La Seconda guerra mondiale U CANADA Vancouver R S S Halifax U S A Gibilterra Isole Azzorre San Diego TURCHIA Algeria MESSICO Cuba Freetown VENEZUELA 1945 Georgetown COLOMBIA 1943 ECUADOR 1945 B R A S I LE PERÙ 1942 Africa Occidentale Francese Accra CINA 1941 IRAN 1943 Malta Il Cairo EGITTO ARABIA 1942 SAUDITA 1945 Africa Centrale Francese Calcutta Bombay Aden Hawaii Trincomalee Lagos Pearl Harbour I ndi e O land es i Natal 1942 Darwin BOLIVIA 1942 Madagascar CILE 1943 GIAPPONE Città del Capo ARGENTINA UNIONE SUDAFRICANA AUSTRALIA 1939 Nuova Caledonia Brisbane 1944 Stati dell’Asse e loro satelliti Massima espansione dell’Asse (1942-1943) Stati alleati 1942 Isole Auckland Data dell’ingresso nell’alleanza Aree rimaste sotto il controllo di Vichy Principali basi alleate Avanzata giapponese Stati neutrali durante tutto il conflitto fanteria, che consolidava l’avanzata e ripuliva il territorio conquistato. La vittoria sulla Polonia fu in tal modo raggiunta lasciando sul campo poche migliaia di soldati. Il paese non venne però occupato completamente: sulla scorta del protocollo segreto del patto Molotov-Ribbentrop, fu l’Unione Sovietica a prendere la metà orientale della Polonia. Immediatamente, per ordine di Hitler, cominciò la persecuzione degli ebrei e della classe dirigente polacca. Stalin, dal canto suo, ordinò l’uccisione di migliaia di polacchi tra ufficiali, semplici soldati e borghesi «nemici del popolo»: tra l’aprile e il maggio 1940, ne furono massacrati nei boschi di Katyn, nell’attuale Bielorussia, quasi 22.000. Era l’annuncio delle stragi indiscriminate che avrebbero caratterizzato l’intero conflitto mondiale, su tutti i fronti. Il 3 settembre 1939, intanto, la Francia e il Regno Unito avevano dichiarato guerra alla Germania mentre Mussolini, non ritenendosi pronto, proclamava la «non belligeranza» dell’Italia. I popoli d’Europa, lanciati in un nuovo scontro generalizzato, trascorsero l’inverno tra 1939 e 1940 in un’attesa carica d’angoscia. Tutti si chiedevano quale sarebbe stata la mossa successiva di Hitler, ma fu l’Unione Sovietica a passare all’azione at- taccando la Finlandia: dopo mesi di accaniti combattimenti difensivi, Helsinki dovette arrendersi e l’URSS ottenne nel grande nord consistenti guadagni territoriali. Pochi mesi dopo, nell’estate del 1940, Stalin occupò anche Lettonia, Estonia e Lituania, che, secondo il patto dell’agosto 1939 ricadevano nella sfera d’influenza sovietica. Il dittatore approfittava così al massimo dell’accordo con la Germania nazista. Il crollo della Francia Il 9 aprile 1940, la Germania invase Danimarca e Norvegia, conquistandole agevolmente. Si assicurò in questo modo ingenti risorse minerarie, il controllo dei porti sul Mare del Nord necessari a contrastare il blocco navale tentato da Londra e le basi aeree indispensabili a tentare un attacco aereo sullo stesso Regno Unito. Poi Hitler decise di scagliarsi contro la Francia, unica potenza continentale in grado di contrastarne le mire. L’attacco fu lanciato il 10 maggio 1940 attraverso la foresta delle Ardenne. Nelle settimane successive caddero Belgio e Paesi Bassi (attaccati nonostante fossero paesi neutrali) e le divisioni corazzate naziste spezzarono con facilità divisione corazzata: unità militare dotata di carri armati, che ne costituiscono la parte più importante. L’invasione tedesca della Polonia e sovietica degli Stati baltici (1939) Il mondo nel pieno della Seconda guerra mondiale F I N L A N D IA Tallin 8.1 1939-1941: il dominio ESTONIA lt i c o della Germania a L’attacco alla Polonia LETTONIA Riga LITUA N IA B Occupazione nazista della Polonia: forze tedesche entrano in Varsavia nel settembre 1939. Panzer: abbreviazione del termine tedesco Panzerkampfwagen («mezzo corazzato da battaglia»). L’impressione e l’efficacia di questi mezzi fu tale che la parola Panzer ancora oggi viene usata per indicare le formazioni corazzate più potenti. M a r Kaunas Danzica Vilnius Minsk Prussia Orien t a l e G E RM A N IA Il 1° settembre 1939 le truppe di Hitler invasero la Polonia con un massiccio attacco che ne piegò in poche settimane la resistenza. Già il 27 di settembre Varsavia era costretta ad arrendersi. In questa campagna, la Germania mise a punto il metodo del Blitzkrieg, o «guerra lampo», che tanto stupore e timore avrebbe suscitato in Europa negli anni seguenti. Precedute dai bombardieri in picchiata, potenti colonne di carri armati, i Panzer , si infilavano nelle maglie della difesa avversaria e frantumavano le formazioni più numerose dell’esercito nemico. Sopraggiungeva poi la Poznan URSS Brest Varsavia P O L O N I A Breslavia Cracovia Lvov Boemia Moravia S LOVACC H IA AUSTRIA Territori annessi dalla Germania ROMANIA Territori annessi dall’URSS Manifesto di E. Castel per i Compagnons de France, 1939-45. © Loescher Editore – Torino 146 1915 © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 147 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto L’occupazione di Belgio, Paesi Bassi e Francia (maggio-giugno 1940) REGNO UNITO PAESI BASSI Amsterdam BELGIO Lilla Bruxelles Parigi Alsazia e Lorena annesse Nantes G E R M A N IA Londra SVIZ Z E R A Vichy Bordeaux Lione I TA L I A Tolosa Marsiglia ANDORRA S PAG N A Territori occupati dalla Germania radar: acronimo di radio detection and ranging. Attraverso onde radio venivano segnalati gli apparecchi nemici, consentendo ai piloti inglesi di levarsi in volo e dare battaglia. L’invenzione del radar diede all’aviazione inglese un vantaggio fondamentale sugli avversari. Dossier 4 p. 398 Ma r Mediter r a neo Repubblica di Vichy il fronte avversario, costringendo centinaia di migliaia di soldati francesi e inglesi ad abbandonare le armi e a fuggire verso la costa del Canale della Manica. Da qui furono imbarcati per la Gran Bretagna nel corso di una drammatica operazione di salvataggio. Il 14 giugno i tedeschi entrarono a Parigi. La Germania aveva ottenuto in poco più di un mese il risultato mai raggiunto durante la Prima guerra mondiale, vendicando la sconfitta del 1918 e stabilendo il proprio dominio sull’Europa centrale. Il 22 giugno, i francesi furono costretti a firmare la resa Londra: pompieri combattono le fiamme in seguito a bombardamenti tedeschi nel 1941. nello stesso vagone ferroviario che aveva ospitato la capitolazione tedesca ventidue anni prima. Alla Francia fu lasciata una parte del territorio nazionale, con capitale a Vichy, ma i tedeschi vi instaurarono un governo fantoccio, guidato dal maresciallo Philippe Petain. La battaglia d’Inghilterra Hitler era convinto che il Regno Unito, rimasto solo, avrebbe accettato una pace di compromesso. Ma non fu così. Caduto il governo di Neville Chamberlain, le redini del paese vennero prese dal conservatore Winston Churchill, il principale avversario della passata politica di appeasement verso la Germania. Churchill riuscì a scuotere i connazionali tramortiti dalle sconfitte subite sul continente e a raccoglierne le forze per la difesa delle isole britanniche. Tutto lasciava infatti prevedere che Hitler avrebbe tentato di invadere la Gran Bretagna, e queste erano davvero le sue intenzioni. Ma il tentativo di sbarco – per il quale era già stato adottato il nome in codice di «Operazione Leone Marino» – poteva svolgersi con successo solo se preceduto dall’annientamento delle forze aeree rivali. E fu qui che la Germania subì il suo primo scacco. Nel corso della battaglia d’Inghilterra, sviluppatasi nei mesi estivi del 1940, l’aviazione inglese riuscì, grazie anche all’uso del radar , a respingere gli attacchi dell’aviazione tedesca. D4 Quando fu evidente che la resistenza militare avversaria non poteva essere piegata, Hitler decise di passare alla guer- Manifesto inglese della seconda guerra mondiale sulla Royal Air Force, 1939-45 circa, Londra, The National Archives. ra psicologica ed economica: diede inizio allora a una sanguinosa e indiscriminata campagna di bombardamento sulle città, le infrastrutture e le industrie britanniche. Ma neanche questo indusse Londra alla resa. L’estate del 1940 infine trascorse, e con essa sfumò la possibilità che i tedeschi sbarcassero nel Regno Unito. La «guerra parallela» dell’Italia fascista Il 10 giugno 1940, Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia contro Francia e Regno Unito. Il duce sapeva che al paese mancavano le materie prime necessarie per uno sforzo bellico prolungato, così come le armi moderne che equipaggiavano gli eserciti più potenti. Ma era anche convinto, data la manifesta superiorità della Germania, che il conflitto sarebbe terminato in breve tempo. Cominciò allora la «guerra parallela» dell’Italia fascista, che ebbe fin da subito esiti disastrosi. Tra l’estate del 1940 e la primavera del 1941, gli italiani subirono infatti ripetute sconfitte. L’affondamento di tre corazzate in rada a Taranto da parte degli aerosiluranti inglesi e la disfatta navale di Capo Matapan (nel Sud della Grecia) garantirono alla flotta britannica il predominio nel Mediterraneo. In Africa settentrionale, il maresciallo Graziani si vide sottrarre parte della Libia dalle incalzanti truppe inglesi stanziate in Egitto. E solo l’arrivo di un corpo corazzato tedesco, guidato dal generale Erwin Rommel detto «la volpe del deserto», permise alle forze dell’Asse di tornare all’attacco. Eritrea, Somalia ed Etiopia caddero ancora per mano britannica: nell’aprile 1941 il negus Hailé Selassié riebbe il suo trono ad Addis Abeba. Le sconfitte più clamorose giunsero però in Grecia. Lanciato l’esercito all’assalto del piccolo Stato ellenico il 28 ottobre 1940, Mussolini fu costretto addirittura ad arretrare dalla valorosa resistenza greca. Nella primavera del 1941, Hitler dovette intervenire per salvare il capo del fascismo e la Blitzkrieg fece nuove vittime: Grecia e Iugoslavia furono facilmente piegate dai tedeschi. Tutto ciò scosse gravemente la fiducia degli italiani in Mussolini e ridimensionò il ruolo dell’Italia nel conflitto. Costantemente sulla difensiva, il nostro paese avrebbe da allora in poi svolto il ruolo di alleato subordinato della Germania. Il controllo nazista delle zone occupate Il sistema di occupazione nazista Controllo delle risorse agricole e industriali Arresto e deportazione degli oppositori e dei resistenti Collaborazione con nazionalisti e fascisti nazionali 1915 Deportazione nei campi di sterminio di ebrei e zingari Deportazione di forza-lavoro nelle industrie del Reich I fronti italiani (1940-1941) Tripoli Cirenaica Tripolitania Il Cairo EGITTO (alleato inglese) Colonie inglesi Territori italiani occupati dagli inglesi Sudan anglo-egiziano Eritrea Yemen Gibuti Addis Abeba Abissinia Somalia Uganda Kenya G E RM A N IA Savoia SVIZZERA REPUBBLICA DI VICHY Nizza URSS SLOVACCHIA Vienna AUSTRIA Trieste U N G H E R IA Budapest Zagabria Zara C r o a z i a I TA L I A Belgrado R O M A N I A Bucarest Serbia Montenegro B U LG A R I A Sofia Roma Istanbul Tirana Albania Grecia TU RCH IA Atene Dodecaneso Mar Mediterraneo Germania nazista Creta Territori occupati dall’Italia Territori occupati dalla Germania Offensive italiane Offensive tedesche Stati alleati dell’ Asse Italia fascista © Loescher Editore – Torino 148 La Seconda guerra mondiale © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 149 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto 8.2 1942: l’anno della svolta Giappone e Stati Uniti in guerra La ritirata di Russia, 25 gennaio 1943. Manifesto sovietico contro il nazismo: 1941, Galleria Statale Tret’jakov. L’invasione dell’Unione Sovietica Il 1941 fu per i tedeschi l’anno dei successi più spettacolari. Il Regno Unito non si era arreso, ma Hitler era padrone del continente. Poté dunque volgersi verso est, alla conquista di quei territori che egli stesso aveva indicato come necessari all’espansione del Reich millenario. In questa parte dell’Europa egli individuava il Lebensraum, lo «spazio vitale» destinato a soddisfare l’esuberanza demografica dei tedeschi e le loro necessità La campagna di Russia (1941-1942) FINLANDIA SVEZIA Leningrado Estonia Mosca Lettonia Lituania UNIONE SOVIETICA Ucraina Polonia Stalingrado SLOVACCHIA UNGHERIA ROMANIA Croazia Serbia Mar Nero BULGARIA TURCHIA Paesi dell’Asse Stati alleati dell’Asse Paesi dell’Asse Territori conquistati Stati alleati dell’Asse Paesi dell’Asse o occupati dall’Asse Stati alleati dell’Asse Territori conquistati o occupati dall’Asse Territori conquistati o occupati dall’Asse di risorse agricole e minerarie. Corollario di tale espansione sarebbe stata inoltre, come annunciato ripetutamente, la sottomissione violenta delle popolazioni slave, considerate «non ariane» e quindi inferiori. L’invasione dell’Unione Sovietica rappresentava un’impresa militare di eccezionale difficoltà. Non a caso gli stessi alti comandi dell’esercito tedesco la consideravano un azzardo. Tuttavia, la spinta ideologica di Hitler e del Partito nazista fu decisiva per vincere ogni resistenza dei militari: il 22 giugno 1941 – in spregio al patto di non aggressione firmato a Mosca nell’agosto del 1939 – scattò dunque l’«Operazione Barbarossa». Le dimostrazioni di forza offerte dall’esercito tedesco nel biennio 1939-1940 indussero tutti i governi d’Europa a pensare che Mosca avrebbe ceduto di schianto. E in effetti l’avanzata della Germania, sostenuta da tre milioni di uomini, 3000 carri armati e 10.000 aerei, fu all’inizio travolgente. Colta completamente di sorpresa, l’Armata Rossa (già indebolita nei suoi alti comandi dalle «purghe» staliniane) venne sopraffatta in enormi battaglie di accerchiamento, che le costarono in sei mesi circa quattro milioni di prigionieri. Ma se grandi erano le perdite, immense erano le risorse umane e materiali a disposizione dei sovietici, che non si arresero. Quando giunsero alle porte di Mosca, al principio del dicembre 1941, le truppe tedesche erano ormai esauste e a corto di soldati e mezzi: non equipaggiate per affrontare i rigori dell’inverno russo, dovettero arrestarsi. L’espansione giapponese nel Pacifico (1941-1942) 1915 Territori giapponesi nel 1941 Aleutine U R S S Offensive giapponesi Sahalin MONGOLIA Conquiste nel 1942 Manciuria Pechino Mentre l’esercito di Hitler si arenava in vista di Mosca, eventi fondamentali per le sorti della guerra si svolgevano nell’Oceano Pacifico. La mattina del 7 dicembre 1941, stormi di cacciabombardieri decollati dalle portaerei giapponesi attaccarono senza alcun preavviso la base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. Migliaia di uomini morirono e le più grandi corazzate della flotta furono affondate. Annichilita così la potenza marittima statunitense, il Giappone lanciò le sue truppe in operazioni a larghissimo raggio, che entro i primi mesi del 1942 gli assicurarono il controllo di Indocina, Filippine, Indie Olandesi, parte della Nuova Guinea e arcipelaghi del Pacifico. Tokyo poté in tal modo impadronirsi delle ricche risorse di queste regioni, essenziali al suo sforzo bellico. Il presidente americano Roosevelt premeva da tempo affinché il suo paese intervenisse a sostegno del Regno Unito contro la Germania. E aveva concesso a Londra ingenti rifornimenti militari a condizioni di favore, trasformando gli Stati Uniti nell’«arsenale delle democrazie». L’attacco a tradimento di Pearl Harbor colpiva ora gli americani come una frustata, strappandoli al torpore dell’isolazionismo. Il giorno dopo l’attacco, Roosevelt, finalmente sostenuto dall’opinione pubblica, dichiarò guerra al Giappone, chiamando i connazionali alla lotta. Nel giro di pochi mesi, il gigantesco sistema produttivo americano si sarebbe posto al servizio di un solo scopo: la vittoria contro le dittature. to Tripartito andarono più vicini a realizzare i propri scopi. Il Giappone – al motto propagandistico «l’Asia agli asiatici» – dominava l’intero sudest del continente e imponeva un ferreo protettorato politico ed economico. La Germania aveva ripreso l’offensiva contro l’Unione Sovietica: obiettivo erano il fiume Volga e i ricchi giacimenti petroliferi dell’area caucasica. L’attacco ebbe pieno successo e ancora una volta le truppe tedesche sembrarono inarrestabili. Italia e Germania insieme respinsero gli inglesi in Africa settentrionale, varcando la frontiera egiziana e mettendo in allarme Il Cairo. Grandi successi raccoglievano infine i tedeschi nella battaglia dell’Atlantico: gli U-Boot , protagonisti della guerra sottomarina lanciata da Hitler per affamare il Regno Unito, affondavano ogni mese centinaia di migliaia di tonnellate di rifornimenti destinati alla popolazione britannica. A tre anni dallo scoppio del conflitto Londra appariva sul punto di crollare. La massima espansione dell’Asse La svolta: Midway, Stalingrado, El-Alamein Nel settembre 1940, il Giappone si era unito a Germania e Italia nel Patto Tripartito, che aveva l’obiettivo di imporre un «nuovo ordine» autoritario all’Europa e all’Asia. Hitler e Mussolini dichiararono dunque guerra agli Stati Uniti all’indomani di Pearl Harbor e il conflitto europeo si trasformò in uno scontro di dimensioni mondiali. Il 1942 fu l’anno in cui i firmatari del Pat- Improvvisamente le sorti della guerra cambiarono e già nello stesso 1942 le forze dell’Asse furono costrette alla difensiva o, in alcuni casi, addirittura alla ritirata. Nel Pacifico, l’espansionismo nipponico venne fermato dagli Stati Uniti con le battaglie navali del Mar dei Coralli e delle isole Midway, tra i mesi di maggio e giugno. Pochi mesi dopo, con lo sbarco nell’isola di Gua- Corea C I N A GIAPPONE Tokyo Midway - Ryukyu Formosa Hawaii Marianne OCEANO Indocina Filippine Wake AT L A N T I CO Caroline Singapore Borneo Sumatra Pearl Harbor Marshall Gilber Nuova Guindea Giava © Loescher Editore – Torino 150 La Seconda guerra mondiale Salomone L’attacco di Pearl Harbor. U-Boot: dal tedesco Unterseeboot («nave sottomarina»). La flotta sottomarina tedesca inflisse danni notevoli al traffico mercantile nell’Oceano Atlantico, ma subì a sua volta enormi perdite. Tra 1939 e 1945 la Germania perse 743 U-Boot e 28.000 membri d’equipaggio (il 75% delle forze impiegate). © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 151 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto Manifesto inglese di propaganda con Winston Churchill. Le offensive alleate del 1943 Offensive militari angloamericane Offensive militari sovietiche Territori riconquistati dagli Alleati ilitari cane ilitari IRLANDA Territori riconquistati dagli Alleati FINLANDIA NORVEGIA SVEZIA Leningrado Estonia Lituania Londra Berlino GERMANIA Varsavia Praga Parigi Stalingrado Ucraina Kiev Rostov SLOVACCHIA FRANCIA SVIZZERA AUSTRIAUNGHERIA PO RTO G ALL O Croazia S PAG N A Roma ROMANIA Serbia BULGARIA ITA L I A Albania Algeri Marocco GRECIA TU RCH IA Tunisi Tunisia Algeria Tripoli Il Cairo Libia EGITTO dalcanal, le truppe americane cominciarono una tenace opera di riconquista dei territori occupati dal Giappone all’inizio dell’anno. In Unione Sovietica, la Germania si fermò davanti a Stalingrado. Ripetuti attacchi contro l’importante centro industriale sul Volga non valsero a conquistarlo. Anzi, in novembre fu l’Armata Rossa ad accerchiare le divisioni tedesche dislocate nell’area. La battaglia di Stalingrado, che durava da cinque mesi, si protrasse fino al 2 febbraio 1943 concludendosi con la disfatta dell’armata del feldmaresciallo Friedrich Paulus e con la distruzione del mito dell’invincibilità nazista. Anche nell’Oceano Atlantico ci fu una svolta: i convogli dei rifornimenti per il Regno Unito vennero protetti meglio dalle navi da guerra alleate, che disponevano ora di bombe di profondità più potenti e soprattutto del sonar, dispositivo in grado di individuare la presenza di sommergibili nemici in agguato. Diminuì il tonnellaggio affondato dagli U-Boot, e crebbe il numero dei sottomarini tedeschi distrutti. In Africa settentrionale, infine, il 23 ottobre 1942 gli inglesi guidati da Bernard Law Montgomery sferrarono a El-Alamein un attacco contro le truppe italo-tedesche, sgominandole. Cominciò allora per il corpo di spedizione dell’Asse una ritirata lunghissima, che avrebbe causato la perdita della Libia e si sarebbe conclusa solo con la resa. dell’Italia L’attacco degli Alleati all’Italia UNIONE SOVIETICA Mosca Lettonia REGNO UNITO 8.3 1943: la disfatta L’alleanza antifascista tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito Il 14 agosto 1941 – prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, che erano ancora formalmente neutrali – Winston Churchill e Franklin Roosevelt si erano incontrati nell’isola canadese di Terranova e avevano redatto la Carta Atlantica in risposta al Patto Tripartito. Questa dichiarazione doveva rappresentare il fondamento dell’ordine mondiale destinato a nascere dopo la sconfitta della Germania. I suoi punti essenziali erano il diritto dei popoli a scegliersi la forma di Stato e di governo, il rifiuto dell’autoritarismo, la libertà dei commerci, la rinuncia all’uso delle armi e l’impegno alla cooperazione nei rapporti internazionali. [Testimonianze documento 7, p. 173] L’attacco giapponese a Pearl Harbor proiettò gli Stati Uniti nella guerra mondiale e non fece che rafforzare nei leader occidentali i propositi stabiliti dalla Carta Atlantica. Nasceva una improbabile alleanza: Churchill e Roosevelt, alla guida di potenze democratiche e capitaliste, marciavano assieme a Stalin, dittatore di un paese comunista. Tale enorme differenza avrebbe generato negli anni successivi non poche tensioni, per poi esplodere dopo il 1945. La necessità di abbattere la Germania nazista e i suoi alleati tuttavia era sufficiente a tenere provvisoriamente uniti i tre uomini di Stato. Churchill e Roosevelt si incontrarono nuovamente al principio del 1943, nella città marocchina di Casablanca. Stalin, che aveva fino ad allora sostenuto quasi da solo il peso dell’assalto nazista, chiedeva insistentemente l’apertura di un secondo fronte in Europa. E i due leader occidentali scelsero l’Italia come obiettivo di questa mossa. I soldati dell’Asse in Africa settentrionale erano infatti presi in una morsa tra gli inglesi e gli americani, appena sbarcati in Marocco e Algeria. Italiani e tedeschi, ritiratisi fino alla Tunisia, dovettero arrendersi nel maggio 1943 e la loro disfatta aprì agli Alleati le porte dell’Italia meridionale. Neanche la propaganda mussoliniana poté nascondere la debolezza militare del nostro paese, che appariva il fianco più facilmente attaccabile della fortezza europea dominata da Hitler. La caduta del fascismo Una delle conseguenze dei gravi insuccessi militari fu l’indebolimento del regime fascista. L’Italia si dibatteva in quei mesi in grandi difficoltà. L’impero era andato perduto. Centinaia di migliaia di uomini avevano trovato la morte o la prigionia nei campi di battaglia, subendo umilianti sconfitte nello scontro con eserciti meglio addestrati ed equipaggiati. Le città soffrivano il martellante bombardamento degli aerei inglesi e americani, mentre il razionamento alimentare costringeva la popolazione alla fame. La fiducia degli italiani nel fascismo era ormai del tutto svanita e sarebbe bastato poco a far precipitare la situazione. Nella notte tra 9 e 10 luglio 1943, gli Alleati sbarcarono in Sicilia con 200.000 uomini e mezzi soverchianti, conquistando l’isola nel giro di poche settimane. Agli stessi gerarchi fascisti la guerra sembrava persa. Fu così che il 25 luglio, durante una drammatica riunione del Gran consiglio, Mussolini venne messo in minoranza dai suoi collaboratori, che gli chiesero di farsi da parte e lasciare il comando dell’esercito al re. Solo in tal modo, si pensava, sarebbe stato possibile chiedere agli Alleati l’armistizio e ottenere un’onorevole via d’uscita dal conflitto. Quel pomeriggio il duce fu convocato da Vittorio Emanuele III, destituito e arrestato. La notizia della caduta del regime si diffuse immediatamente per tutta Italia, accolta da straordinarie manifestazioni di entusiasmo. Il fascismo, che pure aveva contato in passato su un notevole consenso popolare, non trovò in quelle ore nessuno pronto a difenderlo. Troppo forte era il peso delle sofferenze materiali e morali che da tre anni gravavano sugli italiani. Le promesse del regime di una guerra breve e vittoriosa non si erano realizzate. Al contrario, la guerra era stata lunga, sanguinosa e piena di sconfitte. I simboli della dittatura – statue, fasci littori, ritratti di Mussolini – vennero ovunque sfregiati e abbattuti, il Partito nazionale fascista fu sciolto e i gerarchi arrestati. Il governo del paese fu affidato, su ordine del re, al maresciallo Pietro Badoglio, che dichiarò illegale il Partito fascista, senza peraltro riconoscere la legalità degli altri partiti, e si affrettò a rassicurare l’alleato tedesco sulla fedeltà dell’Italia. L’armistizio e l’8 settembre La pace e la fine delle sofferenze legate alla guerra erano invece proprio ciò che gli italiani volevano. Per questo Badoglio intavolò trattative segrete con gli anglo-americani, sfociate nell’armistizio firmato a Cassibile, presso Siracusa, il 3 settembre 1943. Per riuscire a porre fine all’alleanza con i tedeschi, Badoglio avrebbe dovuto agire immediatamente, in modo da evitare possibili reazioni da parte della Germania. Invece si comportò con ambiguità e lentezza. Quando ci fu l’annuncio della conclusione dei combattimenti via radio, la sera dell’8 settembre, il paese precipitò nel caos e la situazione dei militari italiani divenne critica. I militari sparsi nei vari teatri di guerra non avevano ricevuto istruzioni e furono abbandonati a se stessi. Ogni reparto decise autonomamente cosa fare. I tedeschi, che nei mesi estivi avevano dislocato nella penisola diverse divisioni, accolsero la notizia della pace separata degli italiani come un tradimento. Occuparono Roma e catturarono in tutta Europa circa 600.000 soldati italiani, passando immediatamente per le armi quanti non volevano consegnarsi: è quel che accadde, per esempio, nell’isola di Cefalonia, in Gre- © Loescher Editore – Torino 152 1915 La Seconda guerra mondiale armistizio: accordo tra Stati che sospende i combattimenti. La sospensione può riguardare uno solo o tutti i fronti, può essere a termine o indeterminato. Tuttavia, la fine vera e propria di una guerra avviene con la firma di un trattato di pace. Maresciallo Pietro Badoglio. © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 153 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto Mussolini viene liberato dalla sua «detenzione» presso l’albergo-rifugio di Campo Imperatore, sul Gran Sasso, 1943. cia, dove fu massacrata l’intera divisione Acqui. Il re Vittorio Emanuele III e Badoglio abbandonarono la capitale e si rifugiarono a Brindisi, mettendosi sotto la protezione degli Alleati, appena sbarcati in Puglia e in Campania. Questi fatti evidenziarono il disordine in cui versavano le istituzioni, la mancanza di responsabilità, il pressapochismo di chi doveva guidare il paese e l’indifferenza per la sorte di sudditi e sottoposti. Mentre l’incertezza regnava sovrana, i cittadini percepirono chiaramente tutto ciò. Ecco perché l’8 settembre 1943 è ricordato come la pagina più vergognosa (per la monarchia e il governo) e dolorosa della storia italiana contemporanea. L’Italia spaccata in due mezzi anfibi: mezzi adatti a muoversi sia sull’acqua che sulla terraferma. Di piccole dimensioni e carichi di soldati o armi venivano scaricati dalle navi in prossimità della costa per dirigersi verso le spiagge e alimentare continuamente l’invasione. Legionari della Repubblica di Salò, 1943, Milano, Museo di Storia Contemporanea. Tweet Storia p. 430 Il 1943 cominciò per l’Italia in maniera drammatica e si chiuse tragicamente: alla fine dell’anno, il paese appariva spaccato in due, percorso da eserciti stranieri e dilaniato dalla guerra civile. Il Nord venne occupato dai tedeschi. Mussolini, liberato il 12 settembre dalla prigionia sul Gran Sasso (in Abruzzo), fu posto dai tedeschi a capo di un nuovo partito, il Partito fascista repubblicano, e di un nuovo Stato (fantoccio dei tedeschi): la Repubblica sociale italiana, con capitale a Salò, sul lago di Garda. L’obiettivo del duce e delle migliaia di volontari che corsero a combattere sotto la sua bandiera era salvare l’onore degli italiani continuando la guerra accanto alla Germania di Hitler. Ma nella stessa Italia centro-settentrionale, in quei mesi, molti altri uomini e donne scelsero di lottare per un diverso scopo: la libertà individuale e l’abbattimento della dittatura. I «partigiani», come vennero chiamati, diedero vita al movimento armato popolare della Resistenza, che si oppose a nazisti e fascisti in continue azioni di guerriglia e che avrebbe trovato pieno sviluppo nel 1944 e nel 1945. A Sud, intanto, il governo Badoglio cercava di rimettere in funzione le strutture dello Stato e dichiarava guerra alla Germania. Gli anglo-americani risalivano lentamente la penisola, ma senza riuscire a sfondare le linee nemiche, attestatesi poco sopra Napoli (sulla «Linea Gustav»). I tedeschi resistevano strenuamente e l’anno si chiuse, dal punto di vista militare, in situazione di stallo. 8.4 1944-1945: la vittoria degli Alleati Gli Alleati passano all’attacco Contro una Germania ormai logorata emergeva l’enorme potenziale umano e industriale dell’URSS: entro il 1943, l’esercito tedesco fu cacciato dal territorio sovietico. Nel novembre di quello stesso anno, in occasione della Conferenza di Teheran, Stalin incontrò per la prima volta Roosevelt e Churchill. E ottenne finalmente dai leader delle due potenze democratiche la promessa che in tempi brevi avrebbero inferto alla Germania un colpo decisivo. Fu così che il 6 giugno 1944 prese avvio la gigantesca «Operazione Overlord» , lungamente preparata. Dieci divisioni americane, britanniche e canadesi, comandate dal generale statunitense Eisenhower e supportate da 1.200 navi da guerra, 6.500 mezzi anfibi e 13.000 aerei, diedero vita sulle spiagge della Normandia al più grande sbarco della storia. La pressione di una tale massa di uomini e armi fu per i tedeschi insostenibile. Gli Alleati mantennero e allargarono tenacemente la testa di ponte, fino a sfondare le linee nemiche e dilagare in Francia. Il 25 agosto, dopo quattro anni di occupazione, Parigi fu liberata. In autunno fu la volta del Belgio. Entro Natale, i confini della stessa Germania erano minacciati a ovest dagli angloamericani e a est dai sovietici, che nel corso del 1944 avevano respinto i tedeschi da gran parte dei territori occupati dell’Europa centro-orientale. La campagna d’Italia In Italia il fronte si mosse lentamente. L’ultimo degli sbarchi alleati si svolse ad Anzio, nel gennaio 1944, ma solo il 4 giugno gli anglo-americani riuscirono a liberare Roma, dove vennero accolti dalla folla in festa. Pochi giorni dopo Vittorio Emanuele III cedette la guida del regno al figlio Umberto. Il sovrano era pressato dai partiti politici, che avevano ripreso la loro attività e volevano l’abdicazione del re, convinti che al termine del conflitto sarebbe toccato al popolo scegliere la forma di Stato della nuova Italia. In settembre, l’avanzata degli Alleati si interruppe di nuovo a cavallo dell’Appenni- no tosco-emiliano (sulla cosiddetta «Linea Gotica»), e i mesi successivi furono per il nostro paese i peggiori della guerra. I tedeschi colpirono città e villaggi con rappresaglie e massacri indiscriminati di uomini, donne e bambini, mentre la lotta fratricida tra italiani toccò punte di ferocia straordinaria. Il 9 aprile 1945 scattò infine l’offensiva anglo-americana decisiva. Le truppe alleate dilagarono per la pianura padana e raggiunsero tutte le maggiori città del Nord. Da molte di esse i tedeschi erano già fuggiti, cacciati da un’insurrezione popolare guidata dalla Resistenza e scoppiata il 25 aprile: giorno che oggi celebriamo come quello della liberazione dal nazifascismo. Le truppe tedesche si arresero in Italia il 28 aprile. Lo stesso giorno, Mussolini fu catturato nei pressi di Como e giustiziato dai partigiani mentre tentava la fuga in Svizzera insieme all’amante Claretta Petacci. Il suo corpo fu esposto a Piazzale Loreto, a Milano: macabro trofeo, oltraggiato e percosso dalla folla, di una guerra tragica. La Conferenza di Yalta Ormai quasi piegata la resistenza dell’Asse, nel febbraio 1945 Stalin, Churchill e Roosevelt si incontrarono di nuovo, questa volta nella città di Yalta, in Crimea. Qui discussero del futuro assetto d’Europa, stabilendo innanzi tutto che la Germania sconfitta sarebbe stata divisa in quattro zone d’occupazione e che i suoi capi politici sarebbero stati processati come criminali di guerra. Stabilirono inoltre il diritto dei paesi liberati dall’occupazione nazista a scegliere autonomamente la propria forma di governo. E si accordarono sulle regole di funzionamento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che sarebbe nata di lì a poco, nel mese di giugno, a San Francisco. La Conferenza di Yalta sembrò evidenziare il desiderio delle maggiori potenze di cooperare nella creazione di un nuovo ordine mondiale. Ma nei fatti esse scelsero poi di perseguire il proprio interesse particolare. Furono nei mesi seguenti le decisioni di Stalin a gettare la discordia tra i vincitori della guerra: egli volle infatti imporre nei paesi liberati dall’Armata Rossa partiti e regimi strettamente filosovietici. Questa politica era destinata ad aprire un profondo solco L’Italia divisa in due dalla linea Gustav (1943-1944) e dalla Linea Gotica (1944-1945) SV I Z Z E RA FRANCIA Milano Torino 1915 Offensive militari angloamericane AUSTRIA Bolzano Udine Trieste Genova La Spezia Pisa Livorno Zone della Resistenza Offensive militari angloamericane Salò Zone della Resistenza Bologna Rimini PesaroM Firenze a Città insorte Linea Gustav Linea Gotica I UGOSL AVIA re A Montenegro d Terni ri at Chieti Termoli ic Roma Cassino o Anzio Albania Gaeta Brindisi Salerno Napoli Taranto Perugia Corsica Sardegna Cagliari M a r T i r r e n o Palermo Messina Agrigento Tunisi S i c i li a Reggio Calabria Siracusa Mar Ionio Pachino tra Mosca, Londra e Washington e avrebbe presto portato alla divisione dell’Europa in due sfere d’influenza, sottoposte l’una all’Unione Sovietica e l’altra agli Stati Uniti. Il crollo della Germania e la fine del nazismo Nella Germania accerchiata e prossima alla sconfitta solo un ristretto gruppo di ufficiali cercò di rompere il dominio assoluto di Hitler (il 20 luglio 1944 un attentato contro il Führer era fallito e i responsabili catturati e impiccati). Churchill, Roosevelt e Stalin alla conferenza di Yalta (Crimea), febbraio 1945. © Loescher Editore – Torino 154 La Seconda guerra mondiale © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 155 nquistati nel 1943 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto L’avanzata degli Alleati e la sconfitta dell’Asse (1944-1945) Territori riconquistati dagli Alleati nel 1943 Offensive militari angloamericane Offensive militari sovietiche Nel 1944 Nel 1945 Offensive militari angloamericane Offensive militari sovietiche FINLANDIA NORVEGIA Leningrado SVEZIA Estonia REGNO UNITO Londra DANIMARCA Berlino GERMANIA Parigi Nizza Varsavia UNIONE SOVIETICA Stalingrado Kiev Praga FRANCIA SPAGNA Mosca Lettonia Lituania AUSTRIA ROMANIA Croazia Serbia ITALIA BULGARIA Yalta Roma Algeri MAROCCO Algeria ogni maschio tra i 16 e i 60 anni. La superiorità degli Alleati era schiacciante e alla fine di marzo 1945 le loro divisioni conquistarono il cuore della Germania, mentre terribili bombardamenti a tappeto riducevano in cenere città come Amburgo, Dresda e Colonia. Adolf Hitler si uccise, insieme alla sua compagna Eva Braun , il 30 aprile nel bunker sotterraneo della cancelleria, a Berlino, mentre la capitale cadeva in mano sovietica. La resa della Germania giunse pochi giorni dopo, il 9 maggio 1945, dopo quasi sei anni di terribili stragi. GRECIA Tunisi TU RC H IA Tunisia Tripoli Il Cairo Libia V2: abbreviazione dell’espressione tedesca Vergeltungswaffe 2 («arma di ritorsione 2»). Circa 1400 V2 furono lanciate verso la Gran Bretagna dalla base di Peenemünde, nella Germania settentrionale. Le V2 sono considerate i primi missili balistici della storia e progenitori dei moderni razzi spaziali. EGITTO Hitler trascorse gli ultimi mesi del conflitto sempre più isolato e sempre meno lucido; ora facendo affidamento su armi segrete come le V2 , i razzi carichi di esplosivo lanciati su Londra; ora sperando che si spezzasse l’alleanza tra democrazie e comunismo; ora lanciando gli ultimi uomini e mezzi disponibili in offensive fallimentari. A niente valse l’ordine impartito ai tedeschi di resistere a tutti i costi e l’arruolamento di kamikaze: termine che in giapponese significa «vento divino» e che nel corso della guerra indicava gli aviatori nipponici che si scarificavano lanciandosi con il proprio aereo contro il nemico. Questa parola è ancora oggi usata per indicare attacchi suicidi di tipo bellico o terroristico. Dossier 6 p. 402 Tweet Storia p. 430 Il fungo atomico nell’esplosione di Hiroshima, 6 agosto 1945. La resa del Giappone Conclusa in Europa, la guerra continuava nel teatro del Pacifico. Qui gli Stati Uniti avevano riconquistato, tra 1943 e 1944, molti territori importanti: dalle Filippine alla Birmania (assieme agli inglesi), dalla Nuova Guinea agli arcipelaghi oceanici. I giapponesi lottavano tuttavia sempre fino all’ultimo uomo e ogni battaglia costava numerosissime vite umane. Questo accadeva ancora al principio del 1945, nelle battaglie per le isole di Iwo Jima e Okinawa, in territorio nipponico: Tokyo resisteva, nonostante il sacrificio dei kamikaze – che si gettavano con i loro aerei sulle navi nemiche –, l’annientamento della flotta imperiale, la distruzione delle città bombardate e la minaccia al suolo nazionale. Gli Stati Uniti erano allora guidati da un nuovo presidente: Harry Truman, successore di Roosevelt, morto il 12 aprile. L’invasione del Giappone era già stata pianificata e si sapeva che si sarebbe trasformata in un bagno di sangue a causa della strenua resistenza nipponica. Proprio per evitare questo prevedibile massacro, e per lanciare a Mosca un segnale sullo straordinario potere militare acquisito dagli Stati Uniti, Truman ordinò l’utilizzo di una nuova arma: la bomba atomica. D6 Il 6 e 9 agosto 1945, due bombe atomiche vennero sganciate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, che furono in pochi secondi cancellate dalla faccia della Terra. La morte immediata di oltre 150.000 persone e la lenta agonia di coloro che erano stati esposti alle radiazioni atomiche costrinsero l’imperatore Hirohito a chiedere l’armistizio. Con la resa del Giappone, il 2 settembre terminava la Seconda guerra mondiale. 8.5 La guerra contro gli «uomini» Una «guerra totale» La Seconda guerra mondiale fu una «guerra totale», per diversi motivi: • toccò tutti i continenti e provocò oltre 50 milioni di morti; • impegnò allo stremo ogni settore dell’economia e della società dei paesi coinvolti; • vinse chi meglio resistette alla fame, alla paura, alla disperazione, sfruttando senza risparmio le risorse a disposizione. La tecnologia, in particolare, si mise al servizio delle esigenze belliche e determinò in modo sostanziale l’esito del conflitto. Tra 1939 e 1945 furono impiegati nel modo più efficace armi già esistenti, come il carro armato, la portaerei e il sottomarino. E fecero la loro comparsa nuovi dispositivi come il radar e il sonar, e nuovi strumenti di morte come il bombardiere a lungo raggio e la bomba atomica. Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki stordì l’opinione pubblica mondiale: l’uomo aveva raggiunto un limite pericoloso, rendendo concreto il rischio della sua autodistruzione. Gli sforzi produttivi furono ovunque eccezionali. Ma nemmeno la riduzione in schiavitù di milioni di prigionieri permise a Germania, Italia e Giappone di avvicinarsi agli Alleati, che fabbricarono aerei, cannoni, navi e mezzi corazzati in quantità tre volte superiore agli avversari. La prova che si era trattato di una «guerra totale» venne però dal coinvolgimento diretto delle popolazioni civili. Le stragi di civili Per la prima volta nella storia, il numero dei morti tra i comuni cittadini fu tanto elevato da poter essere paragonato alle perdite militari. Uno scontro «totale» esigeva infatti la distruzione non solo delle risorse belliche nemiche, ma anche della sua fibra morale, della sua resistenza psicologica: uomini e donne senza divisa erano perciò destinati a pagare in prima persona il prezzo del conflitto. Le popolazioni civili, colpite in maniera indiscriminata da bombardamenti, rappresaglie, requisizioni, assedi e violenze di ogni tipo, divennero dunque un obiettivo militare primario. Disegno di R. Guttuso raffigurante soldati nazisti che uccidono a raffiche alcuni partigiani italiani. È sufficiente qualche esempio per dare l’idea dell’entità del fenomeno. Nel corso dell’avanzata in Unione Sovietica, tra 1941 e 1942, gli Einsatzgruppen o «Gruppi d’assalto» tedeschi massacrarono circa 700.000 persone: avevano infatti ricevuto l’ordine di ripulire il territorio da commissari politici comunisti, civili ostili, partigiani ed ebrei. A Roma, il 24 marzo 1944, in risposta a un attentato che causò la morte di 33 soldati tedeschi, gli occupanti fucilarono alle Fosse Ardeatine 335 ostaggi catturati nel ghetto ebraico. Nei mesi successivi, durante la ritirata in Italia, le truppe naziste si macchiarono di numerosi eccidi: 560 vittime a Sant’Anna di Stazzema (in provincia di Lucca) il 12 agosto, 770 a Marzabotto (sull’Appennino bolognese) tra 29 settembre e 5 ottobre. Queste atrocità furono appannaggio quasi esclusivo della Germania nazista, ma nessun governo risparmiò i civili inermi. Nel 1945, ai soldati sovietici che entravano nella Germania fu lasciata libertà di saccheggio: essi portarono così a compimento la vendetta per l’oltraggio subito dalla madrepatria negli anni precedenti. Dal canto loro, gli aerei anglo-americani sganciarono nel corso della guerra due milioni di tonnellate di bombe sulle città europee, e la sola Dresda subì il 14 febbraio 1945 65.000 morti. Il 10 maggio dello stesso anno, un bombardamento a tappeto su Tokyo provocò quasi 150.000 vittime. A © Loescher Editore – Torino 156 1915 La Seconda guerra mondiale Album p. 162 © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 157 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto Campo di concentramento di Buchenwald, 1945. La Seconda guerra mondiale inaugurò una tendenza che si sarebbe rafforzata nel resto del Novecento: secolo di guerre e, per i civili, di stragi e sofferenze inaudite. La distruzione degli ebrei: censimento, espropriazione, ghettizzazione Il «nuovo ordine» nazista si fondava su presupposti ideologici e razziali precisi. Da essi discendevano i due maggiori obiettivi della Lo sterminio degli ebrei in Europa FINLANDIA NORVEGIA SVEZIA 0,7 Leningrado Estonia URSS Lettonia DANIMARCA REGNO UNITO Londra 104 PAESI BASSI BELGIO Parigi 60 FRANCIA Vichy Mosca Lituania Danzica Sachsenhausen Berlino Chelmno 700 Treblinka Sobibor 160 GERMANIA Maldanek Terezin 2350 Buchenwald Belzec 133 Auschwitz Mauthausen 58 Dachau Vienna SVIZZERA UNGHERIA AUSTRIA 180 200 25 3 Croazia 8,5 SPAGNA 55 ITALIA Roma Kiev ROMANIA Serbia BULGARIA Montenegro Albania 57 TURCHIA G R E CI A Algeria (Fr.) Tunisia (Fr.) Cipro Malta (R.U.) 60 (R.U.) Campi di concentramento Paesi dell’Asse Campi di sterminio Campi di sterminio (prima del 1939) Numero di ebrei sterminati nella regione (in migliaia) Stati alleati dell’Asse Territori conquistati o occupati dall’Asse Paesi in guerra contro l’Asse Paesi neutrali guerra di Hitler: conquistare a est i territori necessari all’edificazione del Reich millenario e eliminare tutti i nemici della stirpe «ariana». Comunisti, Rom, oppositori religiosi, Testimoni di Geova, soldati catturati sul campo di battaglia, omosessuali di ogni nazionalità vennero chiusi nei campi di concentramento e sfruttati con il lavoro fino alla morte. Le vittime principali di tale politica furono tuttavia gli ebrei, al cui annientamento la Germania si dedicò con ferocia impressionante. All’inizio, spesso le autorità ebraiche cercarono il compromesso con i nazisti, o addirittura collaborarono nel governo delle comunità israelitiche dei ghetti. Non realizzavano quale disumano trattamento li attendeva. A partire dal 1939, la popolazione ebraica dei paesi occupati venne dapprima censita e obbligata a portare al braccio o sul bavero la stella gialla simbolo della discriminazione razziale. Poi fu esclusa dalla vita pubblica e privata dei propri beni. Infine venne deportata in Polonia, dove fu isolata nei ghetti costruiti nelle città di Varsavia, Cracovia, Lodz e Lublino. Già durante la prima fase della guerra, si verificarono atrocità indicibili: basti ricordare il massacro di Babi Yar, la località ucraina nei pressi di Kiev in cui, tra 29 e 30 settembre 1941, le truppe tedesche uccisero 33.770 civili ebrei. Non mancarono nemmeno straordinari episodi di ribellione, sempre brutalmente repressi. Ricordiamo il maggiore, dell’aprile 1943: quando divenne chiaro che il loro destino finale era l’annientamento, i 50.000 ebrei superstiti di Varsavia si ribellarono e il ghetto fu distrutto dai tedeschi a colpi di cannone. I morti furono 7000 e i sopravvissuti vennero catturati e deportati nei campi di concentramento. Anche l’Italia rimase coinvolta nel piano nazista di distruzione della popolazione ebraica europea. Già discriminati dalle leggi razziali del 1938, gli ebrei italiani corsero un concreto pericolo di vita dopo l’8 settembre 1943. L’uscita del nostro paese dalla guerra e la conseguente occupazione nazista del centro-nord si tradussero in rastrellamenti e deportazioni. L’episodio maggiore e più famoso fu, in questo quadro, il rastrellamento del quartiere ebraico di Roma, il 16 ottobre 1943. In quell’occasione, 1022 ebrei furono catturati e deportati ad Auschwitz, dove trovarono la morte. [Testimonianze documento 8, p. 173] La «soluzione finale» La «soluzione finale» del problema razziale, vale a dire la sistematica eliminazione degli ebrei d’Europa nei campi di sterminio, prese piede a partire dal 1942. Il 20 gennaio 1942, durante la conferenza di Wannsee, svoltasi a Berlino, i vertici nazisti decisero l’eliminazione fisica della popolazione ebraica europea, calcolata allora in oltre 10 milioni di individui. Venne messa a punto la complessa macchina organizzativa e burocratica necessaria a praticare l’uccisione in tempi rapidi di grandi masse di individui. E furono perfezionati gli strumenti tecnologici indispensabili al medesimo scopo. I nazisti adibirono allo sterminio degli ebrei i sei centri di Belzec, Treblinka, Sobibor, Majdanek, Chelmno e Auschwitz, il più grande di tutti. Tutti dislocati in Polonia, divennero – grazie a camere a gas e forni crematori – efficienti macchine della morte. In essi gli ebrei confluivano direttamente dai ghetti urbani o dai numerosi campi di lavoro forzato che costellavano la carta dell’Europa centroorientale. La stessa Auschwitz era insieme campo di lavoro e di sterminio. All’arrivo, chi veniva giudicato adatto (in media uno su cinque) era destinato alle fabbriche impegnate nella produzione bellica: qui era sfruttato fino allo sfinimento e poi ucciso. Tutti gli altri invece finivano direttamente nelle camere a gas. A occuparsi di tutto per conto del regime hitleriano furono le SS, comandate da Heinrich Himmler e dotate nell’est conquistato di poteri illimitati. Nel complesso i tedeschi uccisero circa sei milioni di ebrei, originari di ogni parte d’Europa ma in massima parte di cittadinanza polacca o russa, riuscendo quasi a cancellarne la presenza nel vecchio continente. Fu un vero e proprio genocidio , la distruzione pianificata e tenacemente perseguita di un intero popolo: la Shoah, la «catastrofe», come la chiamano oggi gli ebrei. [ I NODI DELLA STORIA p. 160] La Resistenza europea Il 18 giugno 1940, all’indomani della caduta della Francia, un generale sconosciuto di nome Charles de Gaulle lanciò da Londra un appello radiofonico ai suoi compatrioti affinché prendessero le armi contro l’occu- pante tedesco. Nacque in questo modo la Resistenza europea alla Germania di Hitler: non solo i francesi, infatti, ma anche molti altri popoli oppressi combatterono negli anni seguenti il nazismo trionfante. In Francia i maquisards lottarono a lungo e pagarono un alto tributo di sangue, animando un vero movimento popolare di opposizione allo straniero. In Italia i partigiani si organizzarono dopo l’8 settembre 1943, contrastando validamente l’occupazione tedesca del centro-nord della penisola. Nell’aspro territorio montano della Iugoslavia, le formazioni guidate da Josip Broz (Tito) fornirono un contributo decisivo alla cacciata delle truppe naziste. In Polonia, i partigiani diedero vita alla tragica insurrezione di Varsavia: scoppiata il 1° agosto 1944, fu repressa dai tedeschi e si concluse con la morte di 180.000 civili. In Unione Sovietica, la guerriglia alle spalle del fronte mise perennemente a rischio le linee di rifornimento della Germania: e qui la repressione tedesca contro quelli che venivano chiamati «banditi» fu particolarmente feroce. Sebbene nutrissero ideali politici assai differenti tra loro, uomini e donne della Resistenza lottavano per un solo obiettivo: la libertà del proprio paese dall’invasore straniero e l’abbattimento della dittatura. Per questo i partigiani dell’intero continente vengono oggi considerati tra i fondatori della moderna Europa democratica. Il loro sacrificio si pone infatti – accanto allo sforzo bellico alleato – alla base della pace che i nostri popoli sperimentano ormai da quasi settant’anni. 1915 maquisards: in francese maquis significa «macchia», «boscaglia» e i maquisards erano i partigiani francesi che si davano alla macchia (cioè si nascondevano) per combattere l’occupante tedesco. Deportati in fila all’entrata di un campo di concentramento. I partigiani italiani Nata spontaneamente dopo l’armistizio, la Resistenza italiana contava circa 80.000 militanti nell’estate del 1944 e 200.000 sul finire della guerra, nella primavera del 1945. Animati da ideali politici differenti, i partigiani si divisero in brigate di differente colore. Le Brigate Garibaldi erano comuniste, le Brigate Matteotti socialiste, le formazioni di Giustizia e Libertà si rifacevano al Partito d’Azione. C’erano anche gruppi cristianodemocratici, monarchici e autonomi. A guidare le scelte della Resistenza furono i partiti politici, che ripresero a operare dopo la caduta del fascismo: in parte nuovi – come la Democrazia cristiana o appunto il Partito © Loescher Editore – Torino 158 La Seconda guerra mondiale genocidio: secondo la definizione data dall’ONU nel 1948, il termine indica «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». © Loescher Editore – Torino 1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus 1922 La BBC inizia le trasmissioni radio 1929 Fleming scopre la penicillina 1942 Fermi realizza la prima pila atomica 1945 159 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto d’Azione –, in parte nati già in epoca liberale, si raccolsero nel Comitato di liberazione nazionale (CLN). Spesso divisi sulle scelte politiche da praticare nell’Italia del dopoguerra, furono tuttavia uniti per l’intera durata del conflitto resistenziale dall’esigenza di abbattere nazismo e fascismo. I partigiani non avevano divise, non portavano gradi, il loro equipaggiamento era scarso. Ognuno combatteva con le armi a disposizione, spesso strappate al nemico. Per la prima volta, le donne parteciparono attivamente alle operazioni belliche: molte imbracciarono le armi o scelsero il pericoloso ruolo di staffette, muovendosi con ordini e messaggi tra una brigata e l’altra. Sfidando il freddo, la mancanza di rifornimenti e il rischio di Gruppo di partigiani italiani impegnati in un combattimento a fuoco in una città del Nord. essere uccisi o catturati dai tedeschi, i partigiani si batterono principalmente in montagna e nelle campagne, ma non solo. Nelle città, invece, molti uomini e donne protessero con grave rischio personale ebrei, oppositori politici, ricercati dalla polizia, e fecero da informatori per i partigiani che scendevano a valle e colpivano i nazifascisti. Il 25 aprile 1945, il CLN dell’Alta Italia chiamò tutti alla rivolta e l’insurrezione generale divampò nelle città del nord. I tedeschi furono costretti a difendersi fuggendo spesso prima dell’arrivo degli Alleati: così accadde a Modena, Genova, Milano, Torino e Venezia. Il 28 aprile, le truppe naziste si arresero. Finita la battaglia, rimaneva la certezza di essersi sacrificati per la libertà dell’Italia e degli italiani, ma restavano anche tanti dubbi e ferite aperte: dubbi generati dalle incertezze sul futuro; ferite provocate dalla guerra fratricida, combattuta da italiani contro altri italiani. Per vincere i primi e risanare le seconde sarebbe stato necessario molto tempo. Perché avvenne la Shoah? 160 © Loescher Editore – Torino 1940 Ingresso in guerra dell’Italia 1941 Invasione tedesca della Russia 1941 Attacco giapponese a Pearl Harbor 1942 I nazisti danno inizio alla Shoah 1942 Regno Unito, USA e URSS alleati contro il nazifascismo I NODI DELLA STORIA Non c’è dubbio che il tentativo di distruggere gli ebrei d’Europa – tentativo, purtroppo, in gran parte riuscito – sia da considerarsi la più sconvolgente e vergognosa vicenda del secolo XX, se non dell’intera storia umana. Qualcosa di molto vicino, come hanno autorevolmente sostenuto moltissimi intellettuali del Novecento, al Male assoluto. Esiste, addirittura, un problema nel definirlo linguisticamente: il popolare termine «Olocausto» è poco amato, per ottime ragioni, dal mondo ebraico. Nel linguaggio biblico l’Olocausto è l’offerta religiosa fatta a Dio e il suo accostamento al crimine nazista può essere visto come inadeguato se non offensivo. D’altronde la popolarità del termine in riferimento allo sterminio degli ebrei d’Europa è relativamente recente. Pur essendo stato usato anche in precedenza, è dalla fine degli anni Settanta che si è diffuso genericamente presso l’opinione pubblica, anche alla luce del successo di un fortunato sceneggiato televisivo americano (Holocaust) la cui trasmissione in Germania sconvolse una nazione che, negli anni precedenti, aveva in parte preferito dimenticare. La fortuna, d’altronde, del più utilizzato termine di derivazione ebraica Shoah (letteralmente: «catastrofe», «disastro»), pur essendo comprensibile, ha il difetto forse di mettere in ombra i cosiddetti «genocidi» dimenticati della Seconda guerra mondiale: l’assassinio di massa degli zingari, degli omosessuali, dei malati di mente e dei disabili. Un altro problema molto importante è quello che riguarda il 1939 Invasione tedesca della Polonia dibattito storico intorno alle origini della cosiddetta «Soluzione finale». Sostanzialmente gli storici contemporanei, pur in presenza di molte sfumature differenti, si dividono in due grandi approcci interpretativi. Da una parte ci sono i cosiddetti «intenzionalisti»; costoro ritengono che il progetto genocida fosse non solo ideologicamente ma anche progettualmente presente nel disegno del Partito nazista sin dagli anni Venti, cioè prima della sua presa del potere. L’antisemitismo nazionalsocialista, secondo questi storici, non sarebbe stato quindi uno degli elementi, probabilmente il più inquietante, del programma hitleriano, ma l’obiettivo fondamentale e assoluto. I carnefici tedeschi, di conseguenza, furono «volenterosi» nell’eseguire gli ordini; zelanti nell’applicare le direttive e, soprattutto, mai avrebbero pensato che l’esito della soluzione della questione ebraica avrebbe potuto essere differente. Diverso è l’approccio dei cosiddetti «funzionalisti». Costoro, pur non negando le violenze e gli assassini di massa prima del 1942, anno in cui lo sterminio fu ufficialmente ordinato, ritengono che la scelta genocida si sia concretizzata solo dopo che le gerarchie si erano rese conto dell’impossibilità di perseguire soluzioni alternative, come la deportazione in altri territori. Un progetto preparato da Adolf Eichmann (il criminale nazista catturato e processato, con grande clamore, dagli israeliani all’inizio degli anni Sessanta) prevedeva, addirittura, la deportazione degli ebrei europei nell’isola del Madagascar. 1943 Caduta del fascismo e armistizio La Seconda guerra mondiale 1 Nella prima fase della Seconda guerra mondiale, la «guerra lampo» consente a Hitler di impadronirsi entro il 1941 di quasi tutta l’Europa. La Seconda guerra mondiale scoppiò il 1° settembre 1939, con l’invasione nazista della Polonia. La «guerra lampo» basata su mezzi corazzati e aerei diede alla Germania straordinarie vittorie. In due anni, oltre alla Polonia, anche Danimarca, Norvegia, Francia, Olanda, Belgio, Grecia e Iugoslavia caddero in mani tedesche. Solo il Regno Unito di Winston Churchill resistette a Hitler. E mentre Mussolini nel 1940 portava l’Italia in guerra con esiti disastrosi – in Africa, nel Mediterraneo e nei Balcani –, il dittatore tedesco assaliva l’Unione Sovietica ed entro la fine del 1941 giungeva nei pressi di Mosca. 2 Il Giappone entra in guerra a fianco dell’Asse e contro gli Stati Uniti, ma nel 1942 l’avanzata delle potenze autoritarie si arresta. Il 7 dicembre 1941, il Giappone attaccò la base statunitense di Pearl Harbor, nelle Hawaii, e lanciò con successo le sue truppe nel sud-est asiatico. Il 1942 fu però l’anno della svolta. La Germania si arrestò e venne sconfitta in una grande battaglia a Stalingrado, sul Volga. L’Italia, dopo lo scontro di El-Alamein, fu costretta a ritirarsi dall’Africa e perse il proprio impero. Nel Pacifico, gli USA fermarono l’avanzata giapponese con grandi scontri navali, a partire dalla battaglia delle isole Midway, iniziando poi la lenta riconquista dei territori occupati dagli avversari. In quello stesso anno, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica strinsero una forte alleanza in opposizione al nazifascismo. 3 Nel 1943 crolla il fascismo, ma l’Italia è spezzata in due e occupata da tedeschi e forze alleate, che si combattono sul suolo della penisola. Il 25 luglio 1943, Mussolini venne destituito dal re Vittorio Emanuele III. La caduta del fascismo causò ovunque l’entusiasmo popolare. Ma l’armistizio raggiunto dal nuovo governo con gli Alleati e annunciato l’8 settembre precipitò l’Italia nel caos. Il paese si trovò presto spezzato in due, diviso tra un Sud in mano agli anglo-americani e governato dal re e un Nord in mano ai tedeschi e governato dalla Repubblica sociale italiana, fondata dallo stesso Mussolini. Le armi e l’odio opposero allora in una guerra sanguinosa gli italiani fedeli al fascismo agli italiani militanti nella Resistenza alla dittatura. 4 1944 Sbarco in Normandia 1945 Suicidio di Hitler 1945 Sconfitta della Germania 1945 Bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki La guerra si conclude nel 1945, in Europa con la resa di Germania e Italia, in Asia con la sconfitta del Giappone, colpito dalla bomba atomica. Sbarcati sulle spiagge della Normandia il 6 giugno 1944, gli Alleati strapparono ai tedeschi la Francia. Da est avanzavano al contempo i sovietici. La Germania si trovò così accerchiata e invasa. Hitler si uccise il 30 aprile 1945 e il suo esercito depose le armi il 9 maggio. Nel Pacifico, la guerra venne risolta dal lancio di due bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, il 6 e 9 agosto 1945: il loro effetto fu tanto devastante da indurre Tokyo alla resa. In Italia, la guerra si concluse con la morte di Mussolini e la resa di nazisti e fascisti davanti all’avanzata degli anglo-americani e all’attacco della Resistenza. 5 La Seconda guerra mondiale fu una «guerra totale», che impegnò a fondo le energie dei popoli coinvolti e fu caratterizzata da crimini tremendi. La Seconda guerra mondiale causò oltre 50 milioni di morti, e impegnò così a fondo le energie sociali, economiche e spirituali dei popoli coinvolti da essere definita «guerra totale». Crimini terribili furono commessi: dalle rappresaglie indiscriminate sui civili ai bombardamenti a tappeto sulle città, dall’uccisione dei prigionieri di guerra al massacro degli ebrei. La sola Shoah provocò circa sei milioni di morti. Non pochi uomini e donne ebbero però il coraggio di opporsi alle dittature e lottare per la libertà. La Resistenza si affiancò in questo modo agli eserciti alleati nel porre nuove basi su cui ricostruire l’Europa. © Loescher Editore – Torino 161 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto Un aspetto della guerra totale: i bombardamenti aerei sulle città La Seconda guerra mondiale colpì duramente le popolazioni civili, soprattutto quelle che abitavano nelle città europee e asiatiche. Lo strumento principale di questa guerra contro i civili fu l’operazione di bombardamento aereo, che ebbe un tragico prologo nel 1937 durante la guerra civile spagnola nella città basca di Guernica. Tuttavia, solo con il secondo conflitto mondiale il bombardamento a tappeto, ossia la distruzione sistematica di un’area (per lo più urbana), divenne uno degli aspetti decisivi della cosiddetta guerra totale: in essa non esisteva più differenza di fatto tra retrovie e prima linea. Gli obiettivi dei bombardamenti Gli obiettivi dei bombardamenti erano molteplici: compiere una rappresaglia indiscriminata contro la potenza avversaria; danneggiare e neutralizzare le risorse del nemico, le sue infrastrutture industriali e la sua produzione militare; distruggerne i centri e i simboli di potere; abbattere la resistenza psicologica della popolazione civile. Quest’ultima aveva scarse possibilità di sfuggire a un bombardamento a tappeto, se non con l’esodo in campagna oppure con il ricorso ai rifugi antiaerei e alle stazioni sotterranee della metropolitana, che si popolavano dal suonare dell’allarme aereo fino alla sua cessazione. La Seconda guerra mondiale I bombardamenti degli Alleati Nel momento in cui l’aviazione tedesca perse il controllo dei cieli europei, le forze aeree anglo-americane cominciarono una lunga e pesantissima offensiva contro le città della Germania, con l’intento non solo di colpire i centri di produzione industriale e di trasporto, ma anche con la volontà di piegare la resistenza nemica e di punire il regime nazista. L’effetto devastante dell’azione alleata dall’aria fu dovuta all’impiego massiccio di bombe incendiarie. I due luoghi simbolo dei bombardamenti alleati sulle antiche città tedesche furono Dresda e Colonia, colpite a più riprese e quasi completamente distrutte: particolarmente devastante fu l’attacco aereo notturno su Dresda, il 13 febbraio 1945. Strade, ponti e reti di trasporto pubblico furono tra i primi obiettivi delle azioni aeree, ma l’esito dell’offensiva dall’alto fu la cancellazione totale di centri storici che risalivano al Medioevo. Solo la Cattedrale gotica di Colonia si salvò dalle bombe. La città di Colonia distrutta dai bombardamenti degli Alleati nel 1945. H. Moore, Platform Scene, 1941: una stazione della metropolitana usate come rifugio antiaereo. I bombardamenti sul Giappone «Coventrizzare» una città Rotterdam rasa al suolo nel 1940 dall’aviazione tedesca. 162 © Loescher Editore – Torino Il primo vero esperimento di attacco aereo sistematico avvenne, da parte dell’aviazione tedesca, il 10 maggio 1940, sul porto olandese di Rotterdam: l’intera città fu rasa al suolo. Per preparare lo sbarco in Inghilterra, l’aviazione tedesca bombardò tra 1940 e 1941 molte città inglesi, a partire da Londra. Tuttavia, fu Coventry, città delle Midlands priva di qualunque valore strategico, bombardata tra il 14 e il 15 novembre 1940, a diventare l’emblema della volontà di distruzione aerea da parte tedesca: non a caso, si coniò il termine di «coventrizzare» per designare una strategia di bombardamento di una città dall’alto con l’intento di raderla al suolo, senza riguardo per la popolazione civile e i monumenti storici. L’incendio di Tokyo causato dai bombardamenti al napalm americani, 26 maggio 1945. La guerra totale dall’aria devastò anche il Giappone e trovò un tragico coronamento con i bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, nell’agosto del 1945. Ben prima di allora, però, Tokyo aveva già subito terribili attacchi aerei a più riprese, dal 1942, anche con le prime bombe al napalm, finendo in larga misura bruciata perché molte delle sue costruzioni erano di legno o carta. I danni e le vittime, in particolare tra marzo e maggio del 1945, furono superiori a quelli del bombardamento atomico, ma fu il lancio delle bombe atomiche a porre fine alla Seconda guerra mondiale e ad aprire l’era dell’atomo. © Loescher Editore – Torino 163 2 8 Totalitarismi e democrazie in conflitto Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 ATTIVITÀ 2 Osserva la cartina a p. 155 e incrociando le informazioni fornite da essa e quelle che ricavi dal testo, costruisci la cronologia della liberazione delle varie regioni italiane dal 1943 al 1945. 1 Nel , in seguito all’annuncio dell’armistizio, nell’Italia centro-settentrionale i partigiani danno luogo al movimento armato popolare della Resistenza 2 Il 7 dicembre i cacciabombardieri giapponesi attaccano la base americana di Pearl Harbor 3 Il 25 luglio il re Vittorio Emanuele III fa arrestare Mussolini e affida il governo al maresciallo Badoglio 4 L’8 settembre Badoglio annuncia l’armistizio con gli anglo-americani: il paese precipita nel caos e la situazione dei militari italiani diviene critica 5 Il 10 giugno Mussolini dichiara guerra a Francia e Regno Unito: l’Italia entra nel secondo conflitto mondiale 6 Il 6 giugno gli anglo-americani sbarcano in Normandia; il 25 agosto Parigi viene liberata 7 Il 14 agosto Winston Churchill e Franklin Roosevelt firmano la Carta Atlantica, che indica i principi democratici del nuovo ordine mondiale destinato a nascere dopo la sconfitta della Germania 8 Il 30 aprile Hitler si suicida nel suo bunker a Berlino mentre la capitale cade in mano sovietica 9 Il 25 aprile in Italia l’insurrezione partigiana libera le principali città, mentre le truppe alleate occupano la pianura padana; tre giorni dopo Mussolini viene catturato e giustiziato dai partigiani 10 Il 1° settembre la Germania attacca la Polonia dando inizio alla seconda guerra mondiale 11 Il 6 e 9 agosto gli Stati Uniti sganciano le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki 12 Nel settembre il Giappone si unisce a Germania e Italia nel Patto Tripartito 13 Il 24 marzo in risposta a un attentato che causa la morte di 33 soldati tedeschi, gli occupanti fucilano alle Fosse Ardeatine 335 ostaggi catturati nel ghetto ebraico 14 Il 20 gennaio , durante la conferenza di Wannsee, svoltasi a Berlino, i vertici nazisti decidono l’eliminazione fisica della popolazione ebraica europea Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo della Seconda guerra mondiale. 1 2 3 4 5 6 7 8 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con tre colori diversi gli eventi riconducibili alle prime fasi della guerra, quelli che riguardano il suo svolgimento e quelli che si riferiscono alla conclusione del conflitto. 5 La Seconda guerra mondiale Stragi indiscriminate Alleato subordinato Corollario Protettorato politico ed economico Feldmaresciallo Pressapochismo Rappresaglia Eccidio Prova a riflettere sul significato di «cooperare» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega che cosa si intende per «cooperazione nei rapporti internazionali». Ai giorni nostri è molto diffusa l’espressione «cooperazione internazionale»: sapresti spiegare a che cosa si riferisce? Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa alla «soluzione finale» del problema ebraico. Poi rispondi alle domande. La «soluzione finale» del problema ebraico adottata dai nazisti Esplora il macrotema 3 Completa il testo. Uno degli aspetti più significativi della Seconda guerra mondiale è la nascita, nei paesi occupati dal nazifascismo, di movimenti di liberazione nazionale che durante la guerra combattono contro le truppe di occupazione. Uomini e donne della (1) lottano per un solo obiettivo: la libertà del proprio paese e l’abbattimento della (2) ; per questo i partigiani dell’intero continente vengono oggi considerati tra i fondatori della moderna Europa democratica. In Francia i maquisards lottano a lungo, animando un vero movimento popolare di opposizione allo straniero; nell’aspro territorio montano della Iugoslavia, le formazioni guidate da Josip Broz ((3) ) forniscono un contributo decisivo alla cacciata delle truppe naziste; in Polonia, i partigiani danno vita alla tragica insurrezione di Varsavia, repressa dai tedeschi; in Unione Sovietica, la guerriglia alle spalle del fronte mette a rischio le linee di rifornimento della Germania. In Italia la Resistenza nasce in maniera spontanea dopo l’(4) : i partigiani si organizzano per contrastare l’occupazione tedesca del Centro-nord della penisola. Animati da ideali politici differenti, essi si dividono in (5) di diverso colore (le Brigate Garibaldi sono comuniste, le Brigate Matteotti (6) , le formazioni di Giustizia e Libertà si rifanno al Partito d’Azione), comprendendo anche gruppi cristiano-democratici, monarchici e autonomi; a guidarli sono i partiti politici che si uniscono nel (7) . I partigiani si battono principalmente in montagna e nelle campagne; per la prima volta le donne partecipano attivamente alle operazioni belliche, imbracciando le armi o ricoprendo il ruolo di (8) . Il 25 aprile 1945 l’insurrezione generale divampa nelle città del Nord, finché il 28 aprile le truppe naziste si arrendono. 164 © Loescher Editore – Torino 1 Quali sono le fasi che portano alla «soluzione finale» nei confronti degli ebrei? 2 Attraverso quali modalità i nazisti sterminano gli ebrei? Mostra quello che sai 7 Osserva l’immagine a p. 155 e ricostruisci contesto e obiettivi dell’incontro rappresentato nella foto; spiegane poi l’intenzione comunicativa. © Loescher Editore – Torino 165 Documenti Totalitarismi e Costituzione Nel corso della seconda metà del Novecento si è consolidata la definizione di sistemi totalitari per quei regimi, sorti tra le due guerre mondiali, che nell’aspirare a un’organizzazione di tutti gli aspetti del vivere associato avevano prodotto dittature fondate sul sistema del partito unico. Per prima, nel pieno della Grande guerra (1917), si affermò l’esperienza della Rivoluzione d’ottobre, all’origine di un movimento comunista che si diffuse su scala mondiale, tanto da assumere, dopo la Seconda guerra mondiale, la guida di molti paesi nell’Europa orientale, in Asia e in Africa. Poi, nel corso degli anni Venti, in Italia si affermò il primo esperimento fascista, modello politico che nel corso degli anni Trenta fu sviluppato, in una forma particolarmente dura, dai nazisti, che dominarono per un decennio in Germania e scatenarono la carneficina della Seconda guerra mondiale. La teoria totalitaria accomunava regimi politici radicalmente differenti nei fini e negli obiettivi. Nonostante i molti caratteri condivisi (leader carismatico, monopolio del partito unico, ideologia, organizzazione del consenso), sotto molti aspetti questi regimi furono tra loro profondamente diversi. Sebbene i fascismi (il fascismo italiano e il nazismo tedesco) si proclamassero rivoluzionari, la loro affermazione avvenne nel solco del quadro costituzionale esistente, il quale venne o accantonato o sospeso. In Italia, attraverso la legislazione ordinaria, furono concentrati i poteri nell’esecutivo, vennero eliminate tutte le garanzie liberali e si affermò il monopolio politico del Partito nazionale fascista; in Germania la Costituzione della Repubblica di Weimar fu superata, poco dopo l’avvento di Hitler alla Cancelleria, con l’approvazione, nel marzo 1933, della legge che conferiva all’esecutivo pieni poteri e un primato indiscusso. E anche nella Spagna franchista una serie di leggi fondamentali fece dell’esecutivo il perno dello Stato, fondando uno Stato cattolico e cercando, con la legge di successione, di garantire continuità al regime. I fascismi non riuscirono a sopravvivere al dittatore che li aveva generati: in Italia e in Germania furono travolti dalla Seconda guerra mondiale; in Spagna il franchismo si consumò lungo l’estenuata esistenza del dittatore Franco e, dopo la sua morte, nonostante i tentativi di garantirne la sopravvivenza, in pochi anni si passò a un regime democratico parlamentare pluralista, che si ordinò come una monarchia costituzionale. La Rivoluzione dell’ottobre 1917 in Russia si percepì invece come una svolta radicale, di valore universale, che segnava l’affermarsi di un nuovo mondo. E come tale fu accolta. Questa rottura con il passato, questo annuncio di tappe che progressivamente avrebbero condotto alla diffusione del comunismo su scala globale fu scandito da diversi passaggi costituzionali, i quali non avevano un carattere programmatico, ma sottolineavano le diverse tappe volte alla realizzazione del fine ultimo, il comunismo. Nel corso della storia dell’esperienza sovietica, che va dal 1917 al 1991, furono elaborate più carte costituzionali: dalla nascita nel 1918 della dittatura del proletariato al fine di «instaurare il socialismo», alla formazione nel 1924 della federale Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), all’affermazione dello Stato socialista con la Costituzione del 1936 fino all’ultimo testo, del 1977, che dichiarava «edificata una società socialista». Con il termine «totalitarismo» ci si riferisce ai regimi autoritari del XX secolo: l’origine del termine risale agli anni Venti, in riferimento alla dittatura creata da Benito Mussolini in Italia, ma successivamente venne impiegato per indicare l’Unione Sovietica di Stalin, il regime nazista di Hitler e il regime comunista impiantato in Cina da Mao. L’ideologia tesa a trasformare radicalmente la società; l’assenza di pluralismo politico; il culto del capo; l’impiego di una capillare propaganda; la dura repressione poliziesca; la pervasiva presenza dello Stato in ambito sociale ed economico; sono tutti elementi comuni ai totalitarismi del Novecento. 1 Com’è stato possibile che nell’Europa della prima metà del XX secolo sia sorta una nuova forma di governo: il totalitarismo? 2 Il totalitarismo può essere un rischio ancora presente: se sei d’accordo con questa affermazione, dove ritieni che tale rischio si potrebbe riscontrare? 166 © Loescher Editore – Torino 1.La premessa della Costituzione sovietica del 1977 Preceduta da una premessa storica che ne decantava la vicenda, dalla Rivoluzione d’ottobre alla «Grande guerra patriottica», cioè il secondo conflitto mondiale, la Costituzione del 1977 affermava il carattere socialista dell’URSS, frutto di decenni di sviluppo delle forze produttive, della cultura e della scienza, dell’abbattimento della società di classi. Continuando la loro attività creativa, i lavoratori dell’Unione Sovietica hanno assicurato lo sviluppo rapido e integrale del paese e il perfezionamento del regime socialista. Si sono rinsaldate l’alleanza della classe operaia, dei contadini kolchoziani e della intelligencija popolare, e l’amicizia delle nazioni e dei popoli dell’URSS. Si è formata l’unità sociopolitica e ideale della società sovietica, di cui la classe operaia agisce come forza traente. Avendo assolto i compiti della dittatura del proletariato, lo Stato sovietico è divenuto Stato di tutto il popolo. Questa è la società nella quale sono state create possenti forze produttive, una scienza e una cultura progredite, nella quale cresce costantemente il benessere del popolo e si formano condizioni sempre più propizie allo sviluppo integrale della personalità. […] Questa è la società dell’elevata capacità organizzativa, dell’elevato livello ideologico e dell’elevata coscienza dei lavoratori, patrioti e internazionalisti. Questa è la società la cui legge di vita è la preoccupazione di tutti per il bene di ciascuno e la preoccupazione di ciascuno per il bene di tutti. Questa è la società dell’autentica democrazia, il cui sistema politico assicura un’amministrazione efficace di tutti gli affari sociali, la partecipazione sempre più attiva dei lavoratori alla vita dello Stato, la combinazione dei diritti e delle libertà reali dei cittadini con i loro obblighi e con la loro responsabilità di fronte alla società. La società socialista sviluppata è una tappa naturale sul cammino verso il comunismo. Fine supremo dello Stato sovietico è l’edificazione di una società comunista senza classi, nella quale riceverà sviluppo l’autogoverno sociale comunista. P. Biscaretti di Ruffia, G. Crespi Reghizzi, La Costituzione sovietica del 1977, Milano, Giuffrè, 1990 2.Le origini del totalitarismo Nel 1951 la filosofa e storica Hannah Arendt scrisse Le origini del totalitarismo: un’opera originale che studiava le radici dello stalinismo e del nazismo e le loro connessioni con l’antisemitismo. Questo libro fu al centro di molte controversie perché comparava due sistemi che al tempo sembravano diametralmente opposti. Al termine del suo discorso la Arendt sosteneva che solo la ripresa della partecipazione politica consapevole dei cittadini avrebbe potuto evitare la ricaduta nel male totalitario. Nei capitoli precedenti abbiamo ripetutamente sottolineato come il totalitarismo sia, oltre che più radicale, essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la dittatura. Dovunque è giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico, ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall’esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo. Quando i sistemi monopartitici da cui esso si è sviluppato sono diventati veramente totalitari hanno cominciato ad operare secondo una scala di valori così radicalmente diversa da ogni altra che nessuna delle categorie tradizionali, giuridiche, morali o del buon senso, poteva più servire per giudicare, o prevedere, le loro azioni. […] Esso [il totalitarismo] sostiene infatti che, lungi dall’essere «senza legge», va alle fonti dell’autorità da cui il diritto positivo ha ricevuto la sua legittimazione, che, lungi dall’essere arbitrario, è più os- sequiente a queste forze sovrumane di qualsiasi precedente governo, che, lungi dall’esercitare il potere nell’interesse di un uomo solo, è pronto a sacrificare gli interessi vitali immediati di chiunque all’attuazione di quella che considera la legge della storia o della natura. La sua noncuranza per il diritto positivo pretende di essere una forma superiore di legittimità che, ispirandosi alle fonti, può fare a meno della meschina legalità. Esso si vanta di aver trovato il modo per instaurare l’impero della giustizia sulla terra, qualcosa che la legalità del diritto positivo non è mai riuscita a ottenere. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi, 1951 © Loescher Editore – Torino 167 Documenti Le Costituzioni del Novecento Con le rivoluzioni americana e francese l’approdo alla Costituzione scritta a garanzia e a tutela dei diritti e dell’ordinamento dello Stato iniziò a diffondersi timidamente in Europa e nelle Americhe. E tuttavia solo con la Prima guerra mondiale quell’approdo incominciò a essere generalizzato come strumento di fondazione dello Stato democratico. Una delle conseguenze fondamentali della Grande guerra e del disfacimento dei grandi imperi fu infatti la nascita nel cuore dell’Europa di molteplici Stati che ne presero il posto. Questa profonda ristrutturazione della geografia politica era anche conseguenza del protagonismo delle masse, del loro irrompere sulla scena pubblica, della loro aspirazione a dare senso e significato alla propria presenza nello Stato. Fu così che la nascita di nuovi Stati o la trasformazione di quelli esistenti (per esempio, il passaggio della Germania dall’impero alla repubblica) diede vita a una stagione costituente che sanciva ufficialmente il principio della sovranità popolare e ricercava soluzioni tese ad armonizzare la tradizione politica dei diversi paesi con le basi della democratizzazione. Una caratteristica di quella fase costituente fu il coinvolgimento dei più prestigiosi giuristi, come Hans Kelsen e Hugo Preuss, che ispirarono, rispettivamente, la Costituzione austriaca e quella della Repubblica di Weimar. Le Costituzioni del primo dopoguerra furono caratterizzate da approcci variamente articolati al modello di democrazia parlamentare: per esempio, la Costituzione austriaca assegnò all’Assemblea elettiva una prevalenza netta, mentre quella tedesca della Repubblica di Weimar fu contrassegnata, al contrario, da un instabile e irrisolto equilibrio tra poteri del presidente della Repubblica (direttamente eletto), del Parlamento e del governo. Ebbero entrambe una breve esistenza, perché, nel giro di un decennio, l’affermazione del nazismo in Germania e la sua espansione nel cuore dell’Europa le travolse. Una seconda stagione costituente si sviluppò dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, che significò l’estensione del voto alle donne anche in due paesi in ritardo, la Francia e l’Italia. La Costituzione francese del 1946 durò però pochi anni, travolta dalla crisi della Quarta Repubblica. Nel 1958 fu chiamato al governo il generale Charles De Gaulle, il quale avviò un meccanismo di revisione costituzionale che trasformò il regime parlamentare in uno semipresidenziale (De Gaulle stesso fu il primo presidente della Quinta Repubblica). Nel sistema francese, il presidente, eletto direttamente dai cittadini, può però essere condizionato dall’Assemblea nazionale, come è accaduto a partire dal 1986: è la cosiddetta «coabitazione», più volte verificatasi, tra un presidente espressione di una maggioranza politica e un governo espressione di una differente maggioranza dell’Assemblea elettiva. Nel continente europeo l’affermazione di regimi costituzionali, contrassegnati da una legge fondamentale dello Stato approvata secondo procedure democratiche, è continuata lungo tutto il Novecento: nel corso degli anni settanta, dopo la caduta dei regimi di destra in Portogallo, che si è dato un regime repubblicano, e in Spagna, che ha optato per la monarchia. In seguito alla caduta del muro di Berlino, nei paesi ove si erano affermate le democrazie popolari, aventi sistemi politici ispirati dall’esperimento sovietico, e nelle Repubbliche sorte dopo il disfacimento dell’URSS nel 1991, il trapasso alla democrazia ha comportato una fase costituente che ha stabilito Repubbliche parlamentari o semipresidenziali e un sistema pluralistico dei partiti. La prima metà del Novecento rappresentò un’epoca di declino del liberalismo e della democrazia, epoca che a conclusione della Prima guerra mondiale sfociò nelle dure esperienze totalitarie fasciste e comuniste. Dopo la Seconda guerra mondiale emersero nuovamente orientamenti liberali nati proprio negli anni Quaranta dalla necessità di opporsi alle dittature totalitarie. Diversi politici, intellettuali e pensatori parteciparono alla redazione delle nuove Costituzioni in varie nazioni uscite dal conflitto mondiale, come l’Italia o la Germania Occidentale. In seguito, negli anni Settanta e Ottanta, si verificò il ritorno alla democrazia in Grecia (dove nel 1967 si era instaurata la dittatura dei colonnelli), in Portogallo (dove la «Rivoluzione dei garofani» fece cadere il regime militare di Salazar) e in Spagna (in seguito alla morte del dittatore Francisco Franco). 1 Che cosa implica la democrazia dal punto di vista dei modi di approvazione delle leggi? 2 Credi che una cittadinanza attiva, cioè la partecipazione alle decisioni pubbliche attraverso l’attività politica, possa avere un valore effettivo? 168 © Loescher Editore – Torino 1.Le Costituzioni francesi del 1946 e del 1958 La Francia ha avuto nel secondo dopoguerra due Costituzioni: la prima, frutto dei condizionamenti della storia recente e del presente, realizzava una democrazia parlamentare; la seconda, dopo la paralisi politica connessa con la crisi d’Algeria, mutava la forma di governo, fondando il semipresidenzialismo. I principi ispiratori erano però i medesimi, come mostra il confronto tra i preamboli delle due Costituzioni. 1946 All’indomani della vittoria riportata dai popoli liberi sui regimi che hanno tentato di asservire e di degradare la persona umana, il popolo francese proclama di nuovo che ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione e di credenza, possiede inalienabili e sacri diritti. Riafferma solennemente i diritti e le libertà dell’uomo e del cittadino consacrati dalla Dichiarazione dei diritti del 1789 ed i principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica. Proclama, inoltre, come particolarmente necessari al nostro tempo, i seguenti principi politici, economici e sociali: La legge garantisce alla donna, in tutti i campi, diritti uguali a quelli dell’uomo. Ogni uomo perseguitato per la sua azione in favore della libertà ha diritto d’asilo sui territori della Repubblica. Ognuno ha il dovere di lavorare e il diritto di ottenere un’occupazione. Nessuno può essere danneggiato, nel suo lavoro o nel suo impiego, a causa delle sue origini, opinioni o credenze. Ogni uomo può difendere i suoi diritti e i suoi interessi mediante l’azione sindacale, e aderire al sindacato di sua scelta. Ogni lavoratore partecipa, per mezzo dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, nonché alla gestione delle imprese. […] La Nazione assicura all’individuo e alla famiglia le condizioni necessarie al loro sviluppo. Essa garantisce a tutti, e specialmente al fanciullo, alla madre e ai vecchi lavoratori, la protezione della salute, la sicurezza materiale, il riposo e le vacanze. 1958 Il popolo francese proclama solennemente il suo attaccamento ai Diritti dell’Uomo e ai principi della sovranità nazionale quali sono definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermati e completati dal preambolo della Costituzione del 1946. 2.La Legge fondamentale tedesca Dopo la resa dei nazisti nel 1945 e la spartizione dei territori tedeschi tra le potenze vincitrici, crebbero i fattori di scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica oramai avviati verso la Guerra fredda. Nel maggio 1949 nasceva la Repubblica Federale Tedesca con una Costituzione, allora considerata provvisoria, detta Legge fondamentale. Come capitale, anche quella provvisoria, venne scelta la città di Bonn. Nell’ottobre 1949 anche nelle zone dell’Est controllate dai sovietici venne creato un nuovo Stato: la Repubblica Democratica Tedesca. Consapevole della propria responsabilità davanti a Dio e agli uomini, animato dalla volontà di salvaguardare la propria unità nazionale e statale e di servire la pace del mondo quale membro, equiparato nei diritti, di un’Europa unita, il popolo tedesco […], al fine di dare alla vita statale per un periodo transitorio un nuovo ordinamento in virtù del suo potere costituente, ha deliberato la presente Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca, agendo anche per quei tedeschi a cui è stato negato di collaborare. Tutto il popolo tedesco è esortato a realizzare, mediante libera autodeterminazione, l’unità e la libertà della Germania. Art. 1. (I) La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla. (II) II popolo tedesco riconosce quindi gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo. […] Art. 2. (I) Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento costituzionale o la legge morale. (II) Ognuno ha diritto alla vita e all’incolumità fisica. La libertà della persona è inviolabile. Questi diritti possono essere limitati soltanto in base ad una legge. Art. 3. (I) Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge. (II) Gli uomini e le donne sono equiparati nei loro diritti. (III) Nessuno può essere danneggiato o favorito per il suo sesso, per la sua nascita, per la sua razza, per la sua lingua, per la sua nazionalità o provenienza, per la sua fede, per le sue opinioni religiose o politiche. Art. 4. (I) La libertà di fede e di coscienza e la libertà di confessione religiosa e ideologica sono inviolabili. (II) È garantito il libero esercizio del culto. © Loescher Editore – Torino 169 Testimonianze Documento 1 Testimonianze Documento 3 Lenin e la dittatura del proletariato (capitolo 4) Vladimir Lenin scrisse Stato e rivoluzione tra l’agosto e il settembre 1917, mentre il destino politico della Russia era ancora grandemente incerto. In quest’opera il capo dei bolscevichi prediceva che ai lavoratori e alla vittoriosa rivoluzione comunista sarebbe toccato il controllo dello Stato e della società. In ciò consisteva la dittatura del proletariato, ai danni di ogni altra classe e soprattutto della borghesia sfruttatrice, nella essenziale e violenta fase di passaggio dal capitalismo alla futura e pienamente democratica società comunista. «[…] Tra la società capitalistica e la società comunista – prosegue Marx – vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato […]». Questa conclusione si basa, in Marx, sull’analisi della funzione che il proletariato ha nella società capitalistica odierna, sui dati dello sviluppo di questa società e sulla inconciliabilità degli opposti interessi del proletariato e della borghesia. […] La società capitalistica, considerata nelle sue condizioni di sviluppo più favorevoli, ci offre nella repubblica democratica una democrazia più o meno completa. Ma questa democrazia è sempre limitata nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre in fondo una democrazia per la minoranza, per le sole classi possidenti, per i soli ricchi. […] Lo sviluppo progressivo, cioè l’evoluzione verso il comunismo, avviene passando per la dittatura del proletariato e non può avvenire altrimenti, poiché non vi è nessun’altra classe e nessun altro mezzo che possa spezzare la resi- stenza dei capitalisti sfruttatori […]. Insieme a un grandissimo allargamento della democrazia, divenuta per la prima volta una democrazia per i poveri, per il popolo, e non una democrazia per i ricchi, la dittatura del proletariato apporta una serie di restrizioni alla libertà degli oppressori, degli sfruttatori, dei capitalisti. Costoro noi li dobbiamo reprimere, per liberare l’umanità dalla schiavitù salariata. Si deve spezzare con la forza la loro resistenza; ed è chiaro che dove c’è repressione, dove c’è violenza, non c’è libertà, non c’è democrazia. V. Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1965 Il Manifesto della Razza (capitolo 5) Le leggi razziali del 1° settembre 1938 furono anticipate dal Manifesto della Razza, pubblicato sul «Giornale d’Italia» il 15 luglio dello stesso anno. Redatto ufficialmente da un gruppo di docenti universitari sotto l’egida del ministero della Cultura popolare, venne steso in realtà quasi interamente da Mussolini. Esso affermava l’esistenza di una «pura razza italiana» e la sua profonda alterità rispetto alla «razza ebraica». Il Manifesto poneva così le basi per la persecuzione a danno degli israeliti. 1. LE RAZZE UMANE ESISTONO. […] Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti, di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. […] 3. IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose […]. 4. LA POPOLAZIONE DELL’ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa. […] 5. ESISTE ORMAI UNA PURA RAZZA ITALIANA. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. […] 8. GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. […] Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani. 9. I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee […]. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani. Da il «Giornale d’Italia», 15 luglio 1938 Documento 2 Giacomo Matteotti contro il fascismo alla Camera dei Deputati (capitolo 5) Il discorso tenuto dal socialista Giacomo Matteotti alla Camera dei Deputati il 30 maggio 1924 rappresenta la denuncia più lucida e coraggiosa che l’antifascismo seppe volgere alle violenze operate dallo squadrismo mussoliniano in occasione delle elezioni del 6 aprile. Non a caso, Matteotti pagò con la vita il suo gesto: pochi giorni dopo il discorso al Parlamento fu rapito e ucciso. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate nell’ordine del giorno del Presidente del Consiglio per l’atto di fedeltà che diedero al governo fascista, e che prima erano state organizzate presso i contadini dal partito socialista o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista […]. Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero dentro le cabine in moltissimi comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto; anzi noi abbiamo potuto avere il nostro voto, il più delle volte, quasi esclusivamente da coloro che non potevano esser sospettati di essere socialisti […]. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l’oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio […] per queste ragioni noi domandiamo l’annullamento in blocco delle elezioni. G. Aliberti, F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Fonti e documenti, Milano, Led, 1999 Documento 4 Il programma del Partito nazista (capitolo 6) Il programma della Nsdap, il Partito nazionalsocialista tedesco, venne redatto al principio del 1920 e illustrava già i capisaldi della futura politica hitleriana. Tra gli altri punti si affermavano per esempio la necessità di una cittadinanza basata sul «diritto del sangue», l’ambizione della Germania di riscattare la sconfitta del 1918 e il progetto di uno Stato-padre capace di provvedere in tutto e per tutto ai bisogni dei suoi figli. 1. Noi chiediamo la riunione di tutti i tedeschi in una Grande Germania, in base al diritto di autodecisione dei popoli. 2. Noi chiediamo la parità di diritto del popolo tedesco di fronte alle altre nazioni, nonché l’abolizione dei trattati di pace di Versailles e SaintGermain. 3. Noi chiediamo terra e suolo (colonie) per nutrire il nostro popolo e per insediarvi la nostra eccedenza di popolazione. 4. Può essere cittadino dello Stato solo chi sia connazionale […]. Può essere connazionale solo chi sia di sangue tedesco, senza riguardo alla sua religione. Nessun ebreo può quindi essere connazionale […]. 6. […] Noi chiediamo che tutte le cariche pubbliche di qualsiasi genere, cioè del Reich, dei Länder o dei comuni, possano venir occupate solo da cittadini dello Stato. Noi lottiamo contro il parlamentarismo corruttore, contro la attribuzione di cariche in base a considerazioni di partito, senza tener conto del carattere e delle capacità. 7. Noi chiediamo che lo Stato si impegni ad avere cura in primo luogo di assicurare lavoro e possibilità di esistenza ai cittadini dello Stato. Qualora non sia possibile nutrire la popolazione dello Stato, gli appartenenti ad altre nazionalità (cioè coloro che non sono cittadini dello Stato) dovranno venir espulsi dal Reich […]. 18. Noi chiediamo la lotta a fondo contro coloro che esplicano attività dannose per l’interesse della comunità. Coloro che commettono delitti contro il popolo, gli usurai, i profittatori ecc. devono essere condannati a morte senza distinzione di confessione o di casta. W. Hofer, Il nazional-socialismo. Documenti 1933-1945, Milano, Feltrinelli, 1964 170 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 171 Testimonianze Documento 5 Testimonianze Documento 7 Le Leggi di Norimberga (capitolo 6) Il 15 settembre 1935 furono emanate a Norimberga, mentre vi si teneva il congresso di un partito nazista ormai padrone della Germania, due leggi. Erano la «Legge per la cittadinanza del Reich» e la «Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco». La prima limitava rigidamente la possibilità di acquisire la cittadinanza tedesca. La seconda circoscriveva i diritti degli ebrei, imponendo loro diversi obblighi. Le cosiddette Leggi di Norimberga aprirono la strada alla persecuzione antigiudaica. Hitler si impegnava così a rispettare un’altra delle promesse fatte nel Mein Kampf: liberare la Germania dalla presenza ebraica. Il 14 agosto 1941, il premier inglese Winston Churchill e il presidente americano Franklin Delano Roosevelt si incontrarono a bordo della Prince of Wales, una nave da battaglia inglese nella baia di Terranova. Fu lì che i due uomini di governo sottoscrissero la Carta Atlantica, mappa del mondo futuro in cui a ogni popolo sarebbe stata concessa la giusta libertà e in cui sarebbe stato compiuto ogni sforzo per evitare la guerra. Pochi mesi dopo, con l’attacco giapponese a Pearl Harbor, Washington affiancava Londra sui campi di battaglia, impegnandosi così a costruire un nuovo ordine politico internazionale, in cui i principi della Carta Atlantica diventassero realtà. Legge per la cittadinanza del Reich 1.1. è cittadino dello Stato colui che fa parte della comunità protettiva del Reich tedesco, con il quale ha dei legami che lo impegnano in maniera particolare […]. Il Presidente degli Stati Uniti d’America e il Primo Ministro, signor Churchill […] ritengono opportuno rendere noti taluni principi comuni della politica nazionale dei rispettivi Paesi, sui quali essi fondano le loro speranze per un più felice avvenire del mondo. I) I loro Paesi non aspirano a ingrandimenti territoriali o di altro genere. II) Essi non desiderano mutamenti territoriali che non siano conformi al desiderio, liberamente espresso, dei popoli interessati. III) Essi rispettano il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale intendono vivere; e desiderano vedere restituiti i diritti 2.1. Cittadino del Reich è soltanto l’appartenente allo stato di sangue tedesco o affine, il quale con il suo comportamento dia prova di essere disposto e adatto a servire fedelmen- Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco lebrati sono nulli […]. Pervaso dal riconoscimento che la 2. Sono proibiti rapporti extramatripurezza del sangue tedesco è la premoniali tra ebrei e cittadini dello stamessa per la conservazione del poto di sangue tedesco o affine. polo tedesco e animato dal proposi3. Gli ebrei non potranno assumeto irriducibile di assicurare il futuro re al loro servizio come domestiche della nazione tedesca, il Reichstag ha cittadine di sangue tedesco o affine approvato all’unanimità la seguente sotto i 45 anni. legge che qui viene promulgata. 4.1. Agli ebrei è proibito innalzare la 1.1. Sono proibiti i matrimoni tra bandiera del Reich e quella nazionale ebrei e cittadini dello stato di sangue ed esporre i colori del Reich […]. tedesco o affine. I matrimoni già ce- te il popolo e il Reich tedesco […]. 2.3. Il cittadino del Reich è il solo depositario dei pieni diritti politici a norma di legge. 5.1. Chi contravviene al divieto di cui al paragrafo 1 viene punito con il carcere duro. 5.2. Chi contravviene alle norme di cui al paragrafo 2 viene punito con l’arresto o con il carcere duro. 5.3. Chi contravviene alle norme di cui ai paragrafi 3 e 4 viene punito con la prigione sino a un anno e con una multa […]. W. Hofer, Il nazional-socialismo. Documenti 1933-1945, Milano, Feltrinelli, 1964 Documento 6 Roosevelt: «agire, e agire rapidamente» (capitolo 7) Il 4 marzo del 1933, Franklin Delano Roosevelt pronunciò il suo discorso di insediamento. La crisi economica scoppiata nel ’29 produceva allora gli effetti più gravi e milioni di disoccupati privi di ogni assistenza dormivano sui marciapiedi delle grandi città. Il nuovo presidente ebbe il coraggio di ribaltare il tradizionale liberismo americano indicando una precisa via d’uscita alle difficoltà: l’intervento dello Stato in economia. Questa nazione chiede azione, e azione immediata. Il nostro primo grandissimo compito è di porre la gente al lavoro. Questo non è un problema insolubile se lo fronteggeremo con saggezza e con coraggio. E può essere risolto in parte col reclutamento diretto da parte del governo stesso, considerando il problema alla stregua di una emergenza bellica, ma nello stesso tempo realizzando, attraverso questo impiego, progetti grandemente necessari per stimolare e riorganizzare l’uso delle nostre risorse naturali. […] Si può contribuire a questo compito con decisi sforzi intesi a elevare il valore dei prodotti agricoli, e quindi la possibilità di acquistare le produzioni delle nostre città. Si può contribuire col prevenire realisticamente la tragedia della crescente perdita delle nostre fattorie e delle nostre case con il blocco legale degli espropri. Si può contribuire insistendo che il governo federale, i governi statali e le amministrazioni locali agiscano in modo da ridurre drasticamente il loro costo. Si può contribuire con l’unificazione delle attività assistenziali, che oggi sono spesso disorganiche, ineguali e antieconomiche. Si può contribuire con la pianificazione nazionale e la supervisione di tutte le forme di trasporto e di comunicazione e degli altri servizi che abbiano carattere decisamente pubblico. Vi sono molti modi coi quali si può contribuire a risolvere il problema, ma certo non si può risolvere soltanto con le chiacchiere. Noi dobbiamo agire, e agire rapidamente. R. Hofstadter, Le grandi controversie della storia americana, Roma, Opere Nuove, 1966 172 La Carta Atlantica disegna il mondo del futuro (capitolo 8) © Loescher Editore – Torino sovrani di autogoverno a coloro che ne sono stati privati con la forza. IV) […] Essi cercheranno di far sì che tutti i Paesi, grandi e piccoli, vincitori e vinti, abbiano accesso, in condizioni di parità, ai commerci e alle materie prime mondiali necessari alla loro prosperità economica. V) Essi desiderano attuare fra tutti i popoli la piena collaborazione nel campo economico, al fine di assicurare a tutti migliori condizioni di lavoro, progresso economico e sicurezza sociale. VI) Dopo la definitiva distruzione della tirannia nazista, essi sperano di veder stabilita una pace che offra a tutti i popoli i mezzi per vivere sicuri entro i loro confini, e dia affidamento che tutti gli uomini, in tutti i Paesi, possano avere la loro vita, liberi dal timore e dal bisogno. […] VIII) Essi sono convinti che, per ragioni pratiche nonché spirituali, tutte le nazioni del mondo debbano addivenire all’abbandono dell’impiego della forza. Poiché nessuna pace futura potrebbe essere mantenuta se gli Stati che minacciano, e possono minacciare, aggressioni al di fuori dei loro confini, continuassero a impiegare armi terrestri, navali ed aeree. F. Catalano, Stato e società nei secoli, vol. 3, Messina-Firenze, D’Anna, 1964 Documento 8 Primo Levi ad Auschwitz: «Qui non c’è perché» (capitolo 8) Primo Levi fu deportato ad Auschwitz nel 1944. Sopravvissuto al campo di concentramento, scrisse «Se questo è un uomo», straordinario resoconto di quella terribile esperienza. Nel brano seguente, Levi racconta del suo arrivo al campo e delle leggi implacabili che lo governavano. La prima e più importante era questa: niente ha una spiegazione, tutto è fatto per rendere il prigioniero schiavo nel corpo e nella mente. Oppresso dai ricordi di Auschwitz, Levi si suicidò nel 1987. Finita l’operazione di tatuaggio, ci hanno chiusi in una baracca dove non c’è nessuno […]. Spinto dalla sete, ho adocchiato, fuori di una finestra, un bel ghiacciolo a portata di mano. Ho aperto la finestra, ho staccato il ghiacciolo, ma subito si è fatto avanti uno grande e grosso che si aggirava là fuori, e me lo ha strappato brutalmente. – Warum? – gli ho chiesto nel mio povero tedesco. – Hier ist kein Warum –, (qui non c’è perché), mi ha risposto, ricacciandomi dentro con uno spintone. La spiegazione è ripugnante ma semplice: in questo luogo è proibito tutto, non già per riposte ragioni, ma perché a tale scopo il campo è stato creato […]. Ecco apparire i drappelli dei nostri compagni, che ritornano dal lavoro. Camminano in colonna per cinque: camminano con un’andatura strana, innaturale, dura, come fantocci rigidi fatti solo di ossa: ma camminano seguendo scrupolosamente il tempo della fanfara […]. Abbiamo ben presto imparato che gli ospiti del campo sono distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei. Tutti sono vestiti a righe […] ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici un triangolo rosso; gli ebrei, che costituiscono la grande maggioranza, portano la stella ebraica, rossa e gialla […]. I nostri padroni effettivi sono i triangoli verdi, i quali hanno mano libera su di noi, e inoltre quelli fra le altre due categorie che si prestano ad assecondarli […]. Ed altro ancora abbiamo imparato, più o meno rapidamente, a seconda del carattere di ciascuno; a rispondere «Jawohl», a non fare mai domande, a fingere sempre di avere capito. Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo della gamella dopo il rancio e la teniamo sotto il mento quando mangiamo il pane per non disperdere le briciole. P. Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2005 © Loescher Editore – Torino 173 Interpretazioni Interpretazioni Il primo piano quinquennale sovietico fu un successo? (capitolo 4) Le interpretazioni classiche del fascismo (capitolo 5) Al principio degli anni Trenta, mentre in Germania prendeva il potere il nazismo e il mondo capitalistico era sconvolto dalla grande depressione economica, l’Unione Sovietica sperimentava un formidabile balzo economico in avanti. Nel brano che segue, lo storico Rosario Villari valuta gli esiti del primo piano quinquennale, varato nel 1929 e conclusosi nel 1933, ed evidenzia come, accanto ai picchi produttivi che crearono l’impressione di una impresa straordinaria, molti elementi di debolezza già caratterizzassero l’azione del governo sovietico. Sconfitto il fascismo, gli storici percorsero tre principali strade interpretative, benissimo riassunte da Renzo De Felice. Ci fu chi volle vedere nel fascismo una malaugurata interruzione del cammino del nostro paese verso la democrazia liberale. Ci fu chi sottolineò la troppo scarsa abitudine degli italiani alla libertà e giunse dunque a considerare l’avvento del fascismo storicamente inevitabile. Ci fu infine chi lesse gli eventi in chiave ideologica, scorgendo nel fascismo il mezzo adottato dal capitalismo borghese per sconfiggere la classe lavoratrice. I risultati del piano, attuato in quattro anni e tre mesi con un’approssimazione di meno del 6% rispetto agli obiettivi fissati, apparvero e furono spettacolari nel settore industriale. Secondo i dati ufficiali, la produzione dell’industria estrattiva e pesante […] fu triplicata, la disoccupazione si ridusse notevolmente, nelle miniere la meccanizzazione passò dal 15% al 63,6%. Gli elementi negativi della pianificazione, che fin dall’inizio furono presenti e che dovevano diventare insuperabili punti deboli del sistema, consistevano, oltre che nella permanente arretratezza dell’agricoltura, nella difficoltà di coordinamento fra l’estrema centralizzazione delle scelte e le esigenze operative delle imprese, nel forte squilibrio tra le risorse destinate all’industria pesante e quelle destinate agli altri settori – industria leggera, produzione dei beni di consumo, comunicazioni, trasporti, edilizia –, nella scarsa produttività del lavoro, negli enormi sprechi e nella resistenza all’innovazione. Il sistema produttivo era mantenuto dalla pratica della coercizione e della repressione di massa […]. Sul momento, l’esaltazione ufficiale della svolta industriale, che ebbe un notevole impatto anche sull’opinione pubblica degli altri paesi, oscurò gli squilibri e gli aspetti negativi che il processo di trasformazione ebbe nell’economia e nella società. Soltanto più tardi essi furono ricostruiti attraverso la ricerca storica e il dibattito politico ed economico. […] Stalin e i suoi collaboratori interpretavano o presentavano le resistenze, le critiche e le difficoltà come espressione della lotta di classe, e come una forma di sabotaggio politico ed economico del socialismo. Da qui la richiesta […] di «una dittatura del proletariato forte e potente» e la persecuzione contro i tecnici «borghesi», sui quali si tentò di riversare la responsabilità di ritardi, errori e disfunzioni riscontrati durante la realizzazione del piano. Il fascismo come malattia morale dell’Europa [Tale interpretazione] fu formulata da Benedetto Croce […]. Croce ne chiarì i due aspetti fondamentali. Primo, che il fascismo «non fu escogitato né voluto da alcuna singola classe sociale, né da una singola di queste sostenuto», ma «fu uno smarrimento di coscienza, una depressione civile e una ubriacatura, prodotta dalla guerra». Secondo, che questo smarrimento e questa ubriacatura non furono solo un fatto italiano, ma di quasi tutti i popoli che avevano partecipato alla guerra ’14’18 […]. In quanto tale il fascismo era stato una «parentesi» che aveva corrisposto a un periodo di abbassamento «nella coscienza della libertà» […]. Il fascismo come prodotto logico ed inevitabile dello sviluppo storico di alcuni paesi […] Secondo questa interpretazione, il fascismo sarebbe stato la logica ed inevitabile conseguenza di una serie di tare caratteristiche dello sviluppo storico di alcuni paesi […]. Queste tare sarebbero relativamente recenti, connesse soprattutto al ritardo, alla fragilità e alla esasperazione con i quali in quei paesi si sarebbero realizzati lo sviluppo economico, l’unificazione e l’indipendenza nazionali: la borghesia di questi paesi non sarebbe riuscita a svilupparsi altro che in forme patologiche e avrebbe dovuto perciò ricor- R. Villari, Mille anni di storia. Dalla città Medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2000 rere sempre ad alleanze conservatrici e a forme di potere politico sostanzialmente illiberali […]. Il fascismo come prodotto della società capitalistica e come reazione antiproletaria […] Muovendo dalla premessa che il fascismo deve essere visto e spiegato nel quadro della struttura sociale e politica della società capitalistica contemporanea e delle sue contraddizioni, questa interpretazione afferma che il fascismo sarebbe […] una delle forme che nel XX secolo hanno assunto a livello politico, sociale e ideologico la lotta contro il movimento rivoluzionario dei lavoratori e la sua repressione da parte del capitalismo. R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1969 La radicale novità del fascismo (capitolo 5) Hitler fu figlio della cultura del suo tempo (capitolo 6) Del fascismo sono state date nei decenni molte interpretazioni diverse. Tanto della sua versione italiana quanto delle altre sue versioni europee, a partire da nazismo tedesco e franchismo spagnolo. E lo studio di quelle vicende, legate ad avvenimenti tragici come guerre e repressioni politiche o razziali, ha sempre acceso fortissime polemiche. Nell’esaminare il mussolinismo, gli storici hanno evidenziato prima di tutto la sua radicale novità: come dice Federico Chabod, si trattò di una novità che ben pochi dei contemporanei compresero, tanto da farsene travolgere e asservire. La personalità di Adolf Hitler ha sempre esercitato un fascino e una suggestione straordinari sugli storici, che nei loro studi hanno spesso oscillato tra due tendenze interpretative ben definite. Da un lato, c’era chi addossava a lui ogni responsabilità dell’ascesa del nazismo e dei crimini di cui si macchiò la Germania. Dall’altro, c’era chi si sforzava di svelare le responsabilità dei tedeschi, per le loro complicità con il regime. Secondo Enzo Collotti la sua ascesa fu figlia della cultura del tempo: la Germania «volle» Hitler e proprio per questo i tedeschi dividono con lui la responsabilità dei misfatti del nazismo. Nel 1921-22 chi valuta il fascismo in base alle vecchie formule della lotta politica e parlamentare può ancora credere alla possibilità di blandirlo, di servirsene, di affidargli la parte d’aiutante, salvo sbarazzarsene in seguito. Ma proprio qui sta il fondamentale errore di valutazione. Il fascismo non è una forza politica vec- Va respinto anche il tentativo di spostare l’equilibrio del giudizio dal movimento e dal regime nazionalsocialista nel loro complesso alla persona e alla personalità isolate di Adolf Hitler, tentativo che raggiunge soltanto l’obbiettivo di scaricare sulla figura del Führer ogni responsabilità per l’instaurazione del regime nazista […]. Occorre ribadire con energia che un’analisi reale delle origini e della natura del nazionalsocialismo va portata sul terreno diretto delle strutture politiche ed economiche della Germania moderna e in parti- chio stile. I suoi principi – ammesso che ne abbia – non hanno nulla in comune con quelli che fino allora avevano regolato il gioco politico. La legalità degli atti non lo preoccupa; la libertà, la salvaguardia del Parlamento, tutti i vecchi principi dello Stato liberale gli sono estranei […]. Il fascismo rappresenta una novi- tà che non potrà essere «assorbita» nel sistema politico liberale e costituzionale. Non essersi accorti in tempo di questa pericolosa novità è il grave errore della maggioranza degli uomini che fino a quel momento sono stati alla testa della vita politica italiana. F. Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961 colare del Terzo Reich […]. [Dopo la Prima guerra mondiale], la critica delle istituzioni diventò la pretesa di affermare contro la democrazia di importazione esterna la validità di qualcosa di integralmente e genuinamente tedesco […], di completamente nuovo e giusto in assoluto per il popolo tedesco e per esso solo. […] La crisi sociale portò alla condanna totale di ogni preesistente ordinamento ed esperienza: la negazione del classismo generò l’ideale corporativo. Soprattutto la struggente rinascita nazionalistica, nella qua- le si confondeva anche il sempre vivo movimento pangermanista, trovò la più esasperata espressione nel razzismo feroce e intransigente di tutti i profeti della «rivoluzione tedesca» che in realtà lungi dall’essere portatrice di idee e di forze nuove faceva appello alle idee più screditate della tradizione tedesca. La sintesi di queste componenti sarà il Terzo Reich come Stato totalitario, militaristico e imperialistico, fondato sul principio carismatico del Führer e sul mito della razza, come travestimento ideologico dell’imperialismo. E. Collotti, La Germania nazista. Dalla repubblica di Weimar al crollo del Reich hitleriano, Torino, Einaudi, 1962 174 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 175 Interpretazioni Interpretazioni La Grande crisi: disoccupazione di massa e mancanza di sicurezza sociale (capitolo 7) La Resistenza come guerra di popolo (capitolo 8) Alle soglie della Grande crisi, in tutto l’Occidente vigeva la regola secondo cui lo Stato doveva intervenire in economia il meno possibile, lasciando al mercato il compito di autoregolarsi. La depressione seguita al crollo della Borsa di Wall Street rese del tutto evidente l’inadeguatezza del credo liberista. Milioni di lavoratori rimasti senza impiego venivano lasciati al loro destino, come ricorda Eric Hobsbawm, nella speranza che la situazione migliorasse. Il che non accadde. Il dibattito sul significato della Resistenza italiana anima da decenni il confronto tra gli storici e ha subito nel tempo una notevole evoluzione. All’indomani del conflitto mondiale, Alessandro Galante Garrone definiva la Resistenza una «guerra di popolo» partecipata e dunque capace di legittimare la nuova democrazia sorta nel nostro paese. Per gli uomini e le donne salariati o stipendiati, la principale conseguenza della crisi fu la disoccupazione, che si diffuse su una scala senza precedenti e per una durata che nessuno si era mai aspettato. Nel periodo peggiore della crisi (1932-1933), il 2223% della forza lavoro inglese e belga, il 24% di quella svedese, il 27% di quella americana, il 29% di quella austriaca, il 31% di quella norvegese, il 32% di quella danese e non meno del 44% dei lavoratori tedeschi rimasero senza lavoro. Altrettanto importante è il fatto che perfino la ripresa, dopo il 1933, non ridusse il tasso medio di disoccupazione sotto il 16-17% in Gran Bretagna e in Svezia, o sotto il 20% nei restanti paesi scandinavi, in Austria e negli Usa. […] Da tempo immemorabile non si verificava una catastrofe economica di tale portata nella vita delle classi lavoratrici. Ciò che rese la situazione ancora più drammatica fu che le sovvenzioni pubbliche per la sicurezza sociale, incluso il sussidio di disoccupazione, non esistevano affatto, come negli Usa, oppure erano assai misere se rapportate ai parametri valutativi odierni, soprattutto per i disoccupati di lungo periodo […]. Anche nel paese che più di ogni altro aveva adottato già prima della crisi misure di protezione sociale contro la disoccupazione, e cioè la Gran Bretagna, meno del 60% della forza lavoro era tutelato. […] Altrove in Europa – a eccezione della Germania, con il 40% di lavoratori tutelati – la quota di lavoratori che aveva diritto a un sussidio di disoccupazione andava dallo zero a circa un quarto. Coloro che si erano adattati a periodi ciclici di disoccupazione e di impiego furono ridotti alla disperazione quando non poterono più trovare lavoro e quando si esaurirono i loro piccoli risparmi. E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1997 La Grande crisi apre la strada dell’intervento statale nell’economia (capitolo 7) Solo quando i governi scelsero di andare contro le parole d’ordine del «laissez-faire», fu possibile arginare gli effetti della Grande crisi. Roberto Balzani racconta che prese allora avvio una nuova fase: quella che avrebbe visto la mano pubblica porsi accanto all’iniziativa privata, e anzi sovrastarla, come protagonista delle maggiori scelte di politica economica. La Grande Crisi fu alla base di un atteggiamento verso il mercato e verso la società che sarebbe durato circa un cinquantennio: esso prendeva le mosse dalle «imperfezioni» del capitalismo per arrivare a postulare come necessario un ruolo più incisivo dello Stato, sia nell’arena economica, sia nella contigua arena sociale. Lo Stato non poteva più essere un «arbitro» neutrale, un semplice regolatore: milioni di disoccupati, lo spettro della miseria, la sfiducia diffusa nei centri del potere finanziario imponevano un’azione diretta. Questa azione fu teorizzata dall’economista liberale inglese John May- nard Keynes in un celebre saggio del 1936: egli sostenne che i governi, per interrompere il circolo vizioso determinato dalla simultanea caduta dei prezzi, dei salari e degli occupati, dovevano investire, anche a costo di battere moneta e creare, quindi, inflazione. L’investimento pubblico avrebbe fatto ripartire la domanda di lavoro, iniettando denaro fresco nel corpo esangue del sistema produttivo e restaurando l’equilibrio inceppato. Ma non si trattava solo di «restaurare» l’«ordine» economico. Lo Stato aveva anche la possibilità di indicare quali investimenti preferire (se volti al consumo sociale o a quello indivi- duale) e, utilizzando la leva fiscale, di ridistribuire il reddito a beneficio dei settori più poveri e disagiati. […] Che cosa concludere, dunque, della vicenda della Grande Crisi? Anzitutto, il principio liberistico uscì alquanto malconcio dallo scontro con i fatti, e fu generalmente ridimensionato e circoscritto grazie ad un più deciso intervento dello Stato. Le forme di questo intervento furono varie, ma il risultato, e cioè la creazione di un’area di intervento pubblico affiancata al privato, in genere fu il medesimo nelle principali nazioni dell’Occidente. La guerra partigiana è stata, in Italia, un grande moto di popolo. Essa non è stata solo combattuta da formazioni militari, contro Tedeschi e fascisti, ma è stata combattuta e sofferta da intere popolazioni, dagli strati sociali più umili, più tradizionalmente e secolarmente lontani da una partecipazione cosciente ai grandi problemi politici dell’età moderna. Ha investito e sconvolto gli interessi e gli ideali non di una, ma di tutte le classi. Ha posto gli Italiani dinanzi a problemi non specificamente italiani, ma semmai europei, ed universalmente umani. È stata insomma una spontanea «guerra di popolo, nata dal popolo» […]. E per questo il suo ricordo durerà a lungo, nelle nostre valli e nelle nostre campagne, trapasserà in leggenda, alimenterà sentimenti ed orgogli e propositi, diventerà comune patrimonio di un popolo. […] Il fatto nuovo, miracoloso che per la prima volta si produsse nella no- stra storia fu appunto questo: che il popolo italiano, non trascinato da una dinastia o da un esercito o da un governo legittimo (ed anzi nella totale assenza di questi poteri), spontaneamente scese a combattere per conquistare la sua libertà. Non è possibile intendere il significato politico della nostra guerra partigiana se non si considera questo carattere di spontaneità popolare e di autonoma consapevolezza che essa assunse in ogni regione. A. Galante Garrone, Aspetti politici della guerra partigiana in Italia, in «L’Acropoli», n. 16, 1946 La Resistenza come guerra civile (capitolo 8) All’inizio degli anni Novanta Claudio Pavone pubblicò Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, un contributo che metteva in evidenza le tante facce della Resistenza, che fu sia guerra civile tra italiani combattenti in schieramenti opposti, sia guerra di liberazione contro il nazifascismo, sia guerra di classe per l’avvento di una società più giusta. Egli sottolineò anche come questi diversi aspetti fossero spesso inscindibili e tutti presenti nelle azioni dei protagonisti. L’interpretazione della lotta fra la Resistenza e la Repubblica sociale italiana come guerra civile ha incontrato da parte degli antifascisti […] ostilità e reticenza, tanto che l’espressione ha finito con l’essere usata quasi soltanto dai vinti fascisti, che l’hanno provocatoriamente agitata contro i vincitori. La diffidenza degli antifascisti ne è risultata accresciuta, alimentata dal timore che parlare di guerra civile conduca a confondere le due parti in lotta […]. In realtà mai come nella guerra civile […] le differenze tra i belligeranti sono tanto nette e irriducibili e gli odi tanto profondi […]. La qualifica di servi dello straniero data ai fascisti non è sufficiente a cancellare in loro quella di italiani […]. Nemmeno si può sorvolare sugli italiani, notevolmente più numerosi dei fascisti militanti, che di fatto accettarono il governo della Rsi, prestandogli in varie forme obbedienza. […] In realtà, è il fatto stesso della guerra civile che reca in sé qualcosa che alimenta la tendenza a seppellirne il ricordo […]. I membri di un popolo che si pongono al servizio dello straniero oppressore vengono considerati colpevoli di un tradimento radi- cale […]. Il prevalere della formula guerra, o movimento, di liberazione nazionale rispetto a quella di guerra civile occulta dunque la parte di realtà che vide italiani combattere contro italiani […]. Le reciproche denunce di aver dato avvio alla lotta fratricida furono e restano numerose. Esse non debbono tuttavia spingere a dimenticare coloro che sentirono sì la guerra civile come una tragedia generatrice di tragedie e lutti, ma anche come un evento da assumere con orgoglio, in nome della scelta compiuta e della consapevole accettazione di tutte le conseguenze che essa comportava. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati-Boringhieri, 1991 R. Balzani, Ricchezza e povertà, in Introduzione alla storia contemporanea, a cura di P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 1997 176 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 177 Unità 2 • Totalitarismi e democrazie in conflitto Verso la Prima prova: saggio breve Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta 1 Leggi attentamente i seguenti documenti sul comunismo nell’Unione Sovietica e rispondi alle domande. Poi scrivi una 3 Costruisci una mappa concettuale sulla nascita dei regimi dittatoriali in Europa dopo la Prima guerra mondiale breve trattazione per ciascun documento partendo dalle tue risposte. (capitolo 7). Stalin non disse mai molto sulla teoria della pianificazione […]. Non c’è dubbio che l’intero processo fu una colossale improvvisazione, diretta empiricamente, e troppo spesso secondo capricci dispotici. Tuttavia si possono individuare alcune semplici ma importanti regole pratiche che guidarono le scelte politiche di Stalin […]. Nel 1921 […] Stalin, manifestando la sua caratteristica diffidenza per i «professori» che mancavano dell’indispensabile «sano pragmatismo», sollecitava Lenin a mandare alla Commissione per la pianificazione «uomini provenienti dalla politica viva, pronti ad agire in base al principio della obbedienza alle direttive». Stalin usava il linguaggio di un comandante della guerra civile e chiaramente confondeva i metodi necessari su un campo di battaglia con quelli infinitamente più complessi necessari per pianificare lo sviluppo di un’economia nazionale. […] Il lancio della campagna di industrializzazione alla fine degli anni Venti diede libero sfogo alla fiducia di Stalin e della sua frazione nel principio della «obbedienza alle direttive» […]. Durante la guerra civile, gli iscritti al partito, benché uniti e disciplinati, avevano ancora accesso agli organi superiori e alla battaglia politica, mentre durante il piano quinquennale questo diritto fu cancellato. […] Alla popolazione, al partito e ai dirigenti stessi fu negato il diritto di analisi e di autoanalisi. Nel mezzo di un’attività febbrile, tutti venivano come bendati, ignari della direzione che stavano prendendo e dei meccanismi socio-politici che stavano emergendo nella società. […] Il monopolio sia in campo economico che politico, divenuto più assoluto che mai, rafforzò la già forte tendenza del sistema a glorificare le proprie pratiche, quali che fossero, e a presentarle come il massimo della saggezza. […] Indubbiamente, una strategia di industrializzazione che assegnava la priorità al rapido sviluppo dell’industria pesante con tanta implacabile unilateralità non avrebbe potuto avere successo senza la capacità del sistema politico di costringere la società a sopportare le pressioni, gli stenti e le irrazionalità che un piano del genere comportava. […] Quanto minori erano la complessità e la maturità teorica dei concetti che stavano dietro alla pratica economica, tanto maggiore era il ricorso alla capacità coercitiva dello Stato. M. Levin, Economia e politica nella società sovietica, Roma, Editori Riuniti, 1977 1 In quale modo fu organizzato da Stalin il processo di industrializzazione dell’URSS? Quale fu il risultato? 2 Quale fu, invece, il prezzo da pagare per l’affermazione del comunismo? Era difficile figurarsi cose del genere in anticipo, poiché tutto quello che è accaduto in quei luoghi è troppo inusuale, troppo inverosimile, e il povero cervello umano non arriva a immaginarsi concretamente la vita laggiù. […] Avevamo imparato la rassegnazione, avevamo disimparato a stupirci. Non c’erano rimasti né orgoglio, né egoismo, né amor proprio. E gelosia e passione ci sembravano concetti da marziani, futili per giunta. Era molto più importante imparare a riabbottonarsi i pantaloni in inverno, con il gelo: cosa tutt’altro che facile. Ho visto uomini adulti piangere per questo. Capivamo che la morte non era per niente peggiore della vita e non temevamo né l’una né l’altra. V. Šalamov, I racconti di Kolyma, Torino, Einaudi, 1999 1 A quali luoghi fa riferimento lo scrittore Varlam Šalamov nella sua testimonianza? 2 Per quale ragione «gelosia» e «passione» gli sembravano sentimenti futili? 3 Secondo te, perché la morte non appariva peggiore della vita? 178 Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale 4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sull’Italia fascista (capitolo 5), che potrai poi esporre oralmente. Fine della Prima guerra mondiale à Contrazione dei consumi à Crisi dell’industria à Arruolamento dei contadini à Calo della produzione agricola à Disoccupazione e inflazione Crisi economica à Crisi sociale à «Biennio rosso» à Difficoltà dei governi Contadini à Occupazione dei latifondi Chiusura delle fabbriche à Diminuzione dei salari à Scioperi Nazionalisti à «Vittoria mutilata» à «Impresa di Fiume» Benito Mussolini à Fasci di combattimento à Avversione al socialismo à Rappresentanti della borghesia à Squadrismo e violenza sistematica à Camicie nere à Partito nazionale fascista Marcia su Roma à Governo Mussolini Trasformazione delle istituzioni à Gran consiglio del fascismo e Milizia volontaria per la sicurezza nazionale à «Leggi fascistissime» à Mussolini capo del Regime Fine dello Stato liberale di diritto e inizio della dittatura à Ventennio fascista Scioglimento dei partiti politici à Partito unico à Identificazione dello Stato con il Partito à Soppressione libertà di espressione e azione à Persecuzione oppositori politici à Leggi razziali à Politica antisemita Patti lateranensi à «Legittimazione» da parte della Chiesa Sistema corporativo à Camera dei fasci e delle corporazioni à Fine della democrazia parlamentare Politica protezionistica à Imposizione dazi e controllo prezzi à Piano di lavori pubblici à «Battaglia del grano» e «bonifica integrale» Controllo dell’economia e della vita dei cittadini Conquista dell’Etiopia à Embargo internazionale à Autarchia «Tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, niente al di fuori dello Stato» à Opera nazionale dopolavoro à Opera nazionale balilla à Indottrinamento politico dei giovani à Controllo del sistema dell’istruzione (Giovanni Gentile) Verso la Terza prova: trattazione sintetica di argomenti Propaganda à Controllo mezzi di comunicazione à Adunate à Consenso popolare à Culto della personalità di Mussolini 2 Scrivi una breve trattazione (dieci/quindici righe) dei seguenti argomenti. Istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato e dell’Ovra à Persecuzione, prigione e confino Repressione di ogni forma di dissenso Creazione di reti clandestine à «Fuoriusciti» Antifascismo 1 La Repubblica di Weimar 4 La Resistenza in Italia 2 L’ascesa al potere di Hitler 5 La caduta del regime fascista in Italia. 3 I caratteri fondamentali del nazismo 6 La Conferenza di Yalta. © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 179