La Biennale di Venezia 53. Festival Internazionale di Musica

La Biennale di Venezia
53. Festival Internazionale di Musica Contemporanea
Il Corpo del Suono
Direttore Luca Francesconi
Venezia, 25 settembre > 3 ottobre 2009
in collaborazione con
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Venerdì 25 settembre > 3 ottobre
Foyer del Teatro alle Tese
performance
SUGURU GOTO
RoboticMusic
per 5 percussionisti robot
in collaborazione con IRCAM Parigi
Un viaggio ai confini del suono con un’intera orchestra di musicisti androidi che rispondono a un direttore
virtuale con sensibilità umana. È futuro prossimo, tra fantascienza e realtà, verso cui si indirizza la ricerca
musicale di Suguru Goto (1966), esponente di punta della nuova generazione giapponese di artisti
sperimentali e di una cultura che ha dato un contributo importante al mondo della robotica, forgiato nell’area
colta della musica contemporanea, tra Stati Uniti, Giappone e Germania, attualmente residente a Parigi e
membro di un gruppo di ricerca dell’Ircam.
Se l’idea di ensemble automatizzati, azionabili semplicemente premendo un bottone, ha sempre affascinato
la mente umana - si pensi agli intonarumori del futurista Luigi Russolo o al Man and Machine Ensemble del
compositore belga Goldfried-Willem Raes - con l’avvento dell’elettronica prima e della cibernetica oggi, tutto
quello che era invenzione immaginata dalla fantascienza diventa realtà concreta. Un nuovo universo si
dischiude rivoluzionando il rapporto uomo macchina, spostando costantemente il limite tra umano e non
umano. È l’universo prodigioso e tecnologico di Suguru Goto, inventore di dispositivi che trasformano ogni
impulso in azione sonora, musicale e visiva: come gli strumenti virtuali, con interfacce che determinano il
rapporto tra gesto umano e computer, generando e trasformando suoni e immagini in tempo reale; o come il
Bodysuite, tuta per musicisti-danzatori che attraverso un sistema di sensori interagisce tra movimento del
corpo, audio generato e immagini; o come i musicisti robot che suonano strumenti acustici con gestualità
umana con l’ausilio di un computer.
RoboticMusic, la performance proposta in apertura di Festival, coinvolge 5 percussionisti robot capaci di
“ampliare - dice Suguru Goto - le possibilità di una intera orchestra di percussioni”. Più veloci, precisi,
resistenti, capaci di ripetere lo stesso gesto con la stessa forza per un tempo infinito, i musicisti robot
superano il limite fisico e le possibilità esecutive dell’uomo: possono suonare ritmi complessi, affrontare
partiture “impossibili”, allargare le possibilità compositive con gli strumenti acustici, in una parola farci
conoscere musica che non avevamo mai sentito prima.
Anche sul piano della ricerca la roboticmusic offre possibilità diverse, per esempio di studiare e conoscere i
movimenti complessi di un gesto umano: “il musicista sa come suonare uno strumento - spiega Suguru Goto
- ma trova maggior difficoltà a spiegare esattamente come controlla ogni parte dei suoi muscoli e in che
misura aumenta o riduce istintivamente la velocità e l’intensità in un solo istante”. E se in futuro, oltre a
controllare i movimenti del corpo, si tratterà di costruire un computer che abbia le capacità emozionali e
intuitive dell’uomo, si potrà cominciare a capire anche la complessità del cervello umano.
Suguru Goto (Tokio, 1966) - Dopo aver studiato composizione e pianoforte in Giappone, si è trasferito negli
Stati Uniti per continuare i suoi studi al New England Conservatory di Boston. Ha studiato composizione con
Lukas Foss e Earle Brown negli Stati Uniti; con Robert Cogan al New England Conservatory e con Tristan
Murail all’Ircam di Parigi. Noto a livello internazionale, ha ricevuto numerosi premi e borse di studio, fra cui:
Koussevitzky Prize, Boston Symphony Orchestra Fellowship, First Prize - Marzena International Competition
(Seattle. Usa), IMC International Rostrum of Composers dell’UNESCO (Parigi). I suoi lavori sono stati
presentati nei maggiori festival, come Resonaces/IRCAM, Sonar, CICV-Les Nuits Savoureuses, ICC,
Electrofolie, Haus der Kultures der Welt – Haimat Kunst, ISEA 2002, NIME 2004-2005-2006, OlharesOutono, Ressonancias, Audiovisionen, Utopiales Festival, AV Festival, Mixed Media Festival. Nel 1995 la
sua prima opera NADA (Media Opera) è stata messa in scena allo Shaauspielhaus di Berlino. Nello stesso
anno, si è trasferito a Parigi per realizzare un progetto all’IRCAM. Nel 1996, il suo VirtualAERI ha debuttato
in prima assoluta all’Espace de projection dell’IRCAM. Nel 2003 un suo concerto è stato presentato al
Centre Pompidou a Parigi. Tre anni dopo RoboticMusic è stato commissionato dal Festival AV di Newcastle
(Gran Bretagna), dedicato all’arte elettronica, immagini in movimento e musica. Svolge la sua attività di
ricerca nel gruppo “Gestural Controller” dell’IRCAM di Parigi dal 1995; recentemente sta lavorando sugli
strumenti a fiato robotizzati con Artificial Mouth sempre all’IRCAM. Fra i suoi primi lavori, ricordiamo: Gen-Ei
per flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, trombone, tuba, percussioni, arpa, pianoforte, violino,
viola, violoncello, contrabbasso (1989, Tanglewood Music Center, Lenox); Kinesta per flauto, clarinetto,
percussioni, pianoforte, violino, violoncello (1990, Jordan Hall, Boston); Trio per flauto, violino, pianoforte
(1993, Hokutopia, Tokyo); Five Subjects for Time per tromba e pianoforte (1994, BKA, Berlino); Rime
Resonance per arpa, percussioni, pianoforte, celesta, violini, viola, violoncello, contrabbasso (1989-1990,
Aspen Music Festival, Colorado).
venerdì 25 settembre ore 17.00
Teatro alle Tese
Beste / Varèse / Antheil / Kourliandski
 Ansgar Beste Danse canonique 2 per 15 archi preparati (ver. 2009, 10’) prima es. ass.
(commissione La Biennale di Venezia)
 Edgar Varèse Integrales per percussioni e piccola orchestra (1925, 10')
 Edgar Varèse Hyperprism per percussioni e piccola orchestra (1923, 3')
 Georges Antheil Ballet mécanique per 4 pianoforti mezza coda amplificati, 4 xilofoni, 2 campane
elettriche, timpani, glockenspiel, 2 motori aerei, 10 percussioni (ver. 1953, 16’)
 Dmitri Kourliandski Emergency Survival Guide per automobile e orchestra (2009, 10-15’) prima es.
ass. (commissione La Biennale di Venezia)
direttore Maurizio Dini Ciacci
in collaborazione con Porsche Italia
con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento
Orchestra J Futura
Edgard Varèse e Georges Antheil, Dmitri Kourliandski e Ansgar Beste: dai pionieri della più radicale
liberazione del suono, quelli che negli anni venti del ‘900 hanno abbattuto tutte le barriere percorrendo
territori totalmente inesplorati, alle propaggini contemporanee in cui queste premesse sono germinate. Il
panorama sonoro inizia ad allargarsi nei primi anni del “secolo breve”, quando con un gesto eclatante e
provocatorio l’americano di origini tedesche Georges Antheil (1900-1959) compose Ballet mécanique - era
il 1924 – per 16 tastiere meccaniche sincronizzate, 2 pianoforti con pianisti dal vivo, percussioni (3 xilofoni, 4
grancasse, 1 gong, incudini), 3 eliche d’aeroplano di dimensione e materiali diversi, 7 campane elettriche,
clacson. La prima esecuzione, avvenuta a Parigi nel 1926 e passata agli annali della cronaca, fu accolta fra
ondate di entusiasmo e di aperto dissenso, con uno spettatore che – leggenda vuole - aprì l’ombrello
fingendo di proteggersi dal diluvio di suoni; alla Carnegie Hall di New York, l’anno successivo, l’esecuzione
registrò un clamoroso insuccesso.
Nato in pieno clima dadaista come colonna sonora dell’omonimo film del pittore Fernand Léger e del
cineasta Dudley Murphy, le due opere ebbero destini separati almeno fino ai nostri giorni. D’altronde la
musica di Ballet mécanique fu eseguita nella sua concezione originaria soltanto alle soglie del 2000 e
grazie alle nuove tecnologie. Accanto a questa versione, Antheil fece infatti una revisione per la prima
esecuzione parigina, cui seguì un’altra revisione nel ’53, ancora oggi la più conosciuta ed eseguita.
Se le incomprensioni e le difficoltà di esecuzione di un pezzo che proietta la musica nel futuro porteranno
Antheil a rinunciare alla ricerca, Edgar Varèse (1885-1965), a chi gli rimproverava di comporre musica
troppo in anticipo sui tempi, rispondeva: “Non è troppo presto, ma forse troppo tardi”. E con passione
ostinata il compositore franco-americano, abbandonata l’Europa per l’America, non cesserà di sperimentare,
influenzando negli anni a venire schiere di autori proprio nel vecchio continente, trovando incondizionati
ammiratori fino ai nostri giorni, dai darmstadtiani a Frank Zappa, tutti appassionati che nel suo pensiero e
nella sua opera riconoscono l’esperienza più avanzata sul suono.
Quasi tutti i caposaldi del conciso catalogo di Varèse percorrono il Festival come un filo sotterraneo,
innescando connessioni, sollecitando confronti che moltiplicano i significati delle opere presentate in
programma. Hyperprism e Integrales, i primi titoli proposti in concerto, sono brani in cui si precisa l’estetica
di Varèse: il compositore azzera tutti i parametri e gli elementi organizzativi della costruzione musicale
occidentale, inizia a capovolgere i rapporti tra gli strumenti nell’orchestra privilegiando fiati e percussioni,
dando vita a una inedita coloritura orchestrale. La prima esecuzione di Hyperprism, basata sull’idea di
scomporre i suoni come il prisma con i colori, isolandone i singoli componenti come frequenze, durate,
intensità, fu un grandissimo scandalo, ma segnò anche l’ingresso in un universo musicale totalmente nuovo.
A incorniciare i brani storici di Antheil e Varèse, di cui rappresentano la radicalizzazione estrema, sono
Danse canonique 2 dello svedese Ansgar Beste (1981), presentato in prima italiana con l’inconsueto
organico di 15 archi preparati, e Emergency Survival Guide del russo Dmitri Kourliandski (1976),
composto su commissione della Biennale di Venezia, con un effettivo altrettanto insolito, costituito da
automobile e orchestra.
Esponente di una generazione considerata erede del costruttivismo russo degli anni ’20 e caratterizzata da
una vena di “catastrofismo tecnologico”, Kourliandski pensa i musicisti e i loro strumenti come parti di un
oggetto monolitico, e spesso suonano “tutti” dall’inizio alla fine, come un unico meccanismo. Nella “musica
oggettiva” di Kourliandski non c’è evoluzione o azione, ma la creazione di un meccanismo azionato
premendo un pulsante. E gli ascoltatori sono invitati a osservare il funzionamento del pezzo. “Quando
mettiamo un oggetto in una situazione insolita, perde la sua funzione usuale e ne acquisisce una nuova – la
situazione lo annulla, l’oggetto non è più lo stesso – scrive Kourliandski nelle note di presentazione di
Emergency Survival Guide. Un oggetto trasferito dal mondo materiale allo spazio artistico diventa
un’immagine, da vedere o da ascoltare: esattamente come la pipa di Magritte non è assolutamente una pipa.
È impossibile oltrepassare i confini dell’arte. Anche in automobile… Seguendo l’esempio della pipa di
Magritte, la composizione potrebbe intitolarsi anche “Non è un’automobile”.
L’idea principale che sottende invece Danse canonique 2 - scrive Beste - “è uno sviluppo timbrico in sei
‘movimenti’ che vanno dalla preparazione di un suono secco e percussivo a quella di un suono rafforzato e
distorto. Questo effetto è ottenuto con sei diverse tecniche strumentali: pizzicando gli oggetti utilizzati per la
preparazione oppure le corde, percuotendo le corde con il crine oppure con il legno dell’archetto, strisciando
le corde con un pettine di plastica oppure con l’archetto normale. Il pezzo è ritmicamente strutturato secondo
un modo contrappuntistico canonico. Il primo canone (movimenti 1 e 2) appare come una danza
moderatamente tesa di attacchi pizzicati e tintinnanti, il secondo (movimenti 3 e 4) conduce a un misterioso
anticlimax (nel mezzo) e il terzo e ultimo canone (movimenti 5 e 6) crea un lungo crescendo fino a un
estatico culmine finale”.
Interprete di questo concerto è la giovanissima e dinamica Orchestra J Futura. Fondata nell’agosto 2006
per volontà dell’imprenditrice trentina Paola Stelzer e di Maurizio Dini Ciacci che ne diviene il Direttore
Artistico, l’Orchestra, formata da giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, si configura come un
complesso dotato di grande versatilità stilistica ed esecutiva, testimoniata da un’attività fra cui spiccano: i
“Concerti sacri” nel Duomo di Verona, l’Opera di F. Poulenc La voix humaine presso il Teatro Donizetti di
Bergamo e il Teatro Malibran di Venezia in collaborazione con la Fondazione Teatro la Fenice, una serie di
concerti in Austria, la partecipazione ai Festival di Barga e della Wallonie (Belgio). Tutti i progetti che
l’orchestra realizza sono preceduti da una fase preparatoria svolta da qualificati docenti di sezione. Maurizio
Dini Ciacci, in veste di Direttore Artistico dell’Orchestra, trasferisce al complesso l’esperienza di musicista
acquisita lungo una carriera che si svolge fra l’Italia e l’estero.
Ansgar Beste (Malmö, 1981) - Nato in Svezia, Ansgar Beste ha vissuto in Germania dal 1990 al 2007, dove
ha studiato all’Accademia musicale di Weimar dal 2002 al 2007, seguendo cinque corsi diversi:
“kappellmeister”, composizione con Michael Obst, pianoforte, teoria musicale e management delle arti. Tra il
2007 e il 2009 ha frequentato il master in composizione all’Accademia di musica di Malmö, in Svezia, con
Luca Francesconi. Grazie alla sua formazione internazionale, Ansgar Beste ha potuto seguire
l’insegnamento di direttori come Jorma Panula, Howard Arman, Sylvain Cambreling e di compositori come
Helmut Lachenmann, Brian Ferneyhough e Wolfgang Rihm. La sua musica è stata eseguita, tra gli altri, da
Garth Knox, Shizuyo Oka/Asa Akenberg (Ensemble Recherche), Musica Vitae e Swedish Wind Ensemble.
Dmitri Kourliandski (Mosca, 1976) - Diplomatosi al Conservatorio di Mosca, ha completato i suoi studi sotto
la guida di Leonid Bobylev. Ha frequentato masterclass di molti compositori, sia russi che stranieri. Nel 2003
ha vinto il Gran Prix dell’International Gaudeamus Competition nei Paesi Bassi. Sono numerose le occasioni
in cui sono state eseguite sue opere: dai Festival di Berlino e Dresda a quelli di Schleswig-Holstein e
Varsavia, da Musica Nova in Finlandia a Aspekte Festival in Austria. Ha lavorato con direttori quali Vladimir
Fedoseev, Vladimir Ziva, Teodor Currentzis, Reinbert de Leeuw, Zsolt Nagy. Le sue composizioni sono state
interpretate da orchestre ed ensemble di musica contemporanea come KlangForum Wien, Asko e
Schoenberg ensemble, Aleph, Slagwerkgroep den Haag, Champ d'action. Fondatore e direttore della rivista
“Tribuna Sovremennoi Muzyki”, prima pubblicazione in Russia dedicata alla musica contemporanea, è
cofondatore dell’associazione di compositori Structural Resistance (StRes) nonché membro dell’Unione
Russa dei Compositori.
venerdì 25 settembre ore 20.00
Teatro La Fenice
Rihm / Rehnqvist / Ligeti / Varèse
 Wolfgang Rihm Form / Zwei Formen (Hommage à Edgar Varèse) per ensemble (1993–1994, 9’)
 Karin Rehnqvist Solsången (Sun Song) per voce femminile, 2 voci recitanti e orchestra (1994, 29’)
prima es. it.
 György Ligeti Lontano per grande orchestra (1967, 10’)
 Edgar Varèse Arcana per orchestra (1927, 18’)
voce Lena Willemark
direttore Joana Carneiro
Orchestra Sinfonica del Teatro La Fenice
È la trentaduenne portoghese Joana Carneiro, una delle più brillanti direttrici d’orchestra attualmente sulle
scene, a dirigere la prestigiosa Orchestra del Teatro La Fenice nel concerto inaugurale del 53. Festival
Internazionale di Musica Contemporanea. Fresca di nomina alla direzione musicale della Berkeley
Symphony Orchestra dove è succeduta a Kent Nagano, già direttore assistente con Esa-Pekka Salonen alla
Los Angeles Philharmonic e direttore ospite principale della Gulbenkian Orchestra, Joana Carneiro impagina
un programma che spazia da Wolfgang Rihm e Karin Rehnqvist, rispettivamente presenti con Form/Zwei
Formen e Solsången, quest’ultimo in prima italiana, a Ligeti e Varèse, con brani celebri come Lontano e
Arcana, che illuminano la loro tecnica e il loro pensiero musicale.
Se i concerti del pomeriggio affiancano compositori che, con diverse sfumature linguistiche, operano sul
suono inteso come materia, il concerto inaugurale, attraverso la figura di una delle massime compositrici
scandinave, Karin Rehnqvist (1957), mette in luce un’altra prospettiva del Festival: la forza primordiale
della musica, che nasce con il corpo e nel legame con la terra. Esplorando con assoluta originalità l’area tra
musica d’arte e musica etnica, Karin Rehnqvist ha soprattutto approfondito la straordinaria tecnica vocale del
kulning, legata al mondo femminile, al modo delle donne di riunire le greggi sparse con richiami acutissimi:
“una tecnica che possiede una potenza drammatica assolutamente fisica, che chiama in causa tutto il corpo,
espressa con una qualità di voce e una forza dirette, paragonabili a quelle di una tromba” (K. Rehnqvist). Il
brano in concerto, Solsången, ovvero Sun Song, costruito attorno a testi poetici e scientifici antichi e recenti,
anche di tradizione orale, è stato composto per la cantante folk-jazz, Lena Willemark, nota in tutta Europa
per i suoi dischi, e che qui presta la sua prodigiosa voce. Con Sun Song la Rehnqvist crea la magia di una
musica, come ha scritto Guy Rickards su “Gramophone”, insieme “radicalmente nuova e antichssima”.
Form/Zwei Formen di Wolfgang Rihm (1952), autore tra i più eseguiti e richiesti in patria e all’estero,
riallaccia sottili intrecci con l’universo varèsiano. “Scritta per due flauti, due clarinetti bassi, due corni, due
trombe, tre tromboni, basso tuba, tuba contrabbasso, cinque percussioni e contrabbasso solista, Form/Zwei
Formen riprende, solo con qualche piccola modifica, - scrive Andrea Zietzschmann - l’effettivo di Déserts di
Edgard Varèse. Wolfgang Rihm ha rinunciato al pianoforte e al nastro magnetico che sostituisce con un
contrabbasso a cinque corde e ha ridotto la percussione alla famiglia dei metalli di grandi dimensioni. In
questo ‘flusso scultoreo’, immagine che Morton Feldman usava per qualificare la musica di Varèse, tutto è
contrasto dinamico e ritmico, sovrapposizione di timbri in stratificazioni sonore accentuate dagli ottoni. A
qualche battuta dalla fine, quest’opera essenzialmente potente modifica bruscamente il suo discorso per
concludersi in pianissimo nel registro più grave del contrabbasso, dei timpani e della grancassa”.
Dopo Hyperprism e Integrales, per Varèse (1885-1965) è la volta di Arcana, eseguito per la prima volta nel
1926 da Leopold Stokowski all’Accademia musicale di Filadelfia. Sul frontespizio della partitura Varèse
riportava una citazione tratta dall’Astronomia Ermetica di Paracelso: “… una Stella esiste, più in alto delle
altre. È la Stella Apocalittica. La seconda Stella è quella dell’Ascendente. La terza è quella degli Elementi
che si presenta in numero di quattro, cosicché le sei Stelle sono stabilite. Oltre a esse c’è ancora un’altra
Stella, l’Immaginazione, che fa nascere una nuova Stella e un nuovo Cielo”. Malgrado i dissensi causati
dalle esecuzioni delle sue opere, alcuni critici attenti avevano riconosciuto il valore di Varèse e in una
recensione dell’epoca apparsa sul Christian Science Monitor si legge: “Si può dire che quest’opera segna
una data importante nella storia dell’arte…e probabilmente è la prima vera partitura originale per grande
orchestra che sia stata composta in America dall’inizio del secolo”.
Fra i brani più noti di Ligeti (1923-2006), che diedero fama internazionale al compositore ungherese, è
sicuramente da porre Lontano. Composto nel 1967, il brano offre un esempio del suo concetto di immobilità
e di quell’effetto che il compositore stesso definiva di “coltre sonora”. Come per Atmosphères e i brani coevi,
che propongono lo stesso discorso musicale, siamo di fronte a una grande orchestra senza percussioni.
Eseguito per la prima volta a Donaueschingen, in quello stesso ’67, dall’Orchestra di Baden cui era dedicata
insieme al direttore Ernest Bour, è Ligeti, nelle note di programma, a esprimere l’idea che effonde da questa
scrittura musicale così particolare: “dietro la musica c’è un’altra musica, e un’altra dietro ancora, in una
prospettiva infinita, come quando ci si riflette in uno specchio doppio”.
Karin Rehnqvist (Svezia, 1957) Autrice di musica da camera, d’orchestra e vocale, Karin Rehnqvist è
eseguita in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Scandinavia. Tra il 1976 e il 1991 è stata direttrice artistica del
coro Stans Kör. Tra il 2000 e il 2004 è stata compositrice in residenza per la Scottish Chamber Orchestra e
ha collaborato con la Svenska Kammarorkestern. Per i due ensemble ha composto una serie di opere, fra
cui un concerto per il giovane clarinettista Martin Fröst, e Arktis Arktis!, il suo pezzo più eseguito, ispirato a
una spedizione polare a cui partecipò la stessa Rehnqvist nell’estate del 1999. Più recentemente la sua
sinfonia corale Light of Light, che ha come protagonisti un coro di bambini e un’orchestra sinfonica, è stata
particolarmente segnalata dalla critica alla prima parigina nel 2004, ed è stata eseguita successivamente in
Gran Bretagna e in Svezia. Fra i premi ricevuti: Läkerol Arts Award “per la capacità di rinnovare la relazione
tra musica folk e musica d’arte” (1996); Spelmannen Award del quotidiano Expressen (1996); Christ
Johnson Prize per Solsången (1997); Kurt Atterberg Prize (2001) e Rosenberg Award (2006). Nell’aprile
2006, la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra ha presentato una grande retrospettiva della sua musica.
Oltre all’esecuzione dei lavori chiave di tutta la sua carriera, l’orchestra le ha commissionato un nuovo brano,
Préludes per grande orchestra, salutato dall’unanime consenso della critica. Recentemente le è stata
commissionata un’opera dalla Royal Swedish Opera.
Wolfang Rihm (Karlsruhe, Germania 1952) Allievo di composizione alla Musikhochschule di Karlsruhe con
Eugen Werner Velte (1968-72), perfezionatosi a Colonia con Karlheinz Stockhausen (1972–73) e a Friburgo
con Klaus Huber (1973–76), si laurea anche in musicologia all’Università di Friburgo con Hans Heinrich
Eggebrecht. La sua prima visita a Darmstadt, per gli Internationalen Ferienkurse Für Neue Musik, è del 1970
e dal 1978 ne è docente. Dopo essere stato artista ospite dell’Accademia Tedesca a Villa Massimo – Roma,
nel 1981 insegna per un breve periodo a Monaco per poi assumere l’incarico di professore di composizione
alla Musikhochschule di Karlsruhe. Vincitore dei premi Fondazione Prince Pierre di Monaco, Bach-Preis di
Amburgo, Royal Philharmonic Society, Ernst von Siemens, Rihm è stato compositore residente dei Festival
di Salisburgo, Strasburgo e Lucerna. Talento precoce - le sue prime composizioni risalgono all’infanzia
(1963) - e prolifico – con un catalogo vastissimo, dato eccezionale nella nuova musica - nel corso della sua
carriera ha composto opere di teatro musicale, pezzi orchestrali, vocali e corali, da camera e per pianoforte.
Tra le opere di teatro musicale che lo hanno imposto tra le personalità di rilievo assoluto in questo campo
figurano Jakob Lenz (1977-78), la Kammeroper; Hamletmaschine (1983-86) su testi di Heiner Müller; Die
Eroberung von Mexico (1987-1991) da Antonin Artaud, Séraphin (1994). Tra le composizioni vocali e
strumentali, la serie degli Chiffre per ensemble e quella delle Klangbeschreibung per orchestra; il ricco
catalogo per quartetto d’archi; il concerto per violino Gesungene Zeit, registrato da Anne-Sophie Mutter con
la Chicago Simphony Orchestra diretta da James Levine; Frau/Stimme (1988-89) per voci e orchestra;
Jagden und Formen (2000).
Sabato 26 settembre ore 11.00
Sale Apollinee – Teatro La Fenice
INCONTRO CON GYORGY KURTÁG
Leone d’oro alla carriera per la musica
Leone d’oro alla carriera del 53. Festival di Musica Contemporanea, il compositore ungherese György
Kurtág (1926), “colui che ha saputo mettere il mondo in un suono”, sarà protagonista di un incontro con il
pubblico e la critica nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice.
Secondo la motivazione del premio, “L'antinomia poetica di Kurtág riassume bene il carattere struggente
della sensibilità ungherese, la profonda malinconia di un essere sempre ‘altrove’, eppure così radicati nel
gesto espressivo. L'utopia di Kurtág è esprimere tutto il mondo in un solo gesto. Ma quel gesto, quel suono è
un concentrato di poesia, di saggezza, di dolore e di tenerezza. Questo sogno di totalità è continuamente
spezzato con cambi di umore e di temperie, di colore e scrittura. Il tutto in poche battute, spesso in pochi
secondi. Un'espressività densa e leggera a un tempo, che chiede attenzione, silenzio, sensibilità: attitudini
rarissime, oggi. Come Bartók, e più tardi Ligeti, anche Kurtág esplora con grande libertà il pensiero e il
colore delle avanguardie del '900, cercando una via profondamente indipendente dalle maggiori correnti
linguistiche del suo tempo e inaugurando un rapporto con il mondo che è visionario e rigoroso, libero e
critico”.
Sabato 26 settembre ore 15.00
Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
COMPOLAB
laboratorio di invenzione musicale
nuove creazioni di Letizia Michielon, Francesco Pavan, Marino Baldissera, Andrea Toffolini, Nicola Buso,
Roberto Girolin
in collaborazione con le classi di composizione di Riccardo Vaglini, Corrado Pasquotti, Alvise Vidolin
Ensemble L’Arsenale e allievi del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
Dalla collaborazione tra la Biennale di Venezia e il Conservatorio Benedetto Marcello, naturale terreno di
coltura di nuove energie creative, nasce questo laboratorio dedicato all’invenzione musicale per
valorizzare le potenzialità artistiche dei più giovani, far crescere il loro talento, stimolare la voglia di saper
fare: alcuni fra i diplomati di questi ultimi anni – Letizia Michielon, Francesco Pavan, Marino Baldissera,
Andrea Toffolini, Nicola Buso, Roberto Girolin – avranno la possibilità di misurarsi sulla scena
professionale forgiando la loro scrittura direttamente sull’organico dell’Ensemble L’Arsenale, proprio per
questa occasione allargato ad altri strumentisti provenienti, anch’essi, dalle file del Conservatorio di
Venezia.
Fondato nel 2005 a Treviso e composto da giovanissimi musicisti e compositori compresi tra i 20 e i 23 anni,
uniti dall’idea di superare la distinzione tra lo scrivere musica e il fare musica, l’ensemble L’Arsenale, diretto
da Filippo Perocco, si presenta con un organico flessibile, che permette variegate combinazioni musicali.
Per il laboratorio veneziano e il concerto finale saranno in scena Francesca Cescon al flauto, Francesco
Socal al clarinetto basso, Ilario Morciano al sax, Luca Piovesan alla fisarmonica e la voce di soprano di Livia
Rado. Dal Conservatorio provengono invece Valeria Zane all’arpa, Carlo Mattiuzzo alla chitarra, Carlo
Gatto e Ugljesa Majdevac al clarinetto, Sofia Brunello e Antonio Giuffrida al pianoforte.
Sabato 26 settembre ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
Kurtág / Garuti / Ligeti
 György Kurtág Quartetto op. 1 (1959, 14’)
 György Kurtág Six Moments Musicaux op. 44 per quartetto d’archi (2005, 17’)
 Mario Garuti Cielo perso / Anima tersa (2009, 10’) prima es. ass.
 György Ligeti Quartetto per archi n. 2 (1968, 21’)
Quartetto Arditti
Si dice che da quando il violinista Irvine Arditti ha fondato il suo quartetto, nel 1974, la storia
dell'interpretazione della musica contemporanea per archi è cambiata: le riletture dell'Arditti hanno lasciato
un segno nel repertorio del XX secolo, e ogni nuovo concerto è un evento. Nell’albo d'oro dell’Arditti sono
scritte le prime esecuzioni mondiali di quartetti di Cage, Carter, Gubajdulina, Ligeti, Stockhausen e molti altri.
La qualità alta e incisiva delle esecuzioni è valsa al quartetto il premio “Ernst von Siemens”, in passato
attribuito a Karajan e Abbado.
I due grandi ungheresi, Kurtág (1926) e Ligeti (1923-2006), con le loro composizioni più celebri dedicate a
questa formazione, sono i protagonisti del concerto dell’Arditti; a loro si affianca la voce di Mario Garuti, con
un pezzo nuovo composto per l’occasione.
L’omaggio a Kurtág, Leone d’oro alla carriera, inizia con l’esecuzione dell’opera considerata l’atto di nascita
della sua attività compositiva. È infatti noto che soltanto dopo la permanenza a Parigi, tra il 1957 e ‘58, dove
Kurtág è allievo di Darius Milhaud e Olivier Messiaen e conosce la psicologa Marianne Stein, ma soprattutto
dopo l’incontro con la musica di Stockhausen e dell’amico di sempre, Ligeti, a Colonia – dove si ferma sulla
via del ritorno a Budapest e ha occasione di ascoltare Gruppen e Artikulation – Kurtág supera un lungo
silenzio creativo e porta a maturazione il proprio pensiero musicale componendo nel 1959, il Quartetto op.1.
“Sembrava che tutto ciò che avevo appreso a Parigi a proposito di forme concentrate e ricche di tensione
fosse stato realizzato a Colonia … Dopo il mio ritorno in Ungheria … con l’op. 1 cominciai una nuova vita. Da
quel momento il mio ideale, la mia aspirazione fu di riuscire a formulare nel mio linguaggio qualcosa di simile
all’esperienza che aveva rappresentato per me Artikulation a Colonia” (Laudatio a Ligeti).
Accanto all’opera prima, di Kurtág verrà eseguito un lavoro recente, Six Moments musicaux, che raccoglie,
alla maniera di tanti artisti come Schubert, sei frammenti realizzati tra il 1999 e il 2005 in occasione del
Concorso internazionale di quartetto d’archi di Bordeaux e dedicati al figlio. L’opera è considerata un
esempio di quell’effetto d’eco che tanto spesso si riscontra nella musica di Kurtág e su cui sono state scritte
pagine di critica come quelle di Marco Mazzolini: “Due pareti e il vuoto: questo è necessario all’eco. E qui
l’‘avventarsi’ – slancio e ripetizione – è l’espressione di umanissima pietà per la nostra condizione di
‘risonanze erranti’, che perdutamente, urtando, si disperdono”.
Dedicato al Quartetto LaSalle, che lo eseguì per la prima volta a Baden Baden, il Quartetto n. 2 di Ligeti
segue di quindici anni la sua prima composizione quartettistica, ancora fortemente influenzata dalla lezione
bartókiana. In mezzo c’è stato l’abbandono dell’Ungheria - dove la musica occidentale non circolava – e il
trasferimento in Germania prima e in Austria poi. L’opera riflette e compendia inevitabilmente le esperienze
di un quindicennio, in cui Ligeti conosce le maggiori correnti avanguardistiche musicali e aggiorna il suo
linguaggio trovando la propria voce indipendente. Come tanti critici hanno notato, in questo quartetto si
sentono risuonare le ricerche avviate da Apparitions nel ’60 e continuate con Requiem, Atmosphères,
Aventures, Nouvelles Aventures, Lux aeterna.
A Mario Garuti (1957) è affidata infine la novità del concerto del Quartetto Arditti: Cielo perso/Anima tersa,
ispirato alle “righe illuminanti” del sonetto n. 19 di Shakespeare (Devouring Time, blunt the lion’s paw).
“Parafrasando il commento di Alessandro Serpieri a questo sonetto è evidente lo scontro tra il Tempo, con i
suoi tratti distintivi della violenza e della fuggevolezza, e l’archetipo (pattern) della giovinezza, della bellezza,
dell’amore. Il Tempo ha le ali e il suo aspetto più violento è proprio la sua fuggevolezza (fleet’st…carve
…hours). Questo quartetto è una consequentia atletica di pattern di forte impatto, ma cangianti. Modelli che
tendono a imporsi all’inevitabile flusso metamorfico del Tempo, ma invitabilmente fuggevoli. Scrittura
atletica. Agone tra due scrittori: il Tempo e il Compositore. Il primo scrive dell’ineluttabile decadenza e morte,
l’altro cerca di sottrarre al flusso temporale la sua poesia, la sua ispirazione. Un escamotage per circuire il
Tempo. Una irresistibile illusione. L’insopportabile ispirazione… un pendolo... un’oscillazione continua tra
euforia e malinconia. Quando scrivo non penso alla Fine” (M. Garuti).
Mario Garuti (Modena, 1957) Dopo avere studiato violino con A. Maci alla Civica Scuola di Musica G.
Donizetti di Sesto S.Giovanni, intraprende anche lo studio della composizione con U. Rotondi, con cui si
diploma con il massimo dei voti presso il Conservatorio di Milano, dove attualmente insegna. Nel 1982 e
1983 frequenta i corsi di perfezionamento all’Accademia Chigiana (Siena) con F. Donatoni e i seminari di B.
Ferneyhough. Dal 1984 al 1994 è regolarmente invitato ai corsi estivi di Darmstadt, dove ha ottenuto nel
1984 lo Stipendienpreis e nel 1986 il prestigioso Kranichsteiner Musikpreis.
I suoi lavori sono commissionati ed eseguiti nei più importanti festival internazionali da interpreti prestigiosi
quali: Quartetto Arditti, Icarus Ensemble, Het Trio, Trio Accanto, Farben Ensemble, Orchestra Sinfonica di
Baden Baden, Orchestra di Saarbrücken, Orchestra della Rai di Milano, Orchestra dei Pomeriggi Musicali,
Alter Ego, Antidogma Ensemble, Divertimento Ensemble, Ensemble Novecento. Fra i premi ricevuti:
Concorso Nazionale RAI (Milano, 1982), Concorso Internazionale A. Berg (Vienna, 1985), Concorso
Internazionale di Hambach (1985), Concorso Internazionale G. Petrassi (Parma, 1986). Ha inciso per varie
case discografiche, tra cui Fonit-Cetra (Geometriche amnesie), Edipan (Dove l'argine va in delirio), Col
Legno (…e l'altro) e Sony (Tao). Di prossima pubblicazione il pezzo L’automate purifié registrato da Alfonso
Alberti per la Concerto Naxos. Con Stefano Carrara ha fondato il gruppo multimediale U.R.T.O., con cui ha
realizzato nel 2000 l’opera-clip Moondata (video e testi di Armando Lazzaroni) per il Festival "Di nuovo
musica" di Reggio Emilia.
Sabato 26 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
Guarnieri / Schaathun / Wallin / Eggen
 Adriano Guarnieri Lo spirito del vento per ensemble di 11 esecutori (2009, 13’) prima es. ass.
(commissione La Biennale di Venezia)
 Asbjørn Schaathun Requies (2006, 14') prima es. it.
 Rolf Wallin Boyl per ensemble (1995, 15’-17’) prima es. it.
 Christian Eggen Eine Bitte (1996-98, 20’)
direttore Christian Eggen
Oslo Sinfonietta
Nei primi anni ottanta in Norvegia si affaccia una nuova generazione di compositori che scuote la scena
musicale. Asbjørn Schaathun, Cecilie Ore, Ase Hedstrøm, Christian Eggen, Rolf Wallin, alcuni dei
protagonisti di questa ondata di rinnovamento, sono decisi a far eseguire le loro opere, puntano alla
collaborazione programmatica fra compositori e musicisti, infondono nuova linfa al mondo musicale.
Compongono nuova musica, ma fondano anche gruppi musicali, promuovono concerti e festival, scrivono
sui giornali o ne creano di nuovi, come il periodico “Ballade”, dando un impulso alla vita musicale e facendo
della Norvegia, insieme agli altri Paesi scandinavi, una delle aree più fertili della musica contemporanea.
Nata in maniera quasi spontaneistica sull’onda della passione e dell’idealismo dei circoli di musica
contemporanea che ruotavano intorno all’Accademia di Stato musicale norvegese nel clima degli anni
ottanta, la Oslo Sinfonietta si costituisce col tempo, precisamente nel ’93, come associazione stabile di
compositori e musicisti – fra cui gli originari fondatori Asbjørn Schaathun e Christian Eggen – e si dota di una
struttura permanente.
Dall’organico flessibile, aperto alle più diverse combinazioni strumentali e scelte di repertorio, la Oslo
Sinfonietta si è imposta nel panorama attuale come ensemble di eccellenza. Attiva nel promuovere la
musica contemporanea, con particolare riguardo ai giovani compositori norvegesi, la Oslo Sinfonietta figura
tra i fondatori di Ultima, il festival dedicato al contemporaneo di Oslo.
Il concerto proposto presenta gli esponenti di punta di questa generazione di compositori - Asbjørn
Schaathun, Rolf Wallin, entrambi con due novità per l’Italia, e Christian Eggen – accanto a uno dei più
apprezzati compositori italiani, Adriano Guarnieri, autore dalla scrittura irta e mai pacificata. che apre la
serata con una novità assoluta per il 53. Festival, Lo spirito del vento, commissionata dalla Biennale di
Venezia.
Per Lo spirito del vento, Adriano Guarnieri (1947) si è ispirato a una poesia anonima africana
contemporanea, alla quale ha sentito la necessità di aggiungere un sottotitolo emblematico “Blues in
memoria - Milano 2008". "L'ho composto di getto, in un mese e mezzo, motivato da un tema disperato dei
nostri giorni: la violenza sulle vittime dell'immigrazione, narrata da tragici fatti di cronaca. Per questo ho
cercato una musicalità forte, lacerante, in cui fossero riconoscibili il ritmo e la tribalità - certo non in maniera
veristica - e la sonorità della nostra, della mia cultura musicale" (A. Guarnieri).
Commissionato dall’Ensemble Intercontemporain, Boyl, forma dell’inglese medievale per “boil”, si rifà alla
tradizione alchemica che trasforma in oro, dopo lunghi processi di bollitura e coagulazione, la
originariamente caotica “massa confusa”. Nella musica di Rolf Wallin (1957), la ‘massa confusa’ è data da
“una quantità di materiale che deriva dalla funzione matematica detta frattale. La funzione è relativamente
semplice, ma genera motivi ‘organici’ affascinanti e sorprendenti quando è ripetuta un gran numero di volte.
Il punto principale di Boyl è l’interazione tra il principio del mercurio liquido, freddo e mobile, e il principio
solido, bruciante, e dominante dello zolfo. Nel pezzo, il mercurio è da solo in scena per tanto tempo prima
che intervenga lo zolfo. Durante il brano, i due principi si scambiano le loro qualità e, alla fine, si fondono
insieme” (R. Wallin).
Conclude la serata Eine Bitte, composto da Christian Eggen nel 1996, un brano che nasce dall’ispirazione
per Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, con cui condivide la drammatica vicenda di due
persone, un uomo e una donna, che si cercano senza trovarsi.
Adriano Guarnieri (Sustinente – Mantova, 1947) Ha compiuto gli studi presso il Conservatorio di Bologna,
diplomandosi in composizione con Giacomo Manzoni e in musica corale con Tito Gotti. I suoi primi lavori, da
Musica per un’azione immaginaria a L’art pour l’art?, mantengono un forte legame con l’impronta
strutturalista, di cui si libera in nome di un materismo irrequieto e lirico insieme, nella definizione del quale
l’importanza del suono è preponderante. Con Nafshi, Recit e altre composizioni si profila una svolta con
maggior attenzione alla forma, come sintesi di una molteplicità episodica in divenire. Con la serie dei Pierrot
va delineandosi un risultato “melodico”, che si dilata nell’opera Trionfo della notte (stagione ’86-87 al Teatro
Comunale di Bologna e Premio Abbiati) su testi di Pasolini, alla cui produzione poetica più volte Guarnieri fa
riferimento. Negli anni novanta si interessa in modo sempre più vivo ai problemi di spazializzazione del
suono mediante live electronics, pur mantenendo una cifra sonora particolarmente originale. L’autore ha
anche manifestato un vivo interesse per il tema del sacro, riletto in un’ottica profondamente laica e ha
composto una trilogia di grandi Cantate, scritte in collaborazione con il poeta Giovanni Raboni: Quare tristis
per soli, coro, 2 gruppi strumentali, 2 tube e live electronics (Biennale di Venezia, 1995), Pensieri canuti
cantata per soli, coro, 2 ensemble a doppio coro e live electronics (Strasburgo, 1999), Passione secondo
Matteo (Milano, Basilica di San Marco, 2000), che rivelano la profonda inquietudine dell’uomo
contemporaneo di fronte alle più laceranti domande esistenziali. Fra i lavori più recenti: l’opera-video Medea
per soli, coro e orchestra (Teatro La Fenice di Venezia, 2002), “Premio Abbiati” nella categoria novità
assoluta; La terra del tramonto (Orchestra Nazionale della RAI, Torino 2004); l’opera-video Pietra di Diaspro,
commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma e Ravenna Festival (2007); il melologo Rasoio di guerra, su
testi tratti dal racconto di Vincenzo Pardini (Fucecchio, 2007); Nell’alba dell’umano – Processo a Costanza
per l’Accademia Filarmonica di Bologna, opera melologo (maggio 2009, in ottobre al Teatro Rossini di
Pesaro). Guarnieri ha insegnato per molti anni composizione, dapprima presso il Conservatorio di Milano e
in seguito presso quello di Bologna.
Asbjørn Schaathun (Norvegia, 1961) Ha studiato alla all’Accademia di Stato musicale norvegese e al Royal
College of Music di Londra. Studi successivi l’hanno condotto all’IRCAM di Parigi, che nel 1992 gli
commissiona Double Portrait per violino, ensemble e live electronics. In Norvegia Schaathun è considerato
un pioniere nelle composizioni realizzate con l’ausilio del computer. Oltre all’attività di compositore,
Schaathun ha esercitato la critica musicale, ed è il fondatore della Norwegian Academy of Music’s
Contemporary Ensemble e della Oslo Sinfonietta. Fra i premi ricevuti: Louis Vuitton Prize dalla Gaudeamus
Foundation per Actions, Interpolations and Analyses, concerto per clarinetto basso; Critics Prize e Bang &
Olufsen Music Prize. Dal 2006 è direttore della Norwegian Society of Composers.
Rolf Wallin (Oslo, 1957) Ha studiato all’Accademia di Stato musicale norvegese con Finn Mortensen e Olav
Anton Thommessen. A metà degli anni ’80, studia un anno alla University of California (San Diego) con Yoji
Yuasa, Roger Reynolds e Vinko Globokar. La sua carriera di compositore inizia quando ancora si esibisce
sui palcoscenici del jazz e del rock sperimentale, tutte esperienze che integrano la sua formazione
accademica e ne influenzano gli sviluppi. A questa curiosità musicale si deve infatti la diversificazione nei
generi di scrittura: Wallin riceve commissioni non solo dalla Oslo Philharmonic e dalla Trondheim Symphony
Orchestra, ma anche da gruppi di teatro e danza, sviluppando un proficuo dialogo con le altre arti. Fra i suoi
lavori Chi per orchestra (1991), Ning per oboe, violino, viola e violoncello (1991), Solve et Coagula per
ensemble (1992), Too Much of a Good Thing per sei chitarre elettriche e percussioni (1993), Four Etudes for
Piano (1993).
Christian Eggen Direttore d’orchestra e pianista, Eggen è uno dei direttori più richiesti nei Paesi nordici, in
particolare per la musica contemporanea. Nel 1993 è diventato direttore artistico della Oslo Sinfonietta e dal
1988 è direttore del Cikada ensemble. Sempre in qualità di direttore ha collaborato con importanti ensemble
di musica contemporanea, come musikFabrik, l’Ensemble Intercontemporain, e con altre importanti
orchestre sinfoniche. Nel 2008 ha debuttato con l’Orchestra Filarmonica della Scala al Teatro alla Scala. Sul
fronte della composizione, Eggen ha scritto musica da camera e per orchestra, oltre che per il cinema e il
teatro; ha ideato anche installazioni elettroacustiche. Artista protagonista al Bergen International Festival nel
1999, ha ricevuto il Norwegian Music Critics Prize, lo Spellemann Prize, il Lindeman Prize e l’Oslo Bys
Kunstnerpris per il contributo dato allo sviluppo delle attività musicali nella città di Oslo.
domenica 27 settembre ore 17.00
Sale Apollinee – Teatro La Fenice
Clementi / Mancuso / Feldman / Xenakis / Stravinskij
 Aldo Clementi Concertino per flauto, clarinetto, pianoforte, due violini, viola e violoncello (1999, 10')
 Giovanni Mancuso July 19th or How to establish a second Republic founded on the blood of a State
Massacre per voce solista, sax concertante, pianoforte, minimoog, electronium e ensemble (2009,
25’) prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia), testo di Salvatore Borsellino Lampi nel
buio, traduzione di Christina Pacella
 Morton Feldman The Viola in My Life 1 per viola e 5 strumenti (1970, 9’)
 Iannis Xenakis Plekto per ensemble (1993, 14')
 Igor Stravinskij Berceuse du chat per voce e pianoforte (1915, 5')
basso, baritono Romain Bischoff
sassofoni Pietro Tonolo
pianoforte, minimoog, electronium Giovanni Mancuso
direttore Pietro Mianiti
Sinopoli Chamber Orchestra di Taormina Arte
La giovane orchestra da camera - nata nel 2005 in occasione della prima edizione del Festival Sinopoli di
Taormina, con il quale collabora stabilmente - è formata da docenti e allievi del Conservatorio Arcangelo
Corelli di Messina e testimonia l’attenzione didattica ed esecutiva rivolta in modo continuativo al repertorio
contemporaneo.
Il concerto della Sinopoli Chamber Orchestra affronta brani del 900 storico, alcuni di rara esecuzione,
come Plekto di Xenakis o Berceuse du chat di Stravinskij, altri più frequentati, come The Viola in My Life 1 di
Morton Feldman; accanto a questi brani, Concertino di Aldo Clementi, protagonista dell’avanguardia italiana
e internazionale degli anni Cinquanta, e July 19th or how to establish a second Republic founded on the
blood of a State Massacre del compositore veneziano Giovanni Mancuso, dedicato alla tragica vicenda del
giudice Borsellino.
Apre il concerto un raffinato esempio di scrittura per canoni coltivata da Clementi (1925), Concertino,
composto ed eseguito in prima assoluta nello stesso anno, il 1999, al Festival di Asiago. Commissionato
dagli Amici della musica e dedicato alla città di Asiago, questo pezzo, per flauto, clarinetto, pianoforte, due
violini, viola e violoncello, è definito laconicamente dallo stesso Clementi “canonico a otto voci su un tema
diatonico proprio”.
A Clementi segue il trentanovenne Giovanni Mancuso (1970), autore di un pezzo di “teatro civile” ispirato al
testo di Salvatore Borselllino, Lampi nel buio, che pone inquietanti interrogativi rievocando gli ultimi attimi di
vita del fratello, il magistrato Paolo Borsellino ucciso nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio 1992 insieme ai
cinque membri della sua scorta. “La musica che si incarna ed esplode tra le pieghe del testo di Salvatore
Borsellino (nella appassionata traduzione inglese di Christina Pacella) – scrive Giovanni Mancuso - vuole
essere un mezzo per diffondere il peso insostenibile che questa data porta con sé: una serie di ‘lampi’,
proprio come compaiono nel testo, saranno le tappe di un furioso cammino sostenuto dal filo teso e
allucinato della voce solista inseguita dalle immagini, dagli incubi e dai volti di quel 19 luglio di diciassette
anni fa”.
Tra il ’70 e il ’71 Morton Feldman (1926-1987) compone un ciclo di brani, The Viola in My Life, di cui è
dedicataria la violista Karen Phillips e in cui la viola interagisce con combinazioni strumentali ogni volta
differenti, di piccole e grandi dimensioni: con 5 strumenti, con 6, con il pianoforte, con l’orchestra. The Viola
in My Life 1 è anche uno dei pochi pezzi in cui Feldman torna ad adottare una notazione convenzionale per
le altezze e i tempi: “Avevo bisogno di un'esatta proporzione temporale per sottolineare il graduale e leggero
crescendo caratteristico di tutti i suoni in sordina che la viola emette, e questo è l'aspetto che ha determinato
la sequenza ritmica degli eventi”. Musicista dell’espressionismo astratto, collaboratore di Philip Guston e
amico di tanti artisti – da Jackson Pollock a Mark Rothko – Feldman afferma: “la mia intenzione era di
pensare alla melodia e a frammenti melodici un po’ come Robert Rauschenberg usa la fotografia nella sua
pittura, e sovrapporre questa riflessione al mondo di suoni statici, più caratteristico della mia musica”.
A Feldman segue un altro Maestro del secolo scorso, Iannis Xenakis (1922-2001), fra i pochi a indicare una
strada svincolata dalle tendenze musicali europee del suo tempo e riassunta nell’intreccio tra musica e
matematica. Un percorso di formalizzazione totalmente antisentimentalistico - come scriveva un suo celebre
ammiratore, Milan Kundera, definendolo “profeta dell’insensibilità” - ma che pure produce una musica fatta di
uno straordinario vitalismo e di una potenza drammatica in cui sembrano agitarsi le forze naturali che
animano e sconvolgono il mondo. Architetto (ha collaborato con Le Corbusier), matematico, Xenakis era
anche appassionato di filosofia, dei classici greci antichi, di fisica atomica, elettronica, tutti studi che
convergono nella sua opera di compositore. Di Xenakis, la Sinopoli Chamber Orchestra propone, con
intelligente curiosità, uno dei brani meno noti, appartenenti all’ultimo periodo: Plekto. Il titolo fa riferimento al
verbo greco “pleko” (intrecciare) e allude all’intrecciarsi di tessiture diverse, in un gioco di variazioni, esempio
della sottile arte combinatoria di Xenakis.
Testimonianza della costante sensibilità di Igor Stravinskij (1882-1971) per il patrimonio folcloristico russo,
che affonda le radici nell’anima di un popolo e ne rappresenta la tradizione spirituale più pura, Berceuse du
chat conclude il concerto della Sinopoli Chamber Orchestra. Come Pribautki, Renard, Trois histoire pour
enfants, Four Russian Peasant Songs, tutte opere composte tra il 1914 e il 1917, Berceuse du chat –
presentata nella versione per voce e pianoforte - evidenzia come Stravinskij riesca a traformare il materiale
popolare cui attinge in una cifra originale.
Giovanni Mancuso (Venezia, 1970) Si diploma con il massimo dei voti in pianoforte sotto la guida di Wally
Rizzardo al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia (1992) e ai Corsi di perfezionamento in musica da
camera dell'Accademia "Incontri col Maestro" di Imola con Dario De Rosa, Maureen Jones e Pier Narciso
Masi. Ha studiato alla Scuola Civica di Milano, perfezionandosi nel repertorio cameristico contemporaneo
con Renato Rivolta e ha approfondito lo studio del linguaggio jazzistico con Umberto de Nigris. Ha inoltre
seguito Corsi Internazionali di Composizione di Città di Castello (1990 e 1991) e dell'Accademia Filarmonica
di Bologna (1991/92) con Salvatore Sciarrino. Fra i premi ricevuti: 1° premio al Concorso G.Briccialdi (Terni
1992), al Concorso Città di Rende (1995), al Concorso Musica Nova (Bergamo 1995); 1° premio e
segnalazione alla Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa Mediterranea 1994. È finalista al Concorso
Orpheus di Spoleto con l’opera Obra Maestra, ispirata a Frank Zappa. Ha ricevuto numerose commissioni
da importanti istituzioni come la Fondazione Teatro La Fenice (Recitativo Cantilena per ensemble, 1997), la
Biennale di Venezia Tzimtzum per ensembl e Qual è la parola per quartetto d’archi, 2000 e 2001),
l’Orchestra Giovanile Italiana (Anni 13 di reclusione, 2002), European Association for Jewish Culture
(Alphabet Music, 2003). Nel 1991 ha fondato l'ensemble e gruppo di studio Laboratorio Novamusica, con il
quale svolge un’intensa attività concertistica come pianista e direttore in Italia, Francia, Germania,
Portogallo, Spagna, Libano, Norvegia. Nel 2002 ha fondato l'etichetta discografica Galatina Records
(distribuita da Free Music productions di Berlino), pubblicando quattro cd con suoi progetti musicali realizzati
con il Laboratorio Novamusica.
domenica 27 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
Leone d’oro per la musica
Consegna del Leone d’oro alla carriera a György Kurtág
OMAGGIO A GYORGY KURTÁG
 György Kurtág Grabstein für Stephan op. 15c per chitarra e gruppi di strumenti disposti nello spazio
(1978-79, rev. 1989, 8’)
 György Kurtág Concertante op. 42 per violino, viola e orchestra ( 2002-2003 rev. 2007, 23’)
 György Kurtág Stele op. 33 per grande orchestra (1994 rev. 2003, 2006, 14’)
chitarra Elena Casoli
violino Hiromi Kikuchi
viola Ken Hakii
direttore Zoltán Peskó
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
L’omaggio a György Kurtág, preceduto dall’incontro con l’autore ottantatreenne e dall’esecuzione del
Quartetto n.1 e dei Six Moments Musicaux, culmina nella serata di domenica 27 settembre con la cerimonia
di consegna del Leone d’oro alla carriera al Maestro ungherese e con l’esecuzione dei suoi pezzi di
maggior respiro, aperti alle grandi forme fino ad abbracciare la grande orchestra, ma in modo mai
convenzionale e sempre rispettando la “poetica del frammento” a lui tanto cara. Grabstein für Stephan,
Concertante, Stele – caposaldi della biografia artistica di Kurtág – vengono eseguiti dall’Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Zoltán Peskó, compatriota e allievo dello stesso Kurtág, oltre che
grande direttore.
Autore schivo e appartato, Kurtág dissemina le sue opere - attraverso omaggi, titoli e dediche - di tracce e
appunti sulla propria biografia umana, ma è soprattutto alle scarne note delle sue opere che affida “le sue
pagine di diario”, come ha scritto András Wilheim, “un messaggio personale che tutti potranno capire”.
Dedicato alla memoria dell’amico scomparso Stephan Stein, cantante e marito della psicologa Marianne
Stein a cui Kurtág attribuisce un ruolo importante nella soluzione della sua crisi compositiva alla fine degli
anni Cinquanta, Grabstein für Stephan è iniziato tra il 1978 e il 79 e concluso dieci anni dopo. Come scrive
il critico Paolo Petazzi il pezzo si svolge “in una sola sezione di ampio respiro (come una lapide tagliata in un
solo blocco); il tempo è quasi sempre ‘larghissimo’, la dinamica prevalentemente ‘pianissimo’ (con quattro p),
con effetto ‘lontano’… finché il pianissimo prevalente e la quasi immobilità si lacerano con la più dolorosa
violenza, come in un grido, che cede poi il posto al ritorno della funebre calma, e ai suoni ‘lontani’”.
Il momento centrale del concerto è costituito dall’interpretazione di Concertante, in cui l’Orchestra è
affiancata dai solisti per i quali Kurtág ha concepito questa ampia e complessa partitura: la violinista Hiromi
Kikuchi e il violista Ken Hakii, che devono la grande sintonia alla lunga consuetudine di vita e di lavoro con il
compositore ungherese. Commissionato dalla Leonie Sonning Foundation di Copenaghen ed eseguito per la
prima volta dall’Orchestra della Radio Danese, Concertante – per “l’ampia gamma di mutamenti che
attraversa nel tono, nel tempo e nella tessitura” – ha vinto la ventesima edizione del Grawemeyer Music
Prize 2006.
Conclude la serata Stele, la prima vera opera per grande orchestra di Kurtág, composta per Claudio Abbado
e la Filarmonica di Berlino e dedicata a un altro grande amico di Kurtág, il compositore e direttore
d’orchestra ungherese András Mihály.
Lunedì 28 settembre ore 10.00 - 16.00
Auditorium S. Margherita – Ca’ Foscari
Luogo, corpo, suono
composAzione
convegno
presentazione e relazioni di:
Luca Francesconi, Donella Del Monaco, Giovanni Guanti, Anna Maria Morazzoni, Daniele Goldoni, Gaetano
Santangelo, Nicola Campogrande
schemi d’improvvisazione dei compositori:
Michele Tadini (commissione La Biennale di Venezia)
Luca Mosca (commissione La Biennale di Venezia)
Vittorio Montalti (commissione La Biennale di Venezia)
Arrigo Cappelletti
esecuzione e improvvisazione dei musicisti:
Donella del Monaco (voce), Angelica Faccani (violino), Laura Gentili (violino), Gabriele Mancuso (viola),
Elena Vianello (violoncello), Daniele Goldoni (tromba, flicorno), Andrea Bressan (fagotto), Alberto Collodel
(clarinetto e clarinetto basso), Arrigo Cappelletti (pianoforte), Giovanni Mancuso (pianoforte, moog), Alex
Poletto (percussioni), Stefano Del Sole (percussioni), Dario Pisasale (chitarra elettrica)
a cura del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Associazione Opus Avantra
in collaborazione con il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
La grande musica classica dell'Ottocento e della prima metà del Novecento ha diviso i ruoli del compositore
e dell'esecutore e prodotto una distanza fra la scrittura e il corpo sonoro pubblico. Questa distanza è stata
straordinariamente feconda per l'elaborazione individuale e il filtraggio della memoria musicale, ma ha
prodotto anche l'effetto di suggerire un'attitudine passiva e ripetitiva verso feticci di autorità, svalutativa delle
potenzialità del suono, sottraendo al momento dell'ascolto pubblico la partecipazione all'azione creativa nel
corpo del suono.
Siamo convinti che, invece, la partecipazione a questa azione creativa aiuti efficacemente a costituire un
luogo interattivo di ascolto, capace di restituire alla musica il suo luogo in modo convincente. Il corpo del
suono non vive senza un luogo di condivisione.
Nella giornata si succederanno quattro pezzi costituiti da schemi scritti da compositori – Luca Mosca, Arrigo
Cappelletti, Vittorio Montalti e Michele Tadini – e da improvvisazioni sugli schemi da parte di un ensemble
composto da: Donella del Monaco, Davide Amodio e Laura Gentili, Gabriele Mancuso, Elena Vianello,
Daniele Goldoni, Andrea Bressan, Francesco Socal, Arrigo Cappelletti, Giovanni Mancuso, Alex Poletto,
Stefano Del Sole. Un esperimento certamente difficile e rischioso, poiché intende mettere alla prova del
dialogo la tradizione della composizione scritta con la capacità degli improvvisatori di sviluppare le
potenzialità sonore degli schemi, cercando di evitare i pattern dell'improvvisazione 'colta' o del jazz.
L'esecuzione dei pezzi sarà intervallata da relazioni di musicologi e filosofi di livello nazionale e
internazionale sui temi del corpo, della voce, del suono, con una riflessione trasversale consapevole degli
sviluppi della filosofia dopo McLuhan, Deleuze, Foucault, Derrida.
Daniele Goldoni
lunedì 28 settembre ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
Furlani / Gervasoni / Brewaeys / Varèse
 Paolo Furlani Suite da concerto da “Singin’ in the Brain” (2000, ver. 2009, 10’) prima es. ass.
 Stefano Gervasoni Nuova creazione per cimbalom e ensemble (2009) prima es. ass.
 Luc Brewaeys Cardhu per flauto, clarinetto, trombone basso, percussioni, pianoforte, violino, viola e
violoncello (2008, 13’) prima es. it.
 Edgar Varèse Octandre per sette strumenti a fiato e contrabbasso (1923, 8’)
cimbalom Luigi Gaggero
direttore Filip Rathé
Spectra Ensemble
Da oltre quindici anni lo Spectra Ensemble – fondato nel 1993 – è attento a creare un rapporto di dialogo e
scambio tra la nuova produzione musicale belga e la scena internazionale. Forte di questa idea e di un
nucleo stabile di otto strumentisti di altissima qualità, lo Spectra Ensemble commissiona regolarmente nuovi
lavori, contribuendo alla formazione di un repertorio contemporaneo in un Paese che, soprattutto grazie a
Lucien Goethals e Karel Goeyvaerts, ha dato il suo contributo all’evoluzione della musica dei nostri giorni.
Sono oltre 70 le opere di autori principalmente belgi commissionate ed eseguite dallo Spectra Ensemble, fra
cui quelle di Pierre Bartholomée, Joachim Brackx, Boudewijn Buckinx, Frits Celis, Claude Coppens, Raoul
Desmet, Alvaro Guimaraes, Filip Rathé, Hans Roels, André Laporte, Geert Logghe, Frank Nuyts, Lucien
Posman, Jan Rispens, Lucien Goethals, Violeta Dinescu (Germania), Niki Kemp (Inghilterra) e Gilberto
Mendes (Brasile).
Il concerto della formazione belga intreccia musiche di Paolo Furlani, Stefano Gervasoni e Luc Brewaeys,
musicisti appartenenti alla stessa generazione anche se di diversa formazione, per concludersi con
Octandre, un altro dei punti cardini dell’estetica di Varèse, dopo Integrales, Hyperprism e Arcana, in un
ideale omaggio al compositore che percorre l’intero arco del Festival.
All’origine della Suite da concerto di Paolo Furlani (1964), presentata in prima esecuzione assoluta, è
l’opera Singin’ in the Brain, nata su sollecitazione di Salvatore Sciarrino. Della vicenda dell’opera originaria,
liberamente ispirata a Reminiscenza di Oliver Sacks, un reale caso clinico di epilessia musicale, la Suite
ripercorre i momenti salienti attraverso quattro movimenti musicali. Scrive l’autore: “La musica di tutta l’opera
è costruita quasi come… una sonata bitematica: da una parte la canzone irlandese Plúirín na mBan Donn
Óg cantata in lingua gaelica, che ossessivamente perseguita la protagonista; dall’altra il neurologo,
caratterizzato musicalmente dall’uso grottesco, un po’ sadico, del clarinetto piccolo. La sua musica è
‘spettrale’, basata sugli armonici naturali del suono Do# (un omaggio a Gérard Grisey, la cui prematura
scomparsa mi colpì fortemente, all’epoca della composizione dell’opera). La canzone irlandese parla di un
sogno d’amore, e forse per questo è stata rimossa dalla protagonista. Nella Suite da concerto il riaffiorare
della canzone originale nella purezza del ricordo è affidato a uno strumento ‘da lontano’, ma le note della
sua melodia – con la presenza forte del tritono Mi Sib – saranno… sempre presenti, essendo state
ripetutamente moltiplicate ed esplose all’interno della partitura, creando quindi un percorso inverso, dalle
Variazioni al Tema. Nella scena finale il Tema, assente, sarà solo evocato, in negativo: il …sordo calco
vagheggiato da Nise”.
Figura appartata rispetto al panorama musicale attuale, ma apprezzatissimo e fra i nomi italiani più noti ed
eseguiti all’estero, soprattutto in Francia, dove viene scoperto nei primi anni ’90, Stefano Gervasoni (1962)
sarà alla Biennale Musica con una nuova creazione per il Festival. La sua musica, scrive un finissimo
studioso come Philippe Albèra, “è scossa da spasmi e singulti, slanci ed estasi fuggitive, umore e candore,
illuminazioni. Non deriva da un soggetto definito e volontario, ma registra le proprie molteplicità devianti, il
suo carattere inafferrabile. Dietro al nitore delle sonorità, la dissoluzione delle figure è all’opera: le
composizioni giocano su pulsioni contrarie, essendo la scrittura quella di un soggetto frammentato alla
ricerca di una configurazione introvabile. Ciò che essa fissa è condotto in modo spietato a una forma di
decomposizione che ne rivela precisamente la fragilità e, al tempo stesso, una bellezza fugace”. Ad
accompagnare l’ensemble Spectra nella nuova creazione di Gervasoni sarà un virtuoso del cimbalom, noto
a livello mondiale: Luigi Gaggero.
Della musica “spettralmente sinfonica” di Luc Brewaeys (1959), punteggiata da accenti lirici, soprattutto nei
suoi ultimi lavori, è un esempio il brano presentato in prima italiana in concerto, Cardhu, originariamente
commissionato dal Transit Festival di Leuven (Belgio) e dall’Ensemble Spectra. “Il pezzo è un’ulteriore
indagine dei problemi spettrali/armonici che ho, in un certo senso, scoperto con la mia opera L’uomo dal
fiore in bocca. La musica è ancora sostanzialmente spettrale, ma estendo le armonie con l’uso frequente di
quarti di tono aggiuntivi che non fanno necessariamente parte della serie principale di armonici. Ho scoperto
che, nonostante queste aggiunte, la musica è rimasta sorprendentemente consonante, e allora ho voluto
proseguire su questa strada, utilizzando anche molti (la maggior parte abbastanza lenti) glissandi. D’altra
parte, recentemente mi sono abbastanza occupato del concetto di movimento nella musica spettrale e ho
provato a estendere questa idea in Cardhu. I tempi sono fluttuanti: è la prima volta dopo secoli che scrivo
accelerandi e ritardandi, e immagino che avranno sicuramente una certa influenza sulla percezione della
musica. Infine, si palesano anche alcuni aspetti melodici, anche se in modo meno preminente. I passaggi
veloci sono inizialmente molto brevi, quasi dei segnali per la musica più lenta che segue, ma nel corso del
pezzo questi passaggi guadagnano importanza e gradualmente diventano più lunghi, per culminare nella
Sezione Aurea del pezzo. Verso la fine, la differenza tra questa musica ‘veloce’ e ‘(più) lenta’ è quasi del
tutto abolita e il pezzo finisce – per così dire – in “totale armonia” con sé stesso” (Luc Brewaeys).
Eseguito in prima mondiale a New York nel 1924, Octandre è un ulteriore esempio della tecnica compositiva
maturata da Varèse (1883-1965), che rifiuta qualsiasi “discorso” e procede per frammenti o agglomerati
sonori. Assolutamente insolito per l’autore franco-americano è invece la totale assenza di percussioni
nell’organico, che affida pertanto il pulsare nervoso e barbarico del brano agli ottoni. Octandre si divide nei
seguenti tempi, ognuno introdotto da uno strumento diverso: Assez lent, Très vif et nerveux, Grave-Animé et
jubilatoire.
Paolo Furlani (Verona, 1964) Si diploma in clarinetto, musica corale, composizione al Conservatorio di
Venezia e in strumentazione per banda al Conservatorio di Parma. Si diploma anche in pittura all’Accademia
di Belle Arti di Venezia. È autore di otto opere: El roverso mondo, da Ruzante (1° premio al concorso per
nuove opere di teatro musicale da camera Città di Udine 1995); Il teatrino delle maraviglie, da Cervantes
(Lugo 1995) e Le parole al buio, da Paolo Puppa (1° premio nel concorso internazionale Orpheus 1998 del
Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto); Incanto di Natale, opera per ragazzi su libretto di Riccardo Diana
(Teatro Sociale di Rovigo e Mestre, 2000); Singin’ in the Brain, opera-flash su libretto di Elena Barbalich
(Europa Festival di Ferentino, 2000); La casa dei mostri, dal racconto omonimo di Maria Vago (premiato alla
3a edizione del concorso Quarant’anni nel 2000 - Federazione Cemat) e allestito nel 2003 come spettacolo
per ragazzi da La Fenice di Venezia; l’opera da camera per bambini Albero dei violini accesi, su testo di
Giuliano Scabia (1° premio al Wiener Internationaler Kompositionswettbewerb 2000 di Vienna); la farsa ilarotragichissima in due atti Il birraio di Preston, dal romanzo di Andrea Camilleri (2° premio al Concorso
internazionale G. Verdi per la composizione di un’opera lirica). La Fondazione Teatro La Fenice di Venezia e
il Teatro Stabile del Veneto gli hanno commissionato il melologo L’Angelo e il fuoco, lettura musicale del
poemetto Giovanna d’Arco di Maria Luisa Spaziani (2000); gli stessi enti, in collaborazione con il Teatro
Stabile d’Abruzzo e la Fondazione Arena di Verona gli hanno commissionato le musiche di scena de Il
viaggio a Venezia, regia di Luca De Fusco. La Biennale di Venezia gli ha commissionato il brano sinfonico
Mare monstrum, eseguito nel 2004 dall’Orchestra dell’Arena di Verona.
Stefano Gervasoni (Bergamo, 1962) Studia con Luca Lombardi, Niccolò Castiglioni e Azio Corghi al
Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Dopo aver frequentato la classe di György Ligeti, completa la
propria formazione all’IRCAM di Parigi (1992). Gli incontri con Luigi Nono, Brian Ferneyhough, Peter Eötvös
e Helmut Lachenmann sono cruciali per lo sviluppo della sua vocazione e del suo talento. Si afferma sulla
scena internazionale durante il soggiorno a Parigi (1992–1995), dove riceve numerose commissioni dalle
principali istituzioni francesi e viene nominato membro dell’Académie de France à Rome. Compositore
residente a Villa Medici a Roma (1995-96), Gervasoni ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra
cui: il 2° premio al concorso G.B. Viotti a Vercelli (1985), il 3° premio e successivamente il 2° premio al
concorso G. Petrassi a Parma (1987 e 1989), il 1° premio al Premio Lario Musica a Como (1988), il 1°
premio all’11° Internationalen Kompositionswettbewerb Kompositionsseminar Boswil (1995). Nel 1989, 1990
e 1991 viene selezionato per l’International Gaudeamus Music Week. L’anno seguente, viene chiamato a
partecipare al Forum Junger Komponisten (Colonia) e nel 1994 al Klangforum Wien per l’Internationales
Komponistenseminar. Dal 1992, ha ricevuto regolari commissioni da tutte le maggiori istituzioni, orchestre e
ensemble d’Europa: Ensemble Intercontemporain, Ministero della Cultura di Francia, WDR-Köln, SWFBaden-Baden, Orchestra Nazionale della RAI, Festival Archipel (Ginevra), Festival d’Automne di Parigi,
Berliner Biennale, Ars Musica (Bruxelles), Schleswig-Holstein Musik Festival, Ensemble Contrechamps,
ProQuartet Foundation, Royaumont Foundation, Radio France, Deutschland Radio-Berlin, Internationale
Stiftung Preis E. Balzan-Fonds, Busoni International Piano Competition Foundation, IRCAM (Parigi), Suntory
Hall (Tokio).
Luc Brewaeys (Mortsel – Belgio, 1959) Compositore, pianista e direttore d’orchestra, Luc Brewaeys ha
studiato con André Laporte a Bruxelles, con Franco Donatoni a Siena e con Brian Ferneyhough a Damstadt.
Dal 1980 all’84 ha avuto contatti regolari con Iannis Xenakis a Parigi. Fra i premi ricevuti: 3° premio
dell’European Competition for Young Composers e 1° premio nella categoria dei giovani compositori
dell’International Rostrum of Composers dell’UNESCO per … e poi c’era… Sinfonia n. 1 (Amsterdam, 1985
e Parigi, 1986); Prix de la Musique Contemporaine du Québec per l’opera completa (Montréal, 1988); 1°
premio al Premio musicale Città di Trieste per la composizione sinfonica Hommage (1991). È stato
compositore in residenza presso vari ensemble e istituzioni; recentemente è stato nominato compositore in
residenza al BOZAR (il Palais des Beaux Arts) a Bruxelles (2003-04). Dal 2002 al 2005 ha trascritto una sua
versione per orchestra dai due libri completi dei Préludes pour piano di Claude Debussy, su commissione
della Royal Flanders Philharmonic che ne ha inciso un disco con la direzione di Daniele Calligari. Nel
febbraio 2007 la sua prima opera, tratta dall’atto unico di Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca,
commissionato dal Teatro La Monnaie, ha debuttato con successo a Bruxelles. Altre due opere sono
previste per il 2011, entrambe commissionate dall’Opera Fiamminga (Antwerp/Gent): una tratta da
Maeterlinck, che andrà in scena nella primavera 2011, la seconda da Il grande ritratto di Buzzati.
lunedì 28 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
Verrando / Jarrell / Nieder / Donatoni
 Giovanni Verrando Tryptich per grande orchestra (2005-2006, 15’)
 Michael Jarrell Instantanés per grande orchestra (1985, 16’)
 Fabio Nieder Lieder von der Liebe zur Erde per soprano e due orchestre (1996-2006, rev. 2009, 10’)
prima es. ass.
 Franco Donatoni Duo pour Bruno per orchestra (1974-75, 18’)
soprano Barbara Hannigan
direttore Zoltán Peskó
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Il secondo concerto che ha per protagonista l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta nuovamente
da uno dei suoi artefici principali, Zoltán Peskó, presenta nomi affermati della scena musicale
contemporanea – Giovanni Verrando, Michael Jarrell, Fabio Nieder – affiancati dall’indimenticato Donatoni,
uno degli autori più radicali, animato da una tensione etica e da un rigore ideologico rimasti ineguagliati.
Apre la serata Triptych, di Giovanni Verrando (1965), che appartiene a un ciclo di opere dedicate
all’esplorazione del rapporto con la musica elettronica e si costituisce di tre movimenti: Filtering,
Heterophonic #3, Filtering #3. La genesi del brano si rintraccia in uno studio elettronico, originariamente da
trascrivere per un organico strumentale acustico, da cui sono nati Filtering e Filtering #3. Nella trascrizione
per orchestra “ho utilizzato – spiega Verrando - tutte le tecniche presenti nello studio elettronico originario
(rumori bianchi, filtraggi, spettri a sviluppo periodico, etc.), e la trascrizione di questi fenomeni mi ha spinto a
sviluppare un'orchestrazione specifica e adeguata, facendo anche uso di strumenti non propriamente
tradizionali (percussioni che producono rumori bianchi di altezza diversa, campionatore, basso e chitarra
elettrica, etc.)”.
Heterophonic #3 è, invece, descritta da Verrando come “un'allucinazione prodotta dalla memoria; l'eterofonia
in esso contenuta consiste nella contemporanea presenza di gesti generati da una sola sorgente (la
memoria, appunto), i quali non producono necessariamente un insieme sonoro omogeneo. Ognuno di questi
gesti fa riferimento a tecniche orchestrali e stili che si sono sedimentati nel mio immaginario, che hanno
influenzato il mio modo di scrivere, e che ora trascrivo senza mediazioni. Ho riportato questi frammenti
mnemonici (tecniche spettrali, parallelismi, canoni, suoni elettronici, etc.) senza produrre citazioni specifiche,
poiché mi interessava trasmettere l'interpretazione un poco allucinata che la mia memoria mi offriva di quelle
stesse tecniche. I frammenti, i gesti, non seguono una successione logica, ma sono sovrapposti e disposti
formalmente come fossero il frutto di una libera, un po' violenta espressione di mondi musicali più o meno
eterogenei, ingabbiati e messi a confronto nello spazio dell'orchestra”.
Instantanés, con cui Michael Jarrell (1958) ha vinto il premio Gaudeamus, è stato eseguito la prima volta
nell’86 a Ginevra dall’Orchestre de la Suisse Romande diretta da David Shallon. Un brano sul concetto di
tempo, che si può compendiare, come ha scritto il musicologo Peter Szendy, nella frase di S. Agostino: “Il
tempo presente reclama che non può essere lungo”. “Neanche l’istante è mai semplice, non si lascia
trattenere. Ora, gli istanti e le istantanee si confondono, rinviano gli uni alle altre, le linee dell’orizzonte e i
poli rispuntano dove non ce li aspettavamo più, già nella terza istantanea, poi nella quarta, la quinta, la
sesta. Anche nella settima, che, per il momento, sarà l’ultima. E ancora conto. Ma contare non serve a
niente quando si incontra un paesaggio segnato dallo sdoppiamento” (P. Szendy).
È la passione per il canto di tradizione tedesca, che il compositore italo-tedesco Fabio Nieder (1957) eredita
da una formazione in ambienti culturali mitteleuropei, a ispirare Lieder von der Liebe zur Erde (Canti
d´amore alla terra), dedicati a una delle voci più incisive di questi anni, Barbara Hannigan, e trascritti per
orchestra in occasione della Biennale Musica.
“Il primo Lied, O Erd, su testo di Hölderlin è luminoso e sospeso, implacabilmente oscillante fra le altezze si
bemolle e si naturale (in tedesco e in lingue slave: B e H). Dopo che l´invocazione della voce O Erd (O
Terra) risuona ancora nel moto pendolare del pianoforte, dal silenzio della sua solitudine la voce intona
pianissimo la parola Erde (Terra), questa volta nel testo della nona elegia di Duino di R. M. Rilke. Il secondo
Lied si intitola Verwandlungslied (Canto di trasformazione). La voce si inarca purissima mentre il pianoforte
smuove correnti sottomarine scure e indecifrabili. La voce si specchia nelle profondità del suono del
pianoforte e (si) interroga senza ottenere risposta. I due mondi sono complementari ma non si toccano. Solo
alla fine si riconosce nel Verwandlungslied la parte oscura del primo Lied O Erd, ma la apparente risposta
risuona nella domanda e il pezzo non ha fine...!” (F. Nieder).
Dedicato a Bruno Maderna poco dopo la sua scomparsa, Duo pour Bruno non è semplicemente un gesto
commemorativo verso un amico compianto, ma anche l’impulso – per Franco Donatoni (1927-2000) – a
cercare nuovi nessi con l’opera del Maestro veneziano. “In un passo del Venetian Journal, ascoltato due
anni or sono al Festival di Royan, - racconta Donatoni - Maderna citava la notissima canzone veneziana La
biondina in gondoleta e fu proprio a quella breve citazione melodica che la mia memoria ritornò quando
pensai di dedicare un lavoro a Bruno e alla sua ‘venezianità’. D’altra parte, già da alcuni anni praticavo un
metodo compositivo fondato sulla trasformazione di materiali musicali già esistenti. L’assunzione di un
frammento esiguo di carattere ‘popolare’ e, pertanto, assai estraneo alle mie consuetudini di pensiero,
poneva tuttavia difficoltà del tutto nuove…”.
Giovanni Verrando (Sanremo, 1965) Ha studiato in Francia, giovanissimo, pianoforte e chitarra classica
presso il Conservatorio di Menton, quindi composizione al Conservatorio G. Verdi di Milano con G. Manzoni,
N. Castiglioni e G. Zosi, e parallelamente filosofia all’Università Statale di Milano. Ha quindi proseguito la
propria formazione nella composizione all’Accademia Chigiana di Siena con F. Donatoni, ricevendo nel 1990
il premio Siae e il Diploma di Merito. Dal ‘93 al ‘97 è a Parigi, dove frequenta l’IRCAM e i corsi di T. Murail e
svolge attività come autore ed esecutore nell’ambito della musica rock di ricerca. Ha vinto e ottenuto premi
in numerosi concorsi internazionali di composizione: IRCAM/Ensemble Intercontemporain Comité de
Lecture, Vienna Modern Masters, Camillo Togni (Brescia), 11. Kompositionswettbewerb Boswil, Gaudeamus
Music Week (Amsterdam), Cemat (Roma), Festival International d’art lyrique (Aix-en-Provence). Sue opere
sono state commissionate da festival e istituzioni internazionali (Ircam di Parigi, Biennale di Venezia,
Ministero della Cultura Francese, etc.) ed eseguite da note orchestre e solisti (tra cui Ensemble
Intercontemporain, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra della Toscana, Arditti String Quartet,
Les Percussions de Strasbourg) nei principali festival e stagioni internazionali (Wien Modern, Centre Ircam Centre G. Pompidou, Musica a Strasburgo, Opera-Bastille, Milano Musica, MaerzMusik a Berlino, Musik der
Zeit a Colonia, RomaEuropa Festival, Biennale di Venezia, Archipel a Ginevra, Huddersfield Contemporary
Music Festival, Stockholm New Music, Helsinki, NewYork, Tokio).
Michael Jarrell (Ginevra, 1958) Dopo essersi dedicato alternativamente alle arti visive e alla musica (allievo
di Eric Gaudibert alla Scuola Popolare della sua città), Jarrell studia con Klaus Huber a Friburgo (Germania).
Parallelamente a importanti riconoscimenti (Prix Acanthes 1983, Beethovenpreis Bonn 1986, Gaudeamus
1988, Fondazione Siemens 1990) segue gli stage dell’IRCAM a Parigi ed è borsista a Villa Medici di Roma.
Compositore residente prima dell’Orchestre de Lyon (1991-93) poi del Festival di Lucerna, è stato oggetto di
una monografia a Musica Nova di Helsinki e di una commissione (un Concerto per pianoforte e orchestra)
dal Festival di Salisburgo. Ha insegnato alla Hochschule für Musik di Vienna e, attualmente, al Conservatoire
Supérieur di Ginevra. Nel 2006 il Grand Théatre de Genève gli ha commissionato un’opera da La vita di
Galileo di Brecht.
Fabio Nieder (Trieste, 1957) Talento precocissimo, ha compiuto la propria formazione musicale presso il
Conservatorio di Trieste, dove ha studiato composizione, pianoforte e musica da camera rispettivamente con
Giulio Viozzi, Roberto Repini, Dario De Rosa e Libero Lana, perfezionandosi poi in composizione con Witold
Lutoslawski. Compositore, pianista, direttore d’orchestra, Fabio Nieder ha sviluppato un rapporto privilegiato
con il Lied tedesco. Compone per importanti ensembles e orchestre tra cui Klangforum Wien, Ensemble
Recherche, Nieuw Ensemble, Atlas Ensemble, Ives Ensemble, ÖENM, Orchestra Nazionale della RAI,
WDR, SWR, SR (Germania). Le sue opere sono presenti nei principali festival e istituzioni musicali: Berliner
Festwochen, Wittener Tage für neue Kammermusik, Musik der Jahrhunderte (Stuttgart), Musik im
21.Jahrhundert (Saarbrücken), Wien Modern, Musikprotokoll (Graz), Holland Festival, Output Festival
(Amsterdam), Huddersfield Festival (UK), La Biennale di Venezia, Milano Musica, Nuova Consonanza
(Roma), Festival Présences (Parigi), Berliner Philharmonie, Theaterhaus Stuttgart, Tonhalle Zürich, Wiener
Konzerthaus, Concertgebouw Amsterdam, Muziekgebouw (Amsterdam), Teatro alla Scala, Teatro La
Fenice. Fabio Nieder è docente di composizione presso i Conservatori di Amsterdam e Trieste e presso
numerose altre Accademie europee (Stuttgart, Tallin, Graz, Ljubljana).
martedì 29 settembre ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
Lutoslawsky / Berio / Magnanensi / Sokolovic / Xenakis
 Witold Lutoslawski Partita per violino e pianoforte (1984, 16’)
 Luciano Berio Sequenza VIII per violino solo (1976, 13’)
 Giorgio Magnanensi ...per essere fresco... per violino e pianoforte preparato (2004, 8’)
 Ana Sokolovic Danses et interludes per pianoforte (2003, 15’)
 Iannis Xenakis Dikhthas per violino e pianoforte (1979, 12’)
violino Silvia Mandolini
pianoforte Brigitte Poulin
Sia il violino che il pianoforte sono stati terreno di sperimentazione ed elaborazione di idee per moltissima
musica contemporanea, partecipando appieno all’evoluzione del linguaggio musicale; e per quanto il loro
accostamento susciti memorie squisitamente romantiche, i due strumenti hanno saputo ispirare alcune delle
più belle pagine della musica del nostro tempo.
Brigitte Poulin al pianoforte e Silvia Mandolini al violino, due artiste quebecchesi di nascita (ma la
Mandolini è di genitori italiani e in Italia è tornata a operare), sono le protagoniste di un duplice concerto
nella stessa serata. Il primo impagina brani di compositori che hanno trovato spazio e voce nell’America del
Nord, pur essendo di provenienza europea, come l’italiano Giorgio Magnanensi e la serba Ana Sokolovic,
accanto ai suoni inconfondibili dei Maestri Lutoslawski, Xenakis, Berio. Il secondo concerto accosta invece
pagine di Franco Donatoni a quelle del veneziano Marino Baratello.
Con una carriera divisa tra Europa, Canada e Stati Uniti, Brigitte Poulin ha al suo attivo l’incisione delle
opere per pianoforte di Satie (Amberola), di R. Murray Schafer (Centrediques), di Cherney con la violista
Laura Wilcox (SNE) e l’integrale delle melodie di Jean Langlais con il soprano Louise Marcotte (Fonovox). È
fra i fondatori del Trio Phoenix (flauto, violoncello, pianoforte) e, lo scorso anno, del sestetto Transmission. Il
suo repertorio, come recita la biografia, “spazia dall’invenzione del pianoforte alla sua decostruzione”. Con
studi all’Accademia di musica di Vienna e al Conservatorio di Montréal, fra i suoi insegnanti vi sono: Lorraine
Vaillancourt, Krassimira Jordan, Hans Graf, David Lutz e il quartetto Alban Berg. Nei corsi di
perfezionamento ha ricevuto i preziosi consigli di Gyorgy Sebok, Menahem Pressler, Leon Fleisher, John
Perry, Lorand Fenyves, Martin Isepp e Janos Starker.
Violinista per le più grandi orchestre – dall’Orchestre Baroque de Montréal a Santa Cecilia, dalla Victoria
Symphony Orchestra del Canada, dove è stata solista, all’Orchestra della Rai, Silvia Mandolini è dal 2008
violinista stabile dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Dopo gli studi al Conservatorio di Montréal
con Raymond Dessaints, e dopo il perfezionamento all’Università McGill con Mauricio Fuks, Silvia Mandolini
ha proseguito i suoi studi al Conservatorio di Milano con Daniele Gay e, sempre in Italia, ha frequentato i
corsi di Maya Jokanovic e Carlo Feige.
Originariamente concepito per violino e pianoforte su commissione di Pinchas Zuckerman e Mark Neikrug
che lo eseguirono per primi nel 1985, Partita, del Maestro polacco Witold Lutowslaski (1913-1994), ebbe
anche una successiva versione per violino e orchestra dedicata ad Anne-Sophie Mutter. Come la maggior
parte degli autori dell’Europa orientale, anche Lutoslawski fa tesoro dell’esperienza bartókiana, per
concentrarsi successivamente, via via che entra nell’orbita dell’evoluzione musicale occidentale – attraverso
Cage e Boulez, sugli aspetti formali dell’opera, che crea in maniera totalmente originale.
Sequenza VIII, scritta nel ’76 per Carlo Chiarappa, e parte del ciclo compositivo a cui Luciano Berio (19252003) si dedicò a partire dal 1958 per più di 30 anni, consegnando alla letteratura musicale uno dei suoi
capolavori, è destinata al violino solo. Costantemente appoggiata “su due note (la e si) che, come in una
ciaccona, costituiscono la bussola nel percorso abbastanza differenziato del pezzo… Sequenza VIII diventa,
inevitabilmente, un omaggio a quel culmine musicale che è la Ciaccona della Partita in re minore di Johann
Sebastian Bach in cui - storicamente - coesistono tecniche violinistiche passate, presenti e future” (L. Berio).
Collocati al centro della serata, sono i due brani di Giorgio Magnanensi e Ana Sokolovic. Del compositore
bolognese residente in Canada viene eseguito …per essere fresco…, un pezzo per violino e pianoforte
preparato scritto nel 2004 e dedicato alle due interpreti. Scrive l’autore: “La comunicazione musicale esiste a
un livello puramente emozionale. L'emozionalitá è immanente, l'espressione è definitivamente legata
all'istante, l'istante è imprescindibilmente trascendente”.
Della belgradese Ana Sokolovic (1968) si presenta Danses et interludes, un brano del 2003 costituito da
sei danze e tre interludi ispirati ai ritmi delle musiche e delle danze tradizionali balcaniche, ma anche alle
cadenze della lingua serba. Sono le donne “che ballano silenziose (senza musica) e il tintinnare delle loro
collane fatte di numerose minuscole medagliette di metallo” a rimanere ricordo vivido nella mente
dell’autrice.
Il brano di Iannis Xenakis (1922-2001), Dikhthas, commissionatogli dalla città di Bonn per il 30° Festival
Beethoven del 1980, conclude la serata. Nelle note di programma Xenakis presenta l’opera come “un
personaggio con due nature; è ‘duale’ (dikhthas), poiché le nature si contraddicono, pur fondendosi a volte
nel ritmo e nell’armonia. Questo confronto è realizzato in un flusso dinamico variabile che sfrutta i tratti
specifici dei due strumenti”.
Giorgio Magnanensi (Bologna, 1960) Ha studiato composizione e direzione al Conservatorio G. B. Martini
di Bologna, all’Accademia Santa Cecilia di Roma, all’Accademia Chigiana di Siena e al Mozarteum di
Salisburgo. Ha conseguito il diploma in musica corale, in direzione (Bologna, 1982) e in composizione
(Bologna, 1986 e Roma, 1989), così come il Diploma di Merito (Siena, 1987). Ha vinto numerosi premi e
borse di studio, fra cui: il concorso Gino Contilli, il concorso Alfredo Casella, la Japan Foundation Fellowship,
il Government of Canada Award. I suoi lavori sono eseguiti in tutta Europa, Canada, Giappone e Stati Uniti.
In qualità di direttore ha lavorato, fra gli altri, con l’Ensemble NYM (1988 -’95) e l’Ensemble Octandre (1990’95). Dal 2000 è direttore principale del Vancouver New Music Ensemble. Ha lavorato anche a progetti
multimediali con numerosi artisti: Kees Boeke, Nanni Canale, François Houle, David Moss, Ron Samworth,
Douglas Schmidt e Walter Zanetti. È tra i fondatori dello studio elettroacustico Musica Musicisti e Tecnologie
di Milano (1992). Ha insegnato contrappunto e armonia ai conservatori di Ferrara (1985-’86), Rovigo (1987’90) e Parma (1990-’99); è stato assistente di Franco Donatoni all’Accademia Chigiana di Siena (1991-’98) e
ha insegnato al College of Music di Tokio (1996 e 1998). Dal 2000 insegna alla University of British
Columbia. Dal 1999 vive in Canada.
Ana Sokolovic (Belgrado, 1968) Ha studiato composizione con Dusan Radic e Zoran Erica all’Università di
Belgrado; ha frequentato un master all’Université di Montréal sotto la direzione di José Evangelista e un
workshop di composizione con Tristan Murail e Denys Boulianne nell’estate del 1997. Ha ricevuto
commissioni dalla Esprit Orchestra, dalla Société de Musique Contemporaine du Québec, dalle compagnie
di danza Brune e Cas Public, dal Molinari String Quartet, dall’Orchestre Baroque de Montréal, dall’Ensemble
Contemporain de Montréal, dall’Orchestre Symphonique di Montréal, dal Queen of Puddings Music Theater
Co., dai Sundstreams, dalla Manitoba Chamber Orchestra, dal trio Fibonacci, dal trio Phoenix,
dall’Arraymusic, dall’Evergreen Gamelan e da molti solisti. Nel 1995 e nel 1998 ha vinto la Competition for
Young Composers del SOCAN con Ambient V per due violini, Secret de polichinelle per 4 strumenti e
Pesma per mezzosoprano e 7 strumenti. Nel 1996 Ambient V è stato scelto per rappresentare il Canada
all’UNESCO International Rostrum of Composers a Parigi. Nel 1999 Géométrie sentimentale ha ottenuto il
1° premio nella categoria di musica da camera alla 13a edizione del CBC Radio National Competition for
Young Composers; nel 2005 ha ricevuto il Joseph S. Stauffer Prize dal Canada Council for the Arts per il suo
talento e successo di compositrice. Sempre nel 2005 ha scritto la sua prima opera, The Midnight Court, per il
Queen of Puddings Music Theater Co., poi eseguita alla Royal Opera House di Londra nel giugno del 2006.
Ana Sokolovic vive a Montréal ed è un Associate Composer del Canadian Music Centre.
martedì 29 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese
Perez-Ramirez / Andriessen / Bartók / Hurel
 Marco-Antonio Perez-Ramirez Du corps… per orchestra (2003, 14’) prima es. it.
 Louis Andriessen Racconto dall'inferno per voce femminile jazz e piccola orchestra (2004, 20’), testi
di Dante Alighieri
 Béla Bartók Suite dal Mandarino meraviglioso (1919–1927, 21’)
 Philippe Hurel Tour à tour per orchestra (2008, 21’) prima es. it.
voce Cristina Zavalloni
direttore Tito Ceccherini
Orchestra Sinfonica del Teatro La Fenice
È Tito Ceccherini, fra i più giovani e affermati direttori d’orchestra a livello internazionale, sensibile
interprete di tanti autori contemporanei con cui ha a lungo collaborato - come Solbiati, Gervasoni, Sciarrino,
di cui eseguirà in prima mondiale Super flumina al National Theater di Mannheim - a dirigere il secondo
appuntamento con l’Orchestra del Teatro La Fenice. Questa volta ospite al Teatro alle Tese dell’Arsenale, la
prestigiosa orchestra veneziana sfoglia alcune fra le più belle pagine di musica contemporanea: dalla Suite
dal Mandarino meraviglioso di Béla Bartók al Racconto dall’inferno di Louis Andriessen, fino a Du corps… e
Tour à tour, presentati in prima esecuzione italiana, rispettivamente di Marco-Antonio Perez Ramirez e
Philippe Hurel, compositori più giovani ma già consolidati nel panorama della musica colta.
Come dice il titolo, Du corps… nasce dalla suggestione di una frase di Antonin Artaud: “Dal corpo,
attraverso il corpo, dal corpo, e fino al corpo”. Ed è scrivendo questo pezzo per orchestra che Antonio
Perez-Ramirez (1964) si accorge di cercare “volumi contrastanti, suoni aspri, rauchi, una forma senza
concessioni, accelerazioni e rallentamenti del materiale…” e di provare “sensazioni tattili molto forti,
sensazioni di contatto diretto, immediato, fisico. … Oggi, più procedo nel mio lavoro, più questa idea del
corpo diventa presente nella mia musica. Scrivere musica è diventata un’esperienza di tutto il corpo. Un
corpo che è pensiero, conoscenza e sensazioni. Tutto quello che scrivo passa attraverso il mio corpo. Mimo,
canticchio la mia musica. Mi alzo, mi risiedo, giro intorno al tavolo per calmare mani e testa, che a volte
vanno troppo rapidamente. Con questo contatto diretto, fisico, anche la mia musica conserva il ricordo del
gesto che la fa nascere”.
Nato per la maestria di Cristina Zavalloni, capace di cimentarsi in tutti gli stili, dal barocco allo sperimentale,
dalla canzone al jazz, Racconto dall’inferno di Andriessen (1939), forse la figura più anarchica e creativa
della scena contemporanea, attinge al Canto XXI dell’Inferno dantesco. È la quinta bolgia, quella dei
fraudolenti – concussori, imbroglioni, falsari, malversatori – immersi per contrappasso in una pece densa e
oscura, che Dante, in un celebre passo, paragona a quella che d’inverno è fatta ribollire all’Arsenale di
Venezia. Al centro del brano è la scena sarcastica in cui Malacoda sceglie i dieci diavoli, chiamandoli
all’appello a uno a uno, perchè formino l’insolito drappello che dovrà “scortare” Dante e Virgilio al girone
successivo. Scrive Andriessen nelle note di programma in occasione del debutto mondiale a Colonia nel
2004: “Dopo il famoso strombettare di Malacoda, Dante e Virgilio proseguono il loro cammino con questa
‘feroce scorta’, musicalmente accompagnati da una strana sorta di Marcia medievale fra suggestivi silenzi.
Cosa significa suggestivo? Sono perfettamente consapevole del fatto che qualsiasi musica può
accompagnare qualsiasi immagine, ma è anche ovvio che differenti tipi di musica possono dare significati
diversi alla stessa immagine. Immaginate una ragazza giovane che cammina lungo un campo di grano
maturo. Accompagnata da un’orchestra d’archi che suona una musica sentimentale e romantica, la ragazza
si innamorerà. Accompagnata da una musica da film d’azione, probabilmente andrà a uccidere suo padre.
Per spingersi ancora oltre: qualsiasi musica può esprimere qualsiasi testo. Nessuno può dire come ‘suona’
la gelosia o il desiderio. Comunque, è sicuramente possibile scrivere musica che evoca emozione, dramma,
bellezza, o semplicemente una storia. Non ci sono regole definite che possano indicarci quale musica
appartiene a una determinata emozione. Interessarmi a certe convenzioni su ciò che potremmo chiamare
musica ‘narrativa’ (e nel frattempo criticarle) è una sfida a cui non voglio sottrarmi. L’eclettismo di Cristina
Zavalloni mi è molto utile per realizzare le mie idee musicali”. Nato autonomamente, Racconto dall’inferno è
diventato poi il secondo dei cinque quadri che costituiscono la Commedia, l’opera di Andriessen ispirata al
poema dantesco, andato in scena per la prima volta lo scorso anno all’Holland Festival.
Eseguita per la prima volta a Budapest nel 1928, la Suite dal Mandarino meraviglioso è un pezzo
straordinario, che deve la sua genesi alle ostilità che Bartók (1881-1945) incontrò nell’allestimento di un
pezzo caratterizzato dalla violenza espressionistica della partitura e dalla scabrosità dell’argomento. La
ricerca da parte di un Mandarino cinese dell’amore che, trovato tra le braccia di una giovane donna
(costretta da malviventi a donarsi sessualmente), insieme all’estasi parossistica dell’attimo erotico lo porterà
alla morte, all’epoca viene considerata particolarmente conturbante. Scritta da Lengyel (autore di Ninotchka,
che Lubitsch portò sullo schermo con Greta Garbo, e di Angel, che lo stesso Lubitsch fece interpretare a
Marlene Dietrich), Béla Bartók musica la storia tra il 1918 e il 1919. Al suo debutto a Colonia in forma di
pantomima, nel ’24, il sindaco della città (l’allora giovanissimo Konrad Adenauer) chiese fosse tolto dal
cartellone del teatro perché l’azione scenica appariva “scandalosamente immorale”. Nel 1931 e nel 1941 altri
due tentativi di metterlo in scena furono bloccati per “oscenità” dalle autorità prima ancora del debutto. Nel
’42 un grande coreografo, Aurel Milloss, anch’egli ungherese, lo eseguì per la prima volta in forma di balletto
alla Scala di Milano, e lo spettacolo fu un successo.
Parte di un ciclo compositivo che indaga sul timbro, Tour à tour di Philippe Hurel (1955) “è un gioco di
apparizioni e sparizioni, di alternanza e variazione di situazioni musicali molto caratterizzate e riconoscibili.
Così, la prima parte del pezzo, viva, energica, colorata è interrotta da tre grandi sezioni lente ed espressive, i
cui protagonisti sono gli strumenti a corda. I motivi melodici che si sentono, come onde che si trasformano
lentamente in gamme ascendenti o discendenti, sono presenti anche in altre sezioni di questa prima parte e
sono suonate alternativamente da diversi gruppi strumentali. Le altre parti del pezzo obbediscono a questo
desiderio di alternare combinazioni sonore di diversa natura. Così, nella seconda parte, altri materiali
appaiono alternativamente e sono progressivamente erosi per lasciare via via spazio a semplici impatti
verticali separati da lunghi silenzi. La lunga coda che conclude il pezzo appare come una liberazione
dall’energia sonora per una ritrovata stabilità. L’orchestra fa sentire masse sonore fuse e nessun gruppo si
distingue dall’altro. Il gioco dell’alternanza, del ‘tour à tour’ finisce qui” (P. Hurel).
Marco-Antonio Perez-Ramirez (Santiago del Cile, 1964) Ha acquisito molto presto le basi della musica
folcloristica del suo paese d’origine, ma è in Francia che, dopo essere stato allievo di Alberto Ponce in
chitarra classica, si dedica alla composizione con Sergio Ortega e agli studi di matematica. Con un percorso
inverso, Perez-Ramirez affronta direttamente la musica del ventesimo secolo prima di conoscere quella
romantica, classica o barocca, saltando completamente la progressione storicistica tipica di questi studi. “La
sua esperienza - scrive Tristan Murail - è diversa da quella di molti suoi colleghi. Il suo percorso non
ortodosso conferisce alla sua musica una forza ancora più personale”. Dopo aver ricevuto premi e menzioni
dalle Fondazioni Khatcatourian, Boucourechliev e UNESCO, nel 1996-97 segue il corso di composizione e di
informatica musicale dell’IRCAM. Da allora il suo percorso è influenzato dagli incontri con Tristan Murail,
Marco Stroppa, René Koering, Brian Ferneyhough, Luca Francesconi. Nel 1998, è compositore in residenza
all’Abaye de Royaumont sotto la direzione di Brian Ferneyhough; nel 1999 al GRAME. Ha ricevuto
commissioni dall’Orchestre et Opèra National de Montpellier, Les Percussion de Strasbourg, Orchestre
national de France, Ensemble Intercontemporain, Musica Festival di Strasburgo.
Philippe Hurel (Francia, 1955) Ha studiato musicologia all’Université de Toulouse (1974-’79) e
composizione con Betsy Jolas e Ivo Malec al Conservatoire National Supérieur de Musique de Paris (198083). Ha anche preso lezioni private di informatica musicale con Tristan Murail a Parigi nel 1983. Fra le
onoreficenze ricevute: “pensionnaire” a Villa Medici di Roma (1986-88), Förderpreis der Siemens-Stiftung di
Monaco (1995, Six miniatures en trompe l’oeil), Prix de Compositeurs del SACEM (2002) e Prix de la
Meilleure Création de l’Année al SACEM (2003, Aura). È stato ricercatore dell’IRCAM nel 1985-86 e nel
1988-89, dove ha poi insegnato composizione dal 1997 al 2001; compositore in residenza all’Arsenal de
Metz e alla Philarmonie de Lorraine dal 2000 al 2002. Con Pierre André Valade ha fondato l’ensemble
Court-circuit nel 1990, di cui è direttore artistico. Eseguita in tutto il mondo, la sua musica è stata diretta da
Pierre Boulez, David Robertson, Jonathan Nott, Esa Pekka Salonen, Reinbert de Leeuw, Bernard Kontarsky,
Stefan Asbury, Ken Nagano, Peter Eötvös, Markus Stenz, Ed Spanjaard, Pierre-André Valade, fra gli altri.
L’ICE Ensemble diretto da Christian Knapp presenterà un suo ritratto al Gardner Museum (Boston); Phonus
per flauto e orchestra sarà eseguito dalla Orchestra della Gulbenkian Fundation di Lisbona (Festival Musica
Viva) e da Les Siècles a Royaumont con la flautista Marion Ralincourt. Ha in programma nuove opere
commissionate dall’Abbaye de Royaumont, dall’International Piano Competition di Orléans, dal coro Les
Éléments (Toulouse), dall’ensemble 2E2m (Parigi), dal Cirm (Nizza), dall’ensemble Nikel (Tel Aviv).
martedì 29 settembre ore 22.00
Teatro Piccolo Arsenale
Donatoni / Baratello
 Franco Donatoni Argot per violino solo (1979, 5’)
 Marino Baratello Divina Commedia – VIII Cerchio: Malebolge per pianoforte (2004-2007, 42’) prima
es. ass.
violino Silvia Mandolini
pianoforte Brigitte Poulin
Il pianoforte di Brigitte Poulin e il violino di Silvia Mandolini, dopo il concerto che ha aperto la serata, sono
di nuovo protagoniste, ma in separata sede: la Mandolini affronta l’ardua scrittura di Franco Donatoni di cui
esegue Argot per violino solo, mentre Brigitte Poulin presenta la versione integrale per pianoforte di Divina
Commedia-VIII Cerchio: Malebolge del compositore veneziano Marino Baratello (1951).
Argot è costituito da due pezzi per violino ed è uno di quei rari esempi in cui Franco Donatoni (1927-2000)
non attinge a materiali preesistenti, bensì a “gesti: nel primo caso un arpeggio, nel secondo dei modelli
ritmici molto difettivi come articolazioni di altezze”. Donatoni è lontano anche da concessioni ad acrobatismi
virtuosistici e, semmai, come afferma nella sua presentazione, i due pezzi “intendono seguire le tracce di un
pensiero che si svolge linearmente, pur sottintendendo soluzioni che possono dar luogo a condensazioni
quali, per esempio, il trio About che modula i singoli pezzi per chitarra, violino e viola in un’unica
composizione che assume un aspetto formalmente differente”.
Divina Commedia-VIII Cerchio: Malebolge è un ciclo pianistico - che viene eseguito per la prima volta a
Venezia nella sua interezza - ispirato alle 10 Malebolge dantesche. È suddiviso in 9 pezzi, ognuno dedicato
a una bolgia, considerando che il primo ne descrive due, e basato su un sostanziale polistilismo, come
dichiara lo stesso autore, che precisa: “la scrittura, brillante, virtuosistica, è improntata a un uso decisamente
ritmico-percussivo del pianoforte, lontano quindi dalla tradizione romantica che ne costituisce il carattere più
tipico. Il clima generale è tendente al tragi-comico e implicitamente drammaturgico”.
Marino Baratello (Venezia, 1951) Agli studi artistici ha affiancato quelli musicali frequentando le classi di
Giuseppe Sinopoli ed Ernesto Rubin de Cervin presso il Conservatorio di Venezia. Ha debuttato alla
Biennale di Venezia nel 1979 partecipando da allora a molte delle principali manifestazioni svoltesi in Italia e
all’estero. Recentemente è stato invitato due volte in Giappone nel 2005, dove ha diretto un concerto
monografico di sue musiche presso il Teatro Denki Bunka Kaikan nell’ambito dell’Expo Aichi di Nagoia, e un
secondo concerto presso il Teatro Oji Hall a Ginza, Tokio; nell’autunno 2006 è stato compositore residente
presso il Montalvo Arts Center a S. Francisco, in California; nel 2007 ha diretto altri due concerti in Giappone
alla Suntory Hall a Tokio e alla Munetsugu Hall di Nagoia in un programma di musiche sue e di altri autori.
Fra le sue ultime opere: Sogno del Cavallo Marino per soprano e 8 strumentisti (2001); Gloria per soprano,
contralto, coro, 2 chitarre elettriche, contrabbasso e organo (2002); Divina Commedia: VIII Cerchio:
Malebolge per pianoforte (2004-07); Allologie per 2 arpe e voci recitanti (2005), Viaggio solitario nella città
dell’acqua per flauto e archi (2007); Uomo, vita e passione di Maiakowski secondo Maiakowski, radio-videomonodramma per attore, voce di donna, suoni sintetici e percussioni (dall’omonimo poema, 1997-2008);
Frammenti da frammenti per quintetto (2008); Strings per quartetto d’archi (2009). Affianca all'attività di
compositore quella di docente di conservatorio ed è attivo come direttore d’orchestra.
Mercoledì 30 settembre ore 10.00 – 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati e
con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di Storia delle Arti e
Conservazione dei Beni Artistici
Omaggio a Ernesto de Martino
interventi di Luca Francesconi, Maurizio Agamennone, Paolo Apolito, Franco Fabbri
concerti di Anna Cinzia Villani e Suoni Rurali, Mascarimirì
Conservare e alimentare la memoria (individuale, di coppia, di piccolo gruppo, comunitaria, regionale,
macro-regionale) costituisce una pista su cui marciare per agire nel presente e, soprattutto, per costruire un
futuro vivibile, partecipato e condiviso, per essere individui liberi e sentirsi parte di un gruppo.
Con questa persuasione il segmento Il Paese senza memoria del 53. Festival Internazionale di Musica
Contemporanea della Biennale propone alcuni contributi di riflessione, offerti in forma di Lectio
magistralis, su temi diversi affidati a specialisti di rilievo internazionale, seguiti da momenti di spettacolo
dal vivo coerenti e integrati con i motivi della riflessione.
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della indagine etnografica condotta da Ernesto de
Martino sul tarantismo (Salento, giugno-luglio 1959): nessuno, o quasi, se ne è ricordato, perciò lo
facciamo noi. Quella fu l’occasione in cui un’Italia lanciata verso un “luminoso” sviluppo industriale, che stava
bruscamente voltando le spalle al suo passato, prese drammaticamente atto di conservare ancora sacche di
ruralità e alterità estreme, ma, anche, scoprì come le culture locali avessero, nella storia, elaborato
procedure diverse per trattare e curare il “male di vivere”, qualsiasi ne fossero le motivazioni, con la musica,
il ballo, il tempo, la tenacia e la solidarietà di gruppo. Ernesto de Martino ci ha insegnato come l’assenza, o
l’ignoranza, di queste e altre memorie possa disarmare la ragione e offuscare qualsiasi strategia di
progresso. La ricerca dello studioso napoletano, il suo approccio interdisciplinare alle pratiche culturali, la
documentazione prodotta, saranno valutate dall’antropologo Paolo Apolito (Università di Roma III),
profondo conoscitore oltre che di quella vicenda, anche dei tratti storico-culturali dell’esperienza religiosa
nella Penisola, nella prima Lectio proposta: Ernesto de Martino: tarantismo, religione e storia culturale
a cinquanta anni dalla “mitica” estate del 1959. Lo spettacolo è affidato a due gruppi che rappresentano
gli esiti più interessanti e i poli opposti di quella “nuova onda salentina” che da oltre un decennio è al centro
dell’interesse di musicisti, antropologi, sociologi, operatori turistico-culturali, amministratori locali, manager
politici e dei programmi europei di sviluppo e cooperazione: il quartetto Suoni rurali, l’istanza più vicina alla
memoria del mondo rurale, e il quartetto Mascarimirì, di matrice rom-salentina, singolare ibridazione di
materiali locali con mezzi e pratiche derivati da elettronica, dub, hip-hop.
Maurizio Agamennone
mercoledì 30 settembre ore 18.00
Teatro alle Tese
Venturini / Sarto / Evangelisti / La Licata / Aralla / Kagel
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Franco Venturini Erodìa per due viole ed elettronica (2009, 9')
Andrea Sarto Tau per contrabbasso e percussioni (2008, 6') prima es. ass.
Nicola Evangelisti Croon II per flauto e violoncello (2009, 9') prima es. ass.
Francesco La Licata Okeanos per pianoforte e percussione (2009, 7') prima es. ass.
Paolo Aralla Analogie: secondo quaderno per violino e clarinetto basso ed elettronica (2009, 11')
prima es. it.
 Mauricio Kagel Die Stücke der Windrose per Salonorchester: Osten (1988-89, 6'), Norden (1993-94,
20'30"), Westen (1993-94, 20')
violoncello Francesco Dillon
pianoforte Stefano Malferrari
regia del suono Paolo Aralla
direttore Francesco La Licata
FontanaMIXensemble
Un ensemble italiano di recentissima formazione, il FontanaMIXensemble di Bologna, impagina un
concerto altrettanto “made in Italy” con tre prime esecuzioni assolute e una novità per l’Italia: sono i trentenni
Franco Venturini e Andrea Sarto, Francesco La Licata, Nicola Evangelisti e Paolo Aralla. Alle loro musiche fa
da contraltare, nella seconda parte del concerto, Die Stücke der Windrose, un capolavoro di Mauricio Kagel,
recentemente scomparso.
Nella sua storia recente l’ensemble ha collaborato con autori come Kaija Saariaho, Fausto Romitelli,
Jonathan Harvey, Sylvano Bussotti, Toshio Hosokawa, Gilberto Cappelli, Francesco Carluccio, Giorgio
Magnanensi, Paolo Aralla, Atli Ingolfsson, Paolo Perezzani, Giulio Castagnoli, Maurizio Pisati.
Oltre a Francesco La Licata, che dirige l’ensemble dalla sua fondazione, hanno collaborato i direttori Yoichi
Suiyama e Giorgio Magnanensi, il mezzosoprano Monica Bacelli, il basso Nicholas Isherwood, il pianista
Mauro Castellano, i violoncellisti Frances-Marie Uitti e Francesco Dillon, la flautista Thuridur Jónsdóttir, il
violinista Paolo Chiavacci, il fisarmonicista Corrado Rojac, il contrabbassista Stefano Scodanibbio e il
coreografo Luca Veggetti.
Erodìa, primo brano in programma composto nel 2009 da Franco Venturini (1977), si potrebbe tradurre,
come suggerisce l’autore, con “canto d’amore”. La natura di stato psicologico-percettivo che ispira il brano e
il desiderio di manifestare l’evoluzione di questa dimensione soggettiva e interiore ha portato alla scelta di un
unico strumento, la viola, amplificato attraverso il suo raddoppiamento (sono due le viole utilizzate) e
dall’impiego dell’elettronica. “La forma si potrebbe semplificare con una spirale: essa si organizza in cicli che
tornano su se stessi come l’antica forma della ‘passacaglia’ ma che vanno espandendosi nella duplice
dimensione temporale orizzontale della durata e verticale della densità degli eventi. La fine non è la
conclusione del processo, ma la proiezione dello stesso in un’ulteriore dimensione psicologica” (Franco
Venturini).
In prima esecuzione assoluta, Tau di Andrea Sarto (1979), impiega contrabbasso e percussioni. “Un’arcata
lentissima e un ricochet molto rapido producono due diverse qualità sonore dell’immobilità. Il pezzo traccia
un possibile percorso dall’una all’altra”, spiega l’autore, che era stato un’interressante scoperta della scorsa
Biennale Musica con Hével (Threads).
Una cantilena, un canto sommesso, una canzone sussurrata: è Croon II, terzo brano in programma, una
novità assoluta di Nicola Evangelisti (1964). “Il suono da cui trae origine Croon II è un’oscillazione lenta e
ciclica attorno a pochissimi intervalli, una cantilena, una melopea affidata in particolare alla trasparenza dei
timbri del flauto cui corrisponde un’idea sospesa del tempo, un incedere lento e incerto, un respiro ampio e
continuo. A essa si oppone un andamento mobile, fremente, una rapida e incessante successione di linee
melodiche che da brevi e isolati frammenti del violoncello si trasformano progressivamente in flussi di linee
che disegnano una complessa rete di geometrie variabili, mutevoli, polimorfe. Croon II vive sulla prospettiva
generata dall’alternanza, dall’accostamento, dall’avvicendarsi dei due elementi contrastanti” (N. Evangelisti).
Alla cosmogonia dell’antica Grecia si ispira Francesco La Licata (1957) per Okeanos, “il fiume da cui tutti
discendono”, che circonda il mondo e cinge l’universo in forma di serpente. “In fondo a queste immagini
arcaiche in cui domina il Caos (nel senso antico del termine), nella forza circolare dell’onda infinita di
Okeanos, a tratti anche nelle sue maestose caratteristiche di lontananza e silenzio, nasce un’idea musicale
profonda e fluente che si autogenera, dando vita a diversi accadimenti sonori. Un universo sonoro dinamico
in cui spazio e tempo, timbro e armonia, micro-fonico e macro-fonico sono integrati in un’unica entità
multivalente. Se la scrittura pianistica è il motore di questa circolarità del tempo che fa fluire una serie di
fenomeni acustici, le risonanze della percussione hanno il ruolo di amplificarli in una ciclicità dello spazio” (F.
La Licata).
Conclude la prima parte della serata Analogie: secondo quaderno di Paolo Aralla (1960). Scritto per
violino e clarinetto, è dal fitto intreccio dei due strumenti, quasi un corpo a corpo o un “passo a due” come
scrive Aralla, che si genera il pezzo: i due strumenti “si cercano, si toccano, si respingono, dialogano
analogamente a quanto avviene in un passo a due. Da questa coreografia immaginaria prende vita una
forma musicale che, in un movimento a spirale, torna sempre, ostinatamente, al punto di partenza. Un
processo di lenta trasformazione nel quale il continuo legarsi e separarsi dei suoni crea il respiro, il
movimento; in una sola parola: il tempo”.
Scomparso repentinamente meno di un anno fa lasciando un vuoto incolmabile, Mauricio Kagel (19312008) non cessa di appassionare con la sua musica, di cui colpisce il carattere provocatorio e profetico
insieme. Come Die Stücke der Windrose, in cui Kagel si fa paladino del multiculturalismo –realtà tangibile
dei nostri giorni – per stigmatizzare il fatto che “non siamo più inclini a recepire culture straniere con la
necessaria sensibilità e comprensione” (M. Kagel) e per invitarci a non restare vittime del “vizio
eurocentrico”. Partendo da un elemento squisitamente geografico - i punti cardinali della Rosa dei venti Kagel ci accompagna in un viaggio musicale intorno al mondo, facendoci attraversare le culture più diverse klezmer, musica indios, danze popolari italiane, sonorità polinesiane, jazz e ragtime - e obbligandoci a
cambiare ogni volta punto di vista. Protagonista del viaggio è una Salonorchester, ovvero un ensemble
originariamente destinato alle musiche da ballo nei salotti e nei caffè, che Kagel sceglie sfidando le
convenzioni, giustificato dalla forte componente folclorica e popolare presente nell’opera. “Se si condanna la
Salonorchester, si rifiuta anche il grande valore della musica folclorica. Io non sono un sostenitore a priori
della Salonorchester ma amo l’ambiguità. È per questo che il termine Salonorchester nel titolo della
composizione è così importante. Avrei potuto scrivere facilmente ‘per 9 strumentisti’. Ma ho optato per
‘Salonorchester’ e questo è qualcosa di strano in Europa, dove Salonorchester si riferisce a qualcosa di
‘basso’”.
Degli otto capitoli di cui si compone il ciclo, vengono presentati il primo – Osten (1988-89) – e quelli
conclusivi – Norden e Westen (1993-99).
Franco Venturini (Forlimpopoli, 1977) Pianista e compositore studia musica elettronica con L. Camilleri e
composizione con G. Cappelli e P. Aralla. Integra la sua formazione musicale seguendo classi pianistiche di
P. N. Masi, S. Perticaroli, O. Yablonskaja e corsi di M. Campanella presso l’Accademia Chigiana a Siena
conseguendo il Diploma di Merito. Si perfeziona nell’ambito cameristico con il “Trio di Trieste” alla Scuola
Superiore Internazionale del Trio di Trieste (Duino). Approfondisce gli studi compositivi attraverso seminari di
L. Berio, G. Manzoni, H. Pousseur e masterclass di M. Jarrell, M. Stroppa, B. Ferneyhough, I. Mundry, W.
Rihm presso il Centre Acanthes a Metz e all’Istituto musicale di Darmstadt, dove vince The modern recorder
project – International Composition Competition 2008. Sue composizioni sono state eseguite nel 44°
Internationale Ferienkurse für Neue Musik a Darmstadt, alla Radio Suisse Romande, all’Angelica Festival.
Partecipa al PRIME project: Paetzold Recorder Investigation for Music with Electronics promosso dal
Conservatorio di Lausanne con A. Politano, con esecuzioni nelle Hochschule für Musik di Weimar, Lipsia,
Berlino, L’Aia e a un progetto dedicato al violoncello ed elettronica con F. Dillon e l’Accademia Musicale di
Fiesole. All’attività di compositore affianca quella di pianista collaborando, oltre che con il FontanaMIX, con
l’Accademia Filarmonica di Bologna, Bologna Festival, Teatro Comunale di Bologna; Festival REC; Festival
Internazionale Da Bach a Bartòk, Nuova Consonanza, Ravello Concert Society. Ha suonato anche in
Francia (Salle Cortot – Parigi, Matinées du Piano - Orléans), Croazia, Svizzera, Olanda.
Andrea Sarto (Bologna, 1979) Ha studiato composizione con P. Aralla e musica elettronica con L. Camilleri
al Conservatorio di musica G. B. Martini di Bologna, e Scienze della Comunicazione all’Università di
Bologna, laureandosi nel 2004. Nel 2005 è stato Guest Student presso la Kungliga Musikhögskolan di
Stoccolma (Royal College of Music) dove ha studiato con Lars Ekström, Pär Lindgren e Bill Brunson. È stato
selezionato in numerose competizioni nazionali e internazionali fra cui l’International Gaudeamus Composer
Competition (Amsterdam, 2007 e 2009), Iceberg (Bologna, 2007), Festival Nazionale Giovani Compositori
(Lecco, 2001). Ha seguito diversi workshop e corsi di perfezionamento, quali Orchestra! (a Malmö, 2006),
agli atelier di composizione di Acanthes, (Metz, 2006), allo Stresa EAR-Lab, alI’ISCSM 2005 – International
Summer Course for Composers and Stringplayers (Mirecourt, 2005) e agli atéliers Voix Nouvelles
dell’abbazia di Royaumont, con Brian Ferneyough. Le sue composizioni sono state eseguite alla Biennale di
Venezia (2008), a Royaumont (2008), al Festival di Tempo Reale di Firenze (2008), ai Festival Exitime di
Bologna (2008 e 2009), ad Amsterdam, Ginevra, Metz, Helsingborg, Gävle, Stresa, Mirecourt, Losanna,
Weimar, Lipsia, Berlino, L’Aja, Bologna, Reggio Emilia, Bergamo e Roma (festival What’s Next, 2003). Ha
collaborato con il FontanaMIXensemble, con le classi di flauto dolce del conservatorio di Losanna (con
Antonio Politano) e con le classi di violoncello della Scuola di Musica di Fiesole (con Francesco Dillon); ha
pubblicato e collabora con l’etichetta indipendente Miraloop, e attualmente frequenta il Corso di
Perfezionamento in Composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, sotto la guida di
Ivan Fedele.
Nicola Evangelisti (Bologna, 1964) Si è diplomato a Bologna in composizione e in strumentazione per
banda. In seguito ha seguito i corsi di Franco Donatoni all’Accademia Musicale Chigiana di Siena e i Corsi di
Perfezionamento presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Ha ricevuto numerosi premi e
segnalazioni in concorsi internazionali di composizione: il Concorso di Belveglio, la Biennale ’88 per l’Europa
Mediterranea, il Concorso Alfredo Casella a Siena, Nuove Sincronie a Milano, il III Concurso Internacional
de Composición Pianística Manuel Valcárcel a Santander (Spagna), ICOMS 2001 di Torino, il Concorso G.
Contilli per orchestra sinfonica, il Concorso Togni di Brescia. Sue composizioni sono state presentate in
importanti centri di produzione musicale - Teatro Comunale, DMS, Accademia Filarmonica, Festival
Internazionale di Santander, Tokyo, Santa Barbara University (USA), Drammen (Oslo-Norvegia), Gent
(Belgio), Amsterdam (Gaudeamus), Lausanne - ed eseguite da Österreichisches Ensemble für Neue Musik,
Octandre, Nuove Sincronie, Theater Winter Ensemble, Orchestra Sinfonica Siciliana, FontanaMixensemble,
ECQuartett, Dedalo Ensemble. Interessato agli aspetti della composizione assistita dal calcolatore e
all’utilizzo dell’elettronica live, ha collaborato con istituti di ricerca e produzione quali l’IRCAM di Parigi e
TempoReale di Firenze e ha attivamente partecipato a progetti internazionali come il Progetto Prisma. È
titolare di cattedra di Fuga e Composizione presso il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari.
Francesco La Licata (Palermo, 1957) Dedica la sua attività alla composizione e all'interpretazione della
musica moderna e contemporanea. Importante per la sua formazione è stato l’incontro con Aldo Clementi,
che ha fortemente influenzato il linguaggio delle sue prime opere. Come compositore esordisce nel 1981
nell’ambito della rassegna Opera Prima del Teatro La Fenice di Venezia. Conseguito il diploma di
composizione al Conservatorio di Roma, si dedica anche allo studio della direzione d’orchestra a Londra
(Ernst Read Music Association) e Ginevra (Conservatoire Supérieur de Musique), e inizia a praticare l’attività
esecutiva insieme con quella strettamente creativa. In entrambi i ruoli si fa conoscere presso numerose
istituzioni e Festival di musica contemporanea, in Italia come all’estero: Teatro La Fenice, Orchestra
Regionale Toscana, Teatro Comunale di Bologna, Milano Musica, Festival Nuova Consonanza e Roma
Europa Festival, Ravenna Musica, Accademia Chigiana, Cantiere Internazionale d'arte, Teatro Colon di
Buenos Aires, Orchesterhaus di Salisburgo, Musikhochschule di Zurigo, Orff Zentrum di Monaco di Baviera,
Warsaw Autumn. Nell’ambito del Festival di Gibellina, nel 1987, è stato assistente musicale di Iannis
Xenakis per la rappresentazione scenica della sua opera Oresteia. Nel 2000 esordisce come autore di teatro
musicale con L’Angelo e il Golem, rappresentata in prima esecuzione nell’ambito del Festival di Palermo sul
Novecento e poi ripresa al Festival REC del Teatro Valli di Reggio Emilia (2003). Insegna lettura della
partitura al Conservatorio, ed è direttore musicale del FontanaMIXensemble.
Paolo Aralla (Lecce, 1960) Determinanti per la sua formazione artistica gli incontri con Franco Donatoni,
con il quale studia presso l'Accademia Chigiana di Siena e l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma,
e Marcel Couraud con il quale approfondisce il repertorio sinfonico-corale sia classico che del '900 storico.
Ottiene riconoscimenti in importanti concorsi di composizione fra i quali il Gaudeamus di Amsterdam, il Togni
di Brescia e il Contilli di Messina; nel 1997 il Comitato di Lettura dell'Ensemble Intercontemporain gli
commissiona un lavoro per orchestra, Maree: primo quaderno, eseguito in prima assoluta alla Cité de la
Musique sotto la direzione di Jonathan Nott. Ha inoltre ricevuto commissioni dalla Fondazione Arturo
Toscanini, dal Miller Theatre (Columbia University) di New York, dal Teatro Comunale di Bologna, dal Cedar
Lake di New York, dalla Fondazione Gaudeamus di Amsterdam, dalla Biennale di Venezia, dal Joyce
Theatre di New York. La sua musica è affidata a interpreti quali Günter Neuhold, Eva-Maria Kurhau,
Maurizio Ben Omar, Antonio Politano, Francesco Dillon, Michael Nicolas, Erin Lesser, Yoichi Sugiyama, ed
eseguita da Österreichisches ensemble für Neue Musik, Either/Or ensemble, Zephir ensemble, Orchestra
del Teatro Comunale di Bologna, Orchestra Toscanini. Da diversi anni è impegnato nel campo
dell'informatica musicale (collaborazioni con MM&T, TempoReale e IRCAM) e dal 2001 partecipa
attivamente al progetto PRISMA (Pedagogia e Ricerca Internazionale sui Sistemi Musicali Assistiti da
computer). Insegna composizione presso il Conservatorio G.B. Martini di Bologna.
Mercoledì 30 settembre ore 21.00
Teatro alle Tese – Arsenale
NILSSON / KYBURZ / WEBERN / STRAVINSKIJ / ZAPPA
orchestra
Ivo Nilsson More objects with destinations (2009, 8’) prima es. ass.
Hanspeter Kyburz Parts per ensemble (1994-1995, 23’)
Anton Webern Variazioni op. 30 per orchestra (1940, 8’)
Igor Stravinskij Concertino (1952, 6’)
Frank Zappa The perfect stranger (1984, 13’)
direttore Renato Rivolta
Orchestra di Padova e del Veneto
Una compagine orchestrale che da più di quarant’anni dà impulso alla vita musicale dell’area veneta, con
oltre 120 concerti l’anno e una propria stagione a Padova, attività in tutta Italia e tournée all’estero,
l’Orchestra di Padova e del Veneto sarà a Venezia e alla Biennale con un concerto che avvicina maestri
del passato, Webern e Stravinskij, ad autori delle nuove generazioni, Hanspeter Kyburz e Ivo Nilsson, per
concludersi con la figura atipica di Frank Zappa, autore che si muove in una zona liminare tra rock
sperimentale e musica colta, amato da Boulez e dal suo ensemble.
A creare legami e risonanze fra le musiche in programma è la bacchetta di Renato Rivolta, flautista e
compositore prima di divenire, nel 1989, quando è chiamato come assistente e collaboratore da Peter
Eötvös, direttore d’orchestra alla testa delle più prestigiose formazioni europee del repertorio moderno.
Del quarantenne norvegese Ivo Nilsson (1966), invitato alla Biennale la prima volta nel 2004, verrà
presentato in prima esecuzione assoluta More objects with destinations, versione ampliata di un pezzo
nato come colonna sonora del video di Gary Hill Objects with destinations, a sua volta originato da una
commissione per il cinquantesimo anniversario del Museum of Modern Art di Stoccolma. “L’idea complessiva
del video mostrava quanto fosse facile manipolare visivamente oggetti di uso quotidiano - martelli, raschietti,
pinze - muovendoli in diverse direzioni, fino a farli sovrapporre l’uno all’altro. La musica è costruita in modo
simile, intorno a tre oggetti musicali che si muovono a diverse velocità (33, 45 e 78 rpm, come su un
giradischi) e a volte si arrampicano uno sull’altro” (I. Nilsson).
Autore di una “interpretazione” musicale del misterioso manoscritto Voynich - The Voynich Cipher
Manuscript (1995) – con cui si afferma fra i più brillanti compositori della sua generazione, Hanspeter
Kyburz (1960), svizzero nato a Lagos e residente in Germania, torna alla Biennale con Parts, composto nel
1994-’95. L’opera è un chiaro esempio di scrittura, caratteristica di Kyburz, integrata al computer, dove il
mezzo informatico non diventa strumento di controllo assoluto e l’autore non rinuncia alla propria
espressività originale. Parts esprime un vortice di linee che si rincorrono e si sovrappongono l’una all’altra,
lontano da ogni deriva sterile, governate dalla sensibilità di Kyburz.
Al centro del concerto dell’Orchestra di Padova e del Veneto, due autori che hanno influenzato un’intera
generazione: Anton Webern (1883-1945) con Variazioni per orchestra op. 30 e Igor Stravinskij (18821971) con Concertino. Non a caso accostati, dal momento che nel suo ultimo periodo compositivo
Stravinskij, abbracciando il linguaggio della scuola di Vienna inizialmente osteggiata, si esprime con parole
di profonda ammirazione proprio per Webern.
È lo stesso Webern a definire la novità del suo stile in Variazioni, “che nel materiale segue esattamente le
leggi della natura come le forme del passato seguivano la tonalità, dunque uno stile che forma una tonalità
che sfrutta in maniera ancora diversa le possibilità offerte dalla natura del suono”.
Del Concertino (1952) di Stravinskij esiste un’edizione originaria che risale a più di 30 anni prima, al 1920.
Questo lasso di tempo testimonia il percorso di un artista eclettico come Stravinskij che, nelle note di
presentazione alla prima esecuzione della versione del ’52, scriveva: “Oggi, l’idea che avevo di quest’opera
mi spinge ad amputarla assai considerevolmente per chiarire alcune delle armonie e per rendere più
trasparente il fraseggio del pezzo”. Se il primo violino conserva un ruolo di primo piano come solista, gli
strumenti dell’orchestra si suddividono in gruppi di due o di tre.
Compositore autodidatta e onnivoro, anarchico e provocatore, Frank Zappa (1940-1993) sfida ogni
definizione con il suo irripetibile sincretismo musicale. L’amore per Varèse e Stravinskij, l’attrazione per la
composizione a tutto tondo, l’idea di vedere le sue musiche realizzate da organici sempre più allargati fino
alla grande orchestra sono tutti elementi che indirizzano la ricerca musicale di Frank Zappa. Lumpy Gravy
(1967) è presentato anche alla Royal Albert Hall di Londra; Uncle Meat, dello stesso anno, è un collage
sonoro in cui riecheggiano motivi stravinskiani e varèsiani; 200 Motels (1970) è un film musicale che avrà
anche una versione live all’Ucla con la Los Angeles Philharmonic diretta da Zubin Metha; il percorso di
Zappa procede fino alle grandi partiture per orchestra sinfonica, registrate dalla London Symphony
Orchestra che le eseguì sotto la direzione di Kent Nagano (pubblicate nel 1983 e nel 1987). Sarà Pierre
Boulez, poi, a commissionargli un brano per il suo ensemble, l’Intercontemporain. Nasce così The Perfect
Stranger, che verrà pubblicato in un album omonimo, con la direzione dello stesso Boulez (1984). E sarà
per l’Ensemble Modern che Zappa creerà il suo ultimo lavoro, The Yellow Shark, eseguito anche alla Scala
di Milano dal Divertimento Ensemble. Come ha detto Boulez: “per Frank Zappa verrà il tempo in cui gli verrà
riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi compositori del ‘900”.
Ivo Nilsson (Svezia, 1966) Compositore e trombonista, Ivo Nilsson è considerato uno dei massimi interpreti
del suo strumento, di cui è anche energico e straordinario innovatore nella pratica esecutiva. Ivo Nilsson
debutta come solista con l´Orchestra Radiosinfonica Svedese nel 1989, dopo gli studi all´Accademia di
Musica di Stoccolma e all´IRCAM di Parigi. Lo stesso anno fa anche il suo debutto come compositore con
una prima eseguita dall’ensemble l’Itinéraire a Radio France. La sua musica è stata eseguita da interpreti
internazionali - Ensemble Son, Ensemble Recherche, Kammarensemble, Nouvel Ensemble Moderne,
Orchestre des Flûtes Français – e in molti festival - Beyond 440 Hz (Los Angeles), Gaudeamus
(Amsterdam), Huddersfield Contemporary Music Festival (Gran Bretagna), Ilhom (Tashkent, Uzbekistan),
Musica (Strasburgo), Roaring Hoofs (Mongolia), 2 Days and 2 Nights (Odessa), Sonorities (Belfast), Spazio
Musica (Cagliari), Spectra (Tirana), Time of music (Viitasaari, Finlandia), Ultima (Oslo), Autunno di Varsavia
e World Music Days (Hong-Kong). La sua musica è stata registrata dalle radio BBC, DR, RNE, SR, YLE, e
dalle etichette Adriadne, Phono Suecia e SFZ Records. Ivo Nilsson è direttore artistico del festival di Nuova
Musica di Stoccolma nel 2003 e nel 2005.
Hanspeter Kyburz (Lagos, 1960) Nato in Nigeria da genitori svizzeri, nel 1980 Kyburz comincia a studiare
composizione a Graz con A. Dobrowolsky, Gösta Neuwirth e Franc Michael Beyer. Successivamente studia
alla Univesität der Künste a Berlino e con Hans Zender a Francoforte. Nel 1990 riceve il Boris Blacher Prize
e vince la borsa della Cité Internationale des Arts per il 1990-‘91 a Parigi. Nel 1991 collabora con InselMusik-Konzerte group a Berlino. Fra i premi ricevuti: Schneider-Schott Prize nel 1996 e Förderpreis Prize
dalla Berlin Akademie der Künste nel 1994. La sua musica è stata eseguita alla Berlin Biennale, alle Wiener
Festwochen, al Wittener Tagen für Neue Kammermusik e a Donaueschingen. Hanspeter Kyburz ha scritto
per l’Ensemble Intercontemporain, Südwestfunk Radio, Konservatorium di Basilea, Steirischen Herbst,
Schleswig-Holstein festival, Sender Freies a Berlino e Süddeutschen Rundfunk. Il primo settembre del 2006,
Simon Rattle e la Berlin Philharmonic hanno eseguito la prima londinese di Noesis, inserito nella Promenade
Concert Season della London’s Royal Albert Hall. Dal 1997, Kyburz è professore di composizione alla Hanns
Eisler University di Berlino.
Giovedì 1 ottobre ore 10.00 - 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati e
con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di Storia delle Arti e
Conservazione dei Beni Artistici
Migranti, corpi, storie e memorie
interventi di Cecilia Pennacini, Umberto Fiori, Vincenzo Caporaletti
sequenze filmiche tratte dalle opere di Jean Rouch, Diego Carpitella e Cecilia Pennacini.
La memoria costituisce frequentemente un filtro, che mette da parte e dimentica fatti e accadimenti poco
graditi o cui si attribuisce scarso rilievo: la memoria prende le distanze dalla storia. Le vicende della
migrazione italiana nel mondo sono significative in questa direzione e hanno lasciato tracce interessanti
intorno all’azione musicale dei migranti italiani: basta cercarle e interpretarle. Vincenzo Caporaletti
(Università di Macerata), uno dei massimi esperti europei di storia e analisi del jazz, proporrà una
riflessione sulle Radici italiane nel jazz delle origini mostrando come gli italiani in America, di recente
insediamento, condividessero strettamente ambienti, residenze, esperienze di lavoro e musicali con gli
americani di origine africana, contribuendo non poco ad alimentare le nuove pratiche musicali che
emergevano “alle origini del jazz”, in uno scenario di contiguità e prossimità in gran parte sconosciuto e
sorprendente.
La conservazione della memoria si esercita altresì nella documentazione delle pratiche culturali e
l’antropologia visuale è una delle prospettive più efficaci: Cecilia Pennacini (Università di Torino), cineasta
e antropologa, proporrà una rassegna delle immagini più celebri nella ripresa di possessione, trance
e linguaggi specifici del corpo, utilizzando materiali visuali di maestri (Jean Rouch e Diego Carpitella) e
materiali propri, raccolti nell’Africa sub-sahariana.
Maurizio Agamennone
Giovedì 1 ottobre ore 18.00
Sale Apollinee – Teatro La Fenice
LIGETI / KURTÁG / BARTÓK
quartetto d’archi
György Ligeti Quartetto d’archi n. 1 ‘Metamorphoses nocturnes’ (1953-54, 20’)
György Kurtág Hommage à Mihály András op. 13 – 12 Microludi per quartetto d’archi (1977, 10’)
Béla Bartók Quartetto n. 4 (1928, 23’)
Quartetto d’archi del Teatro La Fenice
Bartók, Ligeti, Kurtág: significativamente il trittico di autori ungheresi, tutti ugualmente lontani dal
mainstream del loro tempo e tutti uniti da una totale autonomia di ricerca, svincolata da teorie e mode, è
protagonista del concerto del Quartetto d’archi del Teatro La Fenice.
Soffermarsi su questa unicità, che suggestivamente sembra riflettere la peculiarità della lingua ungherese –
dalle origini oscure e totalmente estranea al resto d’Europa – serve a tracciare, nel dialogo tra i tre quartetti
presentati, non solo la genesi di una parte della musica contemporanea, ma anche il sottile gioco di
relazioni, prestiti e omaggi che si innesca tra il maestro e i suoi “allievi”.
È per seguire le lezioni di Bartók, atteso da New York perché riprenda il suo posto al Conservatorio di
Budapest, che sia Ligeti che Kurtág passano clandestinamentte il confine (erano infatti ungheresi nati nei
territori ceduti alla Romania dopo la prima guerra mondiale) e raggiungono la capitale, ma qui vengono
raggiunti dalla notizia della morte improvvisa del Maestro.
Inaugurato nella scorsa edizione del Festival, il Quartetto d’archi del Teatro La Fenice è di nuovo ospite della
Biennale Musica con i suoi validi strumentisti: Roberto Baraldi e Gianaldo Tatone al violino, Daniel
Formentelli alla viola ed Emanuele Silvestri al violoncello.
Nel perimetro tracciato da Bartók con la sua ultima, più sperimentale, produzione quartettistica, si colloca il
primo Quartetto di Ligeti (1923-2006), intitolato Metamorphoses Nocturnes, dove le metamorfosi alludono
alla forma della variazione - una sequenza di variazioni che si succedono all’interno di un unico movimento e l’aggettivo indica invece il tono generale del brano. “Le metamorfosi del nucleo tematico producono una
successione di sezioni contrastanti, brevi semi-movimenti che si susseguono senza soluzione di continuità.
(C’è solo un’unica piccola pausa al centro del brano, tra una lieve e lenta sezione simile a un corale e una
variazione valzeristica molto contrastante.) La successione di sezioni contrastanti diventa sempre meno
chiara verso la fine, e si trasforma gradualmente in una forma simile al rondo con un ritornello irregolare
costituito dalla trasformazione subita dal nucleo tematico originario” (G. Ligeti, 1977). Affettuosamente
considerato “preistorico” dallo stesso Ligeti, il Quartetto testimonia la ricchezza linguistica raggiunta nel
periodo immediatamente antecedente al suo espatrio per stabilirsi in Europa occidentale.
Concepito come omaggio all’amico András Mihály, violoncellista e direttore d’orchestra, in occasione del suo
sessantesimo compleanno, il secondo Quartetto per archi di Kurtág (1926) si configura nella forma, tanto
cara all’autore, di 12 Microludi, ovvero di un ciclo di piccole miniature che, nonostante la brevità,
manifestano tutta la gamma espressiva del compositore.
Il cerchio si chiude con il capolavoro di Bartók (1881-1945) e il suo quarto Quartetto, che risale al 1928. È il
quartetto più sperimentale della sua produzione, quello in cui, accanto alla tecnica compositiva per
espansione di un nucleo originario, fa irruzione in maniera massiccia la materia, intesa in tutta
l’indeterminatezza del rumore. L’evoluzione stilistica che il quartetto rappresenta e le tecniche strumentali –
soprattutto di tipo percussivo – volte ad ampliare ulteriormente la gamma espressiva avranno un’influenza
enorme sulla generazione del dopoguerra.
Giovedì 1 ottobre ore 21.00
Teatro Goldoni
JOSÉ-MARÍA SANCHÉZ-VERDÚ / AURA
opera da camera
musica e libretto Josè Maria Sanchez Verdú
dal romanzo omonimo di Carlos Fuentes
regia Susanne Øglænd
scene Mascha Mazur
luci Andreas Fuchs
video Jan Speckenbach
con Sara Sun (soprano), Consuelo: Truike van der Poel (mezzosoprano), Felipe: Andreas Fischer (basso)
direzione musicale José-María Sánchez-Verdú
Neue Vocalsolisten Stuttgart, Kammerensemble Neue Musik Berlin
auraphon: SWR Experimentalstudio
produzione Musik der Jahrhunderte Stuttgart, Operadhoy Madrid, La Biennale di Venezia
nell’ambito del progetto ENPARTS – European Network of Performing Arts
con il supporto del Programma Cultura dell’Unione Europea
Nel 2008 la Biennale di Venezia ha avviato il primo progetto pluriennale italiano condiviso e sostenuto dal
Programma Cultura dell’Unione Europea, con l’idea di dare impulso a una Europa che possa trovare unità
anche nel nome dei linguaggi della cultura. Attraverso i settori Danza Musica e Teatro, la Biennale ha creato
una rete dello spettacolo dal vivo – European Network of Performing Arts (ENPARTS) – che coinvolge
altri sei partner di rilievo internazionale, ugualmente interessati ai nuovi linguaggi e alla sperimentazione di
nuove forme di creatività: Dance Umbrella di Londra, Dansens Hus di Stoccolma, Berliner Festspiele –
Spielzeit Europa, Bitef di Belgrado, Musicadhoy di Madrid, Musik der Jahrhunderte di Stoccarda.
L’elaborazione e la produzione di nuove scritture sceniche nelle discipline coreografiche, teatrali, musicali, di
opere audiovisive che ne testimonino la genesi e gli esiti, la promozione di laboratori e campus di ricerca
pluridisciplinari sono parte fondante del programma comune che coinvolge tutti i partner.
L’opera multimediale di José-María Sanchéz-Verdú, Aura, nasce nel contesto della rete europea dello
spettacolo; dopo il debutto in prima assoluta al Teatro de la Zarzuela di Madrid (30-31 maggio), Aura sarò in
scena al Theaterhaus di Stoccarda (17-18 luglio) e al Teatro Goldoni di Venezia l’1 ottobre.
José-María Sanchéz-Verdú (1968), autore del libretto e compositore delle musiche, si è ispirato
all’omonimo romanzo di Carlos Fuentes per la sua opera da camera Aura. Esponente di quel “realismo
magico” che caratterizza tanta letteratura latinoamericana, nei romanzi di Fuentes gli eventi accadono quasi
simultaneamente, il confine tra la vita e la morte viene meno, la realtà e la finzione si confondono.
In Aura, Fuentes descrive in maniera sorprendente le esperienze di un uomo nella casa di una signora
anziana: mentre sta cercando lavoro, il giovane storico Felipe entra in una casa vecchia e oscura di un
quartiere che credeva disabitato. Diventa un impiegato al servizio della vedova Consuelo, che vive in quella
casa con la giovane nipote Aura. Uno dei suoi compiti è quello di restare in casa con le due donne. Felipe
lavora nella tenuta del defunto generale Llorente. In poco tempo i confini tra la realtà e l’illusione si
confondono. Cosa è reale, cosa è immaginato, e le due donne sono davvero due persone diverse? Felipe
diventa anche una specie di reincarnazione del generale morto. Il passato e il presente sembrano non
seguire più una successione cronologica lineare, ma si intersecano e si sovrappongono.
Da questa trama fantastica Sanchéz-Verdú sviluppa una percezione suggestiva della musica e dello spazio.
Pensando all’atmosfera particolare creata dal modello letterario, il compositore ha sviluppato, insieme al
SWR Experimentalstudio, un nuovo strumento: l’Auraphon, che consiste in cinque gong e tam-tam assegnati
in gran parte al personaggio principale. Le voci dei Neue Vocalsolisten e l’elettronica creano vibrazioni
leggere che producono oscillazioni misteriose. Il suono sembra gonfiarsi dal nulla per rifluire nel nulla.
L’idea del video, che utilizza sia parti pre-registrate che live, solleva il motivo del doppelgaenger, ovvero del
sosia, dell’alter ego, trasferendolo dal testo originario, di cui è tema conduttore, al palcoscenico dell’opera.
José Maria Sánchez-Verdú (Algeciras - Spagna, 1968) Diplomato in direzione d’orchestra, musicologia e
composizione al Real Conservatorio Superior de Música di Madrid (dove poi insegnerà contrappunto per
diversi anni), Verdú ha conseguito anche una laurea in legge alla Universidad Complutense. Dal 1996 al
1999 si perfeziona in direzione d’orchestra con Arturo Tamayo e Wojciech Rajski e in composizione con
Hans Zender alla Hochschule für Musik und Darstellende Kunst di Francoforte. Nel 1997 è compositore in
residenza presso l’Accademia di Spagna a Roma. Come direttore ha lavorato con molti ensemble di musica
contemporanea tra Spagna, Italia, Germania. Ha ricevuto commissioni dalla Biennale für Neue Musik di
Hannover, dal Padiglione tedesco dell’EXPO 2000, dal Festspiele Mecklenburg-Vorpommern, SchleswigHolstein Musik Festival, Orquesta Nacional de España, Orquesta Sinfónica de Madrid, dal Festival
Internacional de Música y Danza di Granada, dal Teatro Münchener Biennale (che gli ha richiesto un’opera
da camera per il 2006), dal Teatro Real di Madrid (che gli ha commissionato un’opera per il 2007). La sua
musica è programmata da numerosi festival e istituzioni - Tage für Neue Musik (Stoccarda), Saarbrücken
Festspiele, Alte Oper (Francoforte), Philharmonie (Berlino e Colonia), Konzerthaus (Berlino), Gawandhaus
(Lipsia), Progetto-Musica (Roma), Spring Festival (Praga), Concertgebouw (Amsterdam), Lincoln Center
(New York). Fra i premi per le sue opere: Cristóbal Halffter (1995), due premi SGAE (1996 e 1997), il premio
del Ministero della Cultura spagnolo Colegio de España a Parigi (1998), il primo premio della Junge
Deutsche Philharmonie (1999), Förderpreis in Komposition della Ernst von Siemens Musikstiftung (Monaco,
2000), il premio della Bergische Biennale (Wuppertal, 2001), il premio nazionale spagnolo per la musica
(2003). Dall’ottobre 2001 insegna composizione alla Robert-Schumann-Musikhochschule di Düsseldorf. Vive
a Berlino.
Venerdì 2 ottobre ore 10.00 - 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati e
con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di Storia delle Arti e
Conservazione dei Beni Artistici
Corpi, gesti e musiche in area balcanica
interventi di Luca Marconi, Nicola Scaldaferri
concerti di Janus Delaj (lahutar) e del gruppo di polifonia çam albanese
Nella musica la memoria si manifesta altresì come un’arte specifica: il guslar-lahutar della regione
balcanica è un cantore epico che si accompagna con un cordofono ad arco (piccolo violino sostenuto
verticalmente); il guslar-lahutar è una sorta di Omero contemporaneo, capace di ricordare e rianimare, nella
performance, migliaia di versi della poesia epica locale: Janus Delaj, lahutar albanese ne fornirà una
testimonianza di altissimo interesse, opportunità rara e preziosa di ascolto. La musica può conservare e
celebrare altresì la consapevolezza della identità di genere: la polifonia tradizionale çam albanese (due
solisti sostenuti dall’iso, bordone di gruppo), nel grande impegno virtuosistico dei cantori, costituisce
espressione tipica della identità e cerimonialità maschile. Nicola Scaldaferri (Università di Milano Statale), a
commento di questo segmento euro-orientale, proporrà la sua Lectio su Corpi, gesti e musiche in area
balcanica.
Maurizio Agamennone
Venerdì 2 ottobre ore 18.00
Teatro alle Tese – Arsenale
PEROCCO / CENDO / DE PABLO / BERIO
orchestra
Filippo Perocco Altri corti per orchestra (2007, 10’) prima es. it.
Raphaël Cendo Masse-Métal 2 per 25 strumenti (2006, rev. 2009, 23’) prima es. ass.
Luís De Pablo Razón dormida per 14 strumenti (2003, 22’)
Luciano Berio Requies per orchestra da camera (1983-84, 10’)
direttore Fabián Panisello
Mitteleuropa Orchestra
La Mitteleuropa Orchestra amplia l’orizzonte delle collaborazioni che la Biennale di Venezia ha avviato nel
territorio, aggiungendosi al partner storico del Festival di Musica Contemporanea, l’Orchestra del Teatro La
Fenice, e all’Orchestra di Padova e del Veneto. Di recente costituzione, la Mitteleuropa Orchestra svolge
un’intensa attività volta a valorizzare il patrimonio artistico e musicale della Regione Friuli-Venezia Giulia e
delle regioni contermini – come Carinzia, Slovenia, Veneto – collaborando con istituzioni nel territorio e
all’estero. Sul podio di questa orchestra si sono succeduti direttori come D. Renzetti, G.G. Rath, G.
Pehlivanian, M. Hamel, E. Rojatti, G. Schmoehe, B. Kocsár, R. Gessi, Y. Sugiyama, Lü Jia, P. Rophè, A.
Lonquich e P. Guth.
Diretto da Fabián Panisello, argentino di nascita ma europeo di formazione e oggi una delle figure
preminenti della vita musicale iberica, il concerto veneziano offre pagine di nuova musica composte da
Filippo Perocco e Raphaël Cendo accanto a pagine memorabili di Luís De Pablo e Luciano Berio.
Al suo secondo appuntamento con la Biennale, che gli aveva commissionato un pezzo nel 2007, Filippo
Perocco (1972) presenta un ciclo di brani in prima esecuzione italiana dal titolo di ispirazione
cinematografica, Altri corti, con cui allude, appunto, alla brevità delle composizioni. Concepito come
secondo capitolo di Corti e di varia ricreazione del 2005, Altri corti è stato composto ed eseguito per la prima
volta al Festival Acanthes 2007. Scrive l’autore: “Una serie di cinque miniature (corti) per orchestra. Un unico
oggetto-materiale visto da angolazioni diverse e presentato attraverso processi di erosione distinti”.
A seguire un pezzo di Raphaël Cendo (1975), per la prima volta alla Biennale, con una novità assoluta,
Masse-Métal 2. Sulla falsariga dell’originario Masse-Métal per 25 strumenti, un’esplorazione sonora
compiuta “per ondate regolari e progressive originate da blocchi sonori metallici, compatti e densi”, MasseMétal 2 approfondisce la personale riflessione dell’autore sulla saturazione strumentale, ma anche sullo
sforzo di avvicinarsi “il più possibile al suono del mio tempo, di afferrarne la violenza per capirla meglio” (R.
Cendo)
Come era già avvenuto per Desastres de la guerra, anche per Razón dormida De Pablo (1930) si ispira a
un famoso quadro di Goya, di cui esistono diverse versioni e che riecheggia fin dal titolo: El sueño de la
razón produce monstruos. Nella versione preferita da De Pablo, “uno dei gufi – o forse pipistrelli –, che
girano attorno al dormiente, tiene la fronte del pittore e la contempla con aria di commiserazione. La sagoma
del dormiente ricorda, a sua volta, quella di Goya. Si tratta di uno sdoppiamento. … Non credo sia
necessario conoscere i disegni per ascoltare la composizione. Inoltre l’opera di Goya fa parte della nostra
cultura, anche se, come in tutta la sua poetica, il suo significato profondo (almeno parzialmente) continua a
essere un enigma (non parliamo delle interpretazioni storiche o dell’epoca: sono troppo facili. Goya va al di
là). Questa è la vertigine di fronte al pozzo nero e senza fondo della nostra coscienza (che Goya osa
mostrare senza paura) e lo stimolo che ha fatto nascere Razón Dormida” (L. De Pablo)
Composto per l’Orchestre de chambre de Lausanne, ma presentato in versione integrale al Festival di Aspen
nel 1985 con la direzione dello stesso Berio (1925-2003), Requies è dedicato alla memoria di Cathy
Berberian: “Un’orchestra suona una melodia. Piuttosto, descrive una melodia: ma solo come un’ombra può
descrivere un oggetto e un’eco può descrivere un suono. La melodia si svolge incessante ma discontinua,
attraverso ritorni e digressioni, attorno a un centro mobile, lontano, forse indecifrabile a chi ascolta” (L.
Berio). Un afflato onirico aleggia su queso brano che, come ha colto il critico Giorgio Pestelli, appare
conservare e restituire la memoria della famosa cantatrice, “separata dai suoni del mondo, come un sogno o
un incantesimo”.
Filippo Perocco (Treviso, 1972) Diplomato in organo presso il Conservatorio Benedetto Marcello di
Venezia, dove ha poi conseguito il diploma in composizione sotto la guida di Riccardo Vaglini, ha studiato
anche direzione d’orchestra con Emilio Pomarico a Milano e con Sylvain Cambreling a Mainz. Premiato al
Concorso di Composizione A.GI.MUS. (1998), ha partecipato al 40° e 41° Ferienkurse von neue Musik
Darmstadt (2000-2002) e a Compositori a confronto 2002 e 2003 (Reggio Emilia), seguendo i diversi
workshop di composizione (Salvatore Sciarrino, Toshio Hosokawa, Olga Neuwirth, Michaël Lévinas, Tristan
Murail, Wolfgang Rihm, Sylvano Bussotti, Giacomo Manzoni, Alessandro Solbiati etc.). Selezionato dal
Gaudeamus Music Weeks e dal Festival Manca, sue opere sono state commissionate ed eseguite da
Holland Symphonia, Dresdner Sinfonikern, Young Janáček Philharmonic Orchestra (Cantiere Internazionale
d’Arte, Montepulciano), Sinfonia Varsovia (Autunno di Varsavia ‘06), Orchestre National de Lorraine,
Filarmonica Veneta, IXION Ensemble (Londra), Ensemble Aleph (Parigi), Vokalensemble Neue Musik Berlin,
Trio KAIDA (Amsterdam), ASTRA Chamber Choir (Melbourne). Compositore in residenza al KunstForum
Hellerau di Dresda (luglio ’06), coautore delle musiche del monologo di Dino Villatico Voi che ascoltate
(Venezia, Ateneo Veneto e Teatro La Fenice, febbraio ‘05), è fondatore e direttore de L’Arsenale e del
Teclas, gruppo/laboratorio finalizzato alla composizione, elaborazione ed esecuzione di nuove musiche.
Raphaël Cendo (Francia, 1975) Ha studiato pianoforte e composizione all’École Normale de Musique di
Parigi, dove ottiene il diploma nel 2000. Si inscrive al corso di composizione del Conservatoire National
Supérieur di Parigi nel 2003 e poi segue il corso annuale di composizione e informatica musicale all’IRCAM,
che conclude nel 2006. Ha seguito gli insegnamenti di Alain Gaussin, Brian Ferneyhough, Fausto Romitelli e
Philippe Manoury. Scrive opere per ensemble internazionalmente noti, come L’Itinéraire, l’Ensemble
Intercontemporain, l’Orchestre Nationale de l’Ile-de-France, Ictus, il Nouvel Ensemble Moderne, l’Orchestre
Symphonique di Montréal. Nelle sue opere suonano e dirigono, tra gli altri, Miquel Bernat, Alain Billard,
Daniel Kawka, Jean Deroyer, Pascal Rophé, Peter Rundel e Lorraine Vaillancourt. Parecchi di questi pezzi
sono eseguiti nell’ambito di importanti manifestazioni come Lille, Capitale Européenne de la culture all’Opéra
di Lille, Centre Georges Pompidou, Mito a Milano, Radio France a Montpellier, Ars Musica a Bruxelles, Voix
Nouvelles Royaumont, Présences di Radio France e Musica a Strasburgo. Nel 2007, Raphaël Cendo ha
ricevuto il premio Espoir, conferito dalla fondazione Francis e Mica Salabert, per il concorso internazionale di
composizione dell’Orchestre Symphonique de Montréal. Dal 2008, insegna composizione al conservatorio di
Nanterre.
Venerdì 2 ottobre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
CARMEN LINARES
Antologia
Carmen Linares voce
Salvador Gutierrez chitarra
Ana Maria González voce e palmas
Javier González voce e palmas
Al flamenco, una straordinaria forma d’arte in cui confluiscono musica canto e danza, artisti e intellettuali
spagnoli hanno dedicato la loro passione, il loro impegno e la loro creatività considerandolo una delle
espressioni più alte della tradizione e della natura di un popolo. Basti pensare alla “poesia dei suoni” di
García Lorca, che culmina nel Poema del Cante Jondo e che in questa musica ancestrale affonda le radici.
Ed è sempre Lorca, che al flamenco dedicherà anche conferenze e saggi, a farsi promotore - insieme a
Manuel de Falla, compositore per il balletto Amor Brujo, altro grande omaggio alla cultura gitana, e al pittore
Ignacio Zuloaga - della prima Fiesta del Cante jondo nel 1922 a Granada. A questa tradizione alta si
riallaccia la “cantaora” Carmen Linares, che con la sua voce ineguagliabile incarna il fascino di una
memoria arcaica: interprete del più autentico canto flamenco, quello che esprime le emozioni più profonde e
intime, il “cante jondo”, Carmen Linares è oggi un’artista internazionalmente nota.
Dall’Andalusia, dove è nata, Carmen Linares si è trasferita a Madrid nel 1965, dove ha incontrato gli artisti
più noti del tempo – Pepe Matrona, Juan Varea, Rafael Romero o Fosforito. Alla fine degli anni ’60 ha
cominciato la sua carriera professionale nelle compagnie di danza di Carmen Mora e Paco Romero,
pubblicando il suo primo album nel 1970 accompagnata da Juan “Habichuela”. Seguirà Chinitas, che
riunisce talenti come Camarón, Enrique Morente, Perla de Cadíz, Serranito, gli “Hablachuelas”.
La voce di Carmen Linares è stata scelta per interpretare Amor Brujo di Manuel de Falla in occasione
dell’inaugurazione della VI Biennale dell’arte flamenca a Siviglia. Ma Carmen Linares è stata anche capace
di coniugare il ‘cante jondo’ con orchestre da camera e sinfoniche: è stata una delle prime artiste di flamenco
a esibirsi al Lincoln Center, invitata dalla New York Philharmonic Orchestra. Il New York Times ha parlato di
lei come di “una cantante dall’incredibile forza espressiva”. Ha eseguito Amor Brujo accanto a direttori della
statura di Frühbech de Burgos, Josep Ponse, Leo Brouwer e La vida breve – sempre di de Falla - al Colon
Theatre di Buenos Aires, alla Sidney Opera House e al Teatro Grande di Cordoba in Spagna.
Nella sua Antología de la mujer en el cante (1996), considerato un album chiave nella musica flamenca,
Carmen Linares recupera documenti preziosi del passato che interpreta con la modernità della sua voce e
della sua sensibilità musicale. La sua produzione discografica e la sua attività di artista sono state
ampiamente riconosciute: fra i premi ricevuti ricordiamo l’ICARUS (1988), la Medaglia d’argento del Governo
dell’Andalusia (1998), il Premio nazionale spagnolo di musica (2001), la Medaglia d’oro in Belle Arti (2006).
Antología flamenca, Canciones populares de Lorca, El amor Brujo, Popular y Jondo rappresentano i
caposaldi della carriera artistica della Linares, a cui si aggiungono, nel 2007, Falla, Lorca y Cante Jondo e
De aire y madera. Il suo “cante” potente e genuino è arricchito dalla conoscenza profonda della musica
flamenca e riesce a commuovere spontaneamente il pubblico. Il flamenco – hanno scritto – è cresciuto con
lei.
Sul palcoscenico della Biennale Musica, Carmen Linares presenterà un florilegio di brani sulla chitarra di
Salvador Gutierrez e con l’accompagnamento vocale di Ana Maria e Javier González.
Venerdì 2 ottobre ore 22.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il corpo elettrico
presentazione Études Campus Enparts
Accanto alla produzione dell’opera audiovisiva di José Maria Sánchez-Verdú, il progetto europeo promosso
dalla Biennale di Venezia con festival e istituzioni che operano nella ricerca e nel rinnovamento del
linguaggio delle arti performative (ENPARTS) ha in programma anche la realizzazione di un laboratorio
pluridisciplinare che coinvolge le diverse discipline performative.
Intitolato Il corpo elettrico – in omaggio al Futurismo di cui si celebra il centenario e la cui memoria serpeggia
all’interno dell’intero Festival – il laboratorio è dedicato all’esperienza pratica e in tempo reale della creazione
artistica tra musica, teatro, danza, e coinvolgerà 12 giovani artisti europei selezionati nelle diverse discipline,
sulla scorta dei progetti presentati.
L’esito finale, definito propriamente Études per il suo carattere sperimentale, verrà reso pubblico dopo una
sessione di elaborazione artistica – condotta dal 22 settembre al 2 ottobre - con il coordinamento di Luca
Francesconi e il supporto di un gruppo di artisti in residenza.
Sabato 3 ottobre ore 10.00 - 17.00
Teatro Piccolo Arsenale
Il Paese senza memoria
Incursioni antropologiche: corpi e memorie nella musica
a cura di Maurizio Agamennone e Luca Francesconi
in collaborazione con Fondazione Giorgio Cini onlus – Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati e
con Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di Storia delle Arti e
Conservazione dei Beni Artistici
Corpo e trance
interventi di Michele Lomuto, Suguru Goto, Simha Arom
concerto di Gamako
La memoria è una formidabile piattaforma di acquisizione, “stoccaggio”e richiamo di informazioni, modelli,
schemi, quadri cognitivi che risultano determinanti nell’agire musicale, soprattutto nelle musiche basate su
procedure estemporanee di realizzazione. Simha Arom, massimo musicologo africanista, proporrà una
riflessione su: Modelli mentali, memoria e azione performativa nelle musiche dell’Africa centrale; a
completamento del suo contributo si pone la musica del gruppo Gamako, musicisti africani residenti in
Francia, stretti collaboratori di Arom, rappresentativi di tradizioni musicali molteplici, dal Gabon, al
Madagascar alla Costa d’Avorio.
Maurizio Agamennone
Sabato 3 ottobre ore 18.00
Teatro alle Tese – Arsenale
EXIT_02
Brake Drum Percussion Ensemble
Edgard Varèse Ionisation per 13 percussionisti (1929-31, 7’)
Steve Reich Clapping Music per due performers (1978, 3’)
Lionel Peintre voce
Georges Aperghis 14 Jactations per baritono (2001, 30’)
Elena Casoli chitarra elettrica
Gabriele Manca Luogo dell’incendio (2009) prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
Maurizio Pisati ELETTRICO per chitarra elettrica sola (2007, 15’) prima es. it.
Michele Tadini Scenario per chitarra elettrica e traccia audio (2001, 9’)
Elliott Carter Shard per chitarra elettrica sola (1997, 3’)
Concerti per Intonarumori
Mauro Lanza Nuova creazione prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia)
Fabio Cifariello Ciardi Appunti per Amanti Simultanei I per trombone, intonarumori ed elettronica, prima es.
ass. (commissione La Biennale di Venezia)
Suguru Goto
RoboticMusic (performance, 10’)
Roberto Fabbriciani flauto
Alvise Vidolin live electronics
Luigi Nono Das atmende Klarsein, fragment per flauto basso, nastro magnetico e live electronics (1981, 11’)
Mauricio Sotelo A Roberto: la chiarezza deserta per flauto (2008-2009, 9’)
Michele Lo Muto trombone
Luciano Berio Sequenza V per trombone solo (1966, 6’)
Azio Corghi Intermedi e Canzoni dalle musiche di scena scritte per “La Piovana” del Ruzante per trombone
solo (1986, 7’)
David Honeyboy Edwards blues trio
David Honeyboy Edwards chitarra, voce; Michael Frank, armonica; Les Copeland chitarra, voce
Taraf de Haidouks
Ile Iorga voce; Cacurica voce; Posolan voce, violino; Marin P. Manole voce, fisarmonica; Falcaru flauto;
Costica voce, violino; Caliu violino; Marius fisarmonica; Ionitsa fisarmonica; Ionica cymbalon; Vlorel Vlad
contrabasso; Filip Simeonov clarinetto
Anche quest’anno il Festival si conclude con una serata no-stop a partire dalle 18.00 al Teatro alle Tese
dell’Arsenale. Con la regia del direttore Luca Francesconi, i tanti appuntamenti in programma seguiranno
una scansione spazio-temporale variabile. Exit_02 vuole infatti offrire l’esperienza di un ascolto fuori
dall’ordinario anche per avvicinare e stimolare il dialogo fra pubblici di provenienza diversa. Quanti sono i
brani di musica contemporanea scritti per chitarra elettrica che possono interessare un vasto pubblico? E
quanti altri pezzi di musica colta possono rapire e arrivare al cuore dei più giovani? Ma anche perché non
lasciarsi andare alla vibrazione profonda del blues più autentico o abbandonarsi alla trascinante musica
rom?
I due filoni attorno a cui si è dipanato l’intero arco del Festival, la materia del suono e il suono della
tradizione, sono fatti convergere da Francesconi in questa serata finale che vedrà sul palco alcuni
fuoriclasse della musica colta - Roberto Fabbriciani, Elena Casoli, Michele Lomuto, Lionel Peintre l’ensemble
Brake Drum Percussion, cui si aggiungono Ciardi e Lanza con il concerti per intonarumori ela RoboticMusic
di Suguru Goto – con straordinari esponenti delle più autentiche tradizioni popolari di area balcanica e
afroamericana, rappresentate rispettivamente dalla leggenda vivente del blues David Honeyboy Edwards e
dal rutilante gruppo rom Taraf de Haidouks, noto in tutto il mondo.
L’incipit di Exit_02, con il Brake Drum Percussion e i suoi i 12 virtuosi mette in campo due classici, quasi
una “sigla” del Festival. Ionisation di Edgard Varèse (1883-1965), il primo a mettere al centro della sua
idea musicale un organico di sole percussioni – una vera e propria selva di strumenti tra piatti cinesi,
grancassa, tam tam, maracas, wood-blocks, sirene, piatti, incudini, nacchere, sonagli, clave, bongo, per
citarne solo alcuni - rivoluzionando l’idea stessa di orchestra e cambiando la storia di questa sezione
strumentale; e Clapping Music di Steve Reich (1936), un pezzo per due battiti di mano, che nella
apparente semplicità di un ritmo “primitivo” racchiude tutta la tecnica di composizione e orchestrazione – tra
sfasamento e ritorno all’unisono - allora sviluppata dalla ricerca dell’autore americano.
Alla voce baritonale di Lionel Pientre - che da due anni partecipa stabilmente alle produzioni della Péniche
Opéra di Parigi e ha lavorato con ensemble e orchestre come Les Arts Florissants, l’Orchestre National d’Ile
de France, l’Esembvle 2E2M - il compito di interpretare 14 Jactations di Georges Aperghis (1945), autore
franco-greco, punto di riferimento obbligato per il teatro musicale francese, ma anche autore di numerosi
pezzi strumentali e vocali dove l’aspetto teatrale è fortemente presente nel tessuto del brano.
Al solismo vocale di Peintre corrisponde quello strumentale di Elena Casoli, Roberto Fabbriciani, Michele
Lomuto, impegnati in un “corpo a corpo” con il loro strumento – chitarra, flauto, trombone – dove il
virtuosismo tecnico esplora nuove possibilità creative e dove il gesto si prolunga a volte fino a diventare
azione plastico-visiva.
Passando con maestria dalla chitarra acustica a quella elettrica, Elena Casoli, premio Segovia nel 1989,
restituisce “l’immagine composita e stratificata” di uno strumento rimasto a lungo isolato nell’area classica,
mentre conquistava centralità in territori di ambito popolare, per essere poi “recuperato” dalla musica colta
che in esso vede un elemento di “rottura” proprio con la tradizione. Gabriele Manca (1957), Mauirizio Pisati
(1959), Michele Tadini (1964), sono autori che alla chitarra elettrica dedicano le loro partiture e che Elena
Casoli ha scelto per questo concerto, concluso sulle note di Shard del compositore americano, ormai
centenario Elliott Carter.
Al flauto di Roberto Fabbriciani, qui accompagnato da un interprete di live electronics come Alvise Vidolin,
è affidata la musica di Nono (1924-1990), di cui entrambi sono stati amici e collaboratori. Brano anticipatore
del Prometeo, Das atmende Klarsein, ovvero “chiarezza che respira, a ogni istante determina e suscita
nuove possibilità, esaltando il rapporto tra l’esecutore che propone e il compositore che sceglie, creando
nuove dinamiche eolien, nuovi ascolti, nuove qualità. Un fantastico possibile fatto di suoni puri, suoni,
percussioni digitali, battiti creaturali in una continua ricerca priva di certezze. Risonanze flebili, figure
fluttuanti che offrono idea di una lontananza immensa, avvolgono il silenzio, forzandoci ad affinare le nostre
capacità percettive e immaginative” (R. Fabbriciani). A Roberto: la chiarezza deserta è il brano che il
compositore spagnolo Mauricio Sotelo (1961), amatissimo da Nono e autore di un’originale musica
spettrale che attinge al patrimonio del “cante jondo” e per questo definita “flamenco spettrale”, dedica al
grande flautista.
Dal flauto di Fabbriciani si passa al trombone di Michele Lomuto, impostosi sulle scene internazionali con
Sequenza V, che Berio aveva composto nel ’66 per le sue fantasmagorie interpretative. “Un trombone
eccelso, che sta fra il delirio jazz e l’austerità della musica d’arte … un trombone che si fa personaggio
shakespeariano”, ha scritto Mya Tannenbaum sul Corriere della Sera. Ed è con questa innata vocazione
spettacolare che Michele Lomuto, oltre a Sequenza V di cui è dedicatario, si fa interprete di pagine scritte
per la scena teatrale, Intermedi e Canzoni di Azio Corghi, calandosi nell’atmosfera della commedia
ruzantiana, La Piovana, con abilità istrionica.
Dal corpo a corpo con lo strumento al rapporto uomo-macchina inaugurato dall’esplosione tecnologica del
Futurismo: è la sequenza musicale che, oltre alle invenzioni avveniristiche della RoboticMusic di Suguru
Goto, comprende il Concerto per intonarumori, con i congegni sonori e meccanici creati da Luigi Russolo
utilizzando scatoloni amplificati da una tromba acustica e azionati da manovelle, alcuni dei quali ricostruiti ed
esposti nella sede della Biennale di Ca’ Giustinian. Sarà curioso ascoltare le composizioni di Fabio
Cifariello Ciardi (1960) e Mauro Lanza (1975), espressamente commissionate dalla Biennale per
l’occasione, concepite per ululatori (acuto, grave, medio), gorgoliatore, crepitatore (piano e forte),
gracidatore, ronzatore-gorgogliatore accoppiati ad altri strumenti acustici ed elettronica.
Ultimi cantastorie, i Taraf de Haidouks sono depositari di una tradizione secolare che racconta fatti e
passioni della vita e che si colloca al crocevia di influenze romene, bulgare, turche e slave. Appartenenti alla
poplazione Rom Lautari, ovvero ai musicisti di prefessione, impegnati a suonare nelle feste civili e religiose
con un organico di base composto da violini, fisarmoniche, cymbalom e contrabbasso, i Taraf de Haidouks
oggi sono celebrati in tutto il mondo: hanno suonato con il Kronos Quartet e vinto il BBC Wolrd Music
Awards con il loro ultimo album live, Band of Gipsyes, sfilato con Yamamoto e recitato con Johnny Depp, ma
alla fine di ogni loro esibizione i tre ultrasettantenni cantanti e leader del gruppo – Caucurica, Ilie Iorge, Ilie
Posolan – tornano nel loro paesino di Clejani, nel cuore della Romania. “Non passerà molto tempo per
vedere finalmente riconosciuta l’importanza che la cultura rom ha avuto per quella europea” ha detto Goran
Bregovic, e forse questa affermazione non poteva essere più profetica.
Ha 93 anni David Honeyboy Edwards, un pezzo di storia del blues più autentico, che affonda le radici nel
profondo sud americano del delta del Missisipi, dove è nato lo stesso Honeyboy, che ancora oggi gira il
mondo in concerto con i suoi compagni di una vita. Ha attraversato più di 50 anni di blues, incontrando e
collaborando con tutti i suoi più grandi rappresentanti, da Robert Johnson a Muddy Waters, divenedo stella
di prima grandezza e vincendo un Grammy Award. È David Honeyboy Edwards l’autore di Sweet Home
Chicago, Just Like Jesse James, Long Tall Woman Blues, successi che molti ricorderanno. Come scrivono
nella sua biografia: “Honeyboy continua a percorrere su e giù la strada del blues, viaggiando dai saloon ai
nightclub ai festival, sempre suonando l’autentico Delta blues per i suoi fan adoranti”.
LABORATORI
21 settembre > 2 ottobre
Isola di S. Servolo / Teatro Junghans
Il corpo elettrico
Campus Enparts
14 > 24 settembre
Teatro Fondamenta Nuove
Le Baccanti – études
laboratorio musicale di creazione su Le Baccanti di Euripide
a cura di Christian Cassinelli e Giuseppe Emiliani