filosofia dell`educazione m-ped/01

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FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE M-PED/01
(disciplina annuale – 80 ore, 10 CFU, con esame unico non divisibile,
2° anno L 19, Scienze della formazione primaria)
Prof. Carmela Di Agresti
Prof. Cosimo Costa
Obiettivi formativi
Gli obiettivi del corso sono:
 Sensibilizzare alla comprensione dell’agire educativo e alle sue leggi specifiche.
 Introdurre alla lettura di pagine significative di grandi autori che, vissuti in differenti epoche
storiche, hanno affrontato problematiche di rilevante significatività per la comprensione del
costruirsi dell’umano nell’uomo.
Contenuto del corso
 Analisi dei dinamismi di sviluppo della soggettività, delle dinamiche dell’agire libero e delle
particolari esigenze educative relative alle differenti potenzialità umane;
 Introduzione alla lettura di pagine significative di grandi autori del mondo classico e del
mondo contemporaneo che hanno affrontato i temi di cui sopra;
 Approccio educativo alla realtà dell’agire interiore
 Problematiche circa l’inserimento qualificato nella convivenza.
Testi d’esame
 Introduzione metodologica (sulla pagina Web);
 Sintesi orientativa della parte istituzionale (sulla pagina Web):
a) Crisi culturale del post-moderno: antropologie a confronto e dinamismi educativi.
b) Filosofia dell’educazione: oggetto, metodologie e finalità.
 E. DUCCI, Antologia di saggi brevi su temi di Filosofia dell’educazione (sulla pagina Web)
o Gli auctores, da E. Ducci, Approdi dell’umano, Roma, Anicia, 1999, pp. 67-79;
o Filosofia poietica, da E. Ducci, L’uomo umano, Roma, Anicia, 2008, pp. pp. 9-23;
o Postille di filosofia dell’educazione, in “Il quadrante scolastico”, 1995, n. 64, pp. 94103;
o Filosofia dell’educazione e filosofia morale, in Libertà liberata. Libertà Legge
Leggi, Roma, Anicia, 1994, pp. 31-39;
o La comunicazione da anima ad anima è ancora auspicabile? in AA. VV, (a cura di
E. Ducci) Aprire su paideia, Roma, Anicia, 2004, pp. 15-20;
o Educabilità umana e formazione in AA. VV, (a cura di E. Ducci), Educarsi per
educare, Roma, Edizioni Paoline, 2002, pp. 25-44;
o Quale formazione, se importa dell’uomo in AA. VV (a cura di E. Ducci), Il Margine
ineffabile della paideia. Un bene da salvaguardare, Roma, Anicia, 2007, pp. 13-34.
Pagine scelte da
 PLATONE:
o Apologia di Socrate (tutta);
o La Repubblica (VII libro: Il mito della caverna); Gorgia, Protagora (brani scelti in
allegato sulla pagina Web)

M. BUBER:
o Il Principio dialogico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993 (IO e TU - Parte
prima, pp. 59-83; Il dialogo, pp. 185-225);
o Da Discorsi sull’educazione, Armando, Roma 2009: Sull’educativo, pp. 31-69;
Sull’educazione del carattere, pp. 83-104;
1

M. FOUCAULT, L’ordine del Discorso: i meccanismi sociali di controllo e di esclusione
della parola, Einaudi, Torino 2004 (solo L’ordine del discorso, pp. 1-40).

M. MOUNIER, Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, BUR, Milano
2005(tutto).

MARCO AURELIO, Ricordi, Bur Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1997.
Temi e aforismi scelti:
o L’interiorità: I, 7; II, 1; III, 1; IV, 3; V, 5.VII, 4, 15, 17, 28, 30, 31, 52, 58, 59, 60, 61, 66; VIII, 9,
32, 40; IX, 13; XII, 1, 3, 7, 27, 34, 35, 36.
o Le virtù e il daimon: I, 1; II, l, 9, 17; III, 2, 4; IV, 50; V, 3, 12, 15; VII, 8, 11, 20; VIII, 1; XII, 12; 19,
21, 27, 32.
o L’ufficio da compiere: II, 5; III, 12; IV, 2, 30; 12;V, 9, 3, 33; VI, 1, 2, 11, 18, 22; XI, 20, 36.
o La morte: IV, 5, 6, 15, 19, 34, 48; VIII, 11, 12.
o La provvidenza: IV, 10, 14, 23, 25, 27, 31, 36, 40, 45; VI, 5, 10, 42, 43, 44 e 45.
o La saggezza: VII, 27, 29, 62, 64, 67, 68, 71; IX, 6, 28, 29, 30, 34, 36, 37, 41, 42; X, 11; XII, 4, 6, 8,
9, 16, 24, 26, 27, 29, 30, 31
o Il tempo: II, 4, 6, 12, 14, 17; IV, 17, 26, 35, 43, 47, 48, 50; IX, 4, 14, 32a, 33, 37a.
Attenzione
A disposizione degli studenti interessati c’è un CD con tutte le lezioni del I e II semestre registrate.
Relativamente al CD contattare direttamente La Libreria Caffè Barumba per relativi accordi:
Piazza delle Vaschette 15 – 00193 Roma; Tel. 06/45497439
E-mail: [email protected]
Descrizione della verifica di profitto
Elaborati scritti:
Solo per gli studenti frequentanti che possono partecipare ad attività di esercitazioni, in tal caso la
valutazione positiva servirà da esonero parziale per l’esame finale.
Esame finale orale:
Per tutti, frequentanti e non frequentanti.
2
INTRODUZIONE METODOLOGICA
1. Finalità del corso
 Il Corso di filosofia dell’educazione vuol portare a riflettere su quei nuclei vitali,
problematici e complessi dell’essere umano che interessano in maniera diretta il rapporto
educativo.
 Abbiamo chiesto aiuto a guide esperte, quali sono i grandi autori, studiati e approfonditi
insieme.
Riteniamo che quanto essi ci possono dire sia sollecitante e costruttivo per tutti gli studenti:
a) per quelli che ancora non hanno avuto esperienza come educatori o insegnanti per l’aiuto
offerto a crescere in una migliore consapevolezza di se stessi – come possibilità e come
realtà –, nella comprensione dei punti cardine dell’agire educativo e nella comprensione
dei principi dinamici ed attuativi di un autentico rapporto educativo.
Tutto ciò è stato finalizzato a intravedere la delicatezza e la responsabilità di prepararsi
ad essere educatori per professione.
b) per quelli che già sperimentano un rapporto educativo, perché, chi si è accostato allo
studio con atteggiamento disponibile, sicuramente ha avuto l’occasione per riflettere
responsabilmente prima di tutto su se stessi e poi per riflettere sull’esperienza di cui si è
portatori.
L’obiettivo è stato di continuare a interrogarci insieme a voi su problemi fondativi
essenziali quali sono quelli dell’educabilità umana, delle possibilità e dei limiti
dell’educazione, della natura del rapporto educativo, letti in prospettiva eminentemente
dialogica.
Il nostro compito era aiutarvi a cercare sollecitazioni e stimoli negli scritti di maestri
autorevoli. Il tutto è stato collocato in un orizzonte di senso in cui l’aggettivazione
“educativa”, che specifica l’azione su cui abbiamo riflettuto, ha senso forte, ampio,
qualificante.
L’accezione “educativa” porta a ben perimetrare l’oggetto di attenzione rispetto ad
altre prospettive contrassegnate da interessi conoscitivi diversi e complementari - esempi
quelli propri della didattica –, di competenza di altre discipline e quindi oggetto di altro
insegnamento. Il contenuto della riflessione è stato diverso, come diversi sono state le
metodologie e le finalità che si volevano perseguire. Distinti dagli altri, ma non
contrapposti; tenuti presenti, ma non messi a tema di indagine.
2. Il percorso
Nel primo semestre abbiamo affrontato aspetti e problemi di natura istituzionale della disciplina;
nel secondo sono stati approfonditi temi particolari con l’aiuto di autori classici e attività
seminariali
3. Le aspettative
Il corso non mirava a travasare saperi codificati e pronti all’uso. L’ambizione è stata costruire
insieme una conoscenza quanto più possibile ben fondata e impegnata, patrimonio di tutti e di
ciascuno.
Ognuno poteva lavorare alla luce della propria esperienza e del proprio modo di valutarla;
ciascuno poteva richiamarsi alla propria idea di uomo e di educazione. Esplicita o non, senza
un’idea di uomo non si può avere un’idea di educazione.
L’incontro / confronto in aula e nei piccoli gruppi è stato finalizzato non ad azzerare le diversità
(nel pensare, nel sentire ecc.), né ad affermare supremazie, ma, attraverso le diversità
consapevoli, ci si è proposto di slargare gli orizzonti di senso e di snidare i rischi di ignoranze,
anche di quelle non volute e di cui non siamo consapevoli, di cui ciascuno di noi è, volente o
nolente, portatore.
3
Le riflessioni di tutti sui problemi messi a tema sono state preziose.
4. La scelta dei testi
I materiali di studio non necessitano di giustificazione: ci siamo confrontati con pagine tra le più
belle della riflessione umana sull’uomo e sulla sua educabilità.
La scelta dei saggi brevi della Ducci è motivata da più ragioni. Le sue caratteristiche sembrano
rispondere al meglio a ben precisi obiettivi formativi:
 sono di aiuto per introdurre alla lettura di fonti autorevoli e per attingere dal meglio della
riflessione umana ciò che sull’uomo e sulla sua educabilità è stato pensato e detto;
 rivelano un particolare interesse a sensibilizzare sui problemi e sulla necessità di snidare
ignoranze anche inconsapevoli. In questa ottica assolvono una funzione propedeutica in
quanto avviano alla lettura delle pagine dei classici, considerati come fonti primarie da cui
attingere direttamente;
 a queste considerazione di ordine oggettivo se ne potrebbero aggiungere tante altre e di non
minore importanza, non ultima la sua lunga presenza di docenza alla Lumsa che, in una
certa misura e per quanto di sua competenza, ne ha segnato il volto. In particolare:
o per la sua appassionata e costante frequentazione di autori che possono essere definiti
fonti;
o per la sensibilità con cui li ha accostati, e la genialità nell’averne colto il prezioso
apporto che essi sono in grado di offrire per affrontare quei problemi che
nell’educativo sono eternamente posti ed eternamente protesi a soluzioni, ossia i
problemi che riguardano l’uomo e la sua educabilità;
o infine, e non certo per ultimo, per la sua testimonianza di docente impegnata, mai
stanca di apprendere e sempre proiettata verso orizzonti nuovi per coniugare passato
e futuro sul piano culturale, presente e futuro su quello esistenziale, sempre protesa
al meglio per sé e per i suoi studenti, schiva delle mode, attenta esclusivamente alla
crescita delle persone di cui si sentiva responsabile.
o Per tutta la vita ha portato avanti un’azione rara, sovente rischiosa (perché non
sempre compresa), ma benefica e impagabile. Attraverso le sue pagine e le sue
sollecitazioni in qualche modo si è cercato di farla essere ancora presente in mezzo a
noi, non soltanto per la targa apposta sull’aula in cui il corso si è svolto.
o Portare ad attingere alle fonti è stato per lei il compito più alto come docente, e lo ha
svolto con rigore e passione; noi vogliamo accogliere questa lezione e proseguire su
questa strada. L’obiettivo non era di far diventare i discepoli “ripetenti” delle sue
idee – lo avrebbe considerato un tradimento – ma sollecitare l’impegno per acquisire
la capacità di pensare pensieri propri e non semplicemente ripetere pensieri pensati
da altri.
Da lei possiamo attingere un metodo di ricerca che non ci fa fermare sul già
acquisito, ma invoglia a proseguire senza soste nel cammino.
4
SINTESI ORIENTATIVA DELLA PARTE ISTITUZIONALE
Crisi culturale del post-moderno: antropologie a confronto e dinamismi educativi.
Prof.ssa Carmela Di Agresti
I
IL POST-MODERNO
CRISI CULTURALE ED EMERGENZE EDUCATIVE1
L’impiego del post:
♦ il post impiegato per significare cose molte diverse
♦ cifra di lettura prevalentemente negativa
♦ il nuovo proposto vago, utopico, non chiaramente afferrabile, soltanto dichiarazione di
intenti
Crisi del modello culturale della modernità
La crisi può essere riportata ad elementi quali:
a) Venir meno della fiducia in un metodo conoscitivo di valore universale – potere della
razionalità analitica;
b) Crisi dei grandi miti della modernità come la scienza,il progresso, le ideologie forti;
c) Crisi di legittimazioni delle pratiche umane su di esse fondate:
Effetto:
- Clima di grande incertezze circa il futuro
- Attenzione spostata sul senso del limite del soggetto, sulla sua fragilità, sui suoi dubbi
esistenziali – teorizzazione del pensiero debole
- Insistenza nello svelamento dell’intreccio condizionante di poteri esercitati dai diversi
sistemi (il sociale, il politico, l’economico, il linguistico ecc.), ritenuti fonti primarie di
definizione di senso e fortemente condizionanti l’agire a tutti i livelli
- Disgregazione delle ideologie forti e trionfo dell’unica che sembra inarrestabile, quella
tecnologica
Tratti salienti della cultura post-moderna
a) La disgregazione del modello, ossia crollo dei diversi miti, sostituiti da uno nuovo: la fine
di ogni mito > negazione di una realtà sostanziale a cui fare riferimento
Sostituzioni:
- la realtà vista come esclusivo prodotto di giochi linguistici i cui significati sono in
continuità costruiti e smontati;
- non esiste una verità, ma la verità è ciò che l’uomo produce
Esito:
- rinuncia alla ricerca della verità
- annunciata la fine di ogni certezza
Nascita di una contraddizione:
- relatività di ogni pensare e di ogni agire;
- sul versante gnoseologico-etico: “pensiero debole”;
- sul versante tecnologico: ricerca di nuove e inedite forme di securizzazioni che fanno
leva sul potere della tecnica: “ipermodernismo”:
1
Attenzione: Gli schemi qui proposti riguardano gli argomenti svolti nelle lezioni in aula durante il
primo semestre. Per i necessari approfondimenti gli studenti hanno a disposizione un cd audio con
la registrazione delle lezioni e i suggerimenti relativi.
5
“Il pensiero debole”: Su questo versante si incrociano:
- l’indebolimento del raziocinio - al posto della verità l’efficienza;
- il pragmatismo acritico - al posto della ragionevolezza l’irrazionale (forme varie e
subdole – rinuncia a pensare);
- la fragilità etica - al posto dell’impegno etico (doverosità) atteggiamenti e soluzioni
contrassegnate dai principi negativi dell’insignificanza e dell’assurdo.
Come ricaduta si assiste ad un frequente atteggiamento rinunciatario e / o riduttivo:
- la scienza che si accontenta del solo traguardo dell’efficienza;
- la filosofia che non si interroga più sul senso, ma è interessata soltanto ad un
pensare calcolante che sfocia sempre più frequentemente nelle terre aride del
nichilismo;
- le scienze umane che si contentano di un descrittivismo pedante e pignolo anziché
interrogarsi sul senso; si limitano a che cosa fare.
L’ipermodernismo: su questo versante impattiamo con le complesse problematiche del cosiddetto
post-umanesimo, e il suo principio cardine del trascendimento:
Le due principali manifestazioni:
a) Post-umanesimo biotecnologico
- Una particolare modalità per declinare il principio di trascendenza;
- Il principio rivela una precisa ambiguità: affascinante e fuorviante nello stesso
tempo per una possibile duplice declinazione che si fonda su prospettive
nettamente contrastanti nel considerare il potere di azione dell’uomo:
1°. Rivendicazione di una autonomia assoluta: rifiuto a riconoscere alcun tipo
di legalità, interna ed esterna – unica legge il proprio arbitrio nell’uso
indiscriminato nel potere assoluto della tecnica (ciò che si può fare è lecito fare)
2° Autonomia segnata dal limite in senso creaturale, autonomia partecipata;
normatività iscritta nella struttura ontologica che l’uomo è tenuto a rispettare per
il suo umanarsi.
Convergenza di posizioni di pensiero e orientamenti culturali diversi per approcci
e per focalizzazioni.
Entrambe le prospettive si presentano cariche di interrogativi.
b) Il post-umanesimo dell’artificializzazione come metamorfosi digitale della
formazione
- Riguarda il vasto campo di applicazione della potenzialità tecnologica;
- Rapido di susseguirsi di paradigmi su cui si è costruita la rete WEB, con ricadute,
nell’ambito che ci interessa, su: l’evoluzione dei saperi; gli stili di vita e di
apprendimento; sul concetto di persona, sulla sua autonomia di pensiero e di azione.
Alcuni effetti dell’incrocio tra pensiero debole e ipermodernismo
Caratterizzano la temperie culturale d’oggi e sono chiaramente rilevabili nei vissuti
individuali e collettivi.
- L’affermata debolezza del pensiero lascia l’uomo senza orientamenti e senza fiducia
nella possibilità di trovarli;
- Forme esasperate di soggettivismo a stampo individualistico, in difesa di diritti
privatistici, non potendo fare affidamento né su sé, n su modelli comunitari condivisi
- Trionfo dell’individualismo, impoverimento delle motivazioni incapacità di orientarsi,
attrazione irresistibile per l’effimero e per il godimento immediato;
- Affievolimento della sensibilità verso i grandi problemi dell’umano e dell’umanarsi;
- Progressivo senso di vuoto e di insignificanza. Ricerca di securizzazioni nel potere della
tecnica, incapace di rispondere alle domande del senso ultimo che continuano ad
assillare l’uomo.
6
II
PROSPETTIVE ANTROPOLOGICHE E PROBLEMATICHE EDUCATIVE
IDEA UOMO E EDUCAZIONE
- Per parlare dell’educazione non si può ignorare l’idea uomo da cui si parte. Non sempre essa è
dichiarata ma, implicita o esplicita è sempre presente;
- Il legame il senso dell’uomo e il senso dell’educazione è indissolubile, anche se qualche vota
negli autori si registrano incoerenze tra l’idea uomo e il significato dell’educazione;
- L’esigenza di chiarire la realtà educativa rappresenta spesso il banco di prova per valutare la
tenuta o meno dell’idea di uomo 2.
Interrogativi comuni
- Tutte le domande fondamentali sull’uomo interessano la riflessione sull’educazione;
- L’interesse in filosofia dell’educazione non va tenuta a livello di pura speculazione, ma deve
servire per offrire un orientamento a quell’agire finalizzato a rendere ciascun uomo capace di
perseguire la perfezione possibile e conseguibile con il suo vivere;
- Gli interrogativi fondamentali ineliminabili sono quelli posti dalla riflessione umana da sempre
e ogni generazione è tenuta a porsi (i problemi maledetti di Dostoevskij):
 Chi è l’uomo? non solo cosa può fare;
 Quale la sua natura? (essenza, spessore d’essere);
 È lecito parlare ancora di una natura umana universale?;
 Si può identificare uno specifico per cui l’uomo è uomo?;
 Se si, come si raccorda questa specificità con la cultura e i modelli culturali che sono sempre
plurali?;
 E’ possibile rintracciare costanti (trascendentali) presenti nel variare delle condizioni
storico-geografiche?.
L’uomo e la sua educazione: Conoscere / vivere
- Il nesso stretto tra senso dell’uomo e senso dell’educazione porta ad una circolarità positiva tra
conoscere e vivere, ben significata dalla peculiare sapienza socratica: si fa ricerca per imparare a
vivere, vivendo meglio l’uomo si conosce di più (anthropine sophia);
- I due termini uomo / educazione diventano interscambiabili se alla parola educazione si
attribuisce un significato pieno, intriso di valorialità così che, per molti aspetti , si può dire che
l’uomo coincide con la sua educazione;
(Attenzione: fatti salvi il rapporto dialettico tra essere e dover essere, natura e cultura,
destinazione originaria e declinazione individuale);
2
“E’ pura illusione ritenere di educare senza avere in testa una concezione generale dell’uomo, della vita, della
società, della storia,della cultura, dei valori, dei significati”G. ACONE, Declino dell’educazione e tramonto d’epoca,
Brescia, La Scuola, 1994, p. 15;
“Ogni azione educativa , tesa a formare l’essere umano, è accompagnata da una determinata concezione dell’uomo,
della sua posizione nel mondo, dei suoi compiti nella vita, delle possibilità di una sua cura e formazione pratica” E.
STEIN, La struttura della persona umana, Roma, Città Nuova, 2000, p. 38;
“I concetti di ‘uomo’ e di ‘educazione’ dell’uomo non possono restare sottintesiin un discorso pedagogico: devono
essere esplicitati e chiariti fin dal suo inizio. Essi sono punti di partenza per una teoria della pratica educativa:
(questa,in loro assenza, procede alla cieca, e può anche illudersi di progredire, come ogni strada può essere giudicata
buona per chi non sa dove andare)”, G. CORALLO L’educazione come crescita della libertà nell’uomo, in AA. VV.
Educazione e libertà in Gino Corallo, (a cura di G. Zanniello), Roma, Armando, 2005 p. 147;
“E’ fin troppo scontato che lo spessore e la peculiarità che si attribuiscono all’educativo (intendendo con esso
l’educabilità umana, il suo farsi e i traguardi a cui del suo tendere) sono in proporzione diretta con il senso dell’uomo
in genere e con quanto concerne l’umano. Forse meno solita è l’ipotesi che esso sia proporzionato direttamente al
prezzo che l’uomo si dà. Quel prezzo che, se alto, pretenderà, per essere mantenuto tale, la giusta distanza dalle cose, il
rifiuto della meschineria dell’ipocrisia e l’impossessarsi di una magnanimità nobile e smisurata”E. DUCCI, Educare
alla legalità , in Libertà liberata, Roma, Anicia, 1994, p. 18
7
L’antropologia pedagogica, considerata sotto questa prospettiva, può produrre effetti di
conoscenza pari a quelli dell’antropologia filosofica.
Diversità di lettura della realtà uomo
- Nell’orizzonte delle antropologie contemporanee non esistono solo interpretazioni riconducibili
al cosiddetto ‘post’, anche se queste registrano una presenza mediatica più agguerrita da far
apparire altri paradigmi soltanto residuali e/o obsoleti;
- Modelli e chiavi di lettura non allineati con i codici della cultura dominante sono altrettanto
presenti e vivi oggi;
- Data la molteplicità e la diversità dei paradigmi e, per ragioni di analisi, è opportuno
categorizzare, anche se occorre riconoscere che è difficile perimetrare i rispettivi paradigmi in
maniera rigida, in quanto in concreto rivelano continue intersezioni teorico-pratiche.
-
IDEA UOMO NELLA CULTURA OCCIDENTALE
Edda Ducci rintraccia due fili che percorrono tutta la ricerca sull’uomo fatta nella cultura
occidentale, utile a chi intende riflettere sull’umano dal punto di vista educativo.
A. IDEA UOMO IN PROSPETTIVA METAFISICA
La Ducci si colloca sul versante di una interpretazione metafisica circa la realtà uomo e classica i
due fini nei seguenti termini:
1^ filo: Idea uomo affermativa:
- Dalla Ducci viene così definita:
" Il primo conduce ad incontrare, nei vari tempi, posizioni diverse, espresse in modi
differentissimi ma accomunate da un'idea affermativa sull'uomo. Lo si vede come sorgente di
energie, punto originario di dinamiche irrepetibili, dotato di un senso e di un valore proprio,
capace di accogliere il diverso da sé senza perdere l'identità anzi crescendo in essa, bisognoso
di ricevere, ma al fine di attuare potenzialità tutte sue. Si tratta per lo più di un atteggiamento
non ingenuo: un sano realismo libera dalla cecità circa gli ostacoli anche interni che si
frappongono, spesso con forza, all'accensione di questo potenziale" (Ducci, Approdi
dell’umano, Roma, Anicia, 1999, p. 23).
All’interno di questo filone si trovano molteplici correnti, Weltanschauungen difformi, con
varie ipotesi di lettura e rapporti con la realtà esterna, i poteri ecc. ma con un elemento che le
accomuna, ossia
“una originarietà, anche se di natura e intensità differenti, è sempre attribuita all'uomo. Si
ritiene che l'affermatività dell'uomo segni e signoreggi, con intensità diverse, il suo essere e il
suo ricevere. Così che, nei contesti anche disparati, si tratta pur sempre di un uomo più o meno
inquietante perché più o meno imprevedibile".(Ivi, p. 23)
Molti sono i compiti, particolari e gravi, dell’educatore. Molti sono risaputi, alcuni sono di
minore evidenza. Di questi ne sottolinea in particolare due:
"Alla responsabilità dell'educatore appartiene anche una singolare giustizia, verso il soggetto
che gli sta di fronte, una giustizia che non annulla le differenze ma le impiega primamente a
favore del soggetto stesso.
Alla funzione di educatore appartiene anche il rendere l'altro interessato alla conoscenza e alla
volontà di attuazione e di impiego del proprio potenziale. Sono compiti non appariscenti, ma
incisivi e delicati" (Ivi, p. 23).
Un ulteriore elemento caratterizzante è il particolare significato attribuito alla parola:
"In questa cornice antropologica il senso per la parola ha modulazioni differenti, arriva fino a
vedere nella parola lo strumento o forse il veicolo primario dell'accensione del potenziale
umano. In proporzione alla forza attribuita alla parola entra in gioco la dialettica dell'alterità,
del rapporto unico che solo può stabilirsi da persona a persona, del dialogare. La parola intesa
come mistero riecheggia l'intendere l'uomo stesso come mistero riecheggia l'intendere l'uomo
8
stesso come mistero, sacro e inviolabile; ma anche i livelli meno alti comportano un rispetto
grande per la parola" (pp. 23-24).
2^ filo: Idea uomo ricevente
- Anche in questo filone si ritrovano posizioni molto diverse, ma con un elemento accomunante:
"Il secondo filone conduce a incontrare posizioni accumunate dall'idea di un uomo ricevente: il
suo volto è modellato dal di fuori, come da fuori lui riceve il suo senso e il suo valore. Anche
qui le difformità delle correnti di appartenenza e delle Weltanschauungen di riferimento
scandiscono antropologie diverse; permane però il senso del ricevere, quasi assenza di
propositività, come patrimonio ontologico-esistenziale dell'uomo. Il potere inquietante, ma non
imprevedibile come nel primo spaccato, passa a ciò che non é l'uomo, ossia all'ideologia, alla
tecnica, all'oggettivo in genere, fino al trattamento chimico" ( Ivi p.24.
L’interpretazione che la Ducci ne fa in chiave educativa:
"L'educazione, non costretta a nessuna attenzione (tanto meno primaria) all'uomo, può spaziare
nei campi sterminati dell'oggettivo e partecipare all'accelerazione del progresso.
La parola resta all'esterno, appartiene al mondo della convenzionalità, dell'utilizzo e dello
sfruttamento. E questo non muta anche se la si impiega nell'educativo. E' soltanto un mezzo per
avere risultati programmati e precisi; è ridotta (senza residui) a questa funzione” (Ivi p. 24)
Qualche interrogativo su cui chiama a riflettere:
L'idea uomo, sostiene la Ducci, si compone di tanti tratti più o meno essenziali e significativi.
Un tratto nobile, quasi mai esplicitato , è il quesito se l’uomo vada considerato un enigma o un
mistero.
Uomo enigma o uomo enigma/mistero?
Scrive la Ducci in merito:
"Ognuno, di fronte alle reazioni inattese e impreviste del proprio universo personale, si
domanda se la sua natura enigmatica - forse qualche scienza prima o poi ne darà la risoluzione
definitiva -, o misteriosa, - va accettata, vissuta e lentamente decifrata, senza pretendere affatto
una soluzione razionale definitiva.
L'enigma si risolve, è soltanto questione di tempo; trovato il bandolo, tutto si dipana. Il mistero
è inesauribile, più si scava più si sente la profondità; le soluzioni possono essere buone, ma
sono parziali, non tutte razionalizzabili, e lasciano sempre aperto l'ipotetico se della giustezza.
L'uomo enigma potrebbe essere risolto dalla chimica…
Sull'uomo mistero il discorso non può mai essere chiuso, anche perché, se l'uomo è tale e ha in
sé anche una sola particella di misteriosità, ogni nuovo esemplare è un mondo nuovo che
ripropone il problema con un pizzico di inedito". (Ivi, pp. 30-31)
Da questa prospettiva nascono molti interrogativi:
- Con quali idee realtà misurarsi per affrontare il nostro discorso?
- Quale idea di uomo (io / soggettività / persona) costituisce l’opzione di partenza?
o Un uomo a cui è attribuita o non una originarietà irrepetibile?
o Un uomo a cui è assegnato o non uno spessore d’essere che possiamo definire
densità ontologica?
o Un uomo segnato non da una misura qualitativa che ne definisce il senso?
- Di quale libertà è dotato?
o È o non una capacità di dominio su se stesso, di possesso di sé, di auto appartenersi?
o Come il tutto si realizza e in vista di quale fine da raggiungere?
- Quale il valore della parola nell’uomo come veicolo di comunicazione?
o Ha la parola il potere o non di accendere il potenziale nell’uomo?
o Ha la capacità o non di fondare un rapporto dialogico e di mettere in rapporto lo
spirituale nell’uomo con lo spirituale nell’altro uomo?
o Esiste diversità tra la parola soggettiva e quella oggettiva?
Attenzione: per gli approfondimenti della proposta Ducci e il senso degli interrogativi si rimanda
alla antologia presente su questa pagina Web
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B. L’IDEA UOMO NELLA PROSPETTIVA POST-METAFISICA – ALTRA LETTURA
Alla voce della Ducci che legge e interpreta l’idea uomo, da una prospettiva metafisica è
opportuno affiancare una lettura che si colloca sull’altro versante, ossia su quello dell’approccio
post-metafisico.
Per tracciare questo secondo profilo al fine di individuarne gli aspetti caratterizzanti e le
ricadute in chiave di antropologia pedagogica mi servo di un breve saggio sulla persona nel
pensiero post-metafisico di Franco Cambi, convinto sostenitore di tale approccio. (F. CAMBI,
La persona nel pensiero postmetafisico, in AA. VV. Pedagogie personalistiche e / o Pedagogia
della persona ( a cura di G. Flores D’Arcais), Brescia, La Scuola, 1994, pp. 63-85).
Premessa:
- La riflessione filosofica sul secondo versante oggi ha come punto cruciale la crisi della
soggettività che segna fortemente la problematica educativa;
- La globalizzazione e la mondializzazione ha accentuato la crisi circa l’equilibrio tra le due
grandi idee che hanno attraversato la cultura occidentale dai suoi primordi – quella della
persona e quella della tecnica;
- Tra le due risulta oggi vincente, sul piano teorico e pratico, la seconda, quella tecnica, mentre la
prima “non ha avuto lo stesso successo mondiale, non ha impregnato di sé l’intero pianeta”
(Acone, L’antropologia dell’educazione, op. cit. p. 45);
- Diversa la natura dell’oggetto nei due ambiti: quello della persona fa parte del mondo
soggettivo, si costruisce e afferma nello spazio della libera scelta, mentre il secondo attiene alla
realtà del mondo oggettivo;
- La crisi che attraversa la riflessione sul primo sta in bilico tra metafisico e post-metafisico,
approdo naturale, quest’ultimo, della svolta operata nella modernità e arrivata a compimento
nella seconda metà del XX secolo.
Il pensiero post-metafisico: i presupposti
Punto di partenza:
- Superamento del pensiero metafisico che ha caratterizzato il pensiero dell’occidente,
vincolato a prerequisiti intranscindibili e supposti immodificabili, attraverso un’opera di
decostruzione volta a mettere in luce : la sua parzialità; la sua violenza; il suo assolutismo che
impedisce il dialogo; l’occultamente delle differenze;
- Viene messo a tema il principio dell’oltrepassamento: si fa riferimento alle categorie elaborate
da esistenzialismo, neopragmatismo, empirismo, storicismo, forme ermeneutiche radicali per
prospettare forme di pensiero alternative.
I postulati del pensiero post-metafisico:
- vengono sintetizzati come
“metacritico, aperto alla critica dei propri fondamenti, che incrocia procedure cognitive
decentrate e disseminative, che si coagula all’intreccio di decostruzioni, ricostruzioni, di
pluralismi ecc., assumendo un volto eminentemente ipotetico, non garantito, non cogente
In altri termini le categorie di riferimento sono:
criticità – disseminazione – apertura problematica - sfondamento (p. 65)
Apertura problematica / sfondamento
- L’apertura problematica è “tipica della teoresi filosofica e il suo disporsi in funzione non del
Logos, ma dell’uomo, di un ente finito e fragile, né autonomo né autentico, che la ragione
aperta può far incamminare verso orizzonti di maggiore libertà, consapevolezza e capacità
costruttiva” (p. 67).
- Lo sfondamento è il baricentro di tale modello di pensiero, “ovvero l’abbandono del carattere
originario della metafisica come scienza regia dei principi primi, studiati secondo un itinerario
di cogenza razionale…
Il pensiero post-metafisico è un pensiero ‘senza fondamenti’ che si modella
sull’interpretazione e sulla sua ‘semiosi infinita’, sul nomadismo della verità e sulla
decostruzione, perdendo ogni aspetto gerarchico, ogni costruttività centralizzata, ogni
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carattere tradizionalmente razionalistico (fondativo, univoco, invariante, universale) (pp. 6768).
Critica al pensiero a marcatura metafisica
La persona e la sua struttura
- Il modello di pensiero che si costruisce sullo sfondamento si applica anche alla realtà
“dell’ego-persona”, una nozione che “è funzionale / costruttiva e niente affatto ontologica”.
La critica di Cambi alla persona a marcatura metafisica riguarda sia la struttura, sia la
deontologia
La struttura del soggetto che si fonda e veicola una struttura dell’Essere, comunque questa la
si intende è sempre contrassegnata
“da una univocità costante di Significato e di Ordine, dal suo vigere come lex della e per lo
sviluppo del soggetto, dal suo porsi come carattere metastorico e regolato da una dinamica
interna, invariante e contrassegnata dalla integrazione / massimizzazione costitutivamente
obbligata e definita. Il soggetto persona è una struttura ontologica, aperta a una dinamica di
completamento del proprio senso, già, però, iscritto in quella struttura” (pp. 69-70).
La deontologia
- Nell’orizzonte di senso anzidetto l’uomo, per Cambi, perde la sua caratteristica più propria che
è la libertà:
“E’ questa una immagine deontologicamente bloccata della persona; il suo senso è già iscritto
nel suo orizzonte costitutivo; la sua visione è, in un certo senso, naturalistica, anche dove se ne
decanta l’identità spirituale. E’ un’immagine che dipende dal Logos metafisico (fondativo,
invariante, totalizzante, ecc. ) e lo incorpora nel suo disegno, spogliando il soggetto dei
caratteri di identità mobile, di crescita empirica, di orientamento creativo, di autonomia e di
costruzione responsabile, di scelta. L’autonomia è qui connessa solo al riconoscimento di una
struttura / senso; la responsabilità e la scelta, all’assunzione di quella struttura. Così tutto il
processo di formazione del soggetto risulta chiarito e preliminarmente definito, anche se poi
fenomenologie del processo possono diversificarsi e disseminarsi secondo itinerari e frontiere
individuali. L’approdo, però, è già pre-garantito e pre-definito”(p. 70).
Critica ai presupposti del personalismo metafisico
- Ontologizzazione:
l’ontologicità della persona “non è mai un dato, bensì un compito: è nozione storica, culturale,
costruttiva”
- Retoricizzazione:
dipende dalla ontologizzazione.” Essendo già definita, va persuasivamente difesa, illustrata,
diffusa”
- deontologismo della persona
“iscritto nella sua struttura e che al soggetto sta solo di leggere, riconoscere e affermare
esistenzialmente come compito”
Questi presupposti “ che si dispongono intorno all’antologia, al significato onto-deontologico
assegnato alla persona, sollevandola oltre la storicità, empiricità, esistenzialità che le sono
proprie e che sono testimoniate dallo status drammatico della persona, dal suo costruirsi,
legato ad un iter conflittuale, disarmonico, precario” (p.73).
Critica agli esiti del personalismo metafisico
- “siamo davanti a una persona come nozione a-priori, pre-definita e non costituita al crocevia
di molte esperienze (storiche, giuridiche, religiose, etico-politiche, antropologiche), delle quali
porta l’orma nella non-univocità che la contraddistingue: non si è persone allo stesso modo e
nello stesso senso in culture/storie diverse, se non per quella griglia formale di ‘diritti umani’, i
quali, però, sono sempre prerequisiti della persona, nuclei sui quali essa si edifica, nel suo
significato più proprio. E ancora: siamo davanti a una persona che, nel suo deontologismo
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univoco e a-priori, indebolisce l’impegno a scegliersi come tale, a volersi tale, a progettarsi
nella propria singolarità/specificità/irripetibilità. L’accezione ontologico-metafisica della
persona ne distorce o soffoca la caratteristica più intima e peculiare” (pp. 73-74).
Valutazione critica alla prospettiva metafisica: valenza meriti e limiti
- Non lo ritiene uno pseudo-personalismo e forse neppure dogmatico in senso stretto ma come
“ un’accezione possibile /necessaria della persona, che ne sottolinea la struttura coerente e
costante in una civiltà, che ne demarca alcuni pre-requisiti, ad esempio, i diritti umani. E’ un
richiamo all’originarietà della persona, anche se essa è più connessa al possibile che alla
datità, al suo delinearsi come esito radicale (che si articola sulle radici)” (p. 74).
Il limite:
“l’originario non è il radicale, ma il primo, non è struttura di senso, ma struttura dell’essere”
(p. 74).
una ulteriore connotazione positiva data dal fatto che si tratta di
“un personalismo con funzioni di difesa di quella originarietà … sopra ricordata: contro i
relativismi che sempre tendono a corrodere e impoverire i personalismi laici, storici e culturali,
costruttivi e pedagogici, i quali possono (anche se non devono concludere a una endoculturalità
della persona, che apre le porte a discriminazioni, particolarismi, non universalismi, che
oscurano i presupposti stessi del personalismo:quei diritti umani dai quali e attorno ai quali la
persona prende corpo. Il personalismo metafisico è una linea di resistenza rispetto a questo
esito perverso di personalismi laici, sempre possibile, sempre in agguato. La loro capacità
costruttiva risulta, però, parallelamente, se pure in senso opposto, limitata: incapace di
cogliere la differenza che anima la persona” (p. 74).
Ancora su pregi e limiti del personalismo nell’accezione metafisico-ontologica:
“vincola la persona alla Persona vista come orizzonte a-priori, unico, invariante, della sua
fenomenologia e quindi come suo traguardo; in ciò include anche una inversione logica e
ontologica tra ciò che è il risultato e ciò che è dato (la persona è un prodotto storico-culturale e
solo in senso astratto giuridico, può – e deve essere presupposta in ogni soggetto, come suo
orizzonte di possibilità” (p. 75).
Ultimo rilievo:
la prospettiva metafisica ha una visione autoritaria della persona in quanto legata ad un ordine apriori, a un ruolo deontologico forte e univoco (evidente in pedagogia o in etica) indicando un
Senso e una Struttura già definita sia nel suo aspetto formale, sia nel suo aspetto contenutistico.
Perciò
“Questi i limiti, le aporie del personalismo metafisico, che pur non annullano il suo ruolo
storico-culturale positivo: di difesa/promozione teorica e storica della persona, in un tempo in
cui tra massificazione e edonismo, tra totalitarismi e deresponsabilizzazioni, il soggetto viene
irretito quasi senza ritorno nell’alienazione e nella dispersione, negli aspetti distruttivi del
nichilismo” (pp. 75-76).
Idea uomo nella prospettiva post-metafisica
La persona dopo la “fine del soggetto”: crisi della soggettività
- “Oggi, intorno al soggetto, esistono prese di posizione assai critiche che ne sottolineano per un
verso, la fine, per un altro, la radicale storicità e, quindi, la non necessità e la non invarianza.
Così il soggetto viene investito da revisioni che lo decostruiscono, ne svelano i presupposti e i
limiti, ne spezzano la densità e la priorità, per mostrarne, invece, le dipendenze, i
condizionamenti, le oscurità, le contraddizioni e, in particolare, la sua identità storica, relativa,
non univoca” (pp. 76-77).
La scomparsa della soggettività:
- è opera degli esponenti di correnti di pensiero ben note: strutturalismo, decostruzionismo,
esistenzialismo nichilista, materialismo, psicanalisi;
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i nomi sono ben noti: Levy-Strauss, Althusser, Foucault, Derrida Heidegger e, più su, i tre
grandi maestri del sospetto, Max, Nietzsche, Freud;
Sotto attacco è l’idea di persona come centro dell’ esperienza affidato alla coscienza e
all’autocoscienza;
L’uomo come essere autonomo, responsabile, legislatore, dominante è espressione di un
fenomeno locale, della cultura occidentale, non generalizzabile, non trasferibile ad altre
esperienze culturali.
Soggetto /persona in prospettiva post-metafisica
- Per i protagonisti del pensiero post-metafisico“ il soggetto non è un prius o un dato, ma è una
costruzione dell’esperienza nel suo dipanarsi nel tempo, quindi non ha né alcuna permanenza
necessaria, né alcuna identità trascendentale . Ed è proprio la trascendentalità (universalità e
necessità) del soggetto che viene revocata in dubbio, se pure in forme non sempre radicali…
Il soggetto “non è più una nozione-di-base, un fondamento. Nel tempo del sapere “senza
fondamenti”, anche il soggetto, nella sua accezione permanente e stabile, cioè sostanziale, deve
retrocedere, fino a dissolversi” (p. 79).
Il soggetto metafisico deve essere oltrepassato, poiché storicamente rimosso e teoreticamente
aporetico, per dar vita a un soggetto postmetafisico che, come tale, si pone oltre e fuori la crisi
del soggetto, in quanto accoglie uno statuto debole e una identità problematica, plurale e non
garantita, della soggettività” (pp. 79-80).
Soggettività
- Della soggettività …
“non si postula l’azzeramento, una cancellazione, un oblio; non si dichiara archiviato il
soggetto, bensì una sua forma, illustre ed autorevole, tipica dell’Occidente e che l’Occidente
ha esportato, non senza resistenze, in Asia, in Africa, in Sudamerica, e che appare arrivata al
capolinea nel tempo della multiculturalità e del declino dell’Occidente” (p. 80).
“Il soggetto va ripensato e visto non come ‘sostanza’ bensì come progetto, come orientatore di
senso e come costruzione, collegandolo così, intimamente, alla nozione di persona, di
assunzione di identità, , volontaria e in itinere, connessa alla formazione, all’auto-formazione,
ai processi educativi” (p. 80).
Persona e educazione
- La persona sottolinea, nel soggetto, l’intenzionalità verso una identità propria, verso un lavoro
di formazione del ‘sé’ oltre che dell’’io’; lavoro complesso, a zig zag, sempre sub judice, che
pone la persona come valore (la sente come tale e la pone come tale), ma anche come
un’istanza da realizzare e un processo sempre inconcluso.
La crisi del soggetto non ha spiazzato la persona. L’ha riafferrata all’incrocio di soggettività
debole e intenzionalità formativa, restituendola intera la sua problematicità e il suo carattere
progettuale, di identità costruttiva che coinvolge deontologia e educazione, che si attua su un
articolato processo di messa a fuoco di modelli e traguardi, di scacchi, rilanci e riprese.
La persona viene così assunta nella sua identità, nella sua funzione prospettica, nella sua
volontà formativa, legandola intimamente ai processi educativi (autoeducativi) e assegnandole
uno statuto si incerto, ma anche, e soprattutto, centrale nella soggettività, nella istoria del suo
costituirsi, Siamo davanti ad un nuovo soggetto che è persona, ma secondo un’accezione
radicalmente nuova di persona, secondo un’accezione post-metafisica” (pp. 80-81).
Persona - struttura, valore, funzione - Istanze e problemi
- Conclusioni:
o la persona è vista come attività, costruzione, formazione:
o Due aspetti della nuova nozione di persona:
a) sottratta all'egemonia e all'interpretazione romano-cattolica
b) “Tale nozione viene radicalmente problematizzata e ricondotta a un terreno
empirico, storico, pedagogico che le toglie ogni garanzia a-priori e ogni necessità,
mentre la vincola a scelte e strategie, a progetti e intenzioni. Sotto questi due aspetti tale
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nozione riceve un impulso all’attualizzazione , nel senso di un suo aggiornamento
teorico e di una funzione nell’attualità culturale”.
o Nell’attuale contesto culturale la nuova nozione di persona “acquista una pregnanza
nettissima, in quanto sottolinea le differenze del soggetto e la sua identità in itinere, e,
quindi deontologica, ergo educativa. Si tratta di una persona laica, nel senso di una
persona senza statuto metafisico e aperta sulla e alla propria costitutiva problematicità
e incompiutezza. E però, persona in quanto afferma nel soggetto un nucleo prospettico
forte, legato alla volontà, alla costruttività, all’intenzionalità” (p. 82).
o Su tale nozione costruire un nuovo sapere pedagogico, ricalcandone le attribuzioni.
Questo sapere stenta ad affermarsi, e tra le cause il sequestro che di tale nozione ha fatto
il mondo romano cattolico (p. 85).
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III
UNO SGUARDO ALL’INDIETRO
LE DUE GRANDI SVOLTE ANTROPOLOGICHE
1. IL PARADIGMA ANTICO – EBRAICO / GRECO / CRISTIANO
Caratteristiche generali
- Monopolio della teorizzazione filosofica;
- Matrice: pensiero metafisico – religioso – sapienziale (che resterà peculiare per molti secoli del
pensiero occidentale);
- Prospettiva umanistica teocentrica (soprattutto nel cristianesimo) o almeno a caratterizzazione
etica forte;
- L’istanza umanistica è rappresentata dall’homo sapiens;
- La fondazione universalistica dell’idea di soggetto è basata sull’antropologia teologica e / o a
forte connotazione etico/politica.
L’uomo nel mondo greco - la persona in Aristotele
- L’uomo come ‘animale razionale’ (Politica, I, 2, 1253a 10);
- L’uomo come animale socievole - animale sociale:
o Sulla scia di Eraclito l’uomo possiede il Logos che gli permette di oltrepassare la
singolarità dell’esperienza approdando alla koinonia, cioè alla condivisione scaturiente
dalla comunicazione;
o La forza del Logos – ossia di pensiero e parola – consiste nel fatto che può condividere
con altri l’esperienza personale - ciò ne accredita una interpretazione sociale, cioè ne
avvalora la disposizione interpersonale e comunitaria – l’uomo è un animale sociale
(Politica, I, 2, 1253a 1-5);
o La koinonia è declinata in modo ristretto rispetto al cristianesimo – riservata all’uomo
greco ed è connotata dall’ethnos. Da qui l’etnocentrismo ellenistico comune ad autori di
diverso orientamento.
o Il bene dell’individuo coincide con il bene della società:
Parlando del fine della politica come scienza architettonica in massimo grado Aristotele
scrive: “Infatti è questa che stabilisce quali scienze è necessario coltivare e quali
ciascuna classe di cittadini deve apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le
più apprezzate capacità, come, per esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono
subordinate ad essa. E poiché è essa che si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce,
inoltre, per legge che cosa si deve fare, e da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine
abbraccerà i fini delle altre, cosicché sarà questo il bene per l’uomo. Infatti, se anche il
bene è il medesimo per il singolo e per la città, è manifestamente qualcosa di più grande
e di più perfetto perseguire e salvaguardare quello della città: infatti, ci si può, sì,
contentare anche del bene di un solo individuo, ma è più bello e più divino il bene di un
popolo, cioè di intere città. La nostra ricerca mira appunto a questo, dal momento che è
una ricerca ‘politica’” (Etica Nicomachea, I, 2, 1094b 1-10);
o il riconoscimento della socialità umana conduce all’assorbimento dell’individuo
all’interno della società, più simile ad un collettivo che ad una comunità in senso stretto.
Tra mondo greco e mondo cristiano
- Elementi accolti dal pensiero aristotelico (preso come esemplare in quanto costituisce la
costruzione antropologica forse più matura dell’antichità):
 l’anima forma del corpo;
 nesso tra dimensione intellettuale e dimensione emozionale;
- La socialità cristiana:
o estesa a tutti in quanto riconosce un ethos comune in ragione della comune dignità
creaturale fatta segno dell’amore di Dio;
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o enfatizza la relazione come carattere antropologico fondamentale e sottolinea il profilo
singolare dell’individuo, amato per se stesso da Dio;
o il modello non è collettivo ma comunitario > ricalca la comunità trinitaria , ‘socialità’
delle Divine persone che sono in essenziale comunione senza confondersi tra loro.
La persona nella inculturazione cristiana
- Ad essa si deve lo sviluppo dell’idea di persona prevalente nella cultura occidentale:
o Integra in chiave relazionale la tradizionale connotazione razionale – all’essere umano
è riconosciuta peculiare l’attitudine a esprimere se stesso nella relazione con l’alterità
o l’uomo trova in Dio il suo interlocutore primario – l’amore non più segno di indigenza
(l’eros greco), ma segno di pienezza; nulla può separare dall’amore di Dio (Rm, 8. 3139);
o è la solo creatura a cui viene affidate il proprio simile, o nella forma di prossimo (il buon
samaritano Lc 10, 30-37) o come responsabilità (Dio domanda a Caino dove è Abele Gn
4, 9);
o a lui è affidato il creato perché lo custodisca (Gn 2,5).
Il primato dell’uomo sulle altre realtà create
- Nella prospettiva cristiana si riconosce alla persona di essere l’interlocutore di Dio, colui che
Dio eleva rispetto al creato a una condizione assolutamente singolare:
o La sua grandezza non sta nella somiglianza con il cosmo ma l’essere fatto, la sua natura, a
immagine del creatore;
o Da qui l’unicità della creatura umana rispetto a tutte le altre non soltanto perché è l’unica
somigliante a Dio ma in considerazione del fatto che da questa affinità discende che – a
differenza dagli animali – solo all’essere umano corrisponde una identità non
strumentale ;
o l’uomo è fine in sé perché non strumentale ad altri. Chi ha il dominio dei propri atti è
libero: E’quanto esprime S. Tommaso quando scrive :
“1. La condizione stessa delle nature intellettive di essere padrone dei propri atti, richiede
di essere curate per s stesse da parte della divina provvidenza: mentre la condizione degli
altri esseri che non hanno il dominio dei loro atti, indica che ad essi la cura è rivolta non
per loro, ma perché ordinati ad altri esseri. L’essere infatti che è posto in azione da altri ha
la funzione di strumento: invece ciò che si pone in opera da sé ha la funzione di agente
principale. Ora, lo strumento è voluto non per se stesso, ma per l’uso che ne fa l’agente
principale. Perciò tutta la cura che si ha dello strumento necessariamente ha come fine
l’agente principale: quella invece che si ha verso l’agente principale, o da parte di lui
stesso, o di altri, in quanto è agente principale, è per lui stesso. Perciò le creature
intellettive vengono guidate da Dio come volute per se stesse, mentre le altre creature lo
sono in quanto sono ordinate alle creature dotate di ragione.
2. Chi ha il dominio dei propri atti è libero nell’agire; poiché ‘libero è chi è causa di se
stesso’ (Aristotele, Metaphys. I, c. 2, n. 9): ciò invece che è mosso da una qualche necessità
ad operare, è soggetto alla schiavitù. Ora ogni altra creatura è per natura soggetta a
schiavitù: mentre la sola natura intellettiva è libera” (Summa contra Gentiles CXII, 1-2,
Utet, Torino, 1975, pag. 839).
La realtà del mondo nel pensiero medioevale
- il pensiero medioevale eredita dal mondo greco un’idea di realtà cosmica come regolarità e
normatività nelle cose, interpreta l’ordine della loro struttura, la regolarità del loro agire
leggendovi dentro una ultima unità:
- Il cosmo si offre come un mezzo per interpretare la creazione delle cose operata da Dio Tutto è
visto alla dipendenza del Creatore, e ogni significato del suo vivere viene trasferito nel suo
rapporto con Dio;
- L’uomo è chiamato a operare a servizio dell’uomo e del mondo in obbedienza alla volontà Dio;
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-
-
Il soggetto è riconosciuto come unità dell’esistenza individuale, come titolare degli atti dello
spirito e punto di attribuzione di responsabilità, ma il concetto in se stesso manifesta qualcosa di
non interessato, non arbitro protagonista con aspirazione a forme di autonomia;
L’uomo medioevale, possedeva una cultura di altissima qualità, anelava alla conoscenza
organizzando un mondo elevato di cognizioni (le Summae), ha creato opere grandiose, ha
compiute gesta audaci ed ha elaborato ordine e strutture sociali di validità somma; tuttavia ha
avuto un atteggiamento profondamente diverso rispetto all’uomo moderno. Scrive Guardini in
merito:
“L’uomo era tutto intento a compiere la sua opera, non a riflettere su di essa, giacché allora
importava ciò che si faceva e non chi faceva. Anche qui tutto cambia, per qualche aspetto, con
l’età moderna”( R. Guardini, Mondo e persona, Brescia, Morcelliana, 2000, p. 32).
2.
-
IL PARADIGMA DELLA MODERNITÀ
Con la modernità l’uomo percepisce in modo nuovo se stesso e il mondo in cui vive;
il mondo gli è presente con modalità nuova ed esprime con concetti nuovi tale modalità.
A partire dal rinascimento affiorano termini nuovi come quelli di natura, soggetto, cultura.
Sempre Guardini tematizza i tre aspetti in questo modo
Il concetto di natura:
- sta a indicare la totalità delle cose, tutto ciò che è, messo a disposizione dell’uomo come
compito, come oggetto che si offre al pensiero e all’azione umana;
- significa anche valore, norma valida per il pensiero e per l’azione. La natura esprime qualcosa
di ultimo, di per se giustificato, qualcosa che porta il carattere misterioso dell’origine e della
fine, del fondamento originario, dell’essenzialmente impenetrabile.
Il concetto di soggetto:
- In quanto realtà corporea psichica l’uomo appartiene a tale natura
- In quanto osserva, esplora, conquista e trasforma le sta di fronte
- Si libera dal contesto naturale, lo pone per questo in crisi, da qui il compito di riedificarlo,
conoscendo, agendo, producendo. (Cfr pp. 25-29).
- La scoperta della frontalità pone il soggetto nel dovere di scoprire, significare, agire sulla realtà.
Il concetto di cultura:
“Natura e soggetto – termine questo che si deve intendere come includente la personalità –
stanno l’una di fronte all’altro come realtà ultime. L’esistenza è data come natura e come
soggetto, semplicemente: A monte di essi non si può andare. Frammezzo ad essi sorge il mondo
dell’azione umana e dell’opera umana. Queste si fondano su di essi come su due poli, vi
trovano le proprie premesse e ne subiscono l’impronta, ma l’attività umana ha per altro di
fronte ad essi una peculiare indipendenza. E si definisce per mezzo di un terzo concetto,
anch’esso tipico dell’età moderna: ‘la cultura’” (31-32).
Pensiero e prospettive della modernità
- Fine del monopolio del pensiero filosofico e inizio dell’affermazione /concorrenza
dell’approccio positivo – empirico – ricognitivo, in particolare con l’approccio culturalistico
all’interno del quale prevalgono psicologia, sociologia, etologia;
 Si afferma una concezione scientifico-tecnologica della realtà, della vita, dell’uomo,
dell’essere, elaborata dalle scienze umane di taglio empirico-sperimentale;
 Ne consegue una frattura della coscienza culturale europea nel processo di autocomprensione di sé dell’uomo;
- Prospettiva umanistica antropocentrica;
L’universalità del soggetto è fondata sull’idea di progresso, sull’idea di ‘uguale natura umana”
auto-fondata’ e su quella di innovazione scientifica incessante;
- La categoria del progresso assume un’accezione utopico –politica.
Le ricadute sull’atteggiamento / mentalità
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La certezza del crescente potere fa si che il soggetto si percepisca in modo nuovo e sente di
assurgere ad una importanza mai sperimentata prima;
- L’uomo avverte un senso di responsabilità nei confronti di se stesso degli altri, del proprio
tempo;
- Muta il senso che attribuisce all’umano: all’idea di dipendenza dal Creatore subentra quella
dell’autonomia piena nell’essere e nell’agire; si riconosce protagonista e padrone assoluto della
sua opera, trasferisce a sé quel significato che prima veniva attribuito a Dio, la sua opera perde
il carattere di servizio e diventa “sua creazione”, si sente di poter disporre a proprio piacere
delle cose, di foggiarle e di disporne come un Dio;
- L’istanza umanistica della modernità – non è più l’uomo sapiens, ma l’uomo faber, ossia
quella dell’uomo che ha scoperto il potere che ha di dominare il mondo, di ricostruirlo e di porlo
al suo servizio. Scienza e tecnica gli forniscono gli strumenti.
Il processo di autonomizzazione
- Cade l’iniziale vincolo dell’uomo dalla natura e da se stesso per rivendicare la padronanza
assoluta della propria esistenza;
- non si nega Dio, ma è come se non ci fosse: etsi Deus non daretur, ossia se ne può fare a
meno. Il centro di gravità si sposta sull’uomo, il quale si sente sufficientemente maturo per
assumersi la responsabilità di governare autonomamente le vicende del mondo;
- La valorizzazione dell’autonoma forza creatrice dell’uomo costituisce la matrice del processo di
secolarizzazione e di mondanizzazione che diventerà la nota qualificante della civiltà
occidentale dell’età moderna, con esiti di arricchimento e limiti.
Le conquiste della modernità
- A merito della coscienza moderna, afferma Guardini, va senza dubbio ascritto l’aver portato
l’uomo fuori dal “cortocircuito religioso” e di avergli dischiuso “la genuina realtà, ricca di
significato e di stimolo all’azione dell’essere finito. L’assoluto era sentito a tal punto che il
finito non era valorizzato in ciò che gli spettava in proprio. I problemi circa l’essenza del
mondo venivano in luce solo parzialmente; le risposte erano date solo in parte” (p. 36).
Attento alla realtà ultima, l’uomo medioevale era disattento sulla penultima e questa veniva
soffocata dal veemente imporsi dell’altra.
In sintesi, uno degli aspetti più positivi della modernità è il merito di non aver assottigliato la
consistenza del mondo con l’immediato transito nell’Assoluto. E conclude: “Essa ebbe
coscienza che questo mondo è stato posto, in modo insieme grande e terribile, nelle mani
dell’uomo e si dispose a non indebolire il senso di questa responsabilità con il ricorso alla
religione, ma a considerare questo stesso senso come un compito religioso. La scienza moderna
con la sua inesorabilità, la tecnica con la sua esattezza e il suo ardimento, lo spirito, che è
specifico nell’età moderna, della conquista, della pianificazione e imposizione di una forma al
mondo sono progressi autentici” (pp. 37-38).
I limiti dell’età modernità
- Ancora Guardini scrive che insieme alla giusta istanza di operare con responsabilità e
autonomia nella realtà terrena, la modernità, tuttavia, la modernità ha distrutto la totalità
dell’esistere. Ciò avviene particolarmente in virtù di una errata concezione di natura ridotta a
presunta naturalità, di soggetto che assume la presuntuosa volontà di autonomia assoluta, di
cultura che si illude circa un operare umano padrone di se stesso (cfr. p. 42);
- A monte di tale atteggiamento c’è il rifiuto del concetto di creazione e così viene a prevalere
un’idea di uomo che marca la distanza dalla prospettiva cristiana giungendo poi a porsi in aperta
rottura con essa.
Parabola discendente: dall’onnipotenze all’incompiutezza
- Il cammino percorso dalla modernità è contrassegnato dalla graduale marcatura di distanza dalla
prospettiva cristiana fino a giungere ad aperta rottura con essa, con conseguenziale ampia
risonanza sul piano antropologico. Da una indifferenza dovuta al senso di autosufficienza
18
dell’uomo si approda alla negazione di Dio (dichiarazione di morte) e all’affermazione della
fragilità e incompiutezza umana;
- Entrano in crisi:
 L’idea di persona elaborata nella prospettiva cristiana e il rifiuto del suo spessore
ontologico;
 Il significato del Logos – dall’assolutizzazione del potere della ragione alla sua messa in
crisi;
 Il significato della libertà.
L’ideologia dell’homo faber
- Il concetto, di per sé, non è estraneo al cristianesimo.
Tommaso: Accredita l’agire dell’uomo, partecipe di quello divino (ScG, III, 21, 69, 70);
apprezza il lavoro (ST II-II, q. 187, a. 3, resp); apprezza il commercio, (ivi, II-II, q. 77, a.1,
resp.); apprezza la tecnica (ST I-II, q. 95, a.1, resp.);
- L’atteggiamento: è profondamente diverso:
 Partendo dall’idea di uomo fine in se, il resto del creato gli deve servire non solo come
mezzo di sussistenza, ma anche perché egli possa conseguire la maturità che gli compete in
ragione della somiglianza con Dio;
 Storicamente la tecnologia non ha trovato mai ostacolo alla propria espressione nelle aree
culturali contrassegnate dalla presenza cristiana, fatto salvo il principio della inviolabilità
della persona.
Slittamenti / traslazioni nel doppio identikit delle antropologie contemporanee:
- Le novità che caratterizzano la proposta antropocentrica dell’età moderna rispetto alla
precedente sono:
o L’estromissione della presenza di Dio dall’attenzione: prima disattenzione e poi negazione;
o La responsabilità che migra tutta verso l’uomo (autonomia totale);
o Entrata in crisi dell’uomo e del supposto autonomo potere della sua ragione per quanto
riguarda l’eticità e tutto si sposta sulla tecnologia che diventa così autoreferenziale e
autogiustificantesi in virtù della sua funzionalità;
- Un interrogativo: è legittima e cosa comporta questa traslazione?
o La tecnica crea processi irreversibili; chi subisce l’interferenza del trattamento tecnologico
subisce una interferenza proprio nel costituirsi della sua persona;
o Anomalia: la tecnica, da estensione della persona, cioè sottoposta ai fini di questa, diventa
origine della persona, concretamente convertita da agente a prodotto.
Il doppio identikit delle antropologie della modernità
- Per cogliere l’evoluzione del pensiero antropologico nella modernità è necessario tener presente
due linee evolutive, distinte e insieme annodate da forti intersezioni fino a renderle strettamente
interdipendenti
a) le antropologia a forte rilevanza scientifica – strada imboccata dalle scienze umane, a
prevalente taglio empiriologico-sperimentale – descrittivo
b) le antropologie a dominanza filosofica
Antropologie di taglio scientifico: l’evoluzionismo
- Il punto di avvio dello studio scientifico dell’uomo nell’ottica moderna può essere considerato
Darwin con la sua teoria evoluzionista:
o Egli rappresenta una svolta nell’antropologia biologica della modernità; da Darwin in poi
si registra una scossa all’interno dei paradigmi delle scienze fisiche, biologiche e,
conseguentemente, all’interno delle cosiddette scienze umane;
o L’uomo diventa, d’ora in poi, oggetto di osservazione e di studio soprattutto dei caratteri
biologici, fisici, organici e ambientali;
o dopo Darwin si studia l’evoluzione della specie umana in continuità quantitativa-qualitativa
rispetto la vita del pianeta e alla sua evoluzione generale; si registra una prima grande
frattura dell’uomo occidentale; la sua presenza, diretta o indiretta, è dietro tutte le
19
antropologie di stampo positiviste, ossia dietro gli approcci che puntano su ricognizioni
empirico-osservative;
o L’evoluzionismo esercita il potere di trasformare i paradigmi di riferimento di tutte le
scienze umane del secolo ventesimo e di quanti riconducono a incompiutezza quello strano
animale che è l’uomo.
Intersezione tra concezione evoluzionista e quella filosofica
- Dalla concezione evoluzionista si attua lo spostamento dell’origine dell’uomo da Dio a se
stesso;
- Duplice direzione della riflessione filosofica:
o Verso il basso: tempera l’esaltazione del sintagma dell’antropologia moderna: l’homo
homini Deus; l’uomo appare sempre più fragile e disorientato;
o Verso l’alto: solo restituendo a Dio l’origine della vita (quale che sia l’evoluzione fino
all’uomo) si riesce a stabilire la misura della dignità umana ( Teilhard De Chardin).
L’incompiutezza umana e la tecnica – Gehlen (cfr. L’uomo, Milano, Feltrinelli, 1990; L’uomo
nell’era della tecnica, Milano Sugarco, 1984)
- In Gehlen troviamo una lettura radicalmente antropologica del concetto di uomo incompiuto,
carente, non stabilizzato;
- Del problema dà una interpretazione e soluzione diametralmente opposta a quella di Heidegger
pur costruita su identici materiali (il rapporto essere, tempo, uomo, tecnica;
- In termini di antropologia pedagogica si potrebbe tradurre: la plasmabilità potenzialmente
elevata dell’uomo quale educabilità costituisce lo specifico della struttura antropologica;
- Carenza di istinti specializzati ed esigenza di trasformare con la sua intelligenza qualsivoglia
stato di cose da lui incontrato nella natura. L’uomo è un essere che dipende essenzialmente
dalla sua azione;
- A motivo delle carenze strutturali deve surrogare i mezzi di cui difetta attraverso la
trasformazione del mondo in qualcosa di utile.
Una lettura interpretativa
- ce la dà Acone scrivendo circa l’approccio di Gehlen:
“ E’ un approccio antropologico che privilegia il fatto incontrovertibile per il quale l’estrema
carenza di dispositivi in atto nell’uomo rispetto a tutti gli altri animali lo dispone come essere
attivo, plastico, tecnico, capace di interiorizzare attraverso l’intelligenza la duplicazione della
sua stessa tecnicità. plasmabilità, educabilità. L’intelligenza umana diviene una sorte di doppio
interiorizzato del nesso carenza/tecnica.: l’uomo per sopravvivere deve inventarsi una
sovranatura come ‘protesi’ della sua natura difettosa e carente, precaria e indifesa. E’ un
quadro entro il quale l’uomo deve alla tecnica la sua specificità e la sua capacità di vita
intelligente (a cominciare dalla sua stessa sopravvivenza). E tecnica è la scienza tecnologica, il
linguaggio, la procedura dell’azione strategicamente rivolta a risolvere problemi” (Acone,
Antropologia dell’educazione, p. 21).
La lettura bio-antropo-evolutiva di Monod (Cfr. La necessità e il caso, Milano, Mondadori,
1973)
- Si colloca in una linea che vede nell’uomo un punto di approdo e insieme una tappa intermedia
di una lunga evoluzione durata milioni di anni;
- Nei suoi aspetti più radicali, tale linea riconosce nell’intelligenza umana un “risultato casuale”
dell’evoluzione, della selezione e della lotta per la sopravvivenza;
- L’evoluzionismo trova in Monod un momento di significativa radicalità e coerenza; nella sua
prospettiva è sottratta ogni “luce finalistica” alla presenza dell’uomo nel cosmo: c’è, ma
potrebbe non esserci;
- Con il suo evoluzionismo più radicale polemizza anche con le teorie “umanistiche” come quelle
materialistiche e materialistiche-dialettiche apparentemente schierate sul versante delle scienze
positive.
- Scrive Acone sulla posizione di Monod:
20
“L’uomo figlio di una imprescrutabile necessità le cui ‘mutazioni’ (compresa quella che vede
comparire la forma dell’uomo e della sua stessa autocoscienza) sono frutto del caso. La
mutazione antropologica esclude unità, fine, essere e teleologia/teleonomia eccetto quella del
DNA. Non solo Monod esclude ogni ‘alleanza’ tra l’uomo e un qualsiasi Dio, ma ritiene assai
improbabile ogni ‘alleanza’ tra l’uomo e la Natura (Ivi, p. 22)
Declino dell’uomo e via di salvezza: Lorenz, (Cfr. Il declino dell’uomo, Milano. Mondadori,
1994)
- L’autore ribadisce sostanzialmente la posizione di Monod, sostiene che ci si avvia verso la fine
dell’identikit dell’uomo e della specie umana così come conosciuta fino ad ora;
- Il cammino dell’evoluzione è determinato dal caso, frutto di una modificazione dei caratteri
ereditari grazie a meccanismi di selezione naturale in un determinato ambiente
momentaneamente esistente;
- A differenza di Monod, l’uomo, però, va salvato dal suo ineluttabile declino e può farlo in virtù
dei suoi caratteri specifici che gli consentono di staccarsi dalla causalità selettiva: egli possiede
la capacità di produrre processi soggettivi, valori, forme, bellezza, in armonia con la
natura. L’uomo, come animale culturale, ha la capacità di modificare culturalmente la sua
natura;
- I processi soggettivi della nostra esperienza interiore hanno lo stesso grado di realtà di tutto ciò
che può essere espresso con la terminologia delle scienze esatte della natura. Per evitare il
declino dell’uomo bisogno fronteggiare, anche sotto il profilo educativo, i guasti introdotti
dalla modalità di vita prodotta dalla tecnologia e dalla tecnocrazia;
- Le abitudini di pensiero generate dalla tecnologia si sono fissate in rigide dottrine di un sistema
tecnocratico protetto da una sorta di autoimmunizzazione. La tecnocrazia crea una società
iperorganizzata che esercita sull’individuo un effetto deresponsabilizzante. Sul piano culturale
viene a mancare la pluralità delle influenze e di scambi reciproci che è il presupposto di ogni
creatività;
- Situazione critica in cui vivono i giovani oggi. Se vogliamo affrontare le minacce che
incombono dobbiamo risvegliare nei giovani la sensibilità per i valori, per la bontà, per la
bellezza, sensibilità conculcata dalla mentalità scientista e dal pensiero tecnomorfo (Cfr. p. 10).
Confronti: elementi comuni e differenze
- In sintesi:
Lorenz, Darwin e Monod condividono la convinzione della casualità della vita e della specie
(con l’unica legge teleonomica della sopravvivenza della specie);
Lorenz e Gehlen sostengono che la specie umana e la relativa evoluzione includono la crescita
culturale e la scienza accumulata quali fattori di demarcazione e di specificità dell’umano
rispetto al resto della vita e del cosmo. Ma mentre Gehlen vede nella scienza/tecnica la
specificità umana capace di rimaneggiare e riscrivere la natura, Lorenz vede nella scienza /
tecnica un processo, sebbene rilevante e necessario, non sufficiente a salvare l’uomo da un
inarrestabile declino se non accompagnato da processi soggettivi propri solo dell’uomo, capaci
di produrre e rimanere fedele a valori di bontà e di bellezza in armonia con la natura vivente le
cui forme sono viste isomorfiche ai valori significati dall’umanità in quanto tale.
Antropologie a dominanza filosofica
- La modalità di approccio antiumanista di queste e altre teorie elaborate da esponenti delle
scienze umane sul versante scientifico-scientista, volte a teorizzare la morte dell’uomo,
caratterizza buona parte della cultura del Novecento. Esiste, però, anche l’altra faccia, orientata
nella stessa direzione, che è quella filosofica;
- Una linea di demarcazione tra l’antropologia a curvatura metafisica e quella a curvatura postmetafisica, infatti, è rappresentata dall’idea della morte di Dio;
- L’annuncio della morte porta a proclamare il bisogno di elaborare il grande lutto che
accompagna questo evento;
21
Concepire l’uomo figlio di Dio o orfano di Dio non è discorso indifferente relativamente
all’autocomprensione di sé dell’uomo e all’idea di cosa si intende per processo di umanazione.
- Con la crisi dell’idea di DIO entrano contemporaneamente in crisi, o mutano profondamente
senso, concetti come essere, valore, senso, persona, bene, interiorità, coscienza quale lume
di verità, libertà, intenzionalità, tutti concetti che avevano reso strutturalmente unitaria la
problematica antropologica e pedagogica;
- Da questa crisi si dipartono le varie forme di nichilismo, colte con straordinaria intuizione da
Nietzsche nel momento in cui ne enuncia lo sbocco inevitabile.
Nietzsche e la proclamazione della morte di Dio
- per comprenderne la portata mi limito a riportare un passo emblematico:
“Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna fin dal mattino, corse al mercato e si
mise a gridare incessantemente: ‘Cerco Dio! Cerco Dio!E poiché proprio là si trovavano
raccolti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. ‘E’ forse perduto?’, disse uno.
‘Si è perduto come un bambino? Fece un altro. ‘Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi?? Si
è imbarcato? E’ emigrato? – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò
in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: ‘Dove se ne andato Dio? – gridò – ve lo voglio
dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo tutti noi i suoi assassini! Ma come abbiamo
fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la
spugna per strusciare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla
catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati?Esiste
ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non
alita su di noi uno spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire la notte,
sempre più notte? Non dobbiamo accendere lucerne la mattina? Dello strepito che fanno i
becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo
della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi
lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini?” (La gaia
scienza par. 125).
La morte dell’uomo: radicale scissione tra essenza ed esistenza - Sartre
- La concezione della persona di ispirazione cristiana, radicata sulla visione classica, considera
l’uomo come un animale onto-metafisico-storico e non solo come un animale storico;
- C’è la preoccupazione di non ridurre la persona ad una astrazione senza corpo, ma anche a non
ridurlo a storicità radicale;
- La persona è anche cultura e storia, ma non può essere solo cultura e storia;
- Su tale istanza forte del personalismo a istanza metafisica si apre la divaricazione / separazione
nelle antropologie contemporanee;
- Emblematico il dibattito apertosi a metà del secolo scorso tra Sartre e Maritain, espressione il
primo della negazione della dimensione onto.metafisica, sostenitore, il secondo, della
ineliminabile compresenza delle due dimensioni(Cfr. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo
(1946) Roma, Armando, 2010; Maritain, Breve trattato dell’esistente e dell’esistenza (1947),
Brescia, Morcelliana, 1998).
L’esistenza precede l’essenza -Non esiste natura umana
- Sartre afferma il principio cardine dell’esistenzialismo:“prima di esistere concretamente l’uomo
non è nulla”;prima del concreto svolgersi della sua vita non è da nessuna parte e la sua essenza
non si trova in nessun luogo, ovviamente neanche in Dio, dal momento che di Dio si è
recisamente negata l’esistenza”.
Scrive Sartre:
“L’esistenzialismo ateo, che io rappresento, è più coerente (rispetto filosofi atei del XVIII
secolo, per i quali “la nozione di Dio viene eliminata, non così però l’idea che l’essenza precede
l’esistenza”, p. 45). “Se Dio non esiste, esso afferma, c’è almeno un essere in cui l’esistenza
precede l’essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto:
-
22
quest’essere è l’uomo, o, come dice Heidegger, la realtà umana. Che significa in questo caso
che l’esistenza precede l’essenza? Significa che l’uomo esiste innanzitutto, si trova, sorge nel
mondo, e che si definisce dopo. L’uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è
definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. Così
non c’è una natura umana poiché non c’è un Dio che la concepisca. L’uomo è soltanto, non
solo quale si concepisce dopo l’esistenza, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce
dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistere: l’uomo non è altro che
ciò che si fa. Questo è il principio primo dell’esistenzialismo (pp. 46-47).
L’uomo come soggettività
“Ed è anche quello che si chiama soggettività e che ci vien rimproverata con questo stesso
termine. Ma che cosa vogliamo dire noi , con questo , se non che l’uomo ha una dignità più
grande che la pietra o il tavolo? Perché noi vogliamo dire che l’uomo in primo luogo esiste,
ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di
progettarsi verso l’avvenire” (p. 47).
L’uomo come progetto - Rapporto libertà / volontà – Responsabilità
L’esistenza consiste nel progetto, non avendo l’uomo alle spalle alcuna indicazione che gli
prescriva dove andare e come essere.
L’uomo sartriano sarà esclusivamente ciò che avrà deciso di essere:
“L’uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece di essere muschio,
, putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo
intellegibile; l’uomo sarà anzitutto quello che ha progettato di essere. Non quello che vorrò
essere. Poiché quello che intendiamo di solito con il verbo ‘volere’ è una decisione cosciente,
posteriore, per la maggior parte di noi, a ciò che noi stessi ci siamo fatti. Io posso voler aderire
ad un partito, scrivere un libro, sposarmi: tutto questo non è che una manifestazione di una
scelta più originaria, più spontanea di ciò che si chiama volontà. Ma se veramente l’esistenza
precede l’essenza , l’uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo
dell’esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di
lui la responsabilità totale della sua esistenza” (pp- 47-48).
La superiore dignità dell’uomo rispetto a tutte le altre cose consiste nel fatto che egli, ha la
capacità di scrivere il suo futuro;
Il tema della libertà: è affrontato nella quarta parte dell’essere e il nulla e delucida il rapporto
tra libertà e volontà. Riprendendo quello considerazioni qui egli distingue libertà come
condizione originaria dell’essere umano dalla volontà che segue tale libertà originaria e di
essa è manifestazione. L’uomo non potrebbe volere qualcosa se non fosse detentore di una
libertà primogenia che è fondamento e condizione del suo stesso essere;
La responsabilità grava perciò su ciascun individuo, proprio a motivo della libertà radicale di
cui ognuno è dotato. Si tratta di una responsabilità alla quale nessuno può sfuggire e che appare,
nella filosofia sartriana come del resto un po’ in tutto il pensiero esistenzialista, non solo e non
tanto una ricchezza dell’uomo, quanto piuttosto un duro impegno e quasi una sorte di condanna
(cfr. nota 25 e 26, p. 48).
Critica di Maritain a Sartre:
- Quella sartriana scrive Maritain, è una
”esistenza finita di soggetti senza essenza, gettate nel caos di apparenze vischiose e disgregate
di un mondo radicalmente irrazionale, da una opzione atea primordiale che domanda loro di
fare o creare da sé, mediante un susseguirsi di scelte assolute che li impegnano in modo
irrevocabile di fronte a situazioni date sempre nuove, certo non la loro essenza o la loro
struttura intellegibile poiché non ce n’è, ma le immagini proiettate nel tempo, i progetti che
falliscono continuamente nel tentativo di dare loro qualcosa che somiglia ad un volto” (p. 12).
L’affermazione che l’esistenza precede l’essenza è ambigua:
“perché potrebbe significare qualche cosa di vero, ciò che l’atto precede la potenza, che la mia
essenza riceve la sua presenza nel mondo dalla mia esistenza e la sua intelligibilità
23
dall’Esistenza in atto puro, mentre in realtà significa tutt’altra cosa, cioè che l’esistenza non
attua nulla, che io esisto ma non sono nulla, che l’uomo esiste, ma non vi è natura umana”(p.
13).
Con queste due prospettive siamo chiamati a confrontarci attraverso gli autori che affronteremo nel
secondo semestre.
24
Filosofia dell’educazione: oggetto, metodologie e finalità.
Prof. Cosimo Costa
Breve introduzione
1. Un dubbio: perché l’educazione?
2. Un percorso di filosofia dell'educazione
2.1
Il «se» dell'educazione
2.2
Gli auctores nella dimensione educabile dell’uomo
3. La strumentazione «soggettiva»
4. Un rapporto unico: filosofia dell’educazione e filosofia morale
5. Un sapere che si promulga nel vivere concreto
Breve conclusione
Breve introduzione




Chi intenda occuparsi del campo dell’educativo deve essere cosciente di assumersi compiti
numerosi e gravosi, compiti proporzionati all’oggetto della sua occupazione. La gravità ha un
aspetto che, forse, non molte altre gravità hanno. Deve costantemente discernere circa il nuovo
che si affaccia da ogni parte. E la bontà del discernimento non avrà riprova se non dopo uno o
più decenni. E se il discernimento non è stato valido gli effetti deleteri potranno avere un
margine di irreversibilità. La cautela circa i rimedi ai mali del corpo o circa gli eventuali
benefici non è mai bastante. Non di rado effetti favorevoli o devastanti emergono troppo tardi.
Ma la cosa è ben più rimarcata per la cura dei mali o l’offerta di benefici riguardanti l’anima.
Qui si constata il limite del vedere interiore umano3. Ogni sapere trova le scorciatoie per
arrivare alla riprova del discernimento nel minor tempo possibile, sì da ridurre al minimo i danni
e gli sprechi.
Anche la filosofia dell’educazione cerca le scorciatoie, e le cerca con ansia, sapendo che l’anima
non ha tempi morti.
Una scorciatoia potrebbe essere: trovato un certo parallelismo con la situazione e circa le idee
che possono averla provocata, individuare uno scandagliatore4 che l’ha affrontata, valutata, e ha
indicato confutazioni delle idee, sì che la situazione si apra anche se non si risolve totalmente.
→ Ne consegue che bisogna:
trovare una verità fontale > gli elementi essenziali riguardanti l’educabilità umana si collegano in
modo vero e completo dal di dentro. E’ poco quello che arriva da fuori: soltanto un piccolo aiuto
può venire, ma soltanto a chi ha fatto il percorso;
per acquisire il pensare giusto > sensibilizzarsi all’educativo sì da avere un pensare e un dire, ricco
e pulito - così come il senso per la musica consente un’esecuzione ricca e pulita: con silenzi,
passaggi, sofferenza per la sproporzione tra quanto sente l’animo e quanto consente l’espressione.
Bisogna insistere sul senso di un’educazione pulita, fedele, ma arricchita dall’interpretazione.
3
La constatazione di questo limite è cominciata con l’anthropine sophia socratica – forse in certi settori abbiamo
operato degli sfondamenti – il limite è stato spostato e forse lo sarà ancora, ma, fortunatamente, non potrà essere tolto.
4
Nel prosieguo della presente, ma soprattutto nella vita, sarà utile familiarizzare con tali scandagliatori (termine usato
da Ducci per indicare gli auctores) anche per evitare discernimenti dannosi circa il nuovo.
25
1.
Un dubbio: perché l’educazione?


Per togliere l’illusione che sia una realtà tutta razionalizzabile.
Per togliere l’illusione che si diventa ciò di cui si ha opinione (non conoscenza con tutte le
regole) per il solo fatto di essere stati informati.
Per far intravedere un mondo che vale tutto lo sforzo che chiede.

→ Paideia
“Le parole prendono sempre il colore dalle azioni e dai sacrifici che suscitano”. (Cfr. A. Camus, Lettere
a un amico tedesco, Baiesi, Bologna, 2009, III)
Una paideia che nel proliferare del sapere, riguardante l’uomo e il suo sviluppo, riafferma
continuamente le identità del suo proprio nutrire, del suo proprio indagare, del suo proprio ricercare
ciò che realizza l’uomo.

o
o
o
o
o
Nel mondo greco la paideia è nata adulta e complessa:
Polivalenza del termine.
Intraviste le sue grandi possibilità.
Insuccessi imprevedibili e ingovernabili.
Massima importanza per il singolo.
Massima importanza per la polis.
→ Ma l’educazione è un bisogno? Un bisogno il cui soddisfacimento è un diritto?
 In primis c’è la domanda del fondamento: la ricerca del fondamento non è dettata dalla moda, e
nel caso delle filosofia dell’educazione non è neanche esigita dal sistema, non è soltanto il
bisogno del pensare, ma la necessità del vivere. Avvertita da chi è infinitamente interessato
all’esistere.
Platone: per avvertire la necessità del fondamento, quindi per poter impattare con l’essere, sono
necessarie: esperienza (conoscere la vita anche nella sua tragicità) e forza speculativa (non tutte le
intelligenze sembra possano arrivare ad avvertire la necessità del fondamento, rimangono irretite
dalla molteplicità e dalla complessità. Possono essere aiutate? Si guardi al comportamento
socratico, talora efficace e talora no).
Il fatto educativo dell’uomo è una realtà da vivere personalmente (per movimento spontaneo o
perché aiutati), da esperire nella sua positività e nella sua tragicità (è un reale che non è tutto
razionale), nella sua concretezza reale esige il fondamento. In questo modo sembra acquisire una
dicibilità convincente ed efficace: muovere qualcosa nel soggetto che riceve la comunicazione. Si
entra così nel mondo reale dell’educativo non in quello cartaceo.

La risposta va cercata nelle ipotesi propositive? Dalle proposte valutare se è un bisogno vitale o
qualcosa di superfluo.

Prender le mosse da domande nevralgiche rintracciabili in Platone che slargano all’infinito
senza ingessare l’indagine. Le prime domande dell’Apologia (domande eterne):
 Chi sa cosa rende migliore l’uomo e il cittadino?
 Chi lo sa fare?
 Chi ha interesse a farlo?
Vedere anche:
 Da chi pensi di andare e cosa intendi diventare ? Di che si nutre l’anima? (Protagora).
 Da dove vieni e dove vai? (Fedro).
26
A Platone è balenato che cosa può diventare l’uomo. Per l’esperienza socratica impara che si deve
presupporre e porre nell’uomo la presenza di qualcosa di divino, che può entrare in contatto con il
divino ed esplodere se risvegliato. Entrando in contatto si enfatizza sempre più la somiglianza con
Dio. Quindi è qualcosa che non mortifica il soggetto ma gli conferisce un di più.
Il pensiero (phronesis) è qualcosa di più divino che non perde mai il suo potere e per effetto del
periagein (convertire l’occhio spirituale) diventa utile e giovevole o viceversa. (Cfr. Platone,
Repubblica, 518 d – 519 a)
Forse in un ambiente di grandissima creatività, di vera aspirazione alla libertà e di grandissime
ingiustizie e soprusi, l’umano sventagliava tutte le sue possibilità in maniera incredibile: quanto può
l’uomo?
La vicinanza-familiarità con Socrate gli avrebbe fatto vedere realizzate tante possibilità dell’uomo
che forse non erano neanche pensate: giusto (scegliere di diventare giusti o ingiusti è fondamentale
in vita e dopo morte (cfr. Repubblica, 618e), preoccupato degli altri soprattutto dei giovani (cfr.
Apologia), coraggioso (Simposio, Alcibiade), leale, aperto alla trascendenza, resistente anche
fisicamente, distaccato dal denaro e dagli onori, potere, successo. Tutte potenzialità realizzate, la
loro realizzazione avvertita come un beneficio, tentativo, sempre faticoso e rischioso, di portare
anche gli altri a questa esperienza.
“La giustizia, il coraggio, la santità, il bene sono idee che Platone vide per la prima volta guardando
l’anima di Socrate”. (P. Friedlaender, Platone. Eidos Paideia Dialogos, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 45)
2.
Un percorso di filosofia dell'educazione
Filosofia dell'educazione = genitivo oggettivo > «educazione» è oggetto su cui si esercita l'azione
del soggetto, ossia della filosofia. Da tale azione l'oggetto viene lumeggiato in alcune sue parti che,
altrimenti, resterebbero in ombra. Altri «soggetti» simili (sociologia, psicologia, teologia etc.)
lumeggeranno altri parti della medesima realtà senza sovrapporsi. E' però anche inammissibile che
l'uno possa surrogare l'azione dell'altro.
Il termine educazione può essere agevolmente sciolto negli elementi che lo formano, ed è utile
farlo.
(vedi Postille di filosofia dell’educazione in Antologia di saggi brevi, pp. 17-18)
2.1 Il se dell'educazione


Il segreto perché la realtà dell’educativo non sia sommersa o tutta sfigurata, non sta
nell'affermarla dogmaticamente, ma nell'avvertire la forza del «se» - se l'uomo possa e debba
essere educato.
Il «se» mette la realtà dell’educativo in linea (forse al primo posto?) tra i valori dell'umano su
cui l'interrogarsi senza sosta è d'obbligo.
La pagina del Mito della caverna la si può considerare una icona eccezionale che rivela il senso e la
funzione di una filosofia dell'educazione. Ed è in essa che si staglia il «se» dell'educazione.

Il se nel rapporto interpersonale e nella comunicazione.
(vedi Postille di filosofia dell’educazione in Antologia di saggi brevi, pp. 18-19)
27
2.2 Gli auctores nella dimensione educabile dell'uomo
-
-
L’educazione è possibile in quanto l’uomo ha in sé un potenziale per cui è educabile, possibilità,
specificante la natura dell’uomo, si può definire educabilità.
L’educabilità è costituita da un insieme di forze/energie che rappresentano il patrimonio
originario di ogni essere umano, forze che necessitano di essere riconosciute nella loro natura
specifica, iniziate al retto uso, risvegliate con interventi adeguati, direzionate in ordine al
raggiungimento delle finalità immanenti a ciascuna di esse.
Dal loro armonico sviluppo dipende la possibile realizzazione della perfezione umana.

La dimensione educabile dell'uomo è la ragione forte della filosofia dell'educazione, la
giustificazione del suo esserci.

Essa merita un approccio di seria deduzione, si avvale, per la sua collocazione reale di un serio
processo induttivo; resterebbe, però, sistema chiuso qualora non ci si avvalesse di quelle che si
possono definire «opinioni autorevoli».

La conoscenza di opinioni autorevoli è intesa come salvaguardia per la dirittura delle proprie
scoperte → Socrate in Gorgia, 458a: grande è il piacere di confutare, ma più grande è quello di
essere confutati, tanta è la voglia di verità, tanta è la brama di essere liberati dall'errore.
> avvertire la gravità di avere troppe zone oscure circa la natura reale dell'educabilità umana, o
almeno di avere lacune pericolose circa i nuclei essenziali di essa.
o Nei trattati sull'educabilità umana si sentono poche presenze. E il senso di essa rischia di
restringersi in modo mortificante per la conseguente prassi. Una prassi che si esercita sulle
persone non sulle cose.
-
La filosofia dell'educazione trova elementi copiosi là dove il vivere si è oggettivato in forme di
comunicazione altissima, es. il Convito e il Fedro, l’Etica nicomachea, le tragedie di Sofocle, i
Soliloqui e le Confessioni, il De malo e il De magistro, la Critica della ragion pura e pratica, la
Malattia mortale, i Fratelli Karamazov, la Morte di Ivan Ilich, le Inattuali, il Principio
dialogico.
o Gli auctores sono autori, creatori che hanno avuto l’intuizione profonda del vero. Auctores vuol
dire edificare, far crescere, edificare dalle fondamenta. È chiaro che più l’auctores è valido più
rende il problema energetico.
Se ben individuati restano guide mai compiutamente segnati dal tempo > apporti.
(vedi Gli auctores in Antologia di saggi brevi, pp. 5-9)
3. La strumentazione soggettiva
→ Il fatto educativo come luogo dove tutto deve tornare e dove tutto deve partire.

o
o
o
Tratti della strumentazione soggettiva:
Una sensibilità particolarmente sviluppata per la realtà di cui si occupa.
Avere il senso per l’educativo.
Avere una sensibilità per la realtà dell’educabilità dell’uomo.
28
o Una capacità di meraviglia, di stupore. Essere capaci di meraviglia, non pensare mai di aver
conosciuto tutto, essere pronti ad accogliere sempre qualcosa con stupore.
o Il senso per la sproporzione, non rimanere direzionati nel piccolo: l’energia umana ha dei
risvolti incredibili.
o La forza fisica come energia che compie atti sproporzionati, se c’è passione e dinamismo
potente.
o Il gusto per il tempo. Un certo istinto per l’ordine: riuscire a comporre, riuscire a ordinare,
riuscire a dare la giusta progressività all’evento, alla cosa.
o Un certo intuito per il vero.
o Un amore appassionato per la libertà propria e dell’altro.
o Un intenso esperire, un intenso soffrire l’umano. Non avere esperienza dell’umano ma sentire
l’umano innanzitutto nell’interiorità di ciascuno.
(Cfr. Ducci, Il volto dell’educativo, p. 15)
→ Due esempi di strumentazione soggettiva: Platone: Teeteto (172c - 173c) e Crizia (120e - 121c).

Teeteto (172 c - 173 c).
Socrate illustra a Teodoro una delle differenze che intercorrono tra la gente educata a servire e
gli uomini liberi.

Crizia (120 e - 121 c).
Vi è tratteggiata la decadenza morale dell'Atlantide: pochi segni ne dicono lo stato ottimale, e
altri pochi la rovina; una sola pennellata addita le cause e un'altra promette l'intervento.
(vedi Postille di filosofia dell’educazione in Antologia di saggi brevi, pp. 21-23)
4. Un rapporto unico: filosofia dell’educazione e filosofia morale.




L’essere umano è caratterizzato dal bisogno di educazione.
Un fascio di energie definisce l’uomo: sono tali energie che l’educazione deve impegnarsi a
portare fuori.
L’educazione costituisce un problema sia per la teoria che per la prassi > il malessere della
pedagogia ma soprattutto l’enigma dell’educazione. Si potrebbe parlare di inutilità o addirittura
di morte della pedagogia, di riduzione parziale o integrale del termine educazione a istruzione,
di richiamo all’ethos anche se con aspre discordanze circa la sua fondazione o il puro
riconoscimento dell’esigenza di rifarsi a esso, e infine, cosa molto importante, di non
considerazione della realtà uomo.
Il problema educativo si impone ed esige una risposta da tutti, perché è il problema dell’uomo
nei confronti di se stesso, del suo stesso essere uomo > secondo Ducci viene esaminato, nella
realtà attuale, tramite due atteggiamenti:
1) ufficialmente: qui la strada viene individuata mediante il dialogo tra i vari saperi: psicologia,
sociologia, politica, cibernetica, tecnologia, ecc…
2) realmente: il percorso viene individuato nella sola ideologia o nel coraggioso confronto anche
con la vita reale, in primis la propria poi quella degli altri.
(vedi Filosofia dell’educazione e Filosofia Morale in Antologia di saggi brevi, pp. 23-24)
Su queste brevi premesse, Ducci intende capire da cosa, nel vivo di una realtà educativa così
turbolenta, si vorrebbe essere sollecitati, sensibilizzati e sostenuti dalla filosofia morale.
 Cosa si intende per filosofia morale?
29
→ che cosa è la morale?
Impatto tra l’agire del singolo e la tradizione, il costume, il dover essere.
> Agire esterno ed interno definito da desideri, giudizi, decisioni, modalità di rapportarsi a persone
e cose tramite cui l’uomo intravede una via, un percorso, delle finalità per divenire pienamente
umano.
o E’ la percezione di tale bisogno che può essere impedita da imposizioni iniziali rigide,
dogmatiche o da un arbitrio incontrastato e che porta con sé rischio, acutezza nel discernere,
accettazione di fatica, dolore, gioia, soddisfacimento. Soltanto quando si avverte il bisogno detto
e nella misura in cui lo si avverte, l’uomo è abilitato a intuire la natura della morale, il senso del
dover essere, il nesso libertà interiore/obbligazione dell’esistenza.
> Perché agire? È tramite l’agire che nasce la realizzazione del soggetto, il passaggio dalla potenza
all’atto.
Filosofia morale come riflessione, speculazione sull’agire, sulle azioni per essere giuste, orientate al
bene, e, quindi, su che cos’è il bene, su qual è la legge (la norma) da seguire 5.
→ quale l’oggetto del suo indagare?
Non “come gli esseri sono” ma “come debbono essere”.
> Le nostre azioni.
«Se rispetto al più delle cose non possiamo noi nulla più che vedere semplicemente come essere ed
operare quelle dovrebbero, rispetto ad alcune poche abbiamo un poter maggiore, quello di renderle
tali, quali conosciamo che debbono essere. E queste poche cose che stanno entro la sfera del nostro
potere, sono le nostre proprie azioni, dal buono moderamento delle quali viene a noi la nostra
perfezione». (A. Rosmini, Prefazione alle opere di filosofia morale in Principi della scienza morale, vol. 23, Città
Nuova, Roma, 1990, p. 34).


La scienza morale si distingue, dunque, da tutte le discipline che trattano della perfezione, del
dover-essere di ciò che non è in nostro potere ma anche da tutte la altre teorie delle arti. Se,
infatti, la stessa morale è un’arte, l’arte di ben vivere, essa si differenzia dalle altre (es. la
pittura, l’architettura, le arti) perché non mira ad indicare le norme secondo cui operare in vista
di un fine ristretto, quello di produrre un buon quadro ed essere un buon pittore o di costruire
una bella casa ed essere un buon architetto.
La morale indica agli uomini la strada per essere buoni uomini, e non si occupa solo di alcune
delle loro azioni, ma dell’universalità del loro operare e del loro sentire.
Buono è l’uomo, quando buone sono le sue azioni tutte, e ben regolate a tenore dell’onesto e del
giusto. Per questo, la morale si occupa della bontà delle intenzioni e non solo di quella degli
effetti, quindi dei risultati delle azioni.
Essa si occupa di conoscere l’essenza della moralità, cioè il principio della morale, e tutte le
condizioni della sua applicazione; oltre che eseguire questa applicazione del principio ai vari
complessi di azioni umane, deduce le norme morali compartite nelle loro varie più o meno ampie
categorie. (Cfr. Rosmini, Prefazione, 42-43)
5
Potremmo dire una filosofia morale come “teoria” della pratica. Infatti, è sia nel corso dell’Ottocento che nel corso del
Novecento che si sono affermate filosofie dirette a superare il carattere teoretico e conoscitivo del sapere filosofico per
avvicinare la filosofia alla vita. Così si è pensato che i filosofi dovessero cambiare il mondo, piuttosto che contemplarlo
(come scritto da Marx, nella famosa undicesima Tesi su Feuerbach,1845). La filosofia doveva diventare pensiero
rivoluzionario. Ma nel pensiero rivoluzionario non può esserci teoria indipendente dalla prassi, quindi la filosofia
doveva diventare essa stessa prassi e rivoluzione. Non solo nel marxismo, ma anche in alcune correnti della filosofia
della vita e dell’esistenzialismo del secolo scorso, l’aspetto teorico e conoscitivo della filosofia è stato messo in ombra.
30

È nel principio della morale che si cerca di stabilire la «legge madre», cioè la legge morale
fondamentale da applicare tramite regole sicure, in grado di guidare la nostra ragione
nell’applicazione delle norme ai casi concreti, soprattutto a quelli dubbi e controversi.
L’applicazione della legge è ai più diversi ambiti, occupandosi dei doveri verso la natura umana
in generale e di quelli nascenti da particolari rapporti (dell’uomo con se stesso, rapporti di
famiglia, politici, morali, religiosi, rapporti legati a patti e contratti), del merito e
dell’imputazione, delle virtù e dei vizi, ecc…
→ Ne deriva che la filosofia dell’educazione ha con la filosofia morale un rapporto unico: non si
dimentichi che è da poco ad aver operato un distacco da essa 6. Si tratta di un rivisitare lo specifico
umano: l’agire interiore, il suo senso, il potenziale che lo regge, le dinamiche che lo distinguono.
In tutto ciò la filosofia morale le riscopre, indaga la responsabilità del soggetto; la filosofia
dell’educazione ne individua le strade per la loro operatività e ne traccia le direzioni. La filosofia
dell’educazione rappresenta una mediazione insostituibile tra filosofia morale e realtà educativa
globale.
Ducci:
 un primo punto comune delle due filosofie: paideia.
 un secondo punto comune: anthropine sophia (Apologia, 20d).
- Tre accezioni a tale sapere socratico che definiscono le due filosofie come poietiche ed
interagenti:
1. Dire l’umano.
2. Misura umana.
3. Esperire interiore.
(vedi Filosofia dell’educazione e filosofia morale in Antologia di saggi brevi, p. 26-28)
5. Un sapere che si promulga nel vivere concreto
L’educazione estendendosi a tutto l’arco della vita ha bisogno di un adeguato rigore scientifico
sostanziato da un verace coinvolgimento personale.
→ pericolo: il passaggio dall’attenzione che l’educazione ha per l’uomo fino a una totale
disattenzione.
> attenzione sull’uomo: la teoresi pedagogica diviene filosofia poietica. L’attenzione sull’uomo si
qualifica tramite il suo stesso fine: l’umanarsi dell’uomo.
> Quello poietico fa capire come un approccio solo scientifico potrebbe presupporre dell’uomo solo
dimensioni misurabili, mentre un approccio solo filosofico - metafisico porterebbe all’evidenza
solo un mondo astratto. Il discorso pedagogico deve andare oltre i singoli aspetti per poter
affrontare il problema dell’umanarsi dell’uomo radicalmente non solo come momento che fonda
ma come momento fondante che si intreccia con il concretizzarsi della situazione.
> È una filosofia che non si disgiunge da un particolare tipo di esperienza, da un Erlebnis.
Esperienza che comporta un rivivere, un provare a livello di vita. Ducci a tal proposito definisce
molto bene il compito svolto dall’esperienza-vita in tale filosofia poietica. Compito, che così
come vuole l’autrice, deve essere chiarito nel suo momento germinale per individuare più
facilmente le estranee inclusioni. L’enigmaticià uomo si sviluppa sotto una nuovo prospetto:
6
Fino ai tempi di Gentile la Filosofia dell’Educazione era parte integrante della filosofia morale.
31
dimensione misteriosa dell’essere umano sostenuta e convalidata da una personale esperienza
umana.
Ne deriva che la Filosofia dell’Educazione non può essere incastrata nell’appartenenza a una
filosofia teoretica o a una sola filosofia pratica, ma deve essere definita come una filosofia poietica:
pensare attento sull’uomo per riconoscere e indicare il cammino del suo umanarsi, servendosi di
una vera esperienza umana.
(vedi Filosofia dell’educazione come filosofia poietica in Antologia di saggi brevi, pp. 13-15)
→ derivano tre elementi caratterizzanti il percorso della filosofia dell’educazione:
1. attenzione sull’uomo,
2. esperienza umana,
3. concreto umanarsi.
L’attenzione non assegna alla realtà un carattere ma sviluppa ciò che è peculiare nel carattere stesso
della realtà che si ha di fronte. Ciò è necessario per l’autonomia equilibrata e giusta a cui la filosofia
dell’educazione non può rinunciare. Si evidenzia così il modo di essere della persona, non solo il
modo di pensare e di dimostrare. L’oggetto potrà essere colto veramente solo da una chiarificazione
razionale fiancheggiata da un’abilitazione personale, che solo un’esperienza può dare.
La finalità è quella dell’umanarsi dell’uomo, ed è proprio in tale finalità che si delinea lo specifico
rapporto di siffatta filosofia poietica con la prassi. Per prassi, infatti, si intende vivere personale
relazionato, perno principale dell’agire umanate. È una prassi in cui la Filosofia dell’educazione ha
degli obblighi: dire chiaramente dove si giunge prendendo una precisa direzione, dove porta una
strada scelta, quale compito sono in grado di assolvere determinati mezzi.
(vedi Filosofia dell’educazione come filosofia poietica in Antologia di saggi brevi, pp. 15-16)
Breve conclusione
L’anima come il corpo va nutrita dall’inizio del vivere fino al termine del proprio tempo, e il
nutrimento ha da essere vario e completo. Così pensa Platone la paideia, cioè il processo di
umanazione necessario al singolo per giungere alla pienezza (diventare bello e buono), e necessario
alla convivenza per potersi dire umana.
L’anima va nutrita con elementi appropriati, genuini, necessari a che la sua crescita sia armonica.
Perché l’anima può, forse per ignoranza forse per pigrizia, nutrirsi di surrogati: conoscenze non
vere, raccattate qua e là, valutazioni limitate al puro apparire e al solo utilizzo che additano i
disvalori, i beni apparenti come valori.
Gli elementi appropriati a cui subito si pensa sono: l’Essere, il Vero, il Bene. Il Bello sembra quasi
rientraci se c’è posto e tempo. Eppure il bello lo riteniamo cosa riservata a tutti, ricchezza che ci
riguarda tutti. Forse, però, al senso per il Bello si ha da essere iniziati, e gli iniziatori sono rari.
Platone inserisce il Bello tra i nutrimenti necessari. In un’Atene riboccante di opere belle, la
familiarità con Socrate gli aveva lasciato intravedere altre bellezze: giustizia, amore, bene comune,
misura umana, dialogo, prendersi cura dell’altro; realtà capaci di originare pensieri belli armoniosi
invoglianti serenanti, oltre che veri e buoni.
Il pensare bello induceva subito a considerare il Bello elemento necessario al nutrimento
dell’anima.
Ma in Platone è pure presente un tratto raro, squisitamente formativo: comunica, dapprima,
mediante una narrazione indiretta del Bello: parla in maniera bella del Bello. Lo squarcio sulla
necessarietà di nutrire l’anima con la bellezza lo spinge, infatti, a porre una cura particolare nel
come comunicare ad altri quanto intravisto. La forma dialogica delle sue opere la si può leggere
32
come voluta da siffatto gusto per la bellezza, è, infatti, un atteggiamento bello per comunicare il
vero: non sopraffare l’altro, non costringerlo mediante persuasione, lasciargli tempo, spazio, ritmo
per un percorso davvero personale, invogliarlo alla ricerca.
C’è poi, non certamente ultima, la cura appassionata dello stile bello: la scelta delle forme retoriche,
le immagini, i miti, le metafore, ma soprattutto il gusto di impiegare verbi ben calibrati perché i
tratti armoniosi e pieni dell’azione trapelino tutti.
Quello di Platone lo si potrebbe definire un comportamento di pensatore e scrittore che si rivela atto
a rendere assimilabile il nutrimento. Infatti, tutto ciò che è bello ha in sé qualcosa d’incredibile che
non è veicolabile con la sola comunicazione di sapere: resterebbe mortificato dalla sola
informazione razionale, fosse anche la più alta e elaborata, e non sarebbe nutriente. Si tratta infatti
di un lento impastamento del pensiero con il cuore.
Pensare bello, dialogare bello, espressione comunicativa bella affinano l’occhio dell’anima, lo
liberano dall’incarcerarsi nelle sole occupazioni e preoccupazioni, o dallo star rivolto nella
direzione sbagliata. Così l’anima resta abilitata a intravedere il bello anche là dove è velato o
insabbiato, si colma di meraviglia e, a sua volta, diventa feconda di pensieri belli, di un dire
decoroso e bello, sempre bramosa di contemplare il Bello.
Platone tratteggia anche l’utilità che viene all’anima in forza di questo nutrimento, ma non trascura
di rilevare che il profitto che lei ne trae ricasca direttamente sulla qualità della convivenza: una
convivenza umana (piccola o grande) in cui il Vero e il Bene sono avvolti dalla luminosità del Bello
e del decoroso rifugge dagli integrismi, dai dogmatismi, dai formalismi.
Un esempio tra tanti è nel 2° libro della Repubblica: la letteratura ha il compito di veicolare
comportamenti decorosi e belli sia degli dei tra loro, e, ancor di più, degli uomini tra loro, perché
nell’animo umano s’imprima, fin dall’inizio, che “nessun cittadino ha mai odiato un altro cittadino”,
perché questa è un’empietà. Sì che decoro e bellezza collaborano efficacemente a tener lontano da
ogni convivenza ciò che massimamente la disumanizza: l’odio (378).
E sempre nella Repubblica (401) ci dice che, seguendo le tracce di ciò che è bello e decoroso, i
giovani, come chi abita in un luogo salubre, traggono vantaggio da qualunque parte un’impressione
di bello tocchi la loro vista o il loro udito, quasi soffio di vento che porta buona salute da luoghi
benefici, e sin dalla prima infanzia li conduce, senza che se ne accorgano, alla conformità,
all’amicizia e all’accordo con la ragione bella.
Platone è cantore e creatore di bellezza, ma è anche l’iniziatore efficace a che il bello, vera
pennellata di gratuito, sia alla portata di tutti, quasi profusione di pratoline in ogni striscia di terra.
(Cfr. Ducci, Nutrire l’anima di bellezza: un suggerimento platonico)
33
AD INTEGRAZIONE DELLE LEZIONI INTRODUTTIVE ALLE ESERCITAZIONI SU:
MOUNIER, MITO DELLA CAVERNA, GORGIA E PROTAGORA
Esercitazione: COSIMO COSTA
MOUNIER
(nel Cd del corso: lezione in data)
E. Mounier, Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza , a cura di D. Rondoni,
Bur, Milano, 2011.
L’interpretazione del testo è stata caratterizzata da cinque passaggi, di seguito sintetizzati,
rispecchianti la vita di E. Mounier. Lo scopo prefisso è stato quello di rilevare l’ipotesi cristiana
come capace di dare ragione all’unica cosa che mette veramente in difficoltà la vita dell’uomo: il
sacrificio di sé.
1. Riprendersi lo stupore di una inquietudine divina (lettere dal 1928 al 1929).
 Il mondo intellettuale dove Mounier è immerso > il mondo universitario: più si vive, più ci si
accosta a Pascal, l’unica cosa che conta è l’inquietudine divina delle anime inappagate.
 Il punto più interessante della sua vita: il tour de force che consiste nell’imprimervi il sigillo
dell’Infinito.
2. La vita in rapporto al destino (lettere dal 1933 al 1934).
 Scoprire che la vita val la pena di essere vissuta perché c’è qualcosa di costantemente più
grande di noi che ce la dona.
 “Gente così”: costituisce un gruppo di persone veramente unico, un popolo nuovo.
 È successo che gente così si è messa insieme, gente che nella vita ha posto il tour de force
dell’Infinito, per cui non è più un bilancio appena la vita, ma è rapporto con questo Destino che
mi fa istante per istante.
 Nella vita occorre soffrire perché non si cristallizzi in dottrina > non bastano le intenzioni >
occorre che questa ipotesi che si ha entri nella vita, intersechi le cose che ci interessano.
3.



Il Viator (lettere del 1939).
Con il terzo passaggio c’è una nota di cronaca.
la caratteristica di questi uomini > trasformare in gioia tutto quello che la felicità ci rifiuta.
La condizione cristiana del viator, il viaggiatore: è l’uomo che cammina con negli occhi e nel
cuore l’ideale, la meta che non ha raggiunto, ma certo di essere sulla strada per raggiungerla.
4. La presenza cristiana (lettere dal 1940 al 1941).
 Un figlio: è arrivato, ma era una microcefala, tutto lo sviluppo di Françoise è stato compromesso.
 La grande prova per cui il dolore comincia a essere sentito come qualcosa che arriva al cuore
giorno per giorno > urge una risposta > altrimenti tutto sarebbe davvero assurdo.
 Françoise era segno di Cristo > centro affettivo della compagnia.
 Tre dimensioni costanti nell’affronto del dolore e del sacrificio:
- la memoria;
- l’offerta;
- la tenerezza.
34
5. L’indomabilità cristiana (lettere dal 1942 al 1944).
 Françoise dà un senso concreto, vicino, familiare, all’al di là.
 Tutto ciò che appartiene all’ordine spirituale progredisce attraverso le morti e le successive
resurrezioni.
 Un’eruzione di lave profonde e brucianti venga a fondere l’alluvione inerte dei giorni [la
routine] > la verità.
 La verità > smette di cristallizzarsi in dottrina.
 Nessun gesto che non implichi il mondo intero (il tour de force dell’Infinito) è vero.
 L’aridità dell’umano distrutta dal Cristiano.
Esercitazione: GABRIELLA NOCITA
MITO DELLA CAVERNA
(nel Cd del corso: lezione in data 06-03-2012)
OBIETTIVO PRINCIPALE: sviluppare la capacità di lettura del testo in chiave filosofico-educativa.

CONTESTUALIZZAZIONE DEL MITO DELLA CAVERNA

LA CONDIZIONE UMANA AL SUO STATO INIZIALE

Cosa comporta la mancanza di educazione
Il mondo percepito dai prigionieri in questa condizione
Gli impedimenti esterni come metafora degli impedimenti interiori
I PASSAGGI CENTRALI DEL PROCESSO EDUCATIVO
-

Cenni introduttivi su Platone e la sua filosofia, con particolare riferimento alle
problematiche ontologiche e gnoseologiche.
Cenni introduttivi sui dieci libri de La Repubblica.
L’intervento esterno che determina la scossa necessaria al cambiamento di stato
Il passaggio dal plurale al singolare
La necessità di avvertire il disagio delle catene
Quale tipo di costringimento può risultare liberante per l’essere umano
Il passaggio ad uno stadio diverso da quello iniziale
I quattro verbi di movimento:
1. anistasthai > alzarsi
Passaggio da uno stato di riposo o di una o di visione spontanea, ad uno stato di
attività. Uscire dalla pseudo-attività > distacco dalle ombre;
2. periaghein > girare la testa
Cambiare mentalità, il suo modo di considerare la realtà e il suo inserimento in essa.
Esige prima l’avvenuto cambiamento nell’educatore;
3. badizein > camminare
Avvicinamento graduale all’oggetto. Con tutta la persona;
4. anablepein > levare lo sguardo
Momento conclusivo che porta allo sguardo sinottico, passando dalla considerazione
del non essere alla contemplazione dell’essere.
I MOMENTI CHE PORTANO ALL’ASCESA VERSO L’ESSERE
-
La necessità dello sforzo > si tratta di una dialettica naturale ma faticosa; entrambi,
educatore ed educando devono essere attivi.
35
-
I momenti di insoddisfazione e disagio: sofferenza per l’abbaglio, incredulità per la
difficoltà a distinguere, processo graduale di adattamento dell’occhio.
Arrivare ad attivare lo sguardo sinottico.
Come il rapporto educativo si vada ad inscrivere in una situazione di rischio.
L’importanza del determinare che “l’anima l’occhio ce l’ha”.
Il lento e faticoso percorso del “voltarsi con tutta l’anima”
La scossa provocata dall’educatore non è da paragonarsi all’immissione di contenuto, ma
all’attuarsi di una capacità.
L’oggetto del conoscere: Verità / Bene. Questo oggetto è l’unico atto a soddisfare questa
esigenza infinita insita nell’uomo.
Esercitazione: FIAMMA ALBANESI
GORGIA E PROTAGORA
(nel Cd del corso: lezione in data)
Testi: pagine scelte dai dialoghi del Protagora e del Gorgia.
I testi dati hanno lo scopo di individuare punti salienti ritenuti idonei ad evidenziare alcune
caratteristiche necessarie alla comprensione della paideia socratica.
Nelle letture sono stati evidenziati due concetti fondamentali:
 Il Dialogo come modo privilegiato per veicolare e favorire l’agire educativo.
 L’Incontro, letto come sunousia essere-con, considerato come condizione essenziale e
premessa per ogni forma dialogica.
E’ stata inoltre effettuata l’analisi di alcuni requisiti necessari all’effettivo attuarsi dell’incontro e
delle condizioni propedeutiche al dialogo riuscito:
 La disponibilità totale.
 L’accettazione dell’altro.
 L’ascolto.
Dal testo del Protagora è stato analizzato:
 L’ incontro preliminare tra Ippocrate e Socrate.
 Disamina e verifica dei requisiti utili allo svolgersi del dialogo.
 Analisi della dialettica svoltasi tra Socrate e Ippocrate.
 Riferimenti alla metafora dell’anima proposta da Socrate come necessaria attenzione sul
divenire della condizione umana.
Dal testo del Gorgia è stato analizzato:
 Definizione di uomo dialogico e valore della confutazione e dell’ essersi persuasi : Socrate ”
che tipo d’uomo sono io? Io sono di quelli che si lasciano confutare volentieri” 458a.
 Definizione delle premesse al dialogo : la conoscenza (episteme), la benevolenza (eunoia),
la franchezza (parresia).
 Socrate e Callicle: analisi di alcuni passaggi della dialettica dei due personaggi.
 Constatazione di un incontro mancato e di un dialogo non riuscito.
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