Dall`agire corporeo all`astrazione matematica

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5.
DALL’AGIRE CORPOREO
ALL’ASTRAZIONE MATEMATICA
Giuseppe Pea
doi: 10.7359/746-2015-peag
Nella popolazione si assiste a un persistente calo del dominio della matematica che si manifesta con scorrettezze nella concezione e nella comprensione del numero, dell’operatività aritmetica, delle forme e dei nessi spaziali
e geometrici. È da circa venti anni che si assiste a una continua e inesorabile regressione. I minori (e anche molti adulti) stanno diventando sempre
più deboli nell’utilizzo del numero per comprendere e giudicare la realtà
e ciò è dovuto a tanti fattori sociali, scolastici, familiari, ma in particolare
è dipendente dal fatto che la comprensione di tutti gli oggetti matematici
è legata al dominio delle categorie mentali ritenute primitive: lo spazio, il
tempo e la logica.
Il termine «primitive», riferito alle categorie mentali, sta a indicare che
non si possono capire e comprenderle attraverso la spiegazione degli altri.
In altre parole, le forme linguistiche che sono utilizzate per comunicare
queste categorie non possono far comprendere e generare queste categorie mentali. Essendo primitive non si possono ricondurre ad altre categorie
e, quindi, la funzione linguistica di ricondurre un concetto ad altri che lo
precedono non può essere utilizzata. La questione di fondo è che queste
categorie mentali che reggono tutto il pensiero matematico-scientificocognitivo (spazio, tempo e logica) si possono apprendere solo ed esclusivamente attraverso le proprie esperienze personali, cioè vivendo nella realtà,
istante dopo istante, la propria vita. È importante affermare il principio che
nessuna spiegazione degli altri e nessuna comunicazione linguistica possono darci queste categorie mentali che reggono tutto il pensiero matematico:
spazio tempo e logica. Più di un secolo fa l’epistemologo Poincaré ha pubblicato lavori fondamentali su quanto detto prima ed ha saputo andare ol109
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tre affermando che l’apprendimento spazio-temporale e logico dipendono
soltanto ed esclusivamente dall’agire dell’individuo.
Da allora la matematica è sempre stata collocata nell’ambito delle discipline legate all’azione e che, di conseguenza, per insegnare queste categorie e per far conquistare i concetti matematici è necessario portare i
discenti più ad agire che ad ascoltare; si devono portare i bambini, allievi,
studenti verso il pensiero rivolto al come agire più che al cosa dire. Questo
si sa da più di un secolo, ma nella scuola non è mai stato preso seriamente in considerazione perché, ancora oggi, nella maggior parte delle scuole
l’insegnamento è di tipo accademico, cioè l’insegnante possiede la disciplina, l’ha già strutturata nella propria mente e la comunica attraverso la
sua strutturazione ai discenti. In tal modo è prevalente la comunicazione
linguistica che sui concetti primitivi non ha alcuna efficacia didattica e i discenti che ascoltano ovviamente imparano la parte linguistica e la recitano.
In tal modo non c’è vero apprendimento; se va bene, si ottiene una capacità
recitativa dei concetti matematici, ma non è detto che la capacità di dire sia
in corrispondenza alla comprensione di ciò che si sta dicendo.
La comprensione è tanto maggiore quanto più problemi si sono affrontati e risolti (o anche non risolti) con l’azione e, in particolare, con il pensiero ideomotorio. Per Poincaré dire «apprendimento legato all’azione»
si­gnifica dire che non è «apprendimento sensoriale», cioè i sensi non sono
i generatori dei concetti anche se svolgono il ruolo iniziale di «segnalatori»;
sono le azioni (ideate sulla base delle segnalazioni) e le riflessioni sulle azioni compiute (intese come «correttori» delle distorsioni e dei falsi concetti
che le sole percezioni possono causare) che originano i concetti, da quelli
primitivi a quelli derivati. Basare quindi la didattica sull’osservazione è del
tutto inutile per l’apprendimento matematico.
L’utilizzo dei sensi non fa altro che portare dentro ciò che sta fuori di
noi, mentre per ottenere i concetti matematici, si ha bisogno di strutturare,
di operare, di agire cioè del concepire (far nascere internamente a noi) questi concetti che non stanno fuori da noi. La matematica non è «una cosa»
che si trova qua e là nell’universo, ma è qualche cosa che sorge dentro di
noi (si concepisce) sulla base delle esperienze e dei problemi che si affrontano nella vita agendo. I sensi svolgono solo la loro funzione di sensori in
questo processo di apprendimento, ma è il modo con cui si agisce e si opera
per affrontare e tentare di risolvere i problemi che determina, dentro di
noi, gli sviluppi neuronali che reggeranno i concetti matematici e le astrazioni della matematica.
Ma cosa succede nella nostra società e nelle nostre famiglie? Si crescono i figli con età mentali sempre più piccole con comunicazioni e linguaggi verbali e iconici, si crede che ogni forma di apprendimento avvenga
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solo attraverso la comunicazione linguistica. Si sta dimenticando che è in
funzione della cultura, dell’esperienza e dello stato psichico dei destinatari
della comunicazione se i dati forniti linguisticamente diventano informazioni o continuano a rimanere semplicemente dei dati linguistici (perché
il ricevente non è in grado di interpretarli, di confrontarli, di valutarli, di
giudicarli).
Ne consegue che la comunicazione, per diventare un atto che potrebbe far scattare un processo cognitivo, deve far leva sull’esperienza già preesistente nel ricevente, su conoscenze che quest’ultimo deve già avere. È
palese che tutti i minori abbiano esperienze, cultura e dominio linguistico
molto scarsi e, quindi, il loro apprendimento può avvenire solo con un mediatore ben diverso e molto più efficace: il corpo che con la sua fisicità e
operatività consente di sperimentare la vita.
L’intero corpo apprende agendo, muovendosi, perché i problemi che i
bambini devono affrontare non si risolvono scrivendo segni astratti sul quaderno. I bambini i problemi li risolvono agendo direttamente nella realtà,
ottenendo in questo modo, una nuova strutturazione della loro mente (dopo l’esperienza sono neurologicamente diversi rispetto a com’erano prima
dell’esperienza).
Che cosa accade invece nella nostra società? Si dà estrema importanza
a tutto ciò che è solo verbale e, cosa ancora peggiore, si nasconde l’importanza del confronto con i problemi che il vivere comporta. I genitori hanno
come massimo obiettivo fare in modo che i loro figli non abbiano problemi
e se, nonostante tutto, dovessero averne, allora devono delegare la risoluzione ad altri.
Questo comportamento educativo produce un sicuro effetto: impedire
che i bambini facciano le giuste esperienze personali e, di conseguenza, impedire la formazione di strumenti cognitivi indispensabili per l’intelligenza
e per la comprensione della vita. È solo attraverso la risoluzione dei problemi che i bambini diventano intelligenti. È attraverso queste esperienze (agire, sbagliare e risolvere) che riescono a strutturare la loro mente e, proprio
per questo, nel caso in cui questi figli non abbiano problemi, se ne devono
creare loro di nuovi.
Dai test che vengono sottoposti ai bambini all’ingresso della scuola primaria (età cronologica di 6 anni) risulta che sul piano cognitivo, rispetto
al dominio delle categorie primitive (spazio, tempo e logica), la loro età
mentale media è equivalente a quella che i bambini di trent’anni fa avevano
tra i grandi della scuola dell’infanzia. La perdita di circa un anno di apprendimento su sei anni di vita impedisce che in prima elementare si possa
procedere didatticamente con un programma e con una metodologia che
venivano tranquillamente adottati trent’anni anni fa.
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Oggi nemmeno nella scuola dell’infanzia i bambini si muovono quanto
dovrebbero e dalla scarsa attività motoria scolastica passano all’immobilità
casalinga sul divano davanti ad un televisore, con il pollice sul telecomando:
tutte queste ore passate nella completa inattività sono ore perse per l’apprendimento delle categorie primitive che reggono tutto il pensiero logicomatematico. Questa è una delle principali cause del ritardo cognitivo che i
bambini, in media, presentano all’ingresso della scuola primaria e questo ritardo si mantiene fino all’università (e forse va oltre). I test di accesso all’università lo dimostrano ed è per questo ritardo cognitivo e formativo che si
sono creati i corsi integrati del 1° anno accademico con lo scopo di colmare
quello che non hanno appreso negli istituti superiori. In tal modo si deve
perdere tempo a colmare le lacune, tempo che dovrebbe essere dedicato alle discipline formative per la propria futura formazione. Questa situazione
è mortificante perché nel confronto con il resto dei paesi europei siamo tra
gli ultimi in graduatoria per i processi cognitivi ed è insopportabile perché,
se non si rimedia, ci toglie la speranza di un futuro migliore.
Nelle pagine che seguono sono descritte delle attività didattiche improntate ai principi sopra esposti.
5.1. Classe prima e seconda
Mappa concettuale: vd. Fig. 5.1.
La forza è una grandezza vettoriale (come tale è dotata di intensità,
direzione e verso) che è volta a modificare lo stato di quiete o di moto dei
corpi. Questa forza genera nei corpi una forza che le si oppone, detta resistenza, mantenendone lo stato di quiete o di moto.
L’uomo esercita una forza/resistenza con il proprio corpo, attraverso le tensioni muscolari, al fine di agire sui corpi o di resistere alle forze che
i corpi esercitano sull’uomo.
Le tensioni muscolari danno intensità alla forza, ma ne determinano
anche la direzione e il verso che la forza deve avere per risultare efficace
nel­l’agire/resistere.
La «forza muscolare» è quindi una capacità motoria senza la quale
l’uo­mo non potrebbe vincere od opporsi ad una resistenza.
Il termine «resistenza» trae origine dalla capacità che ha l’uomo nel
sopportare una forza a lui avversa (con la finalità di mutarne lo stato) generandone un’altra opposta nel verso (non nella direzione) e di intensità tale
da annullarne o ridurne gli effetti.
Quindi se la forza avversa spinge in un verso, la resistenza spinge nel
verso opposto.
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FORZA
lo
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STATO
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FORZA OPPOSTA
O
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sui
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presenti nel
CORPO
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sotto
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RESISTERE
per
TENSIONI
MUSCOLARI
GRANDEZZA
VETTORIALE
perché
dotata di
INTENSITÀ
DIREZIONE
VERSO
te
cita
esecr idendo
de
Fig. 5.1.
È proprio su questo principio che si basano molti giochi motori praticati
dai bambini ed è attraverso queste esperienze che le riflessioni sulla forza
passano dal «quanto è» a «come si applica per faticare meno». In molti giochi i bambini devono «tirare» o «spingere» altri bambini o altre cose che
inevitabilmente opporranno resistenza. Con queste attività svilupperanno:
• una maggiore percezione della segmentarietà dei propri arti superiori;
• una maggiore evidenziazione delle tensioni contrastate delle gambe e del
busto;
• un maggior controllo della tensione degli arti (superiori e inferiori) e del
busto;
• una valutazione sempre più precisa della misura della propria forza in
fun­zione del confronto diretto con le forze resistenti.
Quando le azioni del «tirare» o «spingere» si rivolgono a corpi capaci
di generare una resistenza che si oppone totalmente alle forze, non si ottiene alcun mutamento dello stato di quiete/moto dei corpi. È il caso di
quando un bambino spinge un muro, non ottiene risultati di mutazione
e le forze praticate vengono dette «isometriche» perché la lunghezza dei
muscoli resta costante e non produce lavoro meccanico.
Le spinte isometriche non producono effetti spazio-temporali, cioè cam­
biamenti di posizione, di forma, di dimensione, … nei corpi sui quali agiscono, ma sono molto intense e affaticano notevolmente chi le pratica. Per
questo motivo producono delle forti percezioni relative ai propri segmenti
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corporei che, se sono molto positive rispetto alla consapevolezza ed alla immagine mentale della propria struttura corporea, sono anche pericolose per
l’incolumità di chi le pratica.
Ma l’esperienza della forza non viene solo dalle azioni dello spingere/tirare, ci sono altre attività che permettono di percepire le tensioni muscolari:
• nelle braccia e nel busto, come ad esempio: sollevare pesi, trasportare
oggetti ingombranti e pesanti, fare le flessioni sulle braccia, …;
• nelle braccia e nelle spalle, come ad esempio: lanciare oggetti a distanze
sempre maggiori, calibrare dei lanci «tiri» come nella pallacanestro, nel
tiro a segno, …;
• nelle mani, come ad esempio lo stringere le mani attorno al manico di un
martello, impastare, ammorbidire il Das per poterlo poi plasmare meglio, …;
• nelle mani e nelle braccia, come ad esempio: appendersi ad una sbarra,
salire una pertica, …;
• nelle gambe, come ad esempio: con busto eretto fare flessioni sulle gambe, a piedi pari saltare a canguro ostacoli sempre più alti, in bicicletta
pedalare in salita, …
Queste attività sviluppano e rendono sempre più preciso il concetto di
forza. I bambini di una prima elementare normalmente hanno già superato
la fase dove la percezione e la coscienza di sé stessi è di tipo globale e sincretico. Sono quindi capaci di controlli corporeo-motori più analitici (discriminazione segmentaria del proprio corpo), ma è importante, attraverso
le esperienze di «dosaggio» della forza e del modo in cui va applicata, portare a livelli sempre più raffinati la conoscenza del sé corporeo e motorio.
Non bisogna dimenticare che queste finalità dell’educazione motoria
sono di fondamentale importanza per conquistare molti concetti matematici, la segmentarietà del proprio corpo e il «dosare» le proprie forze sono
conoscenze e capacità propedeutiche ai seguenti concetti:
Riferimento spaziale
Il proprio corpo viene concepito come una struttura, cioè come formato da
parti tra di loro tutte in relazione.
I segmenti corporei portano ad una concezione «anatomica/funzionale» dove
il tronco corporeo, le gambe, le braccia, le dita, vengono considerate come
pezzi di un puzzle.
Ma è proprio grazie a questa chiarezza anatomica che si può ottenere una nuova concezione «topologica» del corpo: il corpo diviso in due parti contrapposte
separate da una superficie e non da un’altra parte. Le parti diventano «luoghi»
del corpo, dati da dove sono collocati rispetto ad un riferimento.
La parte «davanti» non è un organo del corpo, ma è la parte (nella direzione
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5. Dall’agire corporeo all’astrazione matematica
del camminare) individuata dal «piano corporeo» trasversale alla direzione del
camminare. Quindi il petto è nel «davanti» del corpo ma non è il «davanti».
Misure delle grandezze
Il fatto che la forza muscolare può essere aumentato o diminuita è già di per
sé una scelta metrica, il mettere a confronto la propria con l’altrui forza è un
ulteriore passo avanti verso la metrica delle forze, ma non si deve dimenticare
quanto queste esperienze siano preziose per la conquista di altre grandezze e
delle loro misure.
Basti pensare che le distanze raggiunte con i lanci si valutano sulla base della
scelta della forza da applicare all’oggetto lanciato, nella corsa per impiegare
meno tempo devo dare più forza alle gambe, per sollevare pesi maggiori devo
fare più forza con le braccia.
Le esperienze, i giochi e gli esercizi che richiedono l’utilizzo pensato e cosciente della forza sono molto importanti tanto per l’educazione motoria
quanto per la creazione delle basi propedeutiche alla matematica.
Questa importanza non deve essere minore per le femmine perché in
prima elementare la forza ha uno sviluppo parallelo sia nei maschi che nelle
femmine, è solo verso i 12 o 13 anni che tale sviluppo si diversifica in funzione della diversa produzione degli ormoni androgeni.
5.2. Conversazione clinica
Le domande da proporre ai bambini sono volte a verificare cosa conoscono
del concetto di forza, cioè se è qualcosa di più di un semplice vissuto:
1. Cosa significa: «Che forte che è Giovanni!!!»?
1.a. È diverso dire: «Giovanni è più forte di Aldo e Giorgio messi insieme»?
2. Quando usate la vostra forza muscolare?
2.a. Si può fare forza senza spingere o tirare qualche cosa?
2.b.Si può fare forza e non ottenere alcun risultato?
3. Resistere alle forze degli avversari è fare anche noi delle forze?
3.a. Ma le forze hanno un verso? Schiacciare con un piede un palloncino
o calciare con lo stesso piede il palloncino è aver dato la stessa forza?
3.b.Quando due bambini si spingono e nessuno dei due sposta l’avversario, le forze dei due si oppongono o si aiutano?
4.La direzione della forza usata per sollevare una valigia è la stessa che
viene utilizzata per spostare in avanti la stessa valigia?
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La conversazione clinica proposta da un insegnante ai suoi bambini di prima classe ha dato, in sintesi, i seguenti risultati:
«Che forte che è Giovanni!!!» non è stato inteso come un fatto corporeo e muscolare, ma come un rimarcare la bravura di Giovanni e la sua
capacità di affrontare e risolvere problemi. Un bambino ha detto che
«Giovanni è forte quasi come Del Piero» (un calciatore attaccante della
«sua» squadra di calcio).
Solo con il confronto diretto «Giovanni è più forte di Aldo e Giorgio
messi insieme» è stato ricondotto a livello di forza muscolare. Si sono
espressi con esempi:
■«Vuol dire che Aldo e Giorgio sono proprio senza muscoli».
■«È come quando, con il tiro alla fune, di qua Giovanni da solo e di
là Aldo e Giorgio insieme, vince Giovanni perché tira con una forza
bestiale».
■«Mio zio batterebbe Giovanni perché mio zio è un campione a ‘braccio di ferro’».
•
Riguardo alla seconda domanda i bambini hanno dato delle risposte
condizionate dagli esempi raccontati prima e per loro la forza è per spingere o per tirare, nient’altro. Sollecitati a qualche esempio diverso ne è
emerso che la forza la usano molto nel calciare il pallone, nel distruggere i giocattoli (anche con il martello), nel lavarsi («Mia mamma mi dice
sempre di sfregarmi forte forte con il sapone»).
La domanda «Si può fare forza, anche grande, ed ottenere niente, come
se la forza non fosse stata usata?» ha creato inizialmente una risposta
unanime dell’impossibilità. Alla fine però un bambino ha rivelato un segreto di suo fratello, cioè «avere gambe più forti, per diventare un grande ciclista», con gli allenamenti di spingere forte le pareti con i piedi
senza romperle.
•
Il resistere è stato inteso come il «non dargliela vinta» e non come il
generare delle forze da contrapporre all’avversario. Un bambino ha detto «Quando Marco mi spinge, io mi preparo a gambe larghe e lui non
riesce a spostarmi». Alla domanda «Quando resisti fai forza su Marco?»
il bambino risponde «No».
Solo qualche bambino ricorre al gioco del tiro alla fune per dire che
resistere è tirare dalla parte opposta. Solo nei giochi dove i due ruoli
«difendere/attaccare» sono intrapresi da tutte le persone che vi partecipano, le forze di attacco e di difesa sono uguali (la fune è tirata da entrambi gli avversari), ma il verso cambia (uno tira da una parte e l’altro
dall’altra).
•
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5. Dall’agire corporeo all’astrazione matematica
Quando la forza viene applicata ad un oggetto, nessun bambino crede
che l’oggetto generi una forza contrapposta. Sollevare una valigia genera
l’idea della passività della valigia e, quindi, la convinzione che la valigia
non può generare delle forze.
•
La quarta domanda, pur avendo esplicito il richiamo alla direzione di
una forza, ottiene come risposta un giudizio puramente scalare: «Occorre più forza a sollevare la valigia che a spostarla».
Anche altre classi hanno dato risultati analoghi e si possono sintetizzare
con la matrice cognitiva rapresentata in Fig. 5.2.
La rete concettuale sintetizzata in Fig. 5.3 esprime il percorso che
l’inse­­gnante deve far compiere ai bambini progettando le opportune unità
didattiche.
sul
(solo dopo sollecitazioni)
Giocattoli
cose …
Compagni
sui
Agire
nel senso
di
Stato
dei corpi
Spingere /
tirare
e
se mu
m ta
pr
el
che serve
per
Forza
muscolare
Essere
bravi
nel confronto
è la
o
che
Essere
forti
FORZA
Agisce
è intesa
come
nella
forma
non è
Grandezza
vettoriale
Resistono
Forze opposte
n
co
senza
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pe
so interché
lo sa
co
me
Forza
da contrapporre
s
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a
di unttiva
se
Subiscono
Intensità
fra
Confronto
Fig. 5.2.
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da
FORZA
forza
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a
agisce
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con
ch
indifferenza
direzionale
el
a
direzione
a
a
subiscono
ra la
concetti
spaziali
gene
stato
dei
corpi
forza opposta
resistenza
tramite
giochi
ed esercizi motori
intensità
delle tensioni muscolari
ideografia
delle forze
attività lavorative
direzione e verso
delle azioni
Fig. 5.3.
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5. Dall’agire corporeo all’astrazione matematica
5.3.Fasi di lavoro
Tutte le attività di seguito proposte sono da effettuarsi rispettando questi
punti:
• Il lavoro va fatto con la classe in palestra, con i bambini che si suddividono a coppie o, se è possibile, lavorano da soli.
• La comunicazione insegnanti-bambini deve essere a senso unico e multiplo.
• Il metodo va impostato sull’attività dei bambini, che segue le indicazioni
dell’insegnante, e sulle risposte collettive e singole, che seguono le domande dell’insegnante.
• I mezzi necessari si limitano ai normali attrezzi della palestra, a schede
predisposte e ai normali attrezzi scolastici dei bambini.
Fase 1 – Spingere/tirare: Scheda 5.1(a-b)
Obiettivo: Saper giudicare l’intensità delle forze muscolari anche quando
non è possibile il confronto diretto; analizzare le forze applicate in termini di
contrapposizioni; rendere più sicura la percezione e la rappresentazione mentale della segmentarietà degli arti e del busto.
Fase 2 – Tanto sforzo per nulla: Scheda 5.2(a-b)
Obiettivo: Saper valutare quale è la minor forza da applicare ad un corpo
per ottenere la massima mutazione. Conoscere le situazioni della forza isometrica, cioè quella che, per tanto che ci si sforzi, non produce mutazioni. Avere
maggiori conoscenze dei propri segmenti corporei.
Fase 3 – Direzione della forza: Scheda 5.3
Obiettivo: Portare il bambino alla comprensione di due grandezze inerenti
alle forze: direzione e verso e che i risultati dell’applicazione delle forze dipendono da queste grandezze.
Fase 4 – Scheda di consolidamento: Scheda 5.4
Obiettivo: Riprendere, a livello grafico, la scrittura simbolica della freccia
per indicare una forza applicata ad un corpo.
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Scheda 5.1(a). – Fase 1: Spingere/tirare.
Cosa fa l’insegnante
Cosa fa il bambino
Aiuta l’insegnante nel trasportare la struttura.
Pone la struttura di un’altalena (solo i due
cavalletti con la barra) al centro di uno spazio
libero, per proporre diverse attività motorie.
Prima sfida:
«Dopo che vi ho sollevati per permettervi
di attaccarvi con le mani alla sbarra, vi lascio
e voi dovete tiravi su fino a raggiungere
con la faccia il livello della sbarra».
Ascolta e poi si fa sollevare dall’insegnante
e tenta di fare quanto richiesto.
Quando tutti i bambini hanno provato,
consiglia, a chi non è riuscito, di riprovare
e di fare un po’ di allenamento.
Propone, quindi, delle domande:
•Dove sentivi di più lo sforzo?
Risponde.
Qualcuno specifica indicando il bicipite, altri
diranno le mani, …
•Ma
Risponde, ad esempio:
«Solo con il bicipite».
Seconda sfida:
Completa
la struttura
ponendo
una corda
grossa e lunga
a cavallo
della sbarra
e incolla
per terra due
nastri adesivi
a livello
dei piedi
dell’altalena.
Fa impugnare le corde a due bambini
per giocare al «tiro alla fune sollevata».
Vince chi fa toccare o oltrepassare il nastro
all’avversario (se nessuno dovesse riuscirci,
converrebbe allontanare tra di loro i nastri).
Osserva
il lavoro fatto
dall’insegnante e,
con un compagno,
inizia la sfida
e prosegue
fino a quando
c’è
un vincitore.
lo sentivi solo con il bicipite o anche
nell’avambraccio? (si aiuta indicando
le parti del proprio braccio)
 (segue)
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Scheda 5.1(b). – Fase 1: Spingere/tirare.
Cosa fa l’insegnante
Cosa fa il bambino
Terminate le sfide fa delle domande:
•Con quali parti del corpo facevate gli sforzi
nel tirare?
Risponde che facevano lo sforzo per tirare,
oltre che con la braccia, anche con le gambe
e con il «corpo» (inteso nel senso del busto).
•Tiravate
Risponde: «Dalla parte opposta, cioè io di qua
e lui di là».
dalla stessa parte dell’avversario
o dalla parte opposta?
Riceve la scheda e la completa.
Consegna a ciascun bambino una scheda
con un disegno schematizzato e chiede
ai bambini di completarlo disegnando
le frecce che indicano come tiravano la corda.
Il bambino prova e, alla fine, esprime il suo
Terza sfida:
giudizio.
Riempie una cassa di attrezzature sportive
e chiede ai bambini di spingere la cassa
in diversi modi:
•con i piedi;
•con la schiena;
•stando in ginocchio, con le mani.
Alla fine ciascun bambino dovrà dire in quale
modo ha fatto meno forza.
Combattono fino a quando c’è un vincitore,
Quarta sfida:
Pone una coppia di bambini seduti per terra quello con più forza.
con schiena a schiena e, a poco dai loro piedi,
incolla due strisce di nastro adesivo. Vince
il bambino che riesce a far superare il nastro
dai piedi dell’avversario.
Compila la scheda tracciando le due frecce.
È necessario concludere con una scheda
che il bambino deve completare per rimarcare
il verso delle forze applicate.
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Scheda 5.2(a). – Fase 2: Tanto sforzo per nulla.
Cosa fa l’insegnante
Mostra ai bambini un copertone
di una bicicletta e spiega ai bambini
come applicare una forza per farlo rotolare
e come applicarla, invece, per farla strisciare,
in ogni caso il più lontano possibile.
Cosa fa il bambino
Emula l’insegnante e fa diverse prove.
Gareggiano poi tra di loro nel tentativo
di mandare il copertone più lontano di tutti
gli altri, sia facendolo rotolare, sia facendolo
strisciare.
Risponde che è con il farlo strisciare.
Pone alcune domande:
•Con quale dei due modi si deve fare più forza
per allontanare il copertone?
Propone una scheda e chiede di disegnare,
sotto ogni disegno, la forza che si deve fare
per mandare il copertone lontano (più forza
si fa, più lunga deve essere la freccia).
Compila la scheda tracciando le frecce.
Chiede ai bambini:
•Se si spinge fortissimo una cosa è vero
che questa forza sposta o distrugge la cosa
ma non fa niente a noi?
I bambini rispondono con un «Sì» convinto.
Pone supino con i piedi appoggiati
ad una parete il bambino più forte
della classe (p. es. Marco).
Quando marco è ben accomodato gli dà
il comando di spingere la parete il più forte
possibile.
Marco esegue il comando
di spingere forte e ottiene,
come unico effetto,
il suo allontanamento
dalla parete.
Si rivolge agli altri bambini della classe
Tutti rispondono: «Il proprio corpo».
e chiede:
•Voi che avete visto, ditemi: Marco ha spostato
la parete o il proprio corpo?
•Marco,
•Ma
perché non hai spostato la parete?
se ti mettessi a spingere di spalla
o di schiena, ci riusciresti?
Risposta di Marco: «È troppo dura
e si scivola».
«Posso provare».
E, alla fine:
«Non ci riesco».
 (segue)
La bussola della mente funzionale. Dal corpo intelligente al sé operativo - A cura di M. Bonali, L. Stefanini e A. Antonietti - Milano, LED, 2015
http://www.ledonline.it/ledonline/746-bussola-mente-funzionale
Scheda 5.2(b). – Fase 2: Tanto sforzo per nulla.
Cosa fa l’insegnante
Cosa fa il bambino
Chiede:
•Ma la forza che hai dato in quali muscoli
l’hai sentita?
Risponde:
«Nelle gambe, specialmente nei polpacci,
ma anche nel collo e nelle spalle».
Chiede ai bambini di dire in quali altri casi
lo spingere non sposta e non modifica
ciò che si spinge.
I bambini, all’inizio impacciati, daranno
via via risposte sempre più convincenti, come:
«Spingere un grosso albero».
La bussola della mente funzionale. Dal corpo intelligente al sé operativo - A cura di M. Bonali, L. Stefanini e A. Antonietti - Milano, LED, 2015
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Scheda 5.3. – Fase 3: Direzione della forza.
Cosa fa l’insegnante
Cosa fa il bambino
Mostra ai bambini una carrozzella per neonati Spingono
la carrozzella
con le ruote fisse (non sterzanti) e invita
facendo anche
i bambini a spingerla.
delle corse
fra gli ostacoli
presenti in palestra.
Qualche bambino
compie dei tentativi,
ma poi si rassegna
all’impossibilità di fare
un qualsiasi percorso.
Fa una nuova richiesta:
•Ora spingetela ma di lato!
E mostra in quale modo.
•Riuscite a fare il percorso di prima?
Consegna una scheda e chiede di completarla Prende la scheda
colorando di blu la direzione da dare alla forza e colora
per ottenere il massimo risultato con il minimo le due direzioni.
sforzo e, di rosso, la direzione che dà nessun
spostamento anche applicando una certa forza.
Gioco del pozzo.
Pone per terra un cerchio grande e una lunga
e grossa corda e propone ai bambini il gioco
del «pozzo».
Il cerchio viene posto al centro della palestra
e rappresenta un pozzo molto profondo.
Due bambini (più o meno di uguali forze)
vengono legati tra di loro dalla lunga corda
(è opportuno annodare ciascun estremo
della corda ad una cintura di cuoio)
e vengono posizionati da parti opposte
del pozzo.
«Per vincere, al mio via dovete cercare
di trascinare l’avversario nel pozzo».
Al via dell’insegnante i bambini fanno il tiro
alla fune.
Il meno forte man mano che si avvicina
al pozzo deve escogitare qualche cosa per non
cadervi dentro.
I bambini che si oppongono solo cercando
di fare una forza maggiore dovranno
prima o poi capitolare.
Bisogna cercare altre strategie.
Il bambino che mentalmente ha intuito
l’importanza della direzione della forza giunge
alla conclusione che può agire su quella.
Risolve, quindi, il problema applicando
la sua forza di opposizione con cambiamento
repentino di direzione spingendosi,
ad esempio, di lato. Ottiene l’effetto
dell’allontanarsi dal pozzo, di sbilanciare
l’avversario e di diminuire la componente
trainante della forza avversaria.
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Scheda 5.4. – Fase 4: Scheda di consolidamento.
Cosa fa l’insegnante
Dà una scheda da compilare disegnando
le frecce delle forze.
Cosa fa il bambino
Prende la scheda, la legge e la completa.
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