) ha rilanciato la discussione sul rapporto fra l’ermeneutica e le scienze umane, presentando il dibattito in corso nel dominio della linguistica fra i partigiani, come ad esempio Jäger, d’un approccio comunicazionale, che si rifà a Mead, e coloro, come ad esempio Bierwisch, che si richiamano a un’ottica cognitivista, ricercando, sulla scia di Chomsky, un universale del linguaggio e al contempo dello spirito. Ciò pone il problema del passaggio da un paradigma descrittivo, che autorizza un approccio “comprensivo”, a un paradigma esplicativo, che ricorre a delle procedure formalizzate, e che Humboldt in effetti non ha mai escluso dalle sue ricerche. Wolfang Neuser (Kassel) ha cercato di far valere, a partire dalla Naturphilosophie romantica, considerata come contro-modello rispetto alla natura delle scienze meccaniche, l’utilità dell’ermeneutica per una considerazione alternativa e feconda della fisica. Reinhard Schulz (Oldenburg) ha risituato la concezione che Gadamer ha di Helmholtz, considerato una volta rappresentante del positivismo delle scienze naturali del XIX secolo, un’altra garante dell’universalità dell’ermeneutica. Il paradosso d’una “xenologia” come autentica scienza dello straniero, nei termini in cui è stata proposta da Leopold J. Bonny Duala M’bedy (Düsserldorf) è che, contro la sua intenzione, quest’approccio resta ancora subordinato al logos occidentale. Non meno difficile da definire è l’ambito di una antropologia interculturale, attenta al fenomeno dell’altro, così come è stata delineata da Jorn Beerman (Starnberg). Infine, ricordando l’origine kantiana delle scienze della natura, radicata nell’architettonica della Critica della ragion pura, e la fonte altrettanto kantiana dell’ermeneutica, situata nella soggettività estetica della Critica del Giudizio, Heinz Wismann (Heidelberg) ha rilevato come differenti livelli di razionalità, o per meglio dire, di simbolicità, possano coesistere a condizione che l’istanza della ricostruzione trascendentale operi come un fattore continuo di dedogmatizzazione. D.T. CONVEGNI E SEMINARI Pitagorismo: matematica e filosofia matematica Con il titolo: “IL MONDO DEI NUMERI E I NUMERI DEL MONDO ”, Imre Toth ha tenu- to dal 10 al 13 ottobre 1994 , presso la sede napoletana dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, un seminario dedicato al pitagorismo. Toth ha mostrato come la sintesi pitagorica di numeri e pensiero si ponga come frutto di una speculazione dalle radici antichissime e, allo stesso tempo, come momento di una svolta sostanziale nel cammino della filosofia. Nella prospettiva pitagorica, secondo Imre Toth, matematica e filosofia pervengono a una compenetrazione programmatica, teoricamente positiva. In tal senso, le matematiche (tà mathémata, ciò che viene appreso) non rappresenterebbero più, di fatto, un edificio di calcoli strumentali, radicato nel terreno riproduttivo della téchne, ma, avanzando sul terreno della riflessione, acquisterebbero per la prima volta la valenza di un sapere universale, unico criterio dell’ordine e del lógos. Se già intorno alla metà del terzo millennio a.C. è possibile osservare, presso Egiziani e Babilonesi, l’esistenza di sistemi di calcolo avanzati e ricchissimi di acquisizioni, la novità pitagorica, ha fatto notare Toth, riposa tutta su questo ampliarsi della base prospettica di una disciplina che smette di essere “tecnica”, per configurarsi come “scienza”, che intende comprendere il mondo nei suoi principi, fondarlo su elementi ad esso immanenti, ma che, pure, lo trascendono nell’atto della riflessione. E’ merito dei Babilonesi, ha aggiunto Toth, l’aver introdotto nell’aritmetica un linguaggio simbolico definito, pressoché completo, in base al quale era possibile designare tutti i numeri e le operazioni di calcolo utilizzate. Questa codificazione ha facilitato lo sviluppo di un sistema posizionale binario, paragonabile, nel modo di procedere, ai programmi informatici dei moderni calcolatori. La mancanza della cifra “zero” - di cui non si aveva ancora la perfetta consapevolezza teorica - e la reticenza a concepire numeri frazionari, costituiscono il limite più sensibile del calcolo babilonese. Tuttavia, secondo Toth, sebbene la memoria ellenica tramandi (ad esempio in Erodoto e Platone) la coscienza di una derivazione egizia delle matematiche, le antiche matrici babilonesi sono qui sotterraneamente già presenti: nel II Libro degli Elementi di Euclide, come ha dimostrato il matematico danese Zeuthen, compaiono teoremi e problemi analoghi a quelli reperibili già duemila anni prima nelle tavolette d’argilla di Babilonia. Presso gli Egizi, ha continuato Toth, ad un linguaggio simbolico e decimale non corrisponde più un sistema di scrittura posizionale. Vi si può tuttavia incontrare, per la prima volta, l’idea di un numero “n”, inde- Pitagora finito, e il concetto di numero reciproco. Ma nonostante le frazioni cominciassero ad apparire con pieno diritto all’interno del calcolo, gli egizi non riuscirono ad andare oltre quelle in cui il numeratore non fosse uguale ad uno. Né compare, in Egitto, lo zero: la grafia di questa cifra, ha ricordato Toth, citando il matematico tedesco Martin Ohm, verrà introdotta dall’alessandrino Tolomeo, il quale, abbreviando il greco (oudén, nulla), per primo scrive semplicemente “O”. Dal connubio tra tali presupposti tecnici e teorici e l’attitudine speculativa greca, ha fatto notare Toth, deriva la pretesa pitagorica di tradurre la realtà in termini aritmetici, nella convinzione che l’intero universo non solo sia regolato da leggi matematiche, ma che esso stesso sia “numero”. Qui il numero non è “astrazione”, come affermerà Aristotele, né il “denotato di un concetto”, come lo penserà Frege. Nella concezione pitagorica il numero è la realtà stessa, la sostanza autentica delle cose. Così, ha aggiunto Toth, se nelle aritmetiche egizia e babilonese i numeri non furono altro che strumenti per misurare il mondo, nella matematica pitagorica essi divengono oggetti autonomi, dotati di uno statuto ontico positivo. Uno degli assunti fondamentali della matematica pitagorica, ha osservato Toth, è senza dubbio il principio di originarietà e indivisibilità della “monade”, che rappresenta la base metafisica delle scienze pita51 goriche. Da un lato, infatti, esso afferma l’esistenza oggettiva di un “numero”, quale ente positivo, posto all’inizio di una successione; dall’altro, tiene ferma l’irriducibilità di tale ente. Per render conto, allora, dell’operazione di divisione, i pitagorici introducono il concetto di “relazione”: se la monade è indivisibile, la settima parte di un numero non può essere essa stessa un numero, ma è bensì una relazione ordinata tra due numeri (n:7 # 7:n). La coppia numerica, in cui sussiste la relazione, viene designata dai pitagorici col termine di lógos. In tal modo, ha fatto notare Toth, si costituisce un universo chiuso, che associa tra loro termini il cui comune denominatore è, postulatamente, l’esistenza. Se, come afferma lo storico Rey, quella pitagorica è soprattutto una “aritmo-geometria”, ha poi fatto rilevare Toth, una delle necessarie risoluzioni della teoria dei lógoi non può che essere lo studio delle figure geometriche tramite i numeri, che assumono a loro volta vere e proprie configurazioni spaziali: se l’uno, infatti, è il punto e il due è l’essenza della retta, il tre è quella del piano e il quattro quella del solido. Se dunque ogni cosa è numero, tutte le cose geometriche e le loro misure possono trovare espressione in una coppia di lógoi. Tuttavia lo “sconcerto metafisico”, di fronte alla scoperta che tra il lato e la diagonale di un quadrato non esiste una comune unità di misura, poterà i pitagorici all’aporia dell’esistenza di una grandezza CONVEGNI E SEMINARI reale, priva però di misura; sicché il lógos tra diagonale e lato del quadrato verrà definito come lógos à lógos, una “ragione irrazionale”. Questa scoperta dell’irrazionalità, ha fatto notare Toth, s’impose lentamente all’interno della scuola, probabilmente all’epoca di Zenone. La conseguenza fu il crollo inevitabile della metafisica pitagorica. L’incommensurabilità del lato e della diagonale del quadrato, ha osservato Toth, non solo introduce il problema del nonessere nel dominio dei numeri, ma si pone anche come chiave di lettura ante litteram della speculazione dell’ultimo Platone: il tentativo di rifondare la dottrina delle idee, presente nel Parmenide e nel Sofista, non è mosso da altro che dalla volontà di reperire e di chiarificare la possibilità, all’interno dell’essere, di uno statuto ontologico del non-essere. All’approfondimento di questo tema Toth dedicherà un seminario (“Platone: Geometria e Filosofia”), all’interno del programma dei seminari dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici per l’anno 1995. S.I. Sogno e industria Che l’opera di Walter Benjamin non trovi facile collocazione nella filosofia del ‘900 è cosa nota, ed è altrettanto noto che la difficoltà si ripresenta per tutte le facce del “poliedro” benjaminiano: quella critico-letteraria, quella estetica, quella politica. Il recente convegno “SOGNO E INDUSTRIA . A PARTIRE DA WALTER BENJAMIN ”, tenutosi a Torino dal 21 al 22 ottobre 1994, presso la Galleria d’Arte Moderna, e organizzato, sotto la direzione di Enrico Guglielminetti, dall’Assessorato per le risorse culturali e la comunicazione, in collaborazione con il Goethe-Institut di Torino, ha avuto il pregio di trasformare l’eccentricità benjaminiana da puro dato storico-critico in esperienza e suggestione ambientale. Il convegno si è svolto all’interno di una più ampia rassegna sulle arti decorative a Torino negli anni del Liberty, ossia sull’immaginario della città industriale di fine ‘800. Nella prospettiva di Walter Benjamin, Susan Buck-Morss ha riletto la vicenda dello Jugendstil e il successivo passaggio alle avanguardie: dopo la lunga stagione di fine secolo, l’irrompere delle avanguardie appare a Benjamin come un risveglio rivoluzionario da una sorta di ipnosi collettiva. Un risveglio che, sul piano dello stile, contrappone a un ultimo fantasma di vita organica il trionfo dell’inorganico e della macchina. Rinunciando a un confronto diretto con le tesi benjaminiane, Lucius Burckhardt ha tracciato invece una genealogia dello stile Liberty e più in generale del Moderno in architettura a partire dal genere minore della folly: il padiglione bizzarro che campeggia nel giardino all’inglese, “citando” ecletticamente le forme più lontane ed esotiche. Con la moda ottocentesca della folly, ha osservato Burckhardt, nasce un’architettura di citazione o di secondo grado, che è già “post-moderna”. Nel loro insieme i vari contributi al convegno hanno mantenuto un’impostazione “immaginale”, insistendo, sotto varie angolazioni, sulle immagini-guida (Denkbilder) che costellano il percorso critico benjaminiano. Così Ugo Perone ha messo a fuoco la figura della “soglia”, richiamandosi tra l’altro al lavoro recente di Winfred Menninghaus, che interpreta l’intera opera di Benjamin come una “teoria delle soglie” (Schwellenkunde). La “soglia” è anzitutto il passaggio dalla casa al mondo esterno (e viceversa), luogo ambiguo dove la chiusura protettiva dell’ambiente borghese si apre alle suggestioni del vagabondaggio, o meglio della flanerie. Ma la soglia è anche il labile confine tra la veglia e il sonno, come ha fatto notare Remo Bodei. Ed è anche passage commerciale, emblema della metropoli opulenta e figura-guida della grande opera benjaminiana su Parigi. La “soglia” è, secondo Perone, una “zona”, il luogo paradossale che sospende l’opposizione fra interno ed esterno e in cui Benjamin ama indugiare, avvertendo, nella beata sospensione di quell’indugio, l’aura del paradiso perduto. Se la soglia è anzitutto il passaggio dalla chiusura della casa e dell’infanzia al mondo esterno e alla vita adulta, (la “finestra dell’età virile”), la dimensione della casa e dell’infanzia è già, per altri versi, intimamente ambivalente. Dedicando il proprio intervento allo straordinario microcosmo di Infanzia berlinese, Giulio Schiavoni si è soffermato appunto su quella ambivalenza, per cui la “sicurezza” borghese di fine secolo si popola di fantasmi, e la casa paterna del piccolo Walter diventa lo «scenario ideale per un racconto dell’orrore». Ma c’è un altro luogo, accanto alla casa e alle vie della città-labirinto, che sembra assumere nella memoria di Benjamin i contorni di un mito fondativo: è il “panopticum” circolare della Kaiser-Galerie di Berlino (il cosidetto “Kaiser Panorama”), luogo per eccellenza del sogno ad occhi aperti, e simbolo di una tecnica visiva dalle spiccate potenzialità “visionarie”. Il tema del sogno e quello correlativo del risveglio hanno guidato, almeno in parte, anche le riflessioni di Francesco Remotti. La proposta di Remotti è stata di leggere la figura e l’opera di Benjamin come una vera e propria “antropologia del Moderno”. Lo sguardo di Benjamin sulla cittàlabirinto, ma anche sulla modernità nel suo complesso, sarebbe affine allo sguar52 do dell’antropologo sui mondi arcaici: uno sguardo da flaneur e da “raccoglitore”, da collezzionista. Ma soprattutto, il critico e l’antropologo sembrano accomunati dal drastico rifiuto dello storicismo, di una concezione lineare della storia come mera successione di epoche: è il mito, non il tempo storico, a dominare la visione di entrambi. Il tema del sogno (e del risveglio) entra in gioco proprio a questo punto, come chiave di lettura della visione benjaminiana della storia. Il sogno va inteso infatti come l’immagine nascosta, latente in ogni epoca storica, e in attesa del proprio risveglio: il problema sarà come intendere quel risveglio, se cioè insistere sul momento della “rottura” rivoluzionaria, o su quello propriamente mitico dell’immagine e della sua apoteosi. L’attenzione di Augusto Romano si è rivolta invece, in chiave psicoanalitica, a un possibile inventario delle immagini o delle figure-guida dell’universo benjaminiano: la flanerie, l’interno, il “passaggio”, ma anche la folla, e più in generale la città. Ed è proprio la città a porsi come “esperienza primaria”, assumendo connotati decisamente inquietanti: non solo il passaggio commerciale è un “tempio” la cui divinità mostra un volto demoniaco, la Merce, ma la città intera è posseduta dal “satanismo della merce” e il flaneur vi si aggira avvertendo la presenza del Minotauro. Si ripropone qui, ha osservato Romano, il tema del risveglio nelle sue due valenze, “essoterica” ed “esoterica”. Mentre la prima pensa ancora a una possibile salvezza nella storia, la seconda intende la storia stessa come l’ “incubo” fondamentale, come il carcere gnostico da cui occorre risvegliarsi. Sempre in tema di sogno e di risveglio, l’intervento di Remo Bodei si è soffermato infine sull’attenzione costante di Benjamin per gli stati intermedi tra veglia e sonno a cominciare da quel fenomeno del déja vu che lo appassionava come uno spiraglio patologico sul mistero della temporalità. Qui il dato saliente sembra essere la concezione benjaminiana della rêverie come fenomeno intrinseco alla società industriale. Nel passaggio decisivo tra ‘800 e ‘900 la coscienza collettiva, secondo Benjamin, entra in uno stato di ipnosi, popolato in misura crescente dalle immagini anonime delle nuove tecniche visive: la fotografia, il già citato “panorama”, e infine il cinematografo. L’800 è il secolo in cui la logica del sogno infiltra la logica diurna, come se la crisi delle istituzioni tradizionali - la Chiesa, la Famiglia - richiedesse una compensazione allucinatoria nella forma di una rêverie non più individuale, ma di massa. F.Cu. CONVEGNI E SEMINARI Estraneità e familiarità Dal 20 al 23 settembre 1994, presso la Martin Luther Universität di Halle/ Saale, si è svolto il convegno “FREMDHEIT UND VERTRAUTHEIT. HERMENEUTIK IN EUROPÄISCHEN KONTEXT” (Estraneità e familiarità. L’ermeneutica nel contesto europeo), promosso da H. J. Adriaanse, R. Enskat, G. Ferretti, J. Greisch, U. Perone, M. Potepa, W. Sparn, con il sostegno di importanti istituzioni di cultura italiane ed europee. Sono intervenuti M. C. Bartolomei, G. Crifò, G. Galli, V. Mathieu, U. Perone, J. Petöfi, M. Ruggenini, Paul Ricoeur, Wolfgang Nethöfel e Peter Winch. Tutti gli interventi sono stati in qualche modo intersecati dall’interrogativo se per l’ermeneutica sia ancora questione di prospettive o già di bilanci. L’idea di un’ermeneutica dell’estraneità è sembrata comunque avviare verso scenari filosofici innovativi rispetto alla tradizione ermeneutica. Scopo del convegno era di contribuire: 1) alla revisione della storia dell’ermeneutica, 2) al dialogo tra le ermeneutiche militanti delle principali aree linguistiche europee; 3) all’approfondimento delle connessioni esistenti tra ermeneutica generale ed ermeneutiche speciali, o tra teoria e prassi ermeneutica. Questo contributo è stato svolto specialmente nella direzione di un requilibrio interno della coppia concettuale “estraneità e familiarità”, elemento caratteristico dell’ermeneutica gadameriana, inadeguato, però, alla nuova forza d’impatto dell’estraneità nell’esperienza quotidiana alle soglie del terzo millennio. Ad una “fenomenologia dell’estraneità” nelle sue molteplici forme sul piano di un “ermeneutica del sé” e sotto l’egida della meta-categoria del “medesimo” e dell’ “altro” è stata dedicata la relazione di Paul Ricoeur (“Molteplici estraneità”). La fenomenologia dell’estraneità appare come un’ermeneutica del “patire”, che Ricoeur ritiene si debba intrecciare con una fenomenologia dell’ “agire”, condotta nel segno della nozione aristotelica di essere come “potenza e atto”. Il privilegiamento unilaterale della meta-categoria platonica dell’alterità promuove una “proliferazione dei modi”, quali modi del “patire” medesimo. Perché ci sia alterità, dev’esserci identità. L’alterità si articola in tre direzioni fondamentali: l’alterità della carne o del corpo proprio (tramite il quale viene mediata altresì l’alterità del corpo estraneo); l’alterità di altri; l’alterità della voce della coscienza. Seguendo il contrappunto tra i modi dell’agire (parlare, fare, raccontare, rispondere di una imputazione morale) e i corrispondenti modi del patire, e concentrandosi specialmente sull’alterità della carne, Ricoeur ha valorizzato, nel quadro di una fenomenologia dell’estraneità, so- prattutto la nozione psicoanalitica di “perturbante” (Unheimliches). Quanto poi all’estraneità di “altri”, ha osservato Ricoeur, essa si manifesta essenzialmente nella solitudine e nella incomunicabilità; mentre l’estraneità del “for intérieur” consiste nello slontanamento implicito nello stesso atto interiore dell’autoattestazione o della certezza di sé. L’estraneo, nella forma però del “sovrabbondante”, è stato al centro anche della riflessione di Vittorio Mathieu (“L’ermeneutica come ponte sulla differenza ontologica”). L’ermeneutica vi appare come un esercizio di “riduzione” dell’estraneità mediante il linguaggio. La mediazione linguistica è però veramente necessaria solo nel caso in cui tra il contenuto della comunicazione e lo strumento di essa (cioè le parole) vi sia una differenza ontologica, e non meramente ontica. L’ermeneutica è il ponte tra ciò che non ha figura e ciò in cui esso prende figura. Fuori dell’ambito religioso, è soprattutto l’esperienza artistica a confermare la necessità dell’interpretazione: come interpretazione “in avanti”, in cui l’artista medesimo traduce in una figura individuale il “senso” dell’opera; e come interpretazione “a ritroso”, in cui il critico o il fruitore dell’opera d’arte sospende la cogenza del prodotto che gli sta dinanzi e si reimmerge nella fonte viva del senso. Come - del resto - il senso sta all’opera, così come “l’essere” sta al senso. L’artista trova dunque nell’essere la propria fonte ultima d’ispirazione. Il totalmente estraneo, nella forma innanzitutto della natura non umana, ha dato avvio anche alla relazione di Wolfgang Nethöfel (“La cosa altra, gli altri, l’altro. L’ermeneutica teologica tra media e poteri”). L’attuale disinteresse dell’ermeneutica in generale, e di quella teologica in particolare, per le scienze della natura è solo la traccia della sua origine nel risentimento verso la modernità e verso le scienze esatte. La natura non umana, il totalmente altro, è lo sfondo oscuro dal quale l’ermeneutica si distacca. Tutti i concetti ermeneutici rappresentano il complementare negativo di concetti scientifici. Per esempio, c’è “senso” là dove non c’è “causalità”. A fronte della svolta epocale della modernità verso la post-modernità, o della società della scrittura verso la società dei computer e delle reti informatiche, solo l’ “integrazione” del comprendere con lo spiegare, dell’ermeneutica con le nuove scienze della natura, può dischiudere un accesso alla cosa altra e all’altro, governato dalla responsabilità, e non dalla violenza. Questo processo creativo d’integrazione, nel quale sfumano le differenze sulle quali l’ermeneutica è abituata a operare (natura/cultura), determina anche una revisione radicale della nostra immagine di Dio. Egli non è più tanto pura trascendenza, ma trascenden53 za nell’immanenza. L’ermeneutica teologica, in questa nuova costellazione, può conservarsi solo come pensiero critico. Ad una complessificazione del binomio estraneità-familiarità nel quadro del nuovo ordine della convivenza mondiale è stata infine dedicata la relazione di Peter Winch (“Possiamo comprendere noi stessi?”). Il confine della estraneità passa piuttosto all’interno di ogni singola cultura, che sul limitare di essa. La conoscenza degli altri mondi e giochi linguistici non può fare a meno di riconoscere elementi di familiarità in ambiti che un pregiudizio vorrebbe invece semplicemente estranei. La conoscenza dell’altro non è mai così oscura da doversi risolvere necessariamente nelle forme dell’equivoco o dell’assimiliazione, o non da poter contare su elementi di affinità e di immediatezza. L’ermeneutica, a seconda del contesto cui viene applicata, assume pertanto una doppia funzione di amplificazione o di riduzione dell’estraneità (rispettivamente propria e altrui). Una tavola rotonda conclusiva, moderata da R. Wiehl, ha ripercorso le tappe del convegno che, come ha evidenziato J. Greisch, trova le sue origini nel colloquio, tenutosi a Macerata nel 1990, su “Filosofia e teologia nel futuro dell’Europa”, e ne ha tentato un primo bilancio nella forma di una suggestiva biografia intellettuale (W. Sparn) e con attenzione al problema dei rapporti tra filosofia e teologia (H. Adriaansen), facendo rimarcare l’importanza del fatti che esso si sia svolto nell’antica, e ora in pieno rinnovamento, sede di Halle (R. Enskat). Commentando i numerosi interventi del convegno, U. Perone ha proposto di distinguere tra un’ermeneutica propriamente filosofica, intesa, secondo la sua proposta, come ontologia ermeneutica della finitezza e della modernità. M. Potepa, dal canto suo, ha ripreso in chiave ermeneutica il tema del comprendere, che era già stato oggetto di una vivace discussione nella tavola rotonda tra H. M. Gauger, J. Hörisch e J. Ladrière. I lavori del convegno si sono altresì articolati in conferenze sulla storia dell’ermeneutica (M. Riedel, U. Barth, A. Neschke-Hentschke), in dibattiti, lavori di sezione e conferenze di settore (a cui, tra numerosi altri, hanno partecipato O. Schwemmer, D. von Uslar, J. Grondin, H. Ineiehen, H. R. Jauss, R. Kearney, J. Mardones, I. Dalferth, W. Jeanrond, C. Geffré, H. de Vries, M. Villela-Petit, M. Meslin). E.G./U.P. CONVEGNI E SEMINARI Baruch Spinoza 54 CONVEGNI E SEMINARI Spinoza Dal 3 al 7 ottobre 1994 Jan Sperna Weiland ha tenuto a Napoli, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, un seminario dedicato a “SPINOZA”. Dopo un primo ragguaglio introduttivo su la vita, le opere, le influenze e il fine della filosofia spinoziana, l’attenzione si è spostata su alcuni temi centrali della riflessione spinoziana: l’uomo, lo Stato, Dio, la libertà. Secondo Sperna Weiland il grande fascino della filosofia spinoziana risiede nella dialettica tra negazione della libertà e panegirico della libertà, che culmina nell’ ‘amor dei intellectualis’. Jan Sperna Weiland ha esordito innanzitutto ricostruendo il clima politico e religioso dell’Olanda del ‘600 per arrivare a dimostrare come l’episodio fondamentale della vita di Spinoza sia stata la scomunica del 1567 e l’abbandono della comunità ebraica. Sebbene Spinoza abbia pubblicato in vita solo i Principia philosophiae cartesianae, negli anni in cui il cartesianesimo si era affermato in Olanda, e il Tractatus theologico-politicus, ma in forma anonima (1670), egli dovette difendersi in modo acceso dalle accuse di ateismo e finì per decidere di non pubblicare più. Per quanto la sua opera principale sia l’Etica, Spinoza, ha osservato Sperna Weiland, non intese fornire un’immagine normativa dell’uomo, ma condurlo alla libertà. Punto di partenza di quest’opera è la descrizione fenomenologica dell’esistenza umana al fine di mostrare la potenza della natura umana. L’essenza o natura attuale dell’uomo è il conatus, con il quale ogni cosa tende a perseverare nel suo essere. Ma ciò che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi è la consapevolezza che egli ha tanto del conatus, quanto della sua natura finita. Ogni cosa cerca di perseverare nel suo essere, tranne Dio, che è al di là di questo conatus. La seconda parte dell’Etica, ha proseguito Sperna Weiland, ha per titolo: “Sulla natura e origine della mente”, che però, nella traduzione olandese dell’edizione postuma, suona: “Sulla natura e origine dell’anima”; lo stesso vale per la traduzione francese. In realtà, nell’unità della res cogitans si può distinguere una dimensione spirituale, la mente, di cui tratta invece la terza parte dell’Etica. Nell’uomo, di fatto, troviamo una dimensione spirituale, a cui appartengono idee adeguate e inadeguate, e una dimensione dell’anima, a cui appartengono le passioni. Nella seconda parte dell’Etica, Spinoza definisce tre generi di conoscenza: opinione o immaginazione, ragione, sapere intuitivo. «La conoscenza di primo genere è sempre causa della falsità, mentre quella di secondo e terzo è necessariamente vera». L’Etica è basata sugli assiomi e sul raziocinio: se ragioniamo correttamente, ha osservato Sperna Weiland, seguendo la concatenazione logica delle deduzioni, non può esserci falsità. Tuttavia, la verità e la falsità delle proposizioni e delle dimostrazioni dipende interamente dalla verità delle definizioni, dei postulati, degli assiomi; proprio perciò c’è bisogno di un terzo genere di conoscenza chiara e distinta e necessariamente vera. In tal senso, secondo Weiland, la filosofia di Spinoza può essere considerata un esempio di razionalismo seicentesco, a condizione che la si intenda come un razionalismo condizionato da un’intuizione che va al di là dei limiti della ragione. Inoltre, nell’intenzione di descrivere fenomenologicamente la realtà dell’essere umano, sembra emergere uno sviluppo che da Spinoza porta fino alla fenomenologia di Husserl, in cui tutto riposa in una intuizione della “cosa stessa”. Nella quarta parte dell’Etica, ha proseguito Sperna Weiland, Spinoza afferma, nel condurre l’analisi delle passioni, che l’affetto fondamentale che si mostra in tutte le passioni è la cupiditas, l’aspirazione a raggiungere la felicità, il bene. La cupiditas è l’essenza stessa dell’uomo, così come il conatus è l’essenza stessa di ogni cosa. La “letizia” è la passione che conduce la mente ad una maggiore perfezione o potenza, la “tristezza”, al contrario, diminuisce la potenza. Cupiditas, letizia e tristezza sono le tre passioni fondamentali da cui derivano tutte le altre. Il Tractatus teologico-politicus fu scritto nel 1670 sotto il governo De Witt, che aveva inaugurato una politica di tolleranza e libertà limitata. Nel Tractatus Spinoza dimostra tuttavia che la libertà di filosofare non solo non mette in pericolo la pace e la pietà della repubblica, ma addirittura si può dire che senza libertà di filosofare non può esservi vera pace e vera pietà. Spinoza, quindi, non difende la tolleranza, che è condizionata, ma la libertà, che è illimitata. Egli adotta per il tema politico lo stesso metodo usato per quello antropologico; non propone, cioè, un’immagine normativa, ma delinea fenomenologicamente l’uomo nella realtà sociale, per poi descrivere il passaggio dallo stato naturale a quello civile. Per Spinoza nessuno è meno adatto al governo dello Stato dei filosofi e dei teorici, i quali hanno una visione idealistica della natura umana. I politici, invece, partono da una considerazione realistica, per cui riconoscono la malvagità insita nella natura umana e si industriano per prevenirla, sebbene anche in questo caso vi sia un atteggiamento idealistico. Tra stato naturale e stato civile, ha aggiunto inoltre Sperna Weiland, vi è in Spinoza la distinzione convenzionale che si trova in Hobbes e nel Contratto sociale di Rousseau. Lo stato naturale è regolato dal suum esse conservari, dalla cupidità, che crea un “diritto di natura”, il diritto, cioè, del più forte, la hobbesiana “guerra di tutti contro tutti”. Se nello stato naturale si ha diritto a tutto, allora non può esservi peccato se non verso se stessi: nessuno, infatti, è tenuto, per diritto di natura, a comportarsi secondo la volontà altrui e ritenere bene o male se non ciò che è tale per sua volontà. Ora, poiché la prima legge di natura, la conservazione, ri55 chiede la pace, il fondamento dello stato civile è sempre e solo il suum esse conservari. Per Spinoza, nello stato civile vi dovrà dunque essere un patto, un contratto, delle leggi da rispettare; l’uomo sarà cittadino e teoricamente i cittadini sono una moltitudine guidata come da una sola mente. Il vantaggio dello stato civile è nella condizione di sicurezza, nella libertà di filosofare ed anche nella possibilità che si realizzi un certo altruismo. Lo svantaggio consiste nella rinuncia al proprio diritto su tutto, limitato dalla necessità di rispettare le leggi. In realtà, ha osservato Sperna Weiland, nella sua concezione di Stato razionale Spinoza non può immaginare una situazione in cui il dettame della ragione possa negare le leggi dello Stato. Per quanto riguarda l’accusa di ateismo che i contemporanei rivolsero a Spinoza, Sperna Weiland ha fatto notare che questi dimostrò sia a priori, secondo un “ordine geometrico”, sia a posteriori l’esistenza di Dio, ente di cui è impossibile pensare che non esista e non agisca: quello di Spinoza non è un Dio statico, bensì attività continua, actus purus, assolutamente infinito, secondo la formula scolastica. Dio, inoltre, è sostanza. Se Dio è sostanza e la sostanza è in sé, indipendente, causa sui, allora per Spinoza l’essenza di Dio implica l’esistenza: una concezione di Dio, questa, in cui si può leggere una trascrizione filosofica dei principi della fede giudaica. Dio, causa di sé, è causa di tutto ed è causa libera. Infatti, se Dio è in sé e non in altro, non può essere costretto da nulla. Inoltre, ha aggiunto Sperna Weiland, Dio non è fuori del mondo; egli è “causa immanente”, non transitiva, di tutte le cose che sono in lui: Dio sive natura. Ma questa è una coincidenza paradossale, coincidentia oppositorum, in quanto Dio rimane l’essere infinito; il mondo, invece, l’insieme delle cose finite. Poiché l’infinito non è l’insieme delle cose finite, e queste non saranno mai infinite, Spinoza parla di natura naturans e natura naturata. Nel Breve trattato, Spinoza afferma che la natura naturata universalis consiste di modi che procedono “immediatamente” da Dio; in quanto modi, sono tuttavia distinti da Dio, sebbene procedendo immediatamente da esso, sono infiniti nel loro genere e immutabili. Di questi modi infiniti noi conosciamo solo l’intelletto infinito e il moto e la quiete. Spinoza, ha fatto notare Sperna Weiland, fatica per introdurre nella “natura naturata” l’intelletto infinito e l’infinità di moto e quiete, e gettare così un ponte tra le cose infinite e quelle finite. Più che all’emanatismo neoplatonico, Spinoza sembra qui ispirarsi alla mistica ebraica. In conclusione Sperna Weiland ha mostrato come in Spinoza il cammino verso la libertà parta dalla cupidità per qualcosa che non sia vano e futile. La cupidità, come essenza attuale dell’uomo, istinto a conservare il proprio essere, permane in tal senso nella sua dinamica, spostando però il desiderio dalle cose futili al vero bene. La gratia cooperans, a sua volta, aiuta a liberarsi dalle passioni, in quanto giunti alla vera conoscenza di Dio si CONVEGNI E SEMINARI trova l’amore verso Dio. Nella quinta parte dell’Etica Spinoza afferma infatti che la libertà non è che amor dei intellectualis in cui, ha osservato Sperna Weiland, sembra esserci contraddizione tra i due elementi dell’amore e dell’intelletto; in realtà per intelletto, contemplazione, Spinoza intende qui qualcosa di diverso da ciò che noi chiamiamo ragione. Quando Spinoza sostiene che ogni cosa è effetto di una causa determinata, contraddice, secondo Sperna Weiland, ciò che egli stesso afferma dell’agire umano, e cioè che l’uomo, interrompendo la serie delle cause, agisce, è attivo, quando è causa adeguata di ciò che accade in lui e fuori di lui; è passivo, invece, quando accade qualcosa di cui egli è causa parziale. La metafisica di Spinoza, ha osservato Sperna Weiland, sembra escludere l’azione; mentre l’etica lega ad essa la beatitudine. Di fatto, senza la libertà non si può entrare nella filosofia di Spinoza; con la libertà non vi si può restare. La soluzione può esservi se si limita la causalità al mondo naturale e la si esclude dal mondo intellegibile e si riconosce che il linguaggio delle scienze e quello del piano intellegibile sono separati. In quest’ottica, Spinoza non può che lasciarsi alle spalle l’impianto stringente della metafisica. F.F. Italo Mancini: kerigma e prassi Promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università di Urbino - fondato e diretto per tredici anni da Italo Mancini - e organizzato in collaborazione con l’Editrice Morcelliana di Brescia e con la rivista “Humanitas”, si è tenuto all’Università di Urbino, nei giorni 14-15 ottobre 1994, un convegno di studi sul pensiero di Italo Mancini, dal titolo: «KERIGMA E PRASSI». Come ha tenuto a precisare nell’intervento di apertura Piergiorgio Grassi, successore di Mancini nella direzione dell’Istituto, il seminario di studio ha inteso avviare una prima riflessione sistematico-critica sull’itinerario filosofico-teologico del filosofo urbinate, dalle indagini ontologico-metafisiche, alla filosofia della religione e all’ermeneutica del cristianesimo, alla filosofia del diritto. Tra i partecipanti, che, amici o colleghi, hanno conosciuto Italo Mancini più da vicino: Pasquale Salvucci, Carmelo Vigna, Franco Totaro, Giovanni Ferretti, Antonio Pieretti, Francesco D’Agostino, Luigi Alfieri, a cui si sono accompagnati interventi di: N. Bosco, Faggiotto, T. Perlini, A. Milano, E. Moroni, M. Cascavilla, M. Cangiotti, Fr. S. Festa. In generale, tutti i relatori e gli intervenuti al dibattito si sono trovati d’accordo, in maniera esplicita o implicita, su alcune premesse fondamentali: 1) che in Italo Mancini la filosofia della religione si risolve in erme- neutica; 2) che questa risoluzione deriva dal fatto che Mancini ha voluto proprio considerare la religione come kerigma; 3) che il metodo, poi, di questa peculiare Filosofia della religione è determinato dal “riconoscere”, mediato da tre livelli di pre-comprensione: “dottrinale”, “vitale” ed “esistenziale”. Nella sua relazione, Carmelo Vigna ha inteso cogliere nel nucleo di Ontologia fondamentale, apparso nel 1958 (lo stesso anno di La struttura originaria di Emanuele Severino) quel “presupposto” ontologico che il successivo pensare ermeneutico non avrebbe certo mai del tutto “disperso”. L’intera scansione del percorso manciniano, dall’ontologia all’ermeneutica della «grandi masse di vita religiosa» (Dilthey), sino alle “grandi masse di vita giuridica”, è stata tracciata innanzitutto da Giovanni Ferretti, che ha individuato lo spartiacque tra il momento ontologico e quello ermeneutico: Mancini fa riferimento non alla religione “naturale”, che la sola ragione potrebbe fondare, bensì alla religione come “figlia della Parola di Dio”, cioè come Rivelazione e Kerigma, parola che irrompe barthianamente nella storia quotidiana dell’umanità, sconvolgendola. Di qui, ha osservato Ferretti, l’impegno di Mancini ad affrontare il Kerigma, non solo con “armi” teologiche, ma anche filosofiche, più fortemente teoretiche e “prassiologiche”, criticando le cosiddette “forme spurie” di Filosofia della religione - l’ermeneutica “tradizionale”, la riduzione illuministico-liberale, lo strutturalismo, la mera esperienza di vita religiosa traendo da esse motivi ed argomentazioni per proporre una nuova Filosofia della religione, condensati in una domanda cruciale: “quale e quanta filosofia può sopportare il kerigma cristiano?” Sulla base di questa domanda Mancini sviluppa tre aspetti della struttura ermeneutica: linguistica del dato, pre-comprensione del dato come schema di possibilità, pre-comprensione vitale come esigenza del “contagio” storico, sociale e culturale, la cui articolazione permette all’ermeneutica di coniugare la religione con la filosofia. La consapevolezza della non-conclusività della mediazione ermeneutica induce Mancini, negli ultimi tempi, a formulare una sorta di dostojevskiana “logica dei doppi pensieri” (la figura di Keller ne L’idiota), dove gli elementi di kerigma, prassi e decisione esistenziale vengono “colti” in una relazione “paradossale” di elementi contrari ed opposti, non unificabili né logicamente, né dialetticamente. Su questo momento estremo di “stile dell’esistere” di Mancini si sono soffermati Antonio Pieretti e Franco Totaro, che ha felicemente coniato per la filosofia di Mancini l’espressione di “ontologia militante”, quasi a voler tenere insieme sia il “debito ontologico bontadiano”, sia l’apertura «ai dati di ogni genere [...] in vista del significato, di quei pochi o molti significati intesi come “quanta” assiologici che aiutino a vivere ed a dare senso alla vita». Con la riscoperta delle “anfibolie” gianesche della realtà, Totaro ha fatto notare l’emergere in Mancini di categorie non sempre lineari, piutto56 sto “magmatiche”, capaci di interpretazioni inesauribili in nome della logica del “paradosso”: il significato cresce sul dato. Mancini, ha concluso Totaro, opera un passaggio decisivo da un modello di razionalità prevalentemente ontologico ad un modello di razionalità prevalentemente ermeneutico». Sui presupposti dottrinali, richiamati da Totaro e Ferretti, Antonio Pieretti vede basato il “progetto puro” del “cristianesimo radicale” e del suo rapporto con le altre culture; un progetto, questo di Mancini, che poggia su un paradosso, quello della “doppia fedeltà” (espressione definitiva della “logica dei contrari” e “logica dei doppi pensieri” ricordata da Totaro): fedeltà a Dio e alla laicità del mondo; due grandezze separate, ciascuna considerata un “totum”, con cui Mancini fa salvo, per un verso, il rispetto della sovranità assoluta di Dio e, per l’altro verso, l’autonomia e la libertà dell’uomo, della sua storia e della sua vita. Luogo preciso, in cui Mancini vede sia possibile l’esperienza del paradosso di questa duplice fedeltà a Dio e al mondo, è, secondo Pieretti, la “vita morale”, dove la distinzione che separa le due fedeltà è vissuta, oltre che come opposizione reale, anche come una relazione di opposizione. E’ su questo terreno che, secondo Mancini, può prendere forma anche quella cultura e quella prassi di riconciliazione, non concepita come sintesi di opposti, ma assunzione delle differenze nel rispetto delle autonomie irriducibili. Sul tema della “fedeltà alla terra” e sul modo come Mancini abbia tentato lui stesso di testimoniarla e realizzarla, si sono soffermati Francesco D’Agostino e Luigi Alfieri, sottolineando come lo sbocco naturale della ricerca di Mancini, che sin dall’inizio s’era prefisso il compito di combinare “lo studio del mondo di Dio” con “lo studio del mondo dell’uomo”, dovesse essere quello di allargare la base della sua precomprensione “esistenziale” nella direzione della praxis. D’Agostino, in particolare, ha delineato il tragitto di Mancini dallaFilosofiadellareligione alla Filosofia del diritto. D’Agostino ha documentato come dall’ermeneutica della religione, dalla precomprensione del dato rivelato, dall’ermeneutica della rivelazione, la filosofia di Mancini si risolva naturalmente nel passaggio ad un’ermeneutica della “positività” dell’umanità, ovvero delle “opere e dei giorni” dell’uomo, di ciò che l’uomo crea e produce, quotidianamente, in modo inesausto. Quasi con la segreta aspirazione a far sì che il diritto possa giungere a contenere quanto più possibile dell’ “etica” cristiana, dell’annuncio di Gesù Cristo, nella sua elaborazione della Filosofia della Politica e del Diritto, Mancini si pone nel solco dei grandi pensatori cristiani, consapevoli di una storia dell’umanità di per sé “portatrice di valori”, ove si avverte l’incidenza insostituibile della “profezia cristiana” nell’elaborazione di un “ethos” tale da essere all’altezza di riuscire a costruire un futuro adeguato alle aspettative dell’uomo. L’approfondimento della praxis operato da Mancini, ha invece fatto notare Alfieri, «conduce a due strade, non alternative, ma con- CONVEGNI E SEMINARI correnti. Una è la strada dell’utopia» che consente di mantenere l’esigenza dell’eticità, evitando di oggettivarla in una qualsiasi forma della contingenza. L’utopia, secondo Mancini, è «apertura al possibile, inesauribilià del progettare, storicità che non si irrigidisce mai in nessuno dei suoi momenti e che, ben più autenticamente di qualunque pretesa fondazione metafisica della verità, può rappresentare anche l’apertura alla trascendenza, lo slancio dell’uomo al di là di se stesso, oltre la contingenza ed oltre la nostra stessa morte, come già Bloch, “ateo per amore di Dio”, aveva ben saputo vedere». L’altra via, ha fatto notare Alfieri, è quella del radicamento esistenziale della giustizia nella figura dell’ “uomo giusto”, per evitare che la giustizia rimanga astrazione intellettualistica, «virtù meramente retorica e cartacea [...]». Questo implica, evidentemente, una completezza umana che richiede l’andar oltre la dimensione della pura ragione, così come quella del diritto stretto e della moralità astratta richiede l’andare “verso l’altro”, anch’egli inteso nella sua pienezza umana, come presenza assorbente a cui l’io fa dono di sé. Qui, ha concluso Alfieri, «non c’è niente di utopico: la pienezza del senso è letteralmente a portata di mano, in ogni momento, nel più semplice e quotidiano dei gesti: una mano che carezza un volto». In questa inseparabilità di diritto e giustizia si fonda di fatto la filosofia del diritto di Mancini e il necessario trapasso del diritto nella sfera della politica. Ha fatto da cornice all’intero incontro urbinate una singolare mostra fotografica dal titolo: “Don Italo: una storia al di là del mito”, curata da una delle allieve di Mancini, Ennia Temellini, che ha inteso rappresentare le tre anime di Italo Mancini: del filosofo, del maestro e del sacerdote. Gli Atti del convegno appariranno nel corso del 1995 sulla rivista “Hermeneutica” - Nuova Serie, edita dal 1994 dalla casa editrice Morcelliana di Brescia. S.T./T.La R. Morale e politica Dal 3 al 7 ottobre 1994, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Vittorio Hösle ha tenuto un seminario su “MORALE E POLITICA”, mettendo in evidenza alcune problematiche connessioni ed altre insanabili divergenze che tali concetti mostrano in seno alla modernità, sia dal punto di vista storico-genealogico, sia da quello teoreticofondativo. Vittorio Hösle ha esordito rilevando l’esigenza di una nuova scienza politica, diagnostica e terapeutica, che rifletta i profondi mutamenti della civiltà occidentale dopo il crollo del comunismo. Con il crollo delle categorie progressive dell’Illuminismo, la pace universale si è trasformata in violenza esplosiva tra gli Stati, la crescita dei bisogni ha ingenerato un’enorme povertà alla periferia del benessere, mentre l’espansione della libertà individuale ha condotto a un diffuso indifferentismo politico. Dal punto di vista storico, la scissione tra essere e dover essere nel rapporto individuosocietà si è fatta sempre più forte. Sebbene al mondo greco mancassero gli ideali universalistici della modernità, i Greci, ha osservato Hösle, si sono interrogati per primi circa la bontà delle varie istituzioni politiche, cominciando a legittimare il politico con argomenti morali. La teoria delle idee espressa da Platone nella Repubblica rinviava ad una critica dei valori della propria cultura sulla base di un oggettivo, e non “soggettivo”, dover-essere, modellato sul passato e radicato nelle esigenze della comunità. L’omologia platonica tra città, anima e cosmo non lasciava spazio ad alcun finalismo storicopolitico, e faceva dipendere il valore di un uomo dalla conoscenza razionale, che doveva essere sacrificata al bene della comunità. Questo paradigma, ha rilevato Hösle, entra in crisi già con Aristotele e poi con l’Ellenismo, aprendo la scissione tra eudaimonismo morale (particolarismo) e normativismo politico oggettivo. Il pragmatismo della cultura romana, da parte sua, porta a una giustificazione a posteriori, giuridica e immanente, del sistema politico. Solo con il cristianesimo, come religione soteriologica, s’impone definitivamente il divario fra morale e politica, con la svalutazione della seconda, e un rovesciamento completo del modello greco. Dopo l’opposizione medievale fra Stato e Chiesa, se la Riforma contrappone alla totalità intersoggettiva la solitaria coscienza morale, lo Stato territoriale favorisce la scollatura fra soggettività atomistica e concentrazione del potere. L’utopia di Moro e la strategia del Principe di Machiavelli, ha osservato Hösle, partono da un’analisi morale della società storicamente data e dalla dissociazione che il cristianesimo ha prodotto tra etica e politica. In Machiavelli tuttavia emerge la figura del politico, come di colui che serve lo Stato, strumentalizzando sia i soggetti che le procedure in vista del potere. Assai più cogente dal punto di vista teorico, il metodo di Hobbes porta ad una scienza meccanicistica del politico e dello Stato, fondata antropologicamente. L’universalismo egoistico hobbesiano sancisce un nuovo concetto di virtù politica inaugurato da Machiavelli e basato sul diritto naturale. All’autorità tradizionale si sostituisce la razionalizzazione giuridica dei mezzi per ottenere e conservare il potere, e per evitare la violenza. Sul piano empirico, la morale si distanzia dalla politica, in quanto l’egoismo economico capitalistico offre risultati positivi per la totalità del sistema statale e la categoria del politico viene subordinata al suo funzionamento ottimale. Hösle ha poi analizzato il problema moralepolitica dal punto di vista teorico, distinguendo fra “cratologia” (regole e strategia di una lotta di “forza” per il potere) e politica vera e propria, di cui la cratologia è solo una 57 parte. Senza cratologia, ha osservato Hösle, non vi è politica; ma bisogna respingere la riduzione della morale a cratologia nell’ambito della politica occidentale. Gli scopi e le competenze richieste dall’azione politica implicano la capacità “morale” di decidere per il benessere comune e di mediare oltre la logica ristretta di uno Stato o di un gruppo di potere. L’etica, ha fatto notare Hösle, può argomentare riflessivamente sulla moralità relativa di un’azione politica o di uno Stato e fondare la filosofia politica sulla filosofia del diritto, stabilendo la legittimità morale di “ogni” azione politica relativa. In questo senso essa si distingue dalle scienze sociali, che descrivono fenomenologicamente la politica. Richiamandosi a Kant, Hösle ha posto l’accento sui problemi dell’etica normativa, che ha bisogno, per realizzarsi e operare storicamente, della comunicazione e della persuasione. Per questo sono necessari una “mediazione” tra universalismo etico e rigoroso intenzionalismo kantiano, una “conciliazione” tra etica kantiana ed etica utilitaristica. Il principale difetto dell’universalismo etico è l’astrazione dal particolare in virtù dell’idea di giustizia. Il formalismo etico non si preoccupa della distinzione asimmetrica tra doveri perfetti e imperfetti, come anche delle differenze tra individui che hanno una rilevanza morale. Il principiodigeneralizzabilità, haosservatoHösle, essendo relativo e ipotetico, non è sufficiente a fondare l’etica; mentre le relazioni emozionali fra soggetti sono compatibili con l’universalismo etico e con una metafisica della vita. Secondo Hösle si può relativizzare l’idea di giustizia nella filosofia politica e proporre un’etica materiale dei valori e dei doveri, fornendo ad essi concetti comparativi, non astrattamente classificatori. Contro Kant, ha quindi sostenuto Hösle, l’etica ha bisogno dell’esperienza, ma non viene “confutata” dal fatto dell’esperienza. Piuttosto, la problematicità della definizione di un soggetto morale, l’insondabilità della vita interiore, la complessità del riconoscimento intersoggettivo, le barriere culturali indicano invece l’emergenza di una capacità ermeneutica all’interno dell’etica. L’ermeneutica consente all’etica di porsi il problema della comprensione dell’altro, della sua diversità morale nel medio della comunicazione, e di colmare parzialmente quel divario tra complessità dei mezzi e lontananza dei fini, che caratterizza il mondo contemporaneo. Hösle ha infine analizzato alcuni problemi strategici e cairologici concernenti l’azione politica in rapporto alla morale, facendo riferimento alla teoria dei giochi ed a quella delle decisioni: esse possono essere assunte dal politico, ma con restrizioni morali e con criteri oggettivi (seppur non deterministici) di validità. Analogamente, non si può ascrivere al successo il valore di un’azione politica che richieda una decisione morale - da compiere “prima” di poterne valutare la buona riuscita: pragmatismo e probabilismo sono due estremi che escludono la moralità dalla prassi politica, anche se resta impossibile superare e sanare completamente il divario fra le due. E.de C. CALENDARIO Nel marzo 1995, Reiner Wiehl ha tenuto presso il Dipartimento di Filosofia della III Università degli Studi di Roma un ciclo di seminari su La “psicologia delle visioni del mondo”. Questi i temi affrontati nelle singole sedute seminariali: 10 marzo: “La Psicologia delle visioni del mondo tra psicologia comprendente e filosofia profetica. Il confronto di Jaspers con Nietzsche e la critica neokantiana alla filosofia della vita”; 17 marzo: “Gli atteggiamenti del soggetto e le esperienze dell’autocoscienza. Jaspers e la Fenomenologia dello spirito di Hegel; 24 marzo: “L’esistenza umana nelle situazioni-limite. Ragione ed esistenza. Il kantismo di Jaspers”; 31 marzo: “Il confronto di Heidegger con la Psicologia delle visioni del mondo. Il confronto implicito tra Jaspers e Heidegger. Sempre presso la III Università degli Studi di Roma, Language and the construction of social reality è stato invece il tema di un ciclo di lezioni, tenuto nell’aprile 1995 da John Searle. Questo il calendario degli incontri: 21 aprile: “The Building Blocks of Social Reality”; 28 aprile: “The General Theory of Institutional Facts”; 5 maggio: “Forms of Institutional Power”; 12 maggio: “Does the Real World Exist?”. Informazioni: Segreteria del Dipartimento di Filosofia, via Magenta 5, 00185 Roma, tel. 06 491 632 - 491 629, fax 06 446 2428. • Multimedia, medicina, felicità e solitudine: questi i temi di alcuni incontri organizzati nel mese di maggio 1995 dalla Casa della Cultura di Milano. 4 maggio: Il multimedia è morto, viva il multimedia, a cura di E. Mango, F. Mizzau, F. Vagliasindi; martedì 9 maggio, in occasione della pubblicazione del libro di Giorgio Cosmacini, La qualità del medico. Per una filosofia della medicina, si è parlato de I fondamenti filosofici della medicina, con interventi di G. Cosmacini, G. Giorello, A. Malliani, F. Papi; martedì 16 maggio: presentazione del volume: La felicità. Saggio di teoria degli effetti, di Salvatore Natoli, con interventi di C. Formentini, C. Sini, M. Vegetti; giovedì 25 maggio: presentazione del volume: La solitudine: forme di un sentimento, a cura di E. Morpurgo e V. Egidi Morpurgo, con interventi di S. Vegetti Finzi e F. Petrella. Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano, tel 02 795567. CALENDARIO a cura di Luisa Santonocito Informazioni: Istituto Italiano per •gli Studi Filosofici, via Monte di Dio 14, storia economica”. Il 20 giugno si è inoltre tenuta una tavola rotonda sul tema “Speranze e paure della tecnica” con P. Barcellona, F. Barone, E. Lorenzini, P. Rossi. Informazioni: Istituto Banfi, via Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia, tel. e fax 0522 554360 Napoli, tel: 081 7646907. • In occasionedella pubblicazione dei volumi Storia del nulla di Sergio Givone e Cristianesimo senza redenzione di V. Vitiello, sabato 13 maggio 1995, l’Associazione Alfredo Guida Amici del Libro di Napoli e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, hanno organizzato un incontro con M. Cacciari e B. Forte sul tema: Cristianesimo e Filosofia, presso la libreria Guida Port’Alba di Napoli. Informazioni: Associazione Alfredo Guida Amici del Libro, via Port’Alba 19, Napoli, tel. 081 - 290768/446377 Le Centre d’Etudes du Saulchoir in collaborazionecon l’Association pour l’Etude de Catherine de Sienne ha organizzato, sabato 13 maggio 1995, una giornata di studio su “L’extase”, phénomène mystique et notion théologique. Un seminario di studi è stato invece organizzato dal Centre, in collaborazione con l’Ecole Biblique et Archèologique Francaise, su Notre victoire sur la mort selon les données bibliques con il seguente programma: martedì 6 giugno 1995: “Le thème de la résurrection (pensée sèmitique) en Dan 12,1-3 et 1 Cor 15,35-57”; giovedì 8 giugno: “Le thème de l’immortalité (pensée grecque). Un compromis entre thèmes grec et sémitique en Sag 1-9 et 2 Cor 3-5 (spécialement 5,1-8)”; martedì 13 giugno: “La pensée de Jésus selon les quatre évangiles: résurrection ou immortalité?”; giovedì 15 giugno: “Lesapparitions du Christ ressuscité. Conclusions, aspects philosophiques de la question”. Il seminario, che si terrà presso il Convento di SaintJacques (20 rue des Tanneries, Parigi), vedrà la partecipazione di M. E. Boismard. Informazioni: Le Centre d’Etudes du Saulchoir, 43 bis, rue de la Glacière, 75013 Parigi, tel (1) 44 08 71 97. • In occasione della presentazione del volume Individuo e modernità. Saggi sulla filosofia di Hegel (Guerini e Associati, Milano 1994), giovedì 25 maggio 1995, presso il Dipartimento di Studi Filosofici ed Epistemologici dell’Università “La Sapienza” di Roma, si è tenuto un incontro con R. Bodei, G. Cantillo, F. S. Trincia, V. Verra. Informazioni: Dipartimento di Studi Filosofici ed Epistemologici, Università “La Sapienza”, Villa Mirafiori, via Nomentana 118, Roma. 02 809431. Promosso dal Goethe Institut di Torino e dal Dipartimento di Ermeneutica dell’Università degli Studi di Torino, si è tenuto, dal 25 al 27 maggio 1995 presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino, un convegno internazionale su: Romanticismo e modernità. La sessione inaugurale di giovedì 25 maggio, su “Romanticismo: teoria e storia”, ha visto interventi di E. Beheler: “La teoria della storia del primo romanticismo in conflitto con l’illuminismo e l’idealismo trascendentale”; O. Poggeler: “Il punto d’osservazione alto ed ampio della storia dell’umanità. Concezioni della filosofia della storia intorno al 180"; M. Frank: “Ogni verità è relativa ogni sapere simbolico. Il fondamento scettico della Fruhromantik: Jena 1796”. Venerdì 26 maggio, la seconda sessione è stata dedicata alla “Filosofia della Religione” con interventi di H. Timm, “Dove la natura si è fatta libertà. La religione creatrice della Fruhromantik”, e D. Henrich, “Critica e teoria della religione dopo Kant”. Nel pomeriggio si è parlato di “Filosofia dell’arte e della natura” con interventi di G. Carchia: “Il romanticismo come concetto sistematico”; S. Givone: “Nel segno di Dioniso”. La sessione si è conclusa sabato 27 maggio con K. H. Bohrer: “Il fantastico romantico come coscienza che non ha più centro”, e F. Moiso: “Filosofia trascendentale e teoria della fisica nel romanticismo”. E’ seguita poi una tavola rotonda su: “Romanticismo come modernità?”, a cui hanno partecipato A. Chiarloni, P. Derossi, G. Paolini, U. Perone, F. Vercellone, V. Vitiello, S. Zecchi. Informazioni: Dipartimento di Ermeneutica dell’Università degli Studi di Torino, via San Ottavio 20, tel. 011 8125780. • • • L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in collaborazione con il Dipartimento di Filologia Classica dell’Università di Napoli «Federico II» ha organizzato, dal 24 al 26 maggio 1995 a Napoli, due giornate di studio su F. A. Wolf e la scienza dell’antichità. Informazioni: Istituto Italiano per gli Sudi Filosofici di Napoli, Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14, Napoli. • Per il ciclo di incontri La tecnica e le sue immagini, organizzato dall’Istituto Banfi di Reggio Emilia nell’ambito del progetto pluriennale dal titolo complessivo Culture della tecnica, l’8 maggio 1995, D. Noble ha tenuto una relazione su “Fantasie tecnologiche”; il 9 maggio M. Palazzi ha invece parlato di “Lavoro femminile e tecnologia” e P. Manacorda di “Tecnologia e vita quotidiana”; il 19 e il 20 giugno N. Rosenberg e R. Giannetti hanno tenuto due conferenze rispettivamente su: “La dinamica storica dell’Innovazione” e “Tecnica e I.S.U. Ufficio Cultu•ra, C.soInformazioni: di Porta Romana 19, Milano, tel. L’AssociazioneNazionale dei Magistrati, la Giunta Distrettuale di Napoli, l’Associazione Italiana Giovani Avvocati della sezione di Napoli e l’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli sono stati promotori del I Seminario di studio sulla procedura penale, tenutosi da marzo a giugno 1995, presso Palazzo Serra di Cassano a Napoli. Sulla “Valutazione della prova” sono intervenuti, venerdì 5 maggio: V. Albano, M. Cerabona, P. Mancuso; lunedì 22 maggio: A. Briganti, a. D’Alterio, L. Riello hanno discusso di “Misure cautelari personali e reali. Impugnazioni”. La sezione di venerdì 9 giugno, a cura di S. Iovane, S. Iovino, S. Torraca, è stata dedicata al tema della “Esecuzione”. • In occasione della pubblicazione del volume Walter Benjamin lettore di Kafka (Edizioni Unicopli, Milano 1995), giovedì 25 maggio 1995, presso la Sala Incontri dell’Istituto per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università degli Studi di Milano, si è svolta una conversazione su Benjamin interprete di Kafka con E. Agazzi, L. Bonesio, G. Penzo, G. Scaramuzza. 58 Challenges to Law at the End of the 20th Century è il titolo del prossimo Congresso Mondiale IVR (Internationale Vereinigung fur Rechts und Sozialphilosophie) che si tiene a Bologna dal 16 al 21 giugno 1995. Dopo la giornata di apertura di venerdì 16 giugno, il programma prevede le seguenti sessioni: sabato 17 giugno: “Diritti e altre forme di tutela giuridica”, con interventi di S. Cotta, G. Martinez, A. Heller, A. Sen; domenica 18 giugno: “Nuove forme di sovranità e cittadinanza”, con interventi di L. Ferrajoli, A. Bayefsky, J. Habermas, R. Dworkin; lunedì 19 giugno: “Antiche e nuove fonti del diritto”, con interventi di R. Guastini, C. Choi, J. Raz; martedì 20: “Diritto, tecnologia e ambiente”, con interventi di V. Frosini, F. Ost, C. Alchourron, D. Bourcier. Informazioni: CIRFID “H. Kelsen”, Università degli Studi di Bologna, via Zamboni 27, 40126 Bologna, tel. 051 228207-225176, fax 051 260782. • A cura della Università degli Studi della Repubblica di San Marino, del Centro CALENDARIO Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi e della Società di Filosofia del Linguaggio, dal 19 al 28 giugno 1995 presso l’ex monastero di Santa Chiara nella Repubblica di San Marino, si tiene un ciclo di lezioni su Language and Understanding. Questo l’elenco dei relatori e delle conferenze: R. Jackendoff (“Conceptual semantics”; D. Marconi: “Competence and the lexicon”), P. Jacob (“Can semantics be naturalized?”), M. Gnerre (“Understanding and misunderstanding: communicative startegies and socio-cultural representations”), S. Garrod (“Language comprehension and linguistic comunication: a psychological perspective”), T. De Mauro (“Comprendere l’incomprensione”). Sono previste conferenze di G. Wilson, R. Simone, U. Eco, F. Lo Piparo, G. Ferrari. Informazioni: Università di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 Repubblica di San Marino, tel 0549 882516 - fax 882519 • Presso l’Università Friedrich Schiller di Jena, il 19 giugno 1995, a cura della Internationale Schelling-Gesellschaft e della Schelling-Kommission dell’Acca- demia delle Scienze di Baviera, si terrà una giornata di studio su La filosofia del giovane Schelling, con interventi di H. M. Baumgartner, B. Sandkaulen, L. Huhn e M. Boenke. Avrà invece luogo a Dubrovnik, dal 20 al 26 agosto 1995, un Corso di lezioni su Schelling, diretto da J. Jantzen e D. Barbaric. Informazioni: PD Dr. Jörg Jantzen, Schelling Kommission der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Marstallplatz 8, D-80539 Monaco di Baviera, fax: 089 23031-100. DIDATTICA A Caracas, dal 15 al 22 luglio 1995, si terrà il II Congresso Mondiale di Fenomenologia, promosso da The World Institute for Advanced Phenomenological Research and Learning, in collaborazione con la Venezuelan Philosophy Society. Pur estendendosi a tutti i settori della filosofia con una prospettiva interdisciplinare, il congresso si focalizzerà sul tema: Phenomenology of life and of human creative condition: nova et vetera. Informazioni: Professor A. Tymieniecka, 2nd World Congress, 34B Payson Rd. Belmont, MA 02178. a cura di Riccardo Lazzari • Filosofia e professionalità docente A conclusione del Progetto ISPER, “Filosofia e nuovi linguaggi per la professionalità docente” (cfr., «Informazione Filosofica» n. 22-23), sono stati pubblicati i primi due testi, che raccolgono il frutto del lavoro di due diversi gruppi di ricerca: FILOSOFIA E LETTERATURA. FUNZIONI DELLA • METAFORA NEL PENSIERO DI ALCUNI POETI E Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PENSATORI DEL ‘600 (Edizioni dell’Arco, Via Monte di Dio 14, Napoli. Milano 1994), con contributi di E. Barone, P. D’Alessandro, G. Sidoni, R. Mosconi, G. Gaviani, G. Romanelli, R. Diodato, e FILOSOFIA E MATEMATICA. LA NASCITA DELLA MATEMATICA COME SCIENZA PURA DA PLATONE A PROCLO (a cura di G. Sidoni, Edizioni dell’Arco, Milano 1994), con interventi di G. Micheli, A. Monti, G. Sidoni, G. M. Cerquetti, M. Sacchi, A. Stellica, C. Benzi, R. Russo, V. Contini. Seguiranno, in futuro, i testi relativi ai gruppi di ricerca su filosofia e scienze dell’educazione, filosofia e arte, filosofia e cinema, filosofia e storia, filosofia e musica. 29 maggio-1 giugno 1995 Franco Chiereghin Le aporie dell’agire e le condizioni di una vita buona La dialettica della coscienza morale Gli elementi costitutivi dell’agire - I possibili rapporti tra gli elementi costitutivi dell’agire - La vita buona. 5-7 giugno 1995 Jürgen Habermas Erläuterungen zum paradigmenbegriff in der philosophie Grundzügen des metaphysischen Paradigmas - Grundzügen des mentalistichen Paradigmas - Grundzügen des linguistichen Paradigmas. politico liberale nel pensiero di Silvio Spaventa. 3-7 luglio 1995 Remo Bodei Filosofia, ideali e vita civile nell’Italia repubblicana La tradizione di «filosofia civile» nella storia d’Italia - dallo Stato etico al partito etico: valori comuni, valori contrastati e cultura filosofica nel dopoguerra - La Chiesa, la democrazia, le istituzioni: idee ed ethos negli anni Cinquanta e Sessanta - L’apertura al mondo, il consumismo e lo sviluppo delle comunicazioni di massa: la loro incidenza sul pensiero filosofico - Le ragioni dei dibattiti teorici recenti: nuovi problemi e forme di impatto con la mentalità e il costume. 12-16 giugno 1995 Vincenzo Vitiello Linguaggio poetico e contraddizione Dialettica e linguaggio: la contraddizione risolta (Hegel) - «polla ta deina...»: il linguaggio della tragedia (Hölderlin) - La lingua pura e i linguaggi della storia: rivelazione e traduzione (Heidegger e Benjamin) - Il canto d’Orfeo e la parola dell’uomo (Rilke) - Gegenwort: il linguaggio della poesia (Celan). 10-14 luglio 1995 Imre Toth Platone: geometria e filosofia L’universo delle forme matematiche e la sua conoscibilità - «Misure incommensurabili» e «ragione irrazionale» nei dialoghi platonici - L’ontologia eleatica e la critica di Platone La «diade infinita» e l’esistenza dell’infinito in atto - Eudosso e l’impatto della filosofia platonica sullo sviluppo delle scienze matematiche. 26-29 giugno 1995 Cesare Scarano Stato ed Economia in Silvio Spaventa Silvio Spaventa ministro dei LL.PP. e la questione ferroviaria All’opposizione: la polemica con la Sinistra Storica sulla questione ferroviaria - Liberismo e protezionismo nella concezione spaventiana dello Stato - La crisi del sistema 17-21 luglio 1995 Domenico Losurdo Per una rilettura di Marx Economismo storico o materialismo storico? (I) - Economismo storico o materialismo storico? (II) - Ideologia, critica dell’ideologia e realizzazione dell’ideologia - La fenomenologia del potere: Marx e la tradizione liberale - Marx e il bilancio storico del Novecento. Come indicano Eros Barone e Paolo D’Alessandro nella loro “Introduzione”, il percorso seguito nel volume Filosofia e letteratura nasce da tre domande relative a come sia possibile cogliere il valore conoscitivo della metafora all’interno del linguaggio specificatamente filosofico o letterario, a come si possa configurare il rapporto tra filosofia e letteratura, cui la metafora fa in certo qual modo da cerniera, e se l’indagine su significato, struttura e funzione della metafora possa risultare strumento utile a collegare discipline diverse. Si è trattato quindi di condurre «un’analisi filosofica dei testi letterari e un’analisi letteraria dei testi filosofici», ancorate in particolare allo studio di autori del Seicento quali Bacone, Cartesio, Tasso, Marino e Spinoza, avvalendosi sia del metodo “semiologico-ermeneutico”, sia di quello “storico-critico”. Intento del saggio di Roberto Mosconi (“La metafora in Francesco Bacone tra progresso e utopia”) è quello di esplorare il 59 DIDATTICA «gran mondo della messa in scena baconiana... per mostrare la ricchezza delle trovate, delle meraviglie, il desiderio di stupire e di rappresentare... le piroettanti esibizioni di quell’imprevedibile funambolo che è la fantasia». Gianfranco Gavianu (“L’inventio metaforica nel Canto XVI della Gerusalemme liberata”) intende invece portare alla luce i «nuclei semici profondi che, agendo su determinati terreni tematici, hanno generato, ai diversi livelli in cui si è attuata l’inventio mitopoietica tassiana, una ricca pluralità di metafore-simbolo, una proliferazione-disseminazione di tropi». Eros Barone (“Le ‘strategie della seduzione’ messe in opera dal Discours de la méthode”) ha cercato di chiarire «quale ruolo assolva il linguaggio metaforico e come si articolino fra di loro metafora e metafisica... nel testo cartesiano». Partendo dall’«esame letterario e linguistico di metafore presenti con ricorrente frequenza in alcune liriche di Marino», Giovanna Romanelli (“La ‘rosa’ in Marino. Metamorfosi di una metafora”) porta alla luce la produzione di significati imprevedibili e il senso profondo della metafora barocca, come invenzione di un linguaggio dell’immaginazione. Roberto Diodato (“Immagine e metafora. Note per una interpretazione dello scolio della proposizione 17 della prima parte dell’Etica di Spinoza”) ha invece preso le mosse dalla celebre metafora spinoziana del “cane” per illustrare la strategia del testo di Spinoza e le sue straordinarie potenzialità di autointerpretazione. Nel suo contributo a mo’ di “Prefazione” al volume Filosofia e matematica, Maria Assunta Del Torre mette in luce come l’individuazione del mondo di cultura greco quale «punto di partenza più valido per proporre ai docenti della scuola media superiore il modello di analisi del rapporto filosofia-matematica» tenga conto del fatto che in questo modo vengono studiati autori ben presenti negli attuali programmi d’insegnamento, benché «in un taglio diverso da quello tradizionale». Questo significa anche, come sottolineano Gianni Micheli e Aurelia Monti nella loro “Introduzione” al volume, che questa scelta è stata motivata dal fatto che «i testi in cui si ha l’esposizione e la discussione» dei problemi studiati dal gruppo di ricerca «sono di autori che fanno parte integrante del programma di insegnamento della filosofia nella scuola secondaria, e quindi ben noti agli insegnanti». Dopo un breve intervento di inquadramento complessivo della ricerca (“Filosofia e matematica: ragioni di un dialogo”), Gianna Sidoni propone una sintesi del Commento di Proclo al I Libro degli Elementi di Euclide, cui fa seguito una presentazione e una sintesi dell’excursus storico di Proclo sulla geometria euclidea (tratto dal prologo al medesimo Commento) a cura di Grazia Maria Cerquetti. La scelta del Commento di Proclo si giustifica per il fatto che ha costituito dal V secolo d.C. fino alle soglie dell’età moderna un riferimento importantissimo per la conoscenza matematica nella nostra cultura occidentale. In particolare, dall’excursus storico viene alla luce la coscienza che la tarda antichità ebbe degli sviluppi della razionalità propria del sapere della geometria greca e la consapevolezza della radicale diversità di questa rispetto al sapere matematico degli Egizi. Martino Sacchi ha svolto un’analisi sulla “Matematica nella Repubblica di Platone”, riportando ampi passi del testo platonico; mentre Adriano Stellica ha svolto una analisi della “Matematica nel Menone di Platone”. Segue un intervento di Carlo Benzi su “Geometria e proporzioni nel Timeo di Platone”. Altri interventi esplorano i temi relativi alla “Concezione della scienza e gerarchia del saperein Aristotele”(Rossella Russo) e al “Concetto di matematica in Aristotele” (Valerio Contini). Tutti i contributi sono seguiti da questionari, percorsi di verifica e materiali di sostegno all’itinerario didattico attraverso i testi. Viene infine presentata una proposta di intervento didattico di V. Contini relativa ai Libri II e III della Fisica di Aristotele. Tutto ciò fa sì che gli articoli e i contributi che compongono il volume Filosofia e matematica si presentino da un lato come “inviti” alla ricerca, dall’altro come ipotesi fruibili sul piano didattico. La diffusione tra i docenti di filosofia di questo testo può dunque favorire lo sviluppo di un approccio più attento ai temi del rapporto tra filosofia e scienza nei curricula liceali. (Per l’acquisizione di questi volumi, ci si può rivolgere all’IRRSAE Lombardia, via Leone XIII, 10, 20145 Milano, o direttamente alle Edizioni dell’Arco, via Meravigli, 18, 20123 Milano, tel. 02/466695.) R.L. Filosofia, formazione, professionalità Con il titolo: FILOSOFIA, FORMAZIONE, PROFESSIONALITÀ (Bollate-Milano 1994) è apparsa la raccolta degli Atti dell’omonimo convegno, svoltosi dal 7 al 9 maggio 1992 presso l’I.T.C. con corsi sperimentali Erasmo da Rotterdam di Bollate (Milano), che ha promosso anche questa pubblicazione. Il tema del convegno riguardava il senso dell’insegnamento della filosofia nella formazione dello studente di scuola secondaria superiore e metteva a fuoco, in particolare, il contributo delle scuole sperimentali. Nell’“Introduzione” alla raccolta degli Atti del convegno, Manuela Micelli e Giuseppe Falcioni, curatori della pubblicazione, sviluppano alcune riflessioni sul titolo del convegno. Se da un lato appare consolidato da una lunga tradizione il nesso filosofia-formazione, più incerto risulta invece quello filosofia-professionalità. La professionalità sembra infatti sinonimo di “massima specializzazione”, dunque di qualcosa che si pone al di fuori dei requisiti tradizionalmente riconosciuti al sapere filosofico. D’altra parte, lo stesso concetto di formazione merita oggi di essere ripensato in relazione all’«irrompere della filosofia... nella scuola di massa e negli indirizzi tecnologici», che rende necessario, oltretutto, lo sviluppo nei giovani di una 60 criticità nuova rispetto al passato, consapevole delle nuove tecnologie, che sollecita, negli insegnanti, l’uso di strumenti didattici innovativi. Sotto questo profilo, il nesso filosofia-professionalità appare ridefinirsi come «riflessione critica sul nesso tra scienza e tecnica, fare e pensare, poetiche degli artisti e riflessione estetica». Alla luce di queste considerazioni, il convegno si era appunto articolato intorno a tre principali nuclei problematici: 1) le riflessioni del mondo accademico e istituzionale sul problema del nesso filosofia-formazione-professionalità; 2) l’intreccio tra filosofia e altri saperi, con particolare attenzione ai problemi posti dalle forme attuali della comunicazione di massa e dalle tecnologie informatiche; 3) la discussione intorno alle esperienze didattiche maturate tra gli insegnanti di filosofia, che operano sia nelle istituzioni liceali tradizionali, sia all’interno delle scuole sperimentali. Nella loro “Introduzione”, Micelli e Falcioni ripercorrono anche i momenti salienti dell’esperienza legata all’insegnamento della filosofia all’interno dell’I.T.C. con corsi sperimentali di Bollate (Maxisperimentazione ex art. 3). Scartata l’ipotesi di una dissoluzione di tale insegnamento in quello delle scienze umane, l’introduzione della filosofia avvenne inizialmente secondo criteri che non costituivano semplicemente un adeguamento al modello vigente nell’istruzione classica. Nel corso degli anni si è passati da uno studio di tipo interdisciplinare, attraverso seminari mensili con altre discipline, in primo luogo storia dell’arte, musica e lingua, ad un’estensione di tale approccio all’area scientifica e al complesso delle discipline, all’interno di una scuola superiore che veniva configurandosi sempre più come “liceo tecnico”. Negli anni Ottanta sono state operate alcune revisioni del modello formativo, in relazione ad una progressiva riduzione di presenza dell’area comune nel curricolo complessivo: la filosofia è andata così sempre più a collegarsi con le aree di intervento dei singoli indirizzi. La sua specificità veniva individuata nella capacità di “unificazione critica dei saperi diffusi nella società” (come sottolineano gli autori, riprendendo una felice espressione di Mario Dal Pra), precisandosi come indagine gnoseologico-epistemologica e come riflessione sull’etica e sulle teorie politiche. Veniva inoltre individuato il metodo storico come lo strumento più idoneo per l’insegnamento, in quanto esso «consente di cogliere il senso del domandare e del ricercare e dà uno spessore concreto-esistenziale alle pratiche conoscitive che una società elabora, vive e fruisce come cultura, tecnica, arte, sapere in generale». Nonostante l’orizzonte comunicativo semantico dei destinatari, le situazioni socio-familiari dei giovani, le caratteristiche ambientali, per lo più carenti di adeguati stimoli culturali, tuttavia, fanno notare Micelli e Falcioni, «la sensibilità “affettiva” degli studenti nei confronti di una disciplina così “esoterica” come la filosofia è sempre risultata piuttosto elevata». (Per l’acquisizione degli Atti, ci si può rivolgere all’I.T.C. con corsi sperimentali “Erasmo da Rotter- DIDATTICA dam”, via Varalli, 24 - 20021 Bollate (Milano), tel. (02)350646/75 - fax 33300549. La riproduzione di parti dell’opuscolo è consentita alle scuole ed enti pubblici di formazione purché venga citata la fonte.) R.L Convegni La riflessione sulla didattica della filosofia è sempre stata assai viva in Italia. Prendendo le mosse dalla sua esperienza di collaboratore al progetto di riforma dei curricoli della scuola secondaria superiore (i cosidetti “Programmi Brocca”) Vittorio De Cesare, dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ha ripercorso criticamente la storia dell’elaborazione dei programmi di filosofia per la scuola italiana in un seminario dal titolo: «FILOSOFIA E DIDATTICA DELLA FILOSOFIA DALLA RIFORMA GENTILE AI “PROGRAMMI BROCCA”», svoltosi dal 24 al 27 ottobre 1994 presso la sede napoletana dell’Istituto. Vittorio De Cesare ha esordito precisando che prima della riforma gentiliana la filosofia, in Italia, era insegnata per quattro ore settimanali negli ultimi due anni del Ginnasio/Liceo. La filosofia era quindi inserita nella scuola italiana come “la” materia caratterizzante gli anni finali dell’unica istituzione che permetteva l’accesso all’Università e di fronte all’estrema selettività del Ginnasio/ Liceo non poteva non essere concepita che come “Filosofia per pochi”; il che condizionerà per lunghissimo tempo la riflessione sulla sua didattica. Nei primi due decenni del Novecento, ha proseguito De Cesare, la scuola italiana deve però cominciare a fare i conti con esigenze di un allargamento e di un rinnovamento delle istituzioni scolastiche, che produrranno un dibattito in cui verranno coinvolte pressoché tutte le componenti culturali e politiche della società italiana di inizio secolo, accomunate dall’esigenza di formazione di una nuova classe dirigente che possa superare la crisi della società. In questo dibattito la posizione di Croce e Gentile, ha fatto notare De Cesare, rappresenta la trasposizione in campo curriculare della lotta contro il positivismo in nome dell’ “unità dello spirito”. Ma mentre la posizione di Croce sarà comunque più aperta ed attenta all’empirico, quella di Gentile si mostrerà molto più rigida e schematica nella sua posizione contro le discipline non filoaofiche e, in particolare, contro le cosidette “scienze sociali”. Per Gentile l’unica “libertà” che può essere concepita è «la coincidenza del singolo con l’universalità dello spirito», e chi giudica della presenza dell’universalità dello spirito e della verità nell’insegnamento è il concreto spirito in atto, ovvero lo “Stato”. Sarà allora quella filosofia che è un tutt’uno con lo Stato concretamente presente a dover decidere l’organizzazione complessiva ed i contenuti con- creti di una “scuola dello spirito”. Nei confronti della soluzione gentiliana, basata sulla identificazione immotivata e non argomentata di filosofia e Stato, di libertà e autorità, Vittorio De Cesare ha fatto valere la critica di Marx ai concetti della logica hegeliana: idee eccessivamente astratte che proprio perciò tendono a trasformarsi nei loro corrispettivi empirici, addobbati di una pseudouniversalità. La fortuna storica della scuola gentiliana può essere forse ricercata proprio in questa sua duttilità a piegarsi alle idee politiche e religiose dominanti. Le idee gentiliane si traducono in realtà concreta quando Gentile diviene Ministro della Pubblica Istruzione del governo fascista. Egli decide che il processo di autosviluppo dello spirito non è compatibile con programmi di “insegnamento”, per cui egli si limita a definire dei programmi di “esame”, in cui invital’allievo a “fare” concretamente filosofia attraverso la discussione dei classici del pensiero. La storia della filosofia non è di per sé materia di esame, poiché lo sforzo notevole richiesto al candidato sarà quello di fare filosofia attraverso l’esposizione e il commento dei testi. A questa impostazione, ha fatto notare De Cesare, il Ministero della Pubblica Istruzione postgentiliano risponderà da un lato attenuando la rigorosità dei programmi d’esame e accentuando l’aspetto storico dell’insegnamento, dall’altro imponendo in particolare all’insegnante di filosofia di non abbordare tematiche che potessero «turbare o mettere a disagio la coscienza religiosa e morale dell’alunno». Il rapporto sempre più stretto del fascismo con la gerarchia cattolica comporterà difatti la sempre più accentuata necessità che l’insegnamento della filosofia non entri in contrasto con quello della religione, introdotta dopo il Concordato anche nelle scuole superiori. I “ritocchi” alla riforma Gentile culminano nel 1936 con il rovesciamento dell’impostazione gentiliana dell’insegnamento della filosofia: se nei programmi gentiliani “d’esame” il candidato doveva conferire su una serie di testi classici, accorpati per problemi e da inquadrare storicamente, nei programmi “d’insegnamento” del 1936, ha rilevato De Cesare, il sommario di storia della filosofia diveniva invece centrale e i classici, ridotti ad uno per anno, un dato di puro contorno. Per quanto paradossale, l’impiantocomplessivodei programmi del 1936 sopravvive anche alla revisione che ne viene fatta nel 1944 da parte di una commissione istituita dal governo alleato. I primissimi anni Cinquanta vedono una proposta di riforma dell’insegnamento della filosofia da parte di una “Consulta Didattica Nazionale”, che tende a sostituire l’insegnamento storico della filosofia con un insegnamento problematico; questa proposta, ha osservato De Cesare, si inquadrava all’interno di una campagna del pensiero cattolico contro l’insegnamento storico della filosofia e a favore di una ripresa dell’insegnamento tomistico. Gli anni Sessanta e Settanta vedono la proposta del “Centro Didattico Nazionale per i Licei” di attivare per la filosofia un insegnamento storico-problematico; nel primo anno vi sarebbe stato un insegnamento 61 propedeutico sulle strutture logiche del discorso; negli anni successivi si sarebbe attivato un insegnamento dello sviluppo storico dei problemi principali e delle posizioni tradizionali del pensiero filosofico. Ma la proposta che sembrò avere in un primo momento maggior presa fu quella di “aprire” l’insegnamento della filosofia alle cosiddette “scienze umane”. Tale “apertura” avviene tuttavia a discapito della specificità della materia “filosofia”, arrivando addirittura a mutare per alcuni anni il titolo stesso dell’insegnamento liceale da “Filosofia e scienze dell’educazione” a “Scienze umane”. Quest’ultimo avvenimento, ha rlevato De Cesare, porterà negli anni Ottanta la “Società Filosofica Italiana” ad impegnarsi nella difesa dell’insegnamento della filosofia. Si tratterà di una difesa non puramente retorica e passatista, ma che anzi troverà i suoi motivi di forza nelle ipotesi di riforma della “didattica” della filosofia che dia a questa materia la capacità di sviluppare in pieno le sue capacità formative nei confronti degli adolescenti. Collegato a questo discorso è l’affermazione di una visione “plurale” della filosofia, e in quest’ottica l’insegnamento storico della filosofia viene definitivamente rivalutato. Per la prima volta gli insegnanti di filosofia cominceranno a porsi per la loro materia una serie di problematiche legate alle “tecniche” educative, e in primo luogo la distinzione tra “obiettivi cognitivi” ed “obiettivi formativi”. Gli anni ’90 vedono infine l’articolazione di un progetto complessivo di riforma della scuola secondaria superiore - il cosiddetto “Progetto Brocca” - nel quale l’insegnamento della filosofia viene rivisitato e ad esso viene offerto un ruolo assolutamente centrale. Il progetto in questione, infatti, punta sulla complessiva unitarietà dell’insegnamento nelle varie articolazioni della scuola secondaria superiore, cosa che comporta la presenza di tutta una serie di materie comuni a tutti gli indirizzi e tra queste, appunto, la filosofia. A questo proposito Vittorio De Cesare ha sottolineato il tentativo di invertire l’idea che l’allargamento dell’istruzione formativa porti necessariamente ad un suo scadimento, la scommessa, in altri termini, su di “un’istruzione formativa di massa”. Inserendo la filosofia, in quanto materia formativa per eccellenza, negli indirizzi tecnici e commerciali, il “Progetto Brocca” rinnega radicalmente sia l’idea che l’insegnamento della filosofia risulti inutile di fronte alle necessità di indirizzi professionalizzanti, sia la tentazione passata di dissolverla in un generico insegnamento di “scienze umane”. Il “Progetto Brocca”, ha aggiunto De Cesare, attribuisce alla filosofia capacità formative nei confronti delle capacità critiche degli adolescenti: la filosofia non deve “trasmettere” né valori teoretici, né tanto meno etici, ma offrire gli strumenti per “giudicare” all’interno della pluralità di tali valori. Il raggiungimento di un tale obiettivo ha portato gli estensori del progetto ad esplicitare tutta una serie di puntigliose e utilissime indicazioni didattiche, rivolte in primo luogo alla capacità di comprensione del testo filosofico, divenuto (o meglio ritornato ad essere) “l’oggetto principale dell’insegnamento di filosofia”. E.V. STUDIO STUDIO Storia dell’astronomia e della cosmologia Lo studio di John North, ASTRONOMY AND COSMOLOGY (Fontana, Londra 1994), ripercorre storicamente lo sforzo dell’uomo di conoscere l’universo e il proprio ruolo all’interno di esso. Partendo dalle prime forme umane di osservazione dei fenomeni cosmici, l’indagine di North prende in esame gli studi astronomici degli egizi, dei babilonesi, dei greci e dei romani, e con l’intento di redigere una storia della cosmologia e dell’astronomia il più possibile documentata, presta anche attenzione alle astronomie non occidentali e giungendo a dedicare i due capitoli conclusivi alle scoperte cosmologiche degli ultimi cinquant’anni. Nel suo nuovo ponderoso saggio Astronomy and Cosmology, John North ripercorre l’indagine dell’universo svolta dall’uomo in cinque millenni di storia: dalla concezione della terra piatta a quella della terra sferica; dalla teoria geocentrica dell’universo a quella eliocentrica. A differenza di molte altre storie della cosmologia e dell’astronomia, che si occupano soprattutto degli sviluppi del nostro secolo, il testo di North ripercorre con ampiezza ogni fase del tentativo dell’uomo di comprendere la natura e la struttura dell’universo e il suo posto all’interno di esso. In quest’ottica, l’ipotesi eliocentrica di Copernico viene presentata dall’autore solo a metà del suo saggio solo dopo aver dato ampio spazio all’evoluzione della teoria geocentrica di Tolomeo (nonché aver illustrato i risultati delle astronomie non-occidentali) e le scoperte degli ultimi 50 anni occupano i due capitoli finali. North fa notare che tutta la storia della cosmologia e dell’astronomia è percorsa dal legame, o dal conflitto, con i dogmi religiosi o astronomici delle diverse civiltà. Anche le grandi costruzioni egizie, risalenti a tre millenni prima di Cristo, sono orientate in rapporto al Sole, una delle maggiori divinità della civiltà egizia. Nel VI e V secolo a.C. i Babilonesi, nell’intento di sviluppare e sostenere le loro credenze astrologiche, stabilirono con precisione le effemeridi per la luna e i pianeti (tavole che stabiliscono le coordinate degli astri a intervalli di tempo determinati ed equidistanti), i valori per il sinodico (lo spazio tra una nuova luna e l’altra), e gli anomalistici (il periodo tra i più vicini avvicinamenti dell’orbita della luna alla terra). Furono i Greci, specialmente Aristotele, e i Romani a cambiare l’orientamento della ricerca astronomica da scienza al servizio della religione a scienza autonoma della comprensione dei fenomeni celesti. Tre secoli prima di Cristo Aristotele espose nella Fisica e ne Il Cielo teorie fisiche e cosmologiche, che vennero considerate irrefutabili e per due millenni, cioè fino al XVI e XVII, guidarono la conoscenza dell’uomo dei fenomeni naturali e cosmologici. Il pensiero cosmologico aristotelico fissa la posizione centrale della terra nell’universo e la credenza nella perfezione della sfera e del cerchio. Il maggiore problema teorico di questa concezione, osserva North, era il movimento del sole, della luna e dei pianeti; in particolare, non era in grado di spiegare la retrogradazione del movimento dei pianeti, se si suppone che essi si muovono attorno alla terra secondo orbite circolari. Questa ipotesi fu considerata una verità indiscutibile per più di 1500 anni, poiché Platone, con la sua autorità, affermava che la soluzione che avrebbe dato conto delle apparenze doveva essere trovata in funzione del movimento uniforme, ordinato e circolare dei pianeti. Questa impostazione di pensiero portò alla brillante concezione geometrica dell’epiciclo: la terra è posta al centro di un cerchio rotante - il deferente - mentre gli altri pianeti sono situati in altri cerchi - gli epicicli - che hanno il loro centro in altrettanti punti interni al deferente. L’origine dell’idea di epiciclo è controversa; infatti, fa notare North, già i pitagorici ed Eudosso avevano formulato un modello geometrico circolare di universo, ma solo Apollonio, che visse nella seconda metà del III secolo a. C. , formulò una vera e propria teoria dell’epiciclo, indicando le velocità dei diversi cerchi. La sua teoria era in grado di spiegare le apparenti irregolarità del movimento dei pianeti, ma non riusciva a spiegare problemi minori, come la previsione di precisi intervalli tra gli equinozi, che furono risolti 62 da Ipparco di Nicea nel II secolo a.C.. Fu Tolomeo, nel II secolo d.C., a completare lo schema dell’epiciclo con l’idea di equante, spiegando così il movimento del sole, della luna e di altri pianeti attorno alla terra. Tolomeo definì l’equante come quel punto separato dal centro dell’orbita del pianeta, rispetto al quale la sua velocità è costante. La teoria tolemaica, descritta negli ultimi quattro libri dell’Almagesto, è, secondo North, essenzialmente aristotelica. Dei 1500 anni che dividono Tolomeo da Copernico, Galileo e Keplero, North ci fornisce una illustrazione che spazia in tutto il mondo delle teorie astronomiche. In particolare, accanto a considerazioni sulla ricerca astronomica nel sud America, nell’India, nella Persia, nell’Islam e nell’Europa medioevale, dell’astronomia cinese viene rimarcata l’estrema precisione delle osservazioni e la registrazione dell’esplosione di una supernova del 1054 d.C., che fu uno dei contributi cardinali per lo studio, svolto nel dopoguerra, della fine dell’evoluzione di una stella. Diversamente da quanto sostenuto da molti storici, North inizia la trattazione della teoria copernicana affermando che l’ipotesi eliocentrica di Copernico non garantiva al suo nascere una corretta spiegazione del moto dei pianeti. Infatti, essa era già stata proposta nel III secolo a.C. da Aristarco di Samo, ma si rivelò incapace di rendere conto delle irregolarità del movimento dei pianeti. Copernico proponeva di passare dall’ipotesi geocentrica a quella eliocentrica, salvando l’intoccabilità del moto circolare dei pianeti e rimuovendo l’innaturalità dell’equante introdotto da Tolomeo, dal momento che, se la terra ruota circolarmente attorno al sole, si poteva fare a meno di esso. Tuttavia, per salvare l’ipotesi eliocentrica, Copernico fu costretto ad inserire una serie di cerchi, eccentrici ed epicicli minori, che non erano né più semplici né portavano ad una predizione più accurata di quella del sistema tolemaico. Così, a metà del XVI secolo, osserva North, la teoria eliocentrica era ancora una ipotesi. Determinante risultò allora il contributo dell’astronomo danese Tycho Brahe che, pur opponendosi alla teoria copernicana, nel novembre 1572 osservò una stella bril- STUDIO lante come Venere dove non ne era mai stata osservata una e provò che questa nuova stella era immobile tra le stelle fisse; in altre parole vide quella che nella terminologia astronomica moderna viene chiamata una supernova. Questa rilevazione di Brahe scosse dottrine teologiche, dogmi aristotelici e credenze popolari, insinuando che asserire la perfezione e l’immutabilità delle sfere era eretico quanto suggerire che la terra non era fissata al centro dell’universo. La crisi intellettuale e teologica che seguì all’inizio del XVII secolo viene affrontata da North combinando le osservazioni al telescopio di Galileo e le leggi sul movimento planetario di Keplero con la distruzione della credenza millenaria nella fissità della terra al centro dell’universo e nella sua perfezione. North individua nel processo a Galileo il punto di rottura della sintesi tra il dogma teologico e la credenza scientifica, sopravvissuta fino ad allora attraverso l’era cristiana, e rifiuta l’opinione di quegli studiosi che vedono in esso un solo esercizio intellettuale. La scoperta, alla fine del XVII secolo, della teoria di gravitazione universale, che fornì le basi fisiche per la comprensione dell’universo e lo sviluppo dei telescopi, fece sorgere l’astrofisica, spostando l’interesse degli astronomi verso l’universo stellare. Uno dei giganti di questa indagine fu l’astronomo William Herschel, che scoprì con telescopi di sua costruzione, nel 1781, il pianeta Urano e, senza alcuna possibilità di misurare le distanze astronomiche, fece importantissime osservazioni sulla Via Lattea e sull’esistenza di un sistema di stelle esterne alla galassia locale. Ciò che caratterizza il XX secolo, conclude North, è che un numero enorme di astronomi producono un’immensa quantità di conoscenze e di teorie, che sono destinate però ad essere superate in tempi brevi. Inoltre, rileva North, in questo secolo, di fronte all’indubitabilità dei risultati ottenuti con tecnologie sempre più sofisticate, le radici dell’astronomia tornano ad incrociarsi con quelle della religione . M.G. L’importanza dello scetticismo Nel suo studio, LA STORIA DELLO SCETTI- CISMO. DA ERASMO A SPINOZA (Anabasi, Milano 1995) Richard H. Popkin si propone di mostrare la funzione positiva svolta dallo scetticismo nell’ambito della storia della filosofia, poiché esso costituisce un importante punto di partenza per realizzare una costruzione del sapere scevra dal dogmatismo e quindi critica, capace di coniugarsi sia con una epistemologia fondata sulla separazione della scienza dalla metafisica, che con una concezione religiosa di tipo fideistico. Nel suo studio Richard H. Popkin ripercorre la storia della filosofia per individuare l’importanza che lo scetticismo ha avuto all’interno di essa, rivalutando positivamente lo scetticismo come forza propulsiva contro il dogmatismo, come arma necessaria per costruire un sapere critico, che non rifugga dall’analisi dei dubbi, e come fondamento teorico di una concezione religiosa di tipo fideistico contro la pretesa di conciliare la ragione con la fede. Con questo intento, partendo dall’esame del periodo greco, in cui sorse il movimento scettico, Popkin giunge sino alla filosofia di Cartesio e di Spinoza, dopo aver ripercorso il periodo del Rinascimento e della Riforma. Come visione teorica del mondo, lo scetticismo, sottolinea Popkin, nato nell’antica Grecia, è costituito da due correnti principali: la filosofia scettica dell’Accademia e lo scetticismo di Pirrone. Mentre lo scetticismo dell’Accademia, nella sua negazione di ogni forma di conoscenza della verità, rivela il suo legame con il dogmatismo nella sua versione negativa, lo scetticismo di Pirrone rifiuta qualsiasi dogmatismo, sostenendo la sospensione del giudizio. Tra le due forme di scetticismo, quella destinata a riproporsi nei secoli successivi è per Popkin il pirronismo, dato il suo carattere critico ed antidogmatico. Inoltre Popkin mette in evidenza come lo scetticismo si possa collegare con una forma di religione di tipo fideistico, opposta ad ogni tentativo di dimostrare razionalmente le verità della fede. Questa forma di scetticismo religioso può essere riscontrata in pensatori come Erasmo, Montaigne, La Vayer, La Peyrère, e Simon. Così, se Erasmo sostiene un tipo di “ragione scettica”, appellandosi alla fede priva di fondamenti razionali, Montaigne difende una posizione di fideismo radicale, ritenendo che il dubbio “universale” sulla razionalità si manifesti parallelamente ad una religiosità basata su una fede che non dipende dalle capacità umane, ma dalla grazia divina. Dal suo canto, La Vayer viene considerato da Popkin uno scettico cristiano, poiché si oppone, con la formulazione di un cattolicesimo liberale, ad una religiosità superstiziosa e ad un protestantesimo fanatico. Mettendo in dubbio la paternità mosaica della scrittura, La Peyrère si propone invece di fondare su base scettica la possibilità di cogliere le verità religiose. In linea con La Peyrère, Simon manifestò tuttavia i suoi dubbi riguardo alle origini del testo biblico e alla sua autenticità. Una posizione particolare all’interno dello scetticismo è quella di Spinoza, che fu radicalmente scettico riguardo alla pretesa di dimostrare l’esistenza della verità religiosa, essendo per lui la profezia religiosa solo un’ «opinione priva di interesse», appartenente ad un periodo 63 passato. D’altra parte, Spinoza appoggiò un assoluto antiscetticismo per quanto concerne la conoscenza razionale della metafisica e della matematica: in tale ambito lo scetticismo è solo frutto dell’ignoranza, poiché la conoscenza dell’ “idea vera ed adeguata di Dio” è in grado di eliminare lo scetticismo. In questo Popkin attribuisce a Spinoza il merito di avere separato la ragione dalla teologia. Un’altra forma di scetticismo analizzato da Popkin è lo scetticismo “costruttivo” e “mitigato” di Mersenne e Gassendi. Pur riconoscendo come illusorie le pretese conoscitive di Platone e Aristotele, Mersenne sostiene la possibilità di conseguire una forma di conoscenza radicalmente diversa, basata su ipotesi, invece che su certezze incontrovertibili. Tale conoscenza non pretende di essere la copia fedele della realtà e si fonda quindi sulla separazione della scienza dalla metafisica. Anche Gassendi elaborò, nell’ultima fase della sua riflessione filosofica, uno scetticismo costruttivo, affermando la possibilità di conoscere come le cose appaiono e non il loro essere sostanziale. In questa interpretazione una posizione particolare ricopre la filosofia di Cartesio. Questi si misura infatti, secondo Popkin, con la più distruttiva tra le potenzialità scettiche, cioè la possibilità che non solo le informazioni sulla realtà esterna siano errate e illusorie, ma siano anche ingannatrici, giungendo fino a postulare un pirronismo totale attraverso l’ipotesi del genio maligno che mette in crisi la stessa affidabilità delle facoltà razionali dell’uomo. La forma assoluta di scetticismo proposta da Cartesio consiste nel trovare una verità assolutamente indubitabile tale da non poter essere messa in crisi da nessun pirronismo, né umano, né demoniaco. In Cartesio, osserva Popkin, il cogito distrugge il mostro dello scetticismo e abolisce il dubbio. L’analisi filosofica di Popkin si ferma a Cartesio e a Spinoza. La posizione tipica di quest’ultimo, che tende a coniugare lo scetticismo religioso con il dogmatismo metafisico, fu d’altra parte appoggiata dai deisti e da molti esponenti dell’illuminismo. Solo con Hume lo scetticismo religioso e lo scetticismo gnoseologico trovarono un punto d’incontro. M.Mi. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi PARADIGMI Anno XII, n. 36, settembre-dicembre 1994 Schena, Brindisi punto di vista di una valutazione complessiva delle diversità tra le loro filosofie, ma anche da quello di un più ampio ripensamento dei rapporti tra scienza e arte. ARCHIVIO DI STORIA DELLA CULTURA Parsimonia, frugalità, decoro. Sombart e l’antropologia del “borghese virtuoso”, di I. Crispini: analisi del saggio di Sombart, Der Bourgeois (1913), in cui l’autore intende descrivere i mutamenti attraverso cui è passato lo spirito economico nella storia della civiltà occidentale, passando allo “spirito capitalistico” tipico del nostro tempo. Anno VII, 1994 Morano Editore, Napoli Lineamenti di Historica, di G. G. Gervinus. Il fascicolo si apre con una breve nota dal titolo Karl R. Popper, l’ultimo razionalista, di R. Egidi, in omaggio alla memoria di uno dei primi collaboratori della rivista. Tra “saggezza” e “illusioni”. La filosofia alle soglie dell’”era ecologica”, di F. De Natale: il rapporto tra filosofia ed ecologia a partire dall’immagine del nesso uomonatura. La sfida della retorica in Paul Ricoeur, di P. Carravetta: dopo aver brevemente ripercorso l’opera del filosofo francese, l’articolo sviluppa la problematica della retorica come punto di incontro tra metodo e teoria. Morfologia ed aspetti sociali del sentimento nella filosofia di J. J. Rousseau, di R. Pallavidini: l’articolo scandaglia i cinque aspetti che può assumere il sentimento in Rousseau, aspetti caratterizzati da un reciproco dinamismo per cui si passa da un sentimento in natura, ad uno conflittuale all’interno dei rapporti sociali, fino a forme di sentimento sublimate e religiose frutto di un processo di educazione di tipo armonicistico e comunitario. Nietzsche e la favola, di A. Caputo: la favola viene interpretata alla luce di tre chiavi di lettura filosofica: la favola come paradigma del cosiddetto “mondo vero” che, come illusione di un assoluto, si rivela una menzogna; la favola come emblema del superamento della rigidità della logica e della razionalità e apertura di nuovi percorsi per la soggettività e la conoscenza, basati sulla fantasia; infine la favola come progettualità di tipo utopico, come luogo di mete che non-sono-ancora. Individualità e conformismo in Gramsci, di C. Mancina. La discriminazione tra scienza ed arte: un problema per il relativismo epistemico, di M. De Caro: il problema della “demarcazione” in Kuhn e Feyerabend, non solo dal La ‘Histoire’ e le sue scienze ausiliari: le lezioni di enciclopedia delle scienze storiche nelle università tedesche durante il Settecento, di G. Valera. Storia della cultura e giudizio morale nella storiografia di F. C. Schlosser, di M. Martirano. Religione, etica e politica nel pensiero di Ernst Troeltsch, di G. Cantillo: il rapporto tra religione e politica si colloca all’interno della ricostruzione storico-sistematica dell’etica cristiana, per la cui analisi il filosofo muove comunque da considerazioni generali sull’etica, cioè da una teoria generale dell’etica come base di un sistema etico comprendente, programmaticamente, una parte teoretica ed una pratica. Catene di civiltà. La seconda fase del pensiero di Oswald Spengler, di D. Conte: dai volumi postumi e dall’epistolario spengleriani si evidenziano le tracce di una grande opera della sua maturità pensata, ma mai pubblicata, da cui emerge un recupero alla considerazione storica delle civiltà primitive, recupero incentrato proprio sul concetto stesso di civiltà, portatrice di una “forma” e quindi oggetto di un’analisi “morfologica”. Ciò che segna una differenza di fondo tra le due fasi del suo pensiero è la metodologia che da prevalentemente letteraria ed artistica diviene, grazie al rapporto con Frobenius e Meyer, etnologica e storica. Utopia e predestinazione nella Cristianopoli di J. V. Andreä, di M. Cambi. Teoria e prassi della storiografia in J. G. Eichhorn, di G. D’Alessandro. 64 RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA Anno XLIX, n. 3, 1994 Franco Angeli, Milano I quattro libri sull’anima di Sorano e lo scritto ‘De anima’ di Tertulliano, di R. Polito: l’articolo analizza le fonti del trattato De anima di Tertulliano, opera di carattere materialistico che, ispirandosi alla dottrina stoica, si contrappone alla tradizione cristiana posteriore, centrata sul principio dell’incorporeità dell’anima fondata su categorie platonicoaristoteliche. Il ricorso alla cultura pagana viene peraltro giustificata nell’ottica di una polemica antignostica. Tra le fonti dello scritto dell’apologista è importante lo scritto del medico metodico Sorano di Efeso, da cui Tertulliano avrebbe mutuato proprio il carattere stoico della sua posizione. La funzione storica della metodologia ramista, di G. Oldrini: analisi della teoria del metodo di Ramo, filosofo del Rinascimento, animato da tendenze praticistiche tipiche di un mondo ormai proiettato verso l’esplosione del fenomeno del capitalismo. Il rifiuto della distinzione tra potentia absoluta e potentia ordinata di Dio e l’affermazione dell’universo infinito in Giordano Bruno, di M. A. Granada: la concezione bruniana, per cui la manifestazione più autentica della dignità umana è rappresentata dalla contemplazione e dalla comunione con l’universo infini- RASSEGNA DELLE RIVISTE to, simulacro di Dio, si scontra con la distinzione tra potentia absoluta e potentia ordinata di Dio, codificata dalla scolastica e bollata da Bruno come blasfema e contraddittoria. Apropositodi Platone, Aristoteleeilneoplatonismo (risposta a Franco Trabattoni), di E. Berti. Una nuova storia della filosofia, di G. Giannantoni: analisi del primo volume dei sei previsti della Storia della filosofia (Laterza, Bari-Roma) di P. Rossi e A. Viano. Due note kierkegaardiane, di D. Borso. Lo sviluppo della riduzione fenomenologica: dalla filosofia dell’aritmetica a ‘Ideen’, di V. Costa: l’articolo intende analizzare il problema della riduzione fenomenologica, questione oggetto di continui ritorni da parte di Husserl, evidenziandone lo sviluppo a partire dall’analisi psicologica della Filosofia dell’aritmetica a quella fenomenologica delle Ricerche logiche; un’evoluzione che va da un’idea di evidenza di matrice cartesiana ad una concezione ispirata al progetto monadologico di Leibniz. L’uso dell’Index Thomisticus nello studio delle fonti di Tommaso d’Aquino: considerazioni generali e questioni di metodo, di E. Portalupi. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXVI, n. 3 luglio-settembre 1994 Vita e Pensiero, Milano VERIFICHE Tra stoicismo e platonismo: concezione della filosofia e del fine ultimo dell’uomo in Seneca, di M. Natali: il pensiero di Seneca non può essere ricondotto totalmente alla matrice stoica, in quanto il platonismo ha un peso rilevantissimo non solo in campo antropologico, ma anche in merito a questioni di ordine ontologico, dal cui intreccio emerge la posizione senecana relativa al fine ultimo dell’uomo, inteso platonicamente come assimilazione a Dio, e al significato della filosofia come “fuga dal mondo” e anticipazione della vita dell’al di là. Hegel e Cousin: storie di plagi e di censure, di P. Becchi: l’articolo analizza l’evolversi dei rapporti tra Hegel e Cousin, rapporti caratterizzati da un progressivo rovesciamento; se inizialmente fu Hegel a imparare da Cousin, successivamente quest’ultimo non solo imparò da Hegel, ma approfittò della conoscenza sua e dei suoi allievi. Plotino, Ficino e noi stessi: alcuni riflessi etici, di J. M. Rist: l’articolo intende mostrare che a partire dalla riscoperta del platonismo nel Rinascimento e dalla traduzione ficiniana delle Enneadi hanno preso il via ricerche relative a problemi concernenti l’uomo considerato non solo come fatto fisico, ma come agente di scelta e come identità personale in rapporto a norme etiche oggettive. Analogia della legge, di A. Vendemiati: uno studio del posto e della funzione della legge, con le relative implicazioni teologiche, in S. Tommaso. La grammatica ed il problema degli universali nel Medioevo cristiano, di E. Bertola: l’articolo vuole mettere in evidenza come il problema degli universali, senz’altro una delle questioni più dibattute del Medioevo cristiano, si leghi alla grammatica sia dal punto di vista genetico, sia dal punto di vista dei reciproci rapporti. Anno XXIII, n. 3-4/1994 Esedra, Trento Il tempo nella Naturphilosophie di Hegel, di G. Erle: la questione del tempo in Hegel, riassumibile nella tesi secondo cui il tempo è caratterizzato da un essere che mentre è, non è e mentre non è, è, va da un lato collocata all’interno del sistema e del movimento dialettico, dall’altro, definito il tempo come “unità negativa”, opera in maniera dialettica all’interno di tutta la “Filosofia della Natura”. Croce critico di Hegel: la filosofia della storia, di F. Biasutti: il rapporto di Croce con Hegel è stato caratterizzato da un lato dall’assorbimento del pensiero di Hegel, dall’altro da una critica ed una confutazione di tesi hegeliane, soprattutto per quanto riguarda la filosofia della storia; di Hegel, Croce critica la negazione dell’autonomia della storiografia, il conseguente “disprezzo” per gli storici professionisti e la riduzione della storia ad una costruzione “a priori”. Il soggetto della scienza fisico-matematica di Galileo, di L. Congiunti: la riflessione galileiana si manifesta spesso attraverso forme espressive orientate verso la retorica, tra cui particolarmente rilevante appare la figura della maschera, cioè la “finzione”. 65 Dietro la nozione di maschera è possibile tuttavia individuare uno spessore teorico preciso, una riflessione sulla nozione e sull’azione del soggetto nel sapere fisico-matematico. Il linguaggio della libertà in ‘Enneadi’ VI, 8, di L. Spataro: l’analisi plotiniana della libertà come costituita da una struttura ontologica originaria, che lega individuo e realtà. Le “Vorlesungen” hegeliane sulla storia della filosofia: a proposito di una recente edizione, di I. Fabiani: l’edizione delle Volesungen curata da Jaeschke (Meiner, Amburgo). La concezione hegeliana del Cristianesimo, di G. Bonacina: il ruolo del Cristianesimo nella storia come necessità, secondo Hegel, e la posizione dei teorici del Cristianesimo a lui posteriori. Le condizioni del pensiero post-metafisico secondo Habermas e la riflessione teologica, di M. L. Perri: viene qui preso in considerazione il saggio del teologo H. Peukert, Agire comunicativo, sistemi di accrescimento del potere e illuminismo e teologia come prog etti incompiuti , conten uto in A.A.V.V., Habermas e la teologia (Queriniana, Brescia 1992). AUT AUT n. 264, novembre-dicembre 1994 La Nuova Italia, Firenze Tema della rivista: “L’epoca della psicoanalisi?” Il sospetto e la diffidenza, di M. Trevi: l’articolo pone la questione se la psicoanalisi possa essere considerata come la cifra caratteristica del nostro secolo. Benché, secondo l’autore, il suo influsso sull’arte e sulla letteratura sia per ora molto limitato, tuttavia deve essere preso in considerazione il contributo di sospetto rispetto alle certezze dell’uomo che essa ha introdotto. La psicoanalisi demitologizzata, di G. Jervis: il rapporto tra pratica analitica e principi della sua filosofia. La psicoanalisi ha fatto epoca?, di A. Sciacchitano: la psicoanalisi vive ancora nell’epoca della scienza come figlia di essa. La psicoanalisi e la psichiatria, di E. Borgna: la psichiatria antropologica e fenomenologica si costituisce come psichiatria dell’intersoggettività e si confronta praticamente e teoricamente con la psicoanalisi. RASSEGNA DELLE RIVISTE Fantasmi della civiltà, di J. Hillman. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Opinioni di un resistente. Sulla psicanalisi come pratica culturale, di A. Dal Lago: la funzione culturale della psicoanalisi è la riduzione del mondo alla coscienza. Vol. LXXI, n. 3, luglio-settembre 1994 Giuffré Editore, Milano Geroglifico e alfabeto. Freud e il problema della metafisica, di M. Ferraris. Il problema della definizione generale del diritto, di L. Bagolini: la definizione generale del diritto in alcune dottrine contemporanee che presuppongono la separazione tra diritto e giustizia. Apologia della psicoanalisi, di A. G. Gargani: psicoanalisi e tema filosofico della differenza. Fort/da. Note sull’epoca della psicoanalisi, di P. A. Rovatti: Derrida e Freud a partire dall’opera di J. Derrida., “Essere giusti con Freud”. La storia della follia nell’età della psicoanalisi (Cortina, Milano 1994). Validità sintattica vs. invalidità sintattica in Geiger, di C. A. Cabrera. Lo stato moderno: profili storici e dottrinali, di A. Catania: il saggio vuole delineare concettualmente i tratti dello Stato moderno, determinando anche in quale momento storico esso si sia delineato. Viene poi fornito un profilo dottrinale dello Stato moderno. Il concetto di archivio: un’impressione, di J. Derrida. Giuridicità e durata, di V. Marinelli: il concetto di regola, caratteristico di una prescrizione che manifesta e realizza finalità di durata oltre una singola azione od omissione. IL PENSIERO An introduction to the philosophy of Giuseppe Capograssi. Of law and politics, di U. Pagallo. Vol XXXIII, 1993 GEI, Roma Kant sul fondamento cercato dell’empirico e del soprasensibile, di F. Duque: il rapporto tra finito ed infinito in Kant attraverso una ricostruzione dei fondamenti del suo sistema. Inconscio, fondamento, abisso nella ‘Scienza della logica’ di Hegel, di G. Severino. Merleau-Ponty Bergson: un dialogo “se faisant”, di E. Lisciani Petrini: l’atteggiamento critico di Merleau-Ponty verso Bergson nella sua evoluzione, attraverso cui è possibile rilevare un’influenza rilevante del secondo nei confronti del primo. L’unità della differenza in Heidegger, di M. De Carolis: il problema del rapporto tra le due fasi del pensiero di Heidegger alla luce della prospettiva metodologica dell’indicazione di quali motivazioni di base del pensiero heideggeriano implichino la rottura e quali problemi, legati alla riflessione sul linguaggio, incidano su queste stesse motivazioni, imponendo la trasformazione. L’itinerario speculativo di Bernardino Varisco, di B. Minozzi. Il molteplice empirico nella koinonia dei generi. Il ‘Sofista’ di Platone, di G. Traversa: questione centrale di questo dialogo platonico è il problema dell’essere e della koinonia dei generi sommi e quella del non essere e del diverso. Performativi in Jean Louis Gardies: verità, verificabilità, vero-funzionalità, di A. Rossetti. Detto/dire, significazione/significatività, di S. Petrilli: le considerazioni sul linguaggio di Lévinas in relazione al problema dell’alterità, della relazione interpersonale, della dialogicità. Per una lettura “etico-politica” del pensiero di Lèvinas, di B. Gisonna. Uccidere/nutrire: la corporeità al di fuori del concetto di R. Trovato: una riflessione sul carattere della concretezza in Lévinas, carattere che si specifica nella corporeità. L’anti-umanesimo di Emmanuel Lévinas, di P. Cimmino. La nascosta prudenza di Lévinas, di F. Cassano: l’importanza della lezione di Lévinas. La critica al potere dell’identità: Lèvinas e Foucault, di J. F. Giner: il rapporto tra due pensatori che hanno in comune la polemica contro il logocentrismo e la valorizzazione dell’Altro, che, secondo l’autore, deve essere collocato nella sfera politica. Musica e alterità: a partire da Foucault, di J. E. Adell Pitarch. Per Italo Mancini, di P. Grassi. IDEE REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE n. 25, 1994 Milella, Lecce Vol. 48, n. 4, 1994 Universa, Wetteren Tema della rivista: “Sulla traccia di Lévinas”. Tema della rivista: “Port- Royal”. Mondo e non-indifferenza, di A. Ponzio: un ripensamento della struttura speculativa della filosofia di Lévinas attraverso la nozione di “mondo” nel confronto con quelle di morte, scandalo e buona coscienza. Per un’etica della responsabilità come dia-cronia e an-archia, di M. Signore. Cittadinanza e trascendenza del volto, di F. Fistetti: la riflessione politica di Lévinas. La philosophie d’Antoine Arnauld, di A. R. Ndiaye: l’originalità del pensiero di Arnauld rispetto al cartesianesimo sta nella questione delle idee; egli infatti elabora una filosofia delle idee come teoria della comunicazione, anche se non si tratta di una trattazione sistematica ed essa viene posta comunque costantemente in rapporto alle sue prospettive teologiche, morali e pastorali. L’articolo si sviluppa attorno a tre punti: la creazione delle verità eterne, la distinzione tra ragione e fede, i rapporti tra idee e segno. De Husserl a Lévinas: un autre discours sur L’Europe et la philosophie de l’histoire, di G. E. Sarfati: il confronto Husserl-Lévinas sul tema dell’Europa in chiave filosofica, tema legato alla filosofia della storia ed alla crisi della modernità e della teodicea. Dualism and occasionalism, di S. Nadler: la posizione di Arnauld in rapporto al dualismo cartesiano ed all’occasionalismo. L’umanesimo di Lévinas e l’incontro a Davos, di X. Antich: rilettura dell’eurocentrismo e dell’umanesimo di Lévinas. Arnauld et Pascal, di M. Le Guern: l’influenza di Arnauld su Pascal è rilevante, in particolare per quanto riguarda la rifles- 66 Arnauld et Malebranche, di C. Senofonte: il dibattito tra Arnauld e Malebranche in merito alla questione delle idee. RASSEGNA DELLE RIVISTE sione sul problema della grazia e la lotta contro una moralità non rigorosa. Limitata risulta invece l’influenza di Pascal su Arnauld, che si risolve in una certa concezione e pratica della retorica ed alla teoria della fede umana. A propos de l’analyse des jugements universels dans la Logique de Port-Royal, di R. Schmit. filosofo ad affermare l’ateismo di principio della filosofia ed a sottolineare la positività della scienza teologica. Dopo la svolta e l’anticristianesimo acuto che caratterizza questo periodo, la dimensione del sacro riappare e dopo aver mostrato la struttura ontoteologica fondamentale della metafisica, Heidegger distingue nettamente la teologia della fede dalla theiologia del pensiero. Du calcul des idées à las sémantique formelle, di M. Dominicy: questi ultimi due articoli analizzano i problemi e la modernità della logica di Port-Royal. De l’Esprit, di P. Ricoeur: il termine spirito designa qui il dinamismo che anima il desiderio di verità, il potere d’agire in campo pratico ed i sentimenti morali di base. Urgence kérygmatique et délais herméneutiques, di J. Y. Lacoste: il confronto tra le ragioni filosofiche e quelle teologiche. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Tomo 92, n. 2-3, maggio-agosto 1994 Institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve Tema della rivista: “Fede e filosofia”. La preuve anselmienne de l’existence de Dieu est-elle un argument “ontologique”?, di J. Mc Evoj: l’articolo analizza le recenti valutazioni della prova anselmiana condotte da R. Sokolowski, G. E. M. Ascombe, J. L. Marion. Contribution au problème du lien ontothéologique dans la démarche métaphysique de S. Thomas D’Aquin, di G. Gérard: a partire da un’analisi della determinazione tomista della metafisica come scienza dell’essere che contemporaneamente include Dio come causa prima dell’essere stesso, l’articolo vuole dimostrare la tesi dell’identità in Dio di essenza ed essere. Ciò si presta ad una duplice interpretazione: da una parte Dio sarebbe l’essere necessario per sé che non può non essere, con la conseguenza che il termine “essere” esprime adeguatamente cio che Dio è; accanto a questa interpretazione positiva ne emerge tuttavia un’altra negativa, secondo cui l’approccio metafisico a Dio come essere stesso, lungi dal fornire una quasi definizione di Dio, esprimerebbe piuttosto la nostra ignoranza su di lui. Foi et philosophie selon Schleiermacher, di E. Brito: l’articolo analizza il rapporto tra filosofia e fede in Schleiermacher attraverso il rapporto tra filosofia e religione, maturato dopo Dialektik, quello tra teologia e filosofia in Kurze Darstellung, quello tra morale filosofica e morale cristiana in Ethik e Christichle Sitte. Heidegger et la theologie, di F. Dastur: Heidegger stesso dichiara che i suoi studi di teologia sono stati all’origine del suo interrogare filosofico. Il periodo che precede e che segue immediatamente la pubblicazione di Essere e Tempo, distinguendo radicalmente tra pensiero e fede, porta il Philosophie et acte de foi chrétien, di R. Sokolowski: la fede cristiana come virtù e azione e il confronto tra gli atti propri della virtù naturale. Le projet philosophique et la foi chrétienne, di J. Ladrière: pur evocando la differenza radicale che separa il progetto filosofico dalla fede cristiana, l’articolo si domanda che cosa spieghi l’interesse di una gran parte della tradizione cristiana accordato alla filosofia. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER Le problème de la connaissance dans la doctrine philosophique de F. H. Jacobi, di L. Strauss: la tesi di L. Strauss, scritta sotto la direzione di Cassirer nel 1921 ad Amburgo. L’anthropologia in nuce de Kant et Hamann, di M. Cohen-Halimi: la comparsa nel 1764 di un uomo definito “selvaggio” nelle foreste di Königsberg fornisce a Kant e a Hamann l’occasione di un confronto dei loro punti di vista sull’intellegibilità della naturalità e della fattualità umana. Emergono qui due posizioni contrastanti: l’interpretazione teologica di Hamann e quella in nuce, di Kant, dell’applicazione del metodo sperimentale all’antropologia. Max Weber et le néo-kantisme. Pour une politique de la modernité, di C. Piché: l’etica della politica di Weber ci indica che la” convinzione” costituisce un elemento tanto essenziale della condotta umana quanto il sentimento di responsabilità. La filosofia neokantiana dei valori fornisce uno strumento teorico per l’elaborazione della sociologia. Le sphinx de la connaissance: Husserl et l’énigme de l’a priori corrélationnel, di W. Miskiewicz: le figure principali del Korrelationsgedanke di Husserl nella prospettiva aperta dai corsi sulla teoria del significato del 1908. Histoire, mémoire et oubli chez Walter Benjamin, di J. M. Gagnebin. n. 3, luglio-settembre 1994 PUF, Paris La cosmologie contemporaine doit-elle intéresser les philosophes?, di J. MerleauPonty. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES Logique et existence, di X. Verley: dopo Kant i logici hanno ridotto l’esistenza ad un predicato che non può che essere pensato nella cornice della generalità. Esso non ha senso che relativamente al formalismo scelto; resta esteriore all’individuazione vera ed è difficile da pensare a partire da un universo simbolico. Tema della rivista: “Filosofia inglese”. Quine, le continuisme e la fin de l’épistemologie néo-positiviste, di J. Largeault. L’analyse philosophique selon G. E. Moore, di R. Daval: la rivalutazione dell’opera di Moore, spesso ignorata in Francia, alla luce di un’accentuazione del termine “analisi” nella sua valenza di analisi filosofica. L’ontologie de la specificité, di E. Martineau: la presenza del concetto di specificità nella riflessione contemporanea. luglio-settembre 1994 PUF, Paris Le Bien est-il indéfinissable? Le point de vue d’Aristote dans sa critique contre l’idée platonicienne du Bien. A propos des ‘Principia Ethica’ de G. E. R. Moore, di F. Bravo: le argomentazioni logiche di Moore relative alla determinazione del termine “buono”. Aspects de la métaphore chez Thomas Hobbes, di M. Labrune: l’articolo intende delineare condizioni e limiti dell’uso della metafora in Hobbes. REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE Vol. 99, n. 3, luglio-settembre 1994 Armand Colin, Paris Tema della rivista: “Filosofi tedeschi”. 67 Note sur la distribution baconienne des sciences et l’Encyclopédie, di F. Vert. Remplissement et accomplissement. Etude critique sur l’évidence chez Husserl, di P. Guillamaud. RASSEGNA DELLE RIVISTE Vol. XXXIV, n. 3, settembre 1994 Fordham University, New York Objects of representations and Kant’s second analogy, di S. M. Bayne: la strategia utilizzata da Kant per dimostrare la causalità. Souls, attunements and variations in degree: ‘Phaedo’ 93-94, di J. D. G. Evans: la questione dell’identità personale in Platone. Two perspectives on Kant’s appearances and things in themselves, di H. Robinson: la questione dell’idealismo in Kant a partire da un confronto con Berkeley. Intentionality and the imperative, di A. Lingis: riflessioni e difficoltà su imperativo e intenzionalità cognitiva in Heidegger e Merleau-Ponty. Form and content in Kant’s aesthetic: locating beauty and the sublime in the work of art, di K. Pillow. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Begriffsgeschlichtliches zur Theodizee, di C. F. Geyer: il problema della teodicea in Leibniz, Kant, l’idealismo, Schopenhauer e Hartmann, il neokantismo e la teologia naturale. RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVIII, What have we learned from ontological devil-arguments?, di D. F. Haight. Galileo’s infinished case and its cartesian product: method, history and rationality, di D. J. Balestra: il contributo galileiano alla nascita del metodo della scienza, in rapporto alle tesi di Copernico ed alla luce di un particolare modello di argomentazione razionale. Hume as classical moralist di M. A. Martin: la posizione del sistema morale di Hume in rapporto alla morale di epicurei, stoici, scettici e platonici. Merleau-Ponty’s ontological quest, di W. J. Hurst: un’analisi delle principali nozioni ontologiche di Merleau-Ponty. Fundamental ontology and existential analysis in Heidegger’s ‘Being and Time’, di M. Miles. Transcending the human: a kierkegaardian reading of Martha Nussbaum, di R. L. Hall: la dialettica di Kierkegaard può essere colta alla luce di una prospettiva ermeneutica quale quella dell’americana Martha Nussbaum. Kant’s society of nations: free federation or world republic?, di G. Cavallar: la teoria politica della libera federazione di Stati ben si accorda con la filosofia morale kantiana. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol. 48, n. 4, ottobre-dicembre 1994 V. Klostermann, Frankfurt a/M Wozu noch erste Philosophie? Über das Wechselverhältnis von Subjectivität und raumzeitlicher Einzelnheit, di A. F. Koch. Karl Marx und die soziale Wirklichkeit, di M. Epple: l’analisi marxiana della realtà sociale attraverso la descrizione del mondo sociale e dei suoi conflitti. In welchem Sinne ist die Identität eine Äquivalenzrelation?, di U. Pardey: la critica al concetto di identità nell’analisi logica del linguaggio. Boethius und die Tradition, di E. Sonderegger: la posizione di Boezio all’interno di una molteplicità di tradizioni culturali e filosofiche. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXXII, n. 3, luglio 1994 Washington University, St. Louis Synthesis and the content of pure concepts in Kant’s first critique, di J. M. Young: alla luce di considerazioni non eziologiche, ma logiche ed epistemologiche, viene qui analizzata la questione della sintesi nella Critica della ragion pura. The trascendental deduction and skepticism, di S. Engstrom: se al centro della deduzione trascendentale c’è il rifiuto dello scetticismo, ci si chiede qui di quale scetticismo si tratti, tenendo presenti i due tipi di scetticismo, quello cartesiano e quello humeano. ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Vol. 75, n. 1, 1993 Walter de Gruyter, Berlin, New York The homonymy of the body in Aristotle, di C. Shields: la concezione ilemorfica di anima e corpo, il rapporto tra le funzioni tipiche del corpo umano vivente e quelle di un corpo morto. Aristotle’s measure doctrine and pleasure, di P. Gottlieb: l’Etica nicomachea in relazione al problema del rapporto tra bene reale e bene apparente; il confronto con Protagora. 68 n. 4, ottobre-dicembre 1994) presenta due articoli sulla lettura gentiliana di Rosmini ed un intervento di S. Porrino, Hegel: la riscoperta dell’ortodossia cristiana (seguito del fascicolo precedente). IL VERRI (n. 3-4, settembre-dicembre 1994, Mucchi Editore, Milano) pubblica una serie di poesie postume di Giuseppe Raimondi che vanno dal 1924 al 1982 e che si affiancano all’opera narrativa dello scrittore. NUOVA CORRENTE (n. 113/1994, Til- gher, Genova) pubblica una serie di saggi sul tema: “Il saggio nel Novecento italiano”. TEOLOGIA (Anno XIX, n. 3, settembre 1994, Glossa, Milano) presenta un articolo di I. Biffi su Figure medievali della teologia: la teologia in Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia. NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE (Anno XII, n. 2-3, 1994, Nuova Eri, Roma) raccoglie le relazioni del ciclo di conferenze tenuto a Forlì nell’autunnoinverno 1993-94 dal titolo: “Scienza e tecnica nel Rinascimento”. Al centro della riflessione sta il problema della valutazione di continuità e differenze nei concetti di “scienza” e “tecnica” nel corso del divenire storico delle civiltà. All’interno di questo contesto la cifra caratteristica del Rinascimento è costituita dall’intreccio profondo tra sapere scientifico e sapere umanistico, poi separati dalla modernità. Ciò determina un continuo scambio tra ambiti culturali diversi che investe proprio la tematica al centro della discussione; interessanti in quest’ottica, tra gli altri, gli interventi dedicati al rapporto tra tecnica e poesia in Ariosto e Tasso e tra tecnica, scienza e filosofia in campo musicologico. STUDI SCIACCHIANI (Vol. X, n. 1-2, 1994, L’Arcipelago, Genova) pubblica un lungo saggio di A. Modugno dal titolo: Intelligenza e ragione. La struttura dell’antropologia metafisica di Sciacca (I). NOVITÀ IN LIBRERIA AA.VV. Philosophie chinoise Minuit, gennaio 1995 pp. 95, F 59 Il volume contiene capitoli sui seguenti argomenti e dei seguenti autori: Tchouang-Tse; Ts’i wou-louen: “Que tous le discours se valent”; JeanFrançois Billeter: “Arrêt, vision et language: essai d’interpretation du Ts’i wu louen de Tchouang-Tse”; Anne Cheng: “Li, ou la leçon de choses.” Si tratta di specialisti del settore. AA.VV. Plato to Nato: Studies in Political Thought Penguin, febbraio 1995 pp.224, £ 6.99 Si tratta di una raccolta di quattordici saggi sul pensiero politico. Gli argomenti spaziano da pensatori come Platone, Machiavelli, Hobbes, Locke, Rousseau e Marx, fino alle concezioni di filosofi come Herbert Marcuse e Hannah Arendt. AA.VV. Metzler Philosophen Lexikon. Dreihundert biographisch-werkgeschichtliche Porträts von den Vorsokratikern bis zu den Neuen Philosophen Metzler, febbraio 1995 pp. 300, DM 39,80 AA.VV. Il realismo pragmatico di Hilary Putnam a cura di M. Ostinelli Liguori, gennaio 1995 pp. 199, L. 22.000 L’influenza del modus analyticus, che ha positivamente caratterizzato la filosofia americana a partire dagli anni trenta, è ancora molto forte ma alcuni elementi nuovi sono apparsi; altri lasciano intendere che una nuova stagione è forse venuta per la filosofia del pragmatismo. Tra i più convinti sostenitori della bontà di questa impresa vi è appunto Putnam. Questo volume, che nasce da un seminario promosso a Lugano dalla Società filosofica della Svizzera italiana, ne esamina e approfondisce alcuni aspetti particolarmente controversi. Abelardo, Pietro Etica Mondadori, marzo 1995 pp. 192, L. 16.000 La dottrina etico-filosofica di uno dei più acuti e spregiudicati filosofi del medioevo cristiano. Addelson, Kathryn Pyne Moral Passages: Notes toward a Collectivist Moral Theory Routledge, gennaio 1995 pp. 256, £ 11.99 Questo lavoro unisce filosofia, teoria femminista e sociologia, allo scopo di esaminare i problemi sociali e morali. Il principio che è alla base di questo saggio è che il sapere e la moralità sono generati dall’azione collettiva e che essa fissa il principio in opposizione alle teoria individualiste dell’etica. NOVITÀ IN LIBRERIA Adinolfi, Massimo La deduzione trascendentale e il problema della finitezza in Kant Esi, febbraio 1995 pp. 190, L. 28.000 Saggio che, a partire dagli esiti epistemologici e gnoseologici del kantismo,prende in considerazione e analizza il passaggio della Critica della ragion pura tradizionalmente ritenuto come il “punto debole” di tutta la costruzione sistematica del filosofo prussiano. Alican, Necip Fikri Mill’s Principle of Utility. A Defense of John Stuart Mill’s Notorious Proof Rodopi, dic.-gennaio 94/95 pp. 240, FOL 75 Questo libro è un’analisi approfondita, un’interpretazione ed una difesa della nota prova di Mills, riguardante il principio di utilità. Amadio, Carla Fichte e la dimensione estetica della politica Guerini, febbraio 1995 pp. 128, L. 25.000 Le posizioni di Fichte relativamente ai rapporti tra riflessione estetica, filosofia e politica. Adorno Th.W. Archiv (a cura di) Frankfurter Adorno Blätter vol. III Edition Text & Kritik dicembre-gennaio 94/95 pp. 160, DM 35 Centro del libro è la ricezione di Beckett da parte di Adorno, insieme al suo impegno per lo scrittore. Vengono anche pubblicati undici aggiunte alle Gesammelte Schriften ed un contributo, apparso sotto lo pseudonimo Castor Zwieback, dal titolo Surrealistische Lesestücke. Ankersmit, F.R. History and Tropology. The Rise and Fall of Metaphor California UP, febbraio 1995 pp. 256, $ 48 L’autore, rispondendo ai lavori di Hayden White, Arthur Danto e Hans Georg Gadamer, esamina argomenti come la differenza tra la rappresentazione storica e l’espressione artistica, lo status della metafora nella descrizione storica e la relazione del postmodernismo con lo storicismo. Akerma, Karim Soll eine Menschheit sein?. Eine fundamentalistische Frage Junghans, febbraio 1995 pp. 94, DM 28 Aristotele Traité du temps tr. e a cura di C. Colbert Kimé, gennaio 1995 pp. 128, F 100 Con Aristotele, l’interrogazione sulla natura, sviluppata nella Fisica, mostra un nuovo aspetto. Si sposta e si sviluppa all’orizzonte del movimento. Se l’essere naturale è un essere in movimento, è anche un essere nel tempo. Alain Mars ou La guerré jugée; précédé de ‘De quelques-unes des causes réelles de la guerre entre nations civilisées’ Gallimard, febbraio 1995 pp. 560, F 55 Alain giudica la guerra senza dimenticarsi della storia, della rivolta, del potere, della situazione del soldato, del contadino o del proletario, della violenza, della passione per la morte. Aristotele Politics a cura di R. Stalley Oxford Paperbacks, febbraio 1995 pp. 464, £ 6.99 Si tratta della traduzione inglese di uno dei testi più importanti della storia del pensiero politico, che solleva le questioni dell’organizzazione e del governo delle società umane. L’introduzione esamina lo sfondo storico e filosofico di quest’opera e la portata che ha ancora ai nostri giorni. Albrecht, Michael Eklektik. Eine Begriffsgeschichte mit Hinweisen auf die Philosophie und Wissensschaftsgeschichte Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 771, DM 230 Algra, Keimpe Concepts of Space in Greek Thought Brill, dicembre-gennaio 94/95 FOL 145 69 Arkush, Allan Moses Mendelssohn and the Enlightment State Univ. of New York Press dicembre-gennaio 94/95 pp. 320, DM 20 Questo libro situa il pensiero di Mendelssohn all’interno della scuola leibniziano-wolffiana, nel contesto degli scritti di Kant e Lessing e delle maggiori figure dell’Illuminismo e nel filone dell’antica tradizione ebraica. Arndt, Andreas Dialektik und Reflexion. Zur Rekonstruktion des Vernunftbegriffes Mienre, dicembre-gennaio 94/95 DM 98 Arndt, Andreas et al. (a cura di) Hegel-Jahrbuch 1993/94 Akademie Vlg., dic.-gennaio 94/95 pp. 500, DM 98 Questo volume, appartenente ad una collana dedicata a Hegel e fondata da Wilhelm Raimund Beier, contiene i contributi di una cinquantina di studiosi di Hegel a livello internazionale. Si tratta della trascrizione degli interventi tenuti in occasione del XIX Congresso internazionale su Hegel, dal tema “Stato e Diritto”, tenutosi a Norimberga nel ’92. Assoun, Paul-Larent Freud, la philosophie et les philosophes PUF, gennaio 1995 pp. 400, F 78 Che cos’era la filosofia e cos’erano i filosofi per il fondatore della psicoanalisi? Da un lato, Freud non ha formulato in maniera abbastanza convincente la possibilità che la filosofia legiferi sulla scienza psicanalitica; dall’altro, si può osservare un ritorno costante ed il riferimento a certi sistemi che sembrano assolvere ad una funzione necessaria all’interno dell’argomentazione freudiana. Si tratta di un testo universitario. Atmanspacher, H. et al. (a cura di) Der Pauli-Jung-Dialog und seine Bedeutung für die moderne Wissenschaft Springer, febbraio 1995 pp. 350, DM 78 Il volume contiene degli scritti inediti di W. Pauli, spiegazioni e saggi di scienziati, filosofi e psicologi tra i più noti ai nostri giorni. I materiali affascinanti e le idee importanti offrono a fisici, filosofi, psicologi ed altri studiosi spunti per ulteriori ricerche. Audi, Paul De la veritable philosophie: Rouseau au commencement Nouveau commerce, febbraio 1995 pp. 158, F 165 Come si impossessa il pensiero di ciò che gli è proprio? Che incidenza avrà questa decisione sull’esistenza di un fiolsofo? Oppure, utilizzando le parole di Rousseau, che cosa bisognerebbe essere per far sì che la “vera filosofia” diventi “inseparabile dal titolo di filosofo”? NOVITÀ IN LIBRERIA Badiou, Alain L’essere e l’avvenimento Melangolo, marzo 1995 pp. 560, L. 70.000 Teoria filosofica che cerca una soluzione alternativa a partire da quelle formulate rispettivamente da Heidegger e Lacan, al problema dell’essere e della soggettività. Bagnoregio, Bonaventura da Itinerario della mente verso Dio Rizzoli, febbraio 1995 pp. 204, L. 16.000 Opera classica nella storia del pensiero teologico-filosofico del medioevo occidentale. Baier, Kurt The Rational and the Moral Order. The Social Roots of Reason and Morality Open Court Publ., febbraio 1995 pp. 360, £ 17 Questo testo offre delle teorie della ragione e della moralità avanzate da Baier nelle sue Carus Lectures. Egli sostiene che possono essere distinti due tipi di ragione pratica: la ragione self-anchored (“ancorata in sé) e quella society-anchored (“ancorata nella società”). La seconda è, per sua natura, preminente. Barber, K.F. - Gracia, J.J.E. (a cura di) Individuation and Identity in Early Modern Philosophy. Descartes to Kant State Univ. of New York Pr. dicembre-gennaio 94/95 pp. 256, $ 19 Questo è il primo libro che si concentra sul problema dell’individuazione e dell’identità nella filosofia moderna e che ne delinea in modo coerente lo sviluppo filosofico. Bartolommei, Sergio Etica e natura Laterza, gennaio 1995 pp. 240, L. 15.000 Riflessioni intorno ai problemi etici posti dalla crisi ecologica dei nostri tempi. Battaille, George Teoria della religione Se, marzo 1995 pp. 128, L. 20.000 Una intrepretazione complessiva dei fenomeni religiosi, fondata sulla problematicità - e centralità - ancora irrisolta della presenza del male nella storia, il male come eclisse della ragione, come perdizione. Bauman, Zygmunt Life in Fragments. Essays in Postmodern Moralities Blackwell, febbraio 1995 pp. 256, £ 14 Questo libro è il seguito dell’importante e famoso studio di Bauman, Postmodern Ethics (1993). A partire da Morality Without Ethics fino alle controverse questioni della politica post-moderna di Life in Fragments, l’opera di questo autore è un contributo al pensiero sociale contemporaneo. Baumartner, H.M. (a cura di) Zeitbegriffe und Zeiterfahrung Karl Alber, dicembre-gennaio 94/95 pp. 320, DM 78 filosofici classici e che egli non ignora gli argomenti legati alla teoria della conoscenza: lo statuto della metafisica, l’induzione, la razionalità, il determinismo. Becchi, Paolo Il tutto e le parti. Organicismo e liberalismo in Hegel Esi, febbraio 1995 pp. 206, L. 30.000 Un’intrepretazione della storia delle dottrine politiche alternativa a quella “tradizionale”, fondata sulla contrapposizione tra teorie individualistiche e teorie organicistiche della società. Bradie, Michael The Secret Chain. Evolution and Ethics State Univ. of New York Press dicembre-gennaio 94/95 pp. 212, $ 15 Bradie chiarisce la posizione che dovrebbe aver assunto o assumere ogni studioso, dal XVIII secolo fino ai giorni nostri, che ha qualcosa di importante da dire sul rapporto tra evoluzione ed etica. Bernstein, J.M. Recovering Ethical Life. Jürgen Habermas and the Future of Critical Theory Routledge, febbraio 1995 pp. 304, £ 14 La costruzione della teoria della società critica sociale che si fonda sulla ragione comunicativa è una delle poche invenzioni sociali realmente filosofiche degli ultimi tempi. Questo studio elaborato e simpatetico colloca il progetto di Habermas nel contesto della teoria critica nel suo complesso passato e futuro. Bras, Gérard - Cléro, Jean-Pierre Pascal: figures de l’imagination PUF, dicembre 1994 pp. 128, F 45 Si è spesso ripetuto che l’immaginazione è stata trattata come ispiratrice di errori o di falsità da parte di Pascal. Ma l’originalità della proposta di Pascal sta proprio nel suo mostrare che non ci si sbarazza mai dell’immaginazione, che è costitutiva, non solo per il mondo sensibile, ma anche per la condizione umana con tutte le sue contrarietà. Biemel, Walter Gesammelte Schriften vol. I: Schriften zur Philosophie vol. II: Schriften zur Kunst Froommann-Holzboog, febbraio 1995 pp. 800, DM 80 Braude, Stephen E. First Person Plural: Multiple Personality and the Philosophy of Mind Rowman & Littlefield, gennaio 1995 pp. 320, £ 19.95 Questo testo sostiene che la maggior parte delle interpretazioni delle personalità multiple non riescono a distinguere chiaramente alcuni stati ad esse legati come il trance ipnotico, il sogno, la medianità. Secondo l’autore, anche la personalità profondamente divisa ha un’unità psicologica nascosta. Blackburn, Simon The Oxford Dictionary of Philosophy Oxford UP, dicembre-gennaio 94/95 pp. 448, £ 20 Da Aristotele allo Zen, questo dizionario contiene 2500 definizioni di concetti filosofici, dal tempo degli antichi Greci ai giorni nostri. Ci sono voci riguardanti quasi cinquecento filosofi. Le prospettive moderne vengono discusse utilizzando anche termini da discipline attigue. Braun, Bernhard Ontische Metaphysik. Zur Aktualität der Thomasdeutung Cajetans Königshausen & Neumann febbraio 1995 pp. 220, DM 58 Cajetan legge nei testi di Tommaso d’Aquino una posizione ontologica, che sfocia poi nella concretezza dell’essere. Questa vicinanza al nominalismo, la simpatia per il modello empirico e lo scetticismo nei confronti del razionalismo e del suo apriorismo caratterizzano la posizione sul realismo tipica di Cajetan. Blackwell - Ruja - Turcon A Bibliography of Bertrand Russel II: Separate Publications II: Serial Publications III: Indexes Routledge, febbraio 1995 pp. 1.504, £ 250 Boella, Laura Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare praticamente Feltrinelli, marzo 1995 pp. 224, L. 28.000 Un profilo che delinea il ritratto di una donna presente al suo tempo, la sua produzione di saggista, giornalista, biografa, il suo pensiero storicopolitico e teoretico. Bruno, Giordano La cena delle ceneri Mondadori, marzo 1995 pp. 250. L. 12.000 I cinque dialoghi in cui il filosofo combattè le teorie aristoteliche e esaltò quelle copernicane. Boyer, Alain Introduction à la lecture de Karl Popper Ecole normale supérieure dicembre 1994 pp. 288, F 160 Il volume mostra che l’autore di Congiunture e refutazioni tratta problemi 70 Brüntrup, Godehard Mentale Verursachung. Eine Theorie aus der Perspektive des semantischen Anti-Realismus Kohlhammer, dicembre-gennaio 94/95 pp. 283, DM 69,80 Bubner, R. et al. (a cura di) Ansätze der Philosophie um 1800 Vandenhoecke & Ruprecht febbraio 1995 pp. 128, DM 40 Con questo volume si conclude la sezione Neue Hefte für Philosophie. Bubner, Rüdiger Innovationen des Idealismus Vandenhoeck & Ruprecht febbraio 1995 pp. 215, DM 39 Questa raccolta di saggi si occupa in particolar modo della forza innovativa e della dinamica pensante della filosofia post-kantiana. La costruzione della sistematica idealista, l’integrazione del pensiero della storia e gli impulsi dell’estetica ne costituiscono i punti principali. Bugault, Guy L’Inde pense-t-elle? PUF, dicembre 1994 pp. 352, F 198 L’Encyclopédie philosophique universelle ha iniziato a fare l’inventario dei concetti e delle opere indiane che hanno pertinenza per la filosofia. Lo scopo di questo saggio è di ridare vita agli elementi di questa nomenclatura, fornendo esempi concreti, ricollocando i problemi al loro posto, sulla base di esempi scelti liberamenti all’interno dei diversi ambiti dell’indianità. Burke, Tom Dewey’s New Logic. A Reply to Russel Univ. of Chicago, febbraio 1995 pp. 320, $ 37 Burke mostra come la logica di Dewis si rivolga ai postulati della filosofia del linguaggio e della psicologia, dell’informatica e della semantica formale in un modo diverso rispetto a quello della logica di Russel. Cambiano, Giuseppe Le retour des anciens tr. dall’italiano di S. Milanezi, N. Loraux Belin, gennaio 1994 pp. 202, F 139 La filosofia contemporanea non ha mai smesso di definirsi in rapporto all’Antichità. G. Cambiano analizza le diverse letture che, a partire da Hegel fino a Foucault, sono state tentate, al fine di avvicinare i Greci alla nostra attualità. Mostrando la fecondità di questi avvicinamenti, egli mette in luce le diverse posizione di partito preso che hanno condotto gli autori a crearsi, in momenti differenti, un’immagine della Grecia a loro misura. Si tratta di un argomento di sicuro interesse per un vasto pubblico. NOVITÀ IN LIBRERIA Carabellese, Pantaleo Il problema teologico come filosofia Ed. Scientifiche, febbraio 1995 pp. 200, L. 31.000 Il problema teologico come filosofia, che qui si presenta in edizione anastatica, è certamente il “capolavoro” di Carabellese, apparso nel 1931 e mai più ristampato, malgrado la sua grande rilevanza nel panorama della filosofia italiana dell’epoca. Casavola, Franco L’appello del futuro Studium, febbraio 1995 pp. 268, L. 28.000 Attraverso il riferimento a celebri personaggi della cultura religiosa occidentale, si cerca di porre le basi di una visione etica, ed escatologica, che tenga le generazioni solidali tra loro, legate da una fondamentale continuità del processo storico che salda passato, presente e futuro. Cassirer, Ernst Descartes,. Lehre Persönlichketit Wirkung intr. a cura di Rainer A. Bast Meiner, febbraio 1995 pp. 409, DM 68 Cassirer, Ernst Goethe und die geschichtliche Welt intr. a cura di Rainer A. Bast Meiner, febbraio 1995 pp. 142, DM 36 Cavell, Stanley Philosophical Passages Wittgenstein, Emarson, Austin, Derrida Blackwell, febbraio 1995 pp. 208, £ 11 Stanley Cavell è uno dei più importanti filosofi americani contemporanei. In questa sua ultima raccolta, Cavell fornisce una straordinaria e circostanziata lettura di Fate di Emerson, della risposta di Derrida a Signature Event Context di J.L. Austin e delle Investigazioni filosofiche di Wittgenstein. Caygill, Howard A Kant Dictionary Blackwell, febbraio 1995 pp. 400, £ 15 In questa nuova indagine lessicale delle opere di Kant, Howard Caygill presenta i concetti e la terminologia kantiani introducendo e chiarificando le idee ai lettori e agli studiosi di Kant. Chenet, François-Xavier L’assise de l’ontologie critique: l’esthétique transcendentale Université de Lille, febbraio 1995 pp. 440, F 240 L’estetica trascendentale viene qui difesa contro chi vede in essa la parte meno interessante della Critica della ragion pura, ovvero una vestigia del pensiero precritico o contro chi invoca un’incompatibilità, nello spirito come nella scrittura, tra l’estetica e l’analitica trascendentali. Il volume incontrerà certamente l’interesse del pubblico. Childs, Gilbert Rudolf Steiner: His Life and Work: an Illustrated Biography Floris books, febbraio 1995 pp. 128, £ 4.99 Si tratta di un’introduzione alla vita ed al pensiero di Rudolf Steiner, che descrive come sono state messe in pratica le sue idee e come stanno ancora ispirando e guidando molte persone al mondo. La base di queste ricerche è la “scienza dello spirito” che egli chiamò antroposofia. Conte, Domenico Catene di civiltà Studi su Spengler Esi, febbraio 1995 pp. 388, L. 58.000 Saggio storico-filosofico che cerca di coordinare, in una teoria organica, lo scritto più noto di Spengler (Il tramonto dell’occidente) con il resto della sua opera. Cornaz, Laurent L’Ecriture ou Le Tragique de la transmission: esquisse pour une histoire de la lettre L’Harmattan, gennaio 1995 pp. 217, F 120 Inaugurando una pratica dell’alfabeto, i Greci hanno conosciuto l’idea di un logos matematizzabile e trasmissibile integralmente. La nostra modernità scopre, formalizzando la scrittura del sapere, l’impossibilità di portare a termine il progetto di trasmettere la verità della scienza. Proliferano quindi le tecnologie. Ma qual’è il rapporto tra scrittura e trasmissione? Il pubblico avrà molto interesse per questo libro. Cirera, Ramon Carnap and the Vienna Circle. Empiricism and Logical Syntax Ed. Rodopi, dicembre-gennaio 94/95 pp. 414, FOL 130 Questo libro sostiene una lettura alternativa delle diverse influenze su Carnap, di Schlick, Wittgenstein, Neurath e Popper, rendendo anche conto dell’evoluzione di Carnap, dal fisicalismo al fenomenalismo fino ad una visione sintattica. Clarke, Robert L’uomo mutante Sperling & Kupfer, febbraio 1995 pp. 220, L. 29.000 Prospettive e ipotesi sul futuro dell’uomo. Cotroneo, Girolamo Questioni crociane e post-crociane Esi, febbraio 1995 pp. 220, L. 33.000 Alcune questioni del pensiero di Benedetto Croce di natura teoretica, metodologica ed etica. Clarke, W. Norris Explorations in Metaphysics: Being-God-Person Univ Notre Dame, gennaio 1995 pp. 256, £ 17.95 Questa raccolta di saggi è una rassegna del pensiero e delle opere di W. Norris Clarke, un filosofo ispiratosi alla tradizione tomistica. Ogni saggio offre delle argomentazioni e discute ciò che è stato sostenuto nei saggi precedenti, realtivi ai temi della metafisica della realtà ed alla filosofia di Dio. Cowan, R. - Rizzo, M.J. (a cura di) Profits and Morality The Univ. of Chicago Pr. febbraio 1995 pp. 192, $ 30 Attraverso la lente dell’economia, della filosofia e della legge, questi sei saggi esplorano la moralità del profitto dal liberalismo, all’utilitarismo fino alle prospettive che ne conseguono. Comte-Sponville, André Petit traité des grandes vertus PUF, gennaio 1995 pp. 392, F 149 La virtù è potenza, eccellenza, esigenza. Essa non è in sé il bene; il bene non esiste, deve essere fatto ed è ciò che si chiama virtù. Si tratta di un’etica che continua quella di Spinoza. E’ un libro universitario. Curi, Umberto Endiadi Feltrinelli, marzo 1995 pp. 256, L. 36.000 Nel serrato riferimento ai principali nodi speculativi intorno a cui si articola la ricerca di Parmenide e Eraclito, Platone, Aristotele e Plotino, questo libro rilegge alcuni fra i testi più significativi della tragedia attica - da Eschilo a Euripide - e del repertorio mitologico classico, valorizzandone la straordinaria ricchezza filosofica. Condillac, Etienne Bonnot de Les monades Millon, febbraio 1995 pp. 256, F 150 Composto nel 1746 in occasione di un’interrogazione, oggetto di un concorso presso l’Accademia di Berlino, lo scritto sulle monadi rivela un Condillac decisamente metafisico, a dispetto di chi vorrebbe sostenere il contrario. Nell’introduzione al volume, L. Bongie, rintraccia ad uno ad uno i fili di questo intrigo filosofico appassionante e stimolante, quale l’eredità di Leibniz sottesa al pensiero di Condillac e al suo sviluppo. Si tratta di un libro universitario. D’Abbiero, Marcello - Vinci, Paolo (a cura di) Individuo e società nel pensiero hegeliano Guerini, febbraio 1995 pp.240, L. 34.000 Raccolta di saggi centrati su una rilettura del nesso individuo-società nel pensiero di Hegel. Dann, O. - Klippel, D. (a cura di) Naturrecht - Spätaufklärung - Revolution Meiner, febbraio 1995 DM 96 71 Decher, Friedhelm Die Ästhetik K.W.F. Solgers Winter, febbraio 1995 pp. 404, DM 98 Dellaporta, Nicolò Scienza, metascienza e metafisica Cedam, febbraio 1995 pp. 314, L. 35.000 Descombes, Vincent La denrée mentale Minuit, febbraio 1995 pp. 348, F 148 Parlando del mentale, i filosofi collocano la spirito sia “dentro” che “fuori”. L’autore sostiene la tesi dell’esteriorità dello spirito e prende parte alla vivace discussione delle scienze umane che caratterizza tutto il nostro secolo: ermeneutica contro positivismo, filosofia del soggetto contro strutturalismo, individualismo metodologico contro olismo del mentale. Il pubblico sarà certamente interessato al volume. Diderot, Denis Trattato sul bello Se, marzo 1995 pp. 80, L. 13.000 Le teorie estetiche del grande illuminista francese. Didier, Raymond Schopenhauer Seuil, febbraio 1995 pp. 187, F 59 Si tratta di una biografia e di una presentazione di questo filosofo, un pensatore solitario, allergico all’ottimismo ereditato dallo spirito illuminista. Il volume è di sicuro interesse anche per il grande pubblico. Docker, John Postmodernism and Popular Culture: A cultural History Cambridge UP, gennaio 1995 pp. 328, £ 35 Questo testo, in dieci piccoli tomi, include una guida introduttiva alla storia del modernismo, delle considerazioni sullo sviluppo del postmodernismo, una spiegazione delle differenze tra lo strutturalismo ed il post-strutturalismo, una discussione ed un resoconto dei dibattiti e dei conflitti suscitati da questi movimenti. Dorter, Kenneth Form and Good in Plato’s Eleatic Dialogues. The ‘Parmenides’, ‘Theatetus’, ‘Sophist’ and ‘Statesman’ California UP, febbraio 1995 pp. 277, $ 55 I quattro dialoghi eleatici di Platone vengono considerati come un unico argomento. Secondo Dorter, Platone riconsidera la teoria delle forme proposta nei dialoghi precedenti e, esaminandone le limitazioni teoretiche, la riafferma e ne dimostra i caratteri di essenzialità. NOVITÀ IN LIBRERIA Düll, Rupprecht Zur Regulation der ‘Harmonia’. Der Regelkreis als Modell ganzheitlicher Organisation unter dem Aspekt des Bewußtseins Academia-Vlg., febbraio 1995 pp. 240, DM 48 Duverney, Claude Le critère de subsomption Slatkine, gennaio 1995 pp. 444, F 300 L’autore vuole confutare la dimensione e la vera portata del realismo empirico di Kant. L’interpretazione tradizionale del criticismo teorico di Kant tende invece a mettere in discussione la coerenza del progetto del filosofo. Ebeling, Hans Gut und Böse. Überquerung des Nihilismus jenseits von Nietzsche Königshausen & Neumann febbraio 1995 pp. 90, DM 24 Nell’epoca della cosiddetta autorealizzazione, la quale non conosce in realtà il sé e non ha un sé che possa essere realizzato, resta comunque una possibilità di ritorno: il riconoscimento del diritto che, da Platone in poi, è vincolante e legato a queste questioni, e dei legami che la problematica ha con la teoria del soggetto della modernità. Ebert, Theodor Sokrates als Pythagorareer und die Anamnesis in Platons ‘Phaidon’ Steiner, dicembre-gennaio 94/95 pp. 106, DM 49 Eidam, H. - Schmied-Kowarzik, W. (a cura di) Kritische Philosophie gesellschaftlicher Praxis. Auseinandersetzungen mit der Marxschen Theorie nach dem Zusammenbruch des Realsozialismus Königshausen & Neumann febbraio 1995 pp. 394, DM 68 Emrich, H.M. - Smith, G. (a cura di) ‘Vom Nutzen des Vergessens’ Akademie-Vlg dicembre-gennaio 94/95 pp. 200, DM 48 Le ricostruzioni della necessità funzionale del dimenticare fornite dalla psicoanalisi, dalla sociologia, dall’estetica e dalla filosofia si basano principalmente su di un presupposto orientato ai mezzi ed ai media e che ne analizza il discorso. Epitteto Manuel tr. dal greco di M. Gondicas Mille et une nuits, febbraio 1995 pp. 48, F 10 Nato verso al metà del I secolo d.C., figlio di uno schiavo e schiavo egli stesso, Epitteto aveva in sé già tutti i presupposti per applicare concretamente nella propria vita questo con- densato di morale stoica. Il suo insegnamento ci ricorda che “il solo nemico di cui si debba temere è se stessi”. guidarci verso un futuro morale? Farber, diversamente rispetto ad altri che hanno scritto un’etica evolutiva, prende in considerazione le risposte fornite dai filosofi nel corso di diversi anni. Egli sostiene che le loro critiche devastanti sono state dimenticate, facendo quindi della storia dell’etica evolutiva una serie di malintesi filosofici ripetuti. Epitteto The Discourses of Epictetus a cura di C. Gill J M Dent, febbraio 1995 pp. 442, £ 5.99 Il testo ha un formato che consente di avere dei larghi margini sulle pagine, all’interno dei quali sono inserite le note dell’editore. Nell’introduzione, il volume presenta la teoria di Epitteto; include delle note, un sommario del testo, alcuni estratti della critica e la cronologia della vita e del periodo in cui visse Epitteto. Fasching, G. Man sollte nicht den Finger, der auf den Mond weist, für den Mond selbst halten Springer, febbraio 1995 pp. 98, DM 25 Molto spesso si ritiene che l’immagine della natura fornita dalle scienze che si occupano di questo settore sia l’unica maniera adatta e legittima di vedere la realtà. Ci sono quindi diverse realtà? Epstein, Richard The Semantic Foundations of Logic: Predicate Logic vol I, tomo 1 Oxford UP Inc, gennaio 1995 pp. 412, £ 45 Questo testo copre tutti gli aspetti della semantica e delle sue applicazioni alla logica, descrivendo la semantica formale, le tavole e le traslazioni tra le logiche. Il testo interesserà a chi si occupa di informatica, di intelligenza artificiale, di linguistica, ai filosofi e a chi si occupa di matematica applicata. Ferguson, Harvie Melancholy and the Critique of Modernity. Soren Kierkegaard’s Religious Psychology Routledge, febbraio 1995 pp. 256, £ 14 Il volume esamina i legami tra l’emergenza della società moderna e l’esperienza della malinconia. L’idea della “tristezza senza una causa” ha avuto un ruolo importante nell’autocomprensione umana all’interno dello sviluppo della società occidentele. Eraclito Les Fragments tr. di Michel Puoille COMP’ACT, febbraio 1995 pp. 120, F 140 I Frammenti sembrano, sia che li si guardi da vicino o da lontano, una serie di prismi sapientemente intagliati, che nei loro angoli vivi spostano il significato, ridicolizzando tutti i possibili riferimenti alla tradizione filosofica. Si tratta di un libro universitario. Il volume è bilingue, grecofrancese. Fermer, Karl Versuch über den Nihilismus in ‘Sein und Zeit’ R.G. Fischer, febbraio 1995 pp. 68, DM 24 Ferry, Jean-Marc Justice politique et démocratie procedurale Cerf, gennaio 1995 pp. 125, F 59 La giustizia politica e la democrazia procedurale non si oppongono, anzi sono una il presupposto dell’altra, all’interno di un’argomentazione che deve dar voce a ciò che è ragionevole e a ciò che è razionale. Evans, Gillian R. Philosophie und Theologie vol. II: Mittelalter Kohlhammer, dicembre-gennaio 94/95 pp. 126, DM 38 Fikentscher, Wolfgang Modes of Thought. A Study in the Anthropology of Law and Religion Mohr, dicembre-gennaio 94/95 pp. 630, DM 190 Fikentscher definisce le mode di pensiero come delle limitazioni al pensiero umano, contrapponendosi alla nuova teoria dei paragoni inter-culturali. Le concezioni di spazio, tempo, rischio, etica ed organizzabilità vengono discusse transculturalmente. Il libro contiene anche un’introduzione all’antropologia della legge e della religione. Evard, Jean-Luc La faute à Moïse: essais sur la condition juive L’Harmattan, gennaio 1995 pp. 170, F 110 Se l’antisemitismo è la forma estrema di rancore in un mondo cristiano decristianizzato, il desiderio di incriminazione rilancia però lo stesso meccanismo discriminante. Si cercheranno quindi, all’interno della storia del popolo ebraico, le correnti di pensiero che permetteranno di ricostruire, simmetricamente, gli altri anelli della catena, quelli del rancore antiebraico. Fischer, Huber Geistreiche und philosophierende Frauen. Ein Ausschnitt aus Jahrhunderten Kovac, febbraio 1995 pp. 194, DM 79,80 Farber, Paul Lawrence The Temptations of Evolutionary Ethics California UP, dic.-gennaio 94/95 pp. 224, $42 La teoria evolutiva racconta del nostro passato biologico; ma può anche 72 Fischer, John Martin The Metaphysics of Free Will. An Essay on Control Blackwell, febbraio 1995 pp. 256, £ 40 Fischer identifica e spiega i tipi di controllo che vengono associati alla personalità ed alla responsabilità e dimostra quanto questo trovi corrispondenze nel determinismo causale (o esistenza di Dio). Il nostro modo di considerarci come persone e come agenti morali responsabili può quindi essere protetto da tentativi potenti e disturbatori dovuti alla religione o alla scienza. Fisette, Denis Lecture frégéenne de la phénoménologie Eclat, gennaio 1995 pp. 128, F 98 La lettura fregiana della fenomenologia designa un’interpretazione della teoria husserliana dell’intenzionalità che si ispira al pensiero di Gottlob Frege. Questa lettura, molto diffusa nella tradizione americana, segna il ritorno ai problemi fondamentali che sono all’origine della filosofia contemporanea. Follon, Jacques - McEvoy, James (a cura di) Actualité de la pensée médiévale: receuil d’articles Peeters - Institut supérieur de philosophie, Peeters-France gennaio 1995 pp. 360, F 360 Queste ricerche sono caratterizzate da due tendenze fondamentali: una stretta collaborazione tra le due discipline scientifiche che sono il mediovalismo e la filosofia, da una parte, la volontà di considerare la filosofia come un pensiero sempre vivo, dall’altra. E’ un libro universitario. French, Peter A. Philosophical Naturalism vol XIX Univ Notre Dame, gennaio 1995 pp. 608, £ 24.50 Si tratta di una raccolta di saggi rimasti non pubblicati fino a quest’edizione, che presentano delle discussioni sul Naturalismo. Gadamer, Hans-Georg L’Idée du bien comme enjeu platonico-aristotélicien; Le Savoir pratique tr. dal tedesco di P. David D. Saatdjian Vrin, dicembre 1994 pp. 176, F 120 La critica aristotelica di Platone non si trova già in Platone? L’autore, fedele al suo metodo ermeneutico, invita a rivisitare gli ambiti aperti dalla lettura e dal confronto tra Platone ed Aristotele sullo stesso problema, quello del bene e del male, che ha implicazioni sia etiche che politiche, sia cosmologiche che ontologiche. Galeotti, Anna Elisabetta La tolleranza Liguori, gennaio 1995 pp. 224, L. 25.000 NOVITÀ IN LIBRERIA Perché la tolleranza è ancora un problema nelle democrazie liberali che pure ne hanno riconosciuto il valore e l’hanno difeso con i diritti di libertà d’opinione, d’espressione e d’associazione? La risposta contenuta nel volume è che le questioni di tolleranza oggi più scottanti, per essere affrontate adeguatamente, richiedono una revisione e un ampliamento della tradizionale Gaskin, John The Epicurean Philosophers J M Dent, febbraio 1995 £ 5.99 Questo libro, che è caratterizzato da un ampio formato di pagina, che consente di avere dello spazio per le note, presenta le ultime dottrine di Epicuro, insieme a delle note e ad una bibliografia. Il volume contiene anche dei lavori e delle espressioni di saggezza di Epicuro, nonché un resoconto della scienza naturale di Epicuro nell’opera di Lucrezio Sulla natura dell’universo. Gauker, Christopher Thinking out Loud. An Essay on the Ratio between Thought and Language Princenton UP, febbraio 1995 pp. 384, $ 42 Molti filosofi, psicologi e linguisti pensano che il linguaggio sia un mezzo attraverso il quale chi parla esprime il suo pensiero a qualcun’altro. Gauker chiama questo modo di vedere “la teoria del linguaggio di Locke”, visto che Locke ne è stato uno dei primi esponenti. L’autore ritiene che si tratti di un grave malinteso. Giamblico Il numero e il divino Rusconi, marzo 1995 pp. 500 I tre maggiori trattati del filosofo neoplatonico vissuto tra III e IV secolo d.C. Giammetta, Sossio Nietzsche e i suoi interpreti Oltre il nichilismo Marsilio, marzo 1995 pp. 176, L. 28.000 Consapevole che la grande “attualità” del dibattito filosofico su Nietzsche rischia di far dimenticare la sua “inattualità”, Giammetta sottolinea la necessità di depurare il moralismo nietzscheano dalle sue crasse incrostazioni. Gilead, Amihud The Platonic Odyssey. A philosophical-literary Inquiry into the ‘Phaedo’ Ed. Rodopi, dicembre-gennaio 94/95 pp. 187, FOL 60 Questo libro è uno studio dettagliato di come Platone costruiva il suo dialogo filosofico seminale, il Fedo, una tragedia unica, un capolavoro poetico la cui struttura è organica e simmetrica. Gill, C.B. (a cura di) Bataille. Writing the Sacred Routledge, febbraio 1995 pp. 240, £ 15 L’autore, raccoglie i contributi di specialisti internazionali su Bataille, scritti da filosofi, letterati ed esperti di storia dell’arte. Questa raccolta esplora le diverse sfaccettature delle sue opere. il futuro delle nostre concezioni e delle nostre immagini della natura. In questo primo volume, l’autrice osserva lo sviluppo ed i cambiamenti del pensiero scientifico. Granger, Gilles-Gaston Le probable, le possible et le virtuel O. Jacob, febbraio 1995 pp. 248, F 180 Professore di epistemologia comparativa, l’autore prosegue la sua riflessione sulla razionalità scientifica moderna e sceglie di esaminare il ruolo del probabile, del possibile e del virtuale all’interno del pensiero oggettivo. Essi, in effetti, corrispondono ai momenti essenziali della conoscenza del mondo empirico. L’argomento sarà di sicuro interesse per il pubblico. Gilles, Donald - Giorello, Giulio La filosofia della scienza nel XX secolo Laterza, marzo 1995 pp. 464 Nel delineare il profilo storico della filosofia della scienza nel Novecento, Gilles articola la trattazione attorno ai temi maggiori mentre Giorello analizza il pensiero di filosofi come Popper, Kuhn, Lakatos e Feyerabend. Gillespie, Michael Allen Nihilism before Nietzsche Univ. of Chicago Pr, febbraio 1995 pp. 320, $ 32 Ricostruendo le origini spirituali ed intellettuali del nichilismo prima che Nietzsche ne desse una definizione determinante, Gillespie si sofferma sui punti di svolta cruciali per lo sviluppo del nichilismo, da Ockham e la rivoluzione nominalista di Cartesio, attraverso Fichte, il romanticismo tedesco, il nichilismo russo per giungere fino a Nietzsche stesso. Grondin, Jean Hermeneutische Wahrheit? Zum Wahrheitsbegriff Hans-Georg Gadamers Beltz Athenäum dicembre-gennaio 94/95 pp. 210, DM 34 Si tratta della seconda edizione, rivista, di questo libro. Guttenplan, S. (a cura di) A Companion to the Philosophy of Mind Blackwell, dicembre-gennaio 94/95 pp. 576, £ 60 Questo Companion è un’opera di consultazione, una guida ordinata alfabeticamente, relativa alla filosofia della mente, ma con una serie di voci riguardanti campi di interesse ad essa adiacenti. Giovannangeli, Daniel La passion de l’origine Galilée, febbraio 1995 pp. 168, F 140 “Nell’impossibilità di pensare la mia nascita e la mia morte come di vivere la vita di qualcun’altro, limitato quindi da esse come da un orizzonte, io sono, secondo l’espressione forte di Merleau-Ponty, dato a me stesso.” Habermas, Jürgen Textes et contextes: essais de reconnnaissance théorique tr. dal tedesco di M. Hunyadi, R. Rchlitz Cerf, dicembre 1994 pp.198, F 195 Il volume discute ed esamina le opere di grandi filosofi come Peirce, Husserl, Wittgenstein, Horkheimer, Simmel, Mitschelich e Heidegger. Girndt, H. - Schrader, W.H. (a cura di) Realität und Gewißheit. Tagung der Internationalen J.-G.-Fichte-Gesellschaft (6.-9. Oktober 1992) in Ramenau Ed. Rodopi, dicembre-gennaio 94/95 pp. 448, FOL 135 Il volume è curato con la collaborazione dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli e contiene le relazioni del congresso internazionale della Società Fichte. Häfner, Ralph Johann Gottfried Herders Kulturentstehungslehre. Studien zu den Quellen und zur Methode seines Geschichtsdenkens Meiner, febbraio 1995 pp. 355, DM 96 Givone, Sergio Storia del nulla Laterza, marzo 1995 pp. 256 Che si può dire e pensare del nulla? Nulla, sembrerebbe di dover rispondere. E invece questo volume affascinante mostra quale varietà e ricchezza di interpretazioni ne hanno dato, nei secoli, i grandi filosofi e letterati, da Parmenide a Heidegger, da Pascal a Leopardi e Sartre. Halfwasser, Jens Geist und Selbstbewußtsein. Studien zu Plotin und Numenios Franz Steiner dicembre-gennaio 94/95 pp. 71, DM 34 Gloy, Karen Das Verständnis der Natur. Die Geschichte des wissenachaftlichen Denkens vol. I C.H. Beck, febbraio 1995 pp. 350, DM 48 La filosofa Gloy mostra nel suo libro Halpérin, Jean - Lévitte, Georges (a cura di) Colloque des Intellectuels juifs de langue française, L’Idée d’humanité: données et débats: actes du XXXIVe Colloque des Intellectuels juifs 73 de langue française Albin Michel, gennaio 1995 F 90 L’idea di umanità è una nozione difficile e quindi essenziale anche nella nostra vita quotidiana. Questi studi tentano di far luce su questo punto. Sono tutti seguiti da una sintesi del dibattito suscitato dagli oratori. Si tratta di un argomento di sicuro interesse per un vasto pubblico. Hankinson, R.J. The Sceptics Routledge, febbraio 1995 pp. 432, £ 50 Si tratta del primo volume esaustivo ed aggiornato sullo scetticismo greco, dagli inizi dell’epistemologia con Xenofane fino allo sviluppo completo del pirronismo, così come rappresentato dalle opere di Sesto Empirico. Harrison, Paul R. The Disinchantement of Reason. The Problem of Socrates in Modernity State Univ. of New York Press dicembre-gennaio 94/95 pp. 256, $ 17 Si tratta di un esame delle interpretazioni del XX secolo di Socrate, fornite da Hegel, Kierkegaard e Nietzsche alla luce del dibattito contemporaneo sulla razionalità nel mondo moderno. Hauser, Christian Selbstbewußtsein und personale Identität. Positionen und Aporien ihrer vorkantischen Geschichte. Locke, Leibniz, Hume und Tetens Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 210, DM 70 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich Morceaux choisis tr. e a cura di H. Lefebvre N. Guterman Gallimard, febbraio 1995 pp. 696, F 58 Si tratta di una scelta di testi che offrono una sintesi della filosofia hegeliana: l’uomo e la storia, la fenomenologia, la logica, la natura, l’arte, la religione, la filosofia sono le grandi sezioni di questo libro.. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich Concept préliminaire de la philosophie tr. e a cura di B. Bourgeois Vrin, febbraio 1995 pp. 286, F 55 Questo testo, che precede l’Enciclopedia delle scienze filosofiche è accompagnato da un apparato criticopedagogico. Si tratta di un libro universitario. Heimbach-Steins, M. (a cura di) Brennpunkt Sozialethik. Theorien, Aufgaben, Methoden Herder, dicembre-gennaio 94/95 pp. 488, DM 88 Heisterkamp, Jens Der biotechnische Mensch. Genetische Utopien in ihre Rechtfertigung durch ‘Bioethik’ NOVITÀ IN LIBRERIA intr. di H Köhler Info-3-Vlg., dic.-gennaio 94/95 pp. 96, DM 18 Heitsch, Ernst Erkenntnis und Lebensführung. Eine Platonische Aporie Franz Steiner, dic.-gennaio 94/95 DM 29,60 Heytesbury, Guillaume ‘Sophismata asinina’: une introduction aux disputes médiévales pres. Critica ed analisi di F. Pironet Vrin, gennaio 1995 pp. 644, F 330 Guillaume Haytesbury, nato verso il 1313 e morto nel 1372-’73, è uno di quei logici che vengono chiamati “calcolatori di Oxford”. I Sophismata asina sono il rapporto delle dispute così chiamate perché ogni sofisma comincia con al stessa proposizione impossibile: “Tu sei un asino”. Lo scopo di questo gioco era di cercare di provarne lo scopo utilizzando tutte le risorse della logica. Hindes, James H. Renewing Christianity: Rudolf Steiner’s Ideas in Practice Floris books, febbraio 1995 pp. 128, £ 4.99 Il volume fa parte di una serie che si prefigge lo scopo di introdurre alle idee di Rudolf Steiner, mostrando come sono state applicate ai giorni nostri. Il libro descrive la comunità che Steiner aiutò a fondare e che doveva servire al rinnovamento cristiano. Hinske, N. (a cura di) Der Aufbruch in den Kantianismus. Der Frühkantianismus an der Universität Jena von 1785-1800 und seine Vorgeschichte Frommann-Holzboog, febbraio 1995 pp. 280, DM 84 Hobbes, Thomas L’arte della retorica a cura di Rosaria Carotenuto Liguori, gennaio 1995 pp. 119, L. 20.000 L’interesse per la retorica, maturato ovunque in questi ultimi anni, ha indotto l’autrice a presentare in traduzione italiana un’opera assolutamente trascurata, quasi ignorata, di Hobbes, la traduzione della Retorica di Aristotele il cui studio fa sì che il filosofo inglese individui nella retorica una chiave di lettura degli eventi politici della propria epoca. Hodge, Joanna Heidegger and Ethics Routledge, febbraio 1995 pp. 240, £ 13 L’espressione “Heidegger e l’etica” è molto discussa. Martin Heidegger stesso rifiutò la nozione di etica, mentre il suo assenso al nazismo viene considerato come non etico. Questo importante studio esamina in maniera nuova i temi complessi e controversi che stanno alla base di questa giustapposizione. Höffe, Otfried Kategorische Rechtsprinzipien. Ein Kontrapunkt der Moderne Suhrkamp, febbraio 1995 pp. 432, DM 27,80 Le Meditazioni cartesiane hanno voluto essere sia un’introduzione alla fenomenologia trascendentale sia una sintesi delle ricerche del loro autore. Alla loro origine ci sono le conferenze tenute a Parigi e poi a Strasburgo nel 1929. Questa traduzione segue l’edizione degli Archivi Husserl di Lovanio del 1949 ed offre il testo delle Conferenze di Parigi tradotto per la prima volta. E’ un libro universitario. Holbach, Paul Henri Dietrch d’ Système social: 1773 Fayard, dicembre 1994 F 260 Questa pubblicazione permette di sottolineare il ruolo decisivo ed ingiustamente non riconosciuto di Holbach nella diffusione dell’Illuminismo, dello spirito critico e della realizzazione dello Stato di diritto e delle libertà del cittadino moderno. Husserl, Edmund Esperienza e giudizio Bompiani, marzo 1995 pp. 290. L. 35.000 Ricerca logico-fenomenologica intorno alla categoria della “antepredicatività”. Si riallaccia al lavoro complessivo che il filosofo tedesco dedicò alla “crisi delle scienze europee”, alle opere di logica e di filosofia della mente. Honneth, A. (a cura di) Pathologien des Sozialen. Die Aufgaben der Sozialphilosophie Fischer Taschenbuch Vlg dicembre-gennaio 94/95 DM 29,90 Si assiste ad un escalation della violenza, al disciogliersi dei legami di famiglia, la corruzione dilaga... E’ possibile tener fede alla promessa del mondo sociale, cioè di riconciliare reciprocamente la libertà individuale ed i legami sociali? Husserl, Edmund L’idea di fenomenologia a cura di E. Franzini Mondadori, marzo 1995 pp. 192, L. 16.000 Un’esposizione sintetica del nucleo teorico fondamentale della filosofia husserliana. Honneth, Axel The Struggle for Recognition: The Moral Grammar of Social Conflicts Polity Press, gennaio 1995 pp. 260, £ 39.50 Questo lavoro sostiene che la struggle for recognition (“lotta per il riconoscimento”) è e dovrebbe essere al centro dei conflitti sociali. Honneth esamina gli argomenti proposti da Hegel e li situa sullo sfondo della concezione delle vita umana come lotta per l’esistenza, proposta dalla filosofia moderna. Huxley, Thomas Henry Evoluzione ed etica Bollati Boringhieri, febbraio 1995 pp. 232, L. 32.000 La natura e l’evoluzione ci danno un insegnamento morale? Qual è il posto dei valori, del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto nel processo cosmico che ha portato le prime forme animali all’uomo civilizzato? Ha senso parlare di “diritti naturali”? E’ possibile un’etica biologica? Huyler, Jerome Locke in America: The Moral Philosophy of the Founding Era Univ. of Kansas, gennaio 1995 pp. 370, £ 35.95 Questa tesi per PhD, è un resoconto sul legame tra il pensiero di Locke e l’American Founding (la fondazione americana del 1787). L’autore sostiene che gli scrittori venuti prima di lui hanno interpretato male l’influenza di Locke sui Founders (fondatori): egli traccia un ritratto del filosofo, in cui egli è un moralista moderato del XVII secolo che rivendica un ruolo per l’individualismo che gli permetta di convivere con il repubblicanesimo classico. Hubert, Christiane Les premières réfutations de Spinoza: Aubert de Versé Wittich, Lamy Université de Paris-Sorbonne gennaio 1995 pp. 150, F 85 Il libro analizza le linee della forza comuni a tre opere: Impie covainu (Colonia, 1684) di Abert Versé, AntiSpinoza (Amsterdam, 1690) di Wittich e Le nouvel athéisme (Parigi, 1690) di Lamy. L’autore è uno specialista dei questo argomento. Humber, J.M. - Almeder, R.F. Allocating Health Resources Humana Press, gennaio 1995 pp. 259, £ 35 Esamina gli argomenti medici, etici, legali e filosofici implicati dalla ripartizione e dalla distribuzione delle risorse devolute alla sanità. Questo libro sarà di sicuro interesse per i medici, il personale medico ed i filosofi. Jaeschke, W. (a cura di) Religionsphilosophie und spekulative Theologie. Der Streit um die Göttlichen Dinge Meiner, dicembre-gennaio 94/95 DM 136 Jaki, Stanley Lo scopo di tutto. Scienza, filosofia e teologia si interrogano sulle finalità Ares, febbraio 1995 pp. 288, L. 32.000 Un’analisi filosofica del concetto di progresso. Husserl, Edmund Méditations cartésiennes; Conférences PUF, gennaio 1995 pp. 256, F 198 74 James, William Selected Writings a cura di G. Bird J M Dent, febbraio 1995 £ 5.99 Questo libro, con il suo ampio formato pagina che permette di avere un buon margine per le note, presenta la dottrina di James con note, bibliografia e cronologia della sua vita e del suo tempo. Il libro contiene anche dei riassunti dei lavori di William James, che è stato uno dei primi popolari scrittori di psicologia. James, William Was ist Pragmatismus? Beltz Athenäum dicembre-gennaio 94/95 pp. 100, DM 24 Jánoska - Bondell Kindle - Hofer Das ‘Methodenkapitel’ von Karl Marx. Ein historischer und systematischer Kommentar Schwabe Vlg., dic.-gennaio 94/95 pp. 296, CHF 65 Jaspers, Karl Metafisica Mursia, gennaio 1995 pp. 376, L. 16.000 In edizione economica, l’introduzione generale e il terzo volume della Filosofia, che è appunto la Metafisica. Jaumann, H. (a cura di) Rousseau in Deutschland. Neue Beiträge zur Erforschung seiner Rezeption de Gruyter, febbraio 1995 pp. 326, DM 170 Il confrontarsi della letteratura tedesca del XVII e dell’inizio del XIX secolo con Rousseau (in autori come Lessing, Wieland, F.H. Jacobi ed altri) è alla base dei risultati di un’approfondita indagine interdisciplinare, i cui contributi riguardano, tra gli altri argomenti trattati, gli influssi di e la critica a Rousseau nella filosofia di Kant e di Fichte e nella tradizione tedesca delle teorie dello Stato. Jens, W. - Küng, H. Menschenwürdig sterben. Ein Plädoyer für Selbstverantwortung Piper, febbraio 1995 pp. 176, DM 29,80 Questo libro susciterà l’attenzione dei lettori, a causa della sua difesa dell’aiuto responsabile che porti alla morte. Non si tratta però solo di un contributo a questa discussione: il volume parla del modo corretto di affrontare la morte all’interno della vita di un individuo. Jolley, Nicholas (a cura di) The Cambridge Companion to Leibniz Cambridge UP, dic.-gennaio 94/95 £ 13 Questo volume si prefigge di rendere conto dell’ampio raggio del pensiero di Leibniz, esplorandone la metafisica e mostrando il suo sottile e complesso rapporto con la sua concezione NOVITÀ IN LIBRERIA della logica, del linguaggio, della fisica e della teologia. Degli altri capitoli esaminano il contesto intellettuale del suo pensiero. Jones, L. Gregory Rethinking Metaphysics Blackwell Publishers, febbraio 1995 £ 13.99 Il volume si occupa di una serie di tradizioni filosofiche e teologiche, con esponenti di tutto rispetto come Platone ed Agostino, così come Jacques Derrida e Jean Luc Marion. Gli autori di questo saggio mettono a confronto la varietà delle speculazioni dei critici della metafisica post-moderni. Jourde, Pierre L’alcool du silence: sur la décadence Champio, febbraio 1995 pp. 328, F 290 Questo saggio tenta di costruire e di illustrare, a partire dalle opere di Lorrain, Huysmana, Wilde, Laforgue ed altri, una teoria della decadenza fondata sulla nozione di dialettica. L’argomento sarà di sicuro interesse per il pubblico. Joy, Robert Glane de philosophie antique: Scripta Minora Ousia, febbraio 1995 pp. 326, F 171 Il volume raccoglie i principali studi dell’autore, consacrati alla filosofia antica: da Pitagora a Gregoria da Nissa, passando per Platone, Aristotele, lo stoicismo, il medio platonismo, ma anche Don Crisostomo, Luciano da Samostato, Giustino. Si tratta di un libro universitario. Jullien, François Le détour et l’accès: stratégies du sens en Chine en Grèce Grasset, gennaio 1995 pp. 460, F 145 Quest’analisi della stampa, dell’informazione, della letteratura, dell’arte e del pensiero in Cina mostra che un Cinese pensa e si esprime sempre a zig-zag. L’indagine viene svolta comparando il sistema orientale a quello occidentale. Kamm, F.M. Morality, Mortality: Rights, Duties and Value vol II Oxford UP Inc, febbraio 1995 pp. 352, £ 37.50 In questo secondo volume, l’autrice continua il suo sviluppo della teoria etica non-consequenzialista e delle sue applicazioni a problemi etici concreti. Esamina inoltre, la distinzione tra uccidere e permettere di morire ed i concetti di diritto, prerogativa e super erogazione. Kant, Immanuel Auteur présumé. Réponse du professeur Kant de Königsberg à l’abbé Sieyès de Paris Ed de l’Aube, gennaio 1995 pp. 208, F 89 Probabilmente Kant non è l’autore di questo testo apocrifo, ma esso è importante per la storia dell’idee che questo libro ha fatto circolare sotto firma dell’autore, ancora vivente, in Germania. Sieyès d’altra parte pensava che la filosofia kantiana fosse un complemento indispensabile alla Rivoluzione. E’ dunque lo scambio di questi due pensieri che è al centro di questa Risposta. Krüger, L. - Falkenburg, B. ( a cura di) Physik, Philosophie und die Einheit der Wissenschaften BI-Wiss. Vlg., febbraio 1995 pp. 300, DM 48 Lacoue-Labarthe, Philippe Musica ficta: Figures of Wagner Stanford UP, gennaio 1995 pp. 176, £ 10.95 Il volume cerca di riarticolare la relazione tra musica e letteratura rispetto al problema della mimesis, della presentazione e della ripresentazione. Il libro si compone di quattro “scene”, che sono tutte risposte a Wagner: due di poeti francesi (Baudelaire e Mallarmé) e due di filosofi tedeschi (Heidegger e Adorno). Kant, Immanuel Critique de la faculté de juger tr. di A. Renaut Aubier, febbraio 1995 pp. 528, F. 180 Si tratta della nuova traduzione di questo testo, che assicura di essere coerente al sistema kantiano rispondendo alla domanda: come articolare nell’uomo la sottomissione alla natura? Questa riflessione sulla legge ed il diritto è anche un testo fondamentale di estetica. Lacrosse, Joachim L’amour chez Plotin: érôs hénologique, érôs noétique, érôs psychique Ousia, febbraio 1995 pp. 142, F 77 L’onnipresenza dell’eros nel sistema filosofico di Plotino costituisce il filo conduttore di questo studio. Il volume si prefigge di chiarire la nozione di eros nella sua complementarietà, a tutti i livelli del reale, con il logos come atto della processione-emanazione dall’Uno. Si tratta di un testo universitario. Kanz, K.T. (a cura di) Philosophie des Organischen in der Goethe-Zeit. Studien zur Werk und Wirkung des Naturforschers Carl Friedrich Kielmeyer (1765-1844) Steiner, dicembre-gennaio 94/95 pp. 281, DM 78 Kelly, L.G. (a cura di) Michaelis de Marbasio: Summa de modis significandi Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 260, DM 198 Lahno, Bernd Versprechen. Überlegungen zu einer künstlichen Tugend Oldenbourg, dic.-gennaio 94/95 pp. 313, DM 128 Le promesse sono legami. Come funzionano? David Hume sviluppò una teoria della promessa. Lahno analizza le argomentazioni di Hume da un punto di vista moderno e le interroga criticamente. Al lettore vengono forniti anche alcuni concetti fondamentali della teoria delle decisioni. Kintzinger, Martin Norma elementorum. Studien zum naturphilosophischen und politischen Ordungsdenken des ausgehenden Mittelalters Steiner, febbraio 1995 pp. 146, DM 58 Klagenfurt, Kurt Technologische Zivilisation und transklassische Logik Suhrkamp, dicembre-gennaio 94/95 DM 16,80 Laks, Andre Justice and Generosity: Studies in Hellenistic Social and Political Philosophy Proceedings of the Sixth Symposium Hellenisticum Cambridge UP, gennaio 1995 pp. 320, £40 Il verdetto di Hegel sul carattere apolitico della filosofia nell’epoca ellenistica, che ha trovato così ampia eco, viene messo in discussione in questa raccolta di saggi, presentata originariamente durante il sesto incontro del Symposium Hellenisticum: studiosi a livello internazionale rivelano una scena intellettuale molto diversificata. Klima, Ladislav Le monde comme conscience et comme rien tr. dal ceco di E. Abrams La Différence, febbraio 1995 pp. 176, F 138 Metafisica, fisica, chimica, botanica, zoologia, estetica, antropologia, sociologia e scienza politica: un grandioso castello di carte da percorrere secondo il filo conduttore di un demiurgo nichilista. Il primo libro di Klima, pubblicato nel 1904 anonimamente ed a spese dell’autore. Lambrecht, Jürgen Welle und Sein. Entwurf einer naturwissenschaftlich begründeten Ontologie R.G. Fischer, febbraio 1995 pp. 314, DM 46 Koniaris, G.L. Maximus Tyrius: ‘Philosophumena -Dialexis’ de Gruyter, febbraio 1995 pp. 527, DM 390 Si tratta di un’edizione critica delle Lezioni di Massimo di Tiro (Phoenicia), un filosofo retorico ed eclettico del II secolo a.C. Leibniz, Gottfried Wilhelm Philosophical Writings a cura di G.H.R. Parkinson J M Dent, febbraio 1995 75 pp. 336, £ 4.99 Il libro ha il formato pagina piuttosto ampio per le note. L’editore presenta le ultime dottrine di Leibniz in un’introduzione ed include anche delle note, integrandole con critiche selezionate e la cronologia della vita e dell’epoca di Leibniz. Leone, Salvino Privitera, Salvatore (a cura di) Il contesto culturale dell’etica della vita Armando, febbraio 1995 pp. 143, L. 25.000 Saggio sull’etica della vita e sulla bioetica che a sua volta può considerarsi un’etica per la vita. Levinas, Emmanuel Difficile liberté Albin Michel, gennaio 1995 F 98 Questi saggi filosofici sulla libertà umana e sulle sue possibilità nella nostra società vengono ristampati, dopo la loro prima uscita, nel 1963. Levinas, Emmanuel Dieu, la mort et le temps LGF, gennaio 1995 pp. 288, F 42 Comprende un “dialogo” con i grandi filosofi come Heidegger o Aristotele sulle nozioni di morte e di tempo ed una ricerca assidua sul tema del “nome” o del “concetto” divino. Tutti argomenti di cui Levinas è uno specialista. Liebsch, Burkhard Verzeitliche Welt. Variationen über die Philosophie Karl Löwiths Königshausen & Neumann febbraio 1995 pp. 120, DM 29,80 Liessmann, Konrad P. Philosphie der modernen Kunst. Eine Einführung WUV Univ.-Vlg., febbraio 1995 pp. 260, Si tratta della seconda edizione rivista ed ampliata di questo libro. Lilje, Chr. Klinische ‘ethics consultation’ in den USA. Hintergründe, Denkstile und Praxis Enke, dicembre-gennaio 94/95 pp. 200, DM 39,80 L’etica medica viene spesso meno nei dibattiti intorno ai fondamenti dei valori. Come risposta a questo, negli U.S.A. è nato il concetto della ethics consultation. Si tratta di una tematica poco conosciuta in Europa, già affermata però negli Stati Uniti, dove è diventata un punto di riferimento per la pratica medica. Lohner, Alexander Peter Wust: Gewißheit als Wagnis. Eine Gesamtdarstellung seiner Philosophie Schönigh, dicembre-gennaio 94/95 pp. 470, DM 64 NOVITÀ IN LIBRERIA Macnamara, John Reyes, Gonzalo E. The Logical Foundations of Cognition Oxford UP Inc, gennaio 1995 pp.396, £ 18.95 Questo volume esamina il ruolo della psicologia cognitiva, alla luce dei recenti sviluppi della nuova teoria semantica, come quello di Gonzalo Reyes. I capitoli rivelano le prospettive delle applicazioni di queste nuove teorie alla psicologia cognitiva, alla sceinza della cognizione, alla linguistica, alla filosofia della lingua ed alla logica. Malebranche, Nicolas de Conversations chrétiennes; suivi de Entretiens sur ma méthaphysique, sur la religion et sur la mort a cura di G. Rodis-Lewis Gallimard, gennaio 1995 pp. 725, F 69 Con le Conversations chrétiennes, destinate a convincere i cartesiani della verità della fede, nasce una filosofia particolare: il malebranscismo, le cui eco e polemiche durano fino ai giorni nostri. Malebranche, Nicolas de Traité de morale a cura di J.-P. Osier Flammarion, febbraio 1995 pp. 432, F 53 Si tratta di un testo universitario, un trattato caratterizzato da una morale molto austera. Margolin, Jean-Claude Erasme, précepteur de l’Europe Julliard, febbraio 1995 pp. 421, F 145 Martinez, Rafael Unità e autonomia del sapere Il dibattito del XIII secolo Armando, febbraio 1995 pp. 208, L. 28.000 E’ possibile in un’epoca che assiste ad una specializzazione estrema, conservare una prospettiva unitaria della realtà e dell’uomo, conciliando la diversità delle scienze con l’unità del sapere? McHoul, Alec - Grace, Wendy A Foucault Primer: Discourse, Power and the Subject Univ Melbourne, gennaio 1995 pp. 160, £ 10.95 Questo manuale si rivolge a chi ha bisogno di un aiuto quando viene a contatto con le opere voluminose e complesse di Foucault. Negli ultimi tre decenni, queste opere di Foucault hanno avuto molto influsso sugli studiosi di lingua inglese che si occupano di scienze umane e sociali. McKeon, Richard On Knowing - The Natural Sciences Univ. of Chicago, dic.-gennaio 94/95 pp. 400, $ 22 Molto prima della nostra epoca, in cui la decostruzione ed il multiculturalismo sono diventati familiari, McKeon diffuse una filosofia del pluralismo mostrando come i “fatti” ed i “valori” dipendono in maniera diversa dalla lettura dei testi. Questo libro è una trascrizione dell’intero corso, anche delle due conferenze tenute da McKeon e della discussione degli studenti. si trasfigurato nel Pifferaio Magico della fiaba che, con il richiamo irresistibile del suo “dolce flauto”, ha sedotto intere schiere di epistemologi. Con lo scopo dichiarato di sottoporre ad analisi puntuale il quadro di questa diffusa seduzione il lavoro offre un articolato accesso critico introduttivo ad alcuni degli autori più rappresentativi connessi con la “new philosophy of science”. Meehan, Johanna Habermas and Feminism Routledge, gennaio 1995 pp. 256, £ 11.99 Questi saggi analizzano diversi aspetti della teoria di Habermas, dalla teoria morale agli argomenti politici dell’identità e della partecipazione. Illustrano anche il significato potenziale del lavoro di Habermas per le riflessioni femministe su potere, norme e soggettività. Mindell, Arnold River’s Way: The Process Science of the Dreambody Arkana, gennaio 1995 pp. 176 p., £ 6.99 Il lavoro presenta la cornice teoretica degli studi di Mindell sulla psicologia dell’esperienza corporea, Dreambody e Working With the Dreaming Body. Cercando di oltrepassare le divisioni tra psicoterapia, medicina e fisica, il volume fornisce ai clienti ed ai terapeuti un approccio alla personalità totale. Melberg, Arne Theories of Mimesis Cambridge UP, gennaio 1995 pp.230, £ 10.95 Si tratta di un resoconto del linguaggio e del tempo, che registra il movimento della mimesis dalla filosofia platonica della similitudine fino alle idee moderne della diversità. Il saggio discute le teorie delle storia della mimesi attraverso un’analisi narratologica dei testi di Platone, Cervantes, Rousseau e Kierkegaard. Montebello, Pierre La décomposition de la pensée: dualité et impirisme chez Maine de Biran J. Millon, gennaio 1995 pp. 280, F 170 La Mémoire sur la décomposition de la pensée di Maine de Biran costituisce la rimessa in causa della metafisica che si fonda sul dualismo. Rompendo con la divisione tra anima, pensiero e corpo, Maine de Biran elabora una filosofia che che afferma che il pensiero è fondamerntalemente dualità. L’autore è uno specialista del settore. Mengue, Philippe Gilles Deleuze ou Le système du multiple Kimé, febbraio 1995 pp. 320, F 180 Non ha senso obiettare qualcosa al pensiero di Deleuze non perché è particolarmente solido, ma perché non si può mai avere l’ultima parola. Non una parte in cui si possa pensare di chiudere una volta per tutte il pensiero. Si è sempre nelle cose, nella loro variazione accidentale ed inaccessibile, con il pensiero fuori. Moore, E.C. - Robin, R.S. (a cura di) From Time and Chance to Consciousness. Studies in Metaphysics of Charles Peirce Berg Publ., febbraio 1995 pp. 224, £ 40 Si tratta di una selezione delle trascrizioni degli interventi tenuti durante lo Harvard Congress in commemorazione del centocinquantesimo della nascita di Charles Peirce. Mesch, Walter Ontologie und Dialektik bei Aristoteles Vandenhoeck & Ruprecht dicembre-gennaio 94/95 pp. 203, DM 60 Questa ricerca dimostra che la metafisica aristotelica è da intendersi, nella sua concezione dell’ontologia, come uno sviluppo della dialettica socratico-platonica. della tradizione filosofica e letteraria occidentale ed è uno dei vertici del Rinascimento. Questa edizione pubblica il testo latino di Tommaso Moro e la tradizione inglese a fronte, un commento, una guida testuale ed un’introduzione. Morris, Brian Anthropology of the Self Pluto Pr., dicembre-gennaio 94/95 pp. 256, $ 13 In questo testo unico, Morris esplora le origini, le dottrine e concezioni del sé nelle società occidentale, asiatica, africana, arrivando fino alla filosofia greca, il buddismo, l’induismo, il confucianesimo, il taoismo e la filosofia africana e concludendo con il femminismo. Murphy, Cornelius F. Beyond Feminism: Towards a Dialogue on Difference Catholic UP USA, gennaio 1995 £ 13.50 In questo studio, la discussione sulle relazioni tra uomini e donne viene lanciata a partire da una premessa cruciale: che la lotta per uguali diritti per le donne ha raggiunto un punto in cui la collaborazione e non la confrontazione tra i sessi si è resa necessaria per un progresso continuativo. Nagl, L. - Silverman, H.J. (a cura di) Textualität der Philosophie. Philosophie und Literatur Oldenbourg, dicembre-gennaio 94/95 pp. 240, DM 46 Nietzsche, Friedrich Human, trop humain vol. II e II tr. dal tedesco di H. Albert pref. e note di A. Kremer Marietti Si tratta di una serie di aforismi concepiti originariamente come “considerazioni inattuali” e dedicati a Voltaire. L’autore oppone al mondo metafisico la propria filosofia storica. Midgley, Mary The Ethical Primate. Humans, Freedom and Morality Routledge, febbraio 1995 pp. 208, £ 18 Mary Midgley è stata recentemente definita “...una delle penne critiche più fini dell’Occidente”. In questo suo nuovo libro, l’autrice scandaglia le importanti domande intorno alla libertà dell’uomo. Moravia, Sergio The Enigma of the Mind: The Mind-body Problem in Contemporary Thought Cambridge UP, febbraio 1995 £ 12.95 Pubblicato in italiano con il titolo L’enigma delle mente, questo libro fornisce un ampio resoconto criticostorico di uno dei dibattiti fondamentali della filosofia della mente: il rapporto tra mente e corpo. Dopo aver illustrato le recenti teorie del problema mente-corpo, l’autore formula la sua tesi. Nietzsche, Friedrich Les philosophes préplatoniciens trad. dal tedesco di N. Ferrand pres. e note di P. D’Iorio Eclat, gennaio 1995 pp. 400, F 220 Si tratta della traduzione dell’edizione integrale delle lezioni del 1872’73, stabilite sulla base dei manoscritti conservati presso gli archivi Goethe-Schiller di Weimar. Contiene quattro inediti su Anassimandro, Parmenide e Xenofane, Zenone ed Anassagora. Nel volume si trova amche un breve articolo sui “Successori dei filosofi”. Si tratta di un volume universitario. Minazzi, Fabio Il flauto di Popper Saggio critico sulla “new philosophy of science” e la sua interpretazione di Galileo FrancoAngeli, marzo 1995 pp. 512, L. 53.000 Popper, suo malgrado, sembra esser- More, Sir Thomas More: “Utopia”: Latin Text and English Translation a cura di G.M. Logan Cambridge UP, gennaio 1995 £ 50 L’Utopia, pubblicata in latino nel 1516, è uno dei più importanti libri Nordmann, Ingeborg Hannah Arendt Campus, dicembre-gennaio 94/95 pp. 150, DM 24,80 Nordmann introduce al mondo di pensiero di H. Arendt come se si trattasse di un’officina, all’interno della quale le diverse tradizioni - 76 NOVITÀ IN LIBRERIA Aristotele, Agostino, Kant, Nietzsche, Benjamin e Heidegger - possono essere combinate in modo sorprendente. Norman, Richard Ethics, Killing and War Cambridge UP, gennaio 1995 pp. 228, £ 9.95 La guerra può mai essere giustificata? Perché è sbagliato uccidere? Norman considera queste questioni ed altre ad esse legate, esaminando la possibilità di argomentazioni morali razionali e della natura. Gli esempi, come la guerra del Golfo e quella delle Falkland, dimostrano che se la filosofia morale non ha risposte, può senz’altro gettar luce sui problemi. Nozick, Robert La natura della razionalità Feltrinelli, marzo 1995 pp. 320, L. 50.000 Emerge una nuova teoria dell’azione razionale in cui al significato causale evidenziale degli atti umani si aggiunge quello simbolico. Nutzinger, H.G. Wirtschaftsethische Perspektiven vol. II: Unternehmen und Organisationen, philosophische Begründungen, individuelle und kollektive Rationalität Duncker & Humblot, febbraio 1995 pp. 193, DM 96 O’Neill, John The Poverty of Postmodernism Routledge, febbraio 1995 pp. 240, £ 13 O’Neill esamina il corso post-moderno delle scienze sociali. Dal punto di partenza fenomenologico (Husserl, Merleau Ponty, Schutz, Winch), l’autore mette in discussione il post-razionalismo di Lyotard che legge Wittgenstein e Habermas allo scopo di difendere la ragione del buon senso ed i valori della vita quotidiana. O’Regan, Cyril The Heterodox Hegel State Univ. of New York, dicembre-gennaio 94/95 pp. 448, $ 25 Il primo studio completo dello sfondo mistico di Hegel. Il lavoro di O’Regan è uno studio innovativo che metterà il lettore in grado di capire l’opera di Hegel nel contesto della tradizione mistica che egli rivendicava come propria. Oberdorfer, Bernd Geselligkeit und Realisierung von Sittlichkeit. Die Theorieentwicklung Friedrich Schleiermachers bis 1799 de Gruyter, febbraio 1995 pp. 570, DM 278 Si tratta di uno studio dell’opera giovanile di Friederich Schleiermacher, Über die Religion, edita in forma completa dal 1984 e che raccoglie alcuni discorsi. Il complesso teorico storico-sistematico che caratterizza le prime opere di Schleiermacher viene qui ricostruito in modo socioteoretico. Onfray, Michel La raison gourmande: philosphie du goût Grasset, febbraio 1995 pp. 267, F 120 Si tratta di un’analisi della filosofia del gusto: qual’è la metafisica promessa da un stufato o da una pietanza bruciata? Quale tecnica gastronomica sono autorizzati ad utilizzare i grandi sistemi filosofici? L’opera è composta da un capitolo liquido e da un capitolo solido. Dom-Perrillon, Brillat-Savarin, Carême diventano, con Leibniz, Cartesio e Condillac, gli eroi di questo libro sapiente e bizzarro. Pestalozzi, Johann Heinrich Mes recherches sur la marche de la nature dans l’évolution du genre humain tr. e a cura di M. Soëtard Payot.Lausanne, febbraio 1995 pp. 294, F 139 Queste ricerche del 1797 gettano le basi di una filosofia dell’educazione, ma aprono anche la strada alla costruzione di un metodo, così come verrà elaborato a Stans, a Berthoud e a Yverdon. Una filosofia dell’educazione che interroga quella di Rousseau, l’etica di Jacobi, Spinoza, Fichte e la filosofia tedesca. L’autore è uno specialista del settore. Paetzold, Heinz Ernst Cassirer: Von Marburg nach New York. Eine philosophische Biographie Wiss. Buchges., febbraio 1995 pp. 264, DM 39,80 E’ la prima biografia di Ernst Cassirer, dedicatagli nel cinquantesimo della morte, che tratta sia della vita che dell’opera e del pensiero dell’importante filosofo del nostro secolo. Pico della Mirandola Le périple intellectuel de Jean Pic de La Mirandole suivi de ‘Discours de la dignite de l’homme et de l’être et l’un’ a cura di L. Valcke, R. Galibois Université Laval, febbraio 1995 pp. 353, F 192 Questo itinerario intellettuale di Givanni Pico della Mirandola ci prepara alla lettura Oratio de hominis dignitate e di De ente et uno di cui si trovano qui le traduzioni. Parkes, Graham Composing the Soul. The Reaches of Nietzsche’s Psychology Univ. of Chicago Press febbraio 1995 pp. 440, $ 44 Pieper, A. (a cura di) Die Gegenwart des Absurden. Studien su Albert Camus A. Francke, dicembre-gennaio 94/95 pp. 104, DM 36 Parrini, Paolo Conoscenza e realtà Saggio di filosofia positiva Laterza, marzo 1995 pp. 256 In un momento di diffuso scetticismo sul senso e il valore del discorso filosofico, l’Autore affronta i problemi della verità, della oggettività e della razionalità per concezione positiva del sapere. Platone Parménide tr. e a cura di L. Brisson Flammarion, gennaio 1995 pp. 352, F 45 Si tratta di uno dei famosi dialoghi di Platone, uno dei vertici della metafisica occidentale. Platone Platon par lui-même Flammarion, gennaio 1995 pp. 288, F 37 Si tratta di un’antologia platonica, di un’introduzione al pensiero di Platone. Un’opera utile non solo agli studenti ed agli insegnanti, ma anche a chi preferisce farsi da sé un’idea del corpus platonico. Pascal, Blaise Discors sur les passions de l’amour Mille et une nuits, febbraio 1995 pp. 48, F 10 Pascal è l’autore del Discorso sulle passioni dell’amore? La severità dei Pensieri ricorda molti passi di questo inno alla grandezza dell’uomo, alle sue aspirazione innate al sublime. Un testo misterioso in cui la meccanica contraddittoria del sentimento è analizzata con la precisione di un trattato di fisica. Platone Sämtliche Werke in 4 Bänden vol. I: Apologie des Sokrates und Frühdialoge - Ethik vol. II: Mittlere Dialoge - Ideen, Eros, Staatsmodell vol. III: Späte mittlere und späte Dialoge. Briefe Probleme der Ideenlehre, Sein, Wahrheit, Wissen vol. IV: Späte Dialoge - Kosmologie und Gesetzlehre Rohwohlts Taschenbuch, dicembre-gennaio 94/95 DM 22,90 al vol. Perelman, Bob The Trouble with Genius: Reading Pound, Joyce, Stein, and Zukofsky Univ California, febbraio 1995 pp. 300, £ 12.95 Questo testo mostra come l’inaccessibilità degli scritti di scrittori come Pound, Joyce, Stein e Zukofsky riveli i conflitti tra lo scopo di essere socialmente rilevanti e l’innovazione letteraria. L’autore vede il genio come un ruolo che è sia sociale che poetico. Platone Werke. Übersetzung und Kommentar vol IX,2: ‘Nomoi’ (Gesetze) libri I-III tr.e commento di Kl. Schöpsdau a cura di E.Heitsch, C.W. Müller Vandenhoeck & Ruprecht 77 febbraio 1995 pp. 540, DM 158 Il volume è edito per conto della Kommittee für Klassische Philologie der AdW und der Literatur di Magonza. Plotino Ennead 3.6: With Introduction, Translation, and Commentary a cura di D.B. Fleet Clarendon Press, gennaio 1995 pp. 352, £ 40 Si tratta di una traduzione in lingua inglese del lavoro seminale di Plotino, all’interno del primo pensiero occidentale. Il testo offre anche un commento dettagliato curato da degli studiosi di Plotino e che riguarda questo particolare settore della sua filosofia. Il volume è quindi indirizzato a chi si interessa di filosofia antica e di teologia cristiana. Popkin, Richard H. La storia dello scetticismo Da Erasmo a Spinoza Anabasi, febbraio 1995 pp. 352, L. 50.000 Il ruolo dello scetticismo rinascimentale nella formazione della filosofia moderna, con particolare riferimento alla problematica del rapporto federeligione. Popper, Sir Karl Knowledge and the Body-Mind Problem. In Defense of Interaction Routledge, dicembre-gennaio 94/95 pp. 128, £ 20 Il volume si basa sulle lezioni di Kenan, tenute da Popper alla Emory University nel 1969. Vengono sollevati i problemi relativi alla libertà umana, la creatività, la razionalità ed alle relazioni tra esseri umani e alle loro azioni. Popper, Sir Karl The Myth of the Framework. In Defense of Science and Rationality Routledge, dicembre-gennaio 94/95 pp. 176, £ 25 I saggi di questo libro si occupano di argomenti come gli scopi della scienza, il ruolo che ha nella nostra civiltà, la responsabilità morale dello scienziato, la funzione dell’università, la scelta perenne tra ragione e rivoluzione. Porath, Erik (a cura di) Aufzeichnung und Analyse Königshausen & Neumann, febbraio 1995 pp. 207, DM 46 La situazione della ricerca sulla memoria non è facilmente definibile. La filosofia dovrebbe cercare di mettere in relazione i divergenti approcci scientifici e di verificare la loro portata. Questo compito è una parte del lavoro della memoria culturale. Portales, Gonzalo Hegels frühe Idee der Philosophie Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 220, DM 88 NOVITÀ IN LIBRERIA Proust, Joëlle La connaissance philosophique: essai sur l’oeuvre de Gilles-Gaston Granger a cura di E. Schwartz PUF, gennaio 1995 pp. 368, F 198 Filosofo delle scienze matematiche e del linguaggio, storico della scienza e della filosofia, G.-G. Granger ha anche posto le basi per una critica filosofica degli utensili formali delle scienze sociali. L’oggetto di quest’opera è la spiegazione di alcune proposizioni centrali alla teorizzazione dell’autore. Nel volume, viene anche fatto bilancio dei problemi risolti e delle difficili questioni rimaste pendenti. Puster, W. (a cura di) Veritas filia temporis? Philosphiehistorie zwischen Wahrheit und Geschichte. Festschrift für Rainer Specht zum 65. Geburtstag de Gruyter, febbraio 1995 pp. 311, DM 174 Si tratta di uno scritto dedicato a Rainer Specht, in occasione del suo sessantacinquesimo compleanno. Putnam, Hilary Pragmatism. An Open Question Blackwell, dicembre-gennaio 94/95 pp. 140, £ 10 In questo libro viene preso in considerazione il pragmatismo, non solo a causa di un interesse per le questioni teoriche, ma soprattutto per rispondere alla domanda se è possibile trovare un’alternativa allo scetticismo morale corrosivo, da una parte, ed all’autoritarismo morale dall’altra. Questo avviene confrontando gli scritti di James, Peirce, Dewey e Wittgenstein. Pyle, Andrew Atomism and its Critics Thoemmes Press, febbraio 1995 pp. 700, £ 65 Si tratta di uno studio della storia della teoria atomica della materia tra l’epoca di Democrito e quella di Newton. Il lavoro testimonia un approccio critico alle argomentazioni utilizzate a favore e contro queste quattro tesi, in tre periodi diversi: l’antichità, il medioevo ed il XVII secolo. Ramond, Charles Qualité et quantité dans la philosophie de Spinoza PUF, febbraio 1995 pp. 336, F 188 Sondando l’insieme dei contesti e gli aspetti di questa coppia di nozioni (qualità e quantità), l’autore sottolinea la loro portata come operatori della rilettura del sistema spinoziano. Si tratta di un testo universitario. Rancière, Jacques La mésentente: politique et philosophie Galillé, febbraio 1995 pp. 187, F 145 La filosofia politica comincia con il rifiuto platonico dell’apparenza, del- la delusione e del litigio propri della democrazia, che identifica la collezione degli incommensurabili della comunità e la richiesta di una politica “in verità”. Ci si interrogherà sulle trasformazioni di regime di questa verità. vidualizzati interagisca con i bisogni e gli interessi diffusi in una intera compagine sociale. Rotenstreich, Nathan Reason and its Manifestations. A Study on Kant and Hegel Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 210, DM 68 Reale, Giovanni La saggezza antica. Terapia per i mali dell’uomo d’oggi Cortina, gennaio 1995 pp. 200. L. 25.000 Una sorta di itinerario fra i mali che affliggono l’uomo d’oggi che mostra come la saggezza antica offra i modi per la cura dei malanni contemporanei. Rousseau, Jean Jacques Lettere sulla botanica Guerini, gennaio 1995 pp. 160, L. 26.000 Le lettere e gli scritti che il filosofo ginevrino dedicò all’osservazione del regno vegetale. Rebstock, Hans-Otto Philosphische Vergewisserung. Wider postmodernen Skeptizismus und Marxismus-Nostalgie Kovac, febbraio 1995 pp. 98, DM 59,80 Saarinen, Risto Weakness of the Will in Medieval Thought. From Augustine to Buridan Brill, dicembre-gennaio 94/95 pp. 140, FOL 135 Reichholf, Josef H. L’impulso creativo Garzanti, febbraio 1995 pp. 320, L. 35.000 Reichholf rilegge la storia della vita tenendo conto non solo delle scoperte della genetica, ma soprattutto delle moderne conoscenze sul metabolismo degli esseri viventi, giungendo a conclusioni di grandissimo interesse e per certi aspetti sorprendenti. Salomé, Lou Andreas Friedrich Nietzsche in seinen Werken Insel, dicembre-gennaio 94/95 pp. 360, DM 38 Si tratta di una nuova edizione di questo libro, con le note di Th. Pfeiffer. Sand, Christian Die große Freiheit. Über einige Ähnlichkeiten und Unterschiede in den Freiheitsverständnissen der europäischen, indischen und chinesischen Philosophie Junghans, febbraio 1995 pp. 250, DM 54 Rockmore, Tom Heidegger and French Philosophy. Humanism, Antihumanism and Being Routledge, febbraio 1995 pp. 304, £ 15 L’autore rintraccia l’influenza di Heidegger sulla natura del dibattito filosofico in Francia ed analizza come filosofi com Sartre, Lacan, Foucault, Derrida, Irigaray e Lacoue-Labarthe hanno adottato il suo pensiero. Sartre, Jean-Paul Beauvoir, Simone de Quiet Moments in a War: The Letters of Jean-Paul Sartre to Simone de Beauvoir - 1940-1963 Penguin, gennaio 1995 pp. 336, £ 8.99 Questo volume, un pendant a Testimonianza della mia vita, raccoglie le lettere di Jean-Paul Sartre a Simone de Beauvoir, che coprono gli anni che vanno dal 1940 al 1963. Le lettere descrivono la sua guerra, come soldato e come prigioniero, e tracciano il suo cammino fino alla fama con la pubblicazione delle sue opere più important. Rorty, Richard Hoffnung statt Erkenntnis. Eine Einführung in die pragmatische Philosophie Passagen Vlg., febbraio 1995 pp. 104, DM 25 Rosenthal, Sandra B. Charles’ Peirce’s Pragmatic Pluralism Stae Univ. of New York, febbraio 1995 pp. 192, $ 17 L’autrice considera in modo nuovo quella che sembra essere una pietra miliare della posizione di Peirce: il convergere da parte della comunità di chi interpreta le opere dei filosofi, nel lungo periodo, verso un’opinione finale e definitiva. Sautet, Marc Un café pour Socrate: comment la philosophie peut nous aider à comprendre le monde d’aujourd’hui Laffont, febbraio 1995 pp. 315, F 139 Dopo aver ricordato le grandi tappe della storia della filosofia occidentale ed i grandi uomini che le hanno elaborate, l’autore interroga il presente alla luce del passato e vuole invitare il lettore a filosofeggiare per capire meglio la sua vita ed il suo mondo attuali. Il libro è adatto al vasto pubblico. Rossetti, Guido - Bellini, Ornella (a cura di) Teorie e forme della razionalità pratica Ed. Scientifiche, gennaio 1995 pp. 124, L. 16.000 Il volume affronta la questione di quale razionalità sia capace il progetto sociale e come il perseguimento di obiettivi particolari e di interessi indi- 78 Schaeffler, Richard Erfahrung als Dialog mit der Wirklichkeit. Eine Untersuchung zur Logik der Erfahrung Karl Alber, dicembre-gennaio 94/95 pp. 800, DM 168 Schaper, Susanne Ironie und Absurdität als philosophische Standpunkte Königshausen & Neumann dicembre-gennaio 94/95 pp. 172, DM 44 Si tratta della tesi di laurea tenuta dalla Schaper presso l’Università di Gießen nel ’93. Schelling, Friedrich Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo. Nuova introduzione del diritto naturale a cura di Giuseppe Semerari Laterza, marzo 1995 pp. 176 Il volume raccoglie le Lettere che hanno rappresentato un documento di grande rilievo nella disputa filosofica dell’ultimo Settecento tedesco e la Nuova deduzione, scritta nello stesso periodo, dove sono evidenti le tendenze anarchiche, libertarie e individualistiche del giovane Schelling. Schelling, Friedrich Wilhelm J. Philosophie de la révélation libro III, parte II tr. e a cura di L.F. Marquet J.-F. Courtine PUF, dicembre 1994 pp. 384, F 248 Questo terzo ed ultimo libro dell’opera di Schelling, costituisce la conclusione sistematica della filosofia positiva, come seconda parte, speciale, della filosofia della rivelazione. Schervish, Paul G. Coutsoukis, Platon E. Lewis, Ethan Gospels of Wealth: How the Rich Portray their Lives Praeger Publishers, gennaio 1995 pp. 304, £ 18.95 Il volume contiene una ricostruzione, da parte di soggetti sani, della loro vita ed esperienza e dimostra come gli aspetti delal loro vita religiosa e finanziaria si sviluppino e spesso si intreccino. Questo testo sviluppa una sociologia che va al di là delle teorie convenzionali, dell’elite del potere, del marxismo e del gruppo di Stato. Schiefenhövel, W. (a cura di) Gemachte und gedachte Welten. Der Mensch und seine Ideen Trias, febbraio 1995 pp. 250, DM 34 Schubert, Rainer Was heißt, sich im Denken orientieren? Eine christlich -philosophische Abhandlung Lang, febbraio 1995 pp. 250, DM 80 NOVITÀ IN LIBRERIA Schürmann, Reiner Dai principi all’anarchia Essere e agire in Heidegger Il Mulino, marzo 1995 pp.590, L.60.000 Il pensiero heideggeriano pone le condizioni per ripensare la questione cruciale del rapporto fra teoria e pratica Schwaiger, Clemens Das Problem des Glücks im Denken Christian Wolffs. Eine quellen-, begriffsund entwicklungsgeschichtliche Studie zu Schlüsselbegriffen seiner Ethik Frommann-Holzboog, febbraio 1995 pp. 230, DM 82 Sellier, Philippe Pascal et Sanit-Augustin Albin Michel, febbraio 1995 pp. 645, F 85 L’influenza dell’eredità augustiniana, non solamente su Pascal, ma sull’insieme degli autori del XVII secolo è stata notevole. L’autore analizza in particolare la lettura pascaliana di Sant’Agostino attraverso il gruppo giansenista. L’argomento sarà di sicuro interesse per il pubblico. Semerari, Giuseppe Filosofia. Lezioni preliminari Guerini, gennaio 1995 pp. 176, L. 30.000 Rivolto al lettore non specialista e allo studente, spiega i nodi del pensiero filosofico e le sue articolazioni con le altre branche del sapere. Seneca, San Paolo Epistolario apocrifo Rusconi, marzo 1995 Un falso storico che ha origine nel IV secolo d.C., l’epistolario apocrifo tra il filosofo stoico Seneca e il “semileggendario” apostolo cristiano, Paolo. Sestov, Leone Contra Husserl Una polemica filosofica Guerini, gennaio 1995 pp. 192, L. 28.000 Tre scritti realizzati dal filosofo russo tra il 1917 e il 1938, che scandiscono, a distanza di dieci anni uno dall’altro, la sua dura opposizione alla filosofia come scienza rigorosa di Husserl. Seung, T.K. Kant’s Platonic Revolution in Moral and Political Philosophy John Opkins UP, febbraio 1995 pp. 312, $ 40 A partire da Kant, le forme platoniche sono idee basilari per la costruzione della morale, dell’estetica e delle norme e degli standard politici. Questa è l’essenza del construttivismo platonico di Kant che viene spiegato da Seung paragonandolo ad altri programmi di costruzione, come il convenzionalismo di Hobbes e lo storicismo di Hegel. Severino, Emanuele Antologia filosofica. Le pagine più significative del pensiero occidentale Rizzoli, febbraio 1995 pp. 486, L. 16.000 Stephenson, R.H The Mind at Work: Goethe’s Conception of Knowledge and Science Edinburgh UP, gennaio 1995 pp. 300, £ 30 Il libro esamina il contesto culturale delle opere scientifiche di Goethe. Si occupa delle differenze operate da Goethe tra l’amatore e l’esperto, di ciò che intercorre tra la scienza dell’Illuminismo e la Naturphilosophie del Romanticismo e cerca di collocare il suo pensiero scientifico all’interno del contesto in cui è nato. Sherman, William H. John Dee: The Politics of Reading and Writing in the English Renaissance Univ Massachusetts, febbraio 1995 pp. 272, £ 31.50 Questo testo presenta una ricostruzione della carriera e dello sfondo culturale di John Dee. Mette in discussione l’immagine del filosofo eccentrico e colloca Dee in un contesto nuovo, rivelandone la posizione di consulente molto ben visto e conosciuto nei circoli accademici, di corte e commerciali ai suoi giorni. Stern, David G. Wuttgenstein on Mind and Language Oxford UP, dicembre-gennaio 94/95 pp. 272, £ 30 Questo trattato sostiene che le idee di Wittgenstein sono molto più semplici e molto più radicali di quello che siamo portati a pensare. Partendo da materiale di Wittgenstein non ancora pubblicato, l’autore tenta di determinare che cosa motivò gli scritti di Wittgenstein. Singer, Peter How are we to Live?: Ethics in the Age of Self-interest Mandarin, gennaio 1995 pp. 400, £ 7.99 Questo libro costituisce un’affermazione della natura e della società umane e suggerisce che la gente che ha un approccio etico alla vita spesso sfugge alla mancanza di significato prevalente nella società moderna e trova invece molta soddisfazione in ciò che fa. Stern, J.P. The Dear Purchase: A Theme in German Modernism Cambridge UP, gennaio 1995 pp. 438, £ 40 Questo testo studia i lavori individuali di dodici scrittori del modernismo tedesco, in relazione alla storia del XX secolo. Esplora il dear purchase (“caro acquisto”) - la perseveranza morale ed il sacrificio - visto come caratteristica della Germania dopo Nietzsche e rivela il lato oscuro che sottostà a questa nozione. Sinnott-Armstrong, Walter Modality, Morality and Belief: Essays in Honor of Ruth Barcan Marcus Cambridge UP, febbraio 1995 £ 35 Modalità, moralità e fede sono tra gli argomenti più controversi della filosofia moderna e pochi filosofi hanno dato forma a questo dibattito come Ruth Barcan Marcus. Un gruppo di filosofi, ispirati dai suoi lavori, esplora questi argomenti. Tanizaki, Junichiro Libro d’ombra Bompiani, marzo 1995 pp. 120, L. 12.000 La luce, emblema del pensiero filosofico occidentale, e la penombra, simbolo della cultura orientale, vengono messe a confronto. Da tale contrapposizione esce vittoriosa la seconda, per il suo ruolo nello sviluppo armonioso e umano dell’esistenza. Smith, Michael The Moral Problem Blackwell, dicembre-gennaio 94/95 pp. 240, £ 15 Questo volume, di cui si era già parlato prima della pubblicazione, è un’introduzione sistematica al dibattito animato che si svolge all’interno della filosofia morale, di cui si tenta qui anche un’analisi originale. Il libro interesserà chiunque si occupa dei fondamenti filosofici dell’etica. Taylor, Benjamin Into the Open: Reflections on Genius New York UP, gennaio 1995 pp. 176, £ 39.95 Invocando la drastica critica del genio di Nietzsche, questo libro valuta i casi meno programmatici e più ansiosi di Pater, Valery e Freud sul ruolo di Leonardo da Vinci. Mentre Nietzsche cercava e trovava una fuga nell’umanesimo romantico, gli altri non potevano rinunciare all’idea di genio. Söling, Caspar Das Gehirn-Seele-Problem. Neurobilogie und theologische Anthropologie Schöningh, febbraio 1995 pp. 320, DM 88 Teller, Paul An Interpretative Introduction to Quantum Field Theory Princenton UP, febbraio 1995 pp. 216, $ 40 Si tratta del primo libro che presenta la teoria del campo dei quanti in modo accessible ai filosofi. Sosa, E. (a cura di) A Companion to Methaphysics Blackwell, dicembre-gennaio 94/95 pp. 500, £ 60 Il Companion è un repertorio di tutta la metafisica, che include anche articoli di molti dei più accreditati studiosi del settore. Contiene più di 200 voci. 79 Ten, C.L. Routledge History of Philosophy vol. VII: The Ninteenth Century Routledge, dicembre-gennaio 94/95 pp. 496, £ 55 I filosofi discussi in questo volume includono gli esponenti delle tradizioni “analitica” e “continentale”, ma anche quelli della non meno influente tradizione pragmatica americana. Ogni capitolo è scritto da un diverso autore che presenta gli argomenti ed i temi nel contesto e nel periodo in cui sono sorti, mentre non dimentica la loro importanza ed il loro interesse per la filosofia attuale. Terestchenko, Michel Philosophie politique vol. I: Individu et societé Hachette-Classiques, gennaio 1995 pp. 158, F 56 Il volume permette di arrivare ad una comprensione migliore dei problemi principali che vengono posti alle società democratiche contemporanee. Terestchenko, Michel Philosophie politique vol. II: Ethique, science et droit Hachette-Classiques, gennaio 1995 pp. 156, F 56 Vengono trattati i seguenti argomenti: razzismo ed antirazzismo; nazione e nazionalismo; cittadinanza ed emigrazione; etica e scienza. Theis, Robert Gott. Untersuchung zur Entwicklung des theologischen Diskurses in Kants Schriften zur theoretischen Philosophie bis hin zum Erscheinen der ‘Kritik der reinen Vernunft’ Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 374, DM 135 Thofern, D. ( a cura di) Rationalität im Diskurs. Rudolf Wolfgang Müller zum 60. Geburtstag Diagonal-Vlg., febbraio 1995 pp. 412, DM 58 Thompson, P. (a cura di) Issues in Evolutionary Ethics State Univ. of New York Pr. dicembre-gennaio 94/95 pp. 384, $ 25 La discussione riguardante la possibilità che la pratica etica e la teoria etica trovino il loro fondamento nella teoria dell’evoluzione ha preso una nuova direzione, significatamente diversa rispetto alla precedente, attraverso il contributo della socio-biologia. La questione si sta dimostrando di fondamentale importanza perché mette in discussione tutto il pensiero precedente. Questo libro mette al corrente sulla portata e trasmette l’importanza di questa discussione. NOVITÀ IN LIBRERIA Timmermans Benoît Le Résolution des problèmes de Descartes à Kant: l’analyse à l’âge de la révolution scientifique PUF, febbraio 1995 pp. 336, F 198 La rivoluzione scientifica del XVII secolo, vede Cartesio inventare la geometria analitica e Leibniz l’analisi dell’inifinito. Da dove viene questo capovolgimento dell’analisi, la sua fecondità che si compie con Kant? Il volume propone anche una storia dell’evoluzione delle scienze nei secoli XVII e XVIII ed uno studio dei rapporti tra la scienza, la metafisica e la morale in quell’epoca. Si tratta di un testo universitario. Tonelli, Giorgio Kant’s ‘Critique of Pure Reason’ within the Tradition of Modern Logic. A Commentary on its History Olms, dicembre-gennaio 94/95 pp. 383, DM 128 Tuana, Nancy Feminism and Philosophy: Essential Readings in Theory, Reinterpretation, and Application Westview Press, gennaio 1995 pp. 632, £ 17.95 Si tratta di una raccolta di letture da diversi lavori di filosofe femministe. Il libro cerca di rispondere a domande come: che tipo di accordo sarà possibile con la corrente predominante in filosofia, cioè quella non femminista? Ed in che modo, fino a che punto le femministe cambieranno gli argomenti che sono oggetto dei filosofi? Ueberweg, Friedrich Grundriß der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie der Antike vol. IV: Die hellenistische Philosophie a cura di H. Flashar Schwabe, dicembre-gennaio 94/95 pp. 1300, CHF 290 Il saggio contiene i seguenti contributi: “Epicuro, la scuola di Epicuro, Lucrezio” di Michael Erlere; “La Stoa” di Peter Steinmetz; “L’antico Pirroismo, la nuova accademia, Antioco di Ascalona” di Woldemar Görler; “Cicerone” di Günter Gawlick e Woldemar Görler. luogo provilegiato di quest’operazione: testimone di un’eredità anziana, diventa il veicolo di innovazioni decisive. Si tratta di un testo universitario. sone dipende dalla loro competenza razionale, dalla loro capacità di capire le ragioni morali e di controllare di conseguenza i loro comportamenti. Viaud, Pierre Une Humanité affranchie de Dieu au XIXe siècle: recherche d’un ordre universel pr. R.J. Dupuy Cerf, dicembre 1994 pp. 384, F 120 L’idea dell’unità della genesi e del destino dell’umanità ha conosciuto, dal Rinascimento in Occidente fino alla fine del XIX secolo, una lenta laicizzazione, un affrancarsi progressivo da Dio, a cui l’umanità universale era legata e quindi limitata. Si trattava, come è noto, del pensiero che ipotizzava un’organizzazione politica diversa dei sistemi monarchici europei. Warrender, Howard Il pensiero politico di Hobbes Laterza, febbraio 1995 pp. 384, L. 27.000 Interpretazione dell’opera hobbesiana in cui è assunta come categoria portante di tutto il sistema del filosofo inglese il concetto di “obbligazione morale”, un classico della critica hobbesiana. Winchester, James J. Nietzsche’s Aesthetic Turn. Reading Nietzsche after Heidegger, Deleuze, Derrida State Univ. of New York Pr. dicembre-gennaio 94/95 pp. 224, $ 18 Questo libro, scritto in uno stile chiaro ed indirizzato sia agli specialisti che ai non specialisti, si concentra sugli ultimi scritti di Nietzsche, in cui egli appare non sistematico ed indifferente alle questioni legate alla verità. Vlastos, Gregory Studies in Greek Philosophy vol. I: The Presocratics vol. II: Socrates, Plato and their Tradition a cura di D.W. Graham Princenton UP, dicembre-gennaio 94/95 pp. 384 + 344, $ 100 Gregory Vlastos (1907-1991) è stato uno dei più importanti studiosi della filosofia dell’antichità nel XX secolo. Wohlrapp, H. (a cura di) Wege der Argumentationsforschung Frommann-Holzboog dicembre-gennaio 94/95 pp. 400, DM 120 Vogeley, Kai Thorsten Repräsentation und Identität. Zur Konvergenz von Hinforschung und Gehirn-Geist-Philosophie Akademie, dic.-gennaio 94/95 pp. 320, DM 98 Il lavoro di Vogeley si occupa del dibattito interdisciplinare tra ricerca e filosofia per quanto riguarda i fenomeni fisici e psichici, che vengono trattati secondo il problema tradizionale corpo-anima. Valenza, Pierluigi Reinhold e Hegel Cedam, febbraio 1995 pp. 308, L. 48.000 Volkmann-Schluck, Karl-Heinz Kants transzendentale Metaphysik und die Begründung der Naturwissenschaften a cura di L. Koch e I. Strohmeyer Königshausen & Neumann febbraio 1995 pp. 140, DM 34 Alla base di quest’interpretazione c’è il presupposto che la metafisica trascendentale di Kant, così come la si può desumere dalla Critica della facoltà di giudicare teologica, rappresenta la chiave per capire l’essere e le possibilità dell’essere delle scienze naturali moderne. Vegnières, Solange Ethique et politique chez Aristote: physis, ethos, nomos PUF, febbraio 1995 pp. 320, F 198 Raccogliendo la triplice eredità aristocratica, sofista e platonica, Aristotele ridefinisce l’etica e la politica tessendo dei legami tra di esse che ne garantiscono la specificità rispettiva. Il concetto di ethos è il Wallace, R. Jay Responsibility and the Moral Sentiments Harvard UP, gennaio 1995 pp. 320, £ 31.95 Questo testo sostiene che la responsabilità morale si affanna intorno a domande, come: quando è giusto ritenere moralmente responsabili le persone per quello che fanno? La questione se sia giusto o meno ritenere responsabili le per- Wolbert, W. (a cura di) Moral in der Kultur der Massenmedien Herder, dicembre-gennaio 94/95 pp. 176, DM 34 Zanetti, Véronique La nature a-t-elle une fin?: le problème de la téléologie chez Kant Ousia, febbraio 1995 pp. 296, F 135 Come sostenere che una natura determinata produce degli esseri liberi? E come è possibile riconciliare la realizzazione dell’imperativo categorico con il determinismo fisico? L’idea della finalità permette di pensare ad un luogo di incontro possibile tra la storia dell’evoluzione naturale e la storia delle azioni umane, ma questo non consente di oltrepassare il fossato del dualismo. Si tratta di un testo universitario. Zecchi, Stefano Il bello e il brutto Mondadori, febbario 1995 pp. 100, L. 20.000 Il bello e il brutto sono categorie applicabili non solo all’arte o al gusto, ma a tutti gli aspetti della vita, come una vacanza o una scelta politica. 80 Ziefle, Reiner G. Raumzeit-Paradoxa. Analyse und Kritik der relativischen Weltvorstellung Haag & Herchen, febbraio 1995 pp. 140', DM 24,80 Zimmerman, Michael E: Contesting Earth’s Future. Radical Ecology and Postmodernity California UP, febbraio 1995 pp. 460, $ 38 Il libro offre una valutazione positiva, ma molto equilibrata e di cui c’era un notevole bisogno, dei principi, delle mete e dei limiti dei principi dell’ecologia radicale. L’autore colloca l’ecologia radicale all’interno del complesso terreno culturale della fine del XX secolo, mostrando i legami con il pensiero anti-tecnologico di Martin Heidegger, del contro-culturalismo degli anni ’60, delle teorie contemporanee del post-strutturalismo e della post-modernità. Zsok, Otto Zustimmung zum Leben. Logotherapeutisch-philosophische Betrachtungen um die Sinnfrage. Mit einem Präludium von E. Lukas Eos- Vlg., dicembre-gennaio 94/95 pp. 192, DM 22 Zwick, Jochen Nietzsches Leben als Werk. Ein systematischer Versuch über die Symbolik der Biographie bei Nietzsche Aesthesis-Vlg, dic.-gennaio 94/95 pp. 224, DM 39,80 Si tratta della tesi di laurea, tenuta da Zwick presso l’Università di Stoccarda nel ’94. Zwilling, R. (a cura di) Natural Sciences and Human Thought Springer, dicembre-gennaio 94/95 pp. 200, DM 118 Questo libro, selezionando i risultati delle ricerche contemporanee, si pone lo scopo di enfatizzare l’influenze delle scienze naturali sul pensiero umano e sul nostro modo di percepire il mondo.