Gli antichi Egizi
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Quarta A
Fabio Aiello
Elena Barone
Simone Campisi
Fabiana Cannata
Nicolas Caserta
Michele Ceglia
Andrea Chieppa
Riccardo Cinquetti
Giorgia Cirasella
Elisa De Luca
Federico Grossi
Samantha Leccese
Valentina Mancino
Melissa Mughetti
Mattia Prattichizzo
Antonio Pio Quinto
Jessica Rampulla
Anna Risi
Alyssa Taccardi
Garcia Isaac Giovanny Velez
Laura Ventre
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Quarta B
Massimiliano Acampora
Antonio Brunetti
Miriana Carrino
Simone Drago
Federico Fugazzi
Garofalo Matteo
Yousef Hamouie
Yoanna Henin
Marco Liuzzi
Mattia Longu
Valentina Massaro
Michele Mileto
Giorgia Monopoli
Riccardo Mucci
Elisa Occhiuzzo
Greta Polito
Giulia Remini
Sarah Rigoldi
Ylenia Sardella
Nicole Sempreviva
Noemi Troiano
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Classi quarte A - B - C
Insegnanti D’Errcico, Garofalo, La Rosa, Marmorale, Carnevale, Ponci
Scuola primaria statale “Italo Calvino”
via Liguria, 11
Cologno Monzese (Milano)
Anno scolastico 2007 - 2008
Questo titolo fa parte del progetto “La scuola come casa editrice”
condotto da anni nella scuola “Italo Calvino”.
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Quarta C
Silvio Arcoria
Alessandro Astone
Domenico Caserta
Giuseppe Colaiacolo
M. Camilla Crippa
Alessia Di Bari
Letizia Di Monte
Giulia Dicandia
Aurora Ferrante
Claudio Ferrazzi
Alessio Fiore
Elena Gattico
Elisa Grigore
Paolo Hu Yong
Silvia Longo
Federica Maiocchi
Gulia Marmo
Juan Pastor
Dalila Patti
Giulia Ravini
Michela Ricci
Marco Vivian
Daniele Zupi
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Gli antichi Egizi
Quest’anno abbiamo studiato in storia le antiche civiltà: i Sumeri,
i Babilonesi, gli Assiri in Mesopotamia; gli Egizi in Africa; i Fenici,
gli Ebrei, i Cretesi, i Micenei e i Greci lungo le coste del Mar Mediterraneo.
La vita di questi popoli, così lontani da noi nel tempo, ci ha molto interessato e abbiamo imparato a conoscere le loro abitudini,
le loro condizioni di vita, le loro città, le loro credenze sulla base
delle informazioni raccolte da fonti diverse (fonti materiali, fonti
iconografiche, fonti scritte...) scoperte e studiate da archeologi,
storici, antropologi e linguisti.
Abbiamo approfondito la civiltà dell’antico Egitto, sia perché la
storia millenaria di questo popolo ci aveva particolarmente affascinato sia perché ci è stato possibile osservarne da vicino moltissimi reperti visitando il Museo Egizio di Torino, il più importante
dopo quello de Il Cairo. È stata un’esperienza interessantissima
e anche per certi aspetti emozionante, in special modo quando
siamo entrati nello Statuario dove sono esposte molte statue gigantesche dei faraoni e della sfinge.
Il lavoro di ricerca che adesso vi presenteremo ripercorre la storia
dell’antico Egitto; attraverso i nostri testi e le immagini cercheremo di raccontarvi la vita di questo popolo straordinario.
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Alla scoperta dell’Egitto
Migliaia di anni fa il Sahara era una pianura verde, ricca d’acqua
e popolata da animali selvatici e da uomini dell’età della pietra.
Lentamente il clima cambiò e il Sahara divenne un deserto, perciò uomini e animali furono costretti ad andare in cerca di terre
fertili: raggiunsero così l’Egitto. A quei tempi la valle del Nilo era
una giungla abitata da animali pericolosi. I nuovi arrivati, per sicurezza, si stabilirono inizialmente ai bordi della valle (circa 700 000
anni fa). Col trascorrere del tempo gli uomini impararono ad allevare gli animali, a seminare, a raccogliere, a tessere il lino, a filare la
lana e a forgiare i metalli. Il numero della popolazione man mano
cresceva, iniziarono a sorgere i primi insediamenti e i primi villaggi. Le tracce di queste prime presenze umane sono scomparse,
forse cancellate dalle inondazioni.
La civiltà egizia è una delle più antiche del mondo: esiste da più
di 5 000 anni.
Le prime testimonianze, infatti, risalgono al 4500 a.C., l’età “Pre-
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dinastica”, che terminò nel 3 100 a.C., quando Narmer unificò il
Basso e L’Alto Egitto sotto la guida di un unico faraone.
La tavoletta di Narmer, scoperta nel 1898 a Hierakonpolis, celebra
il faraone Narmer (o Menes) a cui si attribuisce l‘unificazione dell’Egitto.
La tavolozza è un contenitore per cosmetici a 2 facciate. Sul lato
A è rappresentato Narmer che indossa Hedjet (la corona bianca)
dell’alto Egitto, e sta bastonando un prigioniero sotto gli occhi
di Horus, è proprio Horus il fulcro simbolico della scena, perché
afferra il papiro per dimostrare che il basso Egitto appartiene a
lui. Sul lato B è rappresentato
Narmer che indossa Deshret
(la corona rossa) del basso
Egitto, e marcia in corteo davanti alle vittime di guerra.
Sotto ci sono due leoni che
intrecciano i loro lunghi colli
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e rappresentano la potenza e il controllo del re. Ancora più sotto
è rappresentato un bufalo infuriato, che con le corna si avventa
sulle mura della città e sul nemico, questa figura simboleggia il
potere del re.
In questo paese, che si estende soprattutto in lunghezza, si distinguono due parti: una lunga
e stretta vallata, l’Alto Egitto, e
una pianura alluvionale, il Basso
Egitto, dove si estende il delta
del Nilo.
L’Alto Egitto è costituito, a sua
volta, da due parti: da Assuan ad
Assiut, dove il Nilo supera uno
sbarramento di rocce chiamato
cateratta, e da una vallata chiusa da due pareti rocciose che
segnano l’inizio a est del deserto Arabico e a ovest del deserto
Libico.
Da Assiut a Menfi la vallata si allarga; un braccio del Nilo si stacca dal corso principale e va a gettarsi in un lago di acqua salata,
El-Fayum; il Nilo poi si ramifica formando un delta ricco di laghi
paludosi. Questo delta, con le zone circostanti a est e a ovest, costituisce il Basso Egitto.
Questo paesaggio è rimasto quasi lo stesso dell’epoca dei faraoni:
ancor oggi nell’Alto Egitto il Nilo è orlato da una fascia di terra
coltivabile e da una zona desertica chiusa da una balza rocciosa,
il gebel; il Basso Egitto è una vasta pianura, solcata dai bracci del
Nilo.
Il Nilo è il fiume più lungo del mondo, infatti misura 6 671 km.
Nasce dal lago Vittoria con il nome di Nilo Bianco. A Khartum si
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unisce al Nilo Azzurro e supera sei cateratte. Lungo le
sponde la vegetazione cresce rigogliosa.
Il Nilo, o Kemet, come era
allora chiamato dagli Egizi,
ha le sorgenti in una zona
dove le piogge in certe
stagioni sono abbondanti e, proprio durante la stagione delle
piogge, il fiume si ingrossava e, tra luglio e settembre, le acque
uscivano dal suo letto, allagando il terreno circostante e depositando il limo, un ricco fertilizzante per i campi. Lungo il Nilo vi era
una serie di “nilometri”, che misuravano l’altezza delle acque. Era
compito dei sacerdoti prevedere i giorni dell’inizio del fenomeno
e il livello dell’inondazione. Delle dighe in fango e pietra, costruite lungo il percorso, venivano aperte al momento opportuno, in
modo che le acque allagassero i terreni da coltivare. Nel XIX secolo sono stati costruiti dei canali d’irrigazione che permettono
la regolazione del flusso delle acque. Strabone, geografo greco
vissuto dal 63 a.C. al 24 d.C., così descrive la piena del fiume nel
suo libro Geografia:
“Quando il Nilo straripa tutto il paesaggio intorno viene sommerso
e prende l’aspetto del mare, ad eccezione dei luoghi abitati che, costruiti su rialzi del terreno o su colline artificiali, hanno da lontano
l’aspetto di isole; l’acqua rimane più di 40 giorni in estate poi si ritira
a poco a poco come a poco a poco aveva sommerso la terra. In 60
giorni tutto è completamente asciutto; più in fretta il suolo si dissecca prima iniziano i lavori agricoli”.
Lungo le rive coperte da un fango nero chiamato limo venivano
coltivati grano, orzo, vite, ulivo, lino e legumi; qui cresceva il papiro
e vivevano molti animali, tra cui varie specie di uccelli acquatici.
Gli Egizi avevano tanti inni dedicati al Nilo, per esempio:
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Salve o Nilo
che doni la vita all’Egitto!
Tu bagni la terra in ogni luogo,
signore dei pesci,
creatore del grano e dell’orzo...
Non appena ti gonfi,
la terra grida di gioia.
Tu ti impadronisci delle terre
e i granai si riempiono
i beni dei poveri tu moltiplichi...
Il calendario
Gli egiziani antichi inventarono un calendario, composto da tre
stagioni di 4 mesi ciascuna: Akhet, Peret e Shemu. Il calendario
egizio si basava sul ciclo del Nilo.
La prima stagione era Akhet che andava da metà luglio a metà
novembre, era la stagione della piena: l’acqua inondava i campilasciando uno strato di limo che è un fertilizzante naturale.
Attualmente il limo non si trova più, perché dal 1971 la diga di Assuan sbarra il corso del Nilo, perciò il fango si deposita nel grande
lago artificiale (lago Nasser) formato in seguito alla costruzione
della diga di Assuan.
Ora il livello dell’acqua è regolato dalle chiuse.
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Peret era la seconda stagione: da metà novembre a metà marzo le
acque si ritiravano e bisognava arare e seminare i campi.
Shemu era l’ultima stagione, da
metà marzo a metà luglio. Questa stagione era la più faticosa
perché l’acqua scendeva al livello minimo tanto da provocare la
siccità, però il grano continuava
a crescere finché veniva falciato
e depositato nei magazzini.
Shemu annunciava anche il capodanno egizio che cadeva intorno al 19 luglio del nostro calendario, quando la stella Sirio sorgeva all’orizzonte e preannunciava
Akhet.
La vita quotidiana
Gli Egiziani amavano la vita in famiglia: i genitori, in particolare le
madri, trascorrevano quanto più tempo potevano con i figli.
Le donne si sposavano assai giovani, si dedicavano alla famiglia e
sbrigavano le faccende sia da sole che con l’aiuto di domestici.
La donna godeva di molti diritti rispetto alle altre civiltà dell’antico oriente: era giuridicamente equiparata al marito e protetta
in caso di divorzio, ella portava
il titolo di “padrona di casa” ed
è probabile che scegliesse da
sola lo sposo.
Gli Egiziani amavano circondarsi di molti figli e rivolgevano
preghiere agli dei affinché ne
concedessero loro.
I maschi, se appartenenti a famiglie ricche, frequentavano la
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scuola altrimenti imparavano il mestiere dei padri; le ragazze aiutavano le madri a curare la casa e passeggiavano ben adornate in
giardino in attesa di essere notate da un giovane che le avrebbe
chieste in moglie.
Le case avevano caratteristiche diverse a seconda della classe sociale: quelle del popolo erano piccolissime e con poche suppellettili, quelle dei ricchi avevano più stanze disposte su due piani,
erano circondate da un giardino chiuso da un muro dove si coltivavano alberi e piante.
L’arredamento era semplice: letti, sedie di forme diverse, panche,
scrigni. Lampade a olio e bracieri assicuravano l’illuminazione e il
riscaldamento.
Le città egizie erano abbastanza numerose e sorgevano in prossimità del Nilo. La cinta delle mura racchiudeva i templi in pietra,
gli edifici amministrativi e le case che erano realizzate in mattoni
crudi. Le città rivelavano una certa cura urbanistica: divisione geometrica dei quartieri, strade rettilinee provviste di canali di scolo
delle acque sporche, distribuzione razionale dei punti d’acqua.
Ogni città o villaggio aveva laboratori artigiani: vasai, tessitori,
fabbri, muratori, falegnami.
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Gli scavi hanno portato alla luce il villaggio di Deir-el-Medina abitato dagli artigiani incaricati di decorare le tombe reali di Tebe;
essi avevano un tenore di vita superiore agli altri artigiani.
Nella tomba tebana di Meketra è stato rinvenuto un modellino di
legno dipinto risalente al 2000 a. C. che illustra alcuni falegnami a
lavoro: il falegname al centro utilizza una lunga sega per tagliare
un asse di legno legata ad un palo che la tiene ferma; altri falegnami si servono di accette, uno usa un maglio di legno e uno
scalpello. Altri arnesi, come asce e bulini, sono disposti su una cassapanca.
Uno dei legni più pregiati dell’Egitto era il sicomoro, usato per ricavare sarcofagi, tavoli e casse. È un albero d’alto fusto sempreverde, molto comune in Medio Oriente e in alcune regioni dell’Africa
tropicale e del Sudafrica. Alto generalmente 10-25 m, (sono però
noti anche esemplari di oltre 45 m), il sicomoro ha una chioma
ampia e tondeggiante. I frutti, inizialmente gialli e rossi, sono
commestibili e si sviluppano sui rami in densi grappoli. L’albero
del sicomoro era impiegato già nell’antico Egitto come pianta da
ombra e da legno.
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L’abbigliamento
Gli Egizi indossavano indumenti di tela di lino bianca o di colore
diverso come ci mostrano le pitture tombali. Questa fibra è ricavata dal fusto di una pianta alta da 80 a 120
cm, poco ramificata e con piccoli fiori, di
un colore variabile dal bianco all’azzurro
intenso, che fioriscono solo per un giorno.
Questa pianta viene estirpata dal terreno
quando la fibra ha la massima lunghezza.
Dopo la macerazione le fibre tessili vengono separate dai residui legnosi. Infine le
fibre vengono pettinate per eliminare le
impurità. Gli Egizi avevano molta cura per i
propri vestiti. L’uomo portava un gonnellino a pieghe, la donna un abito diritto, con
spalline larghe ornato di perline. I ricchi indossavano abiti di lino
di qualità migliore confezionati in diverse fogge.
Dato il clima molto caldo, i lavoratori indossavano un semplice
perizoma, invece le schiave qualche volta portavano solo una cintura. Spesso i bambini, mentre giocavano, non indossavano quasi
niente o erano del tutto nudi. I mantelli erano utilizzati solo nel
breve periodo invernale.
Bambini e ragazzi, sia maschi
che femmine, avevano in genere
la testa rasata con un boccolo o
una treccia che ricadeva su un
orecchio.
Molti adulti avevano la testa del
tutto rasata, e chi si lasciava crescere i capelli li teneva con molta
cura.
Per le cerimonie uomini e donne
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indossavano parrucche che
a quel tempo erano molto
diffuse; alcune erano artisticamente lavorate, da una
parte con ciocche lunghe e
piatte, dall’altra con ricciolini. Uomini e donne si truccavano: nella scatola dei
cosmetici il maggior spazio
era occupato dagli oli per
evitare che la pelle fosse
inaridita dal sole violento, erano anche molto importanti il kohl,
che serviva a truccare gli occhi e i profumi.
Tutti portavano tanti gioielli come cerchietti, orecchini, collane
di ogni dimensione, anelli, braccialetti per le caviglie. I materiali
andavano dall’oro, argento e pietre dure alle perline di vetro, alle
conchiglie e ai sassi lucidati dai bei colori.
A tavola con gli Egizi
Gli Egizi facevano tantissimi tipi di pane dalle forme più svariate,
come i pani a forma di animali e pupazzi, fatti apposta per i bambini.
Il pane offerto agli dei aveva la forma di orecchio, perché la divinità ascoltasse le preghiere.
Il pane e le cipolle erano gli alimenti principali degli Egizi. Tante anche le focacce, le polentine d’orzo e le farinate, condite con
frutta secca.
In mancanza di zucchero si facevano i dolci con datteri e miele.
Piselli, cavolo, lenticchie, aglio, lattuga, cetrioli, porri facevano parte della dieta quotidiana.
La carne era riservata ai ricchi, era rara e costosa come l’olio, che
veniva usato più per proteggere la pelle dai cocenti raggi del sole
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che condimento per i cibi.
Il Nilo era ricchissimo di pesci. Vi si potevano pescare carpe, anguille e pesce
persico.
La bevanda nazionale era la birra, ricavata strizzando un pane d’orzo a metà
cottura. Quella più comune si chiamava
“hag”, era leggera e poco costosa.
Il vino veniva venduto a un prezzo molto alto e il sapore non doveva essere
molto buono visto che per renderlo più
gradevole vi veniva aggiunto miele o succo di datteri.
Per fare il vino si pigiava l’uva con i piedi, ma talvolta in Egitto si
preferiva torcere un sacco con dentro i grappoli e raccogliere il
liquido che si filtrava
Anche i defunti, secondo gli Egizi avevano bisogno di nutrirsi nell’aldilà.
Così i parenti, durante le feste religiose, portavano cibo nelle tombe e apparecchiavano tavole riccamente imbandite.
L’agricoltura
Le inondazioni del Nilo aiutarono a sviluppare molto l’agricoltura,
perché quando esso si ritirava lasciava uno strato
di limo, per questo la popolazione era in maggior
parte costituita da agricoltori.
Le principali colture erano l’orzo, il farro, il grano,
il lino e le viti.
Gli Egizi producevano
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birra d’orzo e vino bianco o
rosso. Il vino veniva ricavato
anche da datteri, fichi o melagrane.
Per coltivare si arava il terreno utilizzando un aratro
primitivo, detto a chiodo,
trainato da buoi o a mano.
Dopodiché si spargevano
manualmente i semi.
Al momento del raccolto, per tagliare il grano, si utilizzavano falci
dalla struttura in legno e selce dentata; poi, i muli portavano il raccolto sull’aia dove veniva battuto e infine veniva immagazzinato
nei granai del faraone.
Gli agricoltori più facoltosi avevano bestiame proprio, usato per
la macellazione o per il lavoro dei campi. Pecore e capre venivano
allevate per il latte, la carne e la lana. Oltre a tassare i campi si tassavano anche gli animali: uno scriba contava il bestiame portato
dai pastori.
Se qualche uomo commetteva qualche infrazione veniva frustato.
Menes, il primo faraone, fece costruire dighe e canali per controllare il flusso del Nilo, dalla capacità di controllare le acque in piena poteva venire prosperità o
carestia e fame.
Col passare del tempo si diffuse il sistema di dividere la parte
coltivabile in bacini rettangolari riempiti con l’acqua delle
piene.
I contadini usavano lo shaduf
per raccogliere l’acqua del fiu21
me. Lo shaduf è una sorta di bilanciere. Ad una estremità c’è un
recipiente per l’acqua, dall’altra un contrappeso. Lo shaduf
viene usato ancora oggi.
Dopo le piene del Nilo si dovevano misurare i campi per
evitare le liti; per questo il re
Sesostri aveva distribuito il
terreno in parti quadrangolari ad ogni contadino. Perciò
ogni anno si doveva pagare
una tassa per i campi. Se il fiume toglieva una parte di porzione
ad uno, il faraone mandava dei funzionari e degli scribi a fare sopralluoghi, rimisurare il campo e diminuire la tassa.
Per questo si crede che gli Egizi avessero scoperto la geometria.
La caccia e la pesca
Erodoto affermò che l’Egitto era un dono del Nilo.
Lungo le rive del fiume crescevano rigogliosi giardini ricchi di
vegetazione e abitati da diversi animali. Questa ricchezza era
completa grazie agli animali che vivevano nel deserto e sulle
montagne. Dai tempi antichi gli Egizi sfruttavano queste risorse
faunistiche.
Per cacciare gazzelle, antilopi cervi e tori gli egiziani usavano lance,
archi con frecce di canna con la punta di metallo e il boomerang,
un bastone a forma di serpente. Per cacciare con il boomerang
si seguiva un procedimento particolare: un uccello imprigionato
col suo pigolare aveva il compito di richiamare gli altri uccelli che
una volta giunti nelle vicinanze venivano colpiti dai boomerang
dei cacciatori.
A questo punto entrava in scena un gatto addestrato il cui compito era riportare le prede ai cacciatori. Un documento iconografico
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databile al 1400 a.C., ritrovato in una tomba a Tebe, ben rappresenta una scena di caccia nelle paludi. Protagonista è lo scriba
Nebamun che con la mano destra tiene tre aironi che hanno probabilmente la funzione di richiamo, come forse la papera seduta a prua. La mano sinistra dello scriba regge il boomerang. Sulla
barca ci sono la moglie, vestita in modo ricercato e la figlia che
sfoggia l’acconciatura tipica dei giovani egiziani: il boccolo.
Sulla barca c’è anche il gatto di famiglia che a sua volta sta cacciando: con le zampe anteriori artiglia un malcapitato uccello.
Dalla lettura dell’immagine si vede che il Nilo era ricchissimo di
pesci e le canne di papiro crescevano abbondantemente.
Si cacciavano anche i tori selvatici, la loro figura era legata a diversi aspetti: era forza di lavoro dei campi e aveva un significato
religioso. La sua immagine rappresentava la crescita annuale del
Nilo e la sua forza, il potere e il valore, ragion per cui veniva associato al faraone.
Nell’antichità una specie molto numerosa era l’ippopotamo, il re
del fiume, in grado di annientare tutti i rivali. La caccia all’ippopotamo era molto pericolosa. I cacciatori si dovevano mantenere in
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lontananza, perché, se l’animale rimaneva ferito, poteva lo stesso
attaccare l’imbarcazione.
La caccia agli uccelli era riservata alle classi dominanti.
La pesca era un’altra fonte di nutrimento. Il Nilo era un fiume molto pescoso, specialmente dopo le piene. Per pescare si usavano
l’arpione con punta di osso, la rete che gettata in acqua veniva
poi recuperata da molti
pescatori, la lenza e la
nassa, una particolare
cesta di vimini. Gli Egizi avevano imparato ad
addestrare un uccello,
il cormorano, per farsi
aiutare durante la pesca. Questo uccello acquatico, legato con una
fune ad una zampa,
gettato in acqua riportava poi sulla barca il
pesce che pescava con
il suo lungo becco. Il pesce, una volta pescato, veniva pulito, essiccato, quindi salato o affumicato per la conservazione.
Da una cronaca di vita egiziana di migliaia di anni fa, possiamo
ricostruire una giornata di pesca di un antico egizio.
”Un giorno felice, quando scendiamo verso la palude, che possiamo
prendere uccelli e prendere molti pesci nelle sue acque... Porteremo
le nostre reti, prenderemo uccelli a migliaia e accenderemo un braciere... con vari tipi di arrosto sopra, consistenti in pesci e oche... Sono
contento di ciò di cui vivevo ieri, un cibo che ho portato io stesso: vivo
di uova e di miele. Poi potrò mangiare il pesce della mia fiocina e gli
uccelli della mia rete...
Siedo vicino al guado, mi preparo un ricovero dopo aver deposto la
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mia esca. Sono in una brezza fresca, mentre i miei pesci sono al sole...
un pesce è trafitto da una freccia: io ammazzo ogni volta, non c’è
sosta per la mia fiocina. Faccio mazzi di bianchi pesci...
È bello scendere tra ciuffi di papiri. All’alba mangiare un boccone, poi
andare lontano, e camminare nel luogo dove desidera il mio cuore...”
I passatempi
Il gioco ha sempre avuto una parte importante nella vita di tutti i
popoli. Gli egizi amavano trascorrere il tempo libero divertendosi,
come possiamo vedere da varie pitture giunte fino a noi. I divertimenti preferiti dei nobili erano la caccia e la pesca. La musica,
suonata con l’arpa, con lunghi flauti, liuti e lire era eseguita durante i banchetti e le feste religiose e accompagnata da danzatori
o danzatrici.
Fra i giochi di società, due erano molto diffusi: uno lo “zenet” era
una specie di dama di trenta caselle. Il “mehn”, invece, era simile
a una tavola rotonda a forma di serpente arrotolato e diviso in
caselle, mentre le pedine avevano forma di leoni.
Fra i giocattoli si sono conservate statuette di legno e palle di
cuoio.
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Un passatempo assai diffuso fra i bambini era la lotta libera che
forse serviva anche da esercitazione di tipo militare. A casa ragazzi e ragazze facevano giochi semplici come la corsa, i salti e
la mosca cieca; avevano inoltre gatti e scimmie come animali da
compagnia
Medicina e magia
La dea Sekhmet era la dea padrona della vita: aveva il potere di
guarire ma anche di distruggere. In tutto il paese si chiedeva il
suo aiuto per guarire dalle malattie e sanare le ferite.
Lo studio delle mummie e degli scheletri ha permesso di conoscere le malattie e gli incidenti più diffusi tra gli egizi; spesso la
malattia era causata da infezioni batteriche o virali che provocavano tubercolosi, tetano, lebbra o vaiolo.
Tracce di traumi e ferite sono comuni nei corpi degli uomini che
costruirono la Grande Piramide.
Molti avevano problemi alla schiena, altri presentavano i segni di
fratture alle braccia o avevano perso le mani.
Nell’antico Egitto magia e medicina erano strettamente legate. Se
un medicinale non aveva effetto, medici e pazienti si affidavano
alla magia: venivano così recitate formule, preghiere e incantesimi. Si indossavano amuleti protettivi realizzati appositamente per
mantenere in salute chi li portava e come difesa dalle forze ostili.
I medici studiavano le malattie e il modo in cui curarle nei rotoli di
papiro scritti da generazioni di curatori prima di loro.
Per i diversi tipi di malattie esistevano medici specialisti la cui conoscenza del corpo umano e dei farmaci era davvero approfondita.
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La piramide sociale
Nella civiltà egizia sopra tutti regnava il faraone, egli aveva il potere di vita e di morte sui suoi sudditi che lo consideravano un dio:
comandava l’esercito, decideva le leggi e stabiliva persino l’inizio
della semina.
Sotto di lui c’erano i nobili e i sacerdoti.
I sacerdoti, ricchi e potenti, erano destinati a questa carriera fin
da piccoli.
Ai nobili spettava il compito di difendere lo Stato organizzando
l’esercito.
Entrambe queste classi sociali non pagavano tasse e godevano di
privilegi e ricchezze.
Grande importanza avevano gli scribi che avevano appreso la difficile arte del leggere, scrivere e far di conto e avevano il compito
di registrare tutte le attività che regolavano la vita della società
egizia.
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Seguivano, poi, i mercanti, gli artigiani e gli operai.
A loro si deve l’enorme quantità di oggetti di uso quotidiano che
ancora oggi possiamo ammirare nei musei.
I contadini erano la maggioranza della popolazione: nutrivano
con il loro lavoro tutto l’Egitto coltivando i campi e allevando animali da cortile, pecore, maiali e buoi; questi ultimi erano utilizzati
anche per i lavori agricoli.
Oltre a queste attività quotidiane i contadini dovevano contribuire con gli operai, quando era necessario, al lavoro di costruzione
di strade, opere pubbliche e monumenti. La loro era una vita molto misera.
Nei dipinti sulle tombe la diversa dimensione delle figure indicava l’importanza dei personaggi rappresentati.
Agli schiavi, ultimi e considerati solo oggetti, spettavano i lavori
più duri.
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I faraoni
In Egitto, il faraone era un sovrano assoluto con un potere totale
sui propri sudditi.
Era ritenuto figlio del Sole e per questo veniva adorato come una
divinità vivente.
Era sua responsabilità controllare che il paese fosse ben governato e prospero, svolgeva il ruolo di sommo sacerdote, di giudice
supremo e di comandante militare dell’impero.
Era il sovrano che trasmetteva agli dei le offerte del popolo, a lui
le divinità concedevano le piene del Nilo ed era lui che possedeva
le chiavi dell’aldilà.
Il re disponeva di funzionari che lo aiutavano ad amministrare
l’impero, fra i quali c’era un ministro supremo, il visir.
La prima moglie del re esercitava una grande influenza, qualche
regina assunse anche il titolo di “re”.
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La guerra
Per gran parte della sua storia l’Antico Egitto rimase in pace. In
Egitto c’era solo un piccolo esercito il cui compito era quello di
tenere lontane le bande di nomadi e di proteggere le spedizioni
commerciali e le miniere.
A seguito dell’invasione degli Hyksos, gli Egiziani riorganizzarono
l’esercito e iniziarono anche loro le guerre di conquista.
Inizialmente i soldati erano lavoratori sottratti alle attività quotidiane e obbligati a combattere nell’esercito del faraone; tuttavia
essi dovevano essere lasciati liberi nella stagione del raccolto o
della semina.
Questo sistema venne cambiato nel 1500 a.C. circa, da quel momento l’esercito fu composto da soldati per professione a tempo pieno.
I soldati professionisti
provenivano essenzialmente dalla Nubia.
Quando non erano in
guerra, i Nubiani rimanevano in servizio come
polizia o guardie del corpo.
L’esercito egizio risultò formato da 20.000 guerrieri.
Un guerriero aveva lance, asce e mazze. Le lance e le asce erano
di rame o di bronzo con manici di legno; la mazza era una pietra
pesante fissata su un corto manico di legno, serviva per colpire da
vicino. Le frecce venivano scoccate a vari metri di distanza.
Il soldato aveva uno scudo di pelle tesa su un’intelaiatura alta
quasi come un uomo.
Nel 1500 a.C circa l’esercito Egizio cominciò a far uso dei carri da
guerra: veicoli agili e veloci che raggiungevano 40 Km/h, ed era30
no tirati da cavalli. Il carro ospitava due uomini: il guidatore e un
arciere o un lanciere.
I carri erano piattaforme da guerra che venivano spinte in mezzo
ai nemici creando il panico.
Nelle pitture tombali sono raffigurati gli Egiziani che danno assalto a fortezze nemiche e così sappiamo che il loro esercito usava le
scale per superare i muri e gli arieti per aprivirvi delle brecce.
Prima della battaglia il faraone invocava Montu che gli conferiva il
suo potere e dava ai soldati la forza di combattere come eroi.
Una battaglia famosa, combattuta dall’esercito Egizio fu quella di
Qadesh, nel 1275 a.C tra gli Egizi e gli Ittiti. Di questa battaglia
abbiamo dettagliati resoconti scritti.
Il re Ramesses condusse il suo esercito di 20.000 uomini fino alla
città di Qadesh, in Siria, dove fronteggiò le forze di Muwatallis il
re ittita.
Alla fine la battaglia non ebbe né vincitori né vinti.
31
Scienza e commercio
Gli Egizi usavano la scienza e la tecnica per fini pratici, come la
previsione dello straripamento del Nilo, e la costruzione di templi,
piramidi ed altre tombe.
Alcuni studiosi pensano che le piramidi venissero usate come osservatori astronomici.
Nella Valle dei Re è stata ritrovata la volta della camera funebre di
Seti I decorata in tinta nera e gialla. La pittura include le dodici ore
della notte e varie costellazioni celesti: Orione, Sirio e il Toro.
Il soffitto astronomico fu dipinto in modo da apparire direttamente sopra la bara contenente la mummia del re morto con lo
scopo di favorire l’ascesa al cielo del faraone.
Gli Egizi svilupparono accurati sistemi di misurazione a scopi
commerciali e fiscali.
Le prime monete furono introdotte soltanto nel 4° secolo a.C., prima il commercio veniva svolto soprattutto attraverso il baratto
(scambio di beni di egual valore); oro, papiro, lino erano i prodotti
di esportazione dell’Egitto, mentre le importazioni comprendevano legname robusto e pesante, spezie, pietre preziose e, più
tardi, ferro.
Il “metro” egizio si chiama cubito reale e corrisponde a 52,5 cm,
cioè allo spazio compreso tra il gomito di una persona e l’estremità del suo dito medio è suddiviso in varie sotto unità (le dita e
i palmi).
I pesi sono costituiti da pietre o pezzi metallici; il peso base è il
deben, corrispondente ai nostri 91 grammi. 1deben è composto
da 10 kite e 10 deben costituiscono 1 sep.
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La scuola e la scrittura
Solo le famiglie ricche potevano mandare i figli maschi a scuola
in quanto erano in condizione di pagare un maestro; le bambine,
invece, erano educate in casa.
L’istruzione si svolgeva nel tempio dove gli alunni imparavano a
leggere, a scrivere e a fare i conti.
Il maestro insegnava a scrivere su fogli di papiro e su tavolette
d’argilla (ostraka); era molto severo e se necessario ricorreva a punizioni corporali.
Gli alunni sedevano su stuoie di paglia intrecciata e a scuola praticavano anche lo sport: la lotta, gli esercizi acrobatici e la sfida
con i bastoni.
Gli dei erano considerati responsabili della creazione del mondo
e di ogni cosa, dunque per gli Egizi anche la scrittura era da considerare un dono degli dei. Al dio
Thot è riconosciuta l’invenzione
della scrittura e della matematica
e il suo simbolo è l’ibis, un uccello
il cui becco, sottile e ricurvo, ricorda la penna usata dagli Scribi
33
egizi.
La scrittura egizia è formata da segni geroglifici, cioè scrittura sacra.
Alcuni di questi geroglifici sono
ideogrammi: un solo segno richiama un’intera parola. Ma la maggior
parte sono segni fonetici: essi rappresentano un suono, cioè una singola lettera o un gruppo di lettere
che vengono combinate insieme per formare le varie parole. Il geroglifico non si legge solo da sinistra a destra come facciamo noi
con l’italiano: può cominciare da destra o essere letto anche partendo dal basso verso l’alto. Per capire dove comincia il brano lo
studioso deve osservare dove sono rivolti gli occhi degli animali
o delle persone rappresentati: guardano sempre verso l’inizio. La
scrittura geroglifica era considerata sacra, perciò veniva usata per
testi religiosi; per le necessità quotidiane, invece, usavano il demotico scrittura cosiddetta popolare e lo ieratico scrittura che si
può paragonare al nostro corsivo.
La stele di Rosetta
Nel 1799 a Rosetta, un villaggio vicino alla foce del Nilo, fu
scoperta una pietra nera dai
soldati francesi di Napoleone
in cui si parlava dell’incoronazione del faraone Tolomeo V.
L’episodio era riportato in tre
scritture diverse: il geroglifico, il demotico e il greco. Un
giovane archeologo francese
Jean Champollion scoprì cosa
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si nascondeva dietro ai misteriosi geroglifici egizi. Era noto che
gli antichi egiziani scrivevano i nomi dei faraoni in cartigli: ossia
circondandoli con un linea ovale. Partendo dal testo greco identificò i cartigli di Tolomeo e di Cleopatra.
Champollion confrontando i due cartigli trovò che alcuni segni si
ripetevano in entrambi.
Egli capì per primo che i vari segni potevano avere valori alfabetici (ossia rappresentare una singola lettera) ovvero sillabici (rappresentare 2 o 3 lettere) o determinativi (ossia determinare il significato esatto di una parola).
In Egitto pochissime persone sapevano leggere e scrivere. Coloro
che possedevano questa capacità erano detti scribi, erano ben
pagati e facevano un lavoro tranquillo e stimato da tutti. Spettava allo scriba registrare attentamente tutto ciò che serviva per il
buon funzionamento del regno: le tasse da pagare, la quantità di
grano e di orzo nei magazzini, le ricchezze accumulate in guerra,
il raccolto dei contadini lungo il Nilo.
Per la sua attività lo scriba usava o la tavoletta d’argilla e lo stilo, oppure rotoli di papiro, su cui scriveva con inchiostro rosso o
nero.
Dal disegno si vede la lavorazione del papiro per la preparazione
dei fogli.
Anche la matematica era considerata un’abilità donata all’uomo
dal dio Thot. I funzionari, la usavano per calcolare quanto grano
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veniva prodotto, quanti pesci venivano pescati o il livello raggiunto dalla piena del Nilo. Gli architetti si servivano della matematica per progettare gli edifici. La scoperta di diversi papiri ci
consente di sapere che gli antichi egizi erano in grado di compiere le quattro operazioni aritmetiche fondamentali (sommare,
sottrarre, moltiplicare, dividere), ma anche calcoli matematici più
complessi. Gli architetti sapevano calcolare l’area e il volume delle
figure geometriche. Per scrivere i numeri si usava un sistema che
comprendeva 7 segni; lo zero non era conosciuto. Per contare si
usava un sistema decimale; i numeri venivano scritti ripetendo
un segno tutte le volte necessarie, perciò potevano essere anche
molto lunghi.
La religione
Gli Egizi adoravano molti dei, erano quindi politeisti.
Divinità diverse rappresentavano:
- fenomeni naturali (sole, luna, tuono, pioggia);
- animali;
- aspetti della vita (nascita, malattia, morte);
- proteggevano le attività degli uomini (gli scribi, gli artigiani...)
Gli dei erano raffigurati con forme umane o animali o ibride, cioè
con la testa d’animale e il corpo umano.
La funzione principale della pratica religiosa nell’antico Egitto, era
quella di mantenere il MAAT, o corretto ordine del mondo, equi-
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valente al kosmos o “cosmo” greco, poiché gli Egizi credevano che
il mondo fosse nato dal caos e che alla fine sarebbe ritornato al
disordine iniziale.
Pertanto, il compito degli dei consisteva nel difendere la vita e
l’ordine dagli agenti del caos, cioè dal disordine. Tra le più importanti divinità ricordiamo:
Amon-Ra, il dio sole, aveva creato il mondo ed era il padre di tutti
gli dei;
Shu, il dio dell’aria;
Tefnut, la dea della rugiada e dell’umanità;
Horus, il dio falco, il signore del cielo;
Khnum, creatore degli uomini;
Anubi, il dio sciacallo, protettore dei morti;
Osiride, rappresentava la vittoria sulla morte;
Iside, rappresentava l’amore e la maternità;
Seth, il male;
Maat, dea della verità, della giustizia e della buona condotta;
Sekhmet, la dea leonessa, divinità della guerra;
Thot, protettore degli scribi;
Ptah, protettore degli artigiani.
Durante la XVIII dinastia, il faraone Amenofi IV cambiò radicalmente la religione egizia. All’inizio del suo regno Amenofì mutò
il proprio nome in Akhenaton, che significa “al servizio di Aton
(il Sole)”. Diversamente da tutti i faraoni egizi prima e dopo di lui,
Akhenaton venerò soltanto un dio: Aton. Tutti gli altri dei e dee,
anche le dignità domestiche, furono esclusi dal culto.
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Akhenaton dedicò un lungo inno ad Aton, molto simile al Salmo
104 della Bibbia:
Inno al Sole
Bella è la tu alba, Aton vivente, Signore dell’eternità!
Tu sei fulgente, bello e forte!
Grande e profondo è il tuo amore.
Sorgi dunque per dare la vita
poiché tu sei padre e madre.
Tutte le creature si levano verso di te
quando ascendi nel firmamento
e i loro cuori si empiono di entusiasmo
quando tu appari.
Tutta la terra è festante:
si canta, si suona, si mandano grida di gioia.
Quando ti corichi dietro l’orizzonte all’occaso del cielo,
le tue creature si addormentano
e le loro menti si annebbiano
fino a che il tuo fulgore si rinnovella il mattino
dall’estremo oriente del cielo.
Aton, tu sei eterno!
Hai creato il lontano cielo per innalzartici
e dall’alto mirare tutte le tue creature.
Tu sei uno e pure dai la vita a milioni di esseri
che s’inebriano della tua luce
e innalzano preghiere a te, Aton, fonte di vita.
La nuova religione non lasciava dubbi: l’uomo poteva contattare
dio soltanto tramite Akhenaton. Il faraone mise al bando i sacerdoti (che nel corso dei secoli erano diventati sempre più potenti),
fece chiudere i templi e trasferì inoltre la sede della capitale ad
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Akhetaton (successivamente elAmarna), la nuova città dedicata
ad Aton.
Dopo la sua morte, Akhetaton fu
abbandonata e l’Egitto ritornò agli
antichi culti.
Ad ogni divinità corrispondeva un
racconto che spiegava le sue qualità o la sua storia (il mito). Il mito
egizio più famoso è quello del dio
Osiride che insegnò agli uomini a
coltivare la terra e smisero così di
mangiare carne umana. Per la sua
saggezza divenne re dell’Egitto.
Seth, il fratello, volendo essere il
solo re della terra, lo uccise. Tagliò
il corpo di Osiride in 14 pezzi e lo
gettò nel Nilo. La sposa di Osiride, Iside, riuscì con la forza dell’amore a ritrovare il corpo del marito, lo resuscitò e ne ebbe un
figlio, Horus. Quest’ultimo combattè e sconfisse il perfido zio Seth
e così ereditò il diritto di governare l’Egitto.
Per questo, secondo gli Egizi:
Osiride rappresentava l’ordine, la continuità, la forza che faceva
crescere il grano, straripare il fiume e sorgere il sole ogni giorno;
Seth invece era il disordine, la carestia che poteva colpire il paese,
il deserto che poteva inghiottire i campi coltivati, il nemico dell’Egitto sempre in agguato;
Iside rappresentava l’amore e la maternità;
Horus si incarnava in ogni faraone.
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La morte e la vita ultraterrena
Gli Egizi credevano nella vita dopo la morte.
Secondo gli Egizi, i defunti erano giudicati dal dio Osiride, il giudice supremo. Chi in vita si era comportato bene, giungeva nel regno dell’aldilà e continuava a vivere una vita simile a quella reale.
Per questo tutti, ma in particolare i ricchi, cercavano di conservare
il loro corpo con la mummificazione.
Chi invece, era giudicato immeritevole dagli dei, era divorato da
un mostro dal muso di coccodrillo e dal corpo per metà di leone
e per metà di ippopotamo. Questa credenza è raccontata delle
immagini sulle pareti delle tombe egizie.
I corpi erano trasformati in mummie dagli imbalsamatori sulla riva occidentale del Nilo. Questo lato del fiume era associato
alla morte e all’oltretomba perché il sole tramontava (moriva)
ad occidente per poi risorgere (rinascere) ad oriente. Il lavoro era
sporco e perciò era compiuto in tende in cui circolava aria fresca
portando via i cattivi odori. Il processo di mummificazione durava
circa 70 giorni.
Il cervello, che non era considerato particolarmente importante,
veniva estratto di solito dal naso, quindi si apriva l’addome con un
taglio per asportare polmoni, fegato, intestino e stomaco. Tutti gli
organi venivano imbalsamati e conservati in alcuni vasi canopi. Il
cuore non era estratto dal corpo, poiché ritenuto sede dell’intelli40
genza, del pensiero e della memoria.
Essi credevano che il cuore del defunto fosse pesato su una bilancia che sull’altro piatto aveva la
piuma di Maat, la dea della verità. Il cuore doveva risultare più
leggero della piuma, solo così
il defunto entrava nei campi di
giunchi, il paradiso degli Egizi.
Nel caso fosse risultato più
pesante, a causa del comportamento non degno tenuto
in vita, il morto sarebbe stato
divorato da un mostro dalla
testa di coccodrillo, le zampe
anteriori di leone e le zampe posteriori di ippopotamo. Nel corso del tempo, i riti di sepoltura divennero sempre più elaborati;
offerte di cibo, vestiti e altri beni erano posti accanto al defunto
per favorire il viaggio nell’aldilà. Papiri magici, con formule e con
preghiere utili a neutralizzare i pericoli presenti nell’oltretomba,
meglio conosciuti come “Libri dei Morti”, erano talvolta collocati anche all’interno della fasciatura della mummia. Tutti i rituali
eseguiti durante le cerimonie funebri miravano ad assicurare allo
spirito del defunto la vita eterna dopo la morte fisica. Si riteneva
anzi che l’ombra e il nome stesso del defunto avessero esistenza
eterna.
Durante le operazioni di mummificazione il sommo sacerdote
indossava la maschera di Anubi, il dio con la testa di sciacallo
che aveva il potere di ridare la vita dopo la morte. Durante la cerimonia, un sacerdote sfiorava la bocca della mummia con uno
strumento speciale. Tale gesto doveva riportare la vita nel corpo,
in modo tale che il defunto potesse mangiare e parlare. Nel contempo, un secondo sacerdote, con indosso una pelle di leopardo
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era intento a spargere incenso. Un ruolo fondamentale, durante
il funerale, lo avevano delle donne che erano ingaggiate come
lamentatrici di professione, le quali urlando e agitando le braccia
esprimevano il dolore per la morte di qualcuno.
Nelle tombe dei faraoni, dei ricchi funzionari, sacerdoti o architetti, sono state ritrovate delle piccole statue chiamate ushabti che
avevano il compito di lavorare nell’aldilà al posto del potente o
ricco defunto.
La parola ushabti deriva da usheb, che
significa “rispondere” infatti secondo
gli Egizi gli ushabti rispondevano all’appello del dio a svolgere nell’altro
mondo i lavori necessari alla vita ultraterrena del defunto .
Spesso nella tomba venivano messe almeno 365 statuette in modo che ci fosse per ogni giorno dell’anno qualcuno
che lavorasse. Inoltre, proprio come
nella civiltà egizia, vi erano dei sorveglianti: per questo ogni 10 ushabti era
aggiunta una statuetta che rappresen42
tava un guardiano, addetto a controllare il lavoro.
Il museo egizio di Torino deve parte della sua fama al ricco e intatto corredo tombale dell’architetto Kha e di sua moglie Merit.
I coniugi vissero intorno al 1450 a.C.e la loro tomba fu ritrovata
intatta nel 1906 da Ernesto Schiapparelli nella necropoli di Den el
Medina a Tebe; qui vivevano gli operai che lavoravano nella valle
dei Re per preparare le tombe dei faraoni.
Possiamo osservare i sarcofagi con le mummie di Kha e di Merit,
gli oggetti della loro vita quotidiana e gli alimenti per la vita ultraterrena perfettamente conservati grazie all’ambiente asciutto
della tomba. Il reperto più importante è il libro dei morti di Kha
lungo ben 13.80 metri e diviso in 33 capitoli con preghiere e implorazioni funebri.
I faraoni erano considerati degli dei e, per lasciare un segno eterno della loro ricchezza e del loro potere anche dopo la morte, iniziarono a costruire tombe gigantesche che gradualmente assunsero forma piramidale. Molte di queste tombe si sono conservate
e sono tra i lasciti più sorprendenti della civiltà egizia.
Le tombe dei primi re egiziani erano dei tumuli modellati a forma
di panca e chiamati mastabe.
La mastaba era la tomba per i nobili e i dignitari, costruita a somiglianza della casa che il defunto aveva abitato quand’era in vita.
Intorno al 2780 a.C., l’architetto del Re Zoser, Imhotep, costruì la prima piramide collocando sei mastabe, una sopra l’altra, dalla più grande alla più piccola, creando una
sorta di catasta o “Piramide a Gradoni”.
A Giza furono costruite grandi piramidi
nell’arco di tre generazioni, da Cheope, da
suo figlio Chefren, e da Micerino. La piramide di Micerino è la più piccola delle tre
e le tre piccole piramidi che la fronteggia43
no furono costruite come tombe per le regine spose di Micerino.
La grande sfinge, statua di leone con testa umana, fa parte del
complesso di Chefren è alta quasi 20 m e lunga 73,2 m.
Le tre piramidi principali insieme alle altre vicine più piccole sembrano disegnare perfettamente la costellazione di Orione dove
gli Egizi pensavano vivesse Osiride, il signore del regno dei morti.
Per costruire la grande piramide di Cheope ci sono voluti oltre sei
milioni di tonnellate di blocchi di roccia. La base forma un quadrato quasi perfetto, ogni lato misura 230 metri, la piramide si eleva
verso il cielo per 146 metri e mezzo. Le “facce” sono rivolte ai punti
cardinali con incredibile precisione, raggiungibile solo attraverso
grandi conoscenze scientifiche.
Giza e il monumento di Cheope racchiudono tutti i misteri associati alla costruzione delle piramidi. Secondo le antiche fonti, le
piramidi erano state costruite per custodire e tramandare, tutto il
bagaglio di conoscenze astronomiche, matematiche e geografiche che erano in possesso dell’antico popolo egizio. Infatti secondo molti studiosi, i figli del Nilo conoscevano la sfericità della Ter44
ra ed erano giunti a calcolarne i gradi di latitudine e longitudine.
Altri studiosi collegarono il vero significato delle piramidi, a culti
stellari e religiosi.
La tomba del giovanissimo Tutankhamon che salì al trono all’età
di 9 anni e morì all’età di 18-20 anni fu scoperta nel 1922 dal-
l’archeologo Howard Carter nella Valle dei Re piena di “cose meravigliose” secondo le sue stesse parole. Oltre a sarcofagi d’oro
e alla mummia del re adolescente, c’erano divani dorati, scrigni,
vasi, parti di un carro e molti altri bellissimi oggetti. Il busto in oro
di Tutankhamon è sul coperchio di uno dei sarcofagi che racchiudevano il corpo del faraone. Sulla parte frontale del copricapo
si notano le immagini simboliche della dea avvoltoio (Nekhbet)
dell’Alto Egitto e della dea cobra (Uto) del Basso Egitto. Altri simboli di regalità sono la falsa barba intrecciata, il pastorale come
simbolo di potere e il flagello che veniva associato agli dei Osiri45
de e Min e in origine forse era uno scacciamosche o un battitore per il grano. Sul retro di un trono d’oro è incisa l’immagine di
Tutankhamon e della sua regina che unge il marito con balsamo
profumato.
L’arte
Quando si fa riferimento all’arte egizia, bisogna pensare a:
I GIOIELLI
Fin da tempi antichissimi, la gioielleria egizia ricorreva ad oro, lapislazzuli, turchese e ametista.
Gli artigiani usavano arnesi chiamati trapani ad arco per perforare
perline e altri gioielli, e inserivano i gioielli nella pasta di legno,
metallo e vetro. Anche i più poveri portavano semplici gioielli.
LE SCULTURE
Quelle più antiche in pietra, poi in bronzo o rame.
L’ORO
Molte erano le miniere d’oro tra il Nilo e il Mar Rosso, e gli Egizi
amavano il prezioso metallo. L’oro era battuto oppure fuso e gettato in stampi.
Le sottili lamine d’oro erano facilmente lavorabili ed erano usate
per rivestire statue di legno e altri oggetti. L’oro era considerato
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un metallo divino e associato agli dei, soprattutto a Ra, il dio solare.
Pitture e colori
Molti dipinti, sia nelle tombe sia altrove, erano eseguiti su superfici intonacate. Per prima cosa la superficie era divisa in una griglia
composta di quadrati, all’interno dei quali i disegnatori abbozzavano il disegno. I pittori poi lo coloravano, prima che i disegnatori riprendessero i contorni, in genere usando il marrone scuro
o il nero. I colori giallo, rosso e marrone provenivano dal minerale chiamato ocra. Il bianco proveniva dal calcare e veniva anche
mischiato ad altri colori per renderli più vividi. Il blu si otteneva
riducendo in polvere una sostanza in rame, e il pigmento nero
si ricavava in genere dalla fuliggine. Per gli Egizi la pittura, che
noi possiamo ammirare nei moltissimi dipinti trovati nelle tombe,
doveva essere prima di tutto chiara. Siccome i visi si vedevano
meglio di profilo, i pittori egizi li disegnavano di lato, così come il
corpo, le gambe e le braccia. L’occhio e la spalla invece si vedono
meglio frontalmente: per questo erano disegnati non di profilo,
ma per intero. Più era importante il personaggio ritratto, più spazio gli si riservava nel dipinto, in più se si trattava di una donna,
questa era dipinta di giallo chiaro, al contrario della pelle dell’uomo che era fatta di color mattone.
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