Orizzonti 3_U2_C8

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La Seconda guerra mondiale
U
CANADA
Vancouver
R
S
S
Halifax
U S A
Gibilterra
Isole Azzorre
San Diego
TURCHIA
Algeria
MESSICO
Cuba
Freetown
VENEZUELA
1945
Georgetown
COLOMBIA
1943
ECUADOR
1945
B R A S I LE
PERÙ
1942
Africa
Occidentale
Francese
Accra
CINA
1941
IRAN
1943
Malta Il Cairo
EGITTO ARABIA
1942 SAUDITA
1945
Africa
Centrale
Francese
Calcutta
Bombay
Aden
Hawaii
Trincomalee
Lagos
Pearl Harbour
I ndi e O land es i
Natal
1942
Darwin
BOLIVIA
1942
Madagascar
CILE
1943
GIAPPONE
Città del Capo
ARGENTINA
UNIONE
SUDAFRICANA
AUSTRALIA
1939
Nuova
Caledonia
Brisbane
1944
Stati dell’Asse e loro satelliti
Massima espansione dell’Asse (1942-1943)
Stati alleati
1942
Isole Auckland
Data dell’ingresso nell’alleanza
Aree rimaste sotto il controllo di Vichy
Principali basi alleate
Avanzata giapponese
Stati neutrali durante tutto il conflitto
fanteria, che consolidava l’avanzata e ripuliva il territorio conquistato. La vittoria sulla
Polonia fu in tal modo raggiunta lasciando
sul campo poche migliaia di soldati.
Il paese non venne però occupato completamente: sulla scorta del protocollo segreto
del patto Molotov-Ribbentrop, fu l’Unione
Sovietica a prendere la metà orientale della Polonia. Immediatamente, per ordine di
Hitler, cominciò la persecuzione degli ebrei
e della classe dirigente polacca. Stalin, dal
canto suo, ordinò l’uccisione di migliaia di
polacchi tra ufficiali, semplici soldati e borghesi «nemici del popolo»: tra l’aprile e il
maggio 1940, ne furono massacrati nei boschi di Katyn, nell’attuale Bielorussia, quasi
22.000. Era l’annuncio delle stragi indiscriminate che avrebbero caratterizzato l’intero
conflitto mondiale, su tutti i fronti.
Il 3 settembre 1939, intanto, la Francia e il
Regno Unito avevano dichiarato guerra alla
Germania mentre Mussolini, non ritenendosi pronto, proclamava la «non belligeranza» dell’Italia. I popoli d’Europa, lanciati in
un nuovo scontro generalizzato, trascorsero
l’inverno tra 1939 e 1940 in un’attesa carica
d’angoscia. Tutti si chiedevano quale sarebbe stata la mossa successiva di Hitler, ma fu
l’Unione Sovietica a passare all’azione at-
taccando la Finlandia: dopo mesi di accaniti combattimenti difensivi, Helsinki dovette
arrendersi e l’URSS ottenne nel grande nord
consistenti guadagni territoriali. Pochi mesi
dopo, nell’estate del 1940, Stalin occupò
anche Lettonia, Estonia e Lituania, che, secondo il patto dell’agosto 1939 ricadevano
nella sfera d’influenza sovietica. Il dittatore
approfittava così al massimo dell’accordo
con la Germania nazista.
Il crollo della Francia
Il 9 aprile 1940, la Germania invase Danimarca e Norvegia, conquistandole agevolmente. Si assicurò in questo modo ingenti
risorse minerarie, il controllo dei porti sul
Mare del Nord necessari a contrastare il
blocco navale tentato da Londra e le basi aeree indispensabili a tentare un attacco aereo
sullo stesso Regno Unito.
Poi Hitler decise di scagliarsi contro la
Francia, unica potenza continentale in grado di contrastarne le mire. L’attacco fu lanciato il 10 maggio 1940 attraverso la foresta
delle Ardenne. Nelle settimane successive
caddero Belgio e Paesi Bassi (attaccati nonostante fossero paesi neutrali) e le divisioni
corazzate naziste spezzarono con facilità
divisione corazzata:
unità militare dotata
di carri armati, che ne
costituiscono la parte più
importante.
L’invasione tedesca della Polonia
e sovietica degli Stati baltici (1939)
Il mondo nel pieno della Seconda guerra mondiale
F I N L A N D IA
Tallin
8.1 1939-1941: il dominio
ESTONIA
lt
i c o
della Germania
a
L’attacco alla Polonia
LETTONIA
Riga
LITUA N IA
B
Occupazione nazista della Polonia: forze tedesche entrano in Varsavia nel settembre 1939.
Panzer: abbreviazione del termine tedesco
Panzerkampfwagen («mezzo corazzato da battaglia»).
L’impressione e l’efficacia di questi mezzi fu tale che la
parola Panzer ancora oggi viene usata per indicare le
formazioni corazzate più potenti.
M
a
r
Kaunas
Danzica
Vilnius
Minsk
Prussia
Orien t a l e
G E RM A N IA
Il 1° settembre 1939 le truppe di Hitler invasero la Polonia con un massiccio attacco
che ne piegò in poche settimane la resistenza. Già il 27 di settembre Varsavia era costretta ad arrendersi.
In questa campagna, la Germania mise
a punto il metodo del Blitzkrieg, o «guerra
lampo», che tanto stupore e timore avrebbe
suscitato in Europa negli anni seguenti. Precedute dai bombardieri in picchiata, potenti colonne di carri armati, i Panzer , si infilavano nelle maglie della difesa avversaria e
frantumavano le formazioni più numerose
dell’esercito nemico. Sopraggiungeva poi la
Poznan
URSS
Brest
Varsavia
P O L O N I A
Breslavia
Cracovia
Lvov
Boemia
Moravia
S LOVACC H IA
AUSTRIA
Territori annessi
dalla Germania
ROMANIA
Territori annessi
dall’URSS
Manifesto di E. Castel per i Compagnons de France, 1939-45.
© Loescher Editore – Torino
146
1915
© Loescher Editore – Torino
1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
1945
147
2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
L’occupazione di Belgio, Paesi Bassi
e Francia (maggio-giugno 1940)
REGNO UNITO
PAESI BASSI
Amsterdam
BELGIO
Lilla
Bruxelles
Parigi
Alsazia e
Lorena
annesse
Nantes
G E R M A N IA
Londra
SVIZ Z E R A
Vichy
Bordeaux
Lione
I TA L I A
Tolosa
Marsiglia
ANDORRA
S PAG N A
Territori occupati
dalla Germania
radar: acronimo
di radio detection and
ranging. Attraverso
onde radio venivano
segnalati gli apparecchi
nemici, consentendo ai
piloti inglesi di levarsi
in volo e dare battaglia.
L’invenzione del radar
diede all’aviazione
inglese un vantaggio
fondamentale sugli
avversari.
Dossier 4 p. 398
Ma r
Mediter r a neo
Repubblica di Vichy
il fronte avversario, costringendo centinaia
di migliaia di soldati francesi e inglesi ad
abbandonare le armi e a fuggire verso la costa del Canale della Manica. Da qui furono
imbarcati per la Gran Bretagna nel corso di
una drammatica operazione di salvataggio.
Il 14 giugno i tedeschi entrarono a Parigi.
La Germania aveva ottenuto in poco più
di un mese il risultato mai raggiunto durante la Prima guerra mondiale, vendicando
la sconfitta del 1918 e stabilendo il proprio
dominio sull’Europa centrale. Il 22 giugno,
i francesi furono costretti a firmare la resa
Londra: pompieri combattono
le fiamme in seguito a
bombardamenti tedeschi
nel 1941.
nello stesso vagone ferroviario che aveva
ospitato la capitolazione tedesca ventidue
anni prima. Alla Francia fu lasciata una
parte del territorio nazionale, con capitale
a Vichy, ma i tedeschi vi instaurarono un
governo fantoccio, guidato dal maresciallo
Philippe Petain.
La battaglia d’Inghilterra
Hitler era convinto che il Regno Unito, rimasto solo, avrebbe accettato una pace di
compromesso. Ma non fu così. Caduto il
governo di Neville Chamberlain, le redini
del paese vennero prese dal conservatore
Winston Churchill, il principale avversario
della passata politica di appeasement verso la Germania. Churchill riuscì a scuotere
i connazionali tramortiti dalle sconfitte subite sul continente e a raccoglierne le forze
per la difesa delle isole britanniche.
Tutto lasciava infatti prevedere che Hitler
avrebbe tentato di invadere la Gran Bretagna, e queste erano davvero le sue intenzioni. Ma il tentativo di sbarco – per il quale era
già stato adottato il nome in codice di «Operazione Leone Marino» – poteva svolgersi
con successo solo se preceduto dall’annientamento delle forze aeree rivali. E fu qui che
la Germania subì il suo primo scacco. Nel
corso della battaglia d’Inghilterra, sviluppatasi nei mesi estivi del 1940, l’aviazione inglese riuscì, grazie anche all’uso del radar ,
a respingere gli attacchi dell’aviazione tedesca. D4 Quando fu evidente che la resistenza militare avversaria non poteva essere
piegata, Hitler decise di passare alla guer-
Manifesto inglese della seconda guerra mondiale sulla Royal
Air Force, 1939-45 circa, Londra, The National Archives.
ra psicologica ed economica: diede inizio
allora a una sanguinosa e indiscriminata
campagna di bombardamento sulle città, le
infrastrutture e le industrie britanniche. Ma
neanche questo indusse Londra alla resa.
L’estate del 1940 infine trascorse, e con essa
sfumò la possibilità che i tedeschi sbarcassero nel Regno Unito.
La «guerra parallela» dell’Italia
fascista
Il 10 giugno 1940, Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia contro Francia e
Regno Unito. Il duce sapeva che al paese
mancavano le materie prime necessarie per
uno sforzo bellico prolungato, così come le
armi moderne che equipaggiavano gli eserciti più potenti. Ma era anche convinto, data la
manifesta superiorità della Germania, che il
conflitto sarebbe terminato in breve tempo.
Cominciò allora la «guerra parallela»
dell’Italia fascista, che ebbe fin da subito esiti
disastrosi. Tra l’estate del 1940 e la primavera
del 1941, gli italiani subirono infatti ripetute
sconfitte. L’affondamento di tre corazzate in
rada a Taranto da parte degli aerosiluranti
inglesi e la disfatta navale di Capo Matapan
(nel Sud della Grecia) garantirono alla flotta
britannica il predominio nel Mediterraneo.
In Africa settentrionale, il maresciallo Graziani si vide sottrarre parte della Libia dalle
incalzanti truppe inglesi stanziate in Egitto.
E solo l’arrivo di un corpo corazzato tedesco,
guidato dal generale Erwin Rommel detto «la volpe del deserto», permise alle forze
dell’Asse di tornare all’attacco. Eritrea, Somalia ed Etiopia caddero ancora per mano
britannica: nell’aprile 1941 il negus Hailé Selassié riebbe il suo trono ad Addis Abeba.
Le sconfitte più clamorose giunsero però
in Grecia. Lanciato l’esercito all’assalto del
piccolo Stato ellenico il 28 ottobre 1940,
Mussolini fu costretto addirittura ad arretrare dalla valorosa resistenza greca. Nella
primavera del 1941, Hitler dovette intervenire per salvare il capo del fascismo e la Blitzkrieg fece nuove vittime: Grecia e Iugoslavia furono facilmente piegate dai tedeschi.
Tutto ciò scosse gravemente la fiducia
degli italiani in Mussolini e ridimensionò il
ruolo dell’Italia nel conflitto. Costantemente sulla difensiva, il nostro paese avrebbe da
allora in poi svolto il ruolo di alleato subordinato della Germania.
Il controllo nazista delle zone occupate
Il sistema di occupazione
nazista
Controllo
delle risorse
agricole e
industriali
Arresto e
deportazione
degli oppositori
e dei resistenti
Collaborazione con
nazionalisti e fascisti
nazionali
1915
Deportazione
nei campi di
sterminio di
ebrei e zingari
Deportazione di
forza-lavoro nelle
industrie del Reich
I fronti italiani (1940-1941)
Tripoli
Cirenaica
Tripolitania
Il Cairo
EGITTO
(alleato inglese)
Colonie inglesi
Territori italiani
occupati dagli
inglesi
Sudan
anglo-egiziano Eritrea
Yemen
Gibuti
Addis Abeba
Abissinia
Somalia
Uganda
Kenya
G E RM A N IA
Savoia
SVIZZERA
REPUBBLICA
DI VICHY
Nizza
URSS
SLOVACCHIA
Vienna
AUSTRIA
Trieste
U N G H E R IA
Budapest
Zagabria
Zara C r o a z i a
I TA L I A
Belgrado R O M A N I A
Bucarest
Serbia
Montenegro
B U LG A R I A
Sofia
Roma
Istanbul
Tirana
Albania
Grecia
TU RCH IA
Atene
Dodecaneso
Mar Mediterraneo
Germania nazista
Creta
Territori occupati dall’Italia
Territori occupati dalla Germania
Offensive italiane
Offensive tedesche
Stati alleati dell’ Asse
Italia fascista
© Loescher Editore – Torino
148
La Seconda guerra mondiale
© Loescher Editore – Torino
1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
1945
149
2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
8.2 1942: l’anno della
svolta
Giappone e Stati Uniti
in guerra
La ritirata di Russia, 25 gennaio 1943.
Manifesto sovietico contro il nazismo:
1941, Galleria Statale Tret’jakov.
L’invasione dell’Unione
Sovietica
Il 1941 fu per i tedeschi l’anno dei successi
più spettacolari. Il Regno Unito non si era
arreso, ma Hitler era padrone del continente. Poté dunque volgersi verso est, alla conquista di quei territori che egli stesso aveva
indicato come necessari all’espansione del
Reich millenario. In questa parte dell’Europa egli individuava il Lebensraum, lo «spazio
vitale» destinato a soddisfare l’esuberanza
demografica dei tedeschi e le loro necessità
La campagna di Russia (1941-1942)
FINLANDIA
SVEZIA
Leningrado
Estonia
Mosca
Lettonia
Lituania
UNIONE
SOVIETICA
Ucraina
Polonia
Stalingrado
SLOVACCHIA
UNGHERIA
ROMANIA
Croazia
Serbia
Mar Nero
BULGARIA
TURCHIA
Paesi dell’Asse
Stati alleati dell’Asse
Paesi dell’Asse
Territori
conquistati
Stati
alleati
dell’Asse
Paesi
dell’Asse
o occupati dall’Asse
Stati alleati dell’Asse
Territori conquistati
o occupati dall’Asse
Territori conquistati
o occupati dall’Asse
di risorse agricole e minerarie. Corollario di
tale espansione sarebbe stata inoltre, come
annunciato ripetutamente, la sottomissione
violenta delle popolazioni slave, considerate «non ariane» e quindi inferiori.
L’invasione dell’Unione Sovietica rappresentava un’impresa militare di eccezionale
difficoltà. Non a caso gli stessi alti comandi
dell’esercito tedesco la consideravano un
azzardo. Tuttavia, la spinta ideologica di Hitler e del Partito nazista fu decisiva per vincere ogni resistenza dei militari: il 22 giugno
1941 – in spregio al patto di non aggressione
firmato a Mosca nell’agosto del 1939 – scattò dunque l’«Operazione Barbarossa».
Le dimostrazioni di forza offerte dall’esercito tedesco nel biennio 1939-1940 indussero tutti i governi d’Europa a pensare che
Mosca avrebbe ceduto di schianto. E in effetti l’avanzata della Germania, sostenuta
da tre milioni di uomini, 3000 carri armati
e 10.000 aerei, fu all’inizio travolgente. Colta
completamente di sorpresa, l’Armata Rossa
(già indebolita nei suoi alti comandi dalle
«purghe» staliniane) venne sopraffatta in
enormi battaglie di accerchiamento, che le
costarono in sei mesi circa quattro milioni
di prigionieri. Ma se grandi erano le perdite, immense erano le risorse umane e materiali a disposizione dei sovietici, che non
si arresero. Quando giunsero alle porte di
Mosca, al principio del dicembre 1941, le
truppe tedesche erano ormai esauste e a
corto di soldati e mezzi: non equipaggiate
per affrontare i rigori dell’inverno russo, dovettero arrestarsi.
L’espansione giapponese nel Pacifico (1941-1942)
1915
Territori giapponesi nel 1941
Aleutine
U R S S
Offensive giapponesi
Sahalin
MONGOLIA
Conquiste nel 1942
Manciuria
Pechino
Mentre l’esercito di Hitler si arenava in vista di Mosca, eventi fondamentali per le
sorti della guerra si svolgevano nell’Oceano
Pacifico. La mattina del 7 dicembre 1941,
stormi di cacciabombardieri decollati dalle portaerei giapponesi attaccarono senza
alcun preavviso la base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. Migliaia di
uomini morirono e le più grandi corazzate
della flotta furono affondate. Annichilita
così la potenza marittima statunitense, il
Giappone lanciò le sue truppe in operazioni
a larghissimo raggio, che entro i primi mesi
del 1942 gli assicurarono il controllo di Indocina, Filippine, Indie Olandesi, parte della Nuova Guinea e arcipelaghi del Pacifico.
Tokyo poté in tal modo impadronirsi delle
ricche risorse di queste regioni, essenziali al
suo sforzo bellico.
Il presidente americano Roosevelt premeva da tempo affinché il suo paese intervenisse a sostegno del Regno Unito contro
la Germania. E aveva concesso a Londra
ingenti rifornimenti militari a condizioni di
favore, trasformando gli Stati Uniti nell’«arsenale delle democrazie». L’attacco a tradimento di Pearl Harbor colpiva ora gli americani come una frustata, strappandoli al
torpore dell’isolazionismo. Il giorno dopo
l’attacco, Roosevelt, finalmente sostenuto
dall’opinione pubblica, dichiarò guerra al
Giappone, chiamando i connazionali alla
lotta. Nel giro di pochi mesi, il gigantesco
sistema produttivo americano si sarebbe
posto al servizio di un solo scopo: la vittoria
contro le dittature.
to Tripartito andarono più vicini a realizzare
i propri scopi.
Il Giappone – al motto propagandistico
«l’Asia agli asiatici» – dominava l’intero sudest del continente e imponeva un ferreo protettorato politico ed economico.
La Germania aveva ripreso l’offensiva
contro l’Unione Sovietica: obiettivo erano il
fiume Volga e i ricchi giacimenti petroliferi dell’area caucasica. L’attacco ebbe pieno
successo e ancora una volta le truppe tedesche sembrarono inarrestabili.
Italia e Germania insieme respinsero gli
inglesi in Africa settentrionale, varcando la
frontiera egiziana e mettendo in allarme Il
Cairo. Grandi successi raccoglievano infine
i tedeschi nella battaglia dell’Atlantico: gli
U-Boot , protagonisti della guerra sottomarina lanciata da Hitler per affamare il Regno
Unito, affondavano ogni mese centinaia di
migliaia di tonnellate di rifornimenti destinati alla popolazione britannica. A tre anni
dallo scoppio del conflitto Londra appariva
sul punto di crollare.
La massima espansione
dell’Asse
La svolta: Midway, Stalingrado,
El-Alamein
Nel settembre 1940, il Giappone si era unito
a Germania e Italia nel Patto Tripartito, che
aveva l’obiettivo di imporre un «nuovo ordine» autoritario all’Europa e all’Asia. Hitler e
Mussolini dichiararono dunque guerra agli
Stati Uniti all’indomani di Pearl Harbor e il
conflitto europeo si trasformò in uno scontro di dimensioni mondiali.
Il 1942 fu l’anno in cui i firmatari del Pat-
Improvvisamente le sorti della guerra cambiarono e già nello stesso 1942 le forze
dell’Asse furono costrette alla difensiva o, in
alcuni casi, addirittura alla ritirata.
Nel Pacifico, l’espansionismo nipponico
venne fermato dagli Stati Uniti con le battaglie navali del Mar dei Coralli e delle isole
Midway, tra i mesi di maggio e giugno. Pochi
mesi dopo, con lo sbarco nell’isola di Gua-
Corea
C I N A
GIAPPONE
Tokyo
Midway
- Ryukyu
Formosa
Hawaii
Marianne
OCEANO
Indocina
Filippine
Wake
AT L A N T I CO
Caroline
Singapore
Borneo
Sumatra
Pearl Harbor
Marshall
Gilber
Nuova
Guindea
Giava
© Loescher Editore – Torino
150
La Seconda guerra mondiale
Salomone
L’attacco di Pearl Harbor.
U-Boot: dal tedesco
Unterseeboot («nave
sottomarina»). La flotta
sottomarina tedesca
inflisse danni notevoli
al traffico mercantile
nell’Oceano Atlantico,
ma subì a sua volta
enormi perdite. Tra 1939
e 1945 la Germania perse
743 U-Boot e 28.000
membri d’equipaggio
(il 75% delle forze
impiegate).
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1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
1945
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2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
Manifesto inglese di propaganda
con Winston Churchill.
Le offensive alleate del 1943
Offensive militari
angloamericane
Offensive militari
sovietiche
Territori riconquistati
dagli Alleati
ilitari
cane
ilitari
IRLANDA
Territori riconquistati
dagli Alleati
FINLANDIA
NORVEGIA
SVEZIA
Leningrado
Estonia
Lituania
Londra
Berlino
GERMANIA Varsavia
Praga
Parigi
Stalingrado
Ucraina
Kiev
Rostov
SLOVACCHIA
FRANCIA
SVIZZERA AUSTRIAUNGHERIA
PO
RTO
G
ALL
O
Croazia
S PAG N A
Roma
ROMANIA
Serbia
BULGARIA
ITA L I A Albania
Algeri
Marocco
GRECIA
TU RCH IA
Tunisi
Tunisia
Algeria
Tripoli
Il Cairo
Libia
EGITTO
dalcanal, le truppe americane cominciarono
una tenace opera di riconquista dei territori
occupati dal Giappone all’inizio dell’anno.
In Unione Sovietica, la Germania si fermò davanti a Stalingrado. Ripetuti attacchi
contro l’importante centro industriale sul
Volga non valsero a conquistarlo. Anzi, in
novembre fu l’Armata Rossa ad accerchiare le divisioni tedesche dislocate nell’area.
La battaglia di Stalingrado, che durava da
cinque mesi, si protrasse fino al 2 febbraio
1943 concludendosi con la disfatta dell’armata del feldmaresciallo Friedrich Paulus e
con la distruzione del mito dell’invincibilità
nazista.
Anche nell’Oceano Atlantico ci fu una
svolta: i convogli dei rifornimenti per il
Regno Unito vennero protetti meglio dalle navi da guerra alleate, che disponevano
ora di bombe di profondità più potenti e
soprattutto del sonar, dispositivo in grado
di individuare la presenza di sommergibili
nemici in agguato. Diminuì il tonnellaggio
affondato dagli U-Boot, e crebbe il numero
dei sottomarini tedeschi distrutti.
In Africa settentrionale, infine, il 23 ottobre 1942 gli inglesi guidati da Bernard
Law Montgomery sferrarono a El-Alamein
un attacco contro le truppe italo-tedesche,
sgominandole. Cominciò allora per il corpo
di spedizione dell’Asse una ritirata lunghissima, che avrebbe causato la perdita della
Libia e si sarebbe conclusa solo con la resa.
dell’Italia
L’attacco degli Alleati all’Italia
UNIONE
SOVIETICA
Mosca
Lettonia
REGNO
UNITO
8.3 1943: la disfatta
L’alleanza antifascista tra
Stati Uniti, Unione Sovietica
e Regno Unito
Il 14 agosto 1941 – prima dell’entrata in
guerra degli Stati Uniti, che erano ancora
formalmente neutrali – Winston Churchill
e Franklin Roosevelt si erano incontrati
nell’isola canadese di Terranova e avevano
redatto la Carta Atlantica in risposta al Patto Tripartito. Questa dichiarazione doveva
rappresentare il fondamento dell’ordine
mondiale destinato a nascere dopo la sconfitta della Germania. I suoi punti essenziali
erano il diritto dei popoli a scegliersi la forma di Stato e di governo, il rifiuto dell’autoritarismo, la libertà dei commerci, la rinuncia all’uso delle armi e l’impegno alla
cooperazione nei rapporti internazionali.
[Testimonianze  documento 7, p. 173]
L’attacco giapponese a Pearl Harbor proiettò gli Stati Uniti nella guerra mondiale
e non fece che rafforzare nei leader occidentali i propositi stabiliti dalla Carta Atlantica. Nasceva una improbabile alleanza:
Churchill e Roosevelt, alla guida di potenze democratiche e capitaliste, marciavano
assieme a Stalin, dittatore di un paese comunista. Tale enorme differenza avrebbe
generato negli anni successivi non poche
tensioni, per poi esplodere dopo il 1945. La
necessità di abbattere la Germania nazista e
i suoi alleati tuttavia era sufficiente a tenere
provvisoriamente uniti i tre uomini di Stato.
Churchill e Roosevelt si incontrarono nuovamente al principio del 1943, nella città
marocchina di Casablanca. Stalin, che aveva fino ad allora sostenuto quasi da solo il
peso dell’assalto nazista, chiedeva insistentemente l’apertura di un secondo fronte in
Europa. E i due leader occidentali scelsero
l’Italia come obiettivo di questa mossa. I
soldati dell’Asse in Africa settentrionale erano infatti presi in una morsa tra gli inglesi
e gli americani, appena sbarcati in Marocco
e Algeria. Italiani e tedeschi, ritiratisi fino
alla Tunisia, dovettero arrendersi nel maggio 1943 e la loro disfatta aprì agli Alleati
le porte dell’Italia meridionale. Neanche la
propaganda mussoliniana poté nascondere
la debolezza militare del nostro paese, che
appariva il fianco più facilmente attaccabile
della fortezza europea dominata da Hitler.
La caduta del fascismo
Una delle conseguenze dei gravi insuccessi
militari fu l’indebolimento del regime fascista. L’Italia si dibatteva in quei mesi in grandi difficoltà. L’impero era andato perduto.
Centinaia di migliaia di uomini avevano
trovato la morte o la prigionia nei campi di
battaglia, subendo umilianti sconfitte nello
scontro con eserciti meglio addestrati ed
equipaggiati. Le città soffrivano il martellante bombardamento degli aerei inglesi e
americani, mentre il razionamento alimentare costringeva la popolazione alla fame.
La fiducia degli italiani nel fascismo era ormai del tutto svanita e sarebbe bastato poco
a far precipitare la situazione.
Nella notte tra 9 e 10 luglio 1943, gli Alleati sbarcarono in Sicilia con 200.000 uomini
e mezzi soverchianti, conquistando l’isola
nel giro di poche settimane. Agli stessi gerarchi fascisti la guerra sembrava persa. Fu
così che il 25 luglio, durante una drammatica riunione del Gran consiglio, Mussolini
venne messo in minoranza dai suoi collaboratori, che gli chiesero di farsi da parte e lasciare il comando dell’esercito al re. Solo in
tal modo, si pensava, sarebbe stato possibile
chiedere agli Alleati l’armistizio e ottenere
un’onorevole via d’uscita dal conflitto. Quel
pomeriggio il duce fu convocato da Vittorio
Emanuele III, destituito e arrestato.
La notizia della caduta del regime si diffuse immediatamente per tutta Italia, accolta da straordinarie manifestazioni di entusiasmo. Il fascismo, che pure aveva contato
in passato su un notevole consenso popolare, non trovò in quelle ore nessuno pronto
a difenderlo. Troppo forte era il peso delle
sofferenze materiali e morali che da tre anni
gravavano sugli italiani. Le promesse del regime di una guerra breve e vittoriosa non si
erano realizzate. Al contrario, la guerra era
stata lunga, sanguinosa e piena di sconfitte.
I simboli della dittatura – statue, fasci littori,
ritratti di Mussolini – vennero ovunque sfregiati e abbattuti, il Partito nazionale fascista
fu sciolto e i gerarchi arrestati. Il governo del
paese fu affidato, su ordine del re, al maresciallo Pietro Badoglio, che dichiarò illegale
il Partito fascista, senza peraltro riconoscere la legalità degli altri partiti, e si affrettò
a rassicurare l’alleato tedesco sulla fedeltà
dell’Italia.
L’armistizio e l’8 settembre
La pace e la fine delle sofferenze legate alla
guerra erano invece proprio ciò che gli italiani volevano. Per questo Badoglio intavolò
trattative segrete con gli anglo-americani,
sfociate nell’armistizio firmato a Cassibile,
presso Siracusa, il 3 settembre 1943. Per riuscire a porre fine all’alleanza con i tedeschi,
Badoglio avrebbe dovuto agire immediatamente, in modo da evitare possibili reazioni
da parte della Germania. Invece si comportò con ambiguità e lentezza. Quando ci fu
l’annuncio della conclusione dei combattimenti via radio, la sera dell’8 settembre, il
paese precipitò nel caos e la situazione dei
militari italiani divenne critica.
I militari sparsi nei vari teatri di guerra non avevano ricevuto istruzioni e
furono abbandonati a se stessi. Ogni
reparto decise autonomamente cosa
fare. I tedeschi, che nei mesi estivi avevano dislocato nella penisola diverse
divisioni, accolsero la notizia della pace
separata degli italiani come un tradimento. Occuparono Roma e catturarono in tutta
Europa circa 600.000 soldati italiani, passando immediatamente per le armi quanti non
volevano consegnarsi: è quel che accadde,
per esempio, nell’isola di Cefalonia, in Gre-
© Loescher Editore – Torino
152
1915
La Seconda guerra mondiale
armistizio: accordo
tra Stati che sospende
i combattimenti. La
sospensione può
riguardare uno solo o
tutti i fronti, può essere a
termine o indeterminato.
Tuttavia, la fine vera e
propria di una guerra
avviene con la firma di
un trattato di pace.
Maresciallo Pietro Badoglio.
© Loescher Editore – Torino
1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
1945
153
2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
Mussolini viene liberato dalla
sua «detenzione» presso
l’albergo-rifugio di Campo
Imperatore, sul Gran Sasso,
1943.
cia, dove fu massacrata l’intera divisione
Acqui. Il re Vittorio Emanuele III e Badoglio
abbandonarono la capitale e si rifugiarono
a Brindisi, mettendosi sotto la protezione
degli Alleati, appena sbarcati in Puglia e in
Campania.
Questi fatti evidenziarono il disordine
in cui versavano le istituzioni, la mancanza di responsabilità, il pressapochismo di
chi doveva guidare il paese e l’indifferenza
per la sorte di sudditi e sottoposti. Mentre
l’incertezza regnava sovrana, i cittadini percepirono chiaramente tutto ciò. Ecco perché l’8 settembre 1943 è ricordato come la
pagina più vergognosa (per la monarchia e
il governo) e dolorosa della storia italiana
contemporanea.
L’Italia spaccata in due
mezzi anfibi: mezzi
adatti a muoversi sia
sull’acqua che sulla
terraferma. Di piccole
dimensioni e carichi di
soldati o armi venivano
scaricati dalle navi in
prossimità della costa
per dirigersi verso le
spiagge e alimentare
continuamente
l’invasione.
Legionari della Repubblica di
Salò, 1943, Milano, Museo
di Storia Contemporanea.
 Tweet Storia p. 430
Il 1943 cominciò per l’Italia in maniera
drammatica e si chiuse tragicamente: alla
fine dell’anno, il paese appariva spaccato in
due, percorso da eserciti stranieri e dilaniato dalla guerra civile.
Il Nord venne occupato dai tedeschi.
Mussolini, liberato il 12 settembre dalla prigionia sul Gran Sasso (in Abruzzo), fu posto
dai tedeschi a capo di un nuovo partito, il
Partito fascista repubblicano, e di un nuovo
Stato (fantoccio dei tedeschi): la Repubblica sociale italiana, con capitale a Salò, sul
lago di Garda. L’obiettivo del duce e delle
migliaia di volontari che corsero a combattere sotto la sua bandiera era salvare l’onore
degli italiani continuando la guerra accanto
alla Germania di Hitler. Ma nella stessa Italia centro-settentrionale, in quei mesi, molti
altri uomini e donne scelsero di lottare per
un diverso scopo: la libertà individuale e
l’abbattimento della dittatura. I «partigiani», come vennero chiamati, diedero vita
al movimento armato popolare della Resistenza, che si oppose a nazisti e fascisti in
continue azioni di guerriglia e che avrebbe
trovato pieno sviluppo nel 1944 e nel 1945.
A Sud, intanto, il governo Badoglio cercava di rimettere in funzione le strutture dello
Stato e dichiarava guerra alla Germania. Gli
anglo-americani risalivano lentamente la
penisola, ma senza riuscire a sfondare le linee nemiche, attestatesi poco sopra Napoli
(sulla «Linea Gustav»). I tedeschi resistevano
strenuamente e l’anno si chiuse, dal punto
di vista militare, in situazione di stallo.
8.4 1944-1945: la vittoria
degli Alleati
Gli Alleati passano all’attacco
Contro una Germania ormai logorata emergeva l’enorme potenziale umano e industriale dell’URSS: entro il 1943, l’esercito
tedesco fu cacciato dal territorio sovietico.
Nel novembre di quello stesso anno, in occasione della Conferenza di Teheran, Stalin incontrò per la prima volta Roosevelt e
Churchill. E ottenne finalmente dai leader
delle due potenze democratiche la promessa che in tempi brevi avrebbero inferto alla
Germania un colpo decisivo.
Fu così che il 6 giugno 1944 prese avvio
la gigantesca «Operazione Overlord»  ,
lungamente preparata. Dieci divisioni americane, britanniche e canadesi, comandate dal generale statunitense Eisenhower e
supportate da 1.200 navi da guerra, 6.500
mezzi anfibi e 13.000 aerei, diedero vita
sulle spiagge della Normandia al più grande sbarco della storia. La pressione di una
tale massa di uomini e armi fu per i tedeschi insostenibile. Gli Alleati mantennero e
allargarono tenacemente la testa di ponte,
fino a sfondare le linee nemiche e dilagare
in Francia. Il 25 agosto, dopo quattro anni di
occupazione, Parigi fu liberata. In autunno
fu la volta del Belgio.
Entro Natale, i confini della stessa Germania erano minacciati a ovest dagli angloamericani e a est dai sovietici, che nel corso
del 1944 avevano respinto i tedeschi da gran
parte dei territori occupati dell’Europa centro-orientale.
La campagna d’Italia
In Italia il fronte si mosse lentamente. L’ultimo degli sbarchi alleati si svolse ad Anzio,
nel gennaio 1944, ma solo il 4 giugno gli anglo-americani riuscirono a liberare Roma,
dove vennero accolti dalla folla in festa.
Pochi giorni dopo Vittorio Emanuele III cedette la guida del regno al figlio Umberto. Il
sovrano era pressato dai partiti politici, che
avevano ripreso la loro attività e volevano
l’abdicazione del re, convinti che al termine
del conflitto sarebbe toccato al popolo scegliere la forma di Stato della nuova Italia.
In settembre, l’avanzata degli Alleati si
interruppe di nuovo a cavallo dell’Appenni-
no tosco-emiliano (sulla cosiddetta «Linea
Gotica»), e i mesi successivi furono per il
nostro paese i peggiori della guerra. I tedeschi colpirono città e villaggi con rappresaglie e massacri indiscriminati di uomini,
donne e bambini, mentre la lotta fratricida
tra italiani toccò punte di ferocia straordinaria. Il 9 aprile 1945 scattò infine l’offensiva anglo-americana decisiva. Le truppe
alleate dilagarono per la pianura padana e
raggiunsero tutte le maggiori città del Nord.
Da molte di esse i tedeschi erano già fuggiti,
cacciati da un’insurrezione popolare guidata dalla Resistenza e scoppiata il 25 aprile:
giorno che oggi celebriamo come quello
della liberazione dal nazifascismo. Le truppe tedesche si arresero in Italia il 28 aprile.
Lo stesso giorno, Mussolini fu catturato nei
pressi di Como e giustiziato dai partigiani
mentre tentava la fuga in Svizzera insieme
all’amante Claretta Petacci. Il suo corpo fu
esposto a Piazzale Loreto, a Milano: macabro trofeo, oltraggiato e percosso dalla folla,
di una guerra tragica.
La Conferenza di Yalta
Ormai quasi piegata la resistenza dell’Asse,
nel febbraio 1945 Stalin, Churchill e Roosevelt si incontrarono di nuovo, questa volta
nella città di Yalta, in Crimea. Qui discussero del futuro assetto d’Europa, stabilendo innanzi tutto che la Germania sconfitta
sarebbe stata divisa in quattro zone d’occupazione e che i suoi capi politici sarebbero
stati processati come criminali di guerra.
Stabilirono inoltre il diritto dei paesi liberati
dall’occupazione nazista a scegliere autonomamente la propria forma di governo. E si
accordarono sulle regole di funzionamento
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che sarebbe
nata di lì a poco, nel mese di giugno, a San
Francisco.
La Conferenza di Yalta sembrò evidenziare il desiderio delle maggiori potenze di
cooperare nella creazione di un nuovo ordine mondiale. Ma nei fatti esse scelsero poi
di perseguire il proprio interesse particolare. Furono nei mesi seguenti le decisioni
di Stalin a gettare la discordia tra i vincitori
della guerra: egli volle infatti imporre nei paesi liberati dall’Armata Rossa partiti e regimi
strettamente filosovietici. Questa politica
era destinata ad aprire un profondo solco
L’Italia divisa in due dalla linea Gustav (1943-1944)
e dalla Linea Gotica (1944-1945)
SV I Z Z E RA
FRANCIA
Milano
Torino
1915
Offensive militari
angloamericane
AUSTRIA
Bolzano
Udine
Trieste
Genova
La Spezia
Pisa
Livorno
Zone della Resistenza
Offensive militari
angloamericane
Salò
Zone della Resistenza
Bologna
Rimini
PesaroM
Firenze
a
Città insorte
Linea Gustav
Linea Gotica
I UGOSL AVIA
re
A
Montenegro
d
Terni
ri
at
Chieti
Termoli
ic
Roma Cassino
o
Anzio
Albania
Gaeta
Brindisi
Salerno
Napoli
Taranto
Perugia
Corsica
Sardegna
Cagliari
M a r
T i r r e n o
Palermo Messina
Agrigento
Tunisi
S i c i li a
Reggio Calabria
Siracusa
Mar
Ionio
Pachino
tra Mosca, Londra e Washington e avrebbe
presto portato alla divisione dell’Europa
in due sfere d’influenza, sottoposte l’una
all’Unione Sovietica e l’altra agli Stati Uniti.
Il crollo della Germania
e la fine del nazismo
Nella Germania accerchiata e prossima alla
sconfitta solo un ristretto gruppo di ufficiali
cercò di rompere il dominio assoluto di Hitler (il 20 luglio 1944 un attentato contro il
Führer era fallito e i responsabili catturati e
impiccati).
Churchill, Roosevelt e Stalin alla conferenza di Yalta (Crimea), febbraio 1945.
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La Seconda guerra mondiale
© Loescher Editore – Torino
1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
1945
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nquistati
nel 1943
2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
L’avanzata degli Alleati e la sconfitta dell’Asse (1944-1945)
Territori riconquistati
dagli Alleati nel 1943
Offensive militari
angloamericane
Offensive militari
sovietiche
Nel 1944
Nel 1945
Offensive militari
angloamericane
Offensive militari
sovietiche
FINLANDIA
NORVEGIA
Leningrado
SVEZIA
Estonia
REGNO
UNITO
Londra
DANIMARCA
Berlino
GERMANIA
Parigi
Nizza
Varsavia
UNIONE
SOVIETICA
Stalingrado
Kiev
Praga
FRANCIA
SPAGNA
Mosca
Lettonia
Lituania
AUSTRIA
ROMANIA
Croazia
Serbia
ITALIA
BULGARIA
Yalta
Roma
Algeri
MAROCCO
Algeria
ogni maschio tra i 16 e i 60 anni. La superiorità degli Alleati era schiacciante e alla fine di
marzo 1945 le loro divisioni conquistarono il
cuore della Germania, mentre terribili bombardamenti a tappeto riducevano in cenere
città come Amburgo, Dresda e Colonia.
Adolf Hitler  si uccise, insieme alla sua
compagna Eva Braun  , il 30 aprile nel
bunker sotterraneo della cancelleria, a Berlino, mentre la capitale cadeva in mano sovietica. La resa della Germania giunse pochi
giorni dopo, il 9 maggio 1945, dopo quasi
sei anni di terribili stragi.
GRECIA
Tunisi
TU RC H IA
Tunisia
Tripoli
Il Cairo
Libia
V2: abbreviazione
dell’espressione tedesca
Vergeltungswaffe 2
(«arma di ritorsione 2»).
Circa 1400 V2 furono
lanciate verso la Gran
Bretagna dalla base
di Peenemünde, nella
Germania settentrionale.
Le V2 sono considerate
i primi missili balistici
della storia e progenitori
dei moderni razzi spaziali.
EGITTO
Hitler trascorse gli ultimi mesi del conflitto sempre più isolato e sempre meno
lucido; ora facendo affidamento su armi
segrete come le V2 , i razzi carichi di esplosivo lanciati su Londra; ora sperando che
si spezzasse l’alleanza tra democrazie e comunismo; ora lanciando gli ultimi uomini e
mezzi disponibili in offensive fallimentari.
A niente valse l’ordine impartito ai tedeschi
di resistere a tutti i costi e l’arruolamento di
kamikaze: termine
che in giapponese
significa «vento divino»
e che nel corso della
guerra indicava gli
aviatori nipponici che si
scarificavano lanciandosi
con il proprio aereo
contro il nemico. Questa
parola è ancora oggi
usata per indicare attacchi
suicidi di tipo bellico o
terroristico.
Dossier 6 p. 402
 Tweet Storia p. 430
Il fungo atomico nell’esplosione
di Hiroshima, 6 agosto 1945.
La resa del Giappone
Conclusa in Europa, la guerra continuava
nel teatro del Pacifico. Qui gli Stati Uniti avevano riconquistato, tra 1943 e 1944,
molti territori importanti: dalle Filippine
alla Birmania (assieme agli inglesi), dalla
Nuova Guinea agli arcipelaghi oceanici. I
giapponesi lottavano tuttavia sempre fino
all’ultimo uomo e ogni battaglia costava numerosissime vite umane. Questo accadeva
ancora al principio del 1945, nelle battaglie
per le isole di Iwo Jima e Okinawa, in territorio nipponico: Tokyo resisteva, nonostante il sacrificio dei kamikaze – che si gettavano con i loro aerei sulle navi nemiche –,
l’annientamento della flotta imperiale, la
distruzione delle città bombardate e la minaccia al suolo nazionale.
Gli Stati Uniti erano allora guidati da un
nuovo presidente: Harry Truman, successore di Roosevelt, morto il 12 aprile. L’invasione del Giappone era già stata pianificata
e si sapeva che si sarebbe trasformata in un
bagno di sangue a causa della strenua resistenza nipponica. Proprio per evitare questo prevedibile massacro, e per lanciare a
Mosca un segnale sullo straordinario potere
militare acquisito dagli Stati Uniti, Truman
ordinò l’utilizzo di una nuova arma: la bomba atomica. D6
Il 6 e 9 agosto 1945, due bombe atomiche
vennero sganciate sulle città giapponesi di
Hiroshima e Nagasaki, che furono in pochi
secondi cancellate dalla faccia della Terra.
La morte immediata di oltre 150.000 persone e la lenta agonia di coloro che erano stati
esposti alle radiazioni atomiche costrinsero
l’imperatore Hirohito a chiedere l’armistizio. Con la resa del Giappone, il 2 settembre
terminava la Seconda guerra mondiale.
8.5 La guerra contro gli
«uomini»
Una «guerra totale»
La Seconda guerra mondiale fu una «guerra
totale», per diversi motivi:
• toccò tutti i continenti e provocò oltre 50
milioni di morti;
• impegnò allo stremo ogni settore dell’economia e della società dei paesi coinvolti;
• vinse chi meglio resistette alla fame, alla
paura, alla disperazione, sfruttando senza risparmio le risorse a disposizione.
La tecnologia, in particolare, si mise al
servizio delle esigenze belliche e determinò
in modo sostanziale l’esito del conflitto. Tra
1939 e 1945 furono impiegati nel modo più
efficace armi già esistenti, come il carro armato, la portaerei e il sottomarino. E fecero
la loro comparsa nuovi dispositivi come il
radar e il sonar, e nuovi strumenti di morte come il bombardiere a lungo raggio e la
bomba atomica. Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki stordì l’opinione
pubblica mondiale: l’uomo aveva raggiunto
un limite pericoloso, rendendo concreto il
rischio della sua autodistruzione.
Gli sforzi produttivi furono ovunque eccezionali. Ma nemmeno la riduzione in
schiavitù di milioni di prigionieri permise a
Germania, Italia e Giappone di avvicinarsi
agli Alleati, che fabbricarono aerei, cannoni,
navi e mezzi corazzati in quantità tre volte
superiore agli avversari.
La prova che si era trattato di una «guerra
totale» venne però dal coinvolgimento diretto delle popolazioni civili.
Le stragi di civili
Per la prima volta nella storia, il numero dei
morti tra i comuni cittadini fu tanto elevato
da poter essere paragonato alle perdite militari. Uno scontro «totale» esigeva infatti la
distruzione non solo delle risorse belliche
nemiche, ma anche della sua fibra morale,
della sua resistenza psicologica: uomini e
donne senza divisa erano perciò destinati a
pagare in prima persona il prezzo del conflitto. Le popolazioni civili, colpite in maniera indiscriminata da bombardamenti,
rappresaglie, requisizioni, assedi e violenze
di ogni tipo, divennero dunque un obiettivo
militare primario.
Disegno di R. Guttuso raffigurante soldati nazisti che uccidono a raffiche alcuni partigiani italiani.
È sufficiente qualche esempio per dare
l’idea dell’entità del fenomeno. Nel corso
dell’avanzata in Unione Sovietica, tra 1941
e 1942, gli Einsatzgruppen o «Gruppi d’assalto» tedeschi massacrarono circa 700.000
persone: avevano infatti ricevuto l’ordine di
ripulire il territorio da commissari politici
comunisti, civili ostili, partigiani ed ebrei.
A Roma, il 24 marzo 1944, in risposta a un
attentato che causò la morte di 33 soldati
tedeschi, gli occupanti fucilarono alle Fosse Ardeatine 335 ostaggi catturati nel ghetto
ebraico. Nei mesi successivi, durante la ritirata in Italia, le truppe naziste si macchiarono di numerosi eccidi: 560 vittime a Sant’Anna di Stazzema (in provincia di Lucca) il 12
agosto, 770 a Marzabotto (sull’Appennino
bolognese) tra 29 settembre e 5 ottobre.
Queste atrocità furono appannaggio quasi esclusivo della Germania nazista, ma nessun governo risparmiò i civili inermi. Nel
1945, ai soldati sovietici che entravano nella
Germania fu lasciata libertà di saccheggio:
essi portarono così a compimento la vendetta per l’oltraggio subito dalla madrepatria negli anni precedenti. Dal canto loro,
gli aerei anglo-americani sganciarono nel
corso della guerra due milioni di tonnellate
di bombe sulle città europee, e la sola Dresda subì il 14 febbraio 1945 65.000 morti. Il
10 maggio dello stesso anno, un bombardamento a tappeto su Tokyo provocò quasi
150.000 vittime. A
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La Seconda guerra mondiale
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© Loescher Editore – Torino
1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
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2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
Campo di concentramento di Buchenwald, 1945.
La Seconda guerra mondiale inaugurò
una tendenza che si sarebbe rafforzata nel
resto del Novecento: secolo di guerre e, per i
civili, di stragi e sofferenze inaudite.
La distruzione degli ebrei:
censimento, espropriazione,
ghettizzazione
Il «nuovo ordine» nazista si fondava su presupposti ideologici e razziali precisi. Da essi
discendevano i due maggiori obiettivi della
Lo sterminio degli ebrei in Europa
FINLANDIA
NORVEGIA
SVEZIA
0,7
Leningrado
Estonia
URSS
Lettonia
DANIMARCA
REGNO
UNITO
Londra
104
PAESI
BASSI
BELGIO
Parigi
60
FRANCIA
Vichy
Mosca
Lituania
Danzica
Sachsenhausen
Berlino Chelmno
700
Treblinka
Sobibor
160 GERMANIA
Maldanek
Terezin
2350
Buchenwald
Belzec
133
Auschwitz
Mauthausen
58
Dachau
Vienna
SVIZZERA
UNGHERIA
AUSTRIA
180
200
25
3
Croazia
8,5
SPAGNA
55
ITALIA
Roma
Kiev
ROMANIA
Serbia
BULGARIA
Montenegro
Albania
57
TURCHIA
G R E CI A
Algeria
(Fr.)
Tunisia
(Fr.)
Cipro
Malta
(R.U.)
60
(R.U.)
Campi di concentramento
Paesi dell’Asse
Campi di sterminio
Campi di sterminio
(prima del 1939)
Numero di ebrei sterminati
nella regione (in migliaia)
Stati alleati dell’Asse
Territori conquistati
o occupati dall’Asse
Paesi in guerra contro l’Asse
Paesi neutrali
guerra di Hitler: conquistare a est i territori
necessari all’edificazione del Reich millenario e eliminare tutti i nemici della stirpe
«ariana».
Comunisti, Rom, oppositori religiosi, Testimoni di Geova, soldati catturati sul campo
di battaglia, omosessuali di ogni nazionalità
vennero chiusi nei campi di concentramento e sfruttati con il lavoro fino alla morte. Le
vittime principali di tale politica furono tuttavia gli ebrei, al cui annientamento la Germania si dedicò con ferocia impressionante.
All’inizio, spesso le autorità ebraiche cercarono il compromesso con i nazisti, o addirittura collaborarono nel governo delle comunità israelitiche dei ghetti. Non realizzavano
quale disumano trattamento li attendeva.
A partire dal 1939, la popolazione ebraica
dei paesi occupati venne dapprima censita
e obbligata a portare al braccio o sul bavero
la stella gialla simbolo della discriminazione
razziale. Poi fu esclusa dalla vita pubblica e
privata dei propri beni. Infine venne deportata in Polonia, dove fu isolata nei ghetti costruiti nelle città di Varsavia, Cracovia, Lodz
e Lublino. Già durante la prima fase della
guerra, si verificarono atrocità indicibili:
basti ricordare il massacro di Babi Yar, la
località ucraina nei pressi di Kiev in cui, tra
29 e 30 settembre 1941, le truppe tedesche
uccisero 33.770 civili ebrei. Non mancarono
nemmeno straordinari episodi di ribellione,
sempre brutalmente repressi. Ricordiamo il
maggiore, dell’aprile 1943: quando divenne
chiaro che il loro destino finale era l’annientamento, i 50.000 ebrei superstiti di Varsavia si ribellarono e il ghetto fu distrutto dai
tedeschi a colpi di cannone. I morti furono
7000 e i sopravvissuti vennero catturati e
deportati nei campi di concentramento.
Anche l’Italia rimase coinvolta nel piano nazista di distruzione della popolazione
ebraica europea. Già discriminati dalle leggi
razziali del 1938, gli ebrei italiani corsero un
concreto pericolo di vita dopo l’8 settembre
1943. L’uscita del nostro paese dalla guerra
e la conseguente occupazione nazista del
centro-nord si tradussero in rastrellamenti
e deportazioni. L’episodio maggiore e più
famoso fu, in questo quadro, il rastrellamento del quartiere ebraico di Roma, il 16
ottobre 1943. In quell’occasione, 1022 ebrei
furono catturati e deportati ad Auschwitz,
dove trovarono la morte. [Testimonianze 
documento 8, p. 173]
La «soluzione finale»
La «soluzione finale» del problema razziale,
vale a dire la sistematica eliminazione degli
ebrei d’Europa nei campi di sterminio, prese
piede a partire dal 1942. Il 20 gennaio 1942,
durante la conferenza di Wannsee, svoltasi
a Berlino, i vertici nazisti decisero l’eliminazione fisica della popolazione ebraica
europea, calcolata allora in oltre 10 milioni
di individui.
Venne messa a punto la complessa macchina organizzativa e burocratica necessaria a praticare l’uccisione in tempi rapidi di
grandi masse di individui. E furono perfezionati gli strumenti tecnologici indispensabili al medesimo scopo.
I nazisti adibirono allo sterminio degli
ebrei i sei centri di Belzec, Treblinka, Sobibor,
Majdanek, Chelmno e Auschwitz, il più grande di tutti. Tutti dislocati in Polonia, divennero – grazie a camere a gas e forni crematori
– efficienti macchine della morte. In essi gli
ebrei confluivano direttamente dai ghetti urbani o dai numerosi campi di lavoro forzato
che costellavano la carta dell’Europa centroorientale. La stessa Auschwitz era insieme
campo di lavoro e di sterminio. All’arrivo, chi
veniva giudicato adatto (in media uno su cinque) era destinato alle fabbriche impegnate
nella produzione bellica: qui era sfruttato
fino allo sfinimento e poi ucciso. Tutti gli altri
invece finivano direttamente nelle camere a
gas. A occuparsi di tutto per conto del regime
hitleriano furono le SS, comandate da Heinrich Himmler e dotate nell’est conquistato di
poteri illimitati.
Nel complesso i tedeschi uccisero circa
sei milioni di ebrei, originari di ogni parte
d’Europa ma in massima parte di cittadinanza polacca o russa, riuscendo quasi a
cancellarne la presenza nel vecchio continente. Fu un vero e proprio genocidio , la
distruzione pianificata e tenacemente perseguita di un intero popolo: la Shoah, la «catastrofe», come la chiamano oggi gli ebrei.
[ I NODI DELLA STORIA p. 160]
La Resistenza europea
Il 18 giugno 1940, all’indomani della caduta della Francia, un generale sconosciuto di
nome Charles de Gaulle lanciò da Londra
un appello radiofonico ai suoi compatrioti
affinché prendessero le armi contro l’occu-
pante tedesco. Nacque in questo modo la
Resistenza europea alla Germania di Hitler:
non solo i francesi, infatti, ma anche molti altri popoli oppressi combatterono negli
anni seguenti il nazismo trionfante.
In Francia i maquisards lottarono a
lungo e pagarono un alto tributo di sangue,
animando un vero movimento popolare di
opposizione allo straniero. In Italia i partigiani si organizzarono dopo l’8 settembre
1943, contrastando validamente l’occupazione tedesca del centro-nord della penisola. Nell’aspro territorio montano della Iugoslavia, le formazioni guidate da Josip Broz
(Tito) fornirono un contributo decisivo alla
cacciata delle truppe naziste. In Polonia, i
partigiani diedero vita alla tragica insurrezione di Varsavia: scoppiata il 1° agosto 1944,
fu repressa dai tedeschi e si concluse con la
morte di 180.000 civili. In Unione Sovietica, la guerriglia alle spalle del fronte mise
perennemente a rischio le linee di rifornimento della Germania: e qui la repressione
tedesca contro quelli che venivano chiamati
«banditi» fu particolarmente feroce.
Sebbene nutrissero ideali politici assai
differenti tra loro, uomini e donne della
Resistenza lottavano per un solo obiettivo:
la libertà del proprio paese dall’invasore
straniero e l’abbattimento della dittatura.
Per questo i partigiani dell’intero continente vengono oggi considerati tra i fondatori
della moderna Europa democratica. Il loro
sacrificio si pone infatti – accanto allo sforzo bellico alleato – alla base della pace che i
nostri popoli sperimentano ormai da quasi
settant’anni.
1915
maquisards: in
francese maquis significa
«macchia», «boscaglia»
e i maquisards erano i
partigiani francesi che si
davano alla macchia (cioè
si nascondevano) per
combattere l’occupante
tedesco.
Deportati in fila all’entrata di
un campo di concentramento.
I partigiani italiani
Nata spontaneamente dopo l’armistizio,
la Resistenza italiana contava circa 80.000
militanti nell’estate del 1944 e 200.000 sul
finire della guerra, nella primavera del 1945.
Animati da ideali politici differenti, i partigiani si divisero in brigate di differente colore. Le Brigate Garibaldi erano comuniste,
le Brigate Matteotti socialiste, le formazioni
di Giustizia e Libertà si rifacevano al Partito
d’Azione. C’erano anche gruppi cristianodemocratici, monarchici e autonomi. A guidare le scelte della Resistenza furono i partiti politici, che ripresero a operare dopo la
caduta del fascismo: in parte nuovi – come
la Democrazia cristiana o appunto il Partito
© Loescher Editore – Torino
158
La Seconda guerra mondiale
genocidio: secondo la
definizione data dall’ONU
nel 1948, il termine
indica «gli atti commessi
con l’intenzione di
distruggere, in tutto
o in parte, un gruppo
nazionale, etnico, razziale
o religioso».
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1919 Gropius fonda la scuola di architettura Bauhaus
1922 La BBC inizia le trasmissioni radio
1929 Fleming scopre la penicillina
1942 Fermi realizza la prima pila atomica
1945
159
2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
d’Azione –, in parte nati già in epoca liberale, si raccolsero nel Comitato di liberazione
nazionale (CLN). Spesso divisi sulle scelte
politiche da praticare nell’Italia del dopoguerra, furono tuttavia uniti per l’intera durata del conflitto resistenziale dall’esigenza di abbattere
nazismo e fascismo.
I partigiani non avevano
divise, non portavano gradi,
il loro equipaggiamento era
scarso. Ognuno combatteva
con le armi a disposizione,
spesso strappate al nemico.
Per la prima volta, le donne
parteciparono attivamente alle operazioni belliche:
molte imbracciarono le armi
o scelsero il pericoloso ruolo di staffette, muovendosi
con ordini e messaggi tra
una brigata e l’altra. Sfidando il freddo, la mancanza di
rifornimenti e il rischio di
Gruppo di partigiani italiani impegnati in un
combattimento a fuoco in una città del Nord.
essere uccisi o catturati dai
tedeschi, i partigiani si batterono principalmente in montagna e nelle campagne, ma
non solo. Nelle città, invece, molti uomini e
donne protessero con grave rischio personale ebrei, oppositori politici, ricercati dalla
polizia, e fecero da informatori per i partigiani che scendevano a valle e colpivano i
nazifascisti.
Il 25 aprile 1945, il CLN dell’Alta Italia
chiamò tutti alla rivolta e l’insurrezione generale divampò nelle città del nord. I tedeschi furono costretti a difendersi fuggendo
spesso prima dell’arrivo degli Alleati: così
accadde a Modena, Genova, Milano, Torino e Venezia. Il 28 aprile, le truppe naziste
si arresero. Finita la battaglia, rimaneva la
certezza di essersi sacrificati per la libertà
dell’Italia e degli italiani, ma restavano anche tanti dubbi e ferite aperte: dubbi generati dalle incertezze sul futuro; ferite provocate dalla guerra fratricida, combattuta
da italiani contro altri italiani. Per vincere
i primi e risanare le seconde sarebbe stato
necessario molto tempo.
Perché avvenne la Shoah?
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1940
Ingresso in guerra dell’Italia
1941
Invasione tedesca della Russia
1941
Attacco giapponese a Pearl
Harbor
1942
I nazisti danno inizio alla Shoah
1942
Regno Unito, USA e URSS alleati
contro il nazifascismo
I NODI DELLA STORIA
Non c’è dubbio che il tentativo di distruggere gli ebrei d’Europa –
tentativo, purtroppo, in gran parte riuscito – sia da considerarsi
la più sconvolgente e vergognosa vicenda del secolo XX, se non
dell’intera storia umana. Qualcosa di molto vicino, come hanno
autorevolmente sostenuto moltissimi intellettuali del Novecento,
al Male assoluto. Esiste, addirittura, un problema nel definirlo
linguisticamente: il popolare termine «Olocausto» è poco amato, per ottime ragioni, dal mondo ebraico. Nel linguaggio biblico
l’Olocausto è l’offerta religiosa fatta a Dio e il suo accostamento
al crimine nazista può essere visto come inadeguato se non
offensivo. D’altronde la popolarità del termine in riferimento allo
sterminio degli ebrei d’Europa è relativamente recente. Pur essendo stato usato anche in precedenza, è dalla fine degli anni
Settanta che si è diffuso genericamente presso l’opinione pubblica, anche alla luce del successo di un fortunato sceneggiato
televisivo americano (Holocaust) la cui trasmissione in Germania sconvolse una nazione che, negli anni precedenti, aveva
in parte preferito dimenticare. La fortuna, d’altronde, del più
utilizzato termine di derivazione ebraica Shoah (letteralmente:
«catastrofe», «disastro»), pur essendo comprensibile, ha il difetto forse di mettere in ombra i cosiddetti «genocidi» dimenticati della Seconda guerra mondiale: l’assassinio di massa degli
zingari, degli omosessuali, dei malati di mente e dei disabili.
Un altro problema molto importante è quello che riguarda il
1939
Invasione tedesca della Polonia
dibattito storico intorno alle origini della cosiddetta «Soluzione
finale». Sostanzialmente gli storici contemporanei, pur in presenza di molte sfumature differenti, si dividono in due grandi
approcci interpretativi. Da una parte ci sono i cosiddetti «intenzionalisti»; costoro ritengono che il progetto genocida fosse non
solo ideologicamente ma anche progettualmente presente nel
disegno del Partito nazista sin dagli anni Venti, cioè prima della
sua presa del potere. L’antisemitismo nazionalsocialista, secondo questi storici, non sarebbe stato quindi uno degli elementi,
probabilmente il più inquietante, del programma hitleriano, ma
l’obiettivo fondamentale e assoluto. I carnefici tedeschi, di conseguenza, furono «volenterosi» nell’eseguire gli ordini; zelanti
nell’applicare le direttive e, soprattutto, mai avrebbero pensato
che l’esito della soluzione della questione ebraica avrebbe potuto
essere differente. Diverso è l’approccio dei cosiddetti «funzionalisti». Costoro, pur non negando le violenze e gli assassini di
massa prima del 1942, anno in cui lo sterminio fu ufficialmente
ordinato, ritengono che la scelta genocida si sia concretizzata
solo dopo che le gerarchie si erano rese conto dell’impossibilità
di perseguire soluzioni alternative, come la deportazione in altri
territori. Un progetto preparato da Adolf Eichmann (il criminale nazista catturato e processato, con grande clamore, dagli
israeliani all’inizio degli anni Sessanta) prevedeva, addirittura,
la deportazione degli ebrei europei nell’isola del Madagascar.
1943
Caduta del fascismo e armistizio
La Seconda guerra mondiale
1 Nella prima fase della Seconda guerra mondiale, la «guerra lampo» consente a Hitler di impadronirsi entro il 1941 di quasi tutta l’Europa. La Seconda guerra mondiale scoppiò il 1° settembre 1939, con l’invasione nazista della
Polonia. La «guerra lampo» basata su mezzi corazzati e aerei diede alla Germania
straordinarie vittorie. In due anni, oltre alla Polonia, anche Danimarca, Norvegia,
Francia, Olanda, Belgio, Grecia e Iugoslavia caddero in mani tedesche. Solo il Regno
Unito di Winston Churchill resistette a Hitler. E mentre Mussolini nel 1940 portava
l’Italia in guerra con esiti disastrosi – in Africa, nel Mediterraneo e nei Balcani –, il
dittatore tedesco assaliva l’Unione Sovietica ed entro la fine del 1941 giungeva nei
pressi di Mosca.
2 Il Giappone entra in guerra a fianco dell’Asse e contro gli Stati Uniti, ma
nel 1942 l’avanzata delle potenze autoritarie si arresta. Il 7 dicembre 1941,
il Giappone attaccò la base statunitense di Pearl Harbor, nelle Hawaii, e lanciò con
successo le sue truppe nel sud-est asiatico. Il 1942 fu però l’anno della svolta. La
Germania si arrestò e venne sconfitta in una grande battaglia a Stalingrado, sul Volga.
L’Italia, dopo lo scontro di El-Alamein, fu costretta a ritirarsi dall’Africa e perse il proprio impero. Nel Pacifico, gli USA fermarono l’avanzata giapponese con grandi scontri
navali, a partire dalla battaglia delle isole Midway, iniziando poi la lenta riconquista dei
territori occupati dagli avversari. In quello stesso anno, Regno Unito, Stati Uniti e
Unione Sovietica strinsero una forte alleanza in opposizione al nazifascismo.
3 Nel 1943 crolla il fascismo, ma l’Italia è spezzata in due e occupata da
tedeschi e forze alleate, che si combattono sul suolo della penisola. Il 25
luglio 1943, Mussolini venne destituito dal re Vittorio Emanuele III. La caduta del
fascismo causò ovunque l’entusiasmo popolare. Ma l’armistizio raggiunto dal nuovo
governo con gli Alleati e annunciato l’8 settembre precipitò l’Italia nel caos. Il paese
si trovò presto spezzato in due, diviso tra un Sud in mano agli anglo-americani e
governato dal re e un Nord in mano ai tedeschi e governato dalla Repubblica sociale
italiana, fondata dallo stesso Mussolini. Le armi e l’odio opposero allora in una guerra
sanguinosa gli italiani fedeli al fascismo agli italiani militanti nella Resistenza alla
dittatura.
4 1944
Sbarco in Normandia
1945
Suicidio di Hitler
1945
Sconfitta della Germania
1945
Bombardamento atomico
di Hiroshima e Nagasaki
La guerra si conclude nel 1945, in Europa con la resa di Germania e Italia, in Asia con la sconfitta del Giappone, colpito dalla bomba atomica.
Sbarcati sulle spiagge della Normandia il 6 giugno 1944, gli Alleati strapparono ai
tedeschi la Francia. Da est avanzavano al contempo i sovietici. La Germania si trovò
così accerchiata e invasa. Hitler si uccise il 30 aprile 1945 e il suo esercito depose
le armi il 9 maggio. Nel Pacifico, la guerra venne risolta dal lancio di due bombe
atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, il 6 e 9 agosto 1945: il
loro effetto fu tanto devastante da indurre Tokyo alla resa. In Italia, la guerra si concluse con la morte di Mussolini e la resa di nazisti e fascisti davanti all’avanzata degli
anglo-americani e all’attacco della Resistenza.
5 La Seconda guerra mondiale fu una «guerra totale», che impegnò a fondo
le energie dei popoli coinvolti e fu caratterizzata da crimini tremendi. La
Seconda guerra mondiale causò oltre 50 milioni di morti, e impegnò così a fondo le
energie sociali, economiche e spirituali dei popoli coinvolti da essere definita «guerra
totale». Crimini terribili furono commessi: dalle rappresaglie indiscriminate sui civili ai
bombardamenti a tappeto sulle città, dall’uccisione dei prigionieri di guerra al massacro degli ebrei. La sola Shoah provocò circa sei milioni di morti. Non pochi uomini
e donne ebbero però il coraggio di opporsi alle dittature e lottare per la libertà. La
Resistenza si affiancò in questo modo agli eserciti alleati nel porre nuove basi su cui
ricostruire l’Europa.
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2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
Un aspetto della guerra totale:
i bombardamenti aerei sulle città
La Seconda guerra mondiale colpì duramente le popolazioni civili, soprattutto quelle che abitavano nelle
città europee e asiatiche. Lo strumento principale di questa guerra contro i civili fu l’operazione di bombardamento aereo, che ebbe un tragico prologo nel 1937 durante la guerra civile spagnola nella città basca di
Guernica. Tuttavia, solo con il secondo conflitto mondiale il bombardamento a tappeto, ossia la distruzione
sistematica di un’area (per lo più urbana), divenne uno degli aspetti decisivi della cosiddetta guerra totale: in
essa non esisteva più differenza di fatto tra retrovie e prima linea.
Gli obiettivi dei bombardamenti
Gli obiettivi dei bombardamenti erano molteplici: compiere una rappresaglia indiscriminata contro la potenza avversaria; danneggiare e neutralizzare le risorse del nemico,
le sue infrastrutture industriali e la sua produzione militare; distruggerne i centri e i simboli di potere; abbattere la resistenza psicologica della popolazione civile. Quest’ultima
aveva scarse possibilità di sfuggire a un bombardamento a tappeto, se non con l’esodo
in campagna oppure con il ricorso ai rifugi antiaerei e alle stazioni sotterranee della metropolitana, che si popolavano dal suonare dell’allarme aereo fino alla sua cessazione.
La Seconda guerra mondiale
I bombardamenti degli Alleati
Nel momento in cui l’aviazione tedesca perse il controllo
dei cieli europei, le forze aeree anglo-americane cominciarono una lunga e pesantissima offensiva contro le città
della Germania, con l’intento non solo di colpire i centri di
produzione industriale e di trasporto, ma anche con la volontà di piegare la resistenza nemica e di punire il regime
nazista. L’effetto devastante dell’azione alleata dall’aria
fu dovuta all’impiego massiccio di bombe incendiarie. I
due luoghi simbolo dei bombardamenti alleati sulle antiche città tedesche furono Dresda e Colonia, colpite a più
riprese e quasi completamente distrutte: particolarmente
devastante fu l’attacco aereo notturno su Dresda, il 13
febbraio 1945. Strade, ponti e reti di trasporto pubblico
furono tra i primi obiettivi delle azioni aeree, ma l’esito
dell’offensiva dall’alto fu la cancellazione totale di centri
storici che risalivano al Medioevo. Solo la Cattedrale gotica di Colonia si salvò dalle bombe.
La città di Colonia distrutta dai bombardamenti degli Alleati nel 1945.
H. Moore, Platform Scene, 1941:
una stazione della metropolitana usate
come rifugio antiaereo.
I bombardamenti sul Giappone
«Coventrizzare» una città
Rotterdam rasa al suolo nel 1940 dall’aviazione tedesca.
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Il primo vero esperimento di attacco aereo sistematico avvenne, da parte dell’aviazione tedesca, il 10 maggio 1940, sul porto olandese di Rotterdam: l’intera città fu
rasa al suolo. Per preparare lo sbarco in Inghilterra, l’aviazione tedesca bombardò
tra 1940 e 1941 molte città inglesi, a partire da Londra. Tuttavia, fu Coventry,
città delle Midlands priva di qualunque valore strategico, bombardata tra il 14 e il
15 novembre 1940, a diventare l’emblema della volontà di distruzione aerea da
parte tedesca: non a caso, si coniò il termine di «coventrizzare» per designare
una strategia di bombardamento di una città dall’alto con l’intento di raderla al
suolo, senza riguardo per la popolazione civile e i monumenti storici.
L’incendio di Tokyo causato dai bombardamenti
al napalm americani, 26 maggio 1945.
La guerra totale dall’aria devastò anche il Giappone
e trovò un tragico coronamento con i bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e
Nagasaki, nell’agosto del 1945. Ben prima di allora,
però, Tokyo aveva già subito terribili attacchi aerei
a più riprese, dal 1942, anche con le prime bombe
al napalm, finendo in larga misura bruciata perché
molte delle sue costruzioni erano di legno o carta. I
danni e le vittime, in particolare tra marzo e maggio
del 1945, furono superiori a quelli del bombardamento atomico, ma fu il lancio delle bombe atomiche a
porre fine alla Seconda guerra mondiale e ad aprire
l’era dell’atomo.
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2
8
Totalitarismi e democrazie in conflitto
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
ATTIVITÀ
2
Osserva la cartina a p. 155 e incrociando le informazioni fornite da essa e quelle che ricavi dal testo, costruisci
la cronologia della liberazione delle varie regioni italiane dal 1943 al 1945.
1 Nel
, in seguito all’annuncio dell’armistizio, nell’Italia centro-settentrionale i partigiani danno luogo al
movimento armato popolare della Resistenza
2 Il 7 dicembre
i cacciabombardieri giapponesi attaccano la base americana di Pearl Harbor
3 Il 25 luglio
il re Vittorio Emanuele III fa arrestare Mussolini e affida il governo al maresciallo Badoglio
4 L’8 settembre
Badoglio annuncia l’armistizio con gli anglo-americani: il paese precipita nel caos e la
situazione dei militari italiani diviene critica
5 Il 10 giugno
Mussolini dichiara guerra a Francia e Regno Unito: l’Italia entra nel secondo conflitto mondiale
6 Il 6 giugno
gli anglo-americani sbarcano in Normandia; il 25 agosto Parigi viene liberata
7 Il 14 agosto
Winston Churchill e Franklin Roosevelt firmano la Carta Atlantica, che indica i principi
democratici del nuovo ordine mondiale destinato a nascere dopo la sconfitta della Germania
8 Il 30 aprile
Hitler si suicida nel suo bunker a Berlino mentre la capitale cade in mano sovietica
9 Il 25 aprile
in Italia l’insurrezione partigiana libera le principali città, mentre le truppe alleate occupano la
pianura padana; tre giorni dopo Mussolini viene catturato e giustiziato dai partigiani
10 Il 1° settembre
la Germania attacca la Polonia dando inizio alla seconda guerra mondiale
11 Il 6 e 9 agosto
gli Stati Uniti sganciano le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki
12 Nel settembre
il Giappone si unisce a Germania e Italia nel Patto Tripartito
13 Il 24 marzo
in risposta a un attentato che causa la morte di 33 soldati tedeschi, gli occupanti fucilano alle
Fosse Ardeatine 335 ostaggi catturati nel ghetto ebraico
14 Il 20 gennaio
, durante la conferenza di Wannsee, svoltasi a Berlino, i vertici nazisti decidono l’eliminazione
fisica della popolazione ebraica europea
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo della Seconda guerra mondiale.
1
2
3
4
5
6
7
8
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con tre colori diversi gli eventi
riconducibili alle prime fasi della guerra, quelli che riguardano il suo svolgimento e quelli che si riferiscono alla
conclusione del conflitto.
5
La Seconda guerra mondiale
Stragi indiscriminate
Alleato subordinato
Corollario
Protettorato politico ed economico
Feldmaresciallo
Pressapochismo
Rappresaglia
Eccidio
Prova a riflettere sul significato di «cooperare» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega che cosa si
intende per «cooperazione nei rapporti internazionali». Ai giorni nostri è molto diffusa l’espressione «cooperazione
internazionale»: sapresti spiegare a che cosa si riferisce?
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa alla «soluzione finale» del problema ebraico. Poi rispondi alle domande.
La «soluzione finale» del problema ebraico adottata dai nazisti
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
Uno degli aspetti più significativi della Seconda guerra mondiale è la nascita, nei paesi occupati dal
nazifascismo, di movimenti di liberazione nazionale che durante la guerra combattono contro le truppe
di occupazione. Uomini e donne della (1)
lottano per un solo obiettivo: la libertà del
proprio paese e l’abbattimento della (2)
; per questo i partigiani dell’intero continente
vengono oggi considerati tra i fondatori della moderna Europa democratica.
In Francia i maquisards lottano a lungo, animando un vero movimento popolare di opposizione
allo straniero; nell’aspro territorio montano della Iugoslavia, le formazioni guidate da Josip Broz
((3)
) forniscono un contributo decisivo alla cacciata delle truppe naziste; in Polonia, i
partigiani danno vita alla tragica insurrezione di Varsavia, repressa dai tedeschi; in Unione Sovietica, la
guerriglia alle spalle del fronte mette a rischio le linee di rifornimento della Germania.
In Italia la Resistenza nasce in maniera spontanea dopo l’(4)
: i partigiani si organizzano
per contrastare l’occupazione tedesca del Centro-nord della penisola. Animati da ideali politici differenti,
essi si dividono in (5)
di diverso colore (le Brigate Garibaldi sono comuniste, le Brigate
Matteotti (6)
, le formazioni di Giustizia e Libertà si rifanno al Partito d’Azione),
comprendendo anche gruppi cristiano-democratici, monarchici e autonomi; a guidarli sono i partiti
politici che si uniscono nel (7)
. I partigiani si battono principalmente in montagna
e nelle campagne; per la prima volta le donne partecipano attivamente alle operazioni belliche,
imbracciando le armi o ricoprendo il ruolo di (8)
. Il 25 aprile 1945 l’insurrezione
generale divampa nelle città del Nord, finché il 28 aprile le truppe naziste si arrendono.
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1 Quali sono le fasi che portano alla «soluzione finale» nei confronti degli ebrei?
2 Attraverso quali modalità i nazisti sterminano gli ebrei?
Mostra quello che sai
7
Osserva l’immagine a p. 155 e ricostruisci contesto e obiettivi dell’incontro rappresentato nella foto; spiegane poi
l’intenzione comunicativa.
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Documenti
Totalitarismi e Costituzione
Nel corso della seconda metà del Novecento si è consolidata la definizione di sistemi totalitari per quei regimi,
sorti tra le due guerre mondiali, che nell’aspirare a un’organizzazione di tutti gli aspetti del vivere associato
avevano prodotto dittature fondate sul sistema del partito unico.
Per prima, nel pieno della Grande guerra (1917), si affermò l’esperienza della Rivoluzione d’ottobre, all’origine di
un movimento comunista che si diffuse su scala mondiale, tanto da assumere, dopo la Seconda guerra mondiale, la guida di molti paesi nell’Europa orientale, in Asia e in Africa. Poi, nel corso degli anni Venti, in Italia si
affermò il primo esperimento fascista, modello politico che nel corso degli anni Trenta fu sviluppato, in una forma
particolarmente dura, dai nazisti, che dominarono per un decennio in Germania e scatenarono la carneficina
della Seconda guerra mondiale.
La teoria totalitaria accomunava regimi politici radicalmente differenti nei fini e negli obiettivi. Nonostante i molti
caratteri condivisi (leader carismatico, monopolio del partito unico, ideologia, organizzazione del consenso), sotto molti aspetti questi regimi furono tra loro profondamente diversi.
Sebbene i fascismi (il fascismo italiano e il nazismo tedesco) si proclamassero rivoluzionari, la loro affermazione
avvenne nel solco del quadro costituzionale esistente, il quale venne o accantonato o sospeso. In Italia, attraverso la legislazione ordinaria, furono concentrati i poteri nell’esecutivo, vennero eliminate tutte le garanzie
liberali e si affermò il monopolio politico del Partito nazionale fascista; in Germania la Costituzione della Repubblica di Weimar fu superata, poco dopo l’avvento di Hitler alla Cancelleria, con l’approvazione, nel marzo 1933,
della legge che conferiva all’esecutivo pieni poteri e un primato indiscusso. E anche nella Spagna franchista una
serie di leggi fondamentali fece dell’esecutivo il perno dello Stato, fondando uno Stato cattolico e cercando, con
la legge di successione, di garantire continuità al regime. I fascismi non riuscirono a sopravvivere al dittatore che
li aveva generati: in Italia e in Germania furono travolti dalla Seconda guerra mondiale; in Spagna il franchismo si
consumò lungo l’estenuata esistenza del dittatore Franco e, dopo la sua morte, nonostante i tentativi di garantirne
la sopravvivenza, in pochi anni si passò a un regime democratico parlamentare pluralista, che si ordinò come una
monarchia costituzionale.
La Rivoluzione dell’ottobre 1917 in Russia si percepì invece come una svolta radicale, di valore universale, che
segnava l’affermarsi di un nuovo mondo. E come tale fu accolta. Questa rottura con il passato, questo annuncio
di tappe che progressivamente avrebbero condotto alla diffusione del comunismo su scala globale fu scandito da
diversi passaggi costituzionali, i quali non avevano un carattere programmatico, ma sottolineavano le diverse tappe volte alla realizzazione del fine ultimo, il comunismo. Nel corso della storia dell’esperienza sovietica, che va dal
1917 al 1991, furono elaborate più carte costituzionali: dalla nascita nel 1918 della dittatura del proletariato
al fine di «instaurare il socialismo», alla formazione nel 1924 della federale Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche (URSS), all’affermazione dello Stato socialista con la Costituzione del 1936 fino all’ultimo testo, del
1977, che dichiarava «edificata una società socialista».
Con il termine «totalitarismo» ci si riferisce ai regimi autoritari del XX secolo: l’origine del termine risale agli anni Venti, in
riferimento alla dittatura creata da Benito Mussolini in Italia, ma successivamente venne impiegato per indicare l’Unione
Sovietica di Stalin, il regime nazista di Hitler e il regime comunista impiantato in Cina da Mao. L’ideologia tesa a trasformare
radicalmente la società; l’assenza di pluralismo politico; il culto del capo; l’impiego di una capillare propaganda; la dura
repressione poliziesca; la pervasiva presenza dello Stato in ambito sociale ed economico; sono tutti elementi comuni ai
totalitarismi del Novecento.
1 Com’è stato possibile che nell’Europa della prima metà del XX secolo sia sorta una nuova forma di governo: il totalitarismo?
2 Il totalitarismo può essere un rischio ancora presente: se sei d’accordo con questa affermazione, dove ritieni che tale rischio
si potrebbe riscontrare?
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1.La premessa della Costituzione sovietica del 1977
Preceduta da una premessa storica che ne decantava la vicenda, dalla Rivoluzione d’ottobre alla «Grande guerra patriottica», cioè
il secondo conflitto mondiale, la Costituzione del 1977 affermava il carattere socialista dell’URSS, frutto di decenni di sviluppo delle
forze produttive, della cultura e della scienza, dell’abbattimento della società di classi.
Continuando la loro attività creativa, i lavoratori dell’Unione Sovietica
hanno assicurato lo sviluppo rapido
e integrale del paese e il perfezionamento del regime socialista. Si sono
rinsaldate l’alleanza della classe
operaia, dei contadini kolchoziani e della intelligencija popolare, e
l’amicizia delle nazioni e dei popoli
dell’URSS. Si è formata l’unità sociopolitica e ideale della società sovietica, di cui la classe operaia agisce
come forza traente. Avendo assolto
i compiti della dittatura del proletariato, lo Stato sovietico è divenuto
Stato di tutto il popolo. Questa è la
società nella quale sono state create possenti forze produttive, una
scienza e una cultura progredite,
nella quale cresce costantemente il
benessere del popolo e si formano
condizioni sempre più propizie allo
sviluppo integrale della personalità.
[…] Questa è la società dell’elevata
capacità organizzativa, dell’elevato
livello ideologico e dell’elevata coscienza dei lavoratori, patrioti e internazionalisti. Questa è la società la
cui legge di vita è la preoccupazione di tutti per il bene di ciascuno e
la preoccupazione di ciascuno per
il bene di tutti. Questa è la società
dell’autentica democrazia, il cui sistema politico assicura un’amministrazione efficace di tutti gli affari
sociali, la partecipazione sempre
più attiva dei lavoratori alla vita dello Stato, la combinazione dei diritti
e delle libertà reali dei cittadini con
i loro obblighi e con la loro responsabilità di fronte alla società. La
società socialista sviluppata è una
tappa naturale sul cammino verso
il comunismo. Fine supremo dello Stato sovietico è l’edificazione di
una società comunista senza classi,
nella quale riceverà sviluppo l’autogoverno sociale comunista.
P. Biscaretti di Ruffia, G. Crespi Reghizzi, La Costituzione sovietica del 1977, Milano, Giuffrè, 1990
2.Le origini del totalitarismo
Nel 1951 la filosofa e storica Hannah Arendt scrisse Le origini del totalitarismo: un’opera originale che studiava le radici dello stalinismo e del nazismo e le loro connessioni con l’antisemitismo. Questo libro fu al centro di molte controversie perché comparava due
sistemi che al tempo sembravano diametralmente opposti. Al termine del suo discorso la Arendt sosteneva che solo la ripresa della
partecipazione politica consapevole dei cittadini avrebbe potuto evitare la ricaduta nel male totalitario.
Nei capitoli precedenti abbiamo
ripetutamente sottolineato come
il totalitarismo sia, oltre che più radicale, essenzialmente diverso da
altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la
tirannide e la dittatura. Dovunque
è giunto al potere, esso ha creato
istituzioni assolutamente nuove e
distrutto tutte le tradizioni sociali,
giuridiche e politiche del paese. A
prescindere dalla specifica matrice
nazionale e dalla particolare fonte
ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei
partiti non con la dittatura del partito unico, ma con un movimento di
massa, trasferito il centro del potere
dall’esercito alla polizia e perseguito
una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo. Quando i sistemi monopartitici da cui
esso si è sviluppato sono diventati
veramente totalitari hanno cominciato ad operare secondo una scala
di valori così radicalmente diversa
da ogni altra che nessuna delle categorie tradizionali, giuridiche, morali
o del buon senso, poteva più servire
per giudicare, o prevedere, le loro
azioni. […] Esso [il totalitarismo]
sostiene infatti che, lungi dall’essere
«senza legge», va alle fonti dell’autorità da cui il diritto positivo ha
ricevuto la sua legittimazione, che,
lungi dall’essere arbitrario, è più os-
sequiente a queste forze sovrumane
di qualsiasi precedente governo, che,
lungi dall’esercitare il potere nell’interesse di un uomo solo, è pronto a
sacrificare gli interessi vitali immediati di chiunque all’attuazione di
quella che considera la legge della
storia o della natura. La sua noncuranza per il diritto positivo pretende
di essere una forma superiore di legittimità che, ispirandosi alle fonti,
può fare a meno della meschina legalità. Esso si vanta di aver trovato il
modo per instaurare l’impero della
giustizia sulla terra, qualcosa che la
legalità del diritto positivo non è mai
riuscita a ottenere.
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi, 1951
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Documenti
Le Costituzioni del Novecento
Con le rivoluzioni americana e francese l’approdo alla Costituzione scritta a garanzia e a tutela dei diritti e
dell’ordinamento dello Stato iniziò a diffondersi timidamente in Europa e nelle Americhe. E tuttavia solo con la
Prima guerra mondiale quell’approdo incominciò a essere generalizzato come strumento di fondazione dello
Stato democratico. Una delle conseguenze fondamentali della Grande guerra e del disfacimento dei grandi
imperi fu infatti la nascita nel cuore dell’Europa di molteplici Stati che ne presero il posto. Questa profonda ristrutturazione della geografia politica era anche conseguenza del protagonismo delle masse, del loro irrompere sulla
scena pubblica, della loro aspirazione a dare senso e significato alla propria presenza nello Stato.
Fu così che la nascita di nuovi Stati o la trasformazione di quelli esistenti (per esempio, il passaggio della Germania
dall’impero alla repubblica) diede vita a una stagione costituente che sanciva ufficialmente il principio della sovranità
popolare e ricercava soluzioni tese ad armonizzare la tradizione politica dei diversi paesi con le basi della democratizzazione. Una caratteristica di quella fase costituente fu il coinvolgimento dei più prestigiosi giuristi, come Hans Kelsen
e Hugo Preuss, che ispirarono, rispettivamente, la Costituzione austriaca e quella della Repubblica di Weimar.
Le Costituzioni del primo dopoguerra furono caratterizzate da approcci variamente articolati al modello di
democrazia parlamentare: per esempio, la Costituzione austriaca assegnò all’Assemblea elettiva una prevalenza netta, mentre quella tedesca della Repubblica di Weimar fu contrassegnata, al contrario, da un instabile
e irrisolto equilibrio tra poteri del presidente della Repubblica (direttamente eletto), del Parlamento e del governo.
Ebbero entrambe una breve esistenza, perché, nel giro di un decennio, l’affermazione del nazismo in Germania e
la sua espansione nel cuore dell’Europa le travolse.
Una seconda stagione costituente si sviluppò dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, che significò
l’estensione del voto alle donne anche in due paesi in ritardo, la Francia e l’Italia. La Costituzione francese del
1946 durò però pochi anni, travolta dalla crisi della Quarta Repubblica. Nel 1958 fu chiamato al governo il generale
Charles De Gaulle, il quale avviò un meccanismo di revisione costituzionale che trasformò il regime parlamentare
in uno semipresidenziale (De Gaulle stesso fu il primo presidente della Quinta Repubblica). Nel sistema francese, il
presidente, eletto direttamente dai cittadini, può però essere condizionato dall’Assemblea nazionale, come è accaduto a partire dal 1986: è la cosiddetta «coabitazione», più volte verificatasi, tra un presidente espressione di una
maggioranza politica e un governo espressione di una differente maggioranza dell’Assemblea elettiva.
Nel continente europeo l’affermazione di regimi costituzionali, contrassegnati da una legge fondamentale dello
Stato approvata secondo procedure democratiche, è continuata lungo tutto il Novecento: nel corso degli anni
settanta, dopo la caduta dei regimi di destra in Portogallo, che si è dato un regime repubblicano, e in Spagna,
che ha optato per la monarchia. In seguito alla caduta del muro di Berlino, nei paesi ove si erano affermate le
democrazie popolari, aventi sistemi politici ispirati dall’esperimento sovietico, e nelle Repubbliche sorte dopo
il disfacimento dell’URSS nel 1991, il trapasso alla democrazia ha comportato una fase costituente che ha
stabilito Repubbliche parlamentari o semipresidenziali e un sistema pluralistico dei partiti.
La prima metà del Novecento rappresentò un’epoca di declino del liberalismo e della democrazia, epoca che a conclusione
della Prima guerra mondiale sfociò nelle dure esperienze totalitarie fasciste e comuniste. Dopo la Seconda guerra mondiale
emersero nuovamente orientamenti liberali nati proprio negli anni Quaranta dalla necessità di opporsi alle dittature totalitarie. Diversi politici, intellettuali e pensatori parteciparono alla redazione delle nuove Costituzioni in varie nazioni uscite
dal conflitto mondiale, come l’Italia o la Germania Occidentale. In seguito, negli anni Settanta e Ottanta, si verificò il ritorno
alla democrazia in Grecia (dove nel 1967 si era instaurata la dittatura dei colonnelli), in Portogallo (dove la «Rivoluzione dei
garofani» fece cadere il regime militare di Salazar) e in Spagna (in seguito alla morte del dittatore Francisco Franco).
1 Che cosa implica la democrazia dal punto di vista dei modi di approvazione delle leggi?
2 Credi che una cittadinanza attiva, cioè la partecipazione alle decisioni pubbliche attraverso l’attività politica, possa avere un
valore effettivo?
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1.Le Costituzioni francesi del 1946 e del 1958
La Francia ha avuto nel secondo dopoguerra due Costituzioni: la prima, frutto dei condizionamenti della storia recente e del presente,
realizzava una democrazia parlamentare; la seconda, dopo la paralisi politica connessa con la crisi d’Algeria, mutava la forma di
governo, fondando il semipresidenzialismo. I principi ispiratori erano però i medesimi, come mostra il confronto tra i preamboli delle
due Costituzioni.
1946
All’indomani della vittoria riportata
dai popoli liberi sui regimi che hanno tentato di asservire e di degradare
la persona umana, il popolo francese
proclama di nuovo che ogni essere
umano, senza distinzione di razza,
di religione e di credenza, possiede
inalienabili e sacri diritti. Riafferma
solennemente i diritti e le libertà
dell’uomo e del cittadino consacrati dalla Dichiarazione dei diritti del
1789 ed i principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica.
Proclama, inoltre, come particolarmente necessari al nostro tempo, i
seguenti principi politici, economici e sociali:
La legge garantisce alla donna, in
tutti i campi, diritti uguali a quelli
dell’uomo.
Ogni uomo perseguitato per la sua
azione in favore della libertà ha diritto
d’asilo sui territori della Repubblica.
Ognuno ha il dovere di lavorare e il
diritto di ottenere un’occupazione.
Nessuno può essere danneggiato,
nel suo lavoro o nel suo impiego, a
causa delle sue origini, opinioni o
credenze.
Ogni uomo può difendere i suoi
diritti e i suoi interessi mediante
l’azione sindacale, e aderire al sindacato di sua scelta.
Ogni lavoratore partecipa, per mezzo dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di
lavoro, nonché alla gestione delle
imprese. […]
La Nazione assicura all’individuo e
alla famiglia le condizioni necessarie
al loro sviluppo.
Essa garantisce a tutti, e specialmente al fanciullo, alla madre e ai vecchi
lavoratori, la protezione della salute,
la sicurezza materiale, il riposo e le
vacanze.
1958
Il popolo francese proclama solennemente il suo attaccamento ai Diritti dell’Uomo e ai principi della sovranità nazionale quali sono definiti
dalla Dichiarazione del 1789, confermati e completati dal preambolo
della Costituzione del 1946.
2.La Legge fondamentale tedesca
Dopo la resa dei nazisti nel 1945 e la spartizione dei territori tedeschi tra le potenze vincitrici, crebbero i fattori di scontro tra Stati Uniti e
Unione Sovietica oramai avviati verso la Guerra fredda. Nel maggio 1949 nasceva la Repubblica Federale Tedesca con una Costituzione,
allora considerata provvisoria, detta Legge fondamentale. Come capitale, anche quella provvisoria, venne scelta la città di Bonn. Nell’ottobre 1949 anche nelle zone dell’Est controllate dai sovietici venne creato un nuovo Stato: la Repubblica Democratica Tedesca.
Consapevole della propria responsabilità davanti a Dio e agli uomini,
animato dalla volontà di salvaguardare la propria unità nazionale e
statale e di servire la pace del mondo
quale membro, equiparato nei diritti, di un’Europa unita, il popolo tedesco […], al fine di dare alla vita statale
per un periodo transitorio un nuovo
ordinamento in virtù del suo potere
costituente, ha deliberato la presente
Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca, agendo anche
per quei tedeschi a cui è stato negato
di collaborare. Tutto il popolo tedesco è esortato a realizzare, mediante
libera autodeterminazione, l’unità e
la libertà della Germania.
Art. 1. (I) La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere
statale rispettarla e proteggerla.
(II) II popolo tedesco riconosce
quindi gli inviolabili e inalienabili
diritti dell’uomo come fondamento
di ogni comunità umana, della pace
e della giustizia nel mondo. […]
Art. 2. (I) Ognuno ha diritto al libero
sviluppo della propria personalità,
in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento
costituzionale o la legge morale.
(II) Ognuno ha diritto alla vita e
all’incolumità fisica. La libertà della
persona è inviolabile. Questi diritti
possono essere limitati soltanto in
base ad una legge.
Art. 3. (I) Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge.
(II) Gli uomini e le donne sono equiparati nei loro diritti.
(III) Nessuno può essere danneggiato o favorito per il suo sesso, per la
sua nascita, per la sua razza, per la
sua lingua, per la sua nazionalità o
provenienza, per la sua fede, per le
sue opinioni religiose o politiche.
Art. 4. (I) La libertà di fede e di coscienza e la libertà di confessione
religiosa e ideologica sono inviolabili. (II) È garantito il libero esercizio
del culto.
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Testimonianze
Documento 1
Testimonianze
Documento 3
Lenin e la dittatura del proletariato (capitolo 4)
Vladimir Lenin scrisse Stato e rivoluzione tra l’agosto e il settembre 1917, mentre il destino politico della Russia era ancora grandemente incerto. In quest’opera il capo dei bolscevichi prediceva che ai lavoratori e alla vittoriosa rivoluzione comunista sarebbe
toccato il controllo dello Stato e della società. In ciò consisteva la dittatura del proletariato, ai danni di ogni altra classe e soprattutto
della borghesia sfruttatrice, nella essenziale e violenta fase di passaggio dal capitalismo alla futura e pienamente democratica società comunista.
«[…] Tra la società capitalistica e la
società comunista – prosegue Marx
– vi è il periodo della trasformazione
rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad
esso corrisponde anche un periodo
politico di transizione, il cui Stato
non può essere altro che la dittatura
rivoluzionaria del proletariato […]».
Questa conclusione si basa, in Marx,
sull’analisi della funzione che il proletariato ha nella società capitalistica odierna, sui dati dello sviluppo
di questa società e sulla inconciliabilità degli opposti interessi del
proletariato e della borghesia. […]
La società capitalistica, considerata
nelle sue condizioni di sviluppo più
favorevoli, ci offre nella repubblica
democratica una democrazia più o
meno completa. Ma questa democrazia è sempre limitata nel ristretto
quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre in fondo una
democrazia per la minoranza, per
le sole classi possidenti, per i soli
ricchi. […] Lo sviluppo progressivo,
cioè l’evoluzione verso il comunismo, avviene passando per la dittatura del proletariato e non può
avvenire altrimenti, poiché non vi
è nessun’altra classe e nessun altro
mezzo che possa spezzare la resi-
stenza dei capitalisti sfruttatori […].
Insieme a un grandissimo allargamento della democrazia, divenuta
per la prima volta una democrazia
per i poveri, per il popolo, e non una
democrazia per i ricchi, la dittatura
del proletariato apporta una serie di
restrizioni alla libertà degli oppressori, degli sfruttatori, dei capitalisti.
Costoro noi li dobbiamo reprimere,
per liberare l’umanità dalla schiavitù salariata. Si deve spezzare con la
forza la loro resistenza; ed è chiaro
che dove c’è repressione, dove c’è
violenza, non c’è libertà, non c’è democrazia.
V. Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1965
Il Manifesto della Razza (capitolo 5)
Le leggi razziali del 1° settembre 1938 furono anticipate dal Manifesto della Razza, pubblicato sul «Giornale d’Italia» il 15 luglio dello
stesso anno. Redatto ufficialmente da un gruppo di docenti universitari sotto l’egida del ministero della Cultura popolare, venne steso
in realtà quasi interamente da Mussolini. Esso affermava l’esistenza di una «pura razza italiana» e la sua profonda alterità rispetto
alla «razza ebraica». Il Manifesto poneva così le basi per la persecuzione a danno degli israeliti.
1. LE RAZZE UMANE ESISTONO.
[…] Questa realtà è rappresentata da
masse, quasi sempre imponenti, di
milioni di uomini simili per caratteri
fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi.
[…]
3. IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO.
Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e
di nazione, fondati essenzialmente
su considerazioni storiche, linguistiche, religiose […].
4. LA POPOLAZIONE DELL’ITALIA
ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA
DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione
a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è
rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali
parte essenzialmente da elementi di
quelle stesse razze che costituiscono
e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa. […]
5. ESISTE ORMAI UNA PURA RAZZA
ITALIANA. Questo enunciato non è
basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto
storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela
di sangue che unisce gli Italiani di
oggi alle generazioni che da millenni
popolano l’Italia. […]
8. GLI EBREI NON APPARTENGONO
ALLA RAZZA ITALIANA. […] Gli ebrei
rappresentano l’unica popolazione
che non si è mai assimilata in Italia
perché essa è costituita da elementi
razziali non europei, diversi in modo
assoluto dagli elementi che hanno
dato origine agli Italiani.
9. I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI
ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L’unione è ammissibile solo nell’ambito
delle razze europee […]. Il carattere
puramente europeo degli Italiani
viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice
di una civiltà diversa dalla millenaria
civiltà degli ariani.
Da il «Giornale d’Italia», 15 luglio 1938
Documento 2
Giacomo Matteotti contro il fascismo alla Camera dei Deputati (capitolo 5)
Il discorso tenuto dal socialista Giacomo Matteotti alla Camera dei Deputati il 30 maggio 1924 rappresenta la denuncia più lucida e
coraggiosa che l’antifascismo seppe volgere alle violenze operate dallo squadrismo mussoliniano in occasione delle elezioni del 6
aprile. Non a caso, Matteotti pagò con la vita il suo gesto: pochi giorni dopo il discorso al Parlamento fu rapito e ucciso.
Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate nell’ordine del giorno del Presidente del
Consiglio per l’atto di fedeltà che
diedero al governo fascista, e che
prima erano state organizzate presso i contadini dal partito socialista
o dal partito popolare, gli elettori
votavano sotto controllo del partito
fascista […]. Coloro che ebbero la
ventura di votare e di raggiungere
le cabine, ebbero dentro le cabine
in moltissimi comuni, specialmente
della campagna, la visita di coloro
che erano incaricati di controllare i
loro voti. Se la Giunta delle elezioni
volesse aprire i plichi e verificare i
cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti
di preferenza sono stati scritti sulle
schede tutti dalla stessa mano, così
come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario.
Non voglio dilungarmi a descrivere i
molti sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una
piccola minoranza di cittadini ha
potuto esprimere liberamente il suo
voto; anzi noi abbiamo potuto avere
il nostro voto, il più delle volte, quasi esclusivamente da coloro che non
potevano esser sospettati di essere
socialisti […]. A queste nuove forze
che manifestano la reazione della
nuova Italia contro l’oppressione del
nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. Per tutte queste
ragioni, e per le altre che di fronte
alle vostre rumorose sollecitazioni
rinunzio a svolgere, ma che voi ben
conoscete perché ciascuno di voi ne
è stato testimonio […] per queste
ragioni noi domandiamo l’annullamento in blocco delle elezioni.
G. Aliberti, F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Fonti e documenti, Milano, Led, 1999
Documento 4
Il programma del Partito nazista (capitolo 6)
Il programma della Nsdap, il Partito nazionalsocialista tedesco, venne redatto al principio del 1920 e illustrava già i capisaldi della
futura politica hitleriana. Tra gli altri punti si affermavano per esempio la necessità di una cittadinanza basata sul «diritto del sangue»,
l’ambizione della Germania di riscattare la sconfitta del 1918 e il progetto di uno Stato-padre capace di provvedere in tutto e per
tutto ai bisogni dei suoi figli.
1. Noi chiediamo la riunione di tutti
i tedeschi in una Grande Germania,
in base al diritto di autodecisione dei
popoli.
2. Noi chiediamo la parità di diritto
del popolo tedesco di fronte alle altre nazioni, nonché l’abolizione dei
trattati di pace di Versailles e SaintGermain.
3. Noi chiediamo terra e suolo (colonie) per nutrire il nostro popolo e
per insediarvi la nostra eccedenza di
popolazione.
4. Può essere cittadino dello Stato
solo chi sia connazionale […]. Può
essere connazionale solo chi sia di
sangue tedesco, senza riguardo alla
sua religione. Nessun ebreo può
quindi essere connazionale […].
6. […] Noi chiediamo che tutte le cariche pubbliche di qualsiasi genere,
cioè del Reich, dei Länder o dei comuni, possano venir occupate solo da cittadini dello Stato. Noi lottiamo contro
il parlamentarismo corruttore, contro
la attribuzione di cariche in base a
considerazioni di partito, senza tener
conto del carattere e delle capacità.
7. Noi chiediamo che lo Stato si impegni ad avere cura in primo luogo di
assicurare lavoro e possibilità di esistenza ai cittadini dello Stato. Qualora non sia possibile nutrire la popolazione dello Stato, gli appartenenti ad
altre nazionalità (cioè coloro che non
sono cittadini dello Stato) dovranno
venir espulsi dal Reich […].
18. Noi chiediamo la lotta a fondo
contro coloro che esplicano attività
dannose per l’interesse della comunità. Coloro che commettono delitti
contro il popolo, gli usurai, i profittatori ecc. devono essere condannati
a morte senza distinzione di confessione o di casta.
W. Hofer, Il nazional-socialismo. Documenti 1933-1945, Milano, Feltrinelli, 1964
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Testimonianze
Documento 5
Testimonianze
Documento 7
Le Leggi di Norimberga (capitolo 6)
Il 15 settembre 1935 furono emanate a Norimberga, mentre vi si teneva il congresso di un partito nazista ormai padrone della Germania, due leggi. Erano la «Legge per la cittadinanza del Reich» e la «Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco». La
prima limitava rigidamente la possibilità di acquisire la cittadinanza tedesca. La seconda circoscriveva i diritti degli ebrei, imponendo
loro diversi obblighi. Le cosiddette Leggi di Norimberga aprirono la strada alla persecuzione antigiudaica. Hitler si impegnava così a
rispettare un’altra delle promesse fatte nel Mein Kampf: liberare la Germania dalla presenza ebraica.
Il 14 agosto 1941, il premier inglese Winston Churchill e il presidente americano Franklin Delano Roosevelt si incontrarono a bordo
della Prince of Wales, una nave da battaglia inglese nella baia di Terranova. Fu lì che i due uomini di governo sottoscrissero la Carta
Atlantica, mappa del mondo futuro in cui a ogni popolo sarebbe stata concessa la giusta libertà e in cui sarebbe stato compiuto ogni
sforzo per evitare la guerra. Pochi mesi dopo, con l’attacco giapponese a Pearl Harbor, Washington affiancava Londra sui campi di battaglia, impegnandosi così a costruire un nuovo ordine politico internazionale, in cui i principi della Carta Atlantica diventassero realtà.
Legge per la cittadinanza del Reich
1.1. è cittadino dello Stato colui che
fa parte della comunità protettiva del
Reich tedesco, con il quale ha dei legami che lo impegnano in maniera
particolare […].
Il Presidente degli Stati Uniti d’America e il Primo Ministro, signor Churchill […] ritengono opportuno rendere noti taluni principi comuni della
politica nazionale dei rispettivi Paesi,
sui quali essi fondano le loro speranze
per un più felice avvenire del mondo.
I) I loro Paesi non aspirano a ingrandimenti territoriali o di altro genere.
II) Essi non desiderano mutamenti
territoriali che non siano conformi al
desiderio, liberamente espresso, dei
popoli interessati.
III) Essi rispettano il diritto di tutti i
popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale intendono vivere; e
desiderano vedere restituiti i diritti
2.1. Cittadino del Reich è soltanto
l’appartenente allo stato di sangue
tedesco o affine, il quale con il suo
comportamento dia prova di essere
disposto e adatto a servire fedelmen-
Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco
lebrati sono nulli […].
Pervaso dal riconoscimento che la
2. Sono proibiti rapporti extramatripurezza del sangue tedesco è la premoniali tra ebrei e cittadini dello stamessa per la conservazione del poto di sangue tedesco o affine.
polo tedesco e animato dal proposi3. Gli ebrei non potranno assumeto irriducibile di assicurare il futuro
re al loro servizio come domestiche
della nazione tedesca, il Reichstag ha
cittadine di sangue tedesco o affine
approvato all’unanimità la seguente
sotto i 45 anni.
legge che qui viene promulgata.
4.1. Agli ebrei è proibito innalzare la
1.1. Sono proibiti i matrimoni tra
bandiera del Reich e quella nazionale
ebrei e cittadini dello stato di sangue
ed esporre i colori del Reich […].
tedesco o affine. I matrimoni già ce-
te il popolo e il Reich tedesco […].
2.3. Il cittadino del Reich è il solo depositario dei pieni diritti politici a
norma di legge.
5.1. Chi contravviene al divieto di cui
al paragrafo 1 viene punito con il carcere duro.
5.2. Chi contravviene alle norme di
cui al paragrafo 2 viene punito con
l’arresto o con il carcere duro.
5.3. Chi contravviene alle norme di
cui ai paragrafi 3 e 4 viene punito con
la prigione sino a un anno e con una
multa […].
W. Hofer, Il nazional-socialismo. Documenti 1933-1945, Milano, Feltrinelli, 1964
Documento 6
Roosevelt: «agire, e agire rapidamente» (capitolo 7)
Il 4 marzo del 1933, Franklin Delano Roosevelt pronunciò il suo discorso di insediamento. La crisi economica scoppiata nel ’29
produceva allora gli effetti più gravi e milioni di disoccupati privi di ogni assistenza dormivano sui marciapiedi delle grandi città. Il
nuovo presidente ebbe il coraggio di ribaltare il tradizionale liberismo americano indicando una precisa via d’uscita alle difficoltà:
l’intervento dello Stato in economia.
Questa nazione chiede azione, e
azione immediata. Il nostro primo
grandissimo compito è di porre la
gente al lavoro. Questo non è un problema insolubile se lo fronteggeremo
con saggezza e con coraggio. E può
essere risolto in parte col reclutamento diretto da parte del governo
stesso, considerando il problema alla
stregua di una emergenza bellica,
ma nello stesso tempo realizzando,
attraverso questo impiego, progetti
grandemente necessari per stimolare e riorganizzare l’uso delle nostre
risorse naturali. […] Si può contribuire a questo compito con decisi sforzi
intesi a elevare il valore dei prodotti
agricoli, e quindi la possibilità di acquistare le produzioni delle nostre
città. Si può contribuire col prevenire
realisticamente la tragedia della crescente perdita delle nostre fattorie e
delle nostre case con il blocco legale degli espropri. Si può contribuire
insistendo che il governo federale, i
governi statali e le amministrazioni
locali agiscano in modo da ridurre
drasticamente il loro costo. Si può
contribuire con l’unificazione delle
attività assistenziali, che oggi sono
spesso disorganiche, ineguali e antieconomiche. Si può contribuire
con la pianificazione nazionale e la
supervisione di tutte le forme di trasporto e di comunicazione e degli
altri servizi che abbiano carattere
decisamente pubblico. Vi sono molti modi coi quali si può contribuire a
risolvere il problema, ma certo non si
può risolvere soltanto con le chiacchiere. Noi dobbiamo agire, e agire
rapidamente.
R. Hofstadter, Le grandi controversie della storia americana, Roma, Opere Nuove, 1966
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La Carta Atlantica disegna il mondo del futuro (capitolo 8)
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sovrani di autogoverno a coloro che
ne sono stati privati con la forza.
IV) […] Essi cercheranno di far sì che
tutti i Paesi, grandi e piccoli, vincitori
e vinti, abbiano accesso, in condizioni di parità, ai commerci e alle materie prime mondiali necessari alla loro
prosperità economica.
V) Essi desiderano attuare fra tutti i
popoli la piena collaborazione nel
campo economico, al fine di assicurare a tutti migliori condizioni di
lavoro, progresso economico e sicurezza sociale.
VI) Dopo la definitiva distruzione
della tirannia nazista, essi sperano di
veder stabilita una pace che offra a
tutti i popoli i mezzi per vivere sicuri
entro i loro confini, e dia affidamento che tutti gli uomini, in tutti i Paesi,
possano avere la loro vita, liberi dal
timore e dal bisogno. […]
VIII) Essi sono convinti che, per ragioni pratiche nonché spirituali, tutte le nazioni del mondo debbano addivenire all’abbandono dell’impiego
della forza. Poiché nessuna pace futura potrebbe essere mantenuta se
gli Stati che minacciano, e possono
minacciare, aggressioni al di fuori dei
loro confini, continuassero a impiegare armi terrestri, navali ed aeree.
F. Catalano, Stato e società nei secoli, vol. 3, Messina-Firenze, D’Anna, 1964
Documento 8
Primo Levi ad Auschwitz: «Qui non c’è perché» (capitolo 8)
Primo Levi fu deportato ad Auschwitz nel 1944. Sopravvissuto al campo di concentramento, scrisse «Se questo è un uomo», straordinario resoconto di quella terribile esperienza. Nel brano seguente, Levi racconta del suo arrivo al campo e delle leggi implacabili
che lo governavano. La prima e più importante era questa: niente ha una spiegazione, tutto è fatto per rendere il prigioniero schiavo
nel corpo e nella mente. Oppresso dai ricordi di Auschwitz, Levi si suicidò nel 1987.
Finita l’operazione di tatuaggio, ci
hanno chiusi in una baracca dove
non c’è nessuno […]. Spinto dalla
sete, ho adocchiato, fuori di una finestra, un bel ghiacciolo a portata di
mano. Ho aperto la finestra, ho staccato il ghiacciolo, ma subito si è fatto
avanti uno grande e grosso che si aggirava là fuori, e me lo ha strappato
brutalmente. – Warum? – gli ho chiesto nel mio povero tedesco. – Hier ist
kein Warum –, (qui non c’è perché),
mi ha risposto, ricacciandomi dentro
con uno spintone. La spiegazione è
ripugnante ma semplice: in questo
luogo è proibito tutto, non già per riposte ragioni, ma perché a tale scopo
il campo è stato creato […].
Ecco apparire i drappelli dei nostri
compagni, che ritornano dal lavoro.
Camminano in colonna per cinque:
camminano con un’andatura strana,
innaturale, dura, come fantocci rigidi fatti solo di ossa: ma camminano
seguendo scrupolosamente il tempo
della fanfara […].
Abbiamo ben presto imparato che gli
ospiti del campo sono distinti in tre
categorie: i criminali, i politici e gli
ebrei. Tutti sono vestiti a righe […]
ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici un triangolo rosso;
gli ebrei, che costituiscono la grande
maggioranza, portano la stella ebraica, rossa e gialla […]. I nostri padroni
effettivi sono i triangoli verdi, i quali
hanno mano libera su di noi, e inoltre
quelli fra le altre due categorie che si
prestano ad assecondarli […]. Ed altro ancora abbiamo imparato, più o
meno rapidamente, a seconda del
carattere di ciascuno; a rispondere
«Jawohl», a non fare mai domande,
a fingere sempre di avere capito. Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo della gamella dopo
il rancio e la teniamo sotto il mento
quando mangiamo il pane per non
disperdere le briciole.
P. Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2005
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Interpretazioni
Interpretazioni
Il primo piano quinquennale sovietico fu un successo? (capitolo 4)
Le interpretazioni classiche del fascismo (capitolo 5)
Al principio degli anni Trenta, mentre in Germania prendeva il potere il nazismo e il mondo capitalistico era sconvolto dalla grande
depressione economica, l’Unione Sovietica sperimentava un formidabile balzo economico in avanti. Nel brano che segue, lo storico
Rosario Villari valuta gli esiti del primo piano quinquennale, varato nel 1929 e conclusosi nel 1933, ed evidenzia come, accanto ai
picchi produttivi che crearono l’impressione di una impresa straordinaria, molti elementi di debolezza già caratterizzassero l’azione
del governo sovietico.
Sconfitto il fascismo, gli storici percorsero tre principali strade interpretative, benissimo riassunte da Renzo De Felice. Ci fu chi volle
vedere nel fascismo una malaugurata interruzione del cammino del nostro paese verso la democrazia liberale. Ci fu chi sottolineò la
troppo scarsa abitudine degli italiani alla libertà e giunse dunque a considerare l’avvento del fascismo storicamente inevitabile. Ci fu
infine chi lesse gli eventi in chiave ideologica, scorgendo nel fascismo il mezzo adottato dal capitalismo borghese per sconfiggere
la classe lavoratrice.
I risultati del piano, attuato in quattro anni e tre mesi con un’approssimazione di meno del 6% rispetto agli
obiettivi fissati, apparvero e furono
spettacolari nel settore industriale.
Secondo i dati ufficiali, la produzione dell’industria estrattiva e pesante
[…] fu triplicata, la disoccupazione si
ridusse notevolmente, nelle miniere
la meccanizzazione passò dal 15% al
63,6%.
Gli elementi negativi della pianificazione, che fin dall’inizio furono presenti e che dovevano diventare insuperabili punti deboli del sistema,
consistevano, oltre che nella permanente arretratezza dell’agricoltura,
nella difficoltà di coordinamento fra
l’estrema centralizzazione delle scelte e le esigenze operative delle imprese, nel forte squilibrio tra le risorse destinate all’industria pesante e
quelle destinate agli altri settori – industria leggera, produzione dei beni
di consumo, comunicazioni, trasporti, edilizia –, nella scarsa produttività del lavoro, negli enormi sprechi e
nella resistenza all’innovazione.
Il sistema produttivo era mantenuto dalla pratica della coercizione e
della repressione di massa […]. Sul
momento, l’esaltazione ufficiale
della svolta industriale, che ebbe un
notevole impatto anche sull’opinione pubblica degli altri paesi, oscurò
gli squilibri e gli aspetti negativi che
il processo di trasformazione ebbe
nell’economia e nella società. Soltanto più tardi essi furono ricostruiti
attraverso la ricerca storica e il dibattito politico ed economico. […]
Stalin e i suoi collaboratori interpretavano o presentavano le resistenze, le critiche e le difficoltà come
espressione della lotta di classe, e
come una forma di sabotaggio politico ed economico del socialismo. Da
qui la richiesta […] di «una dittatura
del proletariato forte e potente» e la
persecuzione contro i tecnici «borghesi», sui quali si tentò di riversare
la responsabilità di ritardi, errori e
disfunzioni riscontrati durante la realizzazione del piano.
Il fascismo come malattia morale
dell’Europa [Tale interpretazione] fu
formulata da Benedetto Croce […].
Croce ne chiarì i due aspetti fondamentali. Primo, che il fascismo «non
fu escogitato né voluto da alcuna
singola classe sociale, né da una singola di queste sostenuto», ma «fu
uno smarrimento di coscienza, una
depressione civile e una ubriacatura,
prodotta dalla guerra». Secondo, che
questo smarrimento e questa ubriacatura non furono solo un fatto italiano, ma di quasi tutti i popoli che
avevano partecipato alla guerra ’14’18 […]. In quanto tale il fascismo era
stato una «parentesi» che aveva corrisposto a un periodo di abbassamento
«nella coscienza della libertà» […].
Il fascismo come prodotto logico ed
inevitabile dello sviluppo storico di
alcuni paesi […] Secondo questa interpretazione, il fascismo sarebbe
stato la logica ed inevitabile conseguenza di una serie di tare caratteristiche dello sviluppo storico di
alcuni paesi […]. Queste tare sarebbero relativamente recenti, connesse
soprattutto al ritardo, alla fragilità e
alla esasperazione con i quali in quei
paesi si sarebbero realizzati lo sviluppo economico, l’unificazione e l’indipendenza nazionali: la borghesia
di questi paesi non sarebbe riuscita a
svilupparsi altro che in forme patologiche e avrebbe dovuto perciò ricor-
R. Villari, Mille anni di storia. Dalla città Medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2000
rere sempre ad alleanze conservatrici
e a forme di potere politico sostanzialmente illiberali […].
Il fascismo come prodotto della società capitalistica e come reazione
antiproletaria […] Muovendo dalla
premessa che il fascismo deve essere visto e spiegato nel quadro della
struttura sociale e politica della società capitalistica contemporanea
e delle sue contraddizioni, questa
interpretazione afferma che il fascismo sarebbe […] una delle forme che
nel XX secolo hanno assunto a livello
politico, sociale e ideologico la lotta
contro il movimento rivoluzionario
dei lavoratori e la sua repressione da
parte del capitalismo.
R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1969
La radicale novità del fascismo (capitolo 5)
Hitler fu figlio della cultura del suo tempo (capitolo 6)
Del fascismo sono state date nei decenni molte interpretazioni diverse. Tanto della sua versione italiana quanto delle altre sue versioni europee, a partire da nazismo tedesco e franchismo spagnolo. E lo studio di quelle vicende, legate ad avvenimenti tragici come
guerre e repressioni politiche o razziali, ha sempre acceso fortissime polemiche. Nell’esaminare il mussolinismo, gli storici hanno
evidenziato prima di tutto la sua radicale novità: come dice Federico Chabod, si trattò di una novità che ben pochi dei contemporanei
compresero, tanto da farsene travolgere e asservire.
La personalità di Adolf Hitler ha sempre esercitato un fascino e una suggestione straordinari sugli storici, che nei loro studi hanno
spesso oscillato tra due tendenze interpretative ben definite. Da un lato, c’era chi addossava a lui ogni responsabilità dell’ascesa del
nazismo e dei crimini di cui si macchiò la Germania. Dall’altro, c’era chi si sforzava di svelare le responsabilità dei tedeschi, per le
loro complicità con il regime. Secondo Enzo Collotti la sua ascesa fu figlia della cultura del tempo: la Germania «volle» Hitler e proprio
per questo i tedeschi dividono con lui la responsabilità dei misfatti del nazismo.
Nel 1921-22 chi valuta il fascismo in
base alle vecchie formule della lotta
politica e parlamentare può ancora
credere alla possibilità di blandirlo,
di servirsene, di affidargli la parte
d’aiutante, salvo sbarazzarsene in
seguito. Ma proprio qui sta il fondamentale errore di valutazione. Il fascismo non è una forza politica vec-
Va respinto anche il tentativo di spostare l’equilibrio del giudizio dal movimento e dal regime nazionalsocialista nel loro complesso alla persona
e alla personalità isolate di Adolf Hitler, tentativo che raggiunge soltanto
l’obbiettivo di scaricare sulla figura
del Führer ogni responsabilità per
l’instaurazione del regime nazista
[…]. Occorre ribadire con energia
che un’analisi reale delle origini e
della natura del nazionalsocialismo
va portata sul terreno diretto delle
strutture politiche ed economiche
della Germania moderna e in parti-
chio stile. I suoi principi – ammesso
che ne abbia – non hanno nulla in
comune con quelli che fino allora
avevano regolato il gioco politico. La
legalità degli atti non lo preoccupa;
la libertà, la salvaguardia del Parlamento, tutti i vecchi principi dello
Stato liberale gli sono estranei […].
Il fascismo rappresenta una novi-
tà che non potrà essere «assorbita»
nel sistema politico liberale e costituzionale. Non essersi accorti in
tempo di questa pericolosa novità è
il grave errore della maggioranza degli uomini che fino a quel momento
sono stati alla testa della vita politica italiana.
F. Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961
colare del Terzo Reich […].
[Dopo la Prima guerra mondiale],
la critica delle istituzioni diventò la
pretesa di affermare contro la democrazia di importazione esterna la validità di qualcosa di integralmente e
genuinamente tedesco […], di completamente nuovo e giusto in assoluto per il popolo tedesco e per esso
solo. […] La crisi sociale portò alla
condanna totale di ogni preesistente
ordinamento ed esperienza: la negazione del classismo generò l’ideale
corporativo. Soprattutto la struggente rinascita nazionalistica, nella qua-
le si confondeva anche il sempre vivo
movimento pangermanista, trovò la
più esasperata espressione nel razzismo feroce e intransigente di tutti
i profeti della «rivoluzione tedesca»
che in realtà lungi dall’essere portatrice di idee e di forze nuove faceva
appello alle idee più screditate della
tradizione tedesca. La sintesi di queste componenti sarà il Terzo Reich
come Stato totalitario, militaristico
e imperialistico, fondato sul principio carismatico del Führer e sul mito
della razza, come travestimento ideologico dell’imperialismo.
E. Collotti, La Germania nazista. Dalla repubblica di Weimar al crollo del Reich hitleriano, Torino, Einaudi, 1962
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Interpretazioni
Interpretazioni
La Grande crisi: disoccupazione di massa e mancanza di sicurezza sociale (capitolo 7)
La Resistenza come guerra di popolo (capitolo 8)
Alle soglie della Grande crisi, in tutto l’Occidente vigeva la regola secondo cui lo Stato doveva intervenire in economia il meno
possibile, lasciando al mercato il compito di autoregolarsi. La depressione seguita al crollo della Borsa di Wall Street rese del tutto
evidente l’inadeguatezza del credo liberista. Milioni di lavoratori rimasti senza impiego venivano lasciati al loro destino, come ricorda
Eric Hobsbawm, nella speranza che la situazione migliorasse. Il che non accadde.
Il dibattito sul significato della Resistenza italiana anima da decenni il confronto tra gli storici e ha subito nel tempo una notevole
evoluzione. All’indomani del conflitto mondiale, Alessandro Galante Garrone definiva la Resistenza una «guerra di popolo» partecipata
e dunque capace di legittimare la nuova democrazia sorta nel nostro paese.
Per gli uomini e le donne salariati o
stipendiati, la principale conseguenza della crisi fu la disoccupazione,
che si diffuse su una scala senza precedenti e per una durata che nessuno si era mai aspettato. Nel periodo
peggiore della crisi (1932-1933), il 2223% della forza lavoro inglese e belga, il 24% di quella svedese, il 27% di
quella americana, il 29% di quella austriaca, il 31% di quella norvegese, il
32% di quella danese e non meno del
44% dei lavoratori tedeschi rimasero
senza lavoro. Altrettanto importante
è il fatto che perfino la ripresa, dopo
il 1933, non ridusse il tasso medio
di disoccupazione sotto il 16-17% in
Gran Bretagna e in Svezia, o sotto il
20% nei restanti paesi scandinavi, in
Austria e negli Usa. […]
Da tempo immemorabile non si verificava una catastrofe economica
di tale portata nella vita delle classi
lavoratrici. Ciò che rese la situazione ancora più drammatica fu che le
sovvenzioni pubbliche per la sicurezza sociale, incluso il sussidio di
disoccupazione, non esistevano affatto, come negli Usa, oppure erano
assai misere se rapportate ai parametri valutativi odierni, soprattutto per
i disoccupati di lungo periodo […].
Anche nel paese che più di ogni altro
aveva adottato già prima della crisi
misure di protezione sociale contro
la disoccupazione, e cioè la Gran Bretagna, meno del 60% della forza lavoro era tutelato. […] Altrove in Europa
– a eccezione della Germania, con il
40% di lavoratori tutelati – la quota di
lavoratori che aveva diritto a un sussidio di disoccupazione andava dallo
zero a circa un quarto. Coloro che si
erano adattati a periodi ciclici di disoccupazione e di impiego furono
ridotti alla disperazione quando non
poterono più trovare lavoro e quando
si esaurirono i loro piccoli risparmi.
E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1997
La Grande crisi apre la strada dell’intervento statale nell’economia (capitolo 7)
Solo quando i governi scelsero di andare contro le parole d’ordine del «laissez-faire», fu possibile arginare gli effetti della Grande
crisi. Roberto Balzani racconta che prese allora avvio una nuova fase: quella che avrebbe visto la mano pubblica porsi accanto
all’iniziativa privata, e anzi sovrastarla, come protagonista delle maggiori scelte di politica economica.
La Grande Crisi fu alla base di un atteggiamento verso il mercato e verso
la società che sarebbe durato circa
un cinquantennio: esso prendeva le
mosse dalle «imperfezioni» del capitalismo per arrivare a postulare come
necessario un ruolo più incisivo dello Stato, sia nell’arena economica, sia
nella contigua arena sociale. Lo Stato
non poteva più essere un «arbitro»
neutrale, un semplice regolatore: milioni di disoccupati, lo spettro della
miseria, la sfiducia diffusa nei centri
del potere finanziario imponevano
un’azione diretta.
Questa azione fu teorizzata dall’economista liberale inglese John May-
nard Keynes in un celebre saggio del
1936: egli sostenne che i governi, per
interrompere il circolo vizioso determinato dalla simultanea caduta
dei prezzi, dei salari e degli occupati, dovevano investire, anche a costo
di battere moneta e creare, quindi,
inflazione. L’investimento pubblico
avrebbe fatto ripartire la domanda di
lavoro, iniettando denaro fresco nel
corpo esangue del sistema produttivo
e restaurando l’equilibrio inceppato.
Ma non si trattava solo di «restaurare» l’«ordine» economico. Lo Stato
aveva anche la possibilità di indicare
quali investimenti preferire (se volti
al consumo sociale o a quello indivi-
duale) e, utilizzando la leva fiscale, di
ridistribuire il reddito a beneficio dei
settori più poveri e disagiati. […]
Che cosa concludere, dunque, della vicenda della Grande Crisi? Anzitutto, il principio liberistico uscì
alquanto malconcio dallo scontro
con i fatti, e fu generalmente ridimensionato e circoscritto grazie ad
un più deciso intervento dello Stato.
Le forme di questo intervento furono
varie, ma il risultato, e cioè la creazione di un’area di intervento pubblico
affiancata al privato, in genere fu il
medesimo nelle principali nazioni
dell’Occidente.
La guerra partigiana è stata, in Italia,
un grande moto di popolo. Essa non
è stata solo combattuta da formazioni militari, contro Tedeschi e fascisti,
ma è stata combattuta e sofferta da
intere popolazioni, dagli strati sociali più umili, più tradizionalmente
e secolarmente lontani da una partecipazione cosciente ai grandi problemi politici dell’età moderna. Ha
investito e sconvolto gli interessi e
gli ideali non di una, ma di tutte le
classi. Ha posto gli Italiani dinanzi a
problemi non specificamente italiani, ma semmai europei, ed universalmente umani. È stata insomma
una spontanea «guerra di popolo,
nata dal popolo» […]. E per questo
il suo ricordo durerà a lungo, nelle
nostre valli e nelle nostre campagne,
trapasserà in leggenda, alimenterà
sentimenti ed orgogli e propositi,
diventerà comune patrimonio di un
popolo. […]
Il fatto nuovo, miracoloso che per
la prima volta si produsse nella no-
stra storia fu appunto questo: che il
popolo italiano, non trascinato da
una dinastia o da un esercito o da
un governo legittimo (ed anzi nella totale assenza di questi poteri),
spontaneamente scese a combattere
per conquistare la sua libertà. Non è
possibile intendere il significato politico della nostra guerra partigiana se
non si considera questo carattere di
spontaneità popolare e di autonoma
consapevolezza che essa assunse in
ogni regione.
A. Galante Garrone, Aspetti politici della guerra partigiana in Italia, in «L’Acropoli», n. 16, 1946
La Resistenza come guerra civile (capitolo 8)
All’inizio degli anni Novanta Claudio Pavone pubblicò Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, un contributo
che metteva in evidenza le tante facce della Resistenza, che fu sia guerra civile tra italiani combattenti in schieramenti opposti, sia
guerra di liberazione contro il nazifascismo, sia guerra di classe per l’avvento di una società più giusta. Egli sottolineò anche come
questi diversi aspetti fossero spesso inscindibili e tutti presenti nelle azioni dei protagonisti.
L’interpretazione della lotta fra la Resistenza e la Repubblica sociale italiana come guerra civile ha incontrato
da parte degli antifascisti […] ostilità
e reticenza, tanto che l’espressione
ha finito con l’essere usata quasi soltanto dai vinti fascisti, che l’hanno
provocatoriamente agitata contro
i vincitori. La diffidenza degli antifascisti ne è risultata accresciuta,
alimentata dal timore che parlare di
guerra civile conduca a confondere le due parti in lotta […]. In realtà
mai come nella guerra civile […] le
differenze tra i belligeranti sono tanto nette e irriducibili e gli odi tanto
profondi […]. La qualifica di servi
dello straniero data ai fascisti non è
sufficiente a cancellare in loro quella di italiani […]. Nemmeno si può
sorvolare sugli italiani, notevolmente
più numerosi dei fascisti militanti,
che di fatto accettarono il governo
della Rsi, prestandogli in varie forme
obbedienza. […]
In realtà, è il fatto stesso della guerra civile che reca in sé qualcosa che
alimenta la tendenza a seppellirne il
ricordo […]. I membri di un popolo
che si pongono al servizio dello straniero oppressore vengono considerati colpevoli di un tradimento radi-
cale […]. Il prevalere della formula
guerra, o movimento, di liberazione
nazionale rispetto a quella di guerra
civile occulta dunque la parte di realtà che vide italiani combattere contro
italiani […]. Le reciproche denunce
di aver dato avvio alla lotta fratricida
furono e restano numerose. Esse non
debbono tuttavia spingere a dimenticare coloro che sentirono sì la guerra
civile come una tragedia generatrice
di tragedie e lutti, ma anche come un
evento da assumere con orgoglio, in
nome della scelta compiuta e della
consapevole accettazione di tutte le
conseguenze che essa comportava.
C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati-Boringhieri, 1991
R. Balzani, Ricchezza e povertà, in Introduzione alla storia contemporanea, a cura di P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 1997
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Unità 2 • Totalitarismi e democrazie in conflitto
Verso la Prima prova: saggio breve
Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta
1 Leggi attentamente i seguenti documenti sul comunismo nell’Unione Sovietica e rispondi alle domande. Poi scrivi una
3 Costruisci una mappa concettuale sulla nascita dei regimi dittatoriali in Europa dopo la Prima guerra mondiale
breve trattazione per ciascun documento partendo dalle tue risposte.
(capitolo 7).
Stalin non disse mai molto sulla teoria della pianificazione […]. Non c’è dubbio che l’intero processo fu una colossale
improvvisazione, diretta empiricamente, e troppo spesso secondo capricci dispotici. Tuttavia si possono individuare
alcune semplici ma importanti regole pratiche che guidarono le scelte politiche di Stalin […].
Nel 1921 […] Stalin, manifestando la sua caratteristica diffidenza per i «professori» che mancavano dell’indispensabile
«sano pragmatismo», sollecitava Lenin a mandare alla Commissione per la pianificazione «uomini provenienti dalla
politica viva, pronti ad agire in base al principio della obbedienza alle direttive». Stalin usava il linguaggio di un
comandante della guerra civile e chiaramente confondeva i metodi necessari su un campo di battaglia con quelli
infinitamente più complessi necessari per pianificare lo sviluppo di un’economia nazionale. […]
Il lancio della campagna di industrializzazione alla fine degli anni Venti diede libero sfogo alla fiducia di Stalin e della
sua frazione nel principio della «obbedienza alle direttive» […]. Durante la guerra civile, gli iscritti al partito, benché
uniti e disciplinati, avevano ancora accesso agli organi superiori e alla battaglia politica, mentre durante il piano
quinquennale questo diritto fu cancellato. […] Alla popolazione, al partito e ai dirigenti stessi fu negato il diritto
di analisi e di autoanalisi. Nel mezzo di un’attività febbrile, tutti venivano come bendati, ignari della direzione che
stavano prendendo e dei meccanismi socio-politici che stavano emergendo nella società. […]
Il monopolio sia in campo economico che politico, divenuto più assoluto che mai, rafforzò la già forte tendenza
del sistema a glorificare le proprie pratiche, quali che fossero, e a presentarle come il massimo della saggezza. […]
Indubbiamente, una strategia di industrializzazione che assegnava la priorità al rapido sviluppo dell’industria
pesante con tanta implacabile unilateralità non avrebbe potuto avere successo senza la capacità del sistema politico
di costringere la società a sopportare le pressioni, gli stenti e le irrazionalità che un piano del genere comportava.
[…] Quanto minori erano la complessità e la maturità teorica dei concetti che stavano dietro alla pratica economica,
tanto maggiore era il ricorso alla capacità coercitiva dello Stato.
M. Levin, Economia e politica nella società sovietica, Roma, Editori Riuniti, 1977
1 In quale modo fu organizzato da Stalin il processo di industrializzazione dell’URSS? Quale fu il risultato?
2 Quale fu, invece, il prezzo da pagare per l’affermazione del comunismo?
Era difficile figurarsi cose del genere in anticipo, poiché tutto quello che è accaduto in quei luoghi è troppo inusuale,
troppo inverosimile, e il povero cervello umano non arriva a immaginarsi concretamente la vita laggiù. […] Avevamo
imparato la rassegnazione, avevamo disimparato a stupirci. Non c’erano rimasti né orgoglio, né egoismo, né amor
proprio. E gelosia e passione ci sembravano concetti da marziani, futili per giunta. Era molto più importante imparare
a riabbottonarsi i pantaloni in inverno, con il gelo: cosa tutt’altro che facile. Ho visto uomini adulti piangere per
questo. Capivamo che la morte non era per niente peggiore della vita e non temevamo né l’una né l’altra.
V. Šalamov, I racconti di Kolyma, Torino, Einaudi, 1999
1 A quali luoghi fa riferimento lo scrittore Varlam Šalamov nella sua testimonianza?
2 Per quale ragione «gelosia» e «passione» gli sembravano sentimenti futili?
3 Secondo te, perché la morte non appariva peggiore della vita?
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Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale
4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sull’Italia fascista (capitolo 5),
che potrai poi esporre oralmente.
Fine della Prima guerra mondiale à Contrazione dei consumi
à Crisi dell’industria à Arruolamento dei contadini à Calo della
produzione agricola à Disoccupazione e inflazione
Crisi economica à Crisi sociale
à «Biennio rosso» à Difficoltà dei
governi
Contadini à Occupazione dei latifondi
Chiusura delle fabbriche à Diminuzione dei salari à Scioperi
Nazionalisti à «Vittoria mutilata» à «Impresa di Fiume»
Benito Mussolini à Fasci di combattimento à Avversione al socialismo
à Rappresentanti della borghesia à Squadrismo e violenza sistematica
à Camicie nere à Partito nazionale fascista
Marcia su Roma à Governo Mussolini
Trasformazione delle istituzioni à Gran consiglio del fascismo e Milizia
volontaria per la sicurezza nazionale à «Leggi fascistissime»
à Mussolini capo del Regime
Fine dello Stato liberale di diritto e inizio
della dittatura à Ventennio fascista
Scioglimento dei partiti politici à Partito unico à Identificazione dello
Stato con il Partito à Soppressione libertà di espressione e azione
à Persecuzione oppositori politici à Leggi razziali à Politica antisemita
Patti lateranensi à «Legittimazione» da parte della Chiesa
Sistema corporativo à Camera dei fasci e delle corporazioni à Fine della
democrazia parlamentare
Politica protezionistica à Imposizione dazi e controllo prezzi à Piano di
lavori pubblici à «Battaglia del grano» e «bonifica integrale»
Controllo dell’economia e della vita dei
cittadini
Conquista dell’Etiopia à Embargo internazionale à Autarchia
«Tutto nello Stato, nulla contro lo Stato, niente al di fuori dello Stato»
à Opera nazionale dopolavoro à Opera nazionale balilla
à Indottrinamento politico dei giovani à Controllo del sistema
dell’istruzione (Giovanni Gentile)
Verso la Terza prova: trattazione sintetica di argomenti
Propaganda à Controllo mezzi di comunicazione à Adunate
à Consenso popolare à Culto della personalità di Mussolini
2 Scrivi una breve trattazione (dieci/quindici righe) dei seguenti argomenti.
Istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato e dell’Ovra
à Persecuzione, prigione e confino
Repressione di ogni forma di dissenso
Creazione di reti clandestine à «Fuoriusciti»
Antifascismo
1 La Repubblica di Weimar
4 La Resistenza in Italia
2 L’ascesa al potere di Hitler
5 La caduta del regime fascista in Italia.
3 I caratteri fondamentali del nazismo
6 La Conferenza di Yalta.
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