Le moderne interpretazioni tettoniche delle Alpi

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Le moderne interpretazioni tettoniche
delle Alpi
GIORGIO VITTORIO DAL PIAZ & GUIDO GOSSO
Dal Piaz G.V. & GossoG., 1984: Le moderneinterpretazionitettonichedelleAlpi.In:
Cento anni di geologia italiana. Voi. giub. I Centenario S.G.I., 95 - 112,Bologna.
This historicalreviewof the recent Alpinegeology(1969- 1980) is focusedon the
first applicationand refinementof the globaltectonicmodelsto the collisionalchainof
the Alps and on the contributionsprovidedby the modem methodsof the structural
analysis.
• Tettonica globale, analisistrutturale, Alpi, rassegnastorica.
DalPiazGiorgioV. Istitutodi Geologia,V. Giotto 1, 1-35100Padova.
GassoG. Dipartimentodi ScienzedellaTerrae CNR-Centrodi studisuiproblemidell'orogenodelleAlpioccidentali,PalazzoCarignano,I-10100Torino.
Questa breve rassegna delle moderne interpretazioni tettoniche conclude il ciclo degli
articoli celebrativi dedicati alla catena alpina
(G.B. & G.V. DAL PIAZ: 1840 - 1940, MALARODA, 1940 - 1960). A partire dalla seconda
metà degli anni sessanta si assiste alla sistematica
e rivoluzionaria applicazione di nuove metodologie di ricerca che introducono in breve tempo
una messe enorme di nuovi dati e sollevano
una serie di nuovi problemi, parte dei quali del
tutto impensabili sino a pochi anni prima. Ci
si riferisce soprattutto ai contributi della geofisica crostale e litosferica, della sedimentologia applicata alle moderne ricostruzioni paleoambientali, della geocronologia radiometrica,
geochimica e geochimica isotopica ed infine della
petrologia e dell'analisi strutturale i cui dati
consentono di affrontare, per la prima volta,
in termini di Pressione-Temperatura-Tempo, il
tragitto di unità tettoniche attraverso diversi
livelli strutturali durante i principali eventi
orogenici alpini e prealpini. Tali argomenti
meriterebbero da soli un lungo articolo cele-:
brativo; trattarne qui ci porterebbe troppo lontano dal tema affidatoci.
Il secondo aspetto della profonda rivoluzione esplosa alla fine degli anni sessanta è l'ap-
plicazione, dapprima timida e contrastata e
quindi sempre più diffusa e talora esagerata,
dei modelli della nuova tettonica globale alla
catena alpina. La storia inizia con l'estrapolazione di modelli di tipo circumpacifico; seguono la verifica della loro difficile applicazione
integrale, la nascita di modelli alternativi ed infine la proposta di ricostruzioni spazio-temporali più raffinate e più ancorate al complicato
quadro strutturale della catena alpina. Con la
fine degli anni settanta si affievolisce la «Corsa
al modello» e si assiste al vigoroso ritorno alla
ricerca analitica di campagna e di laboratorio,
impresa nella quale l'Italia appare progressivamante autoemarginata dopo il periodo di massimo impegno sul terreno realizzato con la
seconda edizione della Carta geologica all'
1:100.000.
Esamineremo sommariamente lo sviluppo
delle principali interpretazioni tettoniche nel
breve arco di tempo che va dalla fine degli anni
sessanta alla fine degli anni settanta; si accennerà poi alle prime applicazioni dei nuovi metodi dell'analisi strutturale che stanno introducendo nella catena alpina elementi analitici più
concreti e reali, supporto indispensabile per una
seconda generazione di modelli tettonici di cui
96
GIORGIO VITTORIO DAL PIAZ, GUIDO GOSSO
si vedrà presto la comparsa.
Il primo passo fondamentale nell'applicazione alla catena alpina dei nuovi modelli di tettonica globale è il riconoscimento nelle sequenze
ofiolitiche della Zona Ligure-Piemontese di
frammenti della originaria litosfera oceanica
formatasi nel Giurese al margine divergente tra
la placca paleoeuropea e quella africana. Ne furono primi divulgatori ALFREDOBEZZI e GIOVANBATTISTA
PICCARDO(com. verbali e 1971),
DECANDIA & ELTER (1969), LAUBSCHER
(1969), ABBATEet al. (1970), DEWEY& BIRD
(1970). Va notato che, ancora negli anni sessanta, le ofioliti alpine erano interpretate, in
armonia con le concezioni di ARGAND,come
intrusioni ed effusioni di magmi basico-ultrabasici insediati entro i sedimenti mesozoici
della geosinclinale durante lo sviluppo compressionale delle prime intumescenze anticlinaliche della crosta continentale assottigliata
(Pennidico) del substrato. Prova dei presunti
contatti magmatici era ritenuta la presenza di
caratteristiche rocce a silicati di calcio frequenti e da tempo note all'interfaccia tra corpi
serpentinitici e rocce incassanti di varia natura,
successivamente reiterpretate come zone di reazione rodingitica legate a processi metamorfico-metasornatici di carattere regionale (DAL PIAZ,
1967, 1969). In base alle nuove concezioni petrogenetiche fondate sul confronto con le situazioni degli oceani attuali, le ofioliti assumono un
ruolo nuovo anche dal punto di vista tettonico,
quello di unità indipendenti di primo rango e
fortemente condizionanti l'evoluzione strutturale della catena alpina. La conseguenza è una rinnovata concezione della geometria e del meccanismo della collisione tra Europa ed Africa rispetto al famoso modello di ARGANO(1924),
poiché diviene indispensabile prevedere la consunzione di buona parte della litosfera oceanica
interposta tra i due blocchi continentali.
La fig. 1 mostra il modello ideale, in termini evolutivi, di una catena di collisione continentale proposto da DEWEY& BIRD ( 1970)
ed adattato alle catene del Mediterraneo (fig.
2). Esso ha stimolato immediati ripensamenti da
parte dei geologi regionali per nuove sintesi più
adeguate al quadro delle conoscenze locali su
diversi segmenti di queste catene ingenerando,
accanto ad indubbi progressi, una serie di nuove
incongruenze. L'approssimazione più vistosa del
modello di DEWEY& BIRDnelle Alpi appare l'ubicazione del margine di consunzione in corrispondenza del Lineamento Periadriatico, elemento strutturale da tempo noto come sostanzialmente interno al dominio paleoafricano.
Un nuovo e fondamentale sostegno alla interpretazione attuale della catena alpina è introdotto da ERNST (1971, 1973), con la definizione
del metamorfismo regionale alpino secondo i
modelli geotermici ricostruiti per le zone di subduzione e con l'ipotesi che il processo sviluppi
una zoneografia polare, riesumata in seguito con
un meccanismo di pura compensazione isostatica. Cade così la concezione classica che attribuiva la genesi del metamorfismo alpino al rapido
incremento della pressione di carico ed al susseguente riassestamento geotermico prodotti
nel Terziario dall'appilamento delle falde di ricoprimento (se ne veda una sintesi in NIGGLI,
1970). Il modello di ERNSTha, in secondo luogo, il merito di attribuire nuova dignità al basamento cristallino: relegato tradizionalmente al
ruolo di oggetto geometrico generico e passivo
nelle ricostruzioni paleogeografiche e spazio-temporali delle catene, esso assume il rango di
elemento determinante per la ricostruzione della
storia evolutiva dell'intera infrastruttura alpina,
grazie all'ottima «memoria» che esso possiede
per eventi tettonico-metamorfici sviluppati a livelli strutturali profondi. L'importanza rivoluzionaria di queste nuove vedute è, in sostanza,
la possibilità di applicare i parametri fisici forniti dalla petrologia come indicatori di traiettorie Pressìone-Terneratura descritte nel tempo
(datazioni radiometriche) da interi elementi tettonici litosferici, mentre in precedenza tutte le
ricostruzioni palinspatiche venivano circoscritte
a modelli sostanzialmente bidimensionali, basati
sulle indicazioni paleoambientali e cronostratigrafiche fornite dalle coperture.
Le innovazioni metodologiche di tale messaggio fanno oggi apparire del tutto marginali le notevoli incongruenze del modello di ERNST rispetto alla realtà geologica dell'arco alpino occidentale: ci si riferisce soprattutto alla visione
monociclica del metamorfismo alpino, retaggio
delle vecchie concezioni, ed alla unitarietà geometrica, meccanica e zoneografica, mantenuta
nel tempo, dell'intero margine passivo europeo
LE MODERNE INTERPRETAZIONI
97
TETTONICHE DELLE ALPI
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~·2 - Schema strutturale delle catene alpine nell'area mediterranea (DEWEY & BIRO, 1970).
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Fig. 3 - Sezionipalinspastichedella catena alpina (LAUBSCHER,
1974): 1:
Giuresemedio; 2: Cretaceo.superiore;
3: Eoceneinferiore;4: Eocenesuperiore;5: Pliocene;C: crosta;L: mantellolitosferico;AS: astenosfera.
durante l'evoluzione convergente (discussione
critica in DALPIAZet al., 1972).
In precedenza, o contemporaneamente, compaiono le prime applicazioni all'orogeno alpino-appenninico delle teorie della nuova tettonica
globale da parte di studiosi europei di larghe
vedute e di solida esperienza regionale, con modelli che si sforzano di rendere conto della messe
di dati analitici disponibili e delle contraddizioni insite nella complicata realtà geologica locale
(LAUBSCHER,1969, 1970, 197la, 197lb; BocCALETIIet al., 197 la, 1971b). Riteniamo super-
fluo riproporre i dettagli di interpretazioni ormai
famose. E' doveroso tuttavia sottolineare la modernità, il taglio globale e l'eleganza dei modelli
di LAUBSCHER,divulgati in Italia soprattutto dal
noto articolo su «Le Scienze» (1974), corredato
da suggestive figure palinspatiche di estensione
litosferica (fig. 3), e l'importanza innovativa dell'interpretazione di BOCCALETIIet al., un modello che attribuisce la contrapposta polarità
delle strutture appenniniche ed alpine lungo la
geotraversa Appennino settentrionale-Corsica al
f/ip della zona di subduzione da vergenze paleo-
LEMODERNE
INTERPRETAZIONI
TETTONICHE
DELLEALPI
africane a vergenze paleoeuropee. Tale ricostruzione prospetta tuttavia una curiosa messa in
posto precollisionale delle ofioliti a destinazione
alpina della Corsica e non ne discute il meccanismo. Nello stesso anno HsO & SCHLANDER
utilizzano i canoni della tettonica a placche per
un settore ristretto ed epidermico della catena
alpina, il modello propone eventi subduttivi a
vergenza contrapposta
per tentare di spiegare
la genesi dei Flysch ultraelvetici, lo sviluppo
dell'arco vulcanico di Abkern, la sua cannibalizzazione e l'intrusione del plutone di Bregaglia.
Nessuna di queste ricostruzioni utilizza i dati del
metamorfismo
regionale come marker dell'evo-
luzione spazio-temporale dell'infrastruttura cristallina.
Sino al 1972 la tettogenesi cretacica sembrava
circoscritta ad alcuni settori delle Alpi centrali
ed orientali, localmente documentata da evidenze stratigrafiche. L'orogeno delle Alpi occidentali era ritenuto di esclusiva età terziaria. L'esistenza di due distinti eventi tettonico-metamorfici
sull'intero arco alpino occidentale è documentata, su base radiometrica e geologico-petrografica, da DAL PIAZ et al. ( 1972) e da HUNZIKER
(1974) (si vedano anche HUNZIKER, 1970, e
DAL PIAZ, 1971). Il primo evento, denominato
eoalpino, ha caratteri di alta pressione e bassa
temperatura; il suo gradiente, inconciliabile con
le condizioni del tradizionale metamorfismo regionale di seppellimento, è coerente con le caratteristiche fisiche stimate per le zone di subduzione. Il metamorfismo eoalpino si distingue
inoltre dai noti melange in facies scisti blu delle
cinture circumpacifiche poiché si sviluppa in
modo omogeneo e pervasivo entro grandi e coerenti unità tettoniche costituite non solo da
litosfera oceanica, ma anche dalla crosta continentale dei contrapposti margini passivi. In particolare risulta eoalpino il metamorfismo del
Complesso dei micascisti eclogitici del sistema
Austroalpino Sesia-Lanzo e Dent Bianche, in
precedenza ritenuto di età prepermiana. Il
meccanismo tettonico per lo sviluppo e la preservazione del metamorfismo eoalpino è riferito ad un ambiente di subduzione nel quale interagiscono elementi crostali paleoeuropei e paleoafricani precocemente disgiunti dai margini
passivi, dragati sino a profondità sottocrostali
adeguate allo sviluppo delle tipiche associazioni
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Fig. 4 - Modellidi subduzionepropostiper le Alpioccidentali: (1) ERNST(1971):HE: Elvetico;SB: Subbrian-
zonese; BR: Brianzonese;PI: Piemontese;MR: Monte
Rosa;SA: Austroalpinoed AlpiMeridionali;LID: mantello litosferico;AS: astenosfera.(2) DALPIAZet al.
(1972): SB: San Bernardo (Brianzonese);MR:Monte
Rosa;ZP: unità oceanichepiemontesi;CO: unità marginali piemontesi(Combin);AR (Aralia)e SL (Sesia-Lanzo eclogitica):unità Austroalpine;AU: elemento Austroalpinosuperiore;AM:AlpiMeridionali;PB:pianodi
Benioff;MS:mantellosuperiore.
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Fig. 5 - Modello generale di evoluzione delle Alpi occidentali (MARTIN!,1972): 1: Cretaceo sup.; 2: Eocene inf.;
3: Priaboniano inf.; 4: Priaboniano terminale'; 5: Oligocene inf.; 6: Oligocene sup.; 7: Miocene; 8: attuale; AR: Aiguilles Rouges; H: Elvetico; UH: Ultraelvetico; N: Flysch nordpennidici; SB: basamento San Bernardo; M: Prealpi Mediane; B: Brèche; CS: calcescisti piemontesi; DB: Dent Bianche; G: Gets; S: Simme e Flysch ad Helmintoidi; bianco:
sedimenti meso-cenozoici; righettato largo: basamento cristallino; rigettato fitto: crosta oceanica e mantello; v: vulcaniti e plutoni terziari; punteggiato: metamorfismo in facies scisti verdi, a glaucofane ed anfìbolitico.
LE MODERNE INTERPRETAZIONI
di alta pressione e bassa temperatura, e quindi
riesumati a livelli strutturali via via più superficiali, secondo traiettorie marcate da significative paragenesi mineralogiche decompressionali.
Il modello è completato da figure palinspastiche
che schematizzano l'evoluzione spazio-temporale
di questi peels crostali in un settore ristretto delle Alpi Pennine. La fig. 4 riproduce due tappe
della loro storia prograda e le confronta con il
modello più semplice proposto da ERNST.
In un lavoro del 1972, dedicato al metamorfismo delle unità elvetiche ed alle falde
di scollamento delle Prealpi Romande e del
Chiablese, MARTINI presenta un processo di
subduzione che, sviluppato essenzialmente tra
l'Eocene inferiore e l'Oligocene (fig. 5), retrocede progressivamente verso le zone esterne
dell'arco alpino occidentale. Il concetto della
migrazione nello spazio e nel tempo della zona
di subduzione verso l'esterno della catena è
ripreso da BOCQUET-DESMONS(1974) per
spiegare la genesi delle classiche associazioni
in facies scisti blu della Zona Brianzonese, evento diacrono rispetto allo sviluppo delle
eclogiti nelle unità Piemontesi.
Ulteriori contributi di LAUBSCHER sono
dedicati all'evoluzione tettonica della catena
del Giura (1972, l 973a, 1977), al ruolo svolto
dalla Linea Insubrica nella dinamica alpina
(l973b) ed alle interrelazioni cinematiche tra
la storia alpina e l'apertura dell'Atlantico settentrionale (1975).
Passando alle Alpi orientali, si segnala innanzitutto l'elegante modello di collisione continentale proposto da OXBURG( 1972). Per giustificare lo spessore limitato della crosta continentale paleoafricana rappresentata nelle unità Austroalpine, l'autore prospetta un modello di
subduzione nordvergente, il distacco antitetico, al momento della collisione, di una scaglia
corticale del basamento africano (Flaketectonics) a formare i ricoprimenti delle Austridi ed il
contemporaneo scorrimento della restante crosta
intermedia e profonda al di sotto di quella paleoeuropea (fig. 6). HAWKESWORTHet al.
(1975) adottano per la stessa trasversale UJ1
modello subduttivo con polarità meridionale
(fig, 7), nel quale la fase collisionale (eoalpina)
determina il sovrascorrimento dell'Austroalpino
lungo una zona di taglio duttile intracrostale la
TETTONICHE DELLE ALPI
101
cui localizzazione è guidata da una superficie
isotermica. Una ricostruzione con caratteristiche geometriche analoghe è proposta da CLOSS
(1975) come sintesi dei dati geofisici litosferici
disponibili.
Passando alle Alpi Centrali, ricordiamo il
quadro stratigrafico-paleoam bien tale delineato
da PASQUARE'(1973, 1975) per il primo Modello strutturale d'Italia. Esso prevede l'esistenza
di un microcratone (unità della Margna) interposto tra il bacino oceanico piemontese e quello ligure e suggerisce una evoluzione compressionale secondo i modelli della tettonica globale, con subduzione della litosfera europea sotto
quella africana (fig. 8). Sulla stessa trasversale
ROD (1977) propone invece un modello di subduzione con polarità opposta, interpretazione
che non trova seguito tra gli autori successivi.
Il classico approccio stratigrafico per la cronologia e la ricostruzione paleoambientale dell'orogeno alpino, basato sullo studio delle falde
di copertura e sulla loro restaurazione nei margini passivi della Tetide, è utilizzato fruttuosamente da numerosi autori moderni. Tra di essi
si segnalano in particolare TRUMPY, dalla famosa monografia del 1960, ai numerosi contributi recenti (1969, 1971, 1973a, 1973b,
1975, 1976, 1980), TOLLMANN(1963, 1975,
1976), Ch. CARON (1972), Ch. CARONet al.
(1980), BOSELLINI(1973, t981), HOMEWOOD
(1977), KERKHOVEet al. (1980), OBERHAUSER
(1980), PREY(1980), V ANOSSI(1980), ecc.
Ritornando ai lavori di carattere strettamente
tettonico, DIETRICH ( 1976), DIETRICH &
FRANZ (1976, 1978), FRISCH (1977, 1978,
1979), ROEDER (1977, 1980), ROEDER_&
BOGEL (1978), BICKLE & HAWKESWORTH
(1978) ed HOLLAND(1979) presentano modelli subduttivi sudvergenti per l'interpretazione
delle Alpi orientali (figg. 9 e 1O). Alcuni di questi autori ripropongono l'idea di una progradazione della zona di subduzione, già applicata
nelle Alpi occidentali (MARTINI, 1972; BOCQUET-DESMONS,1974). Di particolare eleganza sono le sezioni palinspatiche del modello
dei ROEDER (fig. 10) che facilitano efficacemente la comprensione dell'evoluzione dinamica
prospettata per le Alpi orientali. Essa prevede:
una zona di subduzione intraoceanica con sviluppo di un arco vulcanico insulare e di un mar-
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Fig. 6 - Il modello di Flake Tecronics proposto da OXBURG (1972) per le Alpi orientali: (1) Schema geologico-strutturale: A: Massiccio Boemo e gneiss dei Tauri; B:
Calcescisti e metaofioliti; C: Falde austroalpine; M: Moho; nero: crosta oceanica subdotta; V: attività intrusiva
periadriatica. Notare la subduzione nordvcr'gente della
placca africana. (2) Rappresentazione schematica di un
margine continentale irregolare (ZXY); linea punteggiata: base della litosfera. (3) Formazione di un Flake crostale (XZ) per collisione continentale.
Fig. 7 - Modello di evoluzione spazio-temporale delle Alpi orientali dal Mesozoico al Terziario (HAWKESWORTH
et al., 1975). A: cristallino antico austridico; B: calcescisti e metaofioliti; BM: Massiccio Boemo; F: Flysch,
G: Linea della Gail (Lineamento periadriatico ), limite
settentrionale delle Alpi Meridionali (SA); U: Austroalpino inferiore; NCA: Alpi Calcaree Settentrionali (Austroalpino sup.); ZG: basamento pennidico esposto nella finestra dei Tauri; H: Zona Elvetica; Mo: molassa;
M: Moho.
LEMODERNE
INTERPRETAZIONI
TETTONICHE
DELLEALPI
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Fig. 8 - SezionepalinspasticadelleAlpicentraliagliinizidellafasecretacicadi raccorciamentocrostale(subduzione
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(1975).HE: Elvetico;VA: bacinovallesano;BR: Brianzonese;PI: bacinopiemontese;MA:Margna;LI: unità liguridi;GR: Grigionidi;AU: Austroalpino;a: sedimentidi marginecontinentale;b: sedimentioceanici(nero);c: basamentocristallino;LID:mantellolitosferico;AS:astenosfera.
gine passivo di tipo atlantico in corrispondenza
del continente Austroalpino (A in fig. 10); una
collisione eocalpina (l 00 m.a.) tra la litosfera
sudpennidica (corrispondente alle ofioliti Piemontesi delle Alpi occidentali) e l'arco insulare
con il continente mediopennidico ( = Brianzonese), il kinking delle due placche e lo sviluppo
del metamorfismo di alta pressione delle unità
di calcescisti con pietre verdi, trascinate ad adeguata profondità (B); il sollevamento isostatico
eoalpino (90 m.a.) del margine interno mediopennidico e della zona di radice, con esumazione delle metamorfiti in facies scisti blu (C);
ripresa della subduzione sudvergente della placca paleoeuropea, con coinvolgimento della crosta continentale pennidica, sutura del dominio
ofiolitico sudpennidico e sovrascorrimento nordvergente delle unità Austroalpine (60 m.a.) (D).
L'innovazione più interessante è l'introduzione
e la successiva eliminazione di un arco vulcanico
insulare, modello estrapolabile alle Alpi centro-occidentali per giustificare il diffuso magmatismo andesitico preservato attualmente nei clasti
delle Arenarie di Taveyanne (Eocene sup. - Oligocene). Il modello non discute invece la complicata evoluzione tettonico-metamorfica delle unità continentali pennidiche esposte negli Alti
Tauri. L'interpretazione è raffinata nel 1980
con riferimento al ruolo del basamento pennidico anche lungo trasversali più occidentali
della catena e con precisazioni sulla tettonica,
delle unità elvetiche e provenzali.
Ritornando alle Alpi occidentali, vanno ricordati i modelli presentati recentemente da
MAITAUER & TAPPONIER(1978) e da CABY
et al. ( 1978). L'unica innovazione del primo
modello è l'adozione di una subduzione intraoceanica, prospettata per fornire spazio più
adeguato alla deposizione del Flysch ad Helmintoides, sequenze esenti da trasformazioni
metamorfiche eoalpine. Si tratta peraltro di
un'idea non nuova, già avanzata da BOCCALETTI et al. (1971) per l'interpretazione della
trasversale Appennino-settentrionale-Corsica.
Il secondo è più solidamente ancorato ai dati
geologici e petrologici acquisiti sul basamento
e sulle coperture delle Alpi occidentali. Si segnala, in particolare, per l'ipotesi di una provenienza paleoafricana di alcune sequenze preofiolitiche della Zona Piemontese, per una aggiornata carta del metamorfismo di alta pressione e bassa temperatura e per la riconferma
della migrazione dei processi subduttivi dalle
zone interne verso quelle esterne della catena.
Più speculativa appare invece l'ipotesi di una fase tardiva di subduzione Europa-vergente e la
sua utilizzazione per spiegare la genesi del vulcanesimo andesitico di Taveyanne, implicitamente ubicato in posizione esterna secondo
le tradizionali vedute «autoctoniste» della scuola francese.
La struttura geologica e geofisica profonda
dell'area mediterranea è sintetizzata da PANZA et al. (1980, con rif. bibl.). Da questo lavoro riportiamo in fig. 11 una sezione litosferica
della catena alpina la cui struttura conferma
le geometrie profonde già delineate da LAUBSCHER(1972, 1974).
Passiamo infine alle Alpi meridionali, tratto
meno deformato della catena al livello struttu-
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Fig. 9- (1) Sezione palinspastica (100-45 m.a.) attraverso le Alpi orientali (DIETRICH& FRANZ, 1978): H: Elvetico; UH: Ultraelvetico; RDF: Flysch Reno-Danubico; GB: bacini di Gosau; NCA: Alpi Calcaree Settentrionali (Austroalpino ); SAF: Flysch sudalpini; VB: basalti del Vicentino. (2) Profili evolutivi attraverso le Alpi orientali (FRISCH, 1978): H: Elvetico; NP, MP, SP: zone nord-, medio-e sud-pennidiche; AA: Austroalpino; 1: crosta oceanica;
2: crosta continentale; 3: Grauwackenzone (Paleozoico), Austroalpino sup.; 4: Austroalpino inf. (Paleozoico); 5: zona medio-pennidica (Paleozoico); 6: sedimenti eocenici; 7: coperture mesozoico-cenozoiche della crosta continentale; 8: molassa.
LE MODERNEINTERPRETAZIONITETTONICHEDELLE ALPI
5
4
3
105
2
Fig. 10 - La formazione della catena delle Alpi orienta-
li secondo ROEDER& BOEGHEL(1978): (1) Sezioni di
tre possibili modelli di tettonica a placche applicabili alle
Alpi: A) stadio pre-orogenico: 1: cratone adriatico; 2: oceano sud-pennidico (Piemontese): 3: cratone medio-pennidico; 4: oceano nord-pennidico (Vallesano); 5:
cratone euroasiatico o elvetico; B) modello a due placche
con subduzione continua e progradazione della sutura intracrostale (linee tratteggiate); C) modello a due placche
con subduzione discontinua; D) modello con intervento
della placca oceanica sud-pennidica. (2) Modello di evoluzione spazio-temporale delle Alpi orientali che suggerisce un meccanismo per lo sviluppo e la conservazione delle associazioni metamorfiche eoalpine di alta
pressione e bassa temperatura (puntinato): 1: Alpi
Calcaree Settentrionali (Austroalpino); 2: bacino oceanico sud-pennidico (Piemontese) con calcescistied equivalenti laterali; 3: continente medio-pennidico (Brianzonese) ed equivalenti laterali; 4: fossa nord-pennidica (Vallesana) ed equivalenti laterali; A) 120 m.a.: subduzione
intraoceanica sudvergente, arco vulcanico insulare e margine austroalpino di tipo atlantico; B) 100 m.a.: collisione arco vulcanico-continente medio-pennidico, hinking delle due placche e sviluppo del metamorfismo di
alta pressione; C) 90 m.a.: risalita isostatica del margine
sud-pennidico e della zona di radice, esposizione delle
metamorfiti in facies scisti blu; subduzione incipiente o '
ricoprimenti crostali al margine austroalpino settentrionale; D) 60 m.a.: sovrascorrimento della placca austroalpina sulla parte frontale del cratone austroalpino e sulle
unità oceaniche e continentali pennidiche.
raie ora esposto. Va segnalato innanzitutto
il
poco noto articolo di DE SITTER (1963), corredato da uno stereogramma e da profili geologici
straordinariamente
attuali,
antesignani
delle
moderne interpretazione
tettoniche
applicate
alle coperture
dell'avanpaese
di varie catene
orogeniche secondo i canoni di BOYER & ELLIOTI (1982). Ricordiamo inoltre la monografia di SEMENZA (l 974) sull'evoluzione dell'area
italo-dinarica, i lavori di CASTELLARIN (1979),
CASTELLARIN et al. (1980), CASTELLARIN &
VAI (1981, 1982) e VAI (1979) sui raccorciamenti crostali profondi della crosta sudalpina
tra Lombardia e Friuli e sul Lineamento Periadriatico, le note di CASTELLARIN & SARTORI
( 1980, 1982) sulla Linea delle Giudicarie ed i
contributi
delle scuole di Bologna e Ferrara
sull'evento
orogenico medio-traissico
dell'area
dolomitica,
interpretato
come manifestazione
occidentale estrema della chiusura della Paleotetide (PISA et al., 1980; CASTELLARIN & ROSSI, 1981; BOSELLINI et al.' 1982).
Il ruolo delle Alpi nell'evoluzione
spazio-temporale
dell'area mediterranea
viene riesaminato, alla luce di nuovi contributi analitici,
da DEWEY et al. (1973), BI]U-DUVAL et al.
106
GIORGIO VITTORIO DAL PIAZ, GUIDO COSSO
strutturale condotte con il metodo di analisi
suggerito dai classici testi di TuRNER & WEISS
(1963), RAMSAY(1967) e HOBBSet al. (1976).
Il metodo è derivato per larga parte dal magistero di Gilbert WILSONsvolto negli anni cinquanta
presso l'Imperia! College di Londra. Esso privilegia la descrizione analitica delle caratteristiche
fisiche delle tettoniti e delle relazioni di sovrapposizione diretta delle strutture utilizzando
AS
AS
il concetto di fase deformativa (discussione in
HUBERet al., 1980); impone inoltre rigore sul
linea.
MILANO
collegamento dei risultati ottenuti a varie scale
AAR
BASILEA
lnsub
- -·---- -·-di osservazione. La necessità di questo collegae
,___ e ~
e
mento giustifica il dispendioso lavoro di indagine cartografica e microstrutturale realizzato da
I, I I I Il
ì:r.:l:.(ù-- _
diverse scuole negli anni 1960 - 70 sia nel cuore
~
delle falde pennidiche inferiori, dove la carta di
SCHMIDT,PREISWERK& STELLA (1908) evidenziava attraenti situazioni strutturali (HIGLID
GINS, 1964; CHADWICK,1968; SIBBALD,1971,
CA
CA
HALL, 1972; MILNES,1974; KLEIN,1978), sia in
altri settori della catena (REINHARDT, 1966,
COBBOLT, 1969; DAL PIAZ & SACCHI, 1969;
J.M. CARON, 1974; WARRAK, 1974; GRATIER
et al.' 1976; Gosso, 1977; MILNES& PFIFFNER,
AS
1977).
Un primo apprezzabile risultato di questo tipo
Fig. 11 - Interpretazionestrutturale della catena alpina sulla base dei dati geofisici(PANZA et al., 1980, di indagini è la precisazione che le falde prosemplificato): C: crosta; LID: mantello litosferico; fonde di basamento polimetamorfico, invilupCA:canale;AS:astenosfera.
pate da coltri («sinclinali») di calcescisti mesozoici ed interpretate come ultrapieghe coricate
o tuffanti, non rappresentano strutture plicative.
(1977), BOURBONet al. (1977), Hsu & BER- generate dalla più antica fase di deformazione
NOULLI ( 1978), LAUBSCHER & BERNOULLI alpina. HALL (1972) dimostra infatti (vedi
(1978), GRACIANSKYet al. (1979, 1981),
HOBBSet al., 1976, p. 415) che in più di un caso
BERNOULLI & LEMOINE(1980), BERNOULLI la cerniera frontale delle grandi pieghe coricate
(1981) e KELTS(1981).
appartiene a fasi deformative posteriori alla preConcludendo la disamina delle moderne sinsa di posizione della falda (fig. 12). La ricaduta
di questa evidenza è duplice: da un lato circotesi tettoniche sulla catena alpina o su suoi
scrive la meccanica della messa in posto delle
settori, va rilevato che esse, pur essendo in
falde profonde alla parte della storia strutturagenere fondate su dati analitici forniti da difle destinata a rimanere la più inesplorata e la
ferenti campi specialistici delle Scienze della
più soggetta a congetture perché meno ricca di
Terra, contengono raramente uno spettro
omogeneo di riferimenti all'analisi tettonica,
evidenze geometriche, d'altro canto chiarisce che
un campo di ricerca recente ed in forte svilup- i gruppi di strutture più recenti possono essere
po nelle Alpi. Ne esaminiamo breyemente i
definiti come post-falda e correlati nello spazio
contributi più significativi, convinti del loro
perché geometricamente più stabili e persistenti.
Nei lavori citati è semplice comprendere che,
determinante impatto sulla futura modellistica.
Gli anni settanta hanno segnato la comparsa
sebbene le successioni deformative (successioni
nelle Alpi occidentali di indagini sull'assetto
cinematiche di ROEDER, 1980) siano presentate
MONACO
BERNA
FERRARA
7
I
®
1
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VARESE
LE MODERNE INTERPRETAZIONI
North
Antiqorio
TETTONICHF DELLE ALPI
107
t::n.f!ll; ••••
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I
South
Mesozoic
rocks
Mesozoic
rocks
Antigorio Gneiss
Fig. 12 - Le grandi pieghe coricate della unità pennidiche inferiori nell'Ossola-Ticino si sono formate successivamente
alla messa in posto dei ricoprimenti; sono quindi pieghe post-falda (HALL, 1972, in HOBBS et al., 1976).
nella descrizione secondo l'ordine tradizionale,
dalle più antiche alle più recenti, siano in realtà
queste ultime ad aver fornito la chiave elementare di correlazione utilizzata nell'indagine diretta. Molti lavori degli anni settanta riportano
quindi una duplice conclusione: una deduzione
spesso speculativa sul meccanismo iniziale di
impilamento delle unità tettoniche provenienti
da domini paleogeografici diversi ed una meglio
definita relazione tra l'ambiente metamorfico e
la geometria d'insieme delle deformazioni post-falda. Un esempio completo di interpretazione
spazio-temporale è quello di MILNES(1978) che
propone una definizione della successione deformativa correlata, per le fasi post-falda, al
livello strutturale.
Un'apparente incompletezza nella definizione
dell'ambiente metamorfico della presa di posizione delle falde profonde può apparire dall'analisi della letteratura degli anni settanta, laddove
essa riporta, nella correlazione tra gli eventi
deformativi e metamorfici, una coincidenza del
picco di attività blastica (o termica) con la
parte centrale delle deformazioni post-falda
(le fasi deformative F2 e F3). In effetti la maggior parte dei lavori di analisi strutturale rapportata al metamorfismo è stata in questi anni
realizzata nella regione di culminazione termica
del Sempione-Ossola-Ticino, dove l'età radiometrica di 38 m.a. e l'intensità del picco ter- /
mico sono tali da far apparire l'attività blastica
coeva con le deformazioni regionali più recenti
(post-falda). Solo LADURON( 1976, p. 107),
che ha lavorato in una regione al margine del
duomo termico in facies anfibolitica, ove iniziano ad essere preservate le tracce del metamorfismo eoalpino (100 - 70 m.a.) di alta pressione,
avanza dubitativamente l'idea di un possibile
legame tra le deformazioni geometricamente
più antiche (traslative) ed il metamorfismo
eoalpino.
Un gruppo di lavori eseguiti in aree corrispondenti a livelli strutturali più elevati della pila
delle falde, ove il metamorfismo eoalpino di
alta pressione è ben conservato poiché non è
seguito da una riequilibrazione lepontina in
facies anfibolitica, tende ad individuare una
connessione tra fasi traslative di messa in posto
di unità metamorfiche e l'evento metamorfico
eoalpino (Gosso, 1977; Gosso et al., 1979;
MINNIGH,1979; PASSCHIERet al., 1981; LARDEAUXet al.' 1982; WILLIAMS& COMPAGNONI, 1983). La correlazione tra i livelli elevati
e quelli profondi delle fasi di messa in posto non
può tuttavia essere dedotta con immediatezza,
per la oggettiva mancanza di dati spazialmente
continui.
La serie dei lavori degli anni settanta consegue
in definitiva il risultato di legare il picco dell'attività blastica con la successione delle fasi geometriche, lasciando a questa relazione un valore
locale. Nella regione del duomo termico lepontino altre ricerche potranno approfondire le correlazioni regionali tra livelli strutturali differenti.
Le tecniche utilizzate in questa regione negli anni settanta appaiono superare l'impostazione dei
precedenti lavori nei quali le strutture non venivano definite su base cartografica, nè separate se-
GIORGIOVITTORIODALPIAZ,GUIDOGOSSO
108
condo
le loro sovrapposizioni
geometriche
WUNDERLICH, 1963; CABY, 1973).
Tra la fine del settanta e gli inizi dell'ottanta
si aggiunge, ancora per merito della scuola di
Zurigo, una nuova serie di dati che, presentati
esemplarmente sulle falde elvetiche, sulla Maggia
e sul Lebendun , riguardano la precisazione
quantitativa su estese regioni dell'orientazione
e
delle dimensioni dell'ellissoide dello strain finito
(HUBER-ALEFFI, 1982, RAMSAY & HUBER,
1983; con rif. bibl.).
Altre scuole stanno tentando in questi ultimi
anni un approccio differente, meno impegnativo
perché richiede tempi di lavoro assai più brevi.
Esso si basa sulla sola misura delle strutture lineari di estensione (lineazioni di stretching),
nell'assunto che esse coincidano con la direzione di trasporto tettonico. Tale metodo analitico
è discusso da WILLIAMS & COMPAGNONI (1983)
con riguardo a casi in cui assi b di pieghe meso-megascopiche possono essere ruotati dalla loro
posizione iniziale verso la direzione regionale di
massima estensione finita.
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