Museo Pigorini 10 marzo 2012
Associazione Amici della Scuola Archeologica Italiana di Atene
Commemorazione di Antonino Di Vita
di Gianfranco Paci
Antonino Di Vita e l’Università di Macerata
Ricordare il periodo maceratese di A. Di Vita è compito che assolvo con sentimenti di
gratitudine e di affetto verso il Maestro; ma anche con non poca emozione, e non solo perché di
quel periodo sono stato partecipe dall’inizio fino alla fine, ma anche perché esso si è fortemente
intrecciato, nella sua parte iniziale, con un momento importante della mia vita. Di Vita arrivò
all’Università di Macerata nel 1968, neo vincitore della cattedra di Archeologia e storia dell’arte
greca e romana, prendendo di servizio – come allora si faceva – il 1° novembre presso l’allora
Facoltà di Lettere e Filosofia, istituita nel 1965. Per me quello era il 3° anno di Università, quello in
cui il curriculum degli studi (allora molto essenziale) prevedeva appunto, per gli iscritti all’indirizzo
classico, l’esame di Archeologia. La formazione da cui provenivo era sì di stampo classico, ma di
tipo pressoché esclusivamente filologico-letterario, così che l’impatto con l’archeologia fu una
autentica novità, che mirabilmente veniva ad integrare la conoscenza dell’antico.
Il magistero di Di Vita. La Facoltà di Lettere di Macerata annoverava allora nel suo corpo
docente, che era molto esiguo, alcuni professori di grande spessore, che hanno inciso nella
formazione degli iscritti di quegli anni. Tra questi fu senz’altro Di Vita. Nel 1968 egli entrava in
una Facoltà istituita appena qualche anno prima e che si trova ad essere praticamente sprovvista di
tutto: libri, spazi, strutture; lo stesso insegnamento al quale il Professore era stato chiamato era
l’unico del settore. Ancora libero dagli impegni e dalle cariche accademiche che poi sarebbero
sopraggiunti, Egli fu perfettamente cosciente del suo ruolo di fondatore di questo settore di studi e
lo assolse in modo magistrale. L’insegnamento, l’apprestamento delle strutture, e poi, presto, la cura
e la formazione di un piccolo manipolo di allievi che lo attorniarono, occupavano in quei primi anni
tutto il tempo che egli, pendolare come i più, trascorreva a Macerata.
All’insegnamento si dedicò con impegno, entusiasmo e taglio particolare. Titolare di
Archeologia, attivò subito l’insegnamento di Topografia antica, che tenne per incarico.
Nell’insegnamento Di Vita si muoveva su orizzonti ampi portando gli allievi a contatto con i grandi
temi: il 1° anno il corso di Archeologia ebbe come argomento Lisippo; ma esso fu preceduto da una
introduzione sulla storia degli studi (con approccio alle figure di Winckelmann, Riegel, B.B.). Un
gita alle città sepolte dall’eruzione del Vesuvio, ai Musei di Napoli e a Paestum costituirono un
fattore integrativo (con approfondimento per es. della pittura pompeiana) di grande effetto.
Il corso di Topografia era sull’urbanistica programmata, con un approfondimento su
Selinunte. Di Vita partiva dai precedenti panellenici, egiziani e del Vicino Oriente, interfacciandosi
con le posizioni di precedenti studiosi (Coppa), per sottolinearne positività e limiti. Toccava sempre
temi importanti, riuscendo a farle sentire concrete, inoltre si percepiva in lui una conoscenza
profonda delle cose, un sapere che non era solo libresco. Coinvolgeva. Era un Maestro.
Nacque l’Istituto di Archeologia. All’improvviso decollò la biblioteca. Tutto il denaro della
dotazione ordinaria (non c’erano ancora i fondi di ricerca) era per l’acquisto dei libri. Arrivarono
riviste intere: BCH, Hesperia, Ann. Brit. School Rome e Athens, Röm. Mitt., ecc. Noi studenti più
anziani si frequentava l’Istituto, due stanze in tutto; ma quando il professore era in sede in quelle
stanze era un fermento, si respirava una tensione, presto si finiva attratti, colpiti, da quelle cose
lontane ed improvvisamente divenivano concrete, di cui il Professore sapeva farcene coglierne
l’importanza. Il nostro sguardo si apriva sulla ricerca, in una dimensione inebriante, che abbracciava
l’intero Mediterraneo: ma il fulcro era là, nella Grecia, con gli stimoli microasiatici che avevano
contribuito a forgiarne la civiltà classica.
Quando Di Vita arrivò a Macerata io avevo già scelto la mia tesi in epigrafia greca. Non ho
mai pensato di cambiare. Ma nei due anni di studi che mi restavano non ho mai perso una lezione di
Di Vita, né ho mancati ai viaggi memorabili da lui organizzati. Il 2° fu in Sardegna, il 3° nel 1970 in
Grecia (quella del tempo dei Colonnelli): Olimpia, Delfi, Micene, Corinto, Atene, Capo Sunio.
Indimenticabile il viaggio per raggiungere il Tempio di Apollo a Figalia, dove arrivammo da est per
strade di terra (nell’ultimo tratto incontrammo un gruppo di soldati intenti a migliorarne a tarda sera
il percorso): lo scenario del tempio, in alto tra i monti, è rimasto indimenticabile. Rimanemmo tutti
stregati, nacquero autentiche vocazioni all’archeologia. Il Professore parlava il greco moderno, ci
parlò della Scuola Archeologica d’Atene (ancora nella vecchia sede presso la porta di Adriano), una
sera fu a cena con noi il vecchio Doro Levi…
Furono anni di passione per noi studenti, anni creativi per il Maestro. La ricerca sul terreno,
che aprì agli studenti più interessati l’esperienza delle civiltà dell’Africa settentrionale, dove il
Professore avviò un impegno di lavoro proprio dal 1968, si affiancò quasi subito nella formazione
dei laureandi. Non mancarono neppure i primi approcci alle problematiche archeologiche del
territorio marchigiano, perseguite poi con impegno dagli allievi.
Presto cominciarono gli incarichi accademici. Prima Preside (1970), poi quasi subito Rettore
(1974). Di Vita fu il primo Rettore di Lettere, in un Ateneo dove Lettere era una piccola Facoltà, a
fronte di quella di Giurisprudenza, antica e consolidata. Fu sempre il nostro orgoglio e la nostra
ammirazione. Il tempo dedicato all’Istituto di Archeologia diminuiva, ma la Biblioteca continuava a
crescere mirabilmente, nuovi insegnamenti vennero via via attivati: numismatica, archeologia
cristiana, protostoria, etruscologia. I concorsi permisero l’arruolamento di giovani allievi come
ricercatori. Si cresceva, ci si arricchiva di potenzialità. Analoga crescita conosceva il vicino Istituto
di Storia Antica, la cui sorte è stata sempre legata a quello di Archeologia. Da nulla si era arrivati in
pochi anni ad un piccolo ma efficiente centro di studi del mondo antico.
La nomina a Direttore della Scuola d’Atene giunse come un fulmine a ciel sereno nel 1977.
Io avevo appena vinto concorso da assistente di Storia romana e ricordo che ci si interrogava tra noi
giovani se avesse accettato o fosse rimasto a fare il Rettore. E’ certo che all’Università di Macerata
Di Vita rimase legato per sempre: anche quando, ormai stabilmente impegnato ad Atene, gli si
presentò la possibilità di trasferire il suo posto di professore universitario da Macerata a Roma alla
Sapienza: non ebbe tentennamenti nello scegliere di restare a Macerata. Ma allora nel 1977,
guardando le cose alla luce del poi, non credo che ci sia stato dentro di Lui un dilemma tra Macerata
ed Atene: rispetto alla pur prestigiosa carica di Rettore (allora rinnovabile per più mandati) prevalse
l’amore per l’archeologia, al più alto livello, quale la prestigiosa sede ateniese gli offriva. Fu una
scelta vocazionale.
Per noi il distacco fu doloroso, anche se compensato dal sapere che il nostro Professore
otteneva una promozione prestigiosa, e a Macerata continuava a rimanere comunque legato. I
contatti di fatto non si interruppero mai, rimanendo egli sempre al corrente di cosa si facesse (per
es. la nascita del Dip. di Archeologia e Storia Antica, dalla fusione dei relativi Istituti), delle varie
vicende accademiche. Tornava anche a Macerata, seppur di rado, in determinate occasioni.
Quando arrivò la notizia della nomina a Direttore della Scuola d’Atene, un giorno andai in
rettorato e gli dissi un po’ sfacciatamente che, se avesse voluto e ritenuto opportuno, io l’avrei
volentieri seguito. Il Professore mi guardò, poi mi disse: va bene, fai la domanda di congedo. Presi
una carta bollata e presentai domanda nelle mani del Direttore Amministrativo. Ma poi non se ne
fece nulla, perché il mio Maestro intervenne, discretamente, e fece accantonare la pratica. Non ho
mai avuto recriminazioni, ma qualche rimpianto sì: certo la mia vita sarebbe stata non meno vivace
ed intensa, con la possibilità di crescere al seguito di un figura così ricca, sotto il profilo umano e
del sapere.
A Macerata, alla sua Università, Il Professore è tornato con la fine dell’incarico di Direttore
della Scuola d’Atene, nel 2000. Benché ormai fuori ruolo, la passione per il lavoro e la ricerca
trovavano nel rinnovato aggancio universitario – grazie anche al titolo di emerito nel frattempo
acquisito – la possibilità di portare avanti progetti iniziati e che avevano tuttora bisogno di lui: erano
vari lavori in Tripolitania (culminati nel lavoro di anastilosi dell’Arco quadrifronte dei Severi), cui
si aggiunse da ultimo lo studio del teatro romano di Althiburos (in Tunisia). Connessa a questa
attività, di grosso impegno anche sotto l’aspetto finanziario, fu la l’attivazione di un dottorato di
ricerca sull’Africa romana. In questo quadro di rinnovati interessi per l’Africa Settentrionale si
inserisce un fatto di grande rilievo, cioè la creazione a Macerata del Centro di Documentazione e
Ricerca sull’Archeologia dell’Africa settentrionale, con un ricco fondo di documentazione
proveniente dal CNR e prima, da quello a suo tempo creato a Firenze e diretto per anni da Giacomo
Caputo, che il Professore arricchì con materiali di sua proprietà. Il Centro, che sarà presto dedicato
al Prof. Di Vita, costituisce uno dei lasciti più vivi, destinato a perpetuare il ricordo di lui presso chi
l’ha conosciuto e presso i giovani che approderanno alla nostra Università e che ameranno
l’archeologia.
Conosciuto ed amato anche da tanta gente fuori dell’Università, Di Vita resterà nel ricordo
di tutti noi come uno dei Padri Fondatori dei nostri studi, come un Maestro straordinario e come un
Uomo di altissime qualità.
Gianfranco Paci
340-5824158