Valeria Forconi Alla ricerca della memoria di Daniel L. Schacter “Noi siamo il nostro passato” Il filosofo Henry Bergson riteneva che l'identità personale si fondasse sul recupero del proprio passato, attraverso l'attivazione dei meccanismi della memoria. Molti letterati,filosofi, artisti e scienziati convengono nel ritenere inconcusso e incontrovertibile l'importanza del ricordo nella ricostruzione della storia collettiva, nella formazione dell'identità di un popolo o individuale e in risposta alle difficili leggi della selezione naturale. Dal concetto di memoria come ponte tra presente e passato partono le riflessioni di Daniel L. Schacter nel libro “Alla ricerca della memoria”. Qual è il nesso tra realtà e ricordo? Il soggetto può essere influenzato dall'ambiente esterno nella sua attività di rievocazione?I Flash poggiano su una base soggettiva o oggettiva del ricordo? Cosa avviene in soggetti affetti da amnesia? Lo psicologo Schacter nel suo libro cerca di trovare le possibili risposte alle suddette domande, ricostruendo il percorso storico relativo alle ricerche scientifiche e filosofiche in merito alla formazione di un ricordo e analizzando i diversi casi clinici affetti da distorsioni e alterazioni della memoria, superando le polemiche che emergono lì dove gli studi non riescono a formulare risposte scientificamente valide. Vent'anni fa i cognitivisti per spiegare la funzione della memoria si servivano della similitudine con il computer: paragonavano i ricordi a dei fili che venivano immagazzinati dalla mente e che una volta catturi venivano recuperati all'occorrenza. La loro teoria non prevedeva l'esperienza soggettiva del ricordo. Mentre da tempo artisti e letterati avevano considerato la grande importanza dell'esperienza soggettiva nei processi di memorizzazione di un evento. Per un artista un quadro non può essere solo una statica riproduzione volta a rappresentare i dettagli e i particolari della reale esperienza personale; scrive a riguardo Matthew Stadler in Landscape : Memory : “Se il mio ricordo doveva essere una replica esatta del mio ricordo originale, se la cose stavano veramente in quei termini,il mio quadro era di una imprecisione senza speranza. Raffigurava malamente un ricordo confuso. Ma ho preferito pensare che il ricordo non è mai congelato, né dovrebbe esserlo. Il mio quadro era una resa ben riuscita del ricordo dinamico che aveva semplicemente preso le mosse dall'episodio iniziale.” Si può tracciare un parallelismo con uno dei maggiori esponenti della corrente artistica del romanticismo,Caspar David Friedrich. Egli non fissava immediatamente su tela il soggetto osservato dal vero, perché“il pittore non deve dipingere ciò che vede davanti a sé, ma ciò che vede in sè”. Per Friedrich il dipinto non doveva essere una copia fedele della realtà, bensì un'espressione artistica da cui trasparisse la riflessione sul senso delle cose osservate e filtrate attraverso la propria interiorità. L'artista, pertanto, non dipingeva “en plein air”, ma lavorava in un ambiente completamente spoglio, perché egli riteneva che gli oggetti esteriori disturbassero il mondo delle immagini interiori. Il ricordo permette a Friedrich di recuperare l'immaggine e di trasferirla sul dipinto carica delle emozioni e sensazioni che la visione del soggetto reale provocò in lui. L'artista romantico inserendo nelle sue opere temi come l'esperienza soggettiva del ricordo e il condizionamento dell'esperienza rievocativa anticipa quelle che saranno le scoperte rivoluzionarie del '900 in merito allo studio della memoria. L'uomo che contempla il mare di nebbia-1818 di Caspar David Friedrich(1774-1840) Lo psicologo Edward Tulving fu il primo ad apportare dei cambiamenti significativi sullo studio della memoria: egli affiancò alla memoria semantica (che contiene la conoscenza concettuale) e alla memoria procedurale (che consente di acquisire abitudini e apprendere abilità) la memoria episodica, ovvero quella analisi che permette di rievocare un'informazione basandosi sull'esperienza soggettiva dell'individuo che ricorda, il ricordante. Il ricordante nel recuperare l'informazione collocandola nel contesto di un determinato tempo e luogo e facendo riferimento a se stesso, la trasforma in ricordo. Si evince un'idea di ricordo come “viaggio mentale nel tempo”, che permette a colui che compie l'azione rievocativa di superare i vincoli di tempo e spazio. Per capire meglio l'importanza del ruolo che gioca l'esperienza soggettiva nel recupero di un'informazione è necessario fare riferimento al modo in cui ci si dispone nel rievocare un ricordo nel presente. Questo concetto era già presente nella volontà di Friedrich di lavorare in un ambiente completamente spoglio da qualsiasi oggetto che potesse interferire con il recupero e la traduzione su tela delle immagini interiori. Georgia Nigro e Ulric Neisser furono i primi a compiere un'indagine rilevante in merito al condizionamento dell'esperienza rievocativa; essi partirono dalla distinzione effettuata da Freud tra ricordi di campo ( rivivere l'evento con i nostri occhi, inserendoci nel vivo dell'azione) e ricordi dell'osservatore (osservare il compiersi dell'azione dall'esterno) per giungere alla conclusione che “si contribuisce a dipingere il quadro di un evento proprio mentre lo si ricorda”. La loro tesi fu convalidata dall'osservare che se ci viene chiesto di ricordare le circostanze oggettive, probabilmente vivremo un ricordo di osservatore, mentre se ci viene richiesto di concentrarci sulle sensazioni ed emozioni provate, vivremo un ricordo di campo. A rafforzare l'importanza del ruolo che svolge il senso soggettivo nel ricordo è l'esperienza visiva: spesso per ricordare è necessario rievocare un'informazione visiva dell'ambiente o del contesto in cui si è svolta l'episodio. Spesso dal grado di partecipazione con cui ricordiamo un evento passato dipende la nostra capacità di distinguere ciò che “ricordiamo” da ciò che “sappiamo” che sia soltanto avvenuto. Ancora una volta troviamo la forte corrispondenza tra quanto accade nel presente e quanto è avvenuto nel passato nella sensazione di ricordare. L'ossessione per il passato di Proust e la sua convinzione che la verità dell'esperienza umana possa essere colta soltanto in seguito ad un'attenta e profonda cognizione della memoria si riflettono su i suoi scritti che ci immettono nel vivo delle contemporanee discussioni e ricerche che più stanno interessando il capo relativo allo studio della memoria. “E tutt'a un tratto il ricordo è apparso davanti a me. Il sapore, era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray, quando andavo a dirle buongiorno nella sua camera da letto, la zia Lèonie mi offriva dopo averlo infuso di tè o di tiglio”. “Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore ed il sapore permangono a lungo,come anime, a ricordare,ad attendere, a sapere, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare_ loro goccioline quasi impalpabili – l'immenso edificio del ricordo” Attraverso le madeleine Proust introduce due temi di rilievo e anticipa la ricerca scientifica. Se le madeleine da un lato ci mostrano la fragilità di questi ricordi, che hanno poche occasioni di affiorare, dall'altro ci rivelano la sbalorditiva capacità umana di rievocare momenti del passato, che sembravano svaniti nel complesso sistema della nostra mente, dall'incontro fortuito con alcuni oggetti, odori, sapori o suoni. L'aspetto soggettivo dell'esperienza del ricordo e la capacità del viaggio mentale nel tempo sono prerogative umane. Tuttavia i cognitivisti controbattono questa tesi sostenendo una forte analogia tra memoria umana e memoria del computer. Daniel Dennet ritiene che se i fenomeni della coscienza umana vengono spiegati attraverso le connessioni regolabili del cervello, ne potrebbe conseguire che un computer ben programmato avrebbe un sé, una propria coscienza. Turing si distacca dalla posizione di Dennet chiedendosi quali siano le prove che possano avallare la tesi per cui a qualunque atto di memoria consegue l'esperienza conscia del ricordo. Mentre il neurobiologo Gerald Edelman controbatte a Dennet che l'esperienza umana “non può essere adeguatamente rappresentata dal linguaggio impoverito della scienza informatica”. Ci si potrebbe chiedere quali siano i processi basilari che rendono possibile il ricordo nell'esperienza umana? Ciò che una persona vede, osserva, avverte o pensa viene trasformato in ricordo mediante un processo chiamato codifica. Per permettere ad un ricordo di divenire durevole è necessario innescare i meccanismi di quel processo che in psicologia è conosciuto come profondità di elaborazione e che prevede di codificare l'informazione in entrata attraverso associazioni con informazioni già presenti nella memoria. Naturalmente nell'esperienza quotidiana non compiamo continuamente atti volontari di codifica, ma ci affidiamo ad una naturale selezione; ciò non implica un totale abbandono della profondità di elaborazione, senza la quale i nostri ricordi sarebbero poveri e superficiali. Ne consegue che ciò che ricordiamo essendo dipendente dalla codifica che ne viene fatta è indubbiamente influenzato dalle conoscenze già immagazzinate dalla memoria a lungo termine; pertanto il ricordo può essere considerato come risonanza di ciò che siamo, di ciò di cui abbiamo bisogno, delle nostre conoscenze. Al processo di codifica segue quello di ecforia,ovvero il sistema di attivazione o recupero di un ricordo. L'ecforia , termine coniato da Richard Semon insieme a quelle di engramma, pone l'accento su una nuova questione che interessa lo studio della memoria. Molti credevano che la forza delle associazioni che scaturiscono dalla codifica delle informazioni captate dal mondo esterno fosse determinante nel processo di memorizzazione. L'aspetto innovativo sta nel conferire la dovuta importanza allo stimolo ecforico (l'indizio che attiva la rievocazione) e le modalità di connessione con l'engramma . L'engramma ,o traccia mnestica , è la registrazione cerebrale dell'evento, che avviene dalle connessioni tra le diverse aree del cervello (dedite alla vista, all'ascolto, all'agire...). Questi engrammi sono inattivi e soltanto un indizio ha la capacità di attivare le connessioni che possono contribuire alla rievocazione di un ricordo; dunque se non ci si imbatte nell'indizio decisivo l'esperienza non verrà rievocata. Le medeleine non erano altro che gli indizi che permettevano al protagonista del romanzo di Proust di riafferrare il passato. Nel libro “Alla ricerca della memoria” Schacter avanza una tesi alternativa al rapporto engramma-indizio: egli ritiene che l'indizio si combina con l'engramma al momento della rievocazione. Sarebbe riduttivo, secondo lo psicologo considerare l'esperienza del ricordante soltanto in base ai frammenti precedentemente immagazzinati, come Proust, Schacter ritiene che i ricordi siano il risultato del confronto fra le sensazioni attuali e quelle provate nel momento della codifica. Cosa avviene ai ricordi con il passare del tempo?Quando l'intervallo tra la codifica e il recupero cresce le persone tendono a dimenticare le esperienze passate,cioè non vuol dire che gli engrammi svaniscono con il tempo. Alcuni psicologi e neurobiologi hanno rilevato una maggiore resistenza all'oblio di alcuni engrammi con il passare del tempo: si tratta del consolidamento mnestico. Il sonno per Jonathan Winson può essere considerato un tipo di consolidamento: durante la fase REM il cervello, non essendo soggetto a continui stimoli esterni, ripercorre tutte le esperienze del giorno, soffermandosi su quelle che hanno detestato in noi più interesse. Studi e ricerche non sono ancora riusciti a ricomporre il complesso e delicato puzzle della memoria, sebbene siano state apportate novità rilevanti, talvolta rivoluzionarie. Questo è stato possibile grazie all'invenzione di nuove macchine di visualizzazione come la PET (tomografia a emissione di positroni), che ha permesso di visualizzare il cervello in azione mentre ricorda. Attraverso l'osservazione del flusso ematico si possono cogliere le zone cerebrali interessate nelle diverse attività che concorrono nella formazione di un'esperienza rievocativa. Queste nuove tecniche e gli studi più recenti che hanno visto la collaborazione di psicologi, clinici,neurologi e psichiatri hanno tracciato una linea di divisione con quelle che erano le vecchie teorie relative alla memoria. Contrariamente a quanto si pensava nessuna area cerebrale è dedicata ad un particolare tipo di memoria, né quest'ultima è un'unitaria facoltà della mente. Nel cervello tutte le regioni sono coinvolte dall'azione del ricordante, attraverso l'interazione e modulazione di sistemi e circuiti diversi disseminati in ampie zone della corteccia. Lo schema esprime come tutte le varie regioni del cervello concorrono all'esperienza rievocativa del ricordante e ne sintetizza i processi che la caratterizzano. La corteccia cerebrale si divide in quattro lobi. I lobi frontali partecipano ad importanti processi, quali il recupero delle informazioni di origine e la codifica elaborativa; all'interno dei lobi parietali,occipitali e temporali avviene l'immagazzinamento dei ricordi a lungo termine. Queste aree della corteccia collaborano con le strutture della sezione interna del cervello come l'ippocampo, che consente di ricordare le esperienze in corso e il consolidamento mnestico. VALERIA FORCONI