La finalità dell’Operazione sta già nella parola “Roma”. Il segreto è leggerla alla rovescia: “amoR”. Portare, dunque, l’amore a Roma. E questo non ha nulla a che fare con il buonismo o con la pur lodevole filantropia. Esige preparazione e una vera e propria arte. I fronti sono stati individuati, così come gli strumenti, sorprendentemente in dotazione a tutti i romani, quelli in visita per un giorno o quelli residenti da generazioni. Il campo d’azione non ha confini e nessuno è escluso: credenti e non credenti. Per la Roma che sogniamo, c’è davvero bisogno di tutti. Chiara Lubich ai romani su Romaamor e arte di amare «Il nostro programma – ha affermato Chiara Lubich, parlando nel 2000 alla comunità romana dei Focolari – è rianimare Roma con l’amore. Il programma è scritto nel nome della città: Roma, letta al rovescio, è Amor. Roma, Amor. Quello è il nostro programma: portare l’amore a Roma. Non aspetto altro che vederla veramente cambiata. Immaginate se tutte le persone di Roma fossero come voi che siete qui: tutti accesi, tutti pieni di vita. Ma certo che la cambieremo, cambieremo il mondo. Diceva sant’Agostino: “Se questi e quelli, perché non io?” Se qui siete così, perché non gli altri? Dobbiamo far di tutto per amare gli altri come noi». «Voi dovete agire sui fronti in cui già vi trovate. E vi sembrerà strano: il primo fronte è la famiglia, il secondo è il quartiere, il terzo punto è l’università o l’ambiente di lavoro, e ancora la parrocchia. Questi sono gli ambienti da dove iniziare». «Il primo ambito è la famiglia, il primo dovere è la famiglia. È lì che tu devi dare l’esempio per trasformare la tua famiglia in una Chiesa domestica, in una piccola Chiesa, in una ecclesiola. Perché bisogna partire sempre da sé stessi, per arrivare agli altri, al mondo, alle strutture. Santifico me stesso, santifico la mia famiglia». «La parrocchia è la Chiesa in piccolo, la parrocchia è un’espressione di Chiesa, anche se non l’unica. Io vedo il Movimento parrocchiale importantissimo nell’impegno verso la città. Perciò direi: noi cosa stiamo a fare col nostro Movimento parrocchiale se non cercare di ravvivare proprio la parrocchia?». «La prima cosa da fare è diffondere dappertutto l’amore con l’arte di amare. È una piccola arte, da cui però bisogna partire: bisogna amare tutti, amare per primi, amare concretamente, farsi uno, bisogna amare anche il nemico». «Vorrei che, attraverso l’esempio e la parola, fosse comunicato a tanti il ‘saper amare’ perché, come dice Chateaubriend: “Amare è bene; saper amare è tutto”». «Sì, ‘saper amare’, perché l’amore cristiano è un’arte e occorre conoscere quest’arte. Ha detto Erich Fromm, un grande psicologo del nostro tempo: “La nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare”». «La vera arte di amare emerge tutta dal Vangelo di Cristo. È essa il primo imprescindibile passo, che possiamo compiere, per poter scatenare quella rivoluzione pacifica, ma così incisiva e radicale che cambia ogni cosa; è il segreto di quella rivoluzione d’amore che ha permesso ai primi cristiani di invadere il mondo allora conosciuto. È un’arte impegnativa, con forti esigenze». «È un’arte che vuole si superi il ristretto orizzonte dell’amore semplicemente naturale diretto spesso quasi unicamente alla famiglia e agli amici. Quest’amore va indirizzato a tutti: al simpatico e all’antipatico, al bello e al brutto, a quello della mia patria e allo straniero, della mia e di un’altra religione, della mia e di un’altra cultura, amico o nemico che sia. Occorre amare tutti come fa il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi». «È un amore che ti spinge ad amare per primo, sempre, senza attendere d’essere amato: come ha fatto Gesù il quale, quando eravamo ancora peccatori e quindi non amanti, ha dato la vita per noi. Ed è un amore che considera l’altro come se stesso, che vede nell’altro un altro se stesso. Diceva Gandhi: “Tu ed io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi”». «Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto. Esige che ci si faccia uno con gli altri, che ‘si viva’ in certo modo ‘l’altro’ nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, per capirlo, per poterlo aiutare efficacemente. Farsi uno. Non si ama senza farsi uno, senza entrare nell’altro». «Quest’arte vuole che si ami Gesù nella persona amata. Anche se diretto all’uomo, alla donna, egli, infatti, ritiene fatto a sé quanto di bene e di male si fa loro. Lo ha detto e ripetuto, parlando della grandiosa scena del giudizio: “L’hai fatto a me”». «Infine, quest’arte di amare vissuta da più persone porta all’amore reciproco: in famiglia, sul lavoro, nei gruppi, nel sociale; amore vicendevole, perla del vangelo, “comandamento nuovo” di Cristo, che costruisce l’unità». «Con l’arte di amare vissuta bene non è che tutto finisca lì. L’amore che tiri fuori da te poi ti ritorna, e quindi viene fuori la realtà dell’amore reciproco, viene fuori anche la presenza di Gesù in mezzo a noi». «Gesù vi suggerirà cosa dovete fare. Alle volte uno dirà: metti su quest’azione caritativa o metti su quest’altra azione sociale, e voi la mettete su e questo getta fuoco su Roma. Oppure vi dirà: guarda, quello lì non è cattolico, inizia il dialogo. Quello magari non crede: e anche lui serve, tutti servono per il regno di Dio. Oppure già vedete che questa vita è incominciata in qualche piccola azienda: allora, avanti con l’Economia di comunione. C’è quel politico interessato: avanti con il Movimento politico per l’unità. Ecco: partire dall’amore, dall’arte di amare, dall’amore reciproco e si arriva a ‘ricostruire’ Roma. Questo bisogna fare». «Se noi riusciamo a contaminare d’amore tutti i romani, anche le strutture si cambiano». «Io ho visto che a Roma le strutture ci sono, strutture della Chiesa e strutture civili. Ciò che manca non sono le strutture, è l’anima, è l’amore». «Gli strumenti che dobbiamo usare, sapete quali sono? Noi, noi, il mio cuore, la mia mente. Adesso voi vivete a Roma con la vostra arma, con il vostro strumento per portare davvero la rivoluzione. Cos’è questo strumento? Voi! Voi! Con la grazia di Dio dentro di voi, col lasciar vivere Dio in voi attraverso l’amore. Se si ama, Cristo vive. E poi scoprirlo negli altri, tirarlo fuori, ‘mettere’ Gesù in mezzo e lasciare che lui poi faccia la rivoluzione attraverso altri, altri, altri, altri, finché Roma sarà incendiata». «L’Ideale evangelico è esigente, chiede tutto, ma bisogna saper mettere un po’ di ordine. Ti dice: cambia la tua famiglia e fanne una Chiesa domestica. Poi, ti suggerisce: porta questo amore anche ai tuoi amici; non puoi mica perdere il contatto con loro, devi continuare, anzi portarlo su un piano soprannaturale. Occorre che noi andiamo avanti e lavoriamo sempre meglio, assumendo responsabilità, in modo da incidere anche sulle strutture e cambiarle». «Bisogna sapere una cosa: Gesù è pienamente anche uomo. Ora noi vogliamo esaltare sia l’umanità di Gesù, sia la sua divinità. Ora quelle persone ci aiutano moltissimo a mettere in luce una parte di Gesù, che non sempre si mette, l’aspetto umano, i valori umani: la pace, l’unità, i diritti umani, la libertà. Tutte cose che costituiscono il loro patrimonio. E vorrei dire: proprio perché non hanno quelli divini, essi sottolineano questi, quindi ci aiutano ad amare Gesù e come uomo e come Dio».