FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE M-PED/01 (disciplina annuale – 80 ore, 10 CFU, con esame unico non divisibile, 2° anno L 19, Scienze della formazione primaria) Prof. Carmela Di Agresti Prof. Cosimo Costa Obiettivi formativi Gli obiettivi del corso sono: Sensibilizzare alla comprensione dell’agire educativo e alle sue leggi specifiche. Introdurre alla lettura di pagine significative di grandi autori che, vissuti in differenti epoche storiche, hanno affrontato problematiche di rilevante significatività per la comprensione del costruirsi dell’umano nell’uomo. Contenuto del corso Analisi dei dinamismi di sviluppo della soggettività, delle dinamiche dell’agire libero e delle particolari esigenze educative relative alle differenti potenzialità umane; Introduzione alla lettura di pagine significative di grandi autori del mondo classico e del mondo contemporaneo che hanno affrontato i temi di cui sopra; Approccio educativo alla realtà dell’agire interiore Problematiche circa l’inserimento qualificato nella convivenza. Testi d’esame Introduzione metodologica (sulla pagina Web); Sintesi orientativa della parte istituzionale (sulla pagina Web): a) Crisi culturale del post-moderno: antropologie a confronto e dinamismi educativi. b) Filosofia dell’educazione: oggetto, metodologie e finalità. E. DUCCI, Antologia di saggi brevi su temi di Filosofia dell’educazione (sulla pagina Web) o Gli auctores, da E. Ducci, Approdi dell’umano, Roma, Anicia, 1999, pp. 67-79; o Filosofia poietica, da E. Ducci, L’uomo umano, Roma, Anicia, 2008, pp. pp. 9-23; o Postille di filosofia dell’educazione, in “Il quadrante scolastico”, 1995, n. 64, pp. 94103; o Filosofia dell’educazione e filosofia morale, in Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Roma, Anicia, 1994, pp. 31-39; o La comunicazione da anima ad anima è ancora auspicabile? in AA. VV, (a cura di E. Ducci) Aprire su paideia, Roma, Anicia, 2004, pp. 15-20; o Educabilità umana e formazione in AA. VV, (a cura di E. Ducci), Educarsi per educare, Roma, Edizioni Paoline, 2002, pp. 25-44; o Quale formazione, se importa dell’uomo in AA. VV (a cura di E. Ducci), Il Margine ineffabile della paideia. Un bene da salvaguardare, Roma, Anicia, 2007, pp. 13-34. Pagine scelte da PLATONE: o Apologia di Socrate (tutta); o La Repubblica (VII libro: Il mito della caverna); Gorgia, Protagora (brani scelti in allegato sulla pagina Web) M. BUBER: o Il Principio dialogico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993 (IO e TU - Parte prima, pp. 59-83; Il dialogo, pp. 185-225); o Da Discorsi sull’educazione, Armando, Roma 2009: Sull’educativo, pp. 31-69; Sull’educazione del carattere, pp. 83-104; 1 M. FOUCAULT, L’ordine del Discorso: i meccanismi sociali di controllo e di esclusione della parola, Einaudi, Torino 2004 (solo L’ordine del discorso, pp. 1-40). M. MOUNIER, Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, BUR, Milano 2005(tutto). MARCO AURELIO, Ricordi, Bur Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1997. Temi e aforismi scelti: o L’interiorità: I, 7; II, 1; III, 1; IV, 3; V, 5.VII, 4, 15, 17, 28, 30, 31, 52, 58, 59, 60, 61, 66; VIII, 9, 32, 40; IX, 13; XII, 1, 3, 7, 27, 34, 35, 36. o Le virtù e il daimon: I, 1; II, l, 9, 17; III, 2, 4; IV, 50; V, 3, 12, 15; VII, 8, 11, 20; VIII, 1; XII, 12; 19, 21, 27, 32. o L’ufficio da compiere: II, 5; III, 12; IV, 2, 30; 12;V, 9, 3, 33; VI, 1, 2, 11, 18, 22; XI, 20, 36. o La morte: IV, 5, 6, 15, 19, 34, 48; VIII, 11, 12. o La provvidenza: IV, 10, 14, 23, 25, 27, 31, 36, 40, 45; VI, 5, 10, 42, 43, 44 e 45. o La saggezza: VII, 27, 29, 62, 64, 67, 68, 71; IX, 6, 28, 29, 30, 34, 36, 37, 41, 42; X, 11; XII, 4, 6, 8, 9, 16, 24, 26, 27, 29, 30, 31 o Il tempo: II, 4, 6, 12, 14, 17; IV, 17, 26, 35, 43, 47, 48, 50; IX, 4, 14, 32a, 33, 37a. Attenzione A disposizione degli studenti interessati c’è un CD con tutte le lezioni del I e II semestre registrate. Relativamente al CD contattare direttamente La Libreria Caffè Barumba per relativi accordi: Piazza delle Vaschette 15 – 00193 Roma; Tel. 06/45497439 E-mail: [email protected] Descrizione della verifica di profitto Elaborati scritti: Solo per gli studenti frequentanti che possono partecipare ad attività di esercitazioni, in tal caso la valutazione positiva servirà da esonero parziale per l’esame finale. Esame finale orale: Per tutti, frequentanti e non frequentanti. 2 INTRODUZIONE METODOLOGICA 1. Finalità del corso Il Corso di filosofia dell’educazione vuol portare a riflettere su quei nuclei vitali, problematici e complessi dell’essere umano che interessano in maniera diretta il rapporto educativo. Abbiamo chiesto aiuto a guide esperte, quali sono i grandi autori, studiati e approfonditi insieme. Riteniamo che quanto essi ci possono dire sia sollecitante e costruttivo per tutti gli studenti: a) per quelli che ancora non hanno avuto esperienza come educatori o insegnanti per l’aiuto offerto a crescere in una migliore consapevolezza di se stessi – come possibilità e come realtà –, nella comprensione dei punti cardine dell’agire educativo e nella comprensione dei principi dinamici ed attuativi di un autentico rapporto educativo. Tutto ciò è stato finalizzato a intravedere la delicatezza e la responsabilità di prepararsi ad essere educatori per professione. b) per quelli che già sperimentano un rapporto educativo, perché, chi si è accostato allo studio con atteggiamento disponibile, sicuramente ha avuto l’occasione per riflettere responsabilmente prima di tutto su se stessi e poi per riflettere sull’esperienza di cui si è portatori. L’obiettivo è stato di continuare a interrogarci insieme a voi su problemi fondativi essenziali quali sono quelli dell’educabilità umana, delle possibilità e dei limiti dell’educazione, della natura del rapporto educativo, letti in prospettiva eminentemente dialogica. Il nostro compito era aiutarvi a cercare sollecitazioni e stimoli negli scritti di maestri autorevoli. Il tutto è stato collocato in un orizzonte di senso in cui l’aggettivazione “educativa”, che specifica l’azione su cui abbiamo riflettuto, ha senso forte, ampio, qualificante. L’accezione “educativa” porta a ben perimetrare l’oggetto di attenzione rispetto ad altre prospettive contrassegnate da interessi conoscitivi diversi e complementari - esempi quelli propri della didattica –, di competenza di altre discipline e quindi oggetto di altro insegnamento. Il contenuto della riflessione è stato diverso, come diversi sono state le metodologie e le finalità che si volevano perseguire. Distinti dagli altri, ma non contrapposti; tenuti presenti, ma non messi a tema di indagine. 2. Il percorso Nel primo semestre abbiamo affrontato aspetti e problemi di natura istituzionale della disciplina; nel secondo sono stati approfonditi temi particolari con l’aiuto di autori classici e attività seminariali 3. Le aspettative Il corso non mirava a travasare saperi codificati e pronti all’uso. L’ambizione è stata costruire insieme una conoscenza quanto più possibile ben fondata e impegnata, patrimonio di tutti e di ciascuno. Ognuno poteva lavorare alla luce della propria esperienza e del proprio modo di valutarla; ciascuno poteva richiamarsi alla propria idea di uomo e di educazione. Esplicita o non, senza un’idea di uomo non si può avere un’idea di educazione. L’incontro / confronto in aula e nei piccoli gruppi è stato finalizzato non ad azzerare le diversità (nel pensare, nel sentire ecc.), né ad affermare supremazie, ma, attraverso le diversità consapevoli, ci si è proposto di slargare gli orizzonti di senso e di snidare i rischi di ignoranze, anche di quelle non volute e di cui non siamo consapevoli, di cui ciascuno di noi è, volente o nolente, portatore. 3 Le riflessioni di tutti sui problemi messi a tema sono state preziose. 4. La scelta dei testi I materiali di studio non necessitano di giustificazione: ci siamo confrontati con pagine tra le più belle della riflessione umana sull’uomo e sulla sua educabilità. La scelta dei saggi brevi della Ducci è motivata da più ragioni. Le sue caratteristiche sembrano rispondere al meglio a ben precisi obiettivi formativi: sono di aiuto per introdurre alla lettura di fonti autorevoli e per attingere dal meglio della riflessione umana ciò che sull’uomo e sulla sua educabilità è stato pensato e detto; rivelano un particolare interesse a sensibilizzare sui problemi e sulla necessità di snidare ignoranze anche inconsapevoli. In questa ottica assolvono una funzione propedeutica in quanto avviano alla lettura delle pagine dei classici, considerati come fonti primarie da cui attingere direttamente; a queste considerazione di ordine oggettivo se ne potrebbero aggiungere tante altre e di non minore importanza, non ultima la sua lunga presenza di docenza alla Lumsa che, in una certa misura e per quanto di sua competenza, ne ha segnato il volto. In particolare: o per la sua appassionata e costante frequentazione di autori che possono essere definiti fonti; o per la sensibilità con cui li ha accostati, e la genialità nell’averne colto il prezioso apporto che essi sono in grado di offrire per affrontare quei problemi che nell’educativo sono eternamente posti ed eternamente protesi a soluzioni, ossia i problemi che riguardano l’uomo e la sua educabilità; o infine, e non certo per ultimo, per la sua testimonianza di docente impegnata, mai stanca di apprendere e sempre proiettata verso orizzonti nuovi per coniugare passato e futuro sul piano culturale, presente e futuro su quello esistenziale, sempre protesa al meglio per sé e per i suoi studenti, schiva delle mode, attenta esclusivamente alla crescita delle persone di cui si sentiva responsabile. o Per tutta la vita ha portato avanti un’azione rara, sovente rischiosa (perché non sempre compresa), ma benefica e impagabile. Attraverso le sue pagine e le sue sollecitazioni in qualche modo si è cercato di farla essere ancora presente in mezzo a noi, non soltanto per la targa apposta sull’aula in cui il corso si è svolto. o Portare ad attingere alle fonti è stato per lei il compito più alto come docente, e lo ha svolto con rigore e passione; noi vogliamo accogliere questa lezione e proseguire su questa strada. L’obiettivo non era di far diventare i discepoli “ripetenti” delle sue idee – lo avrebbe considerato un tradimento – ma sollecitare l’impegno per acquisire la capacità di pensare pensieri propri e non semplicemente ripetere pensieri pensati da altri. Da lei possiamo attingere un metodo di ricerca che non ci fa fermare sul già acquisito, ma invoglia a proseguire senza soste nel cammino. 4 SINTESI ORIENTATIVA DELLA PARTE ISTITUZIONALE Crisi culturale del post-moderno: antropologie a confronto e dinamismi educativi. Prof.ssa Carmela Di Agresti I IL POST-MODERNO CRISI CULTURALE ED EMERGENZE EDUCATIVE1 L’impiego del post: ♦ il post impiegato per significare cose molte diverse ♦ cifra di lettura prevalentemente negativa ♦ il nuovo proposto vago, utopico, non chiaramente afferrabile, soltanto dichiarazione di intenti Crisi del modello culturale della modernità La crisi può essere riportata ad elementi quali: a) Venir meno della fiducia in un metodo conoscitivo di valore universale – potere della razionalità analitica; b) Crisi dei grandi miti della modernità come la scienza,il progresso, le ideologie forti; c) Crisi di legittimazioni delle pratiche umane su di esse fondate: Effetto: - Clima di grande incertezze circa il futuro - Attenzione spostata sul senso del limite del soggetto, sulla sua fragilità, sui suoi dubbi esistenziali – teorizzazione del pensiero debole - Insistenza nello svelamento dell’intreccio condizionante di poteri esercitati dai diversi sistemi (il sociale, il politico, l’economico, il linguistico ecc.), ritenuti fonti primarie di definizione di senso e fortemente condizionanti l’agire a tutti i livelli - Disgregazione delle ideologie forti e trionfo dell’unica che sembra inarrestabile, quella tecnologica Tratti salienti della cultura post-moderna a) La disgregazione del modello, ossia crollo dei diversi miti, sostituiti da uno nuovo: la fine di ogni mito > negazione di una realtà sostanziale a cui fare riferimento Sostituzioni: - la realtà vista come esclusivo prodotto di giochi linguistici i cui significati sono in continuità costruiti e smontati; - non esiste una verità, ma la verità è ciò che l’uomo produce Esito: - rinuncia alla ricerca della verità - annunciata la fine di ogni certezza Nascita di una contraddizione: - relatività di ogni pensare e di ogni agire; - sul versante gnoseologico-etico: “pensiero debole”; - sul versante tecnologico: ricerca di nuove e inedite forme di securizzazioni che fanno leva sul potere della tecnica: “ipermodernismo”: 1 Attenzione: Gli schemi qui proposti riguardano gli argomenti svolti nelle lezioni in aula durante il primo semestre. Per i necessari approfondimenti gli studenti hanno a disposizione un cd audio con la registrazione delle lezioni e i suggerimenti relativi. 5 “Il pensiero debole”: Su questo versante si incrociano: - l’indebolimento del raziocinio - al posto della verità l’efficienza; - il pragmatismo acritico - al posto della ragionevolezza l’irrazionale (forme varie e subdole – rinuncia a pensare); - la fragilità etica - al posto dell’impegno etico (doverosità) atteggiamenti e soluzioni contrassegnate dai principi negativi dell’insignificanza e dell’assurdo. Come ricaduta si assiste ad un frequente atteggiamento rinunciatario e / o riduttivo: - la scienza che si accontenta del solo traguardo dell’efficienza; - la filosofia che non si interroga più sul senso, ma è interessata soltanto ad un pensare calcolante che sfocia sempre più frequentemente nelle terre aride del nichilismo; - le scienze umane che si contentano di un descrittivismo pedante e pignolo anziché interrogarsi sul senso; si limitano a che cosa fare. L’ipermodernismo: su questo versante impattiamo con le complesse problematiche del cosiddetto post-umanesimo, e il suo principio cardine del trascendimento: Le due principali manifestazioni: a) Post-umanesimo biotecnologico - Una particolare modalità per declinare il principio di trascendenza; - Il principio rivela una precisa ambiguità: affascinante e fuorviante nello stesso tempo per una possibile duplice declinazione che si fonda su prospettive nettamente contrastanti nel considerare il potere di azione dell’uomo: 1°. Rivendicazione di una autonomia assoluta: rifiuto a riconoscere alcun tipo di legalità, interna ed esterna – unica legge il proprio arbitrio nell’uso indiscriminato nel potere assoluto della tecnica (ciò che si può fare è lecito fare) 2° Autonomia segnata dal limite in senso creaturale, autonomia partecipata; normatività iscritta nella struttura ontologica che l’uomo è tenuto a rispettare per il suo umanarsi. Convergenza di posizioni di pensiero e orientamenti culturali diversi per approcci e per focalizzazioni. Entrambe le prospettive si presentano cariche di interrogativi. b) Il post-umanesimo dell’artificializzazione come metamorfosi digitale della formazione - Riguarda il vasto campo di applicazione della potenzialità tecnologica; - Rapido di susseguirsi di paradigmi su cui si è costruita la rete WEB, con ricadute, nell’ambito che ci interessa, su: l’evoluzione dei saperi; gli stili di vita e di apprendimento; sul concetto di persona, sulla sua autonomia di pensiero e di azione. Alcuni effetti dell’incrocio tra pensiero debole e ipermodernismo Caratterizzano la temperie culturale d’oggi e sono chiaramente rilevabili nei vissuti individuali e collettivi. - L’affermata debolezza del pensiero lascia l’uomo senza orientamenti e senza fiducia nella possibilità di trovarli; - Forme esasperate di soggettivismo a stampo individualistico, in difesa di diritti privatistici, non potendo fare affidamento né su sé, n su modelli comunitari condivisi - Trionfo dell’individualismo, impoverimento delle motivazioni incapacità di orientarsi, attrazione irresistibile per l’effimero e per il godimento immediato; - Affievolimento della sensibilità verso i grandi problemi dell’umano e dell’umanarsi; - Progressivo senso di vuoto e di insignificanza. Ricerca di securizzazioni nel potere della tecnica, incapace di rispondere alle domande del senso ultimo che continuano ad assillare l’uomo. 6 II PROSPETTIVE ANTROPOLOGICHE E PROBLEMATICHE EDUCATIVE IDEA UOMO E EDUCAZIONE - Per parlare dell’educazione non si può ignorare l’idea uomo da cui si parte. Non sempre essa è dichiarata ma, implicita o esplicita è sempre presente; - Il legame il senso dell’uomo e il senso dell’educazione è indissolubile, anche se qualche vota negli autori si registrano incoerenze tra l’idea uomo e il significato dell’educazione; - L’esigenza di chiarire la realtà educativa rappresenta spesso il banco di prova per valutare la tenuta o meno dell’idea di uomo 2. Interrogativi comuni - Tutte le domande fondamentali sull’uomo interessano la riflessione sull’educazione; - L’interesse in filosofia dell’educazione non va tenuta a livello di pura speculazione, ma deve servire per offrire un orientamento a quell’agire finalizzato a rendere ciascun uomo capace di perseguire la perfezione possibile e conseguibile con il suo vivere; - Gli interrogativi fondamentali ineliminabili sono quelli posti dalla riflessione umana da sempre e ogni generazione è tenuta a porsi (i problemi maledetti di Dostoevskij): Chi è l’uomo? non solo cosa può fare; Quale la sua natura? (essenza, spessore d’essere); È lecito parlare ancora di una natura umana universale?; Si può identificare uno specifico per cui l’uomo è uomo?; Se si, come si raccorda questa specificità con la cultura e i modelli culturali che sono sempre plurali?; E’ possibile rintracciare costanti (trascendentali) presenti nel variare delle condizioni storico-geografiche?. L’uomo e la sua educazione: Conoscere / vivere - Il nesso stretto tra senso dell’uomo e senso dell’educazione porta ad una circolarità positiva tra conoscere e vivere, ben significata dalla peculiare sapienza socratica: si fa ricerca per imparare a vivere, vivendo meglio l’uomo si conosce di più (anthropine sophia); - I due termini uomo / educazione diventano interscambiabili se alla parola educazione si attribuisce un significato pieno, intriso di valorialità così che, per molti aspetti , si può dire che l’uomo coincide con la sua educazione; (Attenzione: fatti salvi il rapporto dialettico tra essere e dover essere, natura e cultura, destinazione originaria e declinazione individuale); 2 “E’ pura illusione ritenere di educare senza avere in testa una concezione generale dell’uomo, della vita, della società, della storia,della cultura, dei valori, dei significati”G. ACONE, Declino dell’educazione e tramonto d’epoca, Brescia, La Scuola, 1994, p. 15; “Ogni azione educativa , tesa a formare l’essere umano, è accompagnata da una determinata concezione dell’uomo, della sua posizione nel mondo, dei suoi compiti nella vita, delle possibilità di una sua cura e formazione pratica” E. STEIN, La struttura della persona umana, Roma, Città Nuova, 2000, p. 38; “I concetti di ‘uomo’ e di ‘educazione’ dell’uomo non possono restare sottintesiin un discorso pedagogico: devono essere esplicitati e chiariti fin dal suo inizio. Essi sono punti di partenza per una teoria della pratica educativa: (questa,in loro assenza, procede alla cieca, e può anche illudersi di progredire, come ogni strada può essere giudicata buona per chi non sa dove andare)”, G. CORALLO L’educazione come crescita della libertà nell’uomo, in AA. VV. Educazione e libertà in Gino Corallo, (a cura di G. Zanniello), Roma, Armando, 2005 p. 147; “E’ fin troppo scontato che lo spessore e la peculiarità che si attribuiscono all’educativo (intendendo con esso l’educabilità umana, il suo farsi e i traguardi a cui del suo tendere) sono in proporzione diretta con il senso dell’uomo in genere e con quanto concerne l’umano. Forse meno solita è l’ipotesi che esso sia proporzionato direttamente al prezzo che l’uomo si dà. Quel prezzo che, se alto, pretenderà, per essere mantenuto tale, la giusta distanza dalle cose, il rifiuto della meschineria dell’ipocrisia e l’impossessarsi di una magnanimità nobile e smisurata”E. DUCCI, Educare alla legalità , in Libertà liberata, Roma, Anicia, 1994, p. 18 7 L’antropologia pedagogica, considerata sotto questa prospettiva, può produrre effetti di conoscenza pari a quelli dell’antropologia filosofica. Diversità di lettura della realtà uomo - Nell’orizzonte delle antropologie contemporanee non esistono solo interpretazioni riconducibili al cosiddetto ‘post’, anche se queste registrano una presenza mediatica più agguerrita da far apparire altri paradigmi soltanto residuali e/o obsoleti; - Modelli e chiavi di lettura non allineati con i codici della cultura dominante sono altrettanto presenti e vivi oggi; - Data la molteplicità e la diversità dei paradigmi e, per ragioni di analisi, è opportuno categorizzare, anche se occorre riconoscere che è difficile perimetrare i rispettivi paradigmi in maniera rigida, in quanto in concreto rivelano continue intersezioni teorico-pratiche. - IDEA UOMO NELLA CULTURA OCCIDENTALE Edda Ducci rintraccia due fili che percorrono tutta la ricerca sull’uomo fatta nella cultura occidentale, utile a chi intende riflettere sull’umano dal punto di vista educativo. A. IDEA UOMO IN PROSPETTIVA METAFISICA La Ducci si colloca sul versante di una interpretazione metafisica circa la realtà uomo e classica i due fini nei seguenti termini: 1^ filo: Idea uomo affermativa: - Dalla Ducci viene così definita: " Il primo conduce ad incontrare, nei vari tempi, posizioni diverse, espresse in modi differentissimi ma accomunate da un'idea affermativa sull'uomo. Lo si vede come sorgente di energie, punto originario di dinamiche irrepetibili, dotato di un senso e di un valore proprio, capace di accogliere il diverso da sé senza perdere l'identità anzi crescendo in essa, bisognoso di ricevere, ma al fine di attuare potenzialità tutte sue. Si tratta per lo più di un atteggiamento non ingenuo: un sano realismo libera dalla cecità circa gli ostacoli anche interni che si frappongono, spesso con forza, all'accensione di questo potenziale" (Ducci, Approdi dell’umano, Roma, Anicia, 1999, p. 23). All’interno di questo filone si trovano molteplici correnti, Weltanschauungen difformi, con varie ipotesi di lettura e rapporti con la realtà esterna, i poteri ecc. ma con un elemento che le accomuna, ossia “una originarietà, anche se di natura e intensità differenti, è sempre attribuita all'uomo. Si ritiene che l'affermatività dell'uomo segni e signoreggi, con intensità diverse, il suo essere e il suo ricevere. Così che, nei contesti anche disparati, si tratta pur sempre di un uomo più o meno inquietante perché più o meno imprevedibile".(Ivi, p. 23) Molti sono i compiti, particolari e gravi, dell’educatore. Molti sono risaputi, alcuni sono di minore evidenza. Di questi ne sottolinea in particolare due: "Alla responsabilità dell'educatore appartiene anche una singolare giustizia, verso il soggetto che gli sta di fronte, una giustizia che non annulla le differenze ma le impiega primamente a favore del soggetto stesso. Alla funzione di educatore appartiene anche il rendere l'altro interessato alla conoscenza e alla volontà di attuazione e di impiego del proprio potenziale. Sono compiti non appariscenti, ma incisivi e delicati" (Ivi, p. 23). Un ulteriore elemento caratterizzante è il particolare significato attribuito alla parola: "In questa cornice antropologica il senso per la parola ha modulazioni differenti, arriva fino a vedere nella parola lo strumento o forse il veicolo primario dell'accensione del potenziale umano. In proporzione alla forza attribuita alla parola entra in gioco la dialettica dell'alterità, del rapporto unico che solo può stabilirsi da persona a persona, del dialogare. La parola intesa come mistero riecheggia l'intendere l'uomo stesso come mistero riecheggia l'intendere l'uomo 8 stesso come mistero, sacro e inviolabile; ma anche i livelli meno alti comportano un rispetto grande per la parola" (pp. 23-24). 2^ filo: Idea uomo ricevente - Anche in questo filone si ritrovano posizioni molto diverse, ma con un elemento accomunante: "Il secondo filone conduce a incontrare posizioni accumunate dall'idea di un uomo ricevente: il suo volto è modellato dal di fuori, come da fuori lui riceve il suo senso e il suo valore. Anche qui le difformità delle correnti di appartenenza e delle Weltanschauungen di riferimento scandiscono antropologie diverse; permane però il senso del ricevere, quasi assenza di propositività, come patrimonio ontologico-esistenziale dell'uomo. Il potere inquietante, ma non imprevedibile come nel primo spaccato, passa a ciò che non é l'uomo, ossia all'ideologia, alla tecnica, all'oggettivo in genere, fino al trattamento chimico" ( Ivi p.24. L’interpretazione che la Ducci ne fa in chiave educativa: "L'educazione, non costretta a nessuna attenzione (tanto meno primaria) all'uomo, può spaziare nei campi sterminati dell'oggettivo e partecipare all'accelerazione del progresso. La parola resta all'esterno, appartiene al mondo della convenzionalità, dell'utilizzo e dello sfruttamento. E questo non muta anche se la si impiega nell'educativo. E' soltanto un mezzo per avere risultati programmati e precisi; è ridotta (senza residui) a questa funzione” (Ivi p. 24) Qualche interrogativo su cui chiama a riflettere: L'idea uomo, sostiene la Ducci, si compone di tanti tratti più o meno essenziali e significativi. Un tratto nobile, quasi mai esplicitato , è il quesito se l’uomo vada considerato un enigma o un mistero. Uomo enigma o uomo enigma/mistero? Scrive la Ducci in merito: "Ognuno, di fronte alle reazioni inattese e impreviste del proprio universo personale, si domanda se la sua natura enigmatica - forse qualche scienza prima o poi ne darà la risoluzione definitiva -, o misteriosa, - va accettata, vissuta e lentamente decifrata, senza pretendere affatto una soluzione razionale definitiva. L'enigma si risolve, è soltanto questione di tempo; trovato il bandolo, tutto si dipana. Il mistero è inesauribile, più si scava più si sente la profondità; le soluzioni possono essere buone, ma sono parziali, non tutte razionalizzabili, e lasciano sempre aperto l'ipotetico se della giustezza. L'uomo enigma potrebbe essere risolto dalla chimica… Sull'uomo mistero il discorso non può mai essere chiuso, anche perché, se l'uomo è tale e ha in sé anche una sola particella di misteriosità, ogni nuovo esemplare è un mondo nuovo che ripropone il problema con un pizzico di inedito". (Ivi, pp. 30-31) Da questa prospettiva nascono molti interrogativi: - Con quali idee realtà misurarsi per affrontare il nostro discorso? - Quale idea di uomo (io / soggettività / persona) costituisce l’opzione di partenza? o Un uomo a cui è attribuita o non una originarietà irrepetibile? o Un uomo a cui è assegnato o non uno spessore d’essere che possiamo definire densità ontologica? o Un uomo segnato non da una misura qualitativa che ne definisce il senso? - Di quale libertà è dotato? o È o non una capacità di dominio su se stesso, di possesso di sé, di auto appartenersi? o Come il tutto si realizza e in vista di quale fine da raggiungere? - Quale il valore della parola nell’uomo come veicolo di comunicazione? o Ha la parola il potere o non di accendere il potenziale nell’uomo? o Ha la capacità o non di fondare un rapporto dialogico e di mettere in rapporto lo spirituale nell’uomo con lo spirituale nell’altro uomo? o Esiste diversità tra la parola soggettiva e quella oggettiva? Attenzione: per gli approfondimenti della proposta Ducci e il senso degli interrogativi si rimanda alla antologia presente su questa pagina Web 9 B. L’IDEA UOMO NELLA PROSPETTIVA POST-METAFISICA – ALTRA LETTURA Alla voce della Ducci che legge e interpreta l’idea uomo, da una prospettiva metafisica è opportuno affiancare una lettura che si colloca sull’altro versante, ossia su quello dell’approccio post-metafisico. Per tracciare questo secondo profilo al fine di individuarne gli aspetti caratterizzanti e le ricadute in chiave di antropologia pedagogica mi servo di un breve saggio sulla persona nel pensiero post-metafisico di Franco Cambi, convinto sostenitore di tale approccio. (F. CAMBI, La persona nel pensiero postmetafisico, in AA. VV. Pedagogie personalistiche e / o Pedagogia della persona ( a cura di G. Flores D’Arcais), Brescia, La Scuola, 1994, pp. 63-85). Premessa: - La riflessione filosofica sul secondo versante oggi ha come punto cruciale la crisi della soggettività che segna fortemente la problematica educativa; - La globalizzazione e la mondializzazione ha accentuato la crisi circa l’equilibrio tra le due grandi idee che hanno attraversato la cultura occidentale dai suoi primordi – quella della persona e quella della tecnica; - Tra le due risulta oggi vincente, sul piano teorico e pratico, la seconda, quella tecnica, mentre la prima “non ha avuto lo stesso successo mondiale, non ha impregnato di sé l’intero pianeta” (Acone, L’antropologia dell’educazione, op. cit. p. 45); - Diversa la natura dell’oggetto nei due ambiti: quello della persona fa parte del mondo soggettivo, si costruisce e afferma nello spazio della libera scelta, mentre il secondo attiene alla realtà del mondo oggettivo; - La crisi che attraversa la riflessione sul primo sta in bilico tra metafisico e post-metafisico, approdo naturale, quest’ultimo, della svolta operata nella modernità e arrivata a compimento nella seconda metà del XX secolo. Il pensiero post-metafisico: i presupposti Punto di partenza: - Superamento del pensiero metafisico che ha caratterizzato il pensiero dell’occidente, vincolato a prerequisiti intranscindibili e supposti immodificabili, attraverso un’opera di decostruzione volta a mettere in luce : la sua parzialità; la sua violenza; il suo assolutismo che impedisce il dialogo; l’occultamente delle differenze; - Viene messo a tema il principio dell’oltrepassamento: si fa riferimento alle categorie elaborate da esistenzialismo, neopragmatismo, empirismo, storicismo, forme ermeneutiche radicali per prospettare forme di pensiero alternative. I postulati del pensiero post-metafisico: - vengono sintetizzati come “metacritico, aperto alla critica dei propri fondamenti, che incrocia procedure cognitive decentrate e disseminative, che si coagula all’intreccio di decostruzioni, ricostruzioni, di pluralismi ecc., assumendo un volto eminentemente ipotetico, non garantito, non cogente In altri termini le categorie di riferimento sono: criticità – disseminazione – apertura problematica - sfondamento (p. 65) Apertura problematica / sfondamento - L’apertura problematica è “tipica della teoresi filosofica e il suo disporsi in funzione non del Logos, ma dell’uomo, di un ente finito e fragile, né autonomo né autentico, che la ragione aperta può far incamminare verso orizzonti di maggiore libertà, consapevolezza e capacità costruttiva” (p. 67). - Lo sfondamento è il baricentro di tale modello di pensiero, “ovvero l’abbandono del carattere originario della metafisica come scienza regia dei principi primi, studiati secondo un itinerario di cogenza razionale… Il pensiero post-metafisico è un pensiero ‘senza fondamenti’ che si modella sull’interpretazione e sulla sua ‘semiosi infinita’, sul nomadismo della verità e sulla decostruzione, perdendo ogni aspetto gerarchico, ogni costruttività centralizzata, ogni 10 carattere tradizionalmente razionalistico (fondativo, univoco, invariante, universale) (pp. 6768). Critica al pensiero a marcatura metafisica La persona e la sua struttura - Il modello di pensiero che si costruisce sullo sfondamento si applica anche alla realtà “dell’ego-persona”, una nozione che “è funzionale / costruttiva e niente affatto ontologica”. La critica di Cambi alla persona a marcatura metafisica riguarda sia la struttura, sia la deontologia La struttura del soggetto che si fonda e veicola una struttura dell’Essere, comunque questa la si intende è sempre contrassegnata “da una univocità costante di Significato e di Ordine, dal suo vigere come lex della e per lo sviluppo del soggetto, dal suo porsi come carattere metastorico e regolato da una dinamica interna, invariante e contrassegnata dalla integrazione / massimizzazione costitutivamente obbligata e definita. Il soggetto persona è una struttura ontologica, aperta a una dinamica di completamento del proprio senso, già, però, iscritto in quella struttura” (pp. 69-70). La deontologia - Nell’orizzonte di senso anzidetto l’uomo, per Cambi, perde la sua caratteristica più propria che è la libertà: “E’ questa una immagine deontologicamente bloccata della persona; il suo senso è già iscritto nel suo orizzonte costitutivo; la sua visione è, in un certo senso, naturalistica, anche dove se ne decanta l’identità spirituale. E’ un’immagine che dipende dal Logos metafisico (fondativo, invariante, totalizzante, ecc. ) e lo incorpora nel suo disegno, spogliando il soggetto dei caratteri di identità mobile, di crescita empirica, di orientamento creativo, di autonomia e di costruzione responsabile, di scelta. L’autonomia è qui connessa solo al riconoscimento di una struttura / senso; la responsabilità e la scelta, all’assunzione di quella struttura. Così tutto il processo di formazione del soggetto risulta chiarito e preliminarmente definito, anche se poi fenomenologie del processo possono diversificarsi e disseminarsi secondo itinerari e frontiere individuali. L’approdo, però, è già pre-garantito e pre-definito”(p. 70). Critica ai presupposti del personalismo metafisico - Ontologizzazione: l’ontologicità della persona “non è mai un dato, bensì un compito: è nozione storica, culturale, costruttiva” - Retoricizzazione: dipende dalla ontologizzazione.” Essendo già definita, va persuasivamente difesa, illustrata, diffusa” - deontologismo della persona “iscritto nella sua struttura e che al soggetto sta solo di leggere, riconoscere e affermare esistenzialmente come compito” Questi presupposti “ che si dispongono intorno all’antologia, al significato onto-deontologico assegnato alla persona, sollevandola oltre la storicità, empiricità, esistenzialità che le sono proprie e che sono testimoniate dallo status drammatico della persona, dal suo costruirsi, legato ad un iter conflittuale, disarmonico, precario” (p.73). Critica agli esiti del personalismo metafisico - “siamo davanti a una persona come nozione a-priori, pre-definita e non costituita al crocevia di molte esperienze (storiche, giuridiche, religiose, etico-politiche, antropologiche), delle quali porta l’orma nella non-univocità che la contraddistingue: non si è persone allo stesso modo e nello stesso senso in culture/storie diverse, se non per quella griglia formale di ‘diritti umani’, i quali, però, sono sempre prerequisiti della persona, nuclei sui quali essa si edifica, nel suo significato più proprio. E ancora: siamo davanti a una persona che, nel suo deontologismo 11 univoco e a-priori, indebolisce l’impegno a scegliersi come tale, a volersi tale, a progettarsi nella propria singolarità/specificità/irripetibilità. L’accezione ontologico-metafisica della persona ne distorce o soffoca la caratteristica più intima e peculiare” (pp. 73-74). Valutazione critica alla prospettiva metafisica: valenza meriti e limiti - Non lo ritiene uno pseudo-personalismo e forse neppure dogmatico in senso stretto ma come “ un’accezione possibile /necessaria della persona, che ne sottolinea la struttura coerente e costante in una civiltà, che ne demarca alcuni pre-requisiti, ad esempio, i diritti umani. E’ un richiamo all’originarietà della persona, anche se essa è più connessa al possibile che alla datità, al suo delinearsi come esito radicale (che si articola sulle radici)” (p. 74). Il limite: “l’originario non è il radicale, ma il primo, non è struttura di senso, ma struttura dell’essere” (p. 74). una ulteriore connotazione positiva data dal fatto che si tratta di “un personalismo con funzioni di difesa di quella originarietà … sopra ricordata: contro i relativismi che sempre tendono a corrodere e impoverire i personalismi laici, storici e culturali, costruttivi e pedagogici, i quali possono (anche se non devono concludere a una endoculturalità della persona, che apre le porte a discriminazioni, particolarismi, non universalismi, che oscurano i presupposti stessi del personalismo:quei diritti umani dai quali e attorno ai quali la persona prende corpo. Il personalismo metafisico è una linea di resistenza rispetto a questo esito perverso di personalismi laici, sempre possibile, sempre in agguato. La loro capacità costruttiva risulta, però, parallelamente, se pure in senso opposto, limitata: incapace di cogliere la differenza che anima la persona” (p. 74). Ancora su pregi e limiti del personalismo nell’accezione metafisico-ontologica: “vincola la persona alla Persona vista come orizzonte a-priori, unico, invariante, della sua fenomenologia e quindi come suo traguardo; in ciò include anche una inversione logica e ontologica tra ciò che è il risultato e ciò che è dato (la persona è un prodotto storico-culturale e solo in senso astratto giuridico, può – e deve essere presupposta in ogni soggetto, come suo orizzonte di possibilità” (p. 75). Ultimo rilievo: la prospettiva metafisica ha una visione autoritaria della persona in quanto legata ad un ordine apriori, a un ruolo deontologico forte e univoco (evidente in pedagogia o in etica) indicando un Senso e una Struttura già definita sia nel suo aspetto formale, sia nel suo aspetto contenutistico. Perciò “Questi i limiti, le aporie del personalismo metafisico, che pur non annullano il suo ruolo storico-culturale positivo: di difesa/promozione teorica e storica della persona, in un tempo in cui tra massificazione e edonismo, tra totalitarismi e deresponsabilizzazioni, il soggetto viene irretito quasi senza ritorno nell’alienazione e nella dispersione, negli aspetti distruttivi del nichilismo” (pp. 75-76). Idea uomo nella prospettiva post-metafisica La persona dopo la “fine del soggetto”: crisi della soggettività - “Oggi, intorno al soggetto, esistono prese di posizione assai critiche che ne sottolineano per un verso, la fine, per un altro, la radicale storicità e, quindi, la non necessità e la non invarianza. Così il soggetto viene investito da revisioni che lo decostruiscono, ne svelano i presupposti e i limiti, ne spezzano la densità e la priorità, per mostrarne, invece, le dipendenze, i condizionamenti, le oscurità, le contraddizioni e, in particolare, la sua identità storica, relativa, non univoca” (pp. 76-77). La scomparsa della soggettività: - è opera degli esponenti di correnti di pensiero ben note: strutturalismo, decostruzionismo, esistenzialismo nichilista, materialismo, psicanalisi; 12 i nomi sono ben noti: Levy-Strauss, Althusser, Foucault, Derrida Heidegger e, più su, i tre grandi maestri del sospetto, Max, Nietzsche, Freud; Sotto attacco è l’idea di persona come centro dell’ esperienza affidato alla coscienza e all’autocoscienza; L’uomo come essere autonomo, responsabile, legislatore, dominante è espressione di un fenomeno locale, della cultura occidentale, non generalizzabile, non trasferibile ad altre esperienze culturali. Soggetto /persona in prospettiva post-metafisica - Per i protagonisti del pensiero post-metafisico“ il soggetto non è un prius o un dato, ma è una costruzione dell’esperienza nel suo dipanarsi nel tempo, quindi non ha né alcuna permanenza necessaria, né alcuna identità trascendentale . Ed è proprio la trascendentalità (universalità e necessità) del soggetto che viene revocata in dubbio, se pure in forme non sempre radicali… Il soggetto “non è più una nozione-di-base, un fondamento. Nel tempo del sapere “senza fondamenti”, anche il soggetto, nella sua accezione permanente e stabile, cioè sostanziale, deve retrocedere, fino a dissolversi” (p. 79). Il soggetto metafisico deve essere oltrepassato, poiché storicamente rimosso e teoreticamente aporetico, per dar vita a un soggetto postmetafisico che, come tale, si pone oltre e fuori la crisi del soggetto, in quanto accoglie uno statuto debole e una identità problematica, plurale e non garantita, della soggettività” (pp. 79-80). Soggettività - Della soggettività … “non si postula l’azzeramento, una cancellazione, un oblio; non si dichiara archiviato il soggetto, bensì una sua forma, illustre ed autorevole, tipica dell’Occidente e che l’Occidente ha esportato, non senza resistenze, in Asia, in Africa, in Sudamerica, e che appare arrivata al capolinea nel tempo della multiculturalità e del declino dell’Occidente” (p. 80). “Il soggetto va ripensato e visto non come ‘sostanza’ bensì come progetto, come orientatore di senso e come costruzione, collegandolo così, intimamente, alla nozione di persona, di assunzione di identità, , volontaria e in itinere, connessa alla formazione, all’auto-formazione, ai processi educativi” (p. 80). Persona e educazione - La persona sottolinea, nel soggetto, l’intenzionalità verso una identità propria, verso un lavoro di formazione del ‘sé’ oltre che dell’’io’; lavoro complesso, a zig zag, sempre sub judice, che pone la persona come valore (la sente come tale e la pone come tale), ma anche come un’istanza da realizzare e un processo sempre inconcluso. La crisi del soggetto non ha spiazzato la persona. L’ha riafferrata all’incrocio di soggettività debole e intenzionalità formativa, restituendola intera la sua problematicità e il suo carattere progettuale, di identità costruttiva che coinvolge deontologia e educazione, che si attua su un articolato processo di messa a fuoco di modelli e traguardi, di scacchi, rilanci e riprese. La persona viene così assunta nella sua identità, nella sua funzione prospettica, nella sua volontà formativa, legandola intimamente ai processi educativi (autoeducativi) e assegnandole uno statuto si incerto, ma anche, e soprattutto, centrale nella soggettività, nella istoria del suo costituirsi, Siamo davanti ad un nuovo soggetto che è persona, ma secondo un’accezione radicalmente nuova di persona, secondo un’accezione post-metafisica” (pp. 80-81). Persona - struttura, valore, funzione - Istanze e problemi - Conclusioni: o la persona è vista come attività, costruzione, formazione: o Due aspetti della nuova nozione di persona: a) sottratta all'egemonia e all'interpretazione romano-cattolica b) “Tale nozione viene radicalmente problematizzata e ricondotta a un terreno empirico, storico, pedagogico che le toglie ogni garanzia a-priori e ogni necessità, mentre la vincola a scelte e strategie, a progetti e intenzioni. Sotto questi due aspetti tale 13 nozione riceve un impulso all’attualizzazione , nel senso di un suo aggiornamento teorico e di una funzione nell’attualità culturale”. o Nell’attuale contesto culturale la nuova nozione di persona “acquista una pregnanza nettissima, in quanto sottolinea le differenze del soggetto e la sua identità in itinere, e, quindi deontologica, ergo educativa. Si tratta di una persona laica, nel senso di una persona senza statuto metafisico e aperta sulla e alla propria costitutiva problematicità e incompiutezza. E però, persona in quanto afferma nel soggetto un nucleo prospettico forte, legato alla volontà, alla costruttività, all’intenzionalità” (p. 82). o Su tale nozione costruire un nuovo sapere pedagogico, ricalcandone le attribuzioni. Questo sapere stenta ad affermarsi, e tra le cause il sequestro che di tale nozione ha fatto il mondo romano cattolico (p. 85). 14 III UNO SGUARDO ALL’INDIETRO LE DUE GRANDI SVOLTE ANTROPOLOGICHE 1. IL PARADIGMA ANTICO – EBRAICO / GRECO / CRISTIANO Caratteristiche generali - Monopolio della teorizzazione filosofica; - Matrice: pensiero metafisico – religioso – sapienziale (che resterà peculiare per molti secoli del pensiero occidentale); - Prospettiva umanistica teocentrica (soprattutto nel cristianesimo) o almeno a caratterizzazione etica forte; - L’istanza umanistica è rappresentata dall’homo sapiens; - La fondazione universalistica dell’idea di soggetto è basata sull’antropologia teologica e / o a forte connotazione etico/politica. L’uomo nel mondo greco - la persona in Aristotele - L’uomo come ‘animale razionale’ (Politica, I, 2, 1253a 10); - L’uomo come animale socievole - animale sociale: o Sulla scia di Eraclito l’uomo possiede il Logos che gli permette di oltrepassare la singolarità dell’esperienza approdando alla koinonia, cioè alla condivisione scaturiente dalla comunicazione; o La forza del Logos – ossia di pensiero e parola – consiste nel fatto che può condividere con altri l’esperienza personale - ciò ne accredita una interpretazione sociale, cioè ne avvalora la disposizione interpersonale e comunitaria – l’uomo è un animale sociale (Politica, I, 2, 1253a 1-5); o La koinonia è declinata in modo ristretto rispetto al cristianesimo – riservata all’uomo greco ed è connotata dall’ethnos. Da qui l’etnocentrismo ellenistico comune ad autori di diverso orientamento. o Il bene dell’individuo coincide con il bene della società: Parlando del fine della politica come scienza architettonica in massimo grado Aristotele scrive: “Infatti è questa che stabilisce quali scienze è necessario coltivare e quali ciascuna classe di cittadini deve apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le più apprezzate capacità, come, per esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono subordinate ad essa. E poiché è essa che si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce, inoltre, per legge che cosa si deve fare, e da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine abbraccerà i fini delle altre, cosicché sarà questo il bene per l’uomo. Infatti, se anche il bene è il medesimo per il singolo e per la città, è manifestamente qualcosa di più grande e di più perfetto perseguire e salvaguardare quello della città: infatti, ci si può, sì, contentare anche del bene di un solo individuo, ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città. La nostra ricerca mira appunto a questo, dal momento che è una ricerca ‘politica’” (Etica Nicomachea, I, 2, 1094b 1-10); o il riconoscimento della socialità umana conduce all’assorbimento dell’individuo all’interno della società, più simile ad un collettivo che ad una comunità in senso stretto. Tra mondo greco e mondo cristiano - Elementi accolti dal pensiero aristotelico (preso come esemplare in quanto costituisce la costruzione antropologica forse più matura dell’antichità): l’anima forma del corpo; nesso tra dimensione intellettuale e dimensione emozionale; - La socialità cristiana: o estesa a tutti in quanto riconosce un ethos comune in ragione della comune dignità creaturale fatta segno dell’amore di Dio; 15 o enfatizza la relazione come carattere antropologico fondamentale e sottolinea il profilo singolare dell’individuo, amato per se stesso da Dio; o il modello non è collettivo ma comunitario > ricalca la comunità trinitaria , ‘socialità’ delle Divine persone che sono in essenziale comunione senza confondersi tra loro. La persona nella inculturazione cristiana - Ad essa si deve lo sviluppo dell’idea di persona prevalente nella cultura occidentale: o Integra in chiave relazionale la tradizionale connotazione razionale – all’essere umano è riconosciuta peculiare l’attitudine a esprimere se stesso nella relazione con l’alterità o l’uomo trova in Dio il suo interlocutore primario – l’amore non più segno di indigenza (l’eros greco), ma segno di pienezza; nulla può separare dall’amore di Dio (Rm, 8. 3139); o è la solo creatura a cui viene affidate il proprio simile, o nella forma di prossimo (il buon samaritano Lc 10, 30-37) o come responsabilità (Dio domanda a Caino dove è Abele Gn 4, 9); o a lui è affidato il creato perché lo custodisca (Gn 2,5). Il primato dell’uomo sulle altre realtà create - Nella prospettiva cristiana si riconosce alla persona di essere l’interlocutore di Dio, colui che Dio eleva rispetto al creato a una condizione assolutamente singolare: o La sua grandezza non sta nella somiglianza con il cosmo ma l’essere fatto, la sua natura, a immagine del creatore; o Da qui l’unicità della creatura umana rispetto a tutte le altre non soltanto perché è l’unica somigliante a Dio ma in considerazione del fatto che da questa affinità discende che – a differenza dagli animali – solo all’essere umano corrisponde una identità non strumentale ; o l’uomo è fine in sé perché non strumentale ad altri. Chi ha il dominio dei propri atti è libero: E’quanto esprime S. Tommaso quando scrive : “1. La condizione stessa delle nature intellettive di essere padrone dei propri atti, richiede di essere curate per s stesse da parte della divina provvidenza: mentre la condizione degli altri esseri che non hanno il dominio dei loro atti, indica che ad essi la cura è rivolta non per loro, ma perché ordinati ad altri esseri. L’essere infatti che è posto in azione da altri ha la funzione di strumento: invece ciò che si pone in opera da sé ha la funzione di agente principale. Ora, lo strumento è voluto non per se stesso, ma per l’uso che ne fa l’agente principale. Perciò tutta la cura che si ha dello strumento necessariamente ha come fine l’agente principale: quella invece che si ha verso l’agente principale, o da parte di lui stesso, o di altri, in quanto è agente principale, è per lui stesso. Perciò le creature intellettive vengono guidate da Dio come volute per se stesse, mentre le altre creature lo sono in quanto sono ordinate alle creature dotate di ragione. 2. Chi ha il dominio dei propri atti è libero nell’agire; poiché ‘libero è chi è causa di se stesso’ (Aristotele, Metaphys. I, c. 2, n. 9): ciò invece che è mosso da una qualche necessità ad operare, è soggetto alla schiavitù. Ora ogni altra creatura è per natura soggetta a schiavitù: mentre la sola natura intellettiva è libera” (Summa contra Gentiles CXII, 1-2, Utet, Torino, 1975, pag. 839). La realtà del mondo nel pensiero medioevale - il pensiero medioevale eredita dal mondo greco un’idea di realtà cosmica come regolarità e normatività nelle cose, interpreta l’ordine della loro struttura, la regolarità del loro agire leggendovi dentro una ultima unità: - Il cosmo si offre come un mezzo per interpretare la creazione delle cose operata da Dio Tutto è visto alla dipendenza del Creatore, e ogni significato del suo vivere viene trasferito nel suo rapporto con Dio; - L’uomo è chiamato a operare a servizio dell’uomo e del mondo in obbedienza alla volontà Dio; 16 - - Il soggetto è riconosciuto come unità dell’esistenza individuale, come titolare degli atti dello spirito e punto di attribuzione di responsabilità, ma il concetto in se stesso manifesta qualcosa di non interessato, non arbitro protagonista con aspirazione a forme di autonomia; L’uomo medioevale, possedeva una cultura di altissima qualità, anelava alla conoscenza organizzando un mondo elevato di cognizioni (le Summae), ha creato opere grandiose, ha compiute gesta audaci ed ha elaborato ordine e strutture sociali di validità somma; tuttavia ha avuto un atteggiamento profondamente diverso rispetto all’uomo moderno. Scrive Guardini in merito: “L’uomo era tutto intento a compiere la sua opera, non a riflettere su di essa, giacché allora importava ciò che si faceva e non chi faceva. Anche qui tutto cambia, per qualche aspetto, con l’età moderna”( R. Guardini, Mondo e persona, Brescia, Morcelliana, 2000, p. 32). 2. - IL PARADIGMA DELLA MODERNITÀ Con la modernità l’uomo percepisce in modo nuovo se stesso e il mondo in cui vive; il mondo gli è presente con modalità nuova ed esprime con concetti nuovi tale modalità. A partire dal rinascimento affiorano termini nuovi come quelli di natura, soggetto, cultura. Sempre Guardini tematizza i tre aspetti in questo modo Il concetto di natura: - sta a indicare la totalità delle cose, tutto ciò che è, messo a disposizione dell’uomo come compito, come oggetto che si offre al pensiero e all’azione umana; - significa anche valore, norma valida per il pensiero e per l’azione. La natura esprime qualcosa di ultimo, di per se giustificato, qualcosa che porta il carattere misterioso dell’origine e della fine, del fondamento originario, dell’essenzialmente impenetrabile. Il concetto di soggetto: - In quanto realtà corporea psichica l’uomo appartiene a tale natura - In quanto osserva, esplora, conquista e trasforma le sta di fronte - Si libera dal contesto naturale, lo pone per questo in crisi, da qui il compito di riedificarlo, conoscendo, agendo, producendo. (Cfr pp. 25-29). - La scoperta della frontalità pone il soggetto nel dovere di scoprire, significare, agire sulla realtà. Il concetto di cultura: “Natura e soggetto – termine questo che si deve intendere come includente la personalità – stanno l’una di fronte all’altro come realtà ultime. L’esistenza è data come natura e come soggetto, semplicemente: A monte di essi non si può andare. Frammezzo ad essi sorge il mondo dell’azione umana e dell’opera umana. Queste si fondano su di essi come su due poli, vi trovano le proprie premesse e ne subiscono l’impronta, ma l’attività umana ha per altro di fronte ad essi una peculiare indipendenza. E si definisce per mezzo di un terzo concetto, anch’esso tipico dell’età moderna: ‘la cultura’” (31-32). Pensiero e prospettive della modernità - Fine del monopolio del pensiero filosofico e inizio dell’affermazione /concorrenza dell’approccio positivo – empirico – ricognitivo, in particolare con l’approccio culturalistico all’interno del quale prevalgono psicologia, sociologia, etologia; Si afferma una concezione scientifico-tecnologica della realtà, della vita, dell’uomo, dell’essere, elaborata dalle scienze umane di taglio empirico-sperimentale; Ne consegue una frattura della coscienza culturale europea nel processo di autocomprensione di sé dell’uomo; - Prospettiva umanistica antropocentrica; L’universalità del soggetto è fondata sull’idea di progresso, sull’idea di ‘uguale natura umana” auto-fondata’ e su quella di innovazione scientifica incessante; - La categoria del progresso assume un’accezione utopico –politica. Le ricadute sull’atteggiamento / mentalità 17 - La certezza del crescente potere fa si che il soggetto si percepisca in modo nuovo e sente di assurgere ad una importanza mai sperimentata prima; - L’uomo avverte un senso di responsabilità nei confronti di se stesso degli altri, del proprio tempo; - Muta il senso che attribuisce all’umano: all’idea di dipendenza dal Creatore subentra quella dell’autonomia piena nell’essere e nell’agire; si riconosce protagonista e padrone assoluto della sua opera, trasferisce a sé quel significato che prima veniva attribuito a Dio, la sua opera perde il carattere di servizio e diventa “sua creazione”, si sente di poter disporre a proprio piacere delle cose, di foggiarle e di disporne come un Dio; - L’istanza umanistica della modernità – non è più l’uomo sapiens, ma l’uomo faber, ossia quella dell’uomo che ha scoperto il potere che ha di dominare il mondo, di ricostruirlo e di porlo al suo servizio. Scienza e tecnica gli forniscono gli strumenti. Il processo di autonomizzazione - Cade l’iniziale vincolo dell’uomo dalla natura e da se stesso per rivendicare la padronanza assoluta della propria esistenza; - non si nega Dio, ma è come se non ci fosse: etsi Deus non daretur, ossia se ne può fare a meno. Il centro di gravità si sposta sull’uomo, il quale si sente sufficientemente maturo per assumersi la responsabilità di governare autonomamente le vicende del mondo; - La valorizzazione dell’autonoma forza creatrice dell’uomo costituisce la matrice del processo di secolarizzazione e di mondanizzazione che diventerà la nota qualificante della civiltà occidentale dell’età moderna, con esiti di arricchimento e limiti. Le conquiste della modernità - A merito della coscienza moderna, afferma Guardini, va senza dubbio ascritto l’aver portato l’uomo fuori dal “cortocircuito religioso” e di avergli dischiuso “la genuina realtà, ricca di significato e di stimolo all’azione dell’essere finito. L’assoluto era sentito a tal punto che il finito non era valorizzato in ciò che gli spettava in proprio. I problemi circa l’essenza del mondo venivano in luce solo parzialmente; le risposte erano date solo in parte” (p. 36). Attento alla realtà ultima, l’uomo medioevale era disattento sulla penultima e questa veniva soffocata dal veemente imporsi dell’altra. In sintesi, uno degli aspetti più positivi della modernità è il merito di non aver assottigliato la consistenza del mondo con l’immediato transito nell’Assoluto. E conclude: “Essa ebbe coscienza che questo mondo è stato posto, in modo insieme grande e terribile, nelle mani dell’uomo e si dispose a non indebolire il senso di questa responsabilità con il ricorso alla religione, ma a considerare questo stesso senso come un compito religioso. La scienza moderna con la sua inesorabilità, la tecnica con la sua esattezza e il suo ardimento, lo spirito, che è specifico nell’età moderna, della conquista, della pianificazione e imposizione di una forma al mondo sono progressi autentici” (pp. 37-38). I limiti dell’età modernità - Ancora Guardini scrive che insieme alla giusta istanza di operare con responsabilità e autonomia nella realtà terrena, la modernità, tuttavia, la modernità ha distrutto la totalità dell’esistere. Ciò avviene particolarmente in virtù di una errata concezione di natura ridotta a presunta naturalità, di soggetto che assume la presuntuosa volontà di autonomia assoluta, di cultura che si illude circa un operare umano padrone di se stesso (cfr. p. 42); - A monte di tale atteggiamento c’è il rifiuto del concetto di creazione e così viene a prevalere un’idea di uomo che marca la distanza dalla prospettiva cristiana giungendo poi a porsi in aperta rottura con essa. Parabola discendente: dall’onnipotenze all’incompiutezza - Il cammino percorso dalla modernità è contrassegnato dalla graduale marcatura di distanza dalla prospettiva cristiana fino a giungere ad aperta rottura con essa, con conseguenziale ampia risonanza sul piano antropologico. Da una indifferenza dovuta al senso di autosufficienza 18 dell’uomo si approda alla negazione di Dio (dichiarazione di morte) e all’affermazione della fragilità e incompiutezza umana; - Entrano in crisi: L’idea di persona elaborata nella prospettiva cristiana e il rifiuto del suo spessore ontologico; Il significato del Logos – dall’assolutizzazione del potere della ragione alla sua messa in crisi; Il significato della libertà. L’ideologia dell’homo faber - Il concetto, di per sé, non è estraneo al cristianesimo. Tommaso: Accredita l’agire dell’uomo, partecipe di quello divino (ScG, III, 21, 69, 70); apprezza il lavoro (ST II-II, q. 187, a. 3, resp); apprezza il commercio, (ivi, II-II, q. 77, a.1, resp.); apprezza la tecnica (ST I-II, q. 95, a.1, resp.); - L’atteggiamento: è profondamente diverso: Partendo dall’idea di uomo fine in se, il resto del creato gli deve servire non solo come mezzo di sussistenza, ma anche perché egli possa conseguire la maturità che gli compete in ragione della somiglianza con Dio; Storicamente la tecnologia non ha trovato mai ostacolo alla propria espressione nelle aree culturali contrassegnate dalla presenza cristiana, fatto salvo il principio della inviolabilità della persona. Slittamenti / traslazioni nel doppio identikit delle antropologie contemporanee: - Le novità che caratterizzano la proposta antropocentrica dell’età moderna rispetto alla precedente sono: o L’estromissione della presenza di Dio dall’attenzione: prima disattenzione e poi negazione; o La responsabilità che migra tutta verso l’uomo (autonomia totale); o Entrata in crisi dell’uomo e del supposto autonomo potere della sua ragione per quanto riguarda l’eticità e tutto si sposta sulla tecnologia che diventa così autoreferenziale e autogiustificantesi in virtù della sua funzionalità; - Un interrogativo: è legittima e cosa comporta questa traslazione? o La tecnica crea processi irreversibili; chi subisce l’interferenza del trattamento tecnologico subisce una interferenza proprio nel costituirsi della sua persona; o Anomalia: la tecnica, da estensione della persona, cioè sottoposta ai fini di questa, diventa origine della persona, concretamente convertita da agente a prodotto. Il doppio identikit delle antropologie della modernità - Per cogliere l’evoluzione del pensiero antropologico nella modernità è necessario tener presente due linee evolutive, distinte e insieme annodate da forti intersezioni fino a renderle strettamente interdipendenti a) le antropologia a forte rilevanza scientifica – strada imboccata dalle scienze umane, a prevalente taglio empiriologico-sperimentale – descrittivo b) le antropologie a dominanza filosofica Antropologie di taglio scientifico: l’evoluzionismo - Il punto di avvio dello studio scientifico dell’uomo nell’ottica moderna può essere considerato Darwin con la sua teoria evoluzionista: o Egli rappresenta una svolta nell’antropologia biologica della modernità; da Darwin in poi si registra una scossa all’interno dei paradigmi delle scienze fisiche, biologiche e, conseguentemente, all’interno delle cosiddette scienze umane; o L’uomo diventa, d’ora in poi, oggetto di osservazione e di studio soprattutto dei caratteri biologici, fisici, organici e ambientali; o dopo Darwin si studia l’evoluzione della specie umana in continuità quantitativa-qualitativa rispetto la vita del pianeta e alla sua evoluzione generale; si registra una prima grande frattura dell’uomo occidentale; la sua presenza, diretta o indiretta, è dietro tutte le 19 antropologie di stampo positiviste, ossia dietro gli approcci che puntano su ricognizioni empirico-osservative; o L’evoluzionismo esercita il potere di trasformare i paradigmi di riferimento di tutte le scienze umane del secolo ventesimo e di quanti riconducono a incompiutezza quello strano animale che è l’uomo. Intersezione tra concezione evoluzionista e quella filosofica - Dalla concezione evoluzionista si attua lo spostamento dell’origine dell’uomo da Dio a se stesso; - Duplice direzione della riflessione filosofica: o Verso il basso: tempera l’esaltazione del sintagma dell’antropologia moderna: l’homo homini Deus; l’uomo appare sempre più fragile e disorientato; o Verso l’alto: solo restituendo a Dio l’origine della vita (quale che sia l’evoluzione fino all’uomo) si riesce a stabilire la misura della dignità umana ( Teilhard De Chardin). L’incompiutezza umana e la tecnica – Gehlen (cfr. L’uomo, Milano, Feltrinelli, 1990; L’uomo nell’era della tecnica, Milano Sugarco, 1984) - In Gehlen troviamo una lettura radicalmente antropologica del concetto di uomo incompiuto, carente, non stabilizzato; - Del problema dà una interpretazione e soluzione diametralmente opposta a quella di Heidegger pur costruita su identici materiali (il rapporto essere, tempo, uomo, tecnica; - In termini di antropologia pedagogica si potrebbe tradurre: la plasmabilità potenzialmente elevata dell’uomo quale educabilità costituisce lo specifico della struttura antropologica; - Carenza di istinti specializzati ed esigenza di trasformare con la sua intelligenza qualsivoglia stato di cose da lui incontrato nella natura. L’uomo è un essere che dipende essenzialmente dalla sua azione; - A motivo delle carenze strutturali deve surrogare i mezzi di cui difetta attraverso la trasformazione del mondo in qualcosa di utile. Una lettura interpretativa - ce la dà Acone scrivendo circa l’approccio di Gehlen: “ E’ un approccio antropologico che privilegia il fatto incontrovertibile per il quale l’estrema carenza di dispositivi in atto nell’uomo rispetto a tutti gli altri animali lo dispone come essere attivo, plastico, tecnico, capace di interiorizzare attraverso l’intelligenza la duplicazione della sua stessa tecnicità. plasmabilità, educabilità. L’intelligenza umana diviene una sorte di doppio interiorizzato del nesso carenza/tecnica.: l’uomo per sopravvivere deve inventarsi una sovranatura come ‘protesi’ della sua natura difettosa e carente, precaria e indifesa. E’ un quadro entro il quale l’uomo deve alla tecnica la sua specificità e la sua capacità di vita intelligente (a cominciare dalla sua stessa sopravvivenza). E tecnica è la scienza tecnologica, il linguaggio, la procedura dell’azione strategicamente rivolta a risolvere problemi” (Acone, Antropologia dell’educazione, p. 21). La lettura bio-antropo-evolutiva di Monod (Cfr. La necessità e il caso, Milano, Mondadori, 1973) - Si colloca in una linea che vede nell’uomo un punto di approdo e insieme una tappa intermedia di una lunga evoluzione durata milioni di anni; - Nei suoi aspetti più radicali, tale linea riconosce nell’intelligenza umana un “risultato casuale” dell’evoluzione, della selezione e della lotta per la sopravvivenza; - L’evoluzionismo trova in Monod un momento di significativa radicalità e coerenza; nella sua prospettiva è sottratta ogni “luce finalistica” alla presenza dell’uomo nel cosmo: c’è, ma potrebbe non esserci; - Con il suo evoluzionismo più radicale polemizza anche con le teorie “umanistiche” come quelle materialistiche e materialistiche-dialettiche apparentemente schierate sul versante delle scienze positive. - Scrive Acone sulla posizione di Monod: 20 “L’uomo figlio di una imprescrutabile necessità le cui ‘mutazioni’ (compresa quella che vede comparire la forma dell’uomo e della sua stessa autocoscienza) sono frutto del caso. La mutazione antropologica esclude unità, fine, essere e teleologia/teleonomia eccetto quella del DNA. Non solo Monod esclude ogni ‘alleanza’ tra l’uomo e un qualsiasi Dio, ma ritiene assai improbabile ogni ‘alleanza’ tra l’uomo e la Natura (Ivi, p. 22) Declino dell’uomo e via di salvezza: Lorenz, (Cfr. Il declino dell’uomo, Milano. Mondadori, 1994) - L’autore ribadisce sostanzialmente la posizione di Monod, sostiene che ci si avvia verso la fine dell’identikit dell’uomo e della specie umana così come conosciuta fino ad ora; - Il cammino dell’evoluzione è determinato dal caso, frutto di una modificazione dei caratteri ereditari grazie a meccanismi di selezione naturale in un determinato ambiente momentaneamente esistente; - A differenza di Monod, l’uomo, però, va salvato dal suo ineluttabile declino e può farlo in virtù dei suoi caratteri specifici che gli consentono di staccarsi dalla causalità selettiva: egli possiede la capacità di produrre processi soggettivi, valori, forme, bellezza, in armonia con la natura. L’uomo, come animale culturale, ha la capacità di modificare culturalmente la sua natura; - I processi soggettivi della nostra esperienza interiore hanno lo stesso grado di realtà di tutto ciò che può essere espresso con la terminologia delle scienze esatte della natura. Per evitare il declino dell’uomo bisogno fronteggiare, anche sotto il profilo educativo, i guasti introdotti dalla modalità di vita prodotta dalla tecnologia e dalla tecnocrazia; - Le abitudini di pensiero generate dalla tecnologia si sono fissate in rigide dottrine di un sistema tecnocratico protetto da una sorta di autoimmunizzazione. La tecnocrazia crea una società iperorganizzata che esercita sull’individuo un effetto deresponsabilizzante. Sul piano culturale viene a mancare la pluralità delle influenze e di scambi reciproci che è il presupposto di ogni creatività; - Situazione critica in cui vivono i giovani oggi. Se vogliamo affrontare le minacce che incombono dobbiamo risvegliare nei giovani la sensibilità per i valori, per la bontà, per la bellezza, sensibilità conculcata dalla mentalità scientista e dal pensiero tecnomorfo (Cfr. p. 10). Confronti: elementi comuni e differenze - In sintesi: Lorenz, Darwin e Monod condividono la convinzione della casualità della vita e della specie (con l’unica legge teleonomica della sopravvivenza della specie); Lorenz e Gehlen sostengono che la specie umana e la relativa evoluzione includono la crescita culturale e la scienza accumulata quali fattori di demarcazione e di specificità dell’umano rispetto al resto della vita e del cosmo. Ma mentre Gehlen vede nella scienza/tecnica la specificità umana capace di rimaneggiare e riscrivere la natura, Lorenz vede nella scienza / tecnica un processo, sebbene rilevante e necessario, non sufficiente a salvare l’uomo da un inarrestabile declino se non accompagnato da processi soggettivi propri solo dell’uomo, capaci di produrre e rimanere fedele a valori di bontà e di bellezza in armonia con la natura vivente le cui forme sono viste isomorfiche ai valori significati dall’umanità in quanto tale. Antropologie a dominanza filosofica - La modalità di approccio antiumanista di queste e altre teorie elaborate da esponenti delle scienze umane sul versante scientifico-scientista, volte a teorizzare la morte dell’uomo, caratterizza buona parte della cultura del Novecento. Esiste, però, anche l’altra faccia, orientata nella stessa direzione, che è quella filosofica; - Una linea di demarcazione tra l’antropologia a curvatura metafisica e quella a curvatura postmetafisica, infatti, è rappresentata dall’idea della morte di Dio; - L’annuncio della morte porta a proclamare il bisogno di elaborare il grande lutto che accompagna questo evento; 21 Concepire l’uomo figlio di Dio o orfano di Dio non è discorso indifferente relativamente all’autocomprensione di sé dell’uomo e all’idea di cosa si intende per processo di umanazione. - Con la crisi dell’idea di DIO entrano contemporaneamente in crisi, o mutano profondamente senso, concetti come essere, valore, senso, persona, bene, interiorità, coscienza quale lume di verità, libertà, intenzionalità, tutti concetti che avevano reso strutturalmente unitaria la problematica antropologica e pedagogica; - Da questa crisi si dipartono le varie forme di nichilismo, colte con straordinaria intuizione da Nietzsche nel momento in cui ne enuncia lo sbocco inevitabile. Nietzsche e la proclamazione della morte di Dio - per comprenderne la portata mi limito a riportare un passo emblematico: “Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna fin dal mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: ‘Cerco Dio! Cerco Dio!E poiché proprio là si trovavano raccolti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. ‘E’ forse perduto?’, disse uno. ‘Si è perduto come un bambino? Fece un altro. ‘Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi?? Si è imbarcato? E’ emigrato? – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: ‘Dove se ne andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo tutti noi i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati?Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi uno spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire la notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lucerne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini?” (La gaia scienza par. 125). La morte dell’uomo: radicale scissione tra essenza ed esistenza - Sartre - La concezione della persona di ispirazione cristiana, radicata sulla visione classica, considera l’uomo come un animale onto-metafisico-storico e non solo come un animale storico; - C’è la preoccupazione di non ridurre la persona ad una astrazione senza corpo, ma anche a non ridurlo a storicità radicale; - La persona è anche cultura e storia, ma non può essere solo cultura e storia; - Su tale istanza forte del personalismo a istanza metafisica si apre la divaricazione / separazione nelle antropologie contemporanee; - Emblematico il dibattito apertosi a metà del secolo scorso tra Sartre e Maritain, espressione il primo della negazione della dimensione onto.metafisica, sostenitore, il secondo, della ineliminabile compresenza delle due dimensioni(Cfr. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo (1946) Roma, Armando, 2010; Maritain, Breve trattato dell’esistente e dell’esistenza (1947), Brescia, Morcelliana, 1998). L’esistenza precede l’essenza -Non esiste natura umana - Sartre afferma il principio cardine dell’esistenzialismo:“prima di esistere concretamente l’uomo non è nulla”;prima del concreto svolgersi della sua vita non è da nessuna parte e la sua essenza non si trova in nessun luogo, ovviamente neanche in Dio, dal momento che di Dio si è recisamente negata l’esistenza”. Scrive Sartre: “L’esistenzialismo ateo, che io rappresento, è più coerente (rispetto filosofi atei del XVIII secolo, per i quali “la nozione di Dio viene eliminata, non così però l’idea che l’essenza precede l’esistenza”, p. 45). “Se Dio non esiste, esso afferma, c’è almeno un essere in cui l’esistenza precede l’essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto: - 22 quest’essere è l’uomo, o, come dice Heidegger, la realtà umana. Che significa in questo caso che l’esistenza precede l’essenza? Significa che l’uomo esiste innanzitutto, si trova, sorge nel mondo, e che si definisce dopo. L’uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. Così non c’è una natura umana poiché non c’è un Dio che la concepisca. L’uomo è soltanto, non solo quale si concepisce dopo l’esistenza, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistere: l’uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell’esistenzialismo (pp. 46-47). L’uomo come soggettività “Ed è anche quello che si chiama soggettività e che ci vien rimproverata con questo stesso termine. Ma che cosa vogliamo dire noi , con questo , se non che l’uomo ha una dignità più grande che la pietra o il tavolo? Perché noi vogliamo dire che l’uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l’avvenire” (p. 47). L’uomo come progetto - Rapporto libertà / volontà – Responsabilità L’esistenza consiste nel progetto, non avendo l’uomo alle spalle alcuna indicazione che gli prescriva dove andare e come essere. L’uomo sartriano sarà esclusivamente ciò che avrà deciso di essere: “L’uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece di essere muschio, , putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo intellegibile; l’uomo sarà anzitutto quello che ha progettato di essere. Non quello che vorrò essere. Poiché quello che intendiamo di solito con il verbo ‘volere’ è una decisione cosciente, posteriore, per la maggior parte di noi, a ciò che noi stessi ci siamo fatti. Io posso voler aderire ad un partito, scrivere un libro, sposarmi: tutto questo non è che una manifestazione di una scelta più originaria, più spontanea di ciò che si chiama volontà. Ma se veramente l’esistenza precede l’essenza , l’uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo dell’esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza” (pp- 47-48). La superiore dignità dell’uomo rispetto a tutte le altre cose consiste nel fatto che egli, ha la capacità di scrivere il suo futuro; Il tema della libertà: è affrontato nella quarta parte dell’essere e il nulla e delucida il rapporto tra libertà e volontà. Riprendendo quello considerazioni qui egli distingue libertà come condizione originaria dell’essere umano dalla volontà che segue tale libertà originaria e di essa è manifestazione. L’uomo non potrebbe volere qualcosa se non fosse detentore di una libertà primogenia che è fondamento e condizione del suo stesso essere; La responsabilità grava perciò su ciascun individuo, proprio a motivo della libertà radicale di cui ognuno è dotato. Si tratta di una responsabilità alla quale nessuno può sfuggire e che appare, nella filosofia sartriana come del resto un po’ in tutto il pensiero esistenzialista, non solo e non tanto una ricchezza dell’uomo, quanto piuttosto un duro impegno e quasi una sorte di condanna (cfr. nota 25 e 26, p. 48). Critica di Maritain a Sartre: - Quella sartriana scrive Maritain, è una ”esistenza finita di soggetti senza essenza, gettate nel caos di apparenze vischiose e disgregate di un mondo radicalmente irrazionale, da una opzione atea primordiale che domanda loro di fare o creare da sé, mediante un susseguirsi di scelte assolute che li impegnano in modo irrevocabile di fronte a situazioni date sempre nuove, certo non la loro essenza o la loro struttura intellegibile poiché non ce n’è, ma le immagini proiettate nel tempo, i progetti che falliscono continuamente nel tentativo di dare loro qualcosa che somiglia ad un volto” (p. 12). L’affermazione che l’esistenza precede l’essenza è ambigua: “perché potrebbe significare qualche cosa di vero, ciò che l’atto precede la potenza, che la mia essenza riceve la sua presenza nel mondo dalla mia esistenza e la sua intelligibilità 23 dall’Esistenza in atto puro, mentre in realtà significa tutt’altra cosa, cioè che l’esistenza non attua nulla, che io esisto ma non sono nulla, che l’uomo esiste, ma non vi è natura umana”(p. 13). Con queste due prospettive siamo chiamati a confrontarci attraverso gli autori che affronteremo nel secondo semestre. 24 Filosofia dell’educazione: oggetto, metodologie e finalità. Prof. Cosimo Costa Breve introduzione 1. Un dubbio: perché l’educazione? 2. Un percorso di filosofia dell'educazione 2.1 Il «se» dell'educazione 2.2 Gli auctores nella dimensione educabile dell’uomo 3. La strumentazione «soggettiva» 4. Un rapporto unico: filosofia dell’educazione e filosofia morale 5. Un sapere che si promulga nel vivere concreto Breve conclusione Breve introduzione Chi intenda occuparsi del campo dell’educativo deve essere cosciente di assumersi compiti numerosi e gravosi, compiti proporzionati all’oggetto della sua occupazione. La gravità ha un aspetto che, forse, non molte altre gravità hanno. Deve costantemente discernere circa il nuovo che si affaccia da ogni parte. E la bontà del discernimento non avrà riprova se non dopo uno o più decenni. E se il discernimento non è stato valido gli effetti deleteri potranno avere un margine di irreversibilità. La cautela circa i rimedi ai mali del corpo o circa gli eventuali benefici non è mai bastante. Non di rado effetti favorevoli o devastanti emergono troppo tardi. Ma la cosa è ben più rimarcata per la cura dei mali o l’offerta di benefici riguardanti l’anima. Qui si constata il limite del vedere interiore umano3. Ogni sapere trova le scorciatoie per arrivare alla riprova del discernimento nel minor tempo possibile, sì da ridurre al minimo i danni e gli sprechi. Anche la filosofia dell’educazione cerca le scorciatoie, e le cerca con ansia, sapendo che l’anima non ha tempi morti. Una scorciatoia potrebbe essere: trovato un certo parallelismo con la situazione e circa le idee che possono averla provocata, individuare uno scandagliatore4 che l’ha affrontata, valutata, e ha indicato confutazioni delle idee, sì che la situazione si apra anche se non si risolve totalmente. → Ne consegue che bisogna: trovare una verità fontale > gli elementi essenziali riguardanti l’educabilità umana si collegano in modo vero e completo dal di dentro. E’ poco quello che arriva da fuori: soltanto un piccolo aiuto può venire, ma soltanto a chi ha fatto il percorso; per acquisire il pensare giusto > sensibilizzarsi all’educativo sì da avere un pensare e un dire, ricco e pulito - così come il senso per la musica consente un’esecuzione ricca e pulita: con silenzi, passaggi, sofferenza per la sproporzione tra quanto sente l’animo e quanto consente l’espressione. Bisogna insistere sul senso di un’educazione pulita, fedele, ma arricchita dall’interpretazione. 3 La constatazione di questo limite è cominciata con l’anthropine sophia socratica – forse in certi settori abbiamo operato degli sfondamenti – il limite è stato spostato e forse lo sarà ancora, ma, fortunatamente, non potrà essere tolto. 4 Nel prosieguo della presente, ma soprattutto nella vita, sarà utile familiarizzare con tali scandagliatori (termine usato da Ducci per indicare gli auctores) anche per evitare discernimenti dannosi circa il nuovo. 25 1. Un dubbio: perché l’educazione? Per togliere l’illusione che sia una realtà tutta razionalizzabile. Per togliere l’illusione che si diventa ciò di cui si ha opinione (non conoscenza con tutte le regole) per il solo fatto di essere stati informati. Per far intravedere un mondo che vale tutto lo sforzo che chiede. → Paideia “Le parole prendono sempre il colore dalle azioni e dai sacrifici che suscitano”. (Cfr. A. Camus, Lettere a un amico tedesco, Baiesi, Bologna, 2009, III) Una paideia che nel proliferare del sapere, riguardante l’uomo e il suo sviluppo, riafferma continuamente le identità del suo proprio nutrire, del suo proprio indagare, del suo proprio ricercare ciò che realizza l’uomo. o o o o o Nel mondo greco la paideia è nata adulta e complessa: Polivalenza del termine. Intraviste le sue grandi possibilità. Insuccessi imprevedibili e ingovernabili. Massima importanza per il singolo. Massima importanza per la polis. → Ma l’educazione è un bisogno? Un bisogno il cui soddisfacimento è un diritto? In primis c’è la domanda del fondamento: la ricerca del fondamento non è dettata dalla moda, e nel caso delle filosofia dell’educazione non è neanche esigita dal sistema, non è soltanto il bisogno del pensare, ma la necessità del vivere. Avvertita da chi è infinitamente interessato all’esistere. Platone: per avvertire la necessità del fondamento, quindi per poter impattare con l’essere, sono necessarie: esperienza (conoscere la vita anche nella sua tragicità) e forza speculativa (non tutte le intelligenze sembra possano arrivare ad avvertire la necessità del fondamento, rimangono irretite dalla molteplicità e dalla complessità. Possono essere aiutate? Si guardi al comportamento socratico, talora efficace e talora no). Il fatto educativo dell’uomo è una realtà da vivere personalmente (per movimento spontaneo o perché aiutati), da esperire nella sua positività e nella sua tragicità (è un reale che non è tutto razionale), nella sua concretezza reale esige il fondamento. In questo modo sembra acquisire una dicibilità convincente ed efficace: muovere qualcosa nel soggetto che riceve la comunicazione. Si entra così nel mondo reale dell’educativo non in quello cartaceo. La risposta va cercata nelle ipotesi propositive? Dalle proposte valutare se è un bisogno vitale o qualcosa di superfluo. Prender le mosse da domande nevralgiche rintracciabili in Platone che slargano all’infinito senza ingessare l’indagine. Le prime domande dell’Apologia (domande eterne): Chi sa cosa rende migliore l’uomo e il cittadino? Chi lo sa fare? Chi ha interesse a farlo? Vedere anche: Da chi pensi di andare e cosa intendi diventare ? Di che si nutre l’anima? (Protagora). Da dove vieni e dove vai? (Fedro). 26 A Platone è balenato che cosa può diventare l’uomo. Per l’esperienza socratica impara che si deve presupporre e porre nell’uomo la presenza di qualcosa di divino, che può entrare in contatto con il divino ed esplodere se risvegliato. Entrando in contatto si enfatizza sempre più la somiglianza con Dio. Quindi è qualcosa che non mortifica il soggetto ma gli conferisce un di più. Il pensiero (phronesis) è qualcosa di più divino che non perde mai il suo potere e per effetto del periagein (convertire l’occhio spirituale) diventa utile e giovevole o viceversa. (Cfr. Platone, Repubblica, 518 d – 519 a) Forse in un ambiente di grandissima creatività, di vera aspirazione alla libertà e di grandissime ingiustizie e soprusi, l’umano sventagliava tutte le sue possibilità in maniera incredibile: quanto può l’uomo? La vicinanza-familiarità con Socrate gli avrebbe fatto vedere realizzate tante possibilità dell’uomo che forse non erano neanche pensate: giusto (scegliere di diventare giusti o ingiusti è fondamentale in vita e dopo morte (cfr. Repubblica, 618e), preoccupato degli altri soprattutto dei giovani (cfr. Apologia), coraggioso (Simposio, Alcibiade), leale, aperto alla trascendenza, resistente anche fisicamente, distaccato dal denaro e dagli onori, potere, successo. Tutte potenzialità realizzate, la loro realizzazione avvertita come un beneficio, tentativo, sempre faticoso e rischioso, di portare anche gli altri a questa esperienza. “La giustizia, il coraggio, la santità, il bene sono idee che Platone vide per la prima volta guardando l’anima di Socrate”. (P. Friedlaender, Platone. Eidos Paideia Dialogos, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 45) 2. Un percorso di filosofia dell'educazione Filosofia dell'educazione = genitivo oggettivo > «educazione» è oggetto su cui si esercita l'azione del soggetto, ossia della filosofia. Da tale azione l'oggetto viene lumeggiato in alcune sue parti che, altrimenti, resterebbero in ombra. Altri «soggetti» simili (sociologia, psicologia, teologia etc.) lumeggeranno altri parti della medesima realtà senza sovrapporsi. E' però anche inammissibile che l'uno possa surrogare l'azione dell'altro. Il termine educazione può essere agevolmente sciolto negli elementi che lo formano, ed è utile farlo. (vedi Postille di filosofia dell’educazione in Antologia di saggi brevi, pp. 17-18) 2.1 Il se dell'educazione Il segreto perché la realtà dell’educativo non sia sommersa o tutta sfigurata, non sta nell'affermarla dogmaticamente, ma nell'avvertire la forza del «se» - se l'uomo possa e debba essere educato. Il «se» mette la realtà dell’educativo in linea (forse al primo posto?) tra i valori dell'umano su cui l'interrogarsi senza sosta è d'obbligo. La pagina del Mito della caverna la si può considerare una icona eccezionale che rivela il senso e la funzione di una filosofia dell'educazione. Ed è in essa che si staglia il «se» dell'educazione. Il se nel rapporto interpersonale e nella comunicazione. (vedi Postille di filosofia dell’educazione in Antologia di saggi brevi, pp. 18-19) 27 2.2 Gli auctores nella dimensione educabile dell'uomo - - L’educazione è possibile in quanto l’uomo ha in sé un potenziale per cui è educabile, possibilità, specificante la natura dell’uomo, si può definire educabilità. L’educabilità è costituita da un insieme di forze/energie che rappresentano il patrimonio originario di ogni essere umano, forze che necessitano di essere riconosciute nella loro natura specifica, iniziate al retto uso, risvegliate con interventi adeguati, direzionate in ordine al raggiungimento delle finalità immanenti a ciascuna di esse. Dal loro armonico sviluppo dipende la possibile realizzazione della perfezione umana. La dimensione educabile dell'uomo è la ragione forte della filosofia dell'educazione, la giustificazione del suo esserci. Essa merita un approccio di seria deduzione, si avvale, per la sua collocazione reale di un serio processo induttivo; resterebbe, però, sistema chiuso qualora non ci si avvalesse di quelle che si possono definire «opinioni autorevoli». La conoscenza di opinioni autorevoli è intesa come salvaguardia per la dirittura delle proprie scoperte → Socrate in Gorgia, 458a: grande è il piacere di confutare, ma più grande è quello di essere confutati, tanta è la voglia di verità, tanta è la brama di essere liberati dall'errore. > avvertire la gravità di avere troppe zone oscure circa la natura reale dell'educabilità umana, o almeno di avere lacune pericolose circa i nuclei essenziali di essa. o Nei trattati sull'educabilità umana si sentono poche presenze. E il senso di essa rischia di restringersi in modo mortificante per la conseguente prassi. Una prassi che si esercita sulle persone non sulle cose. - La filosofia dell'educazione trova elementi copiosi là dove il vivere si è oggettivato in forme di comunicazione altissima, es. il Convito e il Fedro, l’Etica nicomachea, le tragedie di Sofocle, i Soliloqui e le Confessioni, il De malo e il De magistro, la Critica della ragion pura e pratica, la Malattia mortale, i Fratelli Karamazov, la Morte di Ivan Ilich, le Inattuali, il Principio dialogico. o Gli auctores sono autori, creatori che hanno avuto l’intuizione profonda del vero. Auctores vuol dire edificare, far crescere, edificare dalle fondamenta. È chiaro che più l’auctores è valido più rende il problema energetico. Se ben individuati restano guide mai compiutamente segnati dal tempo > apporti. (vedi Gli auctores in Antologia di saggi brevi, pp. 5-9) 3. La strumentazione soggettiva → Il fatto educativo come luogo dove tutto deve tornare e dove tutto deve partire. o o o Tratti della strumentazione soggettiva: Una sensibilità particolarmente sviluppata per la realtà di cui si occupa. Avere il senso per l’educativo. Avere una sensibilità per la realtà dell’educabilità dell’uomo. 28 o Una capacità di meraviglia, di stupore. Essere capaci di meraviglia, non pensare mai di aver conosciuto tutto, essere pronti ad accogliere sempre qualcosa con stupore. o Il senso per la sproporzione, non rimanere direzionati nel piccolo: l’energia umana ha dei risvolti incredibili. o La forza fisica come energia che compie atti sproporzionati, se c’è passione e dinamismo potente. o Il gusto per il tempo. Un certo istinto per l’ordine: riuscire a comporre, riuscire a ordinare, riuscire a dare la giusta progressività all’evento, alla cosa. o Un certo intuito per il vero. o Un amore appassionato per la libertà propria e dell’altro. o Un intenso esperire, un intenso soffrire l’umano. Non avere esperienza dell’umano ma sentire l’umano innanzitutto nell’interiorità di ciascuno. (Cfr. Ducci, Il volto dell’educativo, p. 15) → Due esempi di strumentazione soggettiva: Platone: Teeteto (172c - 173c) e Crizia (120e - 121c). Teeteto (172 c - 173 c). Socrate illustra a Teodoro una delle differenze che intercorrono tra la gente educata a servire e gli uomini liberi. Crizia (120 e - 121 c). Vi è tratteggiata la decadenza morale dell'Atlantide: pochi segni ne dicono lo stato ottimale, e altri pochi la rovina; una sola pennellata addita le cause e un'altra promette l'intervento. (vedi Postille di filosofia dell’educazione in Antologia di saggi brevi, pp. 21-23) 4. Un rapporto unico: filosofia dell’educazione e filosofia morale. L’essere umano è caratterizzato dal bisogno di educazione. Un fascio di energie definisce l’uomo: sono tali energie che l’educazione deve impegnarsi a portare fuori. L’educazione costituisce un problema sia per la teoria che per la prassi > il malessere della pedagogia ma soprattutto l’enigma dell’educazione. Si potrebbe parlare di inutilità o addirittura di morte della pedagogia, di riduzione parziale o integrale del termine educazione a istruzione, di richiamo all’ethos anche se con aspre discordanze circa la sua fondazione o il puro riconoscimento dell’esigenza di rifarsi a esso, e infine, cosa molto importante, di non considerazione della realtà uomo. Il problema educativo si impone ed esige una risposta da tutti, perché è il problema dell’uomo nei confronti di se stesso, del suo stesso essere uomo > secondo Ducci viene esaminato, nella realtà attuale, tramite due atteggiamenti: 1) ufficialmente: qui la strada viene individuata mediante il dialogo tra i vari saperi: psicologia, sociologia, politica, cibernetica, tecnologia, ecc… 2) realmente: il percorso viene individuato nella sola ideologia o nel coraggioso confronto anche con la vita reale, in primis la propria poi quella degli altri. (vedi Filosofia dell’educazione e Filosofia Morale in Antologia di saggi brevi, pp. 23-24) Su queste brevi premesse, Ducci intende capire da cosa, nel vivo di una realtà educativa così turbolenta, si vorrebbe essere sollecitati, sensibilizzati e sostenuti dalla filosofia morale. Cosa si intende per filosofia morale? 29 → che cosa è la morale? Impatto tra l’agire del singolo e la tradizione, il costume, il dover essere. > Agire esterno ed interno definito da desideri, giudizi, decisioni, modalità di rapportarsi a persone e cose tramite cui l’uomo intravede una via, un percorso, delle finalità per divenire pienamente umano. o E’ la percezione di tale bisogno che può essere impedita da imposizioni iniziali rigide, dogmatiche o da un arbitrio incontrastato e che porta con sé rischio, acutezza nel discernere, accettazione di fatica, dolore, gioia, soddisfacimento. Soltanto quando si avverte il bisogno detto e nella misura in cui lo si avverte, l’uomo è abilitato a intuire la natura della morale, il senso del dover essere, il nesso libertà interiore/obbligazione dell’esistenza. > Perché agire? È tramite l’agire che nasce la realizzazione del soggetto, il passaggio dalla potenza all’atto. Filosofia morale come riflessione, speculazione sull’agire, sulle azioni per essere giuste, orientate al bene, e, quindi, su che cos’è il bene, su qual è la legge (la norma) da seguire 5. → quale l’oggetto del suo indagare? Non “come gli esseri sono” ma “come debbono essere”. > Le nostre azioni. «Se rispetto al più delle cose non possiamo noi nulla più che vedere semplicemente come essere ed operare quelle dovrebbero, rispetto ad alcune poche abbiamo un poter maggiore, quello di renderle tali, quali conosciamo che debbono essere. E queste poche cose che stanno entro la sfera del nostro potere, sono le nostre proprie azioni, dal buono moderamento delle quali viene a noi la nostra perfezione». (A. Rosmini, Prefazione alle opere di filosofia morale in Principi della scienza morale, vol. 23, Città Nuova, Roma, 1990, p. 34). La scienza morale si distingue, dunque, da tutte le discipline che trattano della perfezione, del dover-essere di ciò che non è in nostro potere ma anche da tutte la altre teorie delle arti. Se, infatti, la stessa morale è un’arte, l’arte di ben vivere, essa si differenzia dalle altre (es. la pittura, l’architettura, le arti) perché non mira ad indicare le norme secondo cui operare in vista di un fine ristretto, quello di produrre un buon quadro ed essere un buon pittore o di costruire una bella casa ed essere un buon architetto. La morale indica agli uomini la strada per essere buoni uomini, e non si occupa solo di alcune delle loro azioni, ma dell’universalità del loro operare e del loro sentire. Buono è l’uomo, quando buone sono le sue azioni tutte, e ben regolate a tenore dell’onesto e del giusto. Per questo, la morale si occupa della bontà delle intenzioni e non solo di quella degli effetti, quindi dei risultati delle azioni. Essa si occupa di conoscere l’essenza della moralità, cioè il principio della morale, e tutte le condizioni della sua applicazione; oltre che eseguire questa applicazione del principio ai vari complessi di azioni umane, deduce le norme morali compartite nelle loro varie più o meno ampie categorie. (Cfr. Rosmini, Prefazione, 42-43) 5 Potremmo dire una filosofia morale come “teoria” della pratica. Infatti, è sia nel corso dell’Ottocento che nel corso del Novecento che si sono affermate filosofie dirette a superare il carattere teoretico e conoscitivo del sapere filosofico per avvicinare la filosofia alla vita. Così si è pensato che i filosofi dovessero cambiare il mondo, piuttosto che contemplarlo (come scritto da Marx, nella famosa undicesima Tesi su Feuerbach,1845). La filosofia doveva diventare pensiero rivoluzionario. Ma nel pensiero rivoluzionario non può esserci teoria indipendente dalla prassi, quindi la filosofia doveva diventare essa stessa prassi e rivoluzione. Non solo nel marxismo, ma anche in alcune correnti della filosofia della vita e dell’esistenzialismo del secolo scorso, l’aspetto teorico e conoscitivo della filosofia è stato messo in ombra. 30 È nel principio della morale che si cerca di stabilire la «legge madre», cioè la legge morale fondamentale da applicare tramite regole sicure, in grado di guidare la nostra ragione nell’applicazione delle norme ai casi concreti, soprattutto a quelli dubbi e controversi. L’applicazione della legge è ai più diversi ambiti, occupandosi dei doveri verso la natura umana in generale e di quelli nascenti da particolari rapporti (dell’uomo con se stesso, rapporti di famiglia, politici, morali, religiosi, rapporti legati a patti e contratti), del merito e dell’imputazione, delle virtù e dei vizi, ecc… → Ne deriva che la filosofia dell’educazione ha con la filosofia morale un rapporto unico: non si dimentichi che è da poco ad aver operato un distacco da essa 6. Si tratta di un rivisitare lo specifico umano: l’agire interiore, il suo senso, il potenziale che lo regge, le dinamiche che lo distinguono. In tutto ciò la filosofia morale le riscopre, indaga la responsabilità del soggetto; la filosofia dell’educazione ne individua le strade per la loro operatività e ne traccia le direzioni. La filosofia dell’educazione rappresenta una mediazione insostituibile tra filosofia morale e realtà educativa globale. Ducci: un primo punto comune delle due filosofie: paideia. un secondo punto comune: anthropine sophia (Apologia, 20d). - Tre accezioni a tale sapere socratico che definiscono le due filosofie come poietiche ed interagenti: 1. Dire l’umano. 2. Misura umana. 3. Esperire interiore. (vedi Filosofia dell’educazione e filosofia morale in Antologia di saggi brevi, p. 26-28) 5. Un sapere che si promulga nel vivere concreto L’educazione estendendosi a tutto l’arco della vita ha bisogno di un adeguato rigore scientifico sostanziato da un verace coinvolgimento personale. → pericolo: il passaggio dall’attenzione che l’educazione ha per l’uomo fino a una totale disattenzione. > attenzione sull’uomo: la teoresi pedagogica diviene filosofia poietica. L’attenzione sull’uomo si qualifica tramite il suo stesso fine: l’umanarsi dell’uomo. > Quello poietico fa capire come un approccio solo scientifico potrebbe presupporre dell’uomo solo dimensioni misurabili, mentre un approccio solo filosofico - metafisico porterebbe all’evidenza solo un mondo astratto. Il discorso pedagogico deve andare oltre i singoli aspetti per poter affrontare il problema dell’umanarsi dell’uomo radicalmente non solo come momento che fonda ma come momento fondante che si intreccia con il concretizzarsi della situazione. > È una filosofia che non si disgiunge da un particolare tipo di esperienza, da un Erlebnis. Esperienza che comporta un rivivere, un provare a livello di vita. Ducci a tal proposito definisce molto bene il compito svolto dall’esperienza-vita in tale filosofia poietica. Compito, che così come vuole l’autrice, deve essere chiarito nel suo momento germinale per individuare più facilmente le estranee inclusioni. L’enigmaticià uomo si sviluppa sotto una nuovo prospetto: 6 Fino ai tempi di Gentile la Filosofia dell’Educazione era parte integrante della filosofia morale. 31 dimensione misteriosa dell’essere umano sostenuta e convalidata da una personale esperienza umana. Ne deriva che la Filosofia dell’Educazione non può essere incastrata nell’appartenenza a una filosofia teoretica o a una sola filosofia pratica, ma deve essere definita come una filosofia poietica: pensare attento sull’uomo per riconoscere e indicare il cammino del suo umanarsi, servendosi di una vera esperienza umana. (vedi Filosofia dell’educazione come filosofia poietica in Antologia di saggi brevi, pp. 13-15) → derivano tre elementi caratterizzanti il percorso della filosofia dell’educazione: 1. attenzione sull’uomo, 2. esperienza umana, 3. concreto umanarsi. L’attenzione non assegna alla realtà un carattere ma sviluppa ciò che è peculiare nel carattere stesso della realtà che si ha di fronte. Ciò è necessario per l’autonomia equilibrata e giusta a cui la filosofia dell’educazione non può rinunciare. Si evidenzia così il modo di essere della persona, non solo il modo di pensare e di dimostrare. L’oggetto potrà essere colto veramente solo da una chiarificazione razionale fiancheggiata da un’abilitazione personale, che solo un’esperienza può dare. La finalità è quella dell’umanarsi dell’uomo, ed è proprio in tale finalità che si delinea lo specifico rapporto di siffatta filosofia poietica con la prassi. Per prassi, infatti, si intende vivere personale relazionato, perno principale dell’agire umanate. È una prassi in cui la Filosofia dell’educazione ha degli obblighi: dire chiaramente dove si giunge prendendo una precisa direzione, dove porta una strada scelta, quale compito sono in grado di assolvere determinati mezzi. (vedi Filosofia dell’educazione come filosofia poietica in Antologia di saggi brevi, pp. 15-16) Breve conclusione L’anima come il corpo va nutrita dall’inizio del vivere fino al termine del proprio tempo, e il nutrimento ha da essere vario e completo. Così pensa Platone la paideia, cioè il processo di umanazione necessario al singolo per giungere alla pienezza (diventare bello e buono), e necessario alla convivenza per potersi dire umana. L’anima va nutrita con elementi appropriati, genuini, necessari a che la sua crescita sia armonica. Perché l’anima può, forse per ignoranza forse per pigrizia, nutrirsi di surrogati: conoscenze non vere, raccattate qua e là, valutazioni limitate al puro apparire e al solo utilizzo che additano i disvalori, i beni apparenti come valori. Gli elementi appropriati a cui subito si pensa sono: l’Essere, il Vero, il Bene. Il Bello sembra quasi rientraci se c’è posto e tempo. Eppure il bello lo riteniamo cosa riservata a tutti, ricchezza che ci riguarda tutti. Forse, però, al senso per il Bello si ha da essere iniziati, e gli iniziatori sono rari. Platone inserisce il Bello tra i nutrimenti necessari. In un’Atene riboccante di opere belle, la familiarità con Socrate gli aveva lasciato intravedere altre bellezze: giustizia, amore, bene comune, misura umana, dialogo, prendersi cura dell’altro; realtà capaci di originare pensieri belli armoniosi invoglianti serenanti, oltre che veri e buoni. Il pensare bello induceva subito a considerare il Bello elemento necessario al nutrimento dell’anima. Ma in Platone è pure presente un tratto raro, squisitamente formativo: comunica, dapprima, mediante una narrazione indiretta del Bello: parla in maniera bella del Bello. Lo squarcio sulla necessarietà di nutrire l’anima con la bellezza lo spinge, infatti, a porre una cura particolare nel come comunicare ad altri quanto intravisto. La forma dialogica delle sue opere la si può leggere 32 come voluta da siffatto gusto per la bellezza, è, infatti, un atteggiamento bello per comunicare il vero: non sopraffare l’altro, non costringerlo mediante persuasione, lasciargli tempo, spazio, ritmo per un percorso davvero personale, invogliarlo alla ricerca. C’è poi, non certamente ultima, la cura appassionata dello stile bello: la scelta delle forme retoriche, le immagini, i miti, le metafore, ma soprattutto il gusto di impiegare verbi ben calibrati perché i tratti armoniosi e pieni dell’azione trapelino tutti. Quello di Platone lo si potrebbe definire un comportamento di pensatore e scrittore che si rivela atto a rendere assimilabile il nutrimento. Infatti, tutto ciò che è bello ha in sé qualcosa d’incredibile che non è veicolabile con la sola comunicazione di sapere: resterebbe mortificato dalla sola informazione razionale, fosse anche la più alta e elaborata, e non sarebbe nutriente. Si tratta infatti di un lento impastamento del pensiero con il cuore. Pensare bello, dialogare bello, espressione comunicativa bella affinano l’occhio dell’anima, lo liberano dall’incarcerarsi nelle sole occupazioni e preoccupazioni, o dallo star rivolto nella direzione sbagliata. Così l’anima resta abilitata a intravedere il bello anche là dove è velato o insabbiato, si colma di meraviglia e, a sua volta, diventa feconda di pensieri belli, di un dire decoroso e bello, sempre bramosa di contemplare il Bello. Platone tratteggia anche l’utilità che viene all’anima in forza di questo nutrimento, ma non trascura di rilevare che il profitto che lei ne trae ricasca direttamente sulla qualità della convivenza: una convivenza umana (piccola o grande) in cui il Vero e il Bene sono avvolti dalla luminosità del Bello e del decoroso rifugge dagli integrismi, dai dogmatismi, dai formalismi. Un esempio tra tanti è nel 2° libro della Repubblica: la letteratura ha il compito di veicolare comportamenti decorosi e belli sia degli dei tra loro, e, ancor di più, degli uomini tra loro, perché nell’animo umano s’imprima, fin dall’inizio, che “nessun cittadino ha mai odiato un altro cittadino”, perché questa è un’empietà. Sì che decoro e bellezza collaborano efficacemente a tener lontano da ogni convivenza ciò che massimamente la disumanizza: l’odio (378). E sempre nella Repubblica (401) ci dice che, seguendo le tracce di ciò che è bello e decoroso, i giovani, come chi abita in un luogo salubre, traggono vantaggio da qualunque parte un’impressione di bello tocchi la loro vista o il loro udito, quasi soffio di vento che porta buona salute da luoghi benefici, e sin dalla prima infanzia li conduce, senza che se ne accorgano, alla conformità, all’amicizia e all’accordo con la ragione bella. Platone è cantore e creatore di bellezza, ma è anche l’iniziatore efficace a che il bello, vera pennellata di gratuito, sia alla portata di tutti, quasi profusione di pratoline in ogni striscia di terra. (Cfr. Ducci, Nutrire l’anima di bellezza: un suggerimento platonico) 33 AD INTEGRAZIONE DELLE LEZIONI INTRODUTTIVE ALLE ESERCITAZIONI SU: MOUNIER, MITO DELLA CAVERNA, GORGIA E PROTAGORA Esercitazione: COSIMO COSTA MOUNIER (nel Cd del corso: lezione in data) E. Mounier, Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza , a cura di D. Rondoni, Bur, Milano, 2011. L’interpretazione del testo è stata caratterizzata da cinque passaggi, di seguito sintetizzati, rispecchianti la vita di E. Mounier. Lo scopo prefisso è stato quello di rilevare l’ipotesi cristiana come capace di dare ragione all’unica cosa che mette veramente in difficoltà la vita dell’uomo: il sacrificio di sé. 1. Riprendersi lo stupore di una inquietudine divina (lettere dal 1928 al 1929). Il mondo intellettuale dove Mounier è immerso > il mondo universitario: più si vive, più ci si accosta a Pascal, l’unica cosa che conta è l’inquietudine divina delle anime inappagate. Il punto più interessante della sua vita: il tour de force che consiste nell’imprimervi il sigillo dell’Infinito. 2. La vita in rapporto al destino (lettere dal 1933 al 1934). Scoprire che la vita val la pena di essere vissuta perché c’è qualcosa di costantemente più grande di noi che ce la dona. “Gente così”: costituisce un gruppo di persone veramente unico, un popolo nuovo. È successo che gente così si è messa insieme, gente che nella vita ha posto il tour de force dell’Infinito, per cui non è più un bilancio appena la vita, ma è rapporto con questo Destino che mi fa istante per istante. Nella vita occorre soffrire perché non si cristallizzi in dottrina > non bastano le intenzioni > occorre che questa ipotesi che si ha entri nella vita, intersechi le cose che ci interessano. 3. Il Viator (lettere del 1939). Con il terzo passaggio c’è una nota di cronaca. la caratteristica di questi uomini > trasformare in gioia tutto quello che la felicità ci rifiuta. La condizione cristiana del viator, il viaggiatore: è l’uomo che cammina con negli occhi e nel cuore l’ideale, la meta che non ha raggiunto, ma certo di essere sulla strada per raggiungerla. 4. La presenza cristiana (lettere dal 1940 al 1941). Un figlio: è arrivato, ma era una microcefala, tutto lo sviluppo di Françoise è stato compromesso. La grande prova per cui il dolore comincia a essere sentito come qualcosa che arriva al cuore giorno per giorno > urge una risposta > altrimenti tutto sarebbe davvero assurdo. Françoise era segno di Cristo > centro affettivo della compagnia. Tre dimensioni costanti nell’affronto del dolore e del sacrificio: - la memoria; - l’offerta; - la tenerezza. 34 5. L’indomabilità cristiana (lettere dal 1942 al 1944). Françoise dà un senso concreto, vicino, familiare, all’al di là. Tutto ciò che appartiene all’ordine spirituale progredisce attraverso le morti e le successive resurrezioni. Un’eruzione di lave profonde e brucianti venga a fondere l’alluvione inerte dei giorni [la routine] > la verità. La verità > smette di cristallizzarsi in dottrina. Nessun gesto che non implichi il mondo intero (il tour de force dell’Infinito) è vero. L’aridità dell’umano distrutta dal Cristiano. Esercitazione: GABRIELLA NOCITA MITO DELLA CAVERNA (nel Cd del corso: lezione in data 06-03-2012) OBIETTIVO PRINCIPALE: sviluppare la capacità di lettura del testo in chiave filosofico-educativa. CONTESTUALIZZAZIONE DEL MITO DELLA CAVERNA LA CONDIZIONE UMANA AL SUO STATO INIZIALE Cosa comporta la mancanza di educazione Il mondo percepito dai prigionieri in questa condizione Gli impedimenti esterni come metafora degli impedimenti interiori I PASSAGGI CENTRALI DEL PROCESSO EDUCATIVO - Cenni introduttivi su Platone e la sua filosofia, con particolare riferimento alle problematiche ontologiche e gnoseologiche. Cenni introduttivi sui dieci libri de La Repubblica. L’intervento esterno che determina la scossa necessaria al cambiamento di stato Il passaggio dal plurale al singolare La necessità di avvertire il disagio delle catene Quale tipo di costringimento può risultare liberante per l’essere umano Il passaggio ad uno stadio diverso da quello iniziale I quattro verbi di movimento: 1. anistasthai > alzarsi Passaggio da uno stato di riposo o di una o di visione spontanea, ad uno stato di attività. Uscire dalla pseudo-attività > distacco dalle ombre; 2. periaghein > girare la testa Cambiare mentalità, il suo modo di considerare la realtà e il suo inserimento in essa. Esige prima l’avvenuto cambiamento nell’educatore; 3. badizein > camminare Avvicinamento graduale all’oggetto. Con tutta la persona; 4. anablepein > levare lo sguardo Momento conclusivo che porta allo sguardo sinottico, passando dalla considerazione del non essere alla contemplazione dell’essere. I MOMENTI CHE PORTANO ALL’ASCESA VERSO L’ESSERE - La necessità dello sforzo > si tratta di una dialettica naturale ma faticosa; entrambi, educatore ed educando devono essere attivi. 35 - I momenti di insoddisfazione e disagio: sofferenza per l’abbaglio, incredulità per la difficoltà a distinguere, processo graduale di adattamento dell’occhio. Arrivare ad attivare lo sguardo sinottico. Come il rapporto educativo si vada ad inscrivere in una situazione di rischio. L’importanza del determinare che “l’anima l’occhio ce l’ha”. Il lento e faticoso percorso del “voltarsi con tutta l’anima” La scossa provocata dall’educatore non è da paragonarsi all’immissione di contenuto, ma all’attuarsi di una capacità. L’oggetto del conoscere: Verità / Bene. Questo oggetto è l’unico atto a soddisfare questa esigenza infinita insita nell’uomo. Esercitazione: FIAMMA ALBANESI GORGIA E PROTAGORA (nel Cd del corso: lezione in data) Testi: pagine scelte dai dialoghi del Protagora e del Gorgia. I testi dati hanno lo scopo di individuare punti salienti ritenuti idonei ad evidenziare alcune caratteristiche necessarie alla comprensione della paideia socratica. Nelle letture sono stati evidenziati due concetti fondamentali: Il Dialogo come modo privilegiato per veicolare e favorire l’agire educativo. L’Incontro, letto come sunousia essere-con, considerato come condizione essenziale e premessa per ogni forma dialogica. E’ stata inoltre effettuata l’analisi di alcuni requisiti necessari all’effettivo attuarsi dell’incontro e delle condizioni propedeutiche al dialogo riuscito: La disponibilità totale. L’accettazione dell’altro. L’ascolto. Dal testo del Protagora è stato analizzato: L’ incontro preliminare tra Ippocrate e Socrate. Disamina e verifica dei requisiti utili allo svolgersi del dialogo. Analisi della dialettica svoltasi tra Socrate e Ippocrate. Riferimenti alla metafora dell’anima proposta da Socrate come necessaria attenzione sul divenire della condizione umana. Dal testo del Gorgia è stato analizzato: Definizione di uomo dialogico e valore della confutazione e dell’ essersi persuasi : Socrate ” che tipo d’uomo sono io? Io sono di quelli che si lasciano confutare volentieri” 458a. Definizione delle premesse al dialogo : la conoscenza (episteme), la benevolenza (eunoia), la franchezza (parresia). Socrate e Callicle: analisi di alcuni passaggi della dialettica dei due personaggi. Constatazione di un incontro mancato e di un dialogo non riuscito. 36