la disciplina del diritto d`opzione alla luce del d.lgs. n.

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LA DISCIPLINA DEL DIRITTO D’OPZIONE ALLA LUCE DEL D.LGS. N.
6/2003
Sommario: 1. Introduzione – 2. La titolarità del diritto d’opzione – 3. Le modalità di offerta in opzione
– 4. L’esclusione o la limitazione del diritto di opzione – 5. La possibilità di delega all’organo
amministrativo.
1. INTRODUZIONE
Il diritto di opzione è il diritto degli attuali soci ad essere preferiti ai terzi in sede di
sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale a pagamento. Tale prerogativa dei vecchi soci risponde
ad una serie di finalità1:
in primis, ha lo scopo di mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio partecipa alla
volontà sociale (cosiddetta “funzione amministrativa”);
in secondo luogo, esso serve a mantenere inalterato il valore reale della partecipazione azionaria
in presenza di riserve accumulate (cosiddetta “funzione patrimoniale”). Invero, tale valore si ridurrebbe
se le azioni fossero sottoscritte da terzi ad u prezzo inferiore al valore effettivo delle azioni già in
circolazione.
Per tutti i suddetti motivi, ci si rende conto che il diritto di opzione ha un proprio valore
economico, spesso anche non indifferente, che l’azionista può facilmente monetizzare, cedendolo a
terzi, qualora decida di non sottoscrivere le nuove azioni a pagamento. In ogni caso, esso rappresenta
un diritto del socio, il quale, però, non è del tutto intangibile: invero, la società che ha deliberato
l’aumento a pagamento del capitale deve preliminarmente offrire in sottoscrizione le azioni di nuova
emissione ai titolari del diritto di opzione2, a meno che decida di limitarlo o di escluderlo nelle ipotesi e
Così G. F. Campobasso, Diritto commerciale, II, UTET, Torino, 1999, pp. 440 ss.
Art. 2441 c. c. : “Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai
soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai
possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.
L’offerta di opzione deve essere depositata presso l’ufficio del registro delle imprese. Salvo quanto previsto dalle leggi
speciali per le società quotate sui mercati regolamentati, per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine
non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione dell’offerta.
Colo che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto
delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che siano rimaste non optate. Se le azioni sono quotate sui mercati
regolamentati, i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti in borsa dagli amministratori, per conto della società,
per almeno cinque riunioni entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma.
Il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di aumento del capitale,
devono essere liberate mediante conferimenti in natura. Nelle società con azioni quotate sui mercati regolamentati lo statuto
può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il
prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposta relazione dalla società
incaricata della revisione contabile.
Quando l’interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di
capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in
assemblea di convocazione successiva alla prima.
Le proposte di aumento di capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione ai sensi del primo periodo del
quarto comma o del quinto comma del presente articolo, devono essere illustrate dagli amministratori con apposita
relazione, dalla quale devono risultare le ragioni dell’esclusione o della limitazione, ovvero, qualora l’esclusione derivi da un
conferimento in natura, le ragioni di questo e in ogni caso i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione. La
relazione deve essere comunicata dagli amministratori al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al soggetto
incaricato del controllo contabile almeno trenta giorni prima di quello fissato per l’assemblea. Entro quindici giorni il
collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni. Il parere del collegio
sindacale e la relazione giurata dell’esperto designato dal tribunale dell’ipotesi prevista dal quarto comma devono restare
depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l’assemblea e finché questa non abbia deliberato; i
soci possono prendere visione. La deliberazione determina il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del
patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in borsa, anche dell’andamento delle quotazioni nell’ultimo semestre.
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secondo le modalità previste dalla legge. La suddetta disciplina, peraltro già prevista dal codice civile del
1942, è stata recentemente riformata dalla riforma del nostro Diritto Societario, così come introdotto
dal D.lgs. n. 6 del 2003, senza però stravolgere l’originale impianto. La ratio della disciplina è, infatti,
rimasta inalterata e consiste nel mantenere inalterata la percentuale di azioni e di voti con cui il socio
partecipa alla società, in modo tale da non modificare la struttura della compagine sociale e di
mantenere invariato il valore reale della partecipazione in presenza di riserve accumulate o createsi nel
corso della gestione.
2. LA TITOLARITÀ DEL DIRITTO D ’OPZIONE
Hanno il diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione:
i titolari di qualsiasi categoria di azioni che risultino essere tali al momento dell’adozione della
delibera, in proporzione al numero delle azioni possedute3. Si ritiene che il diritto di opzione spetti
comunque all’azionista anche in caso di pegno o usufrutto di azioni, per cui la disciplina è la medesima
o in caso di sequestro giudiziario4, o di sequestro conservativo5, come anche nel caso di pignoramento
di azioni;
i possessori di obbligazioni convertibili in azioni della società che ha deliberato l’aumento, sulla
base del rapporto di cambio. Gli obbligazionisti sono invece esclusi dal diritto di opzione se la società
emittente le obbligazioni è diversa dalla società le cui azioni sono offerte in conversione: è questo il caso
della cosiddetta “conversione indiretta”.
Se le nuove azioni offerte in opzione appartengono ad una categoria già esistente, esse devono
essere offerte in primo luogo agli azionisti della medesima categoria6. Se residuano azioni ordinarie
dopo l’offerta in opzione agli azionisti ordinari, esse sono offerte agli azionisti privilegiati, e viceversa.
Se, invece, le nuove azioni offerte in opzione appartengono a categorie di azioni non ancora
esistenti o, pur appartenendo a diverse categorie, non rispettano la proporzione con quelle già emesse,
ciascun azionista esercita il suo diritto d’opzione sulle nuove azioni appartenenti ad un’altra categoria7.
Non si considera escluso né limitato il diritto di opzione qualora la deliberazione di aumento del capitale preveda che le
azioni di nuova emissione siano sottoscritte da banche, da enti o società finanziarie soggetti al controllo della Commissione
nazionale per le società e la borsa ovvero da altri soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di collocamento di strumenti
finanziari, con obbligo di offrirle agli azionisti della società, con operazioni di qualsiasi tipo, in conformità con i primi tre
commi del presente articolo. Nel periodo di detenzione delle azioni offerte agli azionisti e comunque fino a quando non sia
stato esercitato il diritto di opzione, i medesimi soggetti non possono esercitare il diritto di voto. Le spese dell’operazione
sono a carico della società e la deliberazione di aumento del capitale deve indicarne l’ammontare.
Con deliberazione dell’assemblea presa con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie può essere escluso il
diritto di opzione limitatamente a un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai
dipendenti della società o di società che la controllano o da cui è controllata. L’esclusione dell’opzione in misura superiore al
quarto deve essere approvata con la maggioranza prescritta nel quinto comma”.
3 Secondo Campobasso, ciascun azionista può chiedere che gli vengano assegnate anche tutte le azioni rimaste inoptate; solo
se le richieste superano il numero delle azioni disponibili si dovrà procedere a riparto, in proporzione della partecipazione
sociale del richiedente: cfr. G. F. Campobasso, Diritto commerciale, II, op. cit. , p.. 442. Sul punto, però, non vi è unitarietà di
vedute in dottrina: per una panoramica della situazione si rimanda, tra gli altri, a: Portale, in Giur. Comm., 1975, I, pp. 213 ss. ;
Rivolta, in Riv. Dir. Civ., 1975, I, pp. 521 ss. ; Sordelli, in Giur. Comm., 1977, I, pp. 398 ss. ; Weigmann, in Giur. Comm., 1982,
I, pp. 608 ss. ; Mucciarelli, in Riv. Soc., 1992, pp. 17 ss..
4 Il sequestro giudiziario ha la funzione di custodia del bene, delle azioni nel nostro caso, in relazione ad una controversia
sulla proprietà o sul possesso delle stesse, ed è predisposto a favore dell’avente diritto che potrà quindi disporre delle azioni
una volta che si sia risolta la controversia”: così F. Lefebvre , Memento pratico Ipsoa – Società commerciali, Milano, Ipsoa Editore,
2004, p. 836.
5 “Il sequestro conservativo ha la funzione di conservare intatta la garanzia patrimoniale costituita dalle azioni, a favore del
creditore dell’azionista che ha fondato timore che il debitore, nelle more dell’accertamento del credito, si spogli del proprio
patrimonio diminuendo la garanzia patrimoniale al fine di rendere più onerosa o praticamente inefficace la successiva
esecuzione forzata” così F. Lefebvre , Memento pratico Iposa – Società commerciali, op. cit. , p. 837.
6 Così, ad esempio, l’opzione spetta ai possessori di azioni ordinarie sulle azioni ordinarie di nuova emissione ed ai
possessori di azioni privilegiate sulle azioni privilegiate di nuova emissione.
7 Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, se esistono diverse categorie di azioni e la società delibera di articolare
l’aumento di capitale in più categorie, ciascuna categoria di azionisti ha diritto a ricevere prioritariamente in opzione azioni
della stessa categoria e, solo se non vengono rispettate le proporzioni fra le categorie, avrà diritto di ricevere azioni di altra
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3. LE MODALITÀ DI OFFERTA IN OPZIONE
Vi sono due modalità di offerta in opzione:
offerta diretta in opzione: in questo caso la società offre le azioni direttamente ai titolari del
diritto d’opzione. Quando la società decide di offrire direttamente ai propri soci le azioni in opzione, gli
amministratori devono pubblicare l’offerta di opzione nel Registro delle imprese8: la pubblicazione
dell’offerta è obbligatoria e non è possibile sostituirla con la conoscenza di fatto che il socio ha potuto
avere della delibera di aumento9. Il termine indicato nell’offerta per l’esercizio del diritto non può essere
inferiore a 30 giorni, decorrenti dalla data della pubblicazione dell’offerta stessa. In mancanza
dell’espressa pattuizione del termine, parte della giurisprudenza ritiene che esso vada implicitamente
inteso nel senso di trenta giorni10, mentre altra parte ritiene illegittima la delibera di aumento del
capitale11;
offerta indiretta in opzione12: in quest’altro caso, invece, l’offerta delle azioni è fatta non dalla
società, ma da una banca o da altro ente finanziario che ha preventivamente sottoscritto le azioni. Le
azioni di nuova emissione vengono immediatamente sottoscritte da banche o da altri enti e società
finanziarie soggetti al controllo della Consob, ovvero da altri soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività
di collocamento di strumenti finanziari. La società si assicura in tal modo che l’aumento di capitale sia
integralmente sottoscritto. L’intermediario qualificato si assume, però, l’obbligo di offrire in opzione le
azioni sottoscritte ai titolari del relativo diritto, secondo la disciplina generale. Non ricorre in tal caso
un’ipotesi di esclusione o di limitazione del diritto di opzione: il suo esercizio viene solamente rinviato
al momento in cui le nuove azioni sottoscritte saranno messe in circolazione da parte dell’intermediario
al quale è affidata la gestione della fase esecutiva dell’aumento. Normalmente la delibera di aumento
prevede anche l’obbligo dell’intermediario qualificato di versare immediatamente la somma
corrispondente all’aumento di capitale sottoscritto. Mancando tale previsione, esso è tenuto a versare
solo il 25 % dell’importo stesso. Le spese dell’operazione sono a carico della società e la deliberazione
di aumento del capitale deve indicarne l’importo. I soggetti che abbiano sottoscritto le azioni per offrirle
in opzione non possono esercitare il diritto di voto inerente alle azioni sottoscritte per il periodo in cui
le possiedono e fino a che non sia stato esercitato il diritto di opzione.
4. L’ESCLUSIONE O LA LIMITAZIONE DEL DIRITTO DI OPZIONE
L’assemblea straordinaria può deliberare un aumento di capitale con l’esclusione o la limitazione
del diritto di opzione se ricorre una delle cinque ipotesi seguenti:
interesse societario: si può escludere o limitare il diritto di opzione quando l’interesse della
società lo esige (ad esempio, si vuole fare entrare in società un soggetto determinato, oppure quando si
intende stipulare un’alleanza con un’altra società, alla quale vengono offerte le nuove azioni). L’interesse
sociale può sussistere anche quando l’esclusione o la limitazione appare la soluzione preferibile e
ragionevolmente più conveniente tra quelle adottabili dalla società13. L’interesse sociale deve esistere e
deve essere evidenziato sia nella relazione dell’organo amministrativo che nella delibera assembleare.
Non è sufficiente che l’assemblea invochi genericamente l’interesse sociale: incombe infatti sulla stessa
categoria: al riguardo si veda Trib. Milano 26.09.1991, in Giur. Comm., 1992, p. 492. Di tale opinione è anche Rivolta, in Riv.
Dir. Civ., 1975, I, pp. 545 ss., secondo cui la regola, espressamente enunciata per le azioni di risparmio, è di generale
applicazione: sposa tale impostazione anche Portale, in Giur. Comm., 1975, I, pp. 215 ss.. Per una più dettagliata panoramica
sull’argomento si rimanda a: U. Belviso, Le modificazioni dell’atto costitutivo nella società per azioni, in Trattato di diritto privato,
(diretto da Rescigno P.), Utet, Torino, volume 17°, 1985, p. 100.
8 A tal scopo si dovrà compilare il prospetto indicato dal Regolamento Camerale come “Modello S 2”.
9 Così App. Napoli, 8 luglio 1982; Pret. Verona, 7 febbraio 1991. In alcune decisioni, tuttavia, si è ritenuto che l’assemblea
totalitaria, con voto unanime, possa dispensare l’amministratore dalla pubblicazione, disponendo un termine per l’esercizio
dell’opzione: così Trib. Milano 19 giugno 1993; Trib. Milano 22 febbraio 1993.
10 Così, ad esempio, Trib. Napoli 12 gennaio 1989.
11 App. Bologna 18 luglio 1989.
12 Per ulteriori dettagli su questo tipo di offerta si rimanda, tra gli altri, a: Giannelli G. , L’offerta indiretta, Cacucci, Bari, 1993.
13 In tal senso si esprime la giurisprudenza prevalente. In particolare, si veda: Cass. 13 gennaio 1987, n. 133; Cass. 28 giugno
1980, n. 4089; Trib. Lecce 18 ottobre 1986; Trib. Genova 27 febbraio 1984.
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l’onere di dimostrare adeguatamente che nel caso concreto ricorre uno specifico interesse societario,
che renda “assolutamente necessaria” o quanto meno “ragionevolmente più conveniente la
soppressione del diritto di opzione14. Se l’interesse sociale manca o non è provato specificamente,
secondo parte della giurisprudenza la delibera di aumento è da considerare annullabile15, mentre,
secondo altra fazione, essa è nulla16.
L’accertamento circa la sussistenza dell’interesse sociale e l’opportunità della soluzione adottata
è rimesso al giudice di merito17.
Gli amministratori devono eseguire, in successione temporale, i seguenti adempimenti:
predispongono una relazione che illustri la proposta di aumento del capitale, i motivi
dell’esclusione o della limitazione dell’opzione ed i criteri adottati per la determinazione del prezzo di
emissione;
convocano l’assemblea straordinaria per la deliberazione dell’aumento;
comunicano la relazione, almeno trenta giorni prima della data dell’assemblea, al collegio
sindacale o al consiglio di sorveglianza (se viene adottato il sistema dualistico). La comunicazione deve
essere eseguita anche al soggetto incaricato del controllo contabile. Tali organi di controllo formulano
un parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni entro 15 giorni dal ricevimento della
proposta.
I soci possono prendere visione, nei quindici giorni precedenti la data dell’assemblea, del parere
e della relazione che a tal fine devono rimanere depositati presso la sede sociale. Ad essi sono allegati gli
altri documenti richiesti per l’iscrizione della delibera nel Registro delle imprese.
L’assemblea straordinaria delibera, con un quorum di più della metà del capitale sociale, anche
in seconda convocazione, l’aumento con l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione,
determinando anche il prezzo di emissione delle azioni, che deve essere comprensivo di un
sovrapprezzo18. In via eccezionale, l’assemblea deve motivare la propria delibera di esclusione del diritto
di opzione: normalmente fa proprie per rinvio le motivazioni contenute nella relazione, senza necessità
di ribadirle.
Necessità che l’aumento sia coperto mediante conferimenti in natura: se l’assemblea decide che
le azioni di nuova emissione devono essere liberate mediante conferimenti in natura, è possibile
escludere o limitare il diritto di opzione19. L’aumento è, infatti, riservato a chi possiede tali beni ed è
disposto a conferirli in società, a fronte dell’acquisto di una partecipazione azionaria. Gli amministratori,
in tal caso:
predispongono una relazione che illustri la proposta di aumento del capitale sociale e motivi la
necessità del conferimento in natura, indicando i criteri per la determinazione del prezzo di emissione;
convocano l’assemblea straordinaria e procedono alle comunicazioni ed ai depositi necessari.
L’assemblea, da parte sua, adotta una delibera motivata con la maggioranza di più della metà del capitale
sociale, anche in seconda convocazione, imponendo il il sovrapprezzo sulle azioni di nuova emissione;
offerta in sottoscrizione delle azioni di nuova emissione ai dipendenti della società emittente o
anche ai dipendenti di società che la controllano o da cui è controllata: si può escludere il diritto di
opzione degli azionisti ordinari quando le nuova azioni siano offerte in sottoscrizione ai dipendenti
La presenza di uno “stato di necessità” è stata ritenuta necessaria da Trib. Roma 23.03.1962, in Giur. It., 1962, I, 2, p. 438,
che ha valutato non corrispondente all’interesse sociale l’esclusione deliberata per consentire la partecipazione alla società
degli utenti dell’impresa. In dottrina, per un approfondimento sul tema si rimanda a: R. Rosapepe , L’esclusione del diritto di
opzione degli azionisti, Giuffré, Milano, 1988, pp. 54 ss. ; Giannelli, in Riv. Soc., 1988, pp. 757 ss.; Robiglio, in Riv. Soc., 1991, pp.
686 ss..
15 Così Cass. 23 marzo 1993, n. 3458; Trib. Ancona 18 gennaio 2002.
16 Cass. 13 gennaio 1987, n. 133; Trib. Milano 18 aprile 1991; Trib. Milano 29 settembre 1988.
17 Esso è incensurabile dalla Cassazione se è sorretto da motivazione adeguata ed è immune da vizi logici ed errori giuridici:
Cass. 28 giugno 1980, n. 4089.
18 Sui problemi per la determinazione del prezzo v., in particolare,: Mucciarelli – Spolidoro, in Riv. Soc., 1986, pp. 31 ss. ;
Preite, in Giur. Comm., 1987, I, pp. 882 ss. ; Farina, in Dir. Fall., 1991, I, pp. 247 ss..
19 Il dettame normativo non fa riferimento al conferimento di crediti, per la qual cosa la dottrina prevalente sembra orientata
nell’affermare che in tal caso non vale la disposizione su richiamata. Al riguardo v.: R. Nobili, Contributo allo studio del diritto di
opzione nelle società per azioni, Giuffré, Milano, 1958, pp. 164 ss. ; R. Rosapepe, L’esclusione del diritto di opzione degli azionisti, op.
cit. , pp. 92 ss..
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della società emittente ed anche ai dipendenti di società che la controllano o da cui è controllata. Se la
delibera di esclusione riguarda:
fino ad un quarto delle azioni di nuova emissione, l’assemblea straordinaria delibera con le
maggioranze per essa normalmente previste;
più di un quarto delle azioni di nuova emissione: la delibera deve essere approvata da più della
metà del capitale sociale, anche in assemblea di seconda convocazione.
Per questa ipotesi non è imposto un particolare procedimento, non è necessario che la delibera
illustri le ragioni dell’esclusione del diritto di opzione né, infine, sussiste l’obbligo di stabilire un
sovrapprezzo. Per le società quotate in Borsa sono poi dettate delle regole particolari.
aumento di capitale al servizio di un’emissione di obbligazioni convertibili in azioni;
aumento di capitale deliberato in occasione di un’operazione di fusione.
La limitazione o esclusione non può essere stabilita nell’atto costitutivo né può essere decisa in
generale per tutti i futuri casi di aumento di capitale20.
La Delibera che esclude o limita il diritto di opzione al di fuori delle ipotesi espressamente
contemplate dalla legge è ritenuta in giurisprudenza a volte annullabile21 a volte nulla22.
5. LA POSSIBILITÀ DI DELEGA ALL ’ORGANO AMMINISTRATIVO
L’art. 2443 c.c.23, così come ridisegnato dal D.lgs. n. 6 del 2003, prevede che la fa coltà di delega
all’aumento di capitale, qualora contenga la possibilità di escludere il diritto di opzione, può essere
attribuita anche mediante modificazione dello statuto, approvata con la maggioranza prevista dal
comma 5 dell’art. 2442 c.c. Anteriormente alla riforma, la facoltà degli amministratori di aumentare il
capitale sociale poteva essere attribuita anche mediante modificazione dell’atto costitutivo e non, come
recita il testo post riforma in riferimento all’aumento con esclusione del diritto d’opzione, con
modificazione dello statuto24: ciò aveva generato, in dottrina, il dubbio se in tale circostanza fosse
legittima l’introduzione a maggioranza della modifica, o fosse viceversa necessaria l’unanimità.
La nuova norma, invece, prevede che spetta allo statuto (e non più all’atto costitutivo) la
previsione di delega; inoltre, quasi a risolvere la precedente controversia dottrinaria, la legge
espressamente sancisce che, in caso di delega con possibilità di escludere il diritto di opzione, la
deliberazione debba essere adottata a maggioranza rafforzata.
Lo statuto deve determinare i criteri cui gli amministratori devono attenersi: si applica la
disposizione che prevede l’obbligo di illustrare con una relazione tale esclusione o limitazione, con le
conseguenti regole circa la comunicazione agli organi di controllo. La delega può essere attribuita anche
mediante modificazione dello statuto, secondo le maggioranze qualificate dettate dalla legge, per un
periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.
Qualora, nel silenzio della norma, si ritenga che sia ammissibile anche l’aumento introdotto con
modifica dell’originario statuto che non preveda l’esclusione del diritto di opzione, si dovrà però
ritenere che il termine dei cinque anni per esercitare la facoltà di aumentare il capitale (senza esclusione
Così Trib. Napoli 13 agosto 1992. In dottrina si colloca su tale posizione anche Galgano: cfr. F. Galgano , Diritto
commerciale. Le società, Zanichelli, Bologna, 1991, 4° edizione.
21 Così Cass. 23 marzo 1993 n. 3458; App. Milano 2 dicembre 1994; Trib. Piacenza 4 novembre 1994.
22 Cass. 13 gennaio 1987, n. 133; App. Milano 29 luglio 1980; Trib. Milano 29 settembre 1988.
23 Art. 2443 c.c. : “Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale fino ad
un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data dell’iscrizione della società nel registro delle
imprese. Tale facoltà può prevedere anche l’adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell’art. 2441; in
questo caso si applica in quanto compatibile il comma 6 dell’art. 2441 e lo statuto determina i criteri cui gli amministratori
devono attenersi.
La facoltà di cui al secondo periodo del precedente comma può essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto,
approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell’art. 2441, per il periodo massimo di cinque anni dalla data
della deliberazione.
Il verbale della deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale deve essere redatto da un notaio e deve essere
depositato e iscritto a norma dell’art. 2436”.
24 Fino al 31 dicembre 2003 era del resto ritenuta invalida ogni previsione che consentisse ciò: tra l’altro, si veda App. Milano
23 luglio 1988; Trib. Vicenza 27 ottobre 1989; Trib. Torino 12 agosto 1988.
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del diritto di opzione) decorra dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che introduce la
delega (e non eccezionalmente, dalla data della deliberazione, così come previsto dall’art. 2443, comma
2, c.c.).
Il legislatore non chiarisce se, nel silenzio dello statuto, i limiti che l’organo amministrativo
debba rispettare nel deliberare l’aumento di capitale siano solo quelli espressamente dettati dalla legge25.
Per una risposta affermativa propende chi26 fa notare la mancanza di una previsione limitativa analoga a
quella del 2° comma dell’art. 2443 c.c. e dell’omologo art. 2481 c.c. Secondo tale impostazione, sarebbe
pertanto possibile che l’organo amministrativo, investito di delega generica, scegliesse, senza vincoli, se
aumentare il capitale a titolo gratuito o oneroso, o mediante emissioni di azioni privilegiate, piuttosto
che ordinarie, o mediante conferimenti in natura, piuttosto che in denaro. Di opposto parere è, però, la
giurisprudenza, in seno alla quale, in passato, è stato affermato che non si può rimettere agli
amministratori di decidere se il deliberato aumento di capitale debba essere a pagamento o gratuito,
“dovendo essere l’assemblea ad identificare i mezzi patrimoniali destinati a confluire nel capitale”. La
giurisprudenza ha pure precisato che la scelta spetta solo all’assemblea, che deve inequivocabilmente
scegliere le modalità attuative dell’aumento spesso. Alla luce della riforma sembra adottabile una
soluzione intermedia: la delega potrà pertanto espressamente assegnare all’organo delegato la facoltà di
scegliere tra aumento gratuito od oneroso, purché sia nella delega esplicitamente elencata nella delega la
finalità dell’aumento, ovvero potrà prevedere la possibilità di emettere anche azioni privilegiate
(specificandone dettagliatamente i privilegi) e potrà consentire che l’aumento sia liberato con
conferimento in natura, individuando l’eventuale bene in natura da conferire, al fine di rispettare il
principio dell’art. 2342 c. c. e salvo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 2443 c.c..
L’art. 2443 c.c. recita, inoltre, che la facoltà delegata di aumentare il capitale può consentire
anche l’adozione delle deliberazioni di cui al quarto e quinto comma dell’art. 2441 c.c. (ovverosia
aumenti con esclusione del diritto di opzione dei soci, al fine di acquisire conferimenti in natura o
quando l’interesse della società lo esiga). In tal caso, si applica – in quanto compatibile – il sesto comma
dell’art. 2441 c.c. e lo statuto determina i criteri cui gli amministratori devono attenersi.
Alcune considerazioni si rendono, però, necessarie.
Il primo dubbio riguarda l’interpretazione dell’inciso “in quanto compatibile”.
Un’interpretazione estensiva porterebbe alla conclusione che l’inciso de quo avrebbe la sola funzione di
sostituire al termine “deliberazione assembleare” l’espressione “decisione dell’organo delegato”. In tal
caso, il 6° comma dell’art. 2441 andrebbe applicato interamente, sia per quanto riguarda l’obbligo di
predisposizione della relazione degli amministratori di comunicazione della stessa agli organi
competenti e di espressione del parere da parte del collegio sindacale, nonché l’obbligo di deposito
presso la sede sociale durante i quindici giorni che precedono la deliberazione dei documenti previsti
dalla legge con facoltà dei soci di prenderne visione. Invece, un’interpretazione restrittiva porterebbe a
ritenere che il deposito dei documenti presso la sede e la facoltà dei soci di prenderne visione, in quanto
finalizzati a preparare i soci alla discussione ed al voto in assemblea, non troverebbero applicazione
nella diversa ipotesi di aumento deliberato dall’organo amministrativo;
l’inciso finale dell’art. 2443 c.c. , in base al quale “lo statuto determina i criteri cui gli
amministratori devono attenersi” sembra mantenere in capo ai soci il potere originario in ordine alla
decisione di limitare o di escludere il diritto d’opzione. Sarà pertanto o l’atto costitutivo o la
deliberazione modificativo dello stesso a dover indicare le specifiche cause di esclusione o limitazione
del diritto d’opzione e le relative modalità. Tanto si evincerebbe dal tenore letterale dell’inciso “in
quanto compatibile”, oltre che da consolidata dottrina, sostenuta da un prevalente orientamento
giurisprudenziale anteriore alla riforma, in base al quale solo il cosiddetto “diritto concreto di opzione”
(vale a dire quello riferito ad una concreta o comunque definita deliberazione di aumento del capitale
A tale proposito, ricordiamo che si distinguono i seguenti tipi di limiti:
• Limite temporale: cinque anni;
• Limite statutario: ci si riferisce all’ammontare massimo fissato dalla previsione dello statuto.
Per maggiori dettagli si rimanda a quanto sancito dall’art. 2443 c. c..
26 “per la determinazione dei limiti e delle modalità di esercizio della delega si rinvia, … nel primo caso, allo statuto e, nel
secondo caso, all’atto costitutivo”: così C. A. Busi, Diritti d’opzione in mano al cda, in Italia Oggi del 4 dicembre 2003.
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sociale) può essere compresso, in tutto o in parte, ed in ipotesi ben determinate, mentre il cosiddetto
“diritto astratto di opzione” non è mai sopprimibile in via permanente. Ovviamente, una delega
statutaria in bianco all’esclusione del diritto di opzione della durata di cinque anni costituirebbe una
soppressione – se non permanente – temporalmente significativa del “diritto astratto di opzione”, che
risulta essere vietata dai principi generali dell’ordinamento, come in precedenza sottolineato. Non
sembra pertanto efficace una delega all’aumento priva della determinazione dei criteri cui gli
amministratori devono attenersi. Gli amministratori delegati all’aumento, nel rispetto dei criteri dettati
dallo statuto, avranno quindi il potere di valutare in concreto se utilizzare la delega, rispettandone i
criteri ed i limiti, valutando la sussistenza e l’attualità dell’interesse sociale (originariamente individuato
dai soci) che porterebbe al sacrificio o alla imitazione del diritto d’opzione dei soci stessi;
in ultima analisi, resta da valutare il problema di individuare il contenuto dei “criteri statutari” e,
soprattutto, resta l’interrogativo della loro efficacia e rilevanza rapportata al trascorrere del tempo
(ovviamente, mai superiore al limite di legge dei cinque anni). Secondo la dottrina prevalente, la
soluzione sarebbe quella di fissare criteri precisi nello statuto e, nel contempo, prescrivere un limite
temporale fisso o parametrato all’andamento del mercato entro cui gli amministratori possono avvalersi
della delega. Saranno pertanto i soci a decidere i presupposti che giustifichino la perdita o la limitazione
del diritto d’opzione. Solo se tali presupposti sussisteranno nel momento in cui gli amministratori
decideranno di attuare la delega, sarà possibile l’operazione di aumento; altrimenti bisognerà
soprassedere. Nel caso di fissazione del sovrapprezzo all’emissione di azioni, la delega potrebbe fissare
il prezzo minimo, lasciando agli amministratori il compito aggiornarlo secondo un indice preciso, tratto
dall’andamento di borsa nei giorni precedenti all’esecuzione, ovvero determinando il valore
correggendolo (in eccesso o in difetto) entro percentuali predeterminate. In ogni caso, sarebbe
necessario che agli amministratori vengano indicati criteri precisi di determinazione definitiva del
prezzo, e non indicazioni generiche, tali da consentire in concreto una fissazione che si sottragga ai
criteri in precedenza proposti ed illustrati dall’assemblea delegante.
Domenico Lamanna Di Salvo
Dottore Commercialista – Revisore Contabile
Docente presso la Libera Università di Bolzano
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