Evoluzione stellare In astronomia, col termine evoluzione stellare ci si riferisce ai cambiamenti che una stella sperimenta durante la sua vita. Alcuni astronomi considerano non appropriato il termine "evoluzione", e preferiscono usare il termine ciclo vitale, in quanto le stelle non subiscono un processo evolutivo simile a quello degli individui di una specie ma, piuttosto, cambiano nelle loro quantità osservabili seguendo fasi ben precise che dipendono strettamente delle caratteristiche fisiche della stella stessa. Durante l'evoluzione di una stella, la luminosità, il raggio e la temperatura cambiano anche di molto. Però a causa dei tempi evolutivi molto lunghi (milioni o miliardi di anni), è impossibile per un essere umano seguirne l'intero ciclo di vita. Pertanto, per compredere come esse evolvono si osserva una popolazione stellare che contiene stelle in diverse fasi della loro vita, e si costruiscono modelli fisico-matematici che permettono di riprodurre le proprietà osservate delle stelle. Uno strumento fondamentale per gli astronomi, al fine di compredere l'evoluzione stellare, è il diagramma Hertzsprung-Russell (o diagramma H-R) che, riportando temperatura e luminosità (che variano insieme al raggio in funzione dell'età e della massa e della composizione chimica della stella) permette di sapere in che fase della vita si trova una stella. A seconda della massa, dell'età e della composizione chimica, i processi fisici in atto in una stella sono differenti e queste differenze portano stelle con caratteristiche diverse a seguire differenti percorsi evolutivi sul diagramma H-R. Nascita Una stella nasce da una nube molecolare gigante. La maggior parte dello spazio vuoto dentro ad una galassia contiene in realtà da 0,1 a 1 atomi per centimetro cubo. La nube ne contiene invece alcune centinaia (un buon tubo a vuoto terrestre ne contiene più di 100.000). Nonostante questa bassissima densità, una nube molecolare gigante contiene da 100.000 a dieci milioni di volte la massa del nostro Sole, grazie al fatto di essere appunto gigante: da 50 a 300 anni luce di diametro. La nube è stabile, le sue molecole costituenti sono troppo spaziate per riunirsi sotto l'effetto della gravità. Se però la nube viene perturbata (ad esempio, dall'onda d'urto di una supernova vicina), parte della materia della nube viene compressa. Quando questa parte compressa raggiunge una densità di almeno 100.000 atomi per cm3 la gravità inizia a farsi sentire, e la materia inizia ad accumularsi per formare alla fine una protostella. Ogni regione densa produrrà da una a decine di migliaia di stelle, a seconda della sua grandezza. Gli atomi che si accumulano guadagnano velocità mentre cadono verso il centro, riscaldando la protostella e facendole emettere una debole radiazione infrarossa. Inoltre la compressione in uno spazio piccolo fa ruotare su sé stessa la protostella, per la legge di conservazione del momento angolare. Queste protostelle sono in effetti rivelate da telescopi infrarossi, spesso nascoste dentro globuli di Bok, le regioni più dense di una nube molecolare gigante. In alcune protostelle, le più piccole, la contrazione rimane l'unica fonte di energia. Queste protostelle diventano delle semplici sfere di gas inerte, le nane brune, all'inizio calde ma non abbastanza, e destinate a morire lentamente mentre si raffreddano nel corso di centinaia di miliardi di anni. Questa è la sorte che attende ogni protostella la cui massa sia inferiore a 0,07 volte quella del Sole (equivalente a 80 volte la massa del pianeta Giove). Tale protostella, se abbastanza piccola, può anche essere considerata un grosso pianeta, ma la distinzione è piuttosto indefinita e ancora non ben studiata. Se la protostella è più grande, il calore al suo centro aumenta a sufficienza (si calcola che la soglia minima sia a circa 15 Mkelvin, corrispondenti a 15 milioni di gradi Celsius), gli elettroni vengono separati dai nuclei degli atomi, e i nuclei vengono spinti l'uno contro l'altro dall'enorme calore, vincendo la repulsione elettrica che normalmente li tiene ben separati. Si è innescata la fusione nucleare, che riscalderà la stella per tutta la sua vita. In questa prima fase, che durerà in genere per il 90% della vita della stella, l'idrogeno si fonde per diventare elio, usando la catena protone-protone (per le stelle più piccole, come il nostro Sole), o il ciclo del carbonio-azoto (per le stelle più calde). La fusione nucleare libera un enorme quantitativo di energia, pari allo 0,7% dell'energia di massa a riposo degli atomi interessati (questa energia è calcolabile con la famosa equazione di Einstein E=mc²). L'energia liberata aumenta la pressione del gas, che riesce a sostenere il peso degli strati esterni e ferma la contrazione della protostella. Questa si trova adesso in equilibrio idrostatico, una condizione che resterà stabile finché la fusione nucleare potrà continuare. L'energia prodotta si dissipa verso l'esterno della stella e ne esce alla fine come luce visibile e altre forme di radiazione elettromagnetica. Una volta che una protostella ha raggiunto questo stato di equilibrio viene "promossa" a stella. Maturità Le nuove stelle sono di varie dimensioni e colori. Vanno dal blu al rosso, da un decimo a 50 volte la massa del Sole. La luminosità e il colore di una stella dipendono dalla sua temperatura superficiale e dalla sua massa, ed entrambe le cose, a questo punto della sua vita, dipendono dalla sua massa. Le stelle T Tauri stanno appena entrando in questo stadio. Il resto della vita della stella sarà una lotta tra la gravità, che vuole comprimere la stella su sé stessa, e l'energia liberata dalla fusione dentro il suo nucleo, che vuole invece farla espandere. Una nuova stella finirà per posizionarsi in un punto della sequenza principale del diagramma H-R. Resterà quasi nello stesso punto per quasi tutta la sua vita: alcuni milioni di anni per le stelle più grandi e calde, alcuni miliardi di anni per le stelle medie come il Sole, e decine o centinaia di miliardi di anni per le nane rosse. Quale che sia la loro dimensione, le stelle della sequenza principale consumano l'idrogeno del loro nucleo convertendolo in elio. Dopo un tempo breve o lungo, l'idrogeno è comunque destinato a finire. La ragione della lunga vita che la maggior parte delle stelle hanno nella sequenza principale è che la fusione nucleare mediante la catena protone-protone è un processo molto difficile e, dal punto di vista del singolo atomo, improbabile: si calcola che un atomo del Sole debba aspettare in media tredici miliardi di anni prima di trovarsi nella condizione di unirsi con altri per formare un nucleo di elio, e quindi in questo momento il Sole risplende solo grazie agli atomi "fortunati" che hanno aspettato molto meno tempo. Col passare dei millenni, sempre più atomi si trovano nelle condizioni giuste e quindi il Sole, come la maggior parte delle stelle di sequenza principale, aumenta lentamente di luminosità. Il ciclo del carbonio-azoto, che richiede temperature più alte ed è quindi usato solo dalle stelle più massicce, è invece molto più efficiente e porta ad un esaurimento molto più veloce delle scorte di idrogeno. L'inizio della fine Dopo milioni o miliardi di anni, a seconda della massa iniziale, la stella finisce il suo combustibile principale, l'idrogeno. Quando il nucleo della stella si trova con una carenza di idrogeno, la fusione nucleare cessa. Senza la pressione creata dall'energia della fusione, la gravità prende il sopravvento e gli strati esterni della stella iniziano a cadere verso il centro, comprimendo il nucleo e riscaldandolo, esattamente come durante la formazione della stella. Quando il nucleo raggiunge i 200 milioni di gradi, è possibile usare l'elio come combustibile per un nuovo ciclo di fusione nucleare, e il nucleo cessa di contrarsi. Nel frattempo, la fusione dell'idrogeno continua negli strati esterni al nucleo, adesso riscaldati a sufficienza, e la stella è costretta ad espandersi per far fronte a questa nuova iniezione di energia. La stella diventa una gigante rossa, decine o anche centinaia di volte più grande di prima, e molto più luminosa. Il nostro Sole raggiungerà questo stadio tra circa 5 miliardi di anni, e diventerà così grande da poter forse inglobare la Terra. In ogni caso, l'accresciuta luminosità del Sole sarà sufficiente a carbonizzarla completamente. Il destino finale della stella dipende, come sempre, dalla sua massa. La fine La fine delle stelle piccole Quando una stella piccola, non più di tre o quattro volte il Sole, raggiunge la fase di gigante rossa, i suoi strati esterni si espandono, il nucleo si contrae, e l'idrogeno inizia a fondere e formare elio non più nella zona centrale, ma in un guscio esterno al nucleo. Questa fusione rilascia nuova energia, e la stella ha una tregua nella sua lotta contro la gravità. A questo punto, i cambiamenti nella struttura interna della stella si propagano abbastanza lentamente perché un osservatore esterno la possa giudicare, essendo, come minimo, di svariate migliaia di anni. La piccola massa della stella non può riscaldarla a sufficienza per fondere anche il nucleo di elio, formatosi nelle fasi precedenti. Il nucleo è adesso stabile e inerte. A questa segue la fase di ramo orizzontale, luogo caratteristico del bruciamento di elio nella zona del nucleo, e contemporanemanente, dell'idrogeno in un guscio più esterno. Il trasferimento della fusione nucleare agli strati esterni fa gonfiare la stella come un palloncino e risulta alla fine nell'espulsione di questi strati, formando una nebulosa planetaria. Si calcola che la maggior parte della stella, anche l'80%, venga espulso nello spazio. Il rimanente 20% rimane dov'era e la stella, privata di ogni fonte di energia, si raffredda e rimpicciolisce finché non è grande solo qualche migliaio di chilometri. È diventata una nana bianca. Le nane bianche sono estremamente stabili, perché la forza di gravità è contrastata dalla pressione degli elettroni, che a causa della densità sono diventati materia degenere. Questo è un effetto quantomeccanico che si manifesta solo in condizioni per noi estreme, ma naturali per una nana bianca. È una conseguenza del principio di esclusione di Pauli. Senza altre fonti di energia, la nana bianca si raffredda lentamente irradiando il suo calore residuo nello spazio, finché, dopo molti miliardi di anni, sarà diventata una nana nera. Nessuna nana nera si è ancora formata, perché l'Universo è ancora troppo giovane, e le numerosissime nane bianche esistenti sono ancora impegnate a raffreddarsi. Una volta diventata nana nera, però, la stella non subirà altri cambiamenti. La fine delle stelle grandi Il destino delle altre stelle, quelle grandi almeno 5 volte o più del Sole, è molto differente e spesso drammatico. Dopo che la stella si è trasformata non in gigante rossa, ma in supergigante rossa (detta in questo modo per la sua straordinaria grandezza, che può superare il miliardo di chilometri), l'elio viene fuso in carbonio e, come nel caso precedente, finisce rapidamente. Il nucleo riprende a contrarsi, ma stavolta il peso degli strati esterni è sufficiente a contrarre il nucleo abbastanza per riscaldarlo finché anche il carbonio può essere fuso. Il ciclo si ripete per varie volte, formando sempre nuovi elementi e ogni volta contrastando il peso della stella finché, ad una temperatura superiore al miliardo di gradi, il silicio si fonde e produce ferro-56. Questo elemento, grazie ad una disposizione particolare del suo nucleo atomico, non può fare da combustibile per la fusione nucleare, perché assorbe energia invece di liberarla. La produzione di energia del nucleo si ferma improvvisamente. Cosa succede a questo punto non è ben chiaro, ma la stella collassa improvvisamente, gli strati esterni vanno a schiantarsi contro il nucleo a velocità di 10.000 km/sec o più, e la stella esplode in una supernova. Quasi tutta la massa della stella viene allora espulsa in un'esplosione che la rende brevemente luminosa quanto un miliardo di stelle normali (in effetti, le supernovae sono visibili da una parte all'altra dell'Universo). Questo tipo di supernova, definito di tipo II, è però più debole di quello di tipo Ia, che scaturisce da un meccanismo completamente diverso che comporta la distruzione di una nana bianca in un sistema binario. Durante l'esplosione, gli atomi pesanti (ma più leggeri del ferro) accumulati dalla stella iniziano a catturare neutroni e neutrini, diventando sempre più pesanti. Si formano così tutti gli elementi di peso atomico superiore al ferro, ed è questo l'unico processo fisico conosciuto che possa formarli. Il nucleo della stella, nel frattempo, non è stato espulso come gli strati esterni. È invece stato compresso dalla loro caduta iniziale, così fortemente che gli elettroni sono dovuti "entrare" nel nucleo e combinarsi con i protoni per formare neutroni. Il nucleo è adesso diventato una stella di neutroni, una palla grande qualche decina di chilometri ma che contiene l'intera massa del Sole. La densità è così alta (centinaia di milioni di tonnellate per ogni centimetro cubo) che la stella di neutroni può essere considerata un nucleo atomico gigante. Spesso l'esplosione di supernova non è perfettamente sferica. Le grandi masse in gioco fanno sì che anche una leggera asimmetria abbia come risultato che il grosso del gas esploso va da una parte, mentre la stella di neutroni viene "sparata" dalla parte opposta ad una velocità di varie centinaia di chilometri al secondo. Queste stelle di neutroni "veloci" sono state in effetti trovate in gran numero. È probabile che non tutte le supernovae di tipo II formino una stella di neutroni. Se il nucleo superava una certa massa limite, compresa tra 2 e 3 masse solari, i neutroni non riescono a sostenerne il peso, niente può più contrastare la forza di gravità che vuole comprimerlo, e il nucleo collassa in un buco nero. L'esatta relazione tra stelle e buchi neri, così come il modo esatto in cui questi ultimi si formano, ci sono ancora sconosciuti. Stelle variabili Una stella variabile è una stella la cui luminosità non è costante, ma cambia nel tempo. La variazione può essere piccola, grande, regolare, irregolare o perfino distruttiva a seconda del tipo di stella variabile. La maggior parte delle stelle hanno una luminosità quasi costante. Il nostro Sole è un buon esempio di stella che non ha praticamente alcuna variazione misurabile. Molte stelle sono invece variabili, e si dividono in due categorie principali: Variabili intrinseche Le variabili intrinseche sono stelle la cui luminosità varia effettivamente, cioè la stella stessa diventa più o meno luminosa. Ci sono molti tipi di variabili intrinseche, che a volte si sovrappongono. Alcuni sono: • Variabile Mira (stelle giganti pulsanti) Le variabili Mira sono una classe di stelle variabili pulsanti, caratterizzate da colore rosso, periodo di pulsazione più lungo di 100 giorni, e ampiezze di pulsazione maggiori di una magnitudine. Prendono il nome dalla stella Mira (Omicron Ceti), la prima variabile di questo tipo scoperta. Sono stelle giganti rosse, nelle ultime fasi dell'evoluzione stellare (si trovano sul ramo asintotico delle giganti), che entro pochi milioni di anni espelleranno i loro strati esterni come nebulose planetarie, e diventeranno nane bianche. Le variabili Mira hanno masse non superiori a due masse solari, ma possono essere migliaia di volte più luminose del Sole, grazie ai loro strati esterni molto estesi. Si pensa che siano pulsanti in modi radiali, dove l'intera stella si espande e si contrae con simmetria sferica. La pulsazione si traduce in cambiamenti sia di raggio sia di temperatura, causando il loro cambiamento di luminosità. Il periodo di pulsazione è funzione della massa e del raggio della stella. Anche se la maggior parte delle variabili Mira presentano delle similitudini nel comportamento e nella loro struttura, sono comunque una classe eterogenea di stelle con età, massa e composizione chimica diversa. Per sempio, molte hanno spettri dominati dal carbonio, il che suggerisce che materia dal nucleo stellare sia stato trasportato in superficie. Questo materiale spesso forma delle sfere di polvere attorno alla stella, le quali contribuiscono anch'esse alle variazioni periodiche di luminosità. Alcune variabili Mira sono anche sorgenti naturali di maser. Un piccolo sottoinsieme di variabili Mira sembra avere un periodo di pulsazione variabile nel tempo: il periodo aumenta o diminuisce in modo sostanziale (fino ad un fattore tre) nel corso di alcune decine o centinaia di anni. Si pensa che questo effetto derivi da pulsazioni termiche, dove una massa di idrogeno vicino al nucleo della stella diventa abbastanza calda e densa a iniziare una propria fusione nucleare, parallela a quella principale. La struttura della stella deve cambiare per adattarsi alla nuova fonte di energia, cosa che si manifesta all'esterno come un cambiamento del periodo. La teoria prevede che questo effetto si verifichi in tutte le variabili Mira, ma solo per poche migliaia di anni. Poiché la vita di una variabile Mira (o meglio, la sua permanenza in questo stato) si misura in almeno qualche milione di anni, solo poche tra le numerose migliaia di variabili Mira conosciute mostrano questo effetto. La maggior parte delle variabili Mira esibisce comunque un piccolo cambiamento del periodo tra una pulsazione e l'altra. Le stelle Mira sono soggetti popolari di osservazione tra gli astronomi amatoriali interessati all'osservazione delle stelle variabili, grazie al loro enorme cambiamento di luminosità. Alcune variabili Mira (tra cui Mira stessa) hanno una serie registrata di osservazioni lunga più di un secolo. • Variabile Cefeide (stelle giganti pulsanti) Una variabile Cefeide è un membro di una particolare classe di stelle variabili, notevole per una correlazione molto stretta tra il loro periodo di variabilità e la luminosità stellare assoluta. Grazie a questa correlazione, e alla grande precisione con cui viene misurato il periodo pulsazionale, le variabili Cefeidi possono essere usate come candele standard per determinare la distanza degli ammassi globulari e delle galassie in cui sono contenute. Poiché la relazione periodoluminosità può essere calibrata con grande precisione usando le stelle Cefeidi vicine, le distanze trovate con questo metodo sono tra le più accurate disponibili. Il nome di questa classe di stelle deriva da δ Cepheis, la prima variabile di questo tipo osservata nella nostra galassia. Successive osservazioni hanno individuato stelle cefeidi in altre galassie, in primis nelle due nubi di Magellano. Una Cefeide è in genere una stella gigante gialla giovane di popolazione I e massa intermedia che pulsa regolarmente espandendosi e contraendosi, mutando così la sua luminosità in un ciclo estremamente regolare. La luminosità delle stelle Cefeidi è in genere compresa tra 1000 e 10000 volte quella del Sole e il periodo di oscillazione va dall'ordine del giorno alle centinaia di giorni. Il profilo di luminosità di una stella cefeide durante un ciclo pulsazionale è tipicamente non simmetrico, con il braccio ascendente più corto e ripido di quello discendente, e oltre al picco principale la sua curva di luminosità presenta spesso un secondo picco, o "bump", la cui posizione rispetto a quello principale varia a seconda del periodo di oscillazione del pulsatore stesso. Il fenomeno di oscillazione (espansione, contrazione) è un fenomeno limitato alla sola superficie stellare e non è dovuto ad alcun mutamento nella quantità di energia prodotta dalle fusioni nucleari che avvengono nelle regioni più interne delle strutture, e dunque l'oscillazione in luminosità è causata unicamente dalla maggiore o minore dimensione della superficie esterna irraggiante e dalla variazione di temperatura superficiale durante il ciclo di pulsazione. Quando una stella con le caratteristiche strutturali delle cefeidi attraversa nel diagramma H-R la cosidettà striscia di instabilità gli strati esterni diventano instabili, cioè una perturbazione dallo stato di equilibrio tende a propagarsi piuttosto che a smorzarsi, e questa instabilità è la causa dell'innesco del meccanismo di pulsazione. Questa condizione di instabilità non è però in grado da sola di spiegare il ciclo pulsazionale della stella e la sua ripetizione nel tempo, in quanto sarebbe lecito attendersi che l'energia persa per dissipazione nel ciclo pulsazionale possa mettere fine alla pulsazione stessa. Bisogna allora tener conto dell'abbondanza di He+ nella loro atmosfera e dei fenomeni di ionizzazione e ricombinazione cha avvengono a causa dell'autento (diminuzione) di temperatura e pressione. La potente radiazione generata dalla stella ionizza una piccola frazione dell' He+ a He+2, che è molto più opaco alla radiazione. L'atmosfera inizia a bloccare una parte della radiazione uscente, diventa più calda e inizia ad espandersi. Un'atmosfera più calda ed estesa causa un aumento della luminosità della stella. L'atmosfera espansa presto inizia a raffreddarsi, e l'He+2 si ricombina in He+. Adesso l'atmosfera è di nuovo relativamente trasparente, perde calore e si restringe. L'intero processo riparte ora dall'inizio. La relazione tra la luminosità e il periodo di variazione di una stella Cefeide è molto stretta, e siccome il periodo pulsazione può essere misurato con estrema precisione ciò permette di ottenere la luminosità assoluta della stella che si osserva. Per questo motivo le variabili cefeidi vengono utilizzate come candele standard nella misura delle distanze da più di un secolo. Una Cefeide con un periodo di tre giorni ha una luminosità pari ad 800 volte quella del Sole. Una Cefeide con un periodo di trenta giorni è 10000 volte più luminosa del Sole. Questa scala è stata calibrata usando stelle Cefeidi molto vicine, per le quali la distanza era già conosciuta e misurabile con altri metodi. La loro elevata luminosità e la loro presenza osservata in molte galassie rendono le stelle Cefeidi la candela standard ideale per misurare la distanza di ammassi globulari e le galassie esterne. Naturalmente, ci sarà un piccolo errore perché non conosciamo la posizione precisa della variabile Cefeide all'interno dell'ammasso o galassia, ma questo errore è in genere così piccolo da essere irrilevante in questo tipo di misure. Le stelle Cefeidi sono visibili a grandi distanze. Edwin Hubble identificò per primo alcune Cefeidi nella Galassia di Andromeda, provando la sua natura extragalattica. Più recentemente, lo Hubble Space Telescope è riuscito ad identificare alcune Cefeidi nell'ammasso della Vergine, ad una distanza di 60 milioni di anni luce. • Variabile RR Lyrae (stelle giganti pulsanti) Una variabile RR Lyrae è un particolare tipo di stella variabile. Le stelle di questo tipo sono spesso usate come candele standard. Dal punto di vista dell'evoluzione stellare, le RR Lyrae sono stelle di ramo orizzontale pulsanti, con una massa pari a circa la metà di quella del nostro Sole. Le loro pulsazioni sono simili a quelle delle variabili Cefeidi, ma tra le due classi di stelle vi sono delle importanti differenze. Le stelle RR Lyrae sono vecchie, e di massa relativamente piccola. Perciò, sono molto più comuni delle Cefeidi, ma meno luminose. La magnitudine assoluta media delle RR Lyrae è di circa 0,75, solo 40 o 50 volte quella del Sole. Il loro periodo di pulsazione è più corto, tipicamente meno di un giorno, e a volte di sole otto o nove ore. Diversi ammassi globulari galattici risultano ospitare un buon numero di RR Lyrae: per quanto in molti ammassi se ne contano alcune decine, in un ristretto numero di ammassi le variabili RR Lyrae trovate finora superano anche il centinaio. La relazione esistente tra il periodo di pulsazione di una RR Lyrae e la sua magnitudine assoluta è molto semplice: Mv = − 2.87logP − 1.40 Questa equazione fu ricavata da Leavitt ed Shapley nel 1912 con le variabili delle Nubi di Magellano; essa rende le RR Lyrae degli ottimi indicatori di distanza. • Variabile Delta Scuti Una variabile Delta Scuti è una stella variabile che cambia la propria luminosità a causa di pulsazioni della sua superficie, sia radiali che non radiali. Le variazioni di luminostà sono semiregolari e vanno tipicamente da 0,003 a 0,9 magnitudine nel corso di alcune ore. L'ampiezza e il periodo delle variazioni può cambiare parecchio. Le stelle di questo tipo sono in genere giganti o di sequenza principale di tipo spettrale da A0 a F5. Il prototipi di questo tipo di variabile è δ Scuti, che mostra fluttuazioni di luminosità tra le magnitudini apparenti +4,60 e +4,79, con un periodi di 4,65 ore. Altre variabili Delta Scuti famose sono Denebola (β Leonis) e β Cassiopeiae. • Variabile semiregolare In astronomia, le variabili semiregolari sono stelle giganti rosse o stelle supergiganti con cambiamenti di luminosità leggeri e più o meno regolari, accompagnati o a volte interrotti da varie irregolarità. Fanno parte della categoria più ampia delle stelle variabili. I periodi di variabilità vanno da 20 a più di 2000 giorni, mentre la forma della curva di luce può cambiare da ciclo a ciclo. Il cambiamento di variabilità può andara da pochi centensimi di magnitudine ad alcune magnitudini (in genere 1 o 2 nella banda V). Le variabili semiregolari (abbreviate in SR, dalla dizione inglese) sono classificate in numerosi sottotipi: • SRA: stelle giganti degli ultimi tipi spettrali (M, C, S, o Me, Ce, Se) che mostrano periodicità regolari e piccole ampiezze, meno di 2,5 magnitudini nella banda visuale. Un esempio di questa classe è Z Aquarii. L'ampiezza e la forma della curva di luce varia di ciclo in ciclo, ognuno dei quali è compreso tra 35 e 1200 giorni. Molte stelle di questa classe sono simili alle variabili Mira, con l'unica differenza di un'ampiezza minore nel cambiamento di luminosità. • SRB: stelle giganti degli ultimi tipi spettrali (M, C, S, o Me, Ce, Se) con periodicità molto irregolari (da 20 a 3000 giorni) oppure con intervalli alternati di cambiamenti regolari e irregolari. Alcune possono a volte rimanere costanti per un breve periodo. Esempi di stelle di questo tipo sono RR Coronae Borealis e AF Cygni. Ad ogni stella di questa classe può essere assegnato un periodo medio che si mantiene costante. Spesso si osserva la presenza di due o più periodi di variazione distinti. • SRC: stelle supergiganti degli ultimi tipi spettrali (M, C, S, o Me, Ce, Se) con cambiamenti di luminosità di circa 1 magnitudine e periodi che vanno da 30 a molte migliaia di giorni. Esempi sono la luminosa Mu Cephei e Betelgeuse, una delle stelle più luminose del cielo, nella costellazione di Orione. • SRD: stelle giganti e supergiganti di tipo spettrale F, G o K, a volte con spettri con linee di emissione. L'ampiezza della variabilità va da 0,1 a 0,4 magnitudini, e i periodi da 30 a 1100 giorni. Esempi di questa classe sono SX Herculis e SV Ursae Majoris. Variabili estrinseche Le variabili estrinseche appaiono di luminosità variabile a causa di qualche influenza esterna. Una delle cause più comuni è la presenza di una compagna, che forma con la principale una stella doppia. Viste da certe angolature, le due stelle possono passare una di fronte all'altra e causare un'eclissi, che si presenta come una riduzione di luminosità. La prima stella variabile conosciuta in Occidente, Algol (la stella del diavolo), è di questo tipo, e ha dato il nome alla categoria di variabili a eclisse. In alcune stelle binarie le componenti sono così vicine che si ha un trasferimento di massa dal'una all'altra. Queste stelle sono chiamate binarie interagenti. Nella maggior parte dei casi, il trasferimento di massa forma un disco di accrescimento attorno ad una stella. La complessa interazione di una stella con il disco di accrescimento e con l'altra stella causa vari fenomeni, tra cui le esplosioni di novae e di alcune supernovae e le pulsar a raggi X. Supernova Una supernova è un'esplosione stellare che sembra risultare nella creazione di una nuova stella nella sfera celeste ("Nova" è il termine latino per "nuova". Il plurale è in genere scritto alla latina, Supernovae). Il prefisso "super" la distingue da una nova, la quale è anch'essa una stella che aumenta la sua luminosità, ma in maniera nettamente minore e con un meccanismo diverso. Le supernovae sono contraddistinte dall'espulsione degli strati esterni di una stella, riempiendo lo spazio circostante di idrogeno ed elio (oltre ad altri elementi). I detriti formano quindi nubi di polveri e gas. Un'esplosione di supernova può comprimere del gas preesistente che si trovava vicino alla stella e si suppone che ciò possa innescare processi di formazione stellare. Difficilmente lo spirito umano può comprendere la vastità di un cataclisma immane come una supernova: la sua luminosità è tipicamente un milione di volte superiore a quella del Sole, e gli strati esterni della stella vengono espulsi a migliaia di chilometri al secondo. Qualunque pianeta orbitasse attorno alla stella verrebbe prima carbonizzato e poi spazzato via come un granello di polvere da una specie di valanga incandescente grande come il cielo intero. Al contempo, una supernova è l'unico meccanismo conosciuto per produrre gli elementi più pesanti del ferro (tra cui cobalto, uranio, nichel, piombo, iodio, tungsteno, oro e argento), indispensabili alla nostra civiltà e alla vita come la conosciamo, che si formano nell'atmosfera rovente della supernova sfruttando l'enorme energia a disposizione. Caratteristiche Gli astronomi hanno diviso le supernovae in diversi tipi, a seconda dei differenti elementi che appaiono nel loro spettro elettromagnetico. Queste differenze si traducono a volte in meccanismi totalmente diversi per l'esplosione. La prima caratteristica distintiva è la presenza o l'assenza delle linee dell'idrogeno. Se lo spettro di una supernova non contiene linee dell'idrogeno, è classificata di tipo I, altrimenti di tipo II. Le supernovae di tipo I sono molto più luminose di quelle di tipo II: le prime arrivano ad una magnitudine assoluta di circa -20, con pochissima variazione tra una supernova e l'altra, mentre le seconde si fermano a -12,5 circa, con variazioni fino ad un'intera magnitudine (corrispondenti ad un fattore 2,5 nel flusso reale). I due gruppi sono a loro volta divisi in sottogruppi, a seconda della presenza o assenza di altre linee. Tipo Ia Le supernove di tipo Ia sono, con molte differenze, le stelle più luminose e possono emettere un raggio di luce anche più intenso di quello di un'intera galassia Le supernovae di tipo Ia non contengono elio, e mostrano invece linee di assorbimento del silicio. Si pensa che siano causate dall'esplosione di una nana bianca, che si trova in corrispondenza o molto vicina al limite di Chandrasekhar. Una possibilità è che la nana bianca fosse in orbita ad una stella moderatamente massiccia. Parte della massa della compagna viene trasferita alla nana bianca, finché questa non arriva al limite di Chadrasekhar. La nana collassa in una stella di neutroni o in un buco nero, e il collasso innesca la fusione nucleare degli atomi di carbonio e ossigeno rimanenti. L'improvviso rilascio di energia produce un'onda d'urto, e la nana bianca viene fatta a pezzi. Poiché il limite di Chandrasekhar è sempre lo stesso, queste supernovae hanno sempre la stessa energia, ed osservarne una in una galassia distante permette immediatamente di trovarne la distanza esatta. Ciò ha reso queste supernovae indispensabili nella cosmologia, dove il comportamento delle galassie distanti viene studiato per derivare le proprietà dell'Universo nel suo complesso. Il meccanismo di una semplice nova è simile ma meno drammatico: la materia in eccedenza viene fusa prima che il limite di Chandrasekhar venga raggiunto. La fusione produce quindi abbastanza energia per aumentare drasticamente la luminosità della stella, ma questa sopravvive all'evento. L'incremento in luminosità della supernova è dato dall'energia liberata nell'esplosione, e durante il tempo piuttosto lungo che occorre perché la luminosità si riduca, la supernova è alimentata principalmente dal decadimento nucleare di cobalto radioattivo (cobalto-56) in ferro. Tipo Ib e Ic Le supernovae di tipo Ib e Ic non mostrano linee dovute al silicio, e sono ancora meno comprese. Si pensa che abbiano origine da stelle alla fine della loro vita (come il tipo II), ma che avrebbero già perso tutto il loro idrogeno, e quindi impossibilitate a mostrare righe H nel loro spettro. Le supernovae di tipo Ib sono forse il risultato del collasso di una stella di Wolf-Rayet. Tipo II Le supernovae di tipo II hanno origine quando il nucleo di una stella molto massiccia (almeno 8 masse solari, se non di più) ha prodotto una notevole quantità di ferro, la cui fusione assorbe energia invece di liberarla. Quando la massa del nucleo di ferro raggiunge il limite di Chandraseckhar (bastano pochi giorni), esso decade spontaneamente in neutroni e, sotto l'effetto della sua stessa gravità, implode. Ne risulta una tremenda ondata di neutrini, che sottraggono un'enorme quantità di energia alla stella e iniziano a viaggiare verso l'esterno. Attraverso un processo non del tutto compreso, una parte dell'energia trasportata dai neutrini viene ceduta agli strati esterni della stella. Quando, alcune ore dopo, l'onda d'urto raggiunge la superficie della stella, la sua luminosità aumenta drasticamente e gli strati esterni vengono sparati nello spazio. Il nucleo della stella può diventare una stella di neutroni o un buco nero, a seconda della sua massa. I dettagli del processo sono ancora poco compresi, e non si conosce il valore esatto di massa che discrimina tra i due risultati. Ci sono leggere varianti del tipo II, come il tipo II-P e quello II-L, ma si limitano a descrivere il comportamento della curva di luce dell'evento (le II-P mostrano un plateau temporaneo nel livello di luminosità, mentre le II-L no), e non riflettono cause fondamentalmente differenti. Ipernovae Alcune stelle eccezionalmente grandi al momento della loro morte potrebbero produrre un'ipernova, un tipo di esplosione relativamente nuovo e per la maggior parte teorico. Nel meccanismo proposto per un'ipernova (o collapsar), il nucleo della stella collassa direttamente in un buco nero, e due getti di plasma estremamente energetici sono emessi dai poli di rotazione, ad una velocità quasi pari a quella della luce. Questi getti emettono raggi gamma molto intensi, e sono una delle possibili spiegazioni per i lampi gamma. Nomenclatura Le scoperte di supernovae sono comunicate all'IAU, che manda quindi una circolare con il nome assegnato. Il nome è formato dall'anno della scoperta, e una designazione progressiva di una o due lettere. Le prime 26 supernovae scoperte in un dato anno ottengono le lettere da A a Z. Quelle seguenti ripartono con aa, ab e così via. Supernovae importanti • 1006 - supernova piú brillante per cui esistano registrazioni storiche, osservata da astronomi europei ed orientali • 1054 - formazione della Nebulosa del Granchio, registrata dagli astronomi cinesi e forse dagli indiani d'America. • 1572 - supernova nella costellazione di Cassiopea, osservata da Tycho Brahe, il cui libro De Nova Stella (Sulla stella nuova) dette origine al nome "nova" per queste stelle. • 1604 - stella di Keplero, supernova nell'Ofiuco osservata da Giovanni Keplero. L'ultima supernova osservata nella Via Lattea. • 1987 - Supernova 1987a osservata entro poche ore dopo la sua esplosione, è stata la prima occasione per testare le moderne teorie sulla formazione di supernovae con le osservazioni. Le supernove del 1572 e del 1604 furono usate da Galileo come prova contro l'immutabilità delle sfere celesti, dottrina sostenuta dai filosofi del tempo, dottrina che veniva fatta risalire ad Aristotele ed alla scuola peripatetica. Le supernovae lasciano spesso al loro posto dei resti di supernova. Lo studio di questi oggetti è utile per migliorare la nostra conoscenza sul fenomeno. Ruolo delle supernovae nell'evoluzione stellare Le supernovae tendono ad arricchire lo spazio interstellare circostante con metalli, che per gli astronomi includono anche elementi chimici non metallici più pesanti dell'elio. Così ogni generazione di stelle ha una composizione leggermente differente, che va da una mescolanza quasi pura di idrogeno ed elio a una composizione più ricca di metalli. La differente abbondanda di elementi chimici ha un'influenza importante sulla vita di una stella, e può influenzare in maniera decisiva la possibilità di avere dei pianeti che le orbitino intorno. Effetto delle supernovae sulla Terra Speculazioni sugli effetti delle vicine supernovae sulla Terra si focalizzano spesso su stelle massicce, come Betelgeuse, una supergigante rossa a 427 anni luce che è una candidata a divenire una supernova di tipo II. Diverse stelle evidenti entro poche centinaia di anni luce dal Sole sono candidate a diventare supernove entro i prossimi 1000 anni. Sebbene spettacolari, si ritiene che queste supernovae "prevedibili" abbiano poco potenziale di provocare qualche effetto sul nostro pianeta. Le supernovae di tipo Ia, tuttavia, si pensa siano potenzialmente molto più pericolose se nascono abbastanza vicino alla Terra; poiché esse hanno origine dalle comuni e poco luminose nane bianche, è probabile che una supernova che possa produrre degli effetti sulla Terra possa nascere in modo non prevedibile in un sistema solare non ben studiato. Una teoria suggerisce che una supernova di tipo Ia dovrebbe essere più vicina di 1000 parsec (3300 anni luce) per produrre un effetto sulla Terra.[1] Stime recenti predicono che una supernova di tipo II dovrebbe essere più vicina di 8 parsec (26 anni luce) per distruggere metà dello strato protettivo di ozono della Terra.[2] Tali stime si sono occupate soprattutto di modelli atmosferici e hanno preso in considerazione soltanto il flusso di radiazioni proveniente da SN 1987A, una supernova di tipo II nella Grande Nube di Magellano. Stime del tasso di formazione delle supernovae entro 10 parsec dal nostro pianeta danno un risultato variabile da una volta ogni 100 milioni di anni [3] a una volta ogni 10 miliardi di anni.[4] Nel 1996 gli astronomi dell'Università dell'Illinois hanno teorizzato che tracce di supernovae del passato potrebbero essere rintracciabili sulla Terra sotto forma di firme radiattive dovute a isotopi metallici negli strati di roccia. Di seguito isotopi di ferro-60 sono stati segnalati nelle rocce del fondale profondo dell'Oceano Pacifico da ricercatori dell'Università Tecnica di Monaco Nana bianca Una nana bianca è una stella di piccola dimensione, con una bassissima luminosità e un colore tendente al bianco. Nonostante le piccole dimensioni, la massa delle nane bianche è simile a quella del Sole. Sono quindi molto compatte, e hanno un'elevatissima densità e gravità superficiale. Le prime stelle di questo tipo furono scoperte nel XIX secolo, e oggi se ne conoscono migliaia. Il colore di una stella è una misura della sua temperatura superficiale: le stelle gialle sono come il nostro Sole, quelle bianche sono più calde, quelle blu più calde ancora, e quelle rosse più fredde (vedi l'articolo sulla classificazione stellare per maggiori dettagli). Le nane bianche quindi sono molto deboli perché sono piccole, e non a causa della temperatura, che invece è piuttosto elevata (10.000 °C in media). Il colore e la dimensione spiegano il nome nana bianca. Un nome più appropriato sarebbe nana degenere, un tipo di stella degenere (vedi più sotto per la giustificazione di tale nome). Alcune nane bianche tendono al colore blu piuttosto che al bianco, perché sono molto calde. In realtà, una nana bianca può assumere una vasta gamma di colori a seconda della sua temperatura, ma la grande maggioranza sono blu-bianche. Densità Molte nane bianche hanno la dimensione di un grosso pianeta, e sono tipicamente 100 volte più piccole del Sole. Hanno però la stessa massa, e sono quindi molto compatte. Un raggio 100 volte inferiore implica che la stessa quantità di materia è impacchettata in un volume che è 100³=1.000.000 di volte più piccolo del Sole, e quindi la densità della materia è estremamente alta. Più alta, infatti, di qualunque materiale che sia possibile trovare nel Sistema Solare (compreso il centro del Sole), e per adesso impossibile da riprodurre in laboratorio: per replicare le condizioni di densità di una nana bianca, occorrerebbe comprimere una tonnellata di ferro in un centimetro cubo. Nel 1930 si trovò una spiegazione per queste condizioni, un effetto quantomeccanico: il peso della nana bianca è sopportato dalla pressione degli elettroni degeneri (vedi materia degenere), un effetto che dipende esclusivamente dalla densità e non dalla temperatura. La pressione degli elettroni degeneri ha un limite superiore, oltre il quale essi cedono. Si calcola che il limite sia pari a circa 1,4 volte la massa del Sole (è il cosiddetto limite di Chandrasekhar, dal nome del matematico indiano che per primo lo calcolò). Oltrepassato questo limite, il peso della stella non può più essere sostenuto e la nana bianca esplode (vedi il paragrafo sull'evoluzione). Temperatura Le nane bianche possono essere estremamente calde: temperature di 100.000 gradi non sono impossibili. Questo calore è quanto rimane di quello generato dal collasso della stella (vedi il paragrafo sull'evoluzione delle nane bianche più sotto), ed è irradiato nello spazio senza alcuna fonte che lo rinnovi (a meno che la nana bianca non faccia parte di un sistema binario stretto, dove può ricevere materia da altre stelle). La piccola area delle nane bianche fa sì che il calore sia emesso ad un ritmo molto lento, e che perciò la stella si raffreddi molto lentamente. Gravità Nonostante la massa di una nana bianca non sia molto diversa da quella del Sole, e spesso più piccola, la sua compattezza fa sì che il campo gravitazionale alla sua superficie sia un migliaio di volte più intenso. La semplice caduta di materia sulla sua superficie può sviluppare un'energia molto intensa. Si calcola che la accelerazione di gravità alla superficie d'una nana bianca sia di circa 7.000 Km • sec−² (sulla terra è di 9,81 m • sec−² e sul Sole di 29 m • sec−²). Evoluzione Le nane bianche sono lo stadio finale dell'evoluzione della maggior parte delle stelle, tutte quelle troppo piccole per esplodere come supernovae. Si calcola che tutte le stelle più piccole di 8 masse solari, cioè più del 99%, finiscano la loro vita come nane bianche. La nana bianca si forma quando una stella come il nostro Sole finisce il proprio combustibile nucleare. Nei suoi ultimi stadi di vita, la stella si espande in una gigante rossa e soffia letteralmente via gli strati più esterni (creando una nebulosa planetaria), fino a che rimane solo il nucleo caldo. Quando la fusione nucleare cessa, il nucleo si restringe e si stabilizza in una nana bianca, con una temperatura iniziale superiore ai 100.000 gradi. Le nebulose planetarie così prodotte sono oggetti effimeri, che scompaiono dopo poche migliaia d'anni (un istante nella vita di una stella). Per questo motivo, ogni volta che viene trovata una nebulosa planetaria, gli astronomi possono andare a colpo sicuro nel suo centro, per trovarvi una giovane nana bianca appena formata. L'altissima temperatura fa loro emettere raggi ultravioletti e raggi X "molli", e in effetti le giovani nane bianche più vicine sono state rilevate anche in queste bande spettrali. La nana bianca, non avendo altre fonti di calore, si raffredda lentamente, e diminuisce di luminosità. Dopo moltissimo tempo, una nana bianca si sarà raffreddata a sufficienza per diventare una nana nera, con la stessa temperatura (freddissima) dell'ambiente circostante. Si calcola che il tempo necessario per questa trasformazione sia più lungo dell'età attuale dell'universo, e quindi nessuna nana nera esiste ancora. Nondimeno, è possibile calcolare che la pressione degli elettroni degeneri è ancora sufficiente a sorreggere l'enorme peso della stella, anche in mancanza di ogni contributo dell'energia termica. La nana nera è quindi lo stadio finale, potenzialmente immortale. Da quanto detto prima, segue che le nane bianche sono molto numerose: quasi ogni stella vissuta fino ad ora è diventata, o diventerà, una nana bianca, e il loro numero continua ad aumentare. La loro bassa luminosità le rende però invisibili già a distanze piuttosto piccole. Una nana bianca può avere invece un destino molto più interessante se si trova a far parte di un sistema binario. Se questo è sufficientemente stretto, è possibile che si instauri un trasferimento di massa dalla stella normale alla nana bianca. La materia in arrivo viene riscaldata a milioni di gradi dall'intenso campo gravitazionale della nana bianca, ed è spesso soggetta ad esplosioni e fusione nucleare periodica, dando vita a fenomeni come le variabili cataclismiche, le stelle novae e le novae ricorrenti. Se l'afflusso di materia è molto abbondante e non viene periodicamente espulso con esplosioni di nova, e se inoltre la nana bianca era già vicina al limite massimo di 1,4 masse solari, la materia in più può farle superare questo limite. Quando questo avviene, la pressione degli elettroni degeneri che sosteneva il peso della stella cede di schianto, e tutta la stella è scossa da un'esplosione dirompente. Si tratta di una supernova di tipo Ia, che è così luminosa da poter essere osservabile, con grandi telescopi, letteralmente da una parte all'altra dell'Universo. Esplosioni di questo tipo sono visibili da Terra ad occhio nudo ogni qualche centinaio d'anni, e in tal caso sono spesso visibili anche in pieno giorno. Se il nucleo della stella originaria era già più grande di 1,4 masse solari, la nana bianca non può formarsi. Esiste un altro tipo stadio finale, la stella di neutroni, che raggiunge densità ancora più grandi di quelle della nana bianca, ma non è chiaro se esse possano formarsi direttamente dal collasso "tranquillo" di una stella alla fine della sua vita (sono invece normalmente prodotte nelle esplosioni di supernova di tipo II, derivate dal collasso di stelle con massa superiore a 8 masse solari). Nel diagramma H-R, le nane bianche si collocano in una regione ben precisa, caratterizzata da temperatura medio-alta e bassa luminosità. Esse scivolano lentamente verso regioni con temperature più basse e luminosità ancora più basse. Pulsar Una pulsar, nome che stava originariamente per sorgente radio pulsante, è una stella di neutroni rapidamente rotante, la cui radiazione elettromagnetica in coni ristretti è osservata come impulsi emessi ad intervalli estremamente regolari. Storia Le pulsar furono scoperte da Jocelyn Bell e Antony Hewish nel 1967, mentre stavano usando un array radio per studiare la scintillazione delle quasar. Trovarono invece un segnale molto regolare, consistente di un impulso di radiazione ogni pochi secondi. L'origine terrestre del segnale fu esclusa, perché il tempo che l'oggetto impiegava ad apparire era in sincronia con il giorno siderale invece che con il giorno solare. Il nome originale dell'oggetto fu "LGM" (Little Green Men, piccoli omini verdi in inglese), perché qualcuno scherzò sul fatto che, essendo così regolari, potessero essere segnali trasmessi da una qualche civiltà extraterrestre. Dopo molte speculazioni, una spiegazione più prosaica fu trovata in una stella di neutroni, un oggetto fino ad allora solo ipotizzato. Negli anni '80, fu scoperta una nuova categoria di pulsar: le pulsar superveloci, o pulsar millisecondo che, come indica il loro nome, hanno un periodo di pochi millisecondi invece che di secondi o più. Nel 2004 viene individuata la prima "pulsar doppia" ovvero due stelle pulsar che orbitano una attorno all'altra, in un sistema binario. La scoperta è opera di un gruppo di ricercatori internazionali, a cui partecipano anche italiani dell'Università di Cagliari, dell'Università di Bologna e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) (Osservatorio Astronomico di Padova: intervista). In quest'ultimo caso, la grandissima precisione degli impulsi ha permesso agli astronomi di calcolare la perdita di energia orbitale del sistema, si pensa dovuta all'emissione di onde gravitazionali. L'esatto ammontare di questa perdita di energia è in buon accordo con le equazioni della Relatività generale di Einstein. Teoria Il modello di pulsar generalmente accettato, e raramente messo in discussione, spiega le osservazioni con un fascio di radiazioni che punta nella nostra direzione una volta per ogni rotazione della stella di neutroni. L'origine del fascio rotante è legato al disallineamento tra l'asse di rotazione e l'asse del campo magnetico della pulsar, analogamente a quanto si osserva sulla Terra. Il fascio è emesso dai poli magnetici della pulsar, che possono essere separati dai poli di rotazione di un angolo anche ampio. Questo angolo rende il comportamento dei fasci simile a quello di un faro. La sorgente di energia dei fasci è l'energia rotazionale della stella di neutroni, la quale rallenta lentamente la propria rotazione per alimentare i fasci. Le pulsar millisecondo sono state probabilmente accelerate dal momento angolare posseduto da materia esterna caduta su di esse, proveniente da una vicina stella compagna in un sistema binario mediante il meccanismo del trasferimento di massa. Anche le pulsar millisecondo, però, rallentano costantemente la propria rotazione. L'osservazione di glitch è di interesse per lo studio dello stato della materia nelle stelle di neutroni. Un glitch è un improvviso aumento della velocità di rotazione (che viene osservato come un'improvvisa riduzione dell'intervallo tra gli impulsi). Per lungo tempo si è creduto che tali glitch derivassero da "stellamoti" dovuti ad aggiustamenti della crosta superficiale della stella di neutroni. Oggi esistono anche modelli alternativi, che spiegano i glitch come improvvisi fenomeni di superconduttività dell'interno della stella. La causa esatta dei glitch non è al momento conosciuta. Nel 2003, le osservazioni della pulsar della Nebulosa del Granchio ha rivelato "sotto-impulsi", sovrapposti al segnale principale, con una durata di pochi nanosecondi. Si pensa che impulsi così stretti possano essere emessi da regioni della superficie della pulsar con un diametro massimo di 60 centimetri, rendendo queste regioni le più piccole strutture mai misurate all'esterno del Sistema Solare. Buco nero Un buco nero è un corpo celeste estremamente denso, al punto di essere dotato di un'attrazione gravitazionale talmente elevata da non permettere la fuga di nulla, neanche della luce, dalla sua "superficie", denominata orizzonte degli eventi. L'esistenza di tali oggetti è predetta dalla principale teoria della gravitazione oggi accettata dalla comunità scientifica, la relatività generale. Sono inoltre presenti alcune osservazioni indirette di attività astrofisica riconducibile a buchi neri, ad esempio nelle zone centrali di alcune galassie (nuclei galattici attivi). Un buco nero formatosi da una stella ha una massa superiore ad almeno tre volte quella del Sole, ma a causa dei vari processi di perdita di massa subiti dalle stelle al termine della loro vita occorre che la stella originaria fosse almeno dieci volte più massiccia del Sole. I numeri citati sono indicativi, in quanto dipendono dai dettagli dei modelli utilizzati per prevedere l'evoluzione stellare e in particolare dalla composizione chimica iniziale della nube di gas che ha dato origine alla stella in questione. Non è esclusa la possibilità che un buco nero possa avere origine non stellare, come si suppone ad esempio per i cosiddetti buchi neri primordiali: vedi il seguito per approfondire. Formazione dei buchi neri Verso il termine del proprio ciclo vitale il nucleo di una stella si spegne, avendo trasformato tramite fusione nucleare tutto l'idrogeno in elio. La forza gravitazionale, che prima era in equilibrio con la pressione generata dalle reazioni di fusione nucleare, prevale e comprime la massa della stella verso il suo centro. A questo punto quando la densità diventa abbastanza alta può innescarsi la fusione nucleare dell'elio, con la produzione di litio, azoto e altri elementi fino all'ossigeno o al silicio. Durante questa fase la stella si espande e si contrae violentemente più volte, espellendo parte della propria massa. Le stelle più piccole si fermano ad un certo punto della catena e si spengono raffreddandosi e contraendosi lentamente, attraversano lo stadio di nana bianca e nel corso di molti milioni di anni diventano una sorta di gigantesco pianeta. In questo stadio la forza gravitazionale è bilanciata da un fenomeno quantistico, detto pressione di degenerazione, legato al principio di esclusione di Pauli. Per le nane bianche la pressione di degenerazione si innesca tra gli elettroni. Se invece la stella supera una massa critica, detta limite di Chandrasekhar cioè 1,4 volte la massa solare, ad un certo punto ogni possibile combustibile nucleare viene bruciato e le reazioni nucleari non sono più in grado di opporsi al collasso gravitazionale. A questo punto la stella subisce una contrazione drammatica che fa entrare in gioco la pressione di degenerazione tra i componenti dei nuclei atomici. La pressione di degenerazione arresta bruscamente il processo di contrazione e può provocare una gigantesca esplosione, detta esplosione di supernova di tipo II . Durante l'esplosione quel che resta della stella espelle gran parte della propria massa, che va a disperdersi nell'universo circostante; quello che rimane è un nucleo estremamente denso e massiccio. Se la sua massa è abbastanza piccola da permettere alla pressione di degenerazione di contrastare la forza di gravità si arriva ad una situazione di equilibrio, con la formazione di una stella di neutroni. Al contrario se la massa supera le tre masse solari non c'è più niente che possa contrastare la forza gravitazionale, inoltre, secondo la Relatività generale, la pressione interna non funziona più come forza verso l'esterno a contrastare il campo gravitazionale, ma diventa essa stessa una sorgente del campo gravitazionale, rendendo inevitabile il collasso infinito, anche in presenza di un'eventuale forza repulsiva ancora sconosciuta. A questo punto la densità della stella morente, ormai diventata un buco nero, raggiunge velocemente valori tali da creare un campo gravitazionale talmente intenso, da non permettere a nulla di sfuggire alla sua attrazione, neppure alla luce. Il nome di questi oggetti deriva proprio da tale loro caratteristica, che li rende simili a inghiottitoi disseminati nello spazio, dai quali nulla può più uscire. Essi non possono essere osservati direttamente ma possono essere scoperti a causa degli effetti di attrazione gravitazionale che esercitano nei confronti della materia vicina. Esistono anche altri scenari che possono portare alla formazione di un buco nero. In particolare una stella di neutroni in un sistema binario può rubare massa alla sua vicina fino a superare la massa di Chandrasekhar e collassare. Alcuni indizi suggeriscono che questo meccanismo di formazione sia più frequente del meccanismo "diretto". Un altro scenario permette la formazione di buchi neri con massa inferiore alla massa di Chandrasekhar, difatti anche una quantità arbitrariamente piccola di materia, se compressa da una gigantesca forza esterna, può in teoria collassare e generare un altrettanto piccolo orizzonte degli eventi. Le condizioni necessarie potrebbero essersi verificate nel primo periodo di vita dell'universo, quando la sua densità media era ancora molto alta, a causa di variazioni di densità o di onde di pressione. Questa ipotesi è ancora completamente speculativa e non ci sono indizi che buchi neri di questo tipo esistano o siano esistiti in passato. Fenomenologia dei buchi neri Una caratteristica dei buchi neri è il cosiddetto orizzonte degli eventi, una superficie immaginaria che circonda l'oggetto. Qualunque cosa oltrepassi questo limite, che è puramente matematico, posto ad una distanza dal centro del buco nero pari al raggio di Schwarzschild, non può più uscirne o trasmettere segnali all'esterno. Una frase coniata dal fisico John Archibald Wheeler, un buco nero non ha capelli, sta a significare che tutte le informazioni della massa che cade in un buco nero vengono perdute, ad eccezione di tre fattori: massa, carica e momento angolare. Il corrispondente teorema è stato dimostrato da Wheeler, il quale è anche colui che ha dato il nome a questi oggetti astronomici. In realtà un buco nero non è del tutto nero: esso emette particelle, in quantità inversamente proporzionale alla sua massa, portando ad una sorta di evaporazione. Questo fenomeno, dimostrato nel 1974 per la prima volta dal fisico Stephen Hawking, è noto come radiazione di Hawking ed è alla base della termodinamica dei buchi neri. Alcune sue osservazioni sull'orizzonte degli eventi dei buchi neri, inoltre, hanno portato alla formulazione del principio olografico. Altri effetti fisici sono associati all'orizzonte degli eventi, in particolare per la relatività generale il tempo proprio rallenta all'aumentare del campo gravitazionale fino ad arrestarsi completamente sull'orizzonte. Quindi un astronauta che stesse precipitando verso un buco nero percepirebbe di impiegarci un tempo finito e, se potesse sopravvivere all'enorme gradiente del campo gravitazionale, non percepirebbe nulla di strano all'avvicinarsi dell'orizzonte; al contrario un osservatore esterno vedrebbe i movimenti dello sfortunato astronauta rallentare progressivamente fino ad arrestarsi del tutto quando raggiunge il raggio di Schwarzschild. L'astronauta che precipita osservando l'universo lo vedrebbe invece evolvere sempre più velocemente mentre si avvicina a tale raggio. Al contrario degli oggetti dotati di massa i fotoni non vengono rallentati o accelerati dal campo gravitazionale del buco nero, ma subiscono un fortissimo spostamento verso il rosso (in uscita) o verso il blu (in entrata). Un fotone che si originasse esattamente sull'orizzonte degli eventi diretto verso l'esterno del buco nero subirebbe un tale spostamento verso il rosso da allungare all'infinito la sua lunghezza d'onda e ridurre a zero la sua energia. A tutt'oggi non è possibile conoscere lo stato della materia interna ad un buco nero, le leggi stesse che regolano la fisica all'esterno dell'orizzonte degli eventi perdono validità in prossimità del buco nero. Uno degli oggetti nella Via Lattea candidati ad essere un buco nero è una sorgente di raggi X chiamata Cygnus X-1. Viene ipotizzato che enormi buchi neri (di massa pari a milioni di volte quella del sole) esistano al centro delle galassie, come nella nostra e nella galassia di Andromeda. Ipotesi alternativa Secondo una minoranza di ricercatori, i buchi neri non esistono. Bisogna infatti ricordare che l'esistenza dei buchi neri non è sicura, in quanto manca ancora una osservazione diretta del fenomeno nelle immediate vicinanze dell'orizzonte degli eventi. Tuttavia esistono indizi talmente numerosi della loro esistenza da poterla considerare accertata. È sempre possibile che tutti questi indizi vengano spiegati da un'entità fisica, oggi ancora sconosciuta, che non sia un buco nero, ma questa ipotesi sembra estremamente improbabile ed è in diretta contraddizione al principio del rasoio di Occam. Modelli fisici e modelli matematici Un analogo fisico di un buco nero è il comportamento delle onde sonore in prossimità di un ugello di De Laval: una strozzatura utilizzata nei bruciatori dei razzi che fa passare il flusso dal regime subsonico a supersonico, senza creare un bang sonico. Prima dell'ugello le onde sonore possono andare all'indietro, mentre dopo averlo attraversato è impossibile. Altri analoghi possono sfruttare le onde superficiali in un liquido in moto in un canale circolare con altezza decrescente, un tubo per onde elettromagnetiche la cui velocità è alterata da un laser, una nube di gas di forma ellissoidale in espansione lungo l'asse maggiore. Tutti questi modelli, se raffreddati fino alla condizione di condensato di Bose - Einstein, dovrebbero presentare l'analogo della radiazione di Hawking, e possono essere usati per correggere le previsioni di quest'ultima: come un fluido ideale, la teoria di Hawking considera la velocità della luce (suono) costante, indipendentemente dalla lunghezza d'onda (comportamento detto di Tipo I). Nei fluidi reali la velocità può aumentare (Tipo II) o diminuire (Tipo III) all'aumentare della lunghezza d'onda. Analogamente dovrebbe avvenire con la luce, ma se il risultato fosse che lo spazio tempo diffonde la luce come il Tipo II o il Tipo III, andrebbe modificata la relatività generale, cosa già nota perché per le onde con lunghezza d'onda prossima alla lunghezza di Planck diventa significativa la gravitazione quantistica. Restando invece nel campo relativistico, poiché per descrivere un buco nero sono sufficienti tre parametri: massa, momento angolare e carica elettrica, i modelli matematici derivabili come soluzioni dell'equazione di campo della relatività generale si riconducono a quattro: Buco nero di Schwarzschild È la soluzione più semplice, in quanto riguarda oggetti non rotanti e privi di carica elettrica, ma è anche piuttosto improbabile nella realtà, poiché un oggetto dotato anche di una minima rotazione, una volta contratto in buco nero deve aumentare enormemente la sua velocità angolare in virtù del principio di conservazione della quantità di moto. Buco nero di Kerr Tratta di oggetti rotanti e privi di carica elettrica, caso che presumibilmente corrisponde alla situazione reale. Un oggetto dotato di un campo gravitazionale intenso come quello di un buco nero, ruotando trascina con se lo spaziotempo circostante, distorcendolo. Diagramma Hertzsprung-Russell Il diagramma Hertzsprung-Russell (dal nome dei due astronomi, Ejnar Hertzsprung e Henry Norris Russell, che verso il 1910 lo idearono indipendentemente; in genere abbreviato in diagramma H-R) è un potente "strumento" teorico che mette in relazione la temperatura efficace (riportata in ascissa) e la luminosità (riportata in ordinata) delle stelle. La temperatura efficace e la luminosità sono quantità fisiche che dipendono strettamente dalle caratteristiche intrinseche della stella (massa, età e composizione chimica), non sono misurabili direttamente dell'osservatore ma possono essere derivate attraverso modelli fisico-matematici. Esistono legami, tra la temperatura efficace di una stella ed il suo colore, e tra la luminosità della stessa e la sua magnitudine apparente (o assoluta), che permettono di ottenere una "versione osservativa" del diagramma H-R (detta diagramma Colore- Magnitudine) che mette in relazione due quantità misurabili direttamente dall'osservatore: il colore della stella e la sua magnitudine. L'esatta trasformazione da diagramma H-R a diagramma Colore-Magnitudine non è banale, e dipende da fattori osservativi e teorici: distanza, arrossamento, età, composizione chimica e gravità della stella, modelli di interni e di atmosfere stellari. A cosa serve Il diagramma H-R ed il diagramma Colore-Magnitudine vengono utilizzati per comprendere l'evoluzione e le caratteristiche fisiche delle singole stelle e degli agglomerati stellari: ammassi aperti, ammassi globulari e galassie. Grazie al diagramma H-R è possibile: confrontare le predizioni teoriche dei modelli di evoluzione stellare con le osservazioni per verificare l'accuratezza delle prime; determinare l'età, la composizione chimica e la distanza di una popolazione stellare; derivare la storia della formazione stellare di una agglomerato di stelle etc. Come funziona Da un primo esame del diagramma H-R si osserva immediatamente come le stelle tendano a posizionarsi in regioni ben distinte: la struttura evolutiva predominante è la diagonale che parte dall'angolo in alto a sinistra (dove si trovano le stelle piu' massicce, calde e luminose) verso l'angolo in basso a destra (dove si posizionano le stelle meno massicce, piu' fredde e meno luminose), chiamata la sequenza principale. In basso a sinistra si trova la sequenza delle nane bianche, mentre sopra la sequenza principale, verso destra, si dispongono le giganti rosse e le supergiganti. Gamma ray burst In astronomia, i gamma ray bursts (GRBs) sono lampi di raggi gamma che durano da pochi nanosecondi a ore, il più lungo dei quali è stato seguito per diversi giorni da un bagliore residuo di raggi X. Avvengono in posizioni apparentemente casuali nel cielo diverse volte ogni giorno. Fino all'estate del 2003 una delle più promettenti idee, ma ancora altamente speculativa, era quella che affermava che sono il risultato della creazione di un buco nero da una stella morente. Il buco nero, circondato da un disco rotante di materia che cade in esso, emette in qualche modo raggi energetici paralleli all'asse di rotazione. In ogni caso, gli astronomi sono ancora lontani dall'arrivare ad un'opinione generale sul meccanismo dei GRBs, benché i più siano ottimisti e affermino che il puzzle sarà risolto nel 2010. La scoperta I lampi di raggi gamma cosmici furono scoperti nei tardi anni Sessanta dai satelliti statunitensi di rivelazione di test nucleari "Vela". I Vela furono lanciati per rilevare radiazioni emesse dai test di armi, ma raccolsero lampi occasionali di raggi gamma da sorgenti sconosciute. Mentre i sensori dei satelliti Vela risoluzione avevano angolare, una nel bassa 1973 i ricercatori dell'US Los Alamos National Laboratory nel New Mexico furono capaci di usare i dati dai satelliti per determinare che i lampi venivano dallo spazio profondo. I lampi di raggi gamma possono essere osservati soltanto dallo spazio perché l'atmosfera blocca tali raggi. Gli astronomi credevano che una volta messi in orbita migliori rivelatori di raggi gamma sarebbero stati capaci di trovare velocemente le posizioni dei GRBs, dopotutto era quello che accadeva con le sorgenti di raggi x. Tuttavia, quando tali strumenti migliorati furono mandati nello spazio negli anni Settanta, la ricerca ottica delle regioni dove i lampi erano generati non mostrò nulla di interessante: i sensori non erano abbastanza accurati da determinare la posizione dei lampi per uno studio dettagliato. Ulteriori informazioni sulle sorgenti dei lampi si dimostrarono difficili da ottenere, e portarono più domande che risposte. La prima questione posta dai GRBs era: sono localizzati nella nostra Galassia, o avvengono in luoghi lontanissimi dell'Universo? La seconda domanda era: quale meccanismo causa i lampi? Se essi si trovano nell'Universo distante, tale meccanismo deve produrre una quantità enorme di energia. Piccoli progressi furono fatti in materia negli anni Ottanta, ma nell'aprile 1991, la NASA lanciò il “Compton Gamma Ray Observatory” a bordo dello Space Shuttle. Uno degli esperimenti a bordo del Compton era il “Burst & Transient Source Experiment (BATSE)”, che poteva rilevare lampi di raggi gamma e localizzare le loro posizioni nel cielo con ragionevole precisione. BATSE stabilì che c'erano almeno 2 tipi di lampi: i lampi di raggi gamma e i ripetitori smorzati di raggi gamma. Nel giro di un anno, il BATSE rilevò due o tre GRBs al giorno, e trovò che sono casualmente distribuiti su tutto il cielo. Se fossero eventi che avvengono nella nostra galassia allora sarebbero stati distribuiti preferibilmente sul piano della Via Lattea; anche se fossero associati con l'alone galattico, sarebbero stati distribuiti soprattutto verso il centro galattico, 30000 anni luce più in là, a meno che l'alone fosse stato veramente enorme. Inoltre, se quella fosse stata la situzione, le galassie vicine avrebbero dovuto presentare aloni simili, ma non misero in risalto “macchie di luce” di deboli lampi di raggi gamma. Fu comunque il satellite italiano BeppoSAX che per primo riveló l'emissione X che segue il lampo Gamma a permise di individuare le coordinate dell'ogetto celeste che aveva emesso il lampo. Grazie a BeppoSAX si comprese definitivamente come questi lampi fossero generati da sorgenti extragalattiche. Osservazioni in luce visibile di molte di queste posizioni di GRB nel 1997 e nel 1998 identificarono possibili collegamenti tra i lampi e le supernovae. Le osservazioni non furono decisive, ma incoraggiarono gli astrofisici che credettero che i GRBs fossero associati alle supernovae, e diedero agli astronomi che cercano le componenti visibili dei GRBs qualcosa su cui investigare in maggior dettaglio. Attuali conoscenze Da tempo gli astronomi avevano compreso che questi lampi sono originati da due categorie distinte di fenomeni, le emissioni lunghe, quelle che durano da alcuni secondi a diversi minuti, venivano attribuite al collasso di una giovane stella massiccia in un buco nero, L'origine di quelli brevi, della durata di qualche millisecondo o addirittura di pochi nanosecondi, erano di più difficile comprensione. Impostando un metodo di ricerca basato sul lavoro d'insieme degli osservatori in orbita, Chandra, HETE, e Swift (il più recente), e gli osservatori posizionati a terra, si sta iniziando finalmente a comprendere l'origine di quelle che sono le più potenti esplosioni nell'universo. La rivista "Nature" ha pubblicato nel dicembre 2005 uno studio di Edo Berger, ricercatore al Carnegie Observatories di Pasadena, su un lampo (GRB 050724) localizzato da Swift il 24 luglio, e analizzato nello spettro radio, ottico e infrarosso. Proveniva da una vicina galassia formata da antiche stelle, in cui non si formano stelle nuove da diversi miliardi di anni. Ciò starebbe a significare che gli oggetti che provocano i lampi devono essere molto vecchi. Sono in queste regioni dello spazio che gli astronomi si aspettano che accadano collisioni tra stelle di neutroni, gli unici eventi che secondo le nostre conoscenze sono in grado di generare simili quantità di energia. Sempre su "Nature", nell'ottobre 2005, è stata pubblicata una relazione da parte di un gruppo di ricerca del MIT Kavli Institute sui dati raccolti dagli osservatori spaziali HETE e Chandra, i quali avvalorano ulteriormente questa ipotesi. Neil Gehrels, del Goddard Space Flight Center della NASA, spiega lo scenario: le esplosioni delle supernovae espellono una coppia di stelle di neutroni, che nel giro di qualche miliardo di anni spiraleggiano una sull'altra fino a collidere, dando origine probabilmente ad un nuovo buco nero. I paleontologi hanno ipotizzato una relazione fra le estinzioni di massa avvenute nel corso delle ere geologiche del nostro pianeta e questi eventi cosmici in grado di liberare, in meno di un secondo, l'energia equivalente a 1 milione di miliardi di soli.