Aquiloni Storie di famiglia Una pura formalità La

ASS. CULTURALE LA PIRANDELLIANA
in coproduzione con DIANA OR.I.S.
PRODUZIONI TEATRALI PAOLO POLI ASSOCIAZIONE CULTURALE
Uomo e Galantuomo Aquiloni
di Eduardo De Filippo
con Gianfelice Imparato, Valerio Santoro,
Giovanni Esposito, Antonia Truppo
e con Alessandra Borgia, Lia Zinno,
Gennaro Di Biase, Roberta Misticone,
Giancarlo Cosentino, Fabrizio La Marca
scene Aldo Buti
costumi Valentina Fucci
luci Adriano Pisi
musiche Riccardo Eberspacher
regia Alessandro D’Alatri
Uomo e galantuomo è una commedia di
altissimo livello, forse la più divertente,
ma che sicuramente segnò per Eduardo
il passaggio dalla farsa al teatro di prosa.
E guarda caso al centro della commedia
c’è proprio il teatro: una scalcagnata compagnia, nominatasi “L’eclettica” (proprio
perché non pone limiti alle proprie attitudini artistiche), porta in scena in una località turistica balneare Malanova di Libero
Bovio. Attraverso il classico meccanismo
della commedia degli equivoci, si scatena
così il teatro nel teatro, la follia tra farsa
e dramma evocando sapori pirandelliani.
Ma si respirano anche profumi di Goldoni,
di Skakespeare, e forse anche un po’ di
quel teatro dell’assurdo che va da Osborne
a Beckett a Jonesco. L’assenza di talento
e l’improvvisazione della compagnia fanno
infatti da contrappasso ai drammi borghesi
interpretati invece con talento e una vena
di follia.
due tempi di Paolo Poli,
liberamente tratti da Giovanni Pascoli
con Paolo Poli
e con Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti,
Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco
scene Emanuele Luzzati
costumi Santuzza Calì
musiche Jaqueline Perrotin
coreografie Claudia Lawrence
regia Paolo Poli
Aquiloni: allegoria del comporre poetico,
giocattolo antico preindustriale che affettuosamente ci ricorda Giovanni Pascoli.
Fino alla metà del Novecento la scuola
italiana si nutrì della sua produzione. La
critica letteraria a cominciare da Croce
privilegiò le rime giovanili, fino a Contini
che ne elogiò il plurilinguismo, a Pasolini
che rilevò la dicotomia psicologica, per
arrivare a Baldacci che ne curò la ricca
antologia. Da Myricae e dai Poemetti lo
spettacolo intende evocare la magia memoriale e la saldezza linguistica nelle figure
contadine di un’Italia ancora gergale.
I floreali motivi della Bella Epoque accompagneranno gli ascoltatori nel ricordo del
volgere del secolo.
TEATRO STABILE DELLA SARDEGNA
COMPAGNIA MAURI /STURNO
TONES ON THE STONES
Storie di famiglia
Una pura formalità
La Carne del Marmo La torre d’avorio
di Jean-Claude Grumberg
con Cesare Saliu, Isella Orchis, Marco Spiga,
Lia Careddu, Maria Grazia Bodio,
Alessandro Meringolo, Jacopo Zerbo
regia Jean Claude Penchenat
disegno luci Loïc Hamelin
versione teatrale e regia di Glauco Mauri
dal film di Giuseppe Tornatore
con Glauco Mauri e Roberto Sturno
e con Giuseppe Nitti, Amedeo D’Amico,
Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore
scene Giuliano Spinelli
costumi Irene Monti
musiche Germano Mazzocchetti
L’autore tragico più divertente
della sua generazione
Claude Roy
È sempre una grande responsabilità mettere in scena un autore vivente. La responsabilità è ancora più grande quando ci si
trova di fronte alla necessità di restituire
tutta l’ampiezza e l’universalità della sua
opera, in una lingua che non è l’originale.
Grumberg non è conosciuto sulle scene
italiane. Ho dunque scelto di accompagnare il pubblico in una passeggiata attraverso la sua opera, che è anche una passeggiata attraverso il tempo (si addice,
questa flanerie a un autore come Grumberg). Si parte da Michu, scritto nel 1966,
si arriva a Sua madre, appena terminato
(2012) e non ancora rappresentato in
Francia, passando per Come va? e La
mamma torna presto, povero orfanello.
Ho deciso, d’accordo con l’autore, di intitolare questa passeggiata Storie di famiglia, e ho scelto di raccontarla in una forma
che gli è straordinariamente peculiare:
quella del testo breve, del flash folgorante.
Quando Una pura formalità di Giuseppe
Tornatore uscì nel 1994 fu accolto, per la
sua inquietante novità, con una certa difficoltà da parte della critica. Oggi è considerato uno dei suoi film più belli in assoluto
(lo stesso autore ne è convinto), un
“piccolo capolavoro” (interpreti: Gérard
Depardieu, Roman Polansky e un giovanissimo Sergio Rubini). L’intensità del
racconto, il suo ritmo, illuminato da emozionanti colpi di scena, una razionale e al
tempo stesso commossa visione della
vita, mi hanno spinto, in pieno accordo
con Tornatore, ad una libera versione teatrale. Ho cercato di far rivivere tutta la
forza drammatica della sceneggiatura
modificandone quelle parti che si presentavano con dei connotati troppo cinematografici, preservandone al tempo stesso
quell’intensità che dall’inizio ci avvolge
nel suo misterioso intreccio...
Un delitto è stato commesso e ne viene
accusato un celebre scrittore, Onoff. Ma,
pur con la tipica atmosfera di un thriller,
Una pura formalità è un viaggio alla scoperta di se stessi, di quella che è stata la
propria vita.
Incontro con Michelangelo Buonarroti
raccordi drammaturgici e monologo
di chiusura di Gian Maria Cervo
con Alessio Boni e i danzatori
della Compagnia Imperfect Dancers
Musiche di Dario Arcidiacono
proiezioni video a cura di Giacomo Verde
coreografia Walter Matteini
regia Alessio Pizzech
“Non ha l’ottimo artista alcun concetto
Ch’un marmo solo in sé non circoscriva
Col suo superchio, e solo a quello arriva
La man che ubbidisce all’intelletto”
La Carne del Marmo esplora il mondo e
l’immaginario di Michelangelo Buonarroti
ed il suo rapporto intimo con la materia da
cui scaturisce l’opera d’arte. Nel dar voce
all’artista e all’uomo, costruendo un percorso
drammaturgico tra i sonetti di Michelangelo,
lo spettacolo permette di visitare i luoghi
più segreti dell’anima di questo genio
dell’arte, del suo rapporto con la carne, con
la bellezza, con il passare del tempo ed il
rapporto con l’amore trasgressivo; aspetto
quest’ultimo assolutamente nevralgico. La
propria condizione di omosessuale (aspetto
sottolineato dalla critica più recente) pone
Michelangelo in una posizione di isolamento
di cui egli si fa portatore con le sue stesse
parole; questo artista così novecentesco si
scontra con il sistema valoriale del mondo
che gli sta attorno ed il suo fermento creativo
lo racconta totalmente.
ZOCOTOCO
di Ronald Harwood
traduzione Masolino d’Amico
con Luca Zingaretti e Massimo De Francovich
e con Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci,
Francesca Ciocchetti, Caterina Gramaglia
scene Andrè Benaim
costumi Chiara Ferrantini
luci Pasquale Mari
regia Luca Zingaretti
Berlino 1946. È il momento di regolare i
conti, e la cosiddetta denazificazione – la
caccia ai sostenitori del caduto regime –
è in pieno svolgimento. Gli alleati hanno
bisogno di prede illustri, di casi esemplari
che diano risonanza all’iniziativa. Viene
così convocato, nel quadro di una indagine
sulla sua presunta collaborazione con la
dittatura, il più illustre esponente dell’alta
cultura tedesca, vale a dire il direttore
d’orchestra Wilhelm Furtwängler, universalmente acclamato accanto a Toscanini
come il maggiore della prima metà del
secolo. Furtwängler non era stato nazista,
e anzi non aveva nascosto di detestare le
politiche del Terzo Reich; era anche riuscito
a non prendere mai la tessera del partito.
Ma nel buio periodo dell’esodo di molti
illustri intellettuali, che avevano preferito
trasferirsi all’estero piuttosto che continuare a lavorare in condizioni opprimenti,
era rimasto in patria, e aveva svolto la sua
attività in condizioni privilegiate. Aveva
scelto, in tempi durissimi, di tenere accesa
la fiaccola dell’arte e della cultura...
TEATRO STABILE DI BOLZANO
COMPAGNIA MOLIÈRE / REGIONE VENETO
Il malato
immaginario
Elephant Man
di Molière, traduzione Angelo Dallagiacoma
con Paolo Bonacelli, Patrizia Milani,
Carlo Simoni
scene Gisbert Jaekel
costumi Roberto Banci
luci Giovancosimo De Vittorio
regia Marco Bernardi
La storia di Argante, malato immaginario
del titolo, padre di una bella figlia, marito
di una donna avida e fedifraga e vittima
di uno sciame di dottori avvoltoi, salassatori e ciarlatani, fu rappresentata la prima
volta il 10 febbraio 1673: una settimana
prima della morte di Molière che si spense
subito dopo la quarta recita. È ritenuto
uno dei capolavori assoluti del grande
commediografo francese accanto al Tartufo ed al Misantropo. Un testo e un personaggio, quello di Argante, con il quale
si sono misurati registi ed attori importanti.
Ora a rileggere questa farsa in tre atti nei
nostri tempi calamitosi ci pensa lo Stabile
di Bolzano per l’interpretazione di Paolo
Bonacelli nel ruolo dell’ipocondriaco mattatore che rasenta la follia, sospeso tra
letto e bagno nella sua ovattata dimora
trasformata in una sorta di ospedale. Al
suo fianco come sempre i bravi Patrizia
Milani e Carlo Simoni.
di Giancarlo Marinelli, tratto dall’omonimo
racconto di Frederick Treves
con Ivana Monti, Daniele Liotti
e Rosario Coppolino
e con la partecipazione di Debora Caprioglio
scene Andrea Bianchi/Forlani
costumi Marta Crisolini Malatesta
light designer Daniele Davino
musiche Angelo Valori
regia Giancarlo Marinelli
maschera dell’uomo elefante Sergio Stivaletti
The Elephant Man non è soltanto un capolavoro della cinematografia firmato da
David Lynch. È soprattutto un racconto
perfetto, quasi in presa diretta, di un giovane chirurgo, Frederick Treves, che salvò
l’Uomo Elefante, al secolo Joseph Merrick,
dalle torture dei freak show della Londra
di fine Ottocento. Perché portare in teatro
la vera storia di Joseph Merrick, mettendola in scena, per la prima volta, in un
vero spettacolo di prosa? È presto detto:
in un momento storico come quello attuale
in cui l’estetica del corpo, della “bellezza
a tutti i costi”, sono divenuti un motivo
perpetuo ed ossessivo, non senza conseguenze finanche drammatiche, portare
sulla scena una storia d’amicizia tra un
brillante ed ambizioso chirurgo e “un mostro apparente”, capace però di regalare
agli altri un universo di poesia e di bellezza,
significa sovvertire il putrido sistema di
vuote apparenze, di fasulle perfezioni, di
oscene ostentazioni artificiali a cui siamo
ormai assuefatti.
ASSOCIAZIONE TEATRALE PISTOIESE /
VALZER SRL
TEATRO DI DIONISO
col sostegno del SISTEMA TEATRO TORINO
L’Impresario
delle Smirne
Lo stupro di Lucrezia
di Carlo Goldoni
con Valentina Sperlì, Roberto Valerio,
Antonino Iuorio, Nicola Rignanese
e con Massimo Grigò e Federica Bern,
Pierluigi Cicchetti, Chiara Degani, Peter Weyel
scene Giorgio Gori
costumi Lucia Mariani
luci Emiliano Pona
adattamento e regia Roberto Valerio
Composta nel 1759 l’opera è una splendida
e divertente commedia che presenta un
impietoso ritratto dell’ambiente degli artisti
di teatro.
La vicenda ruota attorno ad un gruppo di
attori, pettegoli, invadenti, boriosi e intriganti che, disperati e affamati, vivono per
un breve attimo l’illusione della ricchezza
nella speranza di riuscire a partire per una
favolosa tournée in Oriente con Alì, ricco
mercante delle Smirne intenzionato a formare una compagnia d’Opera, e tornare
così carichi d’oro e di celebrità.
L’impresario delle Smirne è un grande
affresco, una cantata corale affidata
all’insieme della compagnia che lo rappresenta: ogni personaggio, dal Turco al servitore, si rivela incisivo, necessario in un
“divertissement d’ensemble” che restituisce il clima lezioso e libertino dell’epoca;
ma che allo stesso tempo offre l’occasione
per porsi alcune domande di sconcertante
attualità.
di William Shakespeare
versione italiana e adattamento teatrale
di Valter Malosti,
dalla traduzione di Gilberto Sacerdoti
con Valter Malosti, Alice Spisa,
Jacopo Squizzato
suono G.u.p. Alcaro
costumi Federica Genovesi
cura del movimento Alessio Maria Romano
assistente alla regia Elena Serra
regia Valter Malosti
Si ringrazia il Teatro Stabile di Torino
La storia di come Tarquinio stupri Lucrezia,
invasato di lei dopo le lodi del marito
Collatino all’interno di una bizzarra gara
tra generali, e di come il suicidio della
vittima spinga il popolo romano a ribellarsi
e a liberarsi dal giogo della tirannia monarchica, era stata succintamente narrata
da Tito Livio e Ovidio e poi da Chaucer. In
Shakespeare la voce della donna si dilata
e diviene uno dei più alti esempi di meditazione sulle conseguenze dello stupro
visto dalla parte di una donna, attraverso
un’ingegnosa serie di lamentazioni, introspezioni, allegorie, invettive contro il Tempo, la Notte, l’Occasione... Shakespeare
qui dispiega la sua potentissima lingua e
la capacità geniale di mescolare l’orrore
all’anti-tragica parodia, con una specie di
equilibrio incantatore che ci inghiotte nella
musica delle parole senza concederci una
qualche sospensione liberatoria.