Evoluzione stellare - Gruppo Astrofili Lomellini

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Evoluzione stellare
In astronomia, col termine evoluzione stellare ci si riferisce ai cambiamenti che una stella
sperimenta durante la sua vita. Alcuni astronomi considerano non appropriato il termine
"evoluzione", e preferiscono usare il termine ciclo vitale, in quanto le stelle non subiscono un
processo evolutivo simile a quello degli individui di una specie ma, piuttosto, cambiano nelle loro
quantità osservabili seguendo fasi ben precise che dipendono strettamente delle caratteristiche
fisiche della stella stessa.
Durante l'evoluzione di una stella, la luminosità, il raggio e la temperatura cambiano anche di
molto. Però a causa dei tempi evolutivi molto lunghi (milioni o miliardi di anni), è impossibile per
un essere umano seguirne l'intero ciclo di vita. Pertanto, per compredere come esse evolvono si
osserva una popolazione stellare che contiene stelle in diverse fasi della loro vita, e si costruiscono
modelli fisico-matematici che permettono di riprodurre le proprietà osservate delle stelle.
Uno strumento fondamentale per gli astronomi, al fine di compredere l'evoluzione stellare, è il
diagramma Hertzsprung-Russell (o diagramma H-R) che, riportando temperatura e luminosità (che
variano insieme al raggio in funzione dell'età e della massa e della composizione chimica della
stella) permette di sapere in che fase della vita si trova una stella. A seconda della massa, dell'età e
della composizione chimica, i processi fisici in atto in una stella sono differenti e queste differenze
portano stelle con caratteristiche diverse a seguire differenti percorsi evolutivi sul diagramma H-R.
Nascita
Una stella nasce da una nube molecolare gigante. La
maggior parte dello spazio vuoto dentro ad una
galassia contiene in realtà da 0,1 a 1 atomi per
centimetro cubo. La nube ne contiene invece alcune
centinaia (un buon tubo a vuoto terrestre ne contiene
più di 100.000). Nonostante questa bassissima densità,
una nube molecolare gigante contiene da 100.000 a
dieci milioni di volte la massa del nostro Sole, grazie
al fatto di essere appunto gigante: da 50 a 300 anni
luce di diametro.
La nube è stabile, le sue molecole costituenti sono troppo spaziate per riunirsi sotto l'effetto della
gravità. Se però la nube viene perturbata (ad esempio, dall'onda d'urto di una supernova vicina),
parte della materia della nube viene compressa. Quando questa parte compressa raggiunge una
densità di almeno 100.000 atomi per cm3 la gravità inizia a farsi sentire, e la materia inizia ad
accumularsi per formare alla fine una protostella. Ogni regione densa produrrà da una a decine di
migliaia di stelle, a seconda della sua grandezza. Gli atomi che si accumulano guadagnano velocità
mentre cadono verso il centro, riscaldando la protostella e facendole emettere una debole radiazione
infrarossa. Inoltre la compressione in uno spazio piccolo fa ruotare su sé stessa la protostella, per la
legge di conservazione del momento angolare. Queste protostelle sono in effetti rivelate da telescopi
infrarossi, spesso nascoste dentro globuli di Bok, le regioni più dense di una nube molecolare
gigante.
In alcune protostelle, le più piccole, la contrazione rimane l'unica fonte di energia. Queste
protostelle diventano delle semplici sfere di gas inerte, le nane brune, all'inizio calde ma non
abbastanza, e destinate a morire lentamente mentre si raffreddano nel corso di centinaia di miliardi
di anni. Questa è la sorte che attende ogni protostella la cui massa sia inferiore a 0,07 volte quella
del Sole (equivalente a 80 volte la massa del pianeta Giove). Tale protostella, se abbastanza piccola,
può anche essere considerata un grosso pianeta, ma la distinzione è piuttosto indefinita e ancora non
ben studiata.
Se la protostella è più grande, il calore al suo centro aumenta a sufficienza (si calcola che la soglia
minima sia a circa 15 Mkelvin, corrispondenti a 15 milioni di gradi Celsius), gli elettroni vengono
separati dai nuclei degli atomi, e i nuclei vengono spinti l'uno contro l'altro dall'enorme calore,
vincendo la repulsione elettrica che normalmente li tiene ben separati. Si è innescata la fusione
nucleare, che riscalderà la stella per tutta la sua vita. In questa prima fase, che durerà in genere per il
90% della vita della stella, l'idrogeno si fonde per diventare elio, usando la catena protone-protone
(per le stelle più piccole, come il nostro Sole), o il ciclo del carbonio-azoto (per le stelle più calde).
La fusione nucleare libera un enorme quantitativo di energia, pari allo 0,7% dell'energia di massa a
riposo degli atomi interessati (questa energia è calcolabile con la famosa equazione di Einstein
E=mc²). L'energia liberata aumenta la pressione del gas, che riesce a sostenere il peso degli strati
esterni e ferma la contrazione della protostella. Questa si trova adesso in equilibrio idrostatico, una
condizione che resterà stabile finché la fusione nucleare potrà continuare. L'energia prodotta si
dissipa verso l'esterno della stella e ne esce alla fine come luce visibile e altre forme di radiazione
elettromagnetica.
Una volta che una protostella ha raggiunto questo stato di equilibrio viene "promossa" a stella.
Maturità
Le nuove stelle sono di varie dimensioni e colori.
Vanno dal blu al rosso, da un decimo a 50 volte la
massa del Sole. La luminosità e il colore di una stella
dipendono dalla sua temperatura superficiale e dalla sua
massa, ed entrambe le cose, a questo punto della sua
vita, dipendono dalla sua massa. Le stelle T Tauri
stanno appena entrando in questo stadio.
Il resto della vita della stella sarà una lotta tra la gravità,
che vuole comprimere la stella su sé stessa, e l'energia liberata dalla fusione dentro il suo nucleo,
che vuole invece farla espandere.
Una nuova stella finirà per posizionarsi in un punto della sequenza principale del diagramma H-R.
Resterà quasi nello stesso punto per quasi tutta la sua vita: alcuni milioni di anni per le stelle più
grandi e calde, alcuni miliardi di anni per le stelle medie come il Sole, e decine o centinaia di
miliardi di anni per le nane rosse. Quale che sia la loro dimensione, le stelle della sequenza
principale consumano l'idrogeno del loro nucleo convertendolo in elio. Dopo un tempo breve o
lungo, l'idrogeno è comunque destinato a finire.
La ragione della lunga vita che la maggior parte delle stelle hanno nella sequenza principale è che la
fusione nucleare mediante la catena protone-protone è un processo molto difficile e, dal punto di
vista del singolo atomo, improbabile: si calcola che un atomo del Sole debba aspettare in media
tredici miliardi di anni prima di trovarsi nella condizione di unirsi con altri per formare un nucleo di
elio, e quindi in questo momento il Sole risplende solo grazie agli atomi "fortunati" che hanno
aspettato molto meno tempo. Col passare dei millenni, sempre più atomi si trovano nelle condizioni
giuste e quindi il Sole, come la maggior parte delle stelle di sequenza principale, aumenta
lentamente di luminosità. Il ciclo del carbonio-azoto, che richiede temperature più alte ed è quindi
usato solo dalle stelle più massicce, è invece molto più efficiente e porta ad un esaurimento molto
più veloce delle scorte di idrogeno.
L'inizio della fine
Dopo milioni o miliardi di anni, a seconda della massa iniziale, la stella finisce il suo combustibile
principale, l'idrogeno. Quando il nucleo della stella si trova con una carenza di idrogeno, la fusione
nucleare cessa. Senza la pressione creata dall'energia della fusione, la gravità prende il sopravvento
e gli strati esterni della stella iniziano a cadere verso il centro, comprimendo il nucleo e
riscaldandolo, esattamente come durante la formazione della stella. Quando il nucleo raggiunge i
200 milioni di gradi, è possibile usare l'elio come combustibile per un nuovo ciclo di fusione
nucleare, e il nucleo cessa di contrarsi. Nel frattempo, la fusione dell'idrogeno continua negli strati
esterni al nucleo, adesso riscaldati a sufficienza, e la stella è costretta ad espandersi per far fronte a
questa nuova iniezione di energia. La stella diventa una gigante rossa, decine o anche centinaia di
volte più grande di prima, e molto più luminosa. Il nostro Sole raggiungerà questo stadio tra circa 5
miliardi di anni, e diventerà così grande da poter forse inglobare la Terra. In ogni caso, l'accresciuta
luminosità del Sole sarà sufficiente a carbonizzarla completamente.
Il destino finale della stella dipende, come sempre, dalla sua massa.
La fine
La fine delle stelle piccole
Quando una stella piccola, non più di tre o quattro volte il Sole, raggiunge la fase di gigante rossa, i
suoi strati esterni si espandono, il nucleo si contrae, e l'idrogeno inizia a fondere e formare elio non
più nella zona centrale, ma in un guscio esterno al nucleo. Questa fusione rilascia nuova energia, e
la stella ha una tregua nella sua lotta contro la gravità. A questo punto, i cambiamenti nella struttura
interna
della
stella
si
propagano
abbastanza
lentamente perché un osservatore esterno la possa
giudicare, essendo, come minimo, di svariate migliaia
di anni. La piccola massa della stella non può
riscaldarla a sufficienza per fondere anche il nucleo di
elio, formatosi nelle fasi precedenti. Il nucleo è adesso
stabile e inerte.
A questa segue la fase di ramo orizzontale, luogo
caratteristico del bruciamento di elio nella zona del
nucleo, e contemporanemanente, dell'idrogeno in un
guscio più esterno.
Il trasferimento della fusione nucleare agli strati esterni fa gonfiare la stella come un palloncino e
risulta alla fine nell'espulsione di questi strati, formando una nebulosa planetaria. Si calcola che la
maggior parte della stella, anche l'80%, venga espulso nello spazio. Il rimanente 20% rimane
dov'era e la stella, privata di ogni fonte di energia, si raffredda e rimpicciolisce finché non è grande
solo qualche migliaio di chilometri. È diventata una nana bianca. Le nane bianche sono
estremamente stabili, perché la forza di gravità è contrastata dalla pressione degli elettroni, che a
causa della densità sono diventati materia degenere. Questo è un effetto quantomeccanico che si
manifesta solo in condizioni per noi estreme, ma naturali per una nana bianca. È una conseguenza
del principio di esclusione di Pauli.
Senza altre fonti di energia, la nana bianca si raffredda lentamente irradiando il suo calore residuo
nello spazio, finché, dopo molti miliardi di anni, sarà diventata una nana nera. Nessuna nana nera si
è ancora formata, perché l'Universo è ancora troppo giovane, e le numerosissime nane bianche
esistenti sono ancora impegnate a raffreddarsi. Una volta diventata nana nera, però, la stella non
subirà altri cambiamenti.
La fine delle stelle grandi
Il destino delle altre stelle, quelle grandi almeno 5 volte o più del Sole, è molto differente e spesso
drammatico. Dopo che la stella si è trasformata non in gigante rossa, ma in supergigante rossa (detta
in questo modo per la sua straordinaria grandezza, che può superare il miliardo di chilometri), l'elio
viene fuso in carbonio e, come nel caso precedente, finisce rapidamente. Il nucleo riprende a
contrarsi, ma stavolta il peso degli strati esterni è sufficiente a contrarre il nucleo abbastanza per
riscaldarlo finché anche il carbonio può essere fuso. Il ciclo si ripete per varie volte, formando
sempre nuovi elementi e ogni volta contrastando il peso della stella finché, ad una temperatura
superiore al miliardo di gradi, il silicio si fonde e produce ferro-56. Questo elemento, grazie ad una
disposizione particolare del suo nucleo atomico, non può fare da combustibile per la fusione
nucleare, perché assorbe energia invece di liberarla. La produzione di energia del nucleo si ferma
improvvisamente. Cosa succede a questo punto non è ben chiaro, ma la stella collassa
improvvisamente, gli strati esterni vanno a schiantarsi contro il nucleo a velocità di 10.000 km/sec o
più, e la stella esplode in una supernova. Quasi tutta la massa della stella viene allora espulsa in
un'esplosione che la rende brevemente luminosa quanto un miliardo di stelle normali (in effetti, le
supernovae sono visibili da una parte all'altra dell'Universo). Questo tipo di supernova, definito di
tipo II, è però più debole di quello di tipo Ia, che scaturisce da un meccanismo completamente
diverso che comporta la distruzione di una nana bianca in un sistema binario.
Durante l'esplosione, gli atomi pesanti (ma più leggeri del ferro) accumulati dalla stella iniziano a
catturare neutroni e neutrini, diventando sempre più pesanti. Si formano così tutti gli elementi di
peso atomico superiore al ferro, ed è questo l'unico processo fisico conosciuto che possa formarli.
Il nucleo della stella, nel frattempo, non è stato espulso come gli strati esterni. È invece stato
compresso dalla loro caduta iniziale, così fortemente che gli elettroni sono dovuti "entrare" nel
nucleo e combinarsi con i protoni per formare neutroni. Il nucleo è adesso diventato una stella di
neutroni, una palla grande qualche decina di chilometri ma che contiene l'intera massa del Sole. La
densità è così alta (centinaia di milioni di tonnellate per ogni centimetro cubo) che la stella di
neutroni può essere considerata un nucleo atomico gigante.
Spesso l'esplosione di supernova non è perfettamente sferica. Le grandi masse in gioco fanno sì che
anche una leggera asimmetria abbia come risultato che il
grosso del gas esploso va da una parte, mentre la stella di
neutroni viene "sparata" dalla parte opposta ad una
velocità di varie centinaia di chilometri al secondo.
Queste stelle di neutroni "veloci" sono state in effetti
trovate in gran numero. È probabile che non tutte le
supernovae di tipo II formino una stella di neutroni. Se il
nucleo superava una certa massa limite, compresa tra 2 e
3 masse solari, i neutroni non riescono a sostenerne il peso, niente può più contrastare la forza di
gravità che vuole comprimerlo, e il nucleo collassa in un buco nero. L'esatta relazione tra stelle e
buchi neri, così come il modo esatto in cui questi ultimi si formano, ci sono ancora sconosciuti.
Stelle variabili
Una stella variabile è una stella la cui luminosità non è costante, ma cambia nel tempo. La
variazione può essere piccola, grande, regolare, irregolare o perfino distruttiva a seconda del tipo di
stella variabile.
La maggior parte delle stelle hanno una luminosità quasi costante. Il nostro Sole è un buon esempio
di stella che non ha praticamente alcuna variazione misurabile. Molte stelle sono invece variabili, e
si dividono in due categorie principali:
Variabili intrinseche
Le variabili intrinseche sono stelle la cui luminosità varia effettivamente, cioè la stella stessa
diventa più o meno luminosa. Ci sono molti tipi di variabili intrinseche, che a volte si
sovrappongono. Alcuni sono:
•
Variabile Mira (stelle giganti pulsanti)
Le variabili Mira sono una classe di stelle variabili pulsanti, caratterizzate da colore rosso, periodo
di pulsazione più lungo di 100 giorni, e ampiezze di pulsazione maggiori di una magnitudine.
Prendono il nome dalla stella Mira (Omicron Ceti), la prima variabile di questo tipo scoperta. Sono
stelle giganti rosse, nelle ultime fasi dell'evoluzione stellare (si trovano sul ramo asintotico delle
giganti), che entro pochi milioni di anni espelleranno i loro strati esterni come nebulose planetarie, e
diventeranno nane bianche.
Le variabili Mira hanno masse non superiori a due masse solari, ma possono essere migliaia di volte
più luminose del Sole, grazie ai loro strati esterni molto estesi. Si pensa che siano pulsanti in modi
radiali, dove l'intera stella si espande e si contrae con simmetria sferica. La pulsazione si traduce in
cambiamenti sia di raggio sia di temperatura, causando il loro cambiamento di luminosità. Il
periodo di pulsazione è funzione della massa e del raggio della stella.
Anche se la maggior parte delle variabili Mira presentano delle similitudini nel comportamento e
nella loro struttura, sono comunque una classe eterogenea di stelle con età, massa e composizione
chimica diversa. Per sempio, molte hanno spettri dominati dal carbonio, il che suggerisce che
materia dal nucleo stellare sia stato trasportato in superficie. Questo materiale spesso forma delle
sfere di polvere attorno alla stella, le quali contribuiscono anch'esse alle variazioni periodiche di
luminosità. Alcune variabili Mira sono anche sorgenti naturali di maser.
Un piccolo sottoinsieme di variabili Mira sembra avere un periodo di pulsazione variabile nel
tempo: il periodo aumenta o diminuisce in modo sostanziale (fino ad un fattore tre) nel corso di
alcune decine o centinaia di anni. Si pensa che questo effetto derivi da pulsazioni termiche, dove
una massa di idrogeno vicino al nucleo della stella diventa abbastanza calda e densa a iniziare una
propria fusione nucleare, parallela a quella principale. La struttura della stella deve cambiare per
adattarsi alla nuova fonte di energia, cosa che si manifesta all'esterno come un cambiamento del
periodo. La teoria prevede che questo effetto si verifichi in tutte le variabili Mira, ma solo per poche
migliaia di anni. Poiché la vita di una variabile Mira (o meglio, la sua permanenza in questo stato) si
misura in almeno qualche milione di anni, solo poche tra le numerose migliaia di variabili Mira
conosciute mostrano questo effetto. La maggior parte delle variabili Mira esibisce comunque un
piccolo cambiamento del periodo tra una pulsazione e l'altra.
Le stelle Mira sono soggetti popolari di osservazione tra gli astronomi amatoriali interessati
all'osservazione delle stelle variabili, grazie al loro enorme cambiamento di luminosità. Alcune
variabili Mira (tra cui Mira stessa) hanno una serie registrata di osservazioni lunga più di un secolo.
•
Variabile Cefeide (stelle giganti pulsanti)
Una variabile Cefeide è un membro di una particolare classe di stelle variabili, notevole per una
correlazione molto stretta tra il loro periodo di variabilità e la luminosità stellare assoluta.
Grazie a questa correlazione, e alla grande precisione con cui viene misurato il periodo
pulsazionale, le variabili Cefeidi possono essere usate come candele standard per determinare la
distanza degli ammassi globulari e delle galassie in cui sono contenute. Poiché la relazione periodoluminosità può essere calibrata con grande precisione usando le stelle Cefeidi vicine, le distanze
trovate con questo metodo sono tra le più accurate disponibili.
Il nome di questa classe di stelle deriva da δ Cepheis, la prima variabile di questo tipo osservata
nella nostra galassia. Successive osservazioni hanno individuato stelle cefeidi in altre galassie, in
primis nelle due nubi di Magellano. Una Cefeide è in genere una stella gigante gialla giovane di
popolazione I e massa intermedia che pulsa regolarmente espandendosi e contraendosi, mutando
così la sua luminosità in un ciclo estremamente regolare. La luminosità delle stelle Cefeidi è in
genere compresa tra 1000 e 10000 volte quella del Sole e il periodo di oscillazione va dall'ordine
del giorno alle centinaia di giorni. Il profilo di luminosità di una stella cefeide durante un ciclo
pulsazionale è tipicamente non simmetrico, con il braccio ascendente più corto e ripido di quello
discendente, e oltre al picco principale la sua curva di luminosità presenta spesso un secondo picco,
o "bump", la cui posizione rispetto a quello principale varia a seconda del periodo di oscillazione
del pulsatore stesso.
Il fenomeno di oscillazione (espansione, contrazione) è un fenomeno limitato alla sola superficie
stellare e non è dovuto ad alcun mutamento nella quantità di energia prodotta dalle fusioni nucleari
che avvengono nelle regioni più interne delle strutture, e dunque l'oscillazione in luminosità è
causata unicamente dalla maggiore o minore dimensione della superficie esterna irraggiante e dalla
variazione di temperatura superficiale durante il ciclo di pulsazione.
Quando una stella con le caratteristiche strutturali delle cefeidi attraversa nel diagramma H-R la
cosidettà striscia di instabilità gli strati esterni diventano instabili, cioè una perturbazione dallo stato
di equilibrio tende a propagarsi piuttosto che a smorzarsi, e questa instabilità è la causa dell'innesco
del meccanismo di pulsazione. Questa condizione di instabilità non è però in grado da sola di
spiegare il ciclo pulsazionale della stella e la sua ripetizione nel tempo, in quanto sarebbe lecito
attendersi che l'energia persa per dissipazione nel ciclo pulsazionale possa mettere fine alla
pulsazione stessa. Bisogna allora tener conto dell'abbondanza di He+ nella loro atmosfera e dei
fenomeni di ionizzazione e ricombinazione cha avvengono a causa dell'autento (diminuzione) di
temperatura e pressione. La potente radiazione generata dalla stella ionizza una piccola frazione
dell' He+ a He+2, che è molto più opaco alla radiazione. L'atmosfera inizia a bloccare una parte della
radiazione uscente, diventa più calda e inizia ad espandersi. Un'atmosfera più calda ed estesa causa
un aumento della luminosità della stella.
L'atmosfera espansa presto inizia a raffreddarsi, e l'He+2 si ricombina in He+. Adesso l'atmosfera è
di nuovo relativamente trasparente, perde calore e si restringe. L'intero processo riparte ora
dall'inizio. La relazione tra la luminosità e il periodo di variazione di una stella Cefeide è molto
stretta, e siccome il periodo pulsazione può essere misurato con estrema precisione ciò permette di
ottenere la luminosità assoluta della stella che si osserva. Per questo motivo le variabili cefeidi
vengono utilizzate come candele standard nella misura delle distanze da più di un secolo. Una
Cefeide con un periodo di tre giorni ha una luminosità pari ad 800 volte quella del Sole. Una
Cefeide con un periodo di trenta giorni è 10000 volte più luminosa del Sole. Questa scala è stata
calibrata usando stelle Cefeidi molto vicine, per le quali la distanza era già conosciuta e misurabile
con altri metodi.
La loro elevata luminosità e la loro presenza osservata in molte galassie rendono le stelle Cefeidi la
candela standard ideale per misurare la distanza di ammassi globulari e le galassie esterne.
Naturalmente, ci sarà un piccolo errore perché non conosciamo la posizione precisa della variabile
Cefeide all'interno dell'ammasso o galassia, ma questo errore è in genere così piccolo da essere
irrilevante in questo tipo di misure.
Le stelle Cefeidi sono visibili a grandi distanze. Edwin Hubble identificò per primo alcune Cefeidi
nella Galassia di Andromeda, provando la sua natura extragalattica. Più recentemente, lo Hubble
Space Telescope è riuscito ad identificare alcune Cefeidi nell'ammasso della Vergine, ad una
distanza di 60 milioni di anni luce.
•
Variabile RR Lyrae (stelle giganti pulsanti)
Una variabile RR Lyrae è un particolare tipo di stella variabile. Le stelle di questo tipo sono
spesso usate come candele standard. Dal punto di vista dell'evoluzione stellare, le RR Lyrae sono
stelle di ramo orizzontale pulsanti, con una massa pari a circa la metà di quella del nostro Sole. Le
loro pulsazioni sono simili a quelle delle variabili Cefeidi, ma tra le due classi di stelle vi sono delle
importanti differenze. Le stelle RR Lyrae sono vecchie, e di massa relativamente piccola. Perciò,
sono molto più comuni delle Cefeidi, ma meno luminose. La magnitudine assoluta media delle RR
Lyrae è di circa 0,75, solo 40 o 50 volte quella del Sole. Il loro periodo di pulsazione è più corto,
tipicamente meno di un giorno, e a volte di sole otto o nove ore. Diversi ammassi globulari galattici
risultano ospitare un buon numero di RR Lyrae: per quanto in molti ammassi se ne contano alcune
decine, in un ristretto numero di ammassi le variabili RR Lyrae trovate finora superano anche il
centinaio. La relazione esistente tra il periodo di pulsazione di una RR Lyrae e la sua magnitudine
assoluta è molto semplice: Mv = − 2.87logP − 1.40 Questa equazione fu ricavata da Leavitt ed
Shapley nel 1912 con le variabili delle Nubi di Magellano; essa rende le RR Lyrae degli ottimi
indicatori di distanza.
•
Variabile Delta Scuti
Una variabile Delta Scuti è una stella variabile che cambia la propria luminosità a causa di
pulsazioni della sua superficie, sia radiali che non radiali. Le variazioni di luminostà sono semiregolari e vanno tipicamente da 0,003 a 0,9 magnitudine nel corso di alcune ore. L'ampiezza e il
periodo delle variazioni può cambiare parecchio. Le stelle di questo tipo sono in genere giganti o di
sequenza principale di tipo spettrale da A0 a F5.
Il prototipi di questo tipo di variabile è δ Scuti, che mostra fluttuazioni di luminosità tra le
magnitudini apparenti +4,60 e +4,79, con un periodi di 4,65 ore. Altre variabili Delta Scuti famose
sono Denebola (β Leonis) e β Cassiopeiae.
•
Variabile semiregolare
In astronomia, le variabili semiregolari sono stelle giganti rosse o stelle supergiganti con
cambiamenti di luminosità leggeri e più o meno regolari, accompagnati o a volte interrotti da varie
irregolarità. Fanno parte della categoria più ampia delle stelle variabili.
I periodi di variabilità vanno da 20 a più di 2000 giorni, mentre la forma della curva di luce può
cambiare da ciclo a ciclo. Il cambiamento di variabilità può andara da pochi centensimi di
magnitudine ad alcune magnitudini (in genere 1 o 2 nella banda V).
Le variabili semiregolari (abbreviate in SR, dalla dizione inglese) sono classificate in numerosi
sottotipi:
•
SRA: stelle giganti degli ultimi tipi spettrali (M, C, S, o Me, Ce, Se) che mostrano
periodicità regolari e piccole ampiezze, meno di 2,5 magnitudini nella banda visuale. Un
esempio di questa classe è Z Aquarii. L'ampiezza e la forma della curva di luce varia di
ciclo in ciclo, ognuno dei quali è compreso tra 35 e 1200 giorni. Molte stelle di questa
classe sono simili alle variabili Mira, con l'unica differenza di un'ampiezza minore nel
cambiamento di luminosità.
•
SRB: stelle giganti degli ultimi tipi spettrali (M, C, S, o Me, Ce, Se) con periodicità
molto irregolari (da 20 a 3000 giorni) oppure con intervalli alternati di cambiamenti
regolari e irregolari. Alcune possono a volte rimanere costanti per un breve periodo.
Esempi di stelle di questo tipo sono RR Coronae Borealis e AF Cygni. Ad ogni stella di
questa classe può essere assegnato un periodo medio che si mantiene costante. Spesso si
osserva la presenza di due o più periodi di variazione distinti.
•
SRC: stelle supergiganti degli ultimi tipi spettrali (M, C, S, o Me, Ce, Se) con
cambiamenti di luminosità di circa 1 magnitudine e periodi che vanno da 30 a molte
migliaia di giorni. Esempi sono la luminosa Mu Cephei e Betelgeuse, una delle stelle più
luminose del cielo, nella costellazione di Orione.
•
SRD: stelle giganti e supergiganti di tipo spettrale F, G o K, a volte con spettri con linee
di emissione. L'ampiezza della variabilità va da 0,1 a 0,4 magnitudini, e i periodi da 30 a
1100 giorni. Esempi di questa classe sono SX Herculis e SV Ursae Majoris.
Variabili estrinseche
Le variabili estrinseche appaiono di luminosità variabile a causa di qualche influenza esterna. Una
delle cause più comuni è la presenza di una compagna, che forma con la principale una stella
doppia. Viste da certe angolature, le due stelle possono passare una di fronte all'altra e causare
un'eclissi, che si presenta come una riduzione di luminosità. La prima stella variabile conosciuta in
Occidente, Algol (la stella del diavolo), è di questo tipo, e ha dato il nome alla categoria di variabili
a eclisse.
In alcune stelle binarie le componenti sono così vicine che si ha un trasferimento di massa dal'una
all'altra. Queste stelle sono chiamate binarie interagenti. Nella maggior parte dei casi, il
trasferimento di massa forma un disco di accrescimento attorno ad una stella. La complessa
interazione di una stella con il disco di accrescimento e con l'altra stella causa vari fenomeni, tra cui
le esplosioni di novae e di alcune supernovae e le pulsar a raggi X.
Supernova
Una supernova è un'esplosione stellare che sembra
risultare nella creazione di una nuova stella nella sfera
celeste ("Nova" è il termine latino per "nuova". Il
plurale è in genere scritto alla latina, Supernovae). Il
prefisso "super" la distingue da una nova, la quale è
anch'essa una stella che aumenta la sua luminosità, ma
in maniera nettamente minore e con un meccanismo
diverso.
Le supernovae sono contraddistinte dall'espulsione
degli strati esterni di una stella, riempiendo lo spazio
circostante di idrogeno ed elio (oltre ad altri elementi). I detriti formano quindi nubi di polveri e
gas. Un'esplosione di supernova può comprimere del gas preesistente che si trovava vicino alla
stella e si suppone che ciò possa innescare processi di formazione stellare.
Difficilmente lo spirito umano può comprendere la vastità di un cataclisma immane come una
supernova: la sua luminosità è tipicamente un milione di volte superiore a quella del Sole, e gli
strati esterni della stella vengono espulsi a migliaia di chilometri al secondo. Qualunque pianeta
orbitasse attorno alla stella verrebbe prima carbonizzato e poi spazzato via come un granello di
polvere da una specie di valanga incandescente grande come il cielo intero. Al contempo, una
supernova è l'unico meccanismo conosciuto per produrre gli elementi più pesanti del ferro (tra cui
cobalto, uranio, nichel, piombo, iodio, tungsteno, oro e argento), indispensabili alla nostra civiltà e
alla vita come la conosciamo, che si formano nell'atmosfera rovente della supernova sfruttando
l'enorme energia a disposizione.
Caratteristiche
Gli astronomi hanno diviso le supernovae in diversi tipi, a seconda dei differenti elementi che
appaiono nel loro spettro elettromagnetico. Queste differenze si traducono a volte in meccanismi
totalmente diversi per l'esplosione.
La prima caratteristica distintiva è la presenza o l'assenza delle linee dell'idrogeno. Se lo spettro di
una supernova non contiene linee dell'idrogeno, è classificata di tipo I, altrimenti di tipo II. Le
supernovae di tipo I sono molto più luminose di quelle di tipo II: le prime arrivano ad una
magnitudine assoluta di circa -20, con pochissima variazione tra una supernova e l'altra, mentre le
seconde si fermano a -12,5 circa, con variazioni fino ad un'intera magnitudine (corrispondenti ad un
fattore 2,5 nel flusso reale).
I due gruppi sono a loro volta divisi in sottogruppi, a seconda della presenza o assenza di altre linee.
Tipo Ia
Le supernove di tipo Ia sono, con molte differenze, le stelle
più luminose e possono emettere un raggio di luce anche
più intenso di quello di un'intera galassia
Le supernovae di tipo Ia non contengono elio, e mostrano
invece linee di assorbimento del silicio. Si pensa che siano
causate dall'esplosione di una nana bianca, che si trova in
corrispondenza o molto vicina al limite di Chandrasekhar.
Una possibilità è che la nana bianca fosse in orbita ad una stella moderatamente massiccia. Parte
della massa della compagna viene trasferita alla nana bianca, finché questa non arriva al limite di
Chadrasekhar. La nana collassa in una stella di neutroni o in un buco nero, e il collasso innesca la
fusione nucleare degli atomi di carbonio e ossigeno rimanenti. L'improvviso rilascio di energia
produce un'onda d'urto, e la nana bianca viene fatta a pezzi. Poiché il limite di Chandrasekhar è
sempre lo stesso, queste supernovae hanno sempre la stessa energia, ed osservarne una in una
galassia distante permette immediatamente di trovarne la distanza esatta. Ciò ha reso queste
supernovae indispensabili nella cosmologia, dove il comportamento delle galassie distanti viene
studiato per derivare le proprietà dell'Universo nel suo complesso.
Il meccanismo di una semplice nova è simile ma meno drammatico: la materia in eccedenza viene
fusa prima che il limite di Chandrasekhar venga raggiunto. La fusione produce quindi abbastanza
energia per aumentare drasticamente la luminosità della stella, ma questa sopravvive all'evento.
L'incremento in luminosità della supernova è dato dall'energia liberata nell'esplosione, e durante il
tempo piuttosto lungo che occorre perché la luminosità si riduca, la supernova è alimentata
principalmente dal decadimento nucleare di cobalto radioattivo (cobalto-56) in ferro.
Tipo Ib e Ic
Le supernovae di tipo Ib e Ic non mostrano linee dovute al silicio, e sono ancora meno comprese.
Si pensa che abbiano origine da stelle alla fine della loro vita (come il tipo II), ma che avrebbero già
perso tutto il loro idrogeno, e quindi impossibilitate a mostrare righe H nel loro spettro. Le
supernovae di tipo Ib sono forse il risultato del collasso di una stella di Wolf-Rayet.
Tipo II
Le supernovae di tipo II hanno origine quando il nucleo di una stella molto massiccia (almeno 8
masse solari, se non di più) ha prodotto una notevole quantità di ferro, la cui fusione assorbe energia
invece di liberarla. Quando la massa del nucleo di ferro raggiunge il limite di Chandraseckhar
(bastano pochi giorni), esso decade spontaneamente in neutroni e, sotto l'effetto della sua stessa
gravità, implode. Ne risulta una tremenda ondata di neutrini, che sottraggono un'enorme quantità di
energia alla stella e iniziano a viaggiare verso l'esterno. Attraverso un processo non del tutto
compreso, una parte dell'energia trasportata dai neutrini viene ceduta agli strati esterni della stella.
Quando, alcune ore dopo, l'onda d'urto raggiunge la superficie della stella, la sua luminosità
aumenta drasticamente e gli strati esterni vengono sparati nello spazio. Il nucleo della stella può
diventare una stella di neutroni o un buco nero, a seconda della sua massa. I dettagli del processo
sono ancora poco compresi, e non si conosce il valore esatto di massa che discrimina tra i due
risultati.
Ci sono leggere varianti del tipo II, come il tipo II-P e quello II-L, ma si limitano a descrivere il
comportamento della curva di luce dell'evento (le II-P mostrano un plateau temporaneo nel livello
di luminosità, mentre le II-L no), e non riflettono cause fondamentalmente differenti.
Ipernovae
Alcune stelle eccezionalmente grandi al momento della loro morte potrebbero produrre un'ipernova,
un tipo di esplosione relativamente nuovo e per la maggior parte teorico. Nel meccanismo proposto
per un'ipernova (o collapsar), il nucleo della stella collassa direttamente in un buco nero, e due getti
di plasma estremamente energetici sono emessi dai poli di rotazione, ad una velocità quasi pari a
quella della luce. Questi getti emettono raggi gamma molto intensi, e sono una delle possibili
spiegazioni per i lampi gamma.
Nomenclatura
Le scoperte di supernovae sono comunicate all'IAU, che manda quindi una circolare con il nome
assegnato. Il nome è formato dall'anno della scoperta, e una designazione progressiva di una o due
lettere. Le prime 26 supernovae scoperte in un dato anno ottengono le lettere da A a Z. Quelle
seguenti ripartono con aa, ab e così via.
Supernovae importanti
•
1006 - supernova piú brillante per cui esistano registrazioni
storiche, osservata da astronomi europei ed orientali
•
1054 - formazione della Nebulosa del Granchio, registrata
dagli astronomi cinesi e forse dagli indiani d'America.
•
1572 - supernova nella costellazione di Cassiopea,
osservata da Tycho Brahe, il cui libro De Nova Stella
(Sulla stella nuova) dette origine al nome "nova" per queste stelle.
•
1604 - stella di Keplero, supernova nell'Ofiuco osservata da Giovanni Keplero. L'ultima
supernova osservata nella Via Lattea.
•
1987 - Supernova 1987a osservata entro poche ore dopo la sua esplosione, è stata la prima
occasione per testare le moderne teorie sulla formazione di supernovae con le osservazioni.
Le supernove del 1572 e del 1604 furono usate da Galileo come prova contro l'immutabilità delle
sfere celesti, dottrina sostenuta dai filosofi del tempo, dottrina che veniva fatta risalire ad Aristotele
ed alla scuola peripatetica.
Le supernovae lasciano spesso al loro posto dei resti di supernova. Lo studio di questi oggetti è utile
per migliorare la nostra conoscenza sul fenomeno.
Ruolo delle supernovae nell'evoluzione stellare
Le supernovae tendono ad arricchire lo spazio interstellare circostante con metalli, che per gli
astronomi includono anche elementi chimici non metallici più pesanti dell'elio. Così ogni
generazione di stelle ha una composizione leggermente differente, che va da una mescolanza quasi
pura di idrogeno ed elio a una composizione più ricca di metalli. La differente abbondanda di
elementi chimici ha un'influenza importante sulla vita di una stella, e può influenzare in maniera
decisiva la possibilità di avere dei pianeti che le orbitino intorno.
Effetto delle supernovae sulla Terra
Speculazioni sugli effetti delle vicine supernovae sulla Terra si focalizzano spesso su stelle
massicce, come Betelgeuse, una supergigante rossa a 427 anni luce che è una candidata a divenire
una supernova di tipo II. Diverse stelle evidenti entro poche centinaia di anni luce dal Sole sono
candidate a diventare supernove entro i prossimi 1000 anni. Sebbene spettacolari, si ritiene che
queste supernovae "prevedibili" abbiano poco potenziale di provocare qualche effetto sul nostro
pianeta. Le supernovae di tipo Ia, tuttavia, si pensa siano potenzialmente molto più pericolose se
nascono abbastanza vicino alla Terra; poiché esse hanno origine dalle comuni e poco luminose nane
bianche, è probabile che una supernova che possa produrre degli effetti sulla Terra possa nascere in
modo non prevedibile in un sistema solare non ben studiato. Una teoria suggerisce che una
supernova di tipo Ia dovrebbe essere più vicina di 1000 parsec (3300 anni luce) per produrre un
effetto sulla Terra.[1]
Stime recenti predicono che una supernova di tipo II dovrebbe essere più vicina di 8 parsec (26 anni
luce) per distruggere metà dello strato protettivo di ozono della Terra.[2] Tali stime si sono occupate
soprattutto di modelli atmosferici e hanno preso in considerazione soltanto il flusso di radiazioni
proveniente da SN 1987A, una supernova di tipo II nella Grande Nube di Magellano. Stime del
tasso di formazione delle supernovae entro 10 parsec dal nostro pianeta danno un risultato variabile
da una volta ogni 100 milioni di anni [3] a una volta ogni 10 miliardi di anni.[4]
Nel 1996 gli astronomi dell'Università dell'Illinois hanno teorizzato che tracce di supernovae del
passato potrebbero essere rintracciabili sulla Terra sotto forma di firme radiattive dovute a isotopi
metallici negli strati di roccia. Di seguito isotopi di ferro-60 sono stati segnalati nelle rocce del
fondale profondo dell'Oceano Pacifico da ricercatori dell'Università Tecnica di Monaco
Nana bianca
Una nana bianca è una stella di piccola dimensione, con una bassissima luminosità e un colore
tendente al bianco. Nonostante le piccole dimensioni, la massa delle nane bianche è simile a quella
del Sole. Sono quindi molto compatte, e hanno un'elevatissima densità e gravità superficiale. Le
prime stelle di questo tipo furono scoperte nel XIX secolo, e oggi se ne conoscono migliaia. Il
colore di una stella è una misura della sua temperatura superficiale: le stelle gialle sono come il
nostro Sole, quelle bianche sono più calde, quelle blu più calde ancora, e quelle rosse più fredde
(vedi l'articolo sulla classificazione stellare per maggiori dettagli). Le nane bianche quindi sono
molto deboli perché sono piccole, e non a causa della temperatura, che invece è piuttosto elevata
(10.000 °C in media). Il colore e la dimensione spiegano il nome nana bianca. Un nome più
appropriato sarebbe nana degenere, un tipo di stella degenere (vedi più sotto per la giustificazione
di tale nome). Alcune nane bianche tendono al colore blu piuttosto che al bianco, perché sono molto
calde. In realtà, una nana bianca può assumere una vasta gamma di colori a seconda della sua
temperatura, ma la grande maggioranza sono blu-bianche.
Densità
Molte nane bianche hanno la dimensione di un grosso pianeta, e sono tipicamente 100 volte più
piccole del Sole. Hanno però la stessa massa, e sono quindi molto compatte. Un raggio 100 volte
inferiore implica che la stessa quantità di materia è impacchettata in un volume che è
100³=1.000.000 di volte più piccolo del Sole, e quindi la densità della materia è estremamente alta.
Più alta, infatti, di qualunque materiale che sia possibile trovare nel Sistema Solare (compreso il
centro del Sole), e per adesso impossibile da riprodurre in laboratorio: per replicare le condizioni di
densità di una nana bianca, occorrerebbe comprimere una tonnellata di ferro in un centimetro cubo.
Nel 1930 si trovò una spiegazione per queste condizioni, un effetto quantomeccanico: il peso della
nana bianca è sopportato dalla pressione degli elettroni degeneri (vedi materia degenere), un effetto
che dipende esclusivamente dalla densità e non dalla temperatura.
La pressione degli elettroni degeneri ha un limite superiore, oltre il quale essi cedono. Si calcola che
il limite sia pari a circa 1,4 volte la massa del Sole (è il cosiddetto limite di Chandrasekhar, dal
nome del matematico indiano che per primo lo calcolò). Oltrepassato questo limite, il peso della
stella non può più essere sostenuto e la nana bianca esplode (vedi il paragrafo sull'evoluzione).
Temperatura
Le nane bianche possono essere estremamente calde: temperature di 100.000 gradi non sono
impossibili. Questo calore è quanto rimane di quello generato dal collasso della stella (vedi il
paragrafo sull'evoluzione delle nane bianche più sotto), ed è irradiato nello spazio senza alcuna
fonte che lo rinnovi (a meno che la nana bianca non faccia parte di un sistema binario stretto, dove
può ricevere materia da altre stelle). La piccola area delle nane bianche fa sì che il calore sia emesso
ad un ritmo molto lento, e che perciò la stella si raffreddi molto lentamente.
Gravità
Nonostante la massa di una nana bianca non sia molto diversa da quella del Sole, e spesso più
piccola, la sua compattezza fa sì che il campo gravitazionale alla sua superficie sia un migliaio di
volte più intenso. La semplice caduta di materia sulla sua superficie può sviluppare un'energia
molto intensa. Si calcola che la accelerazione di gravità alla superficie d'una nana bianca sia di circa
7.000 Km • sec−² (sulla terra è di 9,81 m • sec−² e sul Sole di 29 m • sec−²).
Evoluzione
Le nane bianche sono lo stadio finale dell'evoluzione della maggior parte delle stelle, tutte quelle
troppo piccole per esplodere come supernovae. Si calcola che tutte le stelle più piccole di 8 masse
solari, cioè più del 99%, finiscano la loro vita come nane bianche.
La nana bianca si forma quando una stella come il nostro Sole finisce il proprio combustibile
nucleare. Nei suoi ultimi stadi di vita, la stella si espande in una gigante rossa e soffia letteralmente
via gli strati più esterni (creando una nebulosa planetaria), fino a che rimane solo il nucleo caldo.
Quando la fusione nucleare cessa, il nucleo si restringe e si stabilizza in una nana bianca, con una
temperatura iniziale superiore ai 100.000 gradi.
Le nebulose planetarie così prodotte sono oggetti effimeri, che scompaiono dopo poche migliaia
d'anni (un istante nella vita di una stella). Per questo motivo, ogni volta che viene trovata una
nebulosa planetaria, gli astronomi possono andare a colpo sicuro nel suo centro, per trovarvi una
giovane nana bianca appena formata. L'altissima temperatura fa loro emettere raggi ultravioletti e
raggi X "molli", e in effetti le giovani nane bianche più vicine sono state rilevate anche in queste
bande spettrali.
La nana bianca, non avendo altre fonti di calore, si raffredda lentamente, e diminuisce di luminosità.
Dopo moltissimo tempo, una nana bianca si sarà raffreddata a sufficienza per diventare una nana
nera, con la stessa temperatura (freddissima) dell'ambiente circostante. Si calcola che il tempo
necessario per questa trasformazione sia più lungo dell'età attuale dell'universo, e quindi nessuna
nana nera esiste ancora.
Nondimeno, è possibile calcolare che la pressione degli elettroni degeneri è ancora sufficiente a
sorreggere l'enorme peso della stella, anche in mancanza di ogni contributo dell'energia termica. La
nana nera è quindi lo stadio finale, potenzialmente immortale.
Da quanto detto prima, segue che le nane bianche sono molto numerose: quasi ogni stella vissuta
fino ad ora è diventata, o diventerà, una nana bianca, e il loro numero continua ad aumentare. La
loro bassa luminosità le rende però invisibili già a distanze piuttosto piccole.
Una nana bianca può avere invece un destino molto più interessante se si trova a far parte di un
sistema binario. Se questo è sufficientemente stretto, è possibile che si instauri un trasferimento di
massa dalla stella normale alla nana bianca. La materia in arrivo viene riscaldata a milioni di gradi
dall'intenso campo gravitazionale della nana bianca, ed è spesso soggetta ad esplosioni e fusione
nucleare periodica, dando vita a fenomeni come le variabili cataclismiche, le stelle novae e le novae
ricorrenti.
Se l'afflusso di materia è molto abbondante e non viene periodicamente espulso con esplosioni di
nova, e se inoltre la nana bianca era già vicina al limite massimo di 1,4 masse solari, la materia in
più può farle superare questo limite. Quando questo avviene, la pressione degli elettroni degeneri
che sosteneva il peso della stella cede di schianto, e tutta la stella è scossa da un'esplosione
dirompente. Si tratta di una supernova di tipo Ia, che è così luminosa da poter essere osservabile,
con grandi telescopi, letteralmente da una parte all'altra dell'Universo. Esplosioni di questo tipo
sono visibili da Terra ad occhio nudo ogni qualche centinaio d'anni, e in tal caso sono spesso visibili
anche in pieno giorno.
Se il nucleo della stella originaria era già più grande di 1,4 masse solari, la nana bianca non può
formarsi. Esiste un altro tipo stadio finale, la stella di neutroni, che raggiunge densità ancora più
grandi di quelle della nana bianca, ma non è chiaro se esse possano formarsi direttamente dal
collasso "tranquillo" di una stella alla fine della sua vita (sono invece normalmente prodotte nelle
esplosioni di supernova di tipo II, derivate dal collasso di stelle con massa superiore a 8 masse
solari).
Nel diagramma H-R, le nane bianche si collocano in una regione ben precisa, caratterizzata da
temperatura medio-alta e bassa luminosità. Esse scivolano lentamente verso regioni con temperature
più basse e luminosità ancora più basse.
Pulsar
Una pulsar, nome che stava originariamente per sorgente radio pulsante, è una stella di neutroni
rapidamente rotante, la cui radiazione elettromagnetica in coni ristretti è osservata come impulsi
emessi ad intervalli estremamente regolari.
Storia
Le pulsar furono scoperte da Jocelyn Bell e Antony Hewish nel 1967, mentre stavano usando un
array radio per studiare la scintillazione delle quasar. Trovarono invece un segnale molto regolare,
consistente di un impulso di radiazione ogni pochi secondi. L'origine terrestre del segnale fu
esclusa, perché il tempo che l'oggetto impiegava ad apparire era in sincronia con il giorno siderale
invece che con il giorno solare.
Il nome originale dell'oggetto fu "LGM" (Little Green Men, piccoli omini verdi in inglese), perché
qualcuno scherzò sul fatto che, essendo così regolari, potessero essere segnali trasmessi da una
qualche civiltà extraterrestre. Dopo molte speculazioni, una spiegazione più prosaica fu trovata in
una stella di neutroni, un oggetto fino ad allora solo ipotizzato.
Negli anni '80, fu scoperta una nuova categoria di pulsar: le pulsar superveloci, o pulsar
millisecondo che, come indica il loro nome, hanno un periodo di pochi millisecondi invece che di
secondi o più.
Nel 2004 viene individuata la prima "pulsar doppia" ovvero due stelle pulsar che orbitano una
attorno all'altra, in un sistema binario. La scoperta è opera di un gruppo di ricercatori internazionali,
a cui partecipano anche italiani dell'Università di Cagliari, dell'Università di Bologna e dell'Istituto
Nazionale
di
Astrofisica
(INAF)
(Osservatorio
Astronomico
di
Padova:
intervista).
In quest'ultimo caso, la grandissima precisione degli impulsi ha permesso agli astronomi di
calcolare la perdita di energia orbitale del sistema, si pensa dovuta all'emissione di onde
gravitazionali. L'esatto ammontare di questa perdita di energia è in buon accordo con le equazioni
della Relatività generale di Einstein.
Teoria
Il modello di pulsar generalmente accettato, e raramente
messo in discussione, spiega le osservazioni con un fascio
di radiazioni che punta nella nostra direzione una volta per
ogni rotazione della stella di neutroni. L'origine del fascio
rotante è legato al disallineamento tra l'asse di rotazione e
l'asse del campo magnetico della pulsar, analogamente a
quanto si osserva sulla Terra. Il fascio è emesso dai poli
magnetici della pulsar, che possono essere separati dai poli
di rotazione di un angolo anche ampio. Questo angolo
rende il comportamento dei fasci simile a quello di un faro.
La sorgente di energia dei fasci è l'energia rotazionale della stella di neutroni, la quale rallenta
lentamente la propria rotazione per alimentare i fasci.
Le pulsar millisecondo sono state probabilmente accelerate dal momento angolare posseduto da
materia esterna caduta su di esse, proveniente da una vicina stella compagna in un sistema binario
mediante il meccanismo del trasferimento di massa. Anche le pulsar millisecondo, però, rallentano
costantemente la propria rotazione.
L'osservazione di glitch è di interesse per lo studio dello stato della materia nelle stelle di neutroni.
Un glitch è un improvviso aumento della velocità di rotazione (che viene osservato come
un'improvvisa riduzione dell'intervallo tra gli impulsi). Per lungo tempo si è creduto che tali glitch
derivassero da "stellamoti" dovuti ad aggiustamenti della crosta superficiale della stella di neutroni.
Oggi esistono anche modelli alternativi, che spiegano i glitch come improvvisi fenomeni di
superconduttività dell'interno della stella. La causa esatta dei glitch non è al momento conosciuta.
Nel 2003, le osservazioni della pulsar della Nebulosa del Granchio ha rivelato "sotto-impulsi",
sovrapposti al segnale principale, con una durata di pochi nanosecondi. Si pensa che impulsi così
stretti possano essere emessi da regioni della superficie della pulsar con un diametro massimo di 60
centimetri, rendendo queste regioni le più piccole strutture mai misurate all'esterno del Sistema
Solare.
Buco nero
Un buco nero è un corpo celeste estremamente denso, al punto di essere dotato di un'attrazione
gravitazionale talmente elevata da non permettere la fuga di nulla, neanche della luce, dalla sua
"superficie", denominata orizzonte degli eventi.
L'esistenza di tali oggetti è predetta dalla principale teoria della gravitazione oggi accettata dalla
comunità scientifica, la relatività generale. Sono inoltre presenti alcune osservazioni indirette di
attività astrofisica riconducibile a buchi neri, ad esempio nelle zone centrali di alcune galassie
(nuclei galattici attivi).
Un buco nero formatosi da una stella ha una massa superiore ad almeno tre volte quella del Sole,
ma a causa dei vari processi di perdita di massa subiti dalle stelle al termine della loro vita occorre
che la stella originaria fosse almeno dieci volte più massiccia del Sole. I numeri citati sono
indicativi, in quanto dipendono dai dettagli dei modelli utilizzati per prevedere l'evoluzione stellare
e in particolare dalla composizione chimica iniziale della nube di gas che ha dato origine alla stella
in questione. Non è esclusa la possibilità che un buco nero possa avere origine non stellare, come si
suppone ad esempio per i cosiddetti buchi neri primordiali: vedi il seguito per approfondire.
Formazione dei buchi neri
Verso il termine del proprio ciclo vitale il nucleo di
una stella si spegne, avendo trasformato tramite
fusione nucleare tutto l'idrogeno in elio. La forza
gravitazionale, che prima era in equilibrio con la
pressione generata dalle reazioni di fusione
nucleare, prevale e comprime la massa della stella
verso il suo centro.
A questo punto quando la densità diventa abbastanza alta può innescarsi la fusione nucleare
dell'elio, con la produzione di litio, azoto e altri elementi fino all'ossigeno o al silicio. Durante
questa fase la stella si espande e si contrae violentemente più volte, espellendo parte della propria
massa. Le stelle più piccole si fermano ad un certo punto della catena e si spengono raffreddandosi
e contraendosi lentamente, attraversano lo stadio di nana bianca e nel corso di molti milioni di anni
diventano una sorta di gigantesco pianeta. In questo stadio la forza gravitazionale è bilanciata da un
fenomeno quantistico, detto pressione di degenerazione, legato al principio di esclusione di Pauli.
Per le nane bianche la pressione di degenerazione si innesca tra gli elettroni.
Se invece la stella supera una massa critica, detta limite di Chandrasekhar cioè 1,4 volte la massa
solare, ad un certo punto ogni possibile combustibile nucleare viene bruciato e le reazioni nucleari
non sono più in grado di opporsi al collasso gravitazionale. A questo punto la stella subisce una
contrazione drammatica che fa entrare in gioco la pressione di degenerazione tra i componenti dei
nuclei atomici. La pressione di degenerazione arresta bruscamente il processo di contrazione e può
provocare una gigantesca esplosione, detta esplosione di supernova di tipo II .
Durante l'esplosione quel che resta della stella espelle gran parte della propria massa, che va a
disperdersi nell'universo circostante; quello che rimane è un nucleo estremamente denso e
massiccio. Se la sua massa è abbastanza piccola da permettere alla pressione di degenerazione di
contrastare la forza di gravità si arriva ad una situazione di equilibrio, con la formazione di una
stella di neutroni.
Al contrario se la massa supera le tre masse solari non c'è più niente che possa contrastare la forza
gravitazionale, inoltre, secondo la Relatività generale, la pressione interna non funziona più come
forza verso l'esterno a contrastare il campo gravitazionale, ma diventa essa stessa una sorgente del
campo gravitazionale, rendendo inevitabile il collasso infinito, anche in presenza di un'eventuale
forza repulsiva ancora sconosciuta.
A questo punto la densità della stella morente, ormai diventata un buco nero, raggiunge
velocemente valori tali da creare un campo gravitazionale talmente intenso, da non permettere a
nulla di sfuggire alla sua attrazione, neppure alla luce.
Il nome di questi oggetti deriva proprio da tale loro caratteristica, che li rende simili a inghiottitoi
disseminati nello spazio, dai quali nulla può più uscire. Essi non possono essere osservati
direttamente ma possono essere scoperti a causa degli effetti di attrazione gravitazionale che
esercitano nei confronti della materia vicina.
Esistono anche altri scenari che possono portare alla formazione di un buco nero. In particolare una
stella di neutroni in un sistema binario può rubare massa alla sua vicina fino a superare la massa di
Chandrasekhar e collassare. Alcuni indizi suggeriscono che questo meccanismo di formazione sia
più frequente del meccanismo "diretto".
Un altro scenario permette la formazione di buchi neri con massa inferiore alla massa di
Chandrasekhar, difatti anche una quantità arbitrariamente piccola di materia, se compressa da una
gigantesca forza esterna, può in teoria collassare e generare un altrettanto piccolo orizzonte degli
eventi. Le condizioni necessarie potrebbero essersi verificate nel primo periodo di vita
dell'universo, quando la sua densità media era ancora molto alta, a causa di variazioni di densità o di
onde di pressione. Questa ipotesi è ancora completamente speculativa e non ci sono indizi che buchi
neri di questo tipo esistano o siano esistiti in passato.
Fenomenologia dei buchi neri
Una caratteristica dei buchi neri è il cosiddetto
orizzonte degli eventi, una superficie immaginaria
che circonda l'oggetto. Qualunque cosa oltrepassi
questo limite, che è puramente matematico, posto
ad una distanza dal centro del buco nero pari al
raggio di Schwarzschild, non può più uscirne o
trasmettere segnali all'esterno. Una frase coniata
dal fisico John Archibald Wheeler, un buco nero
non ha capelli, sta a significare che tutte le
informazioni della massa che cade in un buco nero
vengono perdute, ad eccezione di tre fattori: massa,
carica e momento angolare. Il corrispondente teorema è stato dimostrato da Wheeler, il quale è
anche colui che ha dato il nome a questi oggetti astronomici.
In realtà un buco nero non è del tutto nero: esso emette particelle, in quantità inversamente
proporzionale alla sua massa, portando ad una sorta di evaporazione. Questo fenomeno, dimostrato
nel 1974 per la prima volta dal fisico Stephen Hawking, è noto come radiazione di Hawking ed è
alla base della termodinamica dei buchi neri. Alcune sue osservazioni sull'orizzonte degli eventi dei
buchi neri, inoltre, hanno portato alla formulazione del principio olografico.
Altri effetti fisici sono associati all'orizzonte degli eventi, in particolare per la relatività generale il
tempo proprio rallenta all'aumentare del campo gravitazionale fino ad arrestarsi completamente
sull'orizzonte. Quindi un astronauta che stesse precipitando verso un buco nero percepirebbe di
impiegarci un tempo finito e, se potesse sopravvivere all'enorme gradiente del campo
gravitazionale, non percepirebbe nulla di strano all'avvicinarsi dell'orizzonte; al contrario un
osservatore esterno vedrebbe i movimenti dello sfortunato astronauta rallentare progressivamente
fino ad arrestarsi del tutto quando raggiunge il raggio di Schwarzschild. L'astronauta che precipita
osservando l'universo lo vedrebbe invece evolvere sempre più velocemente mentre si avvicina a tale
raggio.
Al contrario degli oggetti dotati di massa i fotoni non vengono rallentati o accelerati dal campo
gravitazionale del buco nero, ma subiscono un fortissimo spostamento verso il rosso (in uscita) o
verso il blu (in entrata). Un fotone che si originasse esattamente sull'orizzonte degli eventi diretto
verso l'esterno del buco nero subirebbe un tale spostamento verso il rosso da allungare all'infinito la
sua lunghezza d'onda e ridurre a zero la sua energia.
A tutt'oggi non è possibile conoscere lo stato della materia interna ad un buco nero, le leggi stesse
che regolano la fisica all'esterno dell'orizzonte degli eventi perdono validità in prossimità del buco
nero.
Uno degli oggetti nella Via Lattea candidati ad essere un buco nero è una sorgente di raggi X
chiamata Cygnus X-1. Viene ipotizzato che enormi buchi neri (di massa pari a milioni di volte
quella del sole) esistano al centro delle galassie, come nella nostra e nella galassia di Andromeda.
Ipotesi alternativa
Secondo una minoranza di ricercatori, i buchi neri non esistono. Bisogna infatti ricordare che
l'esistenza dei buchi neri non è sicura, in quanto manca ancora una osservazione diretta del
fenomeno nelle immediate vicinanze dell'orizzonte degli eventi. Tuttavia esistono indizi talmente
numerosi della loro esistenza da poterla considerare accertata. È sempre possibile che tutti questi
indizi vengano spiegati da un'entità fisica, oggi ancora sconosciuta, che non sia un buco nero, ma
questa ipotesi sembra estremamente improbabile ed è in diretta contraddizione al principio del
rasoio di Occam.
Modelli fisici e modelli matematici
Un analogo fisico di un buco nero è il comportamento delle onde sonore in prossimità di un ugello
di De Laval: una strozzatura utilizzata nei bruciatori dei razzi che fa passare il flusso dal regime
subsonico a supersonico, senza creare un bang sonico. Prima dell'ugello le onde sonore possono
andare all'indietro, mentre dopo averlo attraversato è impossibile. Altri analoghi possono sfruttare le
onde superficiali in un liquido in moto in un canale circolare con altezza decrescente, un tubo per
onde elettromagnetiche la cui velocità è alterata da un laser, una nube di gas di forma ellissoidale in
espansione lungo l'asse maggiore. Tutti questi modelli, se raffreddati fino alla condizione di
condensato di Bose - Einstein, dovrebbero presentare l'analogo della radiazione di Hawking, e
possono essere usati per correggere le previsioni di quest'ultima: come un fluido ideale, la teoria di
Hawking considera la velocità della luce (suono) costante, indipendentemente dalla lunghezza
d'onda (comportamento detto di Tipo I). Nei fluidi reali la velocità può aumentare (Tipo II) o
diminuire (Tipo III) all'aumentare della lunghezza d'onda. Analogamente dovrebbe avvenire con la
luce, ma se il risultato fosse che lo spazio tempo diffonde la luce come il Tipo II o il Tipo III,
andrebbe modificata la relatività generale, cosa già nota perché per le onde con lunghezza d'onda
prossima alla lunghezza di Planck diventa significativa la gravitazione quantistica.
Restando invece nel campo relativistico, poiché per descrivere un buco nero sono sufficienti tre
parametri: massa, momento angolare e carica elettrica, i modelli matematici derivabili come
soluzioni dell'equazione di campo della relatività generale si riconducono a quattro:
Buco nero di Schwarzschild
È la soluzione più semplice, in quanto riguarda oggetti non rotanti e privi di carica elettrica, ma è
anche piuttosto improbabile nella realtà, poiché un oggetto dotato anche di una minima rotazione,
una volta contratto in buco nero deve aumentare enormemente la sua velocità angolare in virtù del
principio di conservazione della quantità di moto.
Buco nero di Kerr
Tratta di oggetti rotanti e privi di carica elettrica, caso che presumibilmente corrisponde alla
situazione reale. Un oggetto dotato di un campo gravitazionale intenso come quello di un buco nero,
ruotando trascina con se lo spaziotempo circostante, distorcendolo.
Diagramma Hertzsprung-Russell
Il diagramma Hertzsprung-Russell (dal nome dei due astronomi, Ejnar Hertzsprung e Henry
Norris Russell, che verso il 1910 lo idearono indipendentemente; in genere abbreviato in
diagramma H-R) è un potente "strumento" teorico che mette in relazione la temperatura efficace
(riportata in ascissa) e la luminosità (riportata in ordinata) delle stelle. La temperatura efficace e la
luminosità sono quantità fisiche che dipendono strettamente dalle caratteristiche intrinseche della
stella (massa, età e composizione chimica), non sono misurabili direttamente dell'osservatore ma
possono essere derivate attraverso modelli fisico-matematici.
Esistono legami, tra la temperatura efficace di una
stella ed il suo colore, e tra la luminosità della stessa e
la sua magnitudine apparente (o assoluta), che
permettono di ottenere una "versione osservativa" del
diagramma
H-R
(detta
diagramma
Colore-
Magnitudine) che mette in relazione due quantità
misurabili direttamente dall'osservatore: il colore della
stella e la sua magnitudine. L'esatta trasformazione da
diagramma H-R a diagramma Colore-Magnitudine
non è banale, e dipende da fattori osservativi e teorici:
distanza, arrossamento, età, composizione chimica e
gravità della stella, modelli di interni e di atmosfere
stellari.
A cosa serve
Il diagramma H-R ed il diagramma Colore-Magnitudine vengono utilizzati per comprendere
l'evoluzione e le caratteristiche fisiche delle singole stelle e degli agglomerati stellari: ammassi
aperti, ammassi globulari e galassie. Grazie al diagramma H-R è possibile: confrontare le predizioni
teoriche dei modelli di evoluzione stellare con le osservazioni per verificare l'accuratezza delle
prime; determinare l'età, la composizione chimica e la distanza di una popolazione stellare; derivare
la storia della formazione stellare di una agglomerato di stelle etc.
Come funziona
Da un primo esame del diagramma H-R si osserva
immediatamente
come
le
stelle
tendano
a
posizionarsi in regioni ben distinte: la struttura
evolutiva predominante è la diagonale che parte
dall'angolo in alto a sinistra (dove si trovano le
stelle piu' massicce, calde e luminose) verso
l'angolo in basso a destra (dove si posizionano le
stelle meno massicce, piu' fredde e meno
luminose), chiamata la sequenza principale. In
basso a sinistra si trova la sequenza delle nane
bianche, mentre sopra la sequenza principale, verso
destra, si dispongono le giganti rosse e le
supergiganti.
Gamma ray burst
In astronomia, i gamma ray bursts (GRBs) sono lampi di raggi gamma che durano da pochi
nanosecondi a ore, il più lungo dei quali è stato seguito per diversi giorni da un bagliore residuo di
raggi X. Avvengono in posizioni apparentemente casuali nel cielo diverse volte ogni giorno. Fino
all'estate del 2003 una delle più promettenti idee, ma ancora altamente speculativa, era quella che
affermava che sono il risultato della creazione di un buco nero da una stella morente. Il buco nero,
circondato da un disco rotante di materia che cade in esso, emette in qualche modo raggi energetici
paralleli all'asse di rotazione. In ogni caso, gli astronomi sono ancora lontani dall'arrivare ad
un'opinione generale sul meccanismo dei GRBs, benché i più siano ottimisti e affermino che il
puzzle sarà risolto nel 2010.
La scoperta
I lampi di raggi gamma cosmici furono scoperti nei tardi anni Sessanta dai satelliti statunitensi di
rivelazione di test nucleari "Vela". I Vela furono lanciati per rilevare radiazioni emesse dai test di
armi, ma raccolsero lampi occasionali di raggi gamma da sorgenti sconosciute. Mentre i sensori dei
satelliti
Vela
risoluzione
avevano
angolare,
una
nel
bassa
1973
i
ricercatori dell'US Los Alamos National
Laboratory nel New Mexico furono
capaci di usare i dati dai satelliti per
determinare che i lampi venivano dallo
spazio profondo.
I lampi di raggi gamma possono essere
osservati soltanto dallo spazio perché
l'atmosfera blocca tali raggi. Gli astronomi credevano che una volta messi in orbita migliori
rivelatori di raggi gamma sarebbero stati capaci di trovare velocemente le posizioni dei GRBs,
dopotutto era quello che accadeva con le sorgenti di raggi x. Tuttavia, quando tali strumenti
migliorati furono mandati nello spazio negli anni Settanta, la ricerca ottica delle regioni dove i
lampi erano generati non mostrò nulla di interessante: i sensori non erano abbastanza accurati da
determinare la posizione dei lampi per uno studio dettagliato.
Ulteriori informazioni sulle sorgenti dei lampi si dimostrarono difficili da ottenere, e portarono più
domande che risposte. La prima questione posta dai GRBs era: sono localizzati nella nostra
Galassia, o avvengono in luoghi lontanissimi dell'Universo? La seconda domanda era: quale
meccanismo causa i lampi? Se essi si trovano nell'Universo distante, tale meccanismo deve
produrre una quantità enorme di energia.
Piccoli progressi furono fatti in materia negli anni Ottanta, ma nell'aprile 1991, la NASA lanciò il
“Compton Gamma Ray Observatory” a bordo dello Space Shuttle. Uno degli esperimenti a bordo
del Compton era il “Burst & Transient Source Experiment (BATSE)”, che poteva rilevare lampi di
raggi gamma e localizzare le loro posizioni nel cielo con ragionevole precisione. BATSE stabilì che
c'erano almeno 2 tipi di lampi: i lampi di raggi gamma e i ripetitori smorzati di raggi gamma.
Nel giro di un anno, il BATSE rilevò due o tre GRBs al giorno, e trovò che sono casualmente
distribuiti su tutto il cielo. Se fossero eventi che avvengono nella nostra galassia allora sarebbero
stati distribuiti preferibilmente sul piano della Via Lattea; anche se fossero associati con l'alone
galattico, sarebbero stati distribuiti soprattutto verso il centro galattico, 30000 anni luce più in là, a
meno che l'alone fosse stato veramente enorme. Inoltre, se quella fosse stata la situzione, le galassie
vicine avrebbero dovuto presentare aloni simili, ma non misero in risalto “macchie di luce” di
deboli lampi di raggi gamma.
Fu comunque il satellite italiano BeppoSAX che per primo riveló l'emissione X che segue il lampo
Gamma a permise di individuare le coordinate dell'ogetto celeste che aveva emesso il lampo. Grazie
a BeppoSAX si comprese definitivamente come questi lampi fossero generati da sorgenti
extragalattiche.
Osservazioni in luce visibile di molte di queste posizioni di GRB nel 1997 e nel 1998 identificarono
possibili collegamenti tra i lampi e le supernovae. Le osservazioni non furono decisive, ma
incoraggiarono gli astrofisici che credettero che i GRBs fossero associati alle supernovae, e diedero
agli astronomi che cercano le componenti visibili dei GRBs qualcosa su cui investigare in maggior
dettaglio.
Attuali conoscenze
Da tempo gli astronomi avevano compreso che questi lampi sono originati da due categorie distinte
di fenomeni, le emissioni lunghe, quelle che durano da alcuni secondi a diversi minuti, venivano
attribuite al collasso di una giovane stella massiccia in un buco nero, L'origine di quelli brevi, della
durata di qualche millisecondo o addirittura di pochi nanosecondi, erano di più difficile
comprensione.
Impostando un metodo di ricerca basato sul lavoro d'insieme degli osservatori in orbita, Chandra,
HETE, e Swift (il più recente), e gli osservatori posizionati a terra, si sta iniziando finalmente a
comprendere l'origine di quelle che sono le più potenti esplosioni nell'universo.
La rivista "Nature" ha pubblicato nel dicembre 2005 uno studio di Edo Berger, ricercatore al
Carnegie Observatories di Pasadena, su un lampo (GRB 050724) localizzato da Swift il 24 luglio, e
analizzato nello spettro radio, ottico e infrarosso. Proveniva da una vicina galassia formata da
antiche stelle, in cui non si formano stelle nuove da diversi miliardi di anni. Ciò starebbe a
significare che gli oggetti che provocano i lampi devono essere molto vecchi.
Sono in queste regioni dello spazio che gli astronomi si aspettano che accadano collisioni tra stelle
di neutroni, gli unici eventi che secondo le nostre conoscenze sono in grado di generare simili
quantità di energia.
Sempre su "Nature", nell'ottobre 2005, è stata pubblicata una relazione da parte di un gruppo di
ricerca del MIT Kavli Institute sui dati raccolti dagli osservatori spaziali HETE e Chandra, i quali
avvalorano ulteriormente questa ipotesi. Neil Gehrels, del Goddard Space Flight Center della
NASA, spiega lo scenario: le esplosioni delle supernovae espellono una coppia di stelle di neutroni,
che nel giro di qualche miliardo di anni spiraleggiano una sull'altra fino a collidere, dando origine
probabilmente ad un nuovo buco nero.
I paleontologi hanno ipotizzato una relazione fra le estinzioni di massa avvenute nel corso delle ere
geologiche del nostro pianeta e questi eventi cosmici in grado di liberare, in meno di un secondo,
l'energia equivalente a 1 milione di miliardi di soli.
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