Secondo Corso di Perfezionamento Percorsi didattici di Fisica e Matematica: modelli, verifiche sperimentali, statistica A.A. 2005/2006 Proposta di intervento didattico: “Nascita, vita e morte delle stelle ” A cura di Giovanni Bianchi Ciuffi d'isotopi in mano passeggio tra le particelle dei miei atomi nuclei, pulsari, neutroni e quasari il mondo è piccolo, il mondo è grande, e avrei bisogno di tonnellate d'idrogeno…” Franco Battiato Clamori (L’arca di Noè - 1982) “In quest'epoca di scarsa intelligenza ed alta involuzione qualche scemo crede ancora che veniamo dalle scimmie e il Sole è soltanto una palla di fuoco e non si sono accorti che è una tappa di una forma di energia.” Franco Battiato La musica è stanca (Orizzonti perduti – 1983) 1 Presentazione L’unità didattica che vado proponendo affonda le sue radici in una domanda vecchia quanto l’uomo: “perché il Sole scalda e le stelle brillano?”. Molte civiltà antiche, fra cui spiccano (anche in quest’ambito) gli Egizi, avevano posto il Sole all’apice dei loro culti pagani, impressionate da questa immensa forma di energia. Fornire una spiegazione dei meccanismi che regolano il funzionamento di una stella è lo scopo di questo lavoro. E siccome sono convinto che ogni ragazzo debba avere una idea, seppur intuitiva e fenomenologica di questi eventi, per scongiurare la possibilità che da adulto possa pensare che sul Sole ci siano foreste in fiamme, ho cercato di impostare l’argomento in maniera tale da poter essere affrontato in qualsiasi indirizzo scolastico. Ovviamente in un Liceo Scientifico questi argomenti vengono già affrontati in V classe, dove l’insegnamento di Scienze è tutto dedicato alla Geografia Astronomica. Lo stesso vale per un Liceo Classico. In queste scuole si potrebbe proporre un affiancamento dell’insegnante di Fisica a quello di Scienze, per portare a termine degli approfondimenti su questioni più “specialistiche”: mi riferisco in particolare alle reazioni di fusione termonucleare che avvengono all’interno delle stelle e all’origine degli elementi chimici che compongono noi stessi. Ma in altre (molte, troppe!) realtà scolastiche si giunge alla Maturità pensando che il Sole sia una palla di fuoco. Allora perché non provare a chiudere questa falla??? Questo mio stile di pensiero è correlato all’esperienza di tirocinio che ho vissuto durante l’esperienza della Ssis. Mi sono trovato infatti ad osservare (al primo anno il tirocinio che è, appunto, osservativo!) quanto accade in un Istituto d’Arte: una scuola non propriamente improntata agli studi scientifici. Mettendo mano a questi argomenti, mi sono chiesto se quella realtà fosse adatta a “sperimentare” l’introduzione di questo soggetto, che gode almeno della stessa dignità culturale dell’Incontro di Teano o dell’Infinito di Leopardi. La risposta è no. Non tutte le quinte classi di un Istituto d’Arte (limitatamente alla mia esperienza) rappresentano un terreno fertile in tal senso. Però ho osservato una quarta classe in cui i germogli attecchirebbero con sicuro successo. E non rappresentava un caso isolato. Fatto il punto sull’opportunità di introdurre l’argomento in una scuola come l’Istituto d’Arte, mi sono concentrato sull’impostazione da dare all’argomento stesso. Dopo aver riflettuto a lungo, sono giunto alla conclusione che il nòcciolo dell’argomento, ossia i meccanismi che portano alle reazioni di fusione termonucleare, vero “motore” dell’Universo, nonché “fabbrica” degli elementi chimici, debbano essere inglobate nella suggestiva storia della vita di una stella. E questa scelta presuppone una “fase preparatoria” molto lunga. Essa potrebbe distrarre l’auditorio da questi due aspetti-cardine, vero scopo di tutto il lavoro. Sarà cura dell’insegnante bilanciare le dosi, per evitare che il tutto si riduca a un semplice racconto di “collassi stellari” o, all’opposto, a una “lavagnata” di reazioni nucleari. 2 1. Caratteristiche dell’intervento didattico 1.1. Contestualizzazione • Istituto d’Arte, V anno. 1.2. Prerequisiti • Concetti elementari di Struttura della Materia (CHIMICA); • Gravitazione universale e Leggi di Keplero (FISICA); • Forza coulombiana (FISICA); 1.3. Prerequisiti “specifici” (argomenti introdotti ad hoc) • Struttura dell’atomo; • Fissione e fusione nucleare; • Spettroscopia atomica; • Interazione forte ed interazione debole; • Equivalenza massa-energia; 1.4. Obiettivi generali • Conoscere i fenomeni che regolano l’esistenza di una stella; • Conoscerne la genesi, la vita, il destino; • Saper comprendere il titolo di un articolo scientifico che compare su un quotidiano. 1.5. Obiettivi specifici • Comprendere i fenomeni che portano a processi di fusione termonucleare; • Comprendere i processi di nucleosintesi; • Interpretare il Diagramma di Hertzsprung-Russell 3 2. Le stelle Le stelle sono sfere dotate di massa enorme1, costituite per lo più da idrogeno ed elio, tenute insieme dalla forza gravitazionale, e che emettono energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche. L'energia delle stelle viene prodotta nel nòcciolo, attraverso reazioni termonucleari. Questa semplice definizione si fonda sull'analisi di dati molto complessi riguardanti la distanza, la luminosità, la massa, la composizione chimica, la temperatura superficiale e interna delle stelle. Cerchiamo, dunque, di esaminarli nel dettaglio. 3. La distanza delle stelle Osservando le stelle a occhio nudo, esse ci appaiono come punti luminosi circondati da un debole alone, provocato dalla diffusione e dalla rifrazione atmosferica, posti tutti alla stessa distanza dalla Terra e diversamente brillanti. In realtà, la distanza dalla Terra varia da una stella all'altra in modo spesso considerevole. In che modo è stato possibile capire che le stelle non si trovano tutte sulla superficie della medesima sfera e come è stato possibile determinare la loro distanza dalla Terra) stelle sfrutta un particolare fenomeno, noto come effetto di parallasse. Il termine parallasse indica lo spostamento apparente, rispetto a uno sfondo lontano, di un oggetto visto da due diversi punti di osservazione. Supponiamo, per esempio, di osservare l'ago di una bilancia e di volerne determinare la posizione rispetto alla scala graduata, per leggere il valore di una massa. La posizione dell'ago varia ogni volta che ci spostiamo, in relazione alla posizione che assumiamo: se ci spostiamo a sinistra, proietteremo l'ago sullo sfondo a destra, se ci spostiamo a destra, proietteremo l'ago verso sinistra. Lo spostamento dell'oggetto, in realtà, è solo apparente ed è causato da un cambiamento della posizione dell'osservatore, A tale spostamento viene dato il nome di effetto di parallasse. L'effetto di parallasse è tanto più evidente quanto minore è la distanza tra l'osservatore e l'oggetto in questione e si manifesta solo se l'oggetto è proiettato su uno sfondo con il quale non è a diretto contatto. Anche le stelle presentano un effetto di parallasse, noto come parallasse annua, causato dal moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. La Terra, infatti, si muove intorno al Sole: percorrendo un'ellisse di lunghezza non trascurabile (la distanza massima tra due punti dell'orbita è di circa 300 milioni di km) si trova nei due punti estremi (o comunque in due punti opposti) dell'orbita a circa 6 mesi di distanza. La posizione da cui osserviamo il cielo, perciò, si modifica nel corso dell'anno e questo, fissando la posizione di una 1 Quella nostro Sole è pari a 1,99·10 30 kg, contro i 5,98·10 24 kg della Terra e i 7,24·10 22 kg della Luna (rispettivamente un milione di volte e 10 milioni di volte meno massive). Ma vi sono stelle come Rigel o Deneb, con massa rispettivamente pari a 17 volte e 25 volte quella del Sole. 4 stella, quando la Terra si trova a un estremo dell'orbita, e .ripetendo l'osservazione dallo stesso luogo della Terra 6 mesi dopo, cioè quando la Terra si trova in posizione diametralmente opposta rispetto al Sole, si osserva un piccolo cambiamento nella posizione della stella, rispetto allo sfondo della sfera celeste. Nell'arco di 1 anno la stella apparentemente oscilla tra due posizioni estreme descrivendo in cielo una minuscola ellisse (Figura 1). Figura 1 Tale effetto viene utilizzato per determinare la distanza della stella dalla Terra, con il metodo della parallasse, un metodo simile alla triangolazione. Infatti, le due posizioni della stella, rilevate a distanza di 6 mesi, permettono di definire un triangolo, che ha per base il diametro dell'orbita terrestre e per lati le distanze tra i due punti di osservazione e la stella. L’angolo che ha come vertice la stella può essere misurato sperimentalmente, perché equivale allo spostamento angolare apparente della stella in 6 mesi. Per convenzione, l'angolo di parallasse annua p è uguale a metà dello spostamento angolare apparente di una stella in 1 anno, e corrisponde all'angolo al vertice del triangolo che ha come base il semiasse dell’orbita terrestre intorno al Sole misura in media 150 milioni di km) e come vertice la stella (Figura 2). Figura 2 5 L'angolo di parallasse annua è sempre molto piccolo, ma varia da stella a stella e il suo valore diminuisce all'aumentare della distanza della stella dalla Terra. Si può, infatti, dimostrare che l'angolo di parallasse annua di un astro è inversamente proporzionale alla sua distanza dalla Terra. Se, per esempio, l'angolo si dimezza, la distanza raddoppia, e tutti gli astri che si trovano alla medesima distanza dalla Terra hanno lo stesso angolo di parallasse. Le stelle più vicine alla Terra hanno parallasse di poco inferiore a 1” d'arco. Quanto più aumenta la distanza, tanto più risulta difficile misurare l'angolo di parallasse e apprezzare un cambiamento di posizione nel corso dell'anno. Con gli attuali strumenti non si può misurare in modo attendibile un angolo di parallasse inferiore a 1/100 di secondo d'arco. Per questo le stelle più distanti mantengono una posizione fissa e non presentano oscillazioni apparenti. Per ricavare direttamente la distanza della stella dal valore dell'angolo di parallasse, occorre adottare una particolare unità di misura della distanza, il parsec (pc). 1 parsec (abbreviazione di parallasse secondo) corrisponde alla distanza alla quale dovrebbe trovarsi un corpo per avere un angolo di parallasse di 1” d'arco. Mediante calcoli opportuni, si dimostra che 1 pc equivale a 3. 1016 m, cioè a 206.265 volte la distanza Terra-Sole. La distanza d di una stella espressa in parsec risulta: d = 1/p Se, per esempio, una stella ha un angolo di parallasse di 1/20” d'arco si trova a 20 pc dalla Terra, cioè a una distanza di 20·3·1010 m e sarà 20×206265 volte più distante del Sole dalla Terra. Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema Solare, si trova a 1,295 pc e ha un angolo di parallasse di 0,76" d'arco. Questa stella (al centro della Figura 3), che si trova nella costellazione del Centauro nell'emisfero celeste australe, è a una distanza dal Sole superiore quasi 7000 volte rispetto a Plutone, il pianeta più esterno del Sistema Solare. Figura 3 Per quanto concettualmente semplice, il metodo della parallasse non è di facile applicazione: il limite più evidente è rappresentato dalle piccole dimensioni degli angoli da misurare. In pratica, perciò, si riesce a misurare con questo sistema solo la distanza di qualche migliaio di stelle, cioè quelle che si trovano in un raggio di 100 pc. Le stelle che si trovano a distanze superiori ai 100 pc non mostrano un effetto di parallasse percettibile; per stabilire la loro posizione vengono utilizzati metodi indiretti, molto più complessi. 6 Inoltre, è interessante osservare che l'effetto di parallasse era già stato previsto dagli antichi astronomi e ricercato come prova di un eventuale moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. Aristotele riteneva che la Terra non si muovesse intorno al Sole e adduceva come prova proprio il fatto che non si rilevava alcuno spostamento apparente degli astri. Infatti, a causa dei valori molto piccoli dello spostamento angolare e dell'inadeguatezza degli strumenti, non era possibile misurare questo effetto. La prima misura di parallasse risale al 1838 ed è stata compiuta da Friedrich Wilhelm Bessel, che ha rilevato l'angolo di parallasse di 61 Cygni (il valore stimato attualmente è 0,293”, mentre Bessel rilevò un valore di 0,3136”). 4. Le unità di misura delle distanze in astronomia Anche se l'unità di misura prevista dal Sistema Internazionale della Unità (SI) per le lunghezze è il metro, in astronomia si utilizzano unità di misura più grandi, che permettono un confronto immediato tra le distanze dei corpi celesti. Le distanze tra i corpi celesti possono essere espresse utilizzando tre unità di misura: l'unità astronomica, l'anno luce e il parsec. L'unità astronomica (UA) corrisponde alla distanza media Terra-Sole ed è un'unità di misura utilizzata quasi esclusivamente nell'ambito del Sistema Solare, mentre l'anno luce e il parsec (già definito in precedenza) vengono utilizzati per misurare la distanza delle stelle. L'anno luce (al) è la distanza percorsa nel vuoto dalla luce in 1anno; equivale a poco meno di 1000 miliardi di km e a 0,31 pc. La seguente tabella riassume quanto introdotto. Unità di misura Definizione Equivalenze Unità astronomica (UA) Distanza media Terra-Sole 5·1011 m 1,58·10-6 al 4,8 ·10-6 pc Anno luce (al) Distanza percorsa dalla luce in un anno 9,5 ·1015 m 63 ·103 UA 0,31 pc Parsec (pc) Distanza alla quale un corpo celeste ha una parallasse p di 1” 3·1016 m 3,26 al 206.225 UA; La misura delle distanze espressa in anni luce offre lo spunto per un'interessante constatazione. La luce non viaggia a velocità infinita, perciò tra il momento in cui viene emessa da una sorgente, come una stella, e l’istante in cui l'osservatore la registra, trascorre sempre un certo tempo. Guardando il cielo, un osservatore ignaro pensa di osservare i corpi celesti così come sono in quel dato istante, in realtà egli osserva sempre eventi passati e neanche contemporanei; sulla Terra giungono, infatti, contemporaneamente le immagini generate dalla luce partita 26 anni fa da Vega (d =26 al) e 650 anni fa dalla Stella Polare (d =650 al). Spostando idealmente il riferimento, se un osservatore potesse osservare la Terra da Andromeda, vedrebbe oggi il nostro pianeta come era 2 milioni di anni fa, prima della comparsa dell'uomo. L'Universo che possiamo osservare non è 7 dunque l'Universo attuale, ma l'Universo di un tempo passato. Più lontano spingiamo lo "sguardo", più ci allontaniamo anche nel tempo. 5. La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine 5.1. Luminosità apparente e luminosità assoluta Le stelle hanno luminosità differente. Possiamo constatarlo guardando il cielo direttamente o misurando l’intensità della luce stellare con un fotometro, uno strumento che misura la quantità di energia che raggiunge il fuoco del telescopio. La luminosità apparente di una stella [II], cioè la luminosità misurata dalla Terra, dipende non solo dalla quantità di energia che essa irradia, ma anche dalla sua distanza dall’osservatore. Infatti, la quantità di luce che percepiamo diminuisce man mano che ci si allontana dalla sorgente e precisamente con il quadrato della distanza. Una stella, perciò, può apparire più splendente di un'altra solo perché si trova più vicina alla Terra. Per esempio, Sirio è la stella più brillante del cielo notturno e brilla 10 volte più di Antares, anche se quest'ultima irradia una quantità di energia circa 250 volte superiore a quella di Sirio. Il diverso splendore apparente di questi due corpi si giustifica considerando la loro distanza dalla Terra: Antares dista più di 500 al, mentre Sirio si trova a meno di 9 al dal nostro pianeta. In generale, quindi, la luminosità apparente di un astro deve essere distinta dalla luminosità assoluta, che dipende dall'energia che la stella irradia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche (energia radiante) attraverso la sua superficie. La luminosità assoluta, o intrinseca, di una stella è l'energia radiante totale, emessa dalla stella nell'unità di tempo La luminosità assoluta di una stella si può dedurre dalla sua luminosità apparente, purché sia nota la distanza dell'astro dalla Terra. Si esprime in joule/secondo, ma spesso si utilizza come unità di misura la luminosità del Sole (LS = 3,83·1026J/s) a cui si attribuisce valore 1. La luminosità assoluta è un dato molto importante: si può, infarti, dimostrare che l'energia emessa da una stella dipende soltanto dalle dimensioni della sua superficie di emissione e dalla sua temperatura superficiale. Poiché la luminosità assoluta aumenta al crescere delle dimensioni e della temperatura superficiale, due stelle con uguale temperatura superficiale possono avere luminosità assoluta diversa, soltanto se hanno una superficie di emissione, e quindi un raggio, differenti. Per la stessa ragione due stelle che hanno le stesse dimensioni, ma temperatura superficiale diversa, devono avere luminosità differente: la stella più calda sarà anche più luminosa. 8 5.2. La magnitudine apparente e la magnitudine assoluta La luminosità delle stelle viene, in genere, espressa mediante la magnitudine, un parametro che permette di confrontare la luminosità di una stella con la luminosità delle altre, stabilendo una scala di grandezza relativa. Per ogni astro si può stabilire una magnitudine apparente e una magnitudine assoluta. La magnitudine apparente è stata introdotta da Ipparco da Samo nel II secolo a.C. Egli suddivise le stelle visibili in sei classi di magnitudine (o grandezza), in base alla loro luminosità apparente: nella scala di Ipparco, a un valore di magnitudine più piccolo corrisponde una luminosità apparente maggiore: le stelle di magnitudine 1 sono le più luminose, mentre le più deboli sono classificate come stelle di magnitudine 6. La scala delle grandezze di Ipparco è stata conservata e perfezionata. Oggi, la magnitudine apparente di un astro si ottiene confrontando la sua luminosità apparente con la luminosità apparente di una stella campione. La stella scelta come campione è la Stella Polare, cui viene assegnata magnitudine apparente 2. La scala delle magnitudini non è lineare, ma logaritmica, in perfetto accordo con la convinzione dell'epoca in cui fu formulata che tutti i sensi umani fossero, rispetto agli stimoli, logaritmici nelle loro risposte (la scala dei decibel, per la misura del tasso del livello sonoro, fu creata logaritmica). Ma in realtà non è proprio così, non per la luce, i suoni e tutto il resto. La nostra percezione del mondo segue le curve dell'energia non quelle logaritmiche. Quindi una stella di magnitudine 3 non ha una luminosità esattamente a metà strada tra 2 e 4, ma un poco meno. Le stelle che sembrano a metà strada sono di magnitudine 2,8. Maggiore il salto di magnitudine, maggiore è questa discrepanza. Passando da un ordine di magnitudine all'altro, la variazione di luminosità è di 2,5 volte. Una stella di magnitudine 2 è perciò 2,5 volte più luminosa di una stella di magnitudine 3 e 2,5 volte meno luminosa di una di magnitudine 1. Salendo di 5 classi di magnitudine la luminosità decresce di 100 volte. Le stelle più luminose hanno magnitudine 0 o addirittura valori negativi. Il Sole, la stella più luminosa del cielo, ha magnitudine apparente -26,8. All'estremo opposto della scala, a occhio nudo si vedono solo gli astri con magnitudine apparente inferiore a 6,5, anche se con i telescopi si rilevano stelle con magnitudine anche superiore a 25. Le stelle che hanno la stessa magnitudine apparente hanno anche la stessa luminosità apparente; ma non necessariamente irradiano la stessa quantità di energia. Infatti due stelle che emettono la stessa quantità di energia hanno luminosità apparente uguale solo se si trovano alla medesima distanza dalla Terra. Per confrontare la luminosità assoluta delle stelle, conviene calcolare quale magnitudine avrebbero se si trovassero tutte alla stessa distanza dalla Terra. Per questo si utilizza la magnitudine, assoluta; definita come la magnitudine apparente che avrebbero le stelle se si trovassero tutte alla distanza di 10 pc (cioè 32,6 al) dalla Terra. 9 Per i valori di magnitudine assoluta si conserva ovviamente il medesimo criterio adottato per la magnitudine apparente: a un valore minore di magnitudine corrisponde un maggiore splendore e viceversa. Le stelle più splendenti hanno valori di magnitudine assoluta negativi. Per ricavare la magnitudine assoluta di una stella dalla sua magnitudine apparente, occorre conoscere la sua distanza dalla Terra. Ciò non è difficile nel caso di stelle vicine, per le quali sia nota la parallasse. Per le stelle di cui non si conosce la distanza, si adottano metodi più complessi. Se un astro è più vicino alla Terra di 10 pc, la sua magnitudine assoluta è maggiore di quella apparente, perché il suo splendore, ponendolo idealmente a una distanza maggiore, diminuisce. Sirio, per esempio, ha magnitudine apparente -1,46 e magnitudine assoluta 1,4, perché si trova a una distanza dalla Terra inferiore a 10 pc (dista 8,7 al). Il Sole, che ha magnitudine assoluta nettamente superiore (4,9) a quella apparente, alla distanza di 10 pc, apparirebbe come una stella di debole luminosità, appena visibile a occhio nudo. Al contrario, se una stella si trova a una distanza dalla Terra superiore a 10 pc, la sua magnitudine assoluta è minore di quella apparente, perché avvicinandola idealmente alla Terra, aumenta di splendore. Betelgeuse si trova a una distanza di 650 al dalla Terra e ha magnitudine assoluta inferiore (-5,6) alla sua magnitudine apparente (0,5). La seguente tabella riassume un po’ di dati, compresi quelli relativi ai pianeti. Catalogando le stelle in base alla loro magnitudine assoluta si può notare un altro dato interessante: molte stelle hanno luminosità variabile. Queste stelle sono chiamate variabili. 10 6. L'analisi spettrale della luce delle stelle Uno dei metodi di indagine più significativi per studiare la natura delle stelle è l'analisi spettrale, che consiste nello scomporre e analizzare le radiazioni elettromagnetiche provenienti dalle stelle. Gli studi spettroscopici hanno evidenziato che gli spettri delle stelle sono sempre spettri di assorbimento. Anche lo spettro solare, se osservato con strumenti sufficientemente potenti, non è in realtà continuo, ma presenta un gran numero di righe nere. La spiegazione di questa caratteristica degli spettri stellari è semplice. Le stelle producono radiazioni elettromagnetiche, nella regione centrale, detta nòcciolo, che si comporta, in prima approssimazione, come un corpo nero. Lo spettro che noi osserviamo, però, non corrisponde alle radiazioni che vengono emesse dal nòcciolo, ma alle radiazioni che emergono dalla stella dopo aver attraversato gli strati di materiali che circondano il nòcciolo. Infatti, ciò che possiamo osservare o fotografare di un corpo celeste è solo la superficie, l'interno è opaco e impenetrabile per tutti i mezzi ottici d'indagine. Lo strato esterno di tutte le stelle è formato da gas, a bassa densità, che assorbono selettivamente, in base alla loro composizione chimica, una frazione delle radiazioni provenienti dall'interno. Perciò, lo spettro di ciascuna stella contiene una serie di righe nere, corrispondenti alle radiazioni assorbite dagli elementi presenti negli strati più esterni (Figura 4). Figura 4 Nello spettro di alcune stelle caldissime, oltre alle righe di assorbimento, sono presenti anche righe di emissione molto brillanti, che si generano quando nello strato esterno sono presenti atomi ionizzati, eccitati a causa della temperatura elevatissima. Analizzando l'intensità delle radiazioni presenti nello spettro e determinando la posizione delle righe di assorbimento è possibile stabilire: . • la composizione chimica della parte superficiale di una stella; • la temperatura degli strati più esterni di una stella. 11 6.1. Composizione chimica Le sostanze presenti nella zona più superficiale di una stella vengono identificate analizzando le righe di assorbimento (le righe nere) presenti sullo spettro. Ogni elemento chimico, infatti, assorbe sempre le medesime radiazioni e genera un insieme di righe di assorbimento caratteristico. Confrontando le righe di assorbimento presenti nello spettro di una stella con gli spettri di assorbimento ottenuti in laboratorio utilizzando atomi, molecole o ioni di composizione nota, si può quindi risalire a la composizione della parte più superficiale di una stella. Con un metodo analogo si possono identificare gli elementi responsabili dell'emissione nelle stelle più calde. L'analisi chimica condotta attraverso lo studio degli spettri ha permesso di scoprire che nell'involucro esterno delle stelle ci sono gli stessi elementi chimici che troviamo sulla Terra, anche se in percentuali molto diverse: i componenti principali della materia stellare sono l’idrogeno e l'elio. che insieme hanno un'abbondanza percentuale superiore al 95%. 6.2. Temperatura La temperatura superficiale di una stella può essere determinata considerando due diversi dati: il colore e la classe spettrale. Per quanto riguarda il colore si può osservare che le stelle assumono un colore diverso a seconda della temperatura che raggiungono. Le stelle meno calde sono rosse, perché irraggiano principalmente luce rossa. Al crescere della temperatura le stelle assumono colori che vanno dall'arancio, al giallo, al bianco-azzurro, al blu. Le temperature determinate in base al colore variano dai 3000 K circa delle stelle rosse ai 40000-60000 K circa delle stelle azzurre. Informazioni più precise sulla temperatura possono essere dedotte studiando le righe di assorbimento presenti negli spettri. Si è notato, infatti, che stelle di uguale colore generano spettri simili, caratterizzati dalla presenza di alcune righe di assorbimento (o di emissione) molto evidenti. Le stelle azzurre, per esempio, generano spettri in cui sono molto evidenti le righe dell'elio ionizzato, le stelle gialle, invece, hanno uno spettro in cui sono molto evidenti le righe dei metalli, mentre le righe di altri elementi, come l'idrogeno o l'elio, sono deboli. In base alla presenza o assenza di righe di assorbimento particolarmente evidenti, corrispondenti a determinati elementi, le stelle possono essere suddivise in classi spettrali. Le stelle che appartengono a una stessa classe spettrale hanno lo stesso colore e generano uno spettro simile, caratterizzato dalla presenza di parti colati righe di assorbimento molto evidenti. I tipi spettrali sono relativamente pochi: sette classi spettrali principali, suddivise in sottoclassi. Ogni classe spettrale è indicata con una lettera dell'alfabeto, O, B, A, F, G, K. M (Figura 5). 12 Le lettere sono disposte in ordine decrescente di temperatura superficiale. Il metodo anglosassone permette di ricordare la scala "OBAFGKM" attraverso l'acronimo scherzoso di "Oh, Be A Fine Girl, Kiss Me". Le sottoclassi sono indicate con un numero che può variare da 0 a 9. Figura 5 Le stelle di una medesima classe spettrale hanno temperatura superficiale simile. Perché le stelle con uguale temperatura superficiale presentano uno spettro simile? Per rispondere bisogna tener presente che l'intensità delle righe di assorbimento di un certo elemento varia in relazione alle condizioni di pressione e temperatura esistenti nella zona superficiale della stella. Per esempio, l'idrogeno atomico assorbe 100 volte meglio nelle stelle con temperatura superficiale pari a 10000 K, cioè più calde rispetto al Sole (6000 K). Perciò, le righe di assorbimento generate dagli atomi di idrogeno risultano ben evidenti nelle stelle con temperatura intorno ai 10000 K, mentre sono meno pronunciate (in particolare nel campo del visibile) nelle stelle più fredde. Le stelle più calde hanno una temperatura di oltre 30000 K appartengono alla classe O, mentre le più fredde hanno temperatura intorno ai 3000 K e appartengono alla classe M. Le stelle di classe O sono rare, tanto che nessuna tra le stelle più splendenti del cielo appartiene a questa classe. Sono, invece, più frequenti le stelle di classe B e di classe A. Il Sole è una stella di tipo spettrale G2 e ha una temperatura superficiale di circa 6000 K. 7. L'effetto Doppler e gli spettri delle stelle Apparentemente le stelle sono sorgenti luminose ferme in una determinata posizione dello spazio. Ciò non corrisponde alla realtà: le stelle si muovono. Muovendosi, le stelle possono cambiare la loro posizione sulla sfera celeste (si modificano quindi declinazione e ascensione retta) o modificare la loro distanza dalla Terra. A causa delle grandi distanze che ci separano, è possibile percepire visivamente solo le componenti del movimento che causano un cambiamento evidente delle coordinate delle stelle sulla sfera celeste, mentre non si riesce a rilevare, solo con l'osservazione diretta, l'esistenza di un movimento di allontanamento o di avvicinamento. Anche la Terra si muove intorno al Sole e perciò rispetto alle stelle. I movimenti di avvicinamento o di allontanamento di una stella o lo spostamento della Terra rispetto a essa possono, essere rilevati, studiando l'effetto Doppler. L’effetto Doppler consiste nella variazione della frequenza della radiazione, causata dal movimento della sorgente rispetto all'osservatore: se sorgente e osservatore si avvicinano, la frequenza della radiazione aumenta; se sorgente e osservatore si allontanano, la frequenza diminuisce. 13 Per comprendere meglio questo fenomeno, è utile ricorrere a un esempio che riguarda le onde sonore. Se, mentre siamo fermi a un semaforo, si avvicina un'ambulanza a sirene spiegate, possiamo notare facilmente che il suono della sirena diventa più acuto, mentre si avvicina e che scende di tono, quando si allontana. Il tono differente dipende da un apparente cambiamento di lunghezza d'onda delle onde sonore, dovuto in realtà a una variazione della frequenza: quando sorgente e osservatore si avvicinano, le lunghezze d'onda si "accorciano" e di conseguenza il suono sale di tono (come se le onde fossero compresse), mentre quando si allontanano reciprocamente si verifica un "allungamento" delle onde sonore che aumentano di lunghezza d'onda (Figura 6). Figura 6 Ciò dipende dal fatto che la sirena si sta muovendo, mentre emette il suono: la sorgente cambia posizione nel tempo, e con essa il punto d'origine da cui si calcola la lunghezza d'onda. Le radiazioni elettromagnetiche si comportano in maniera analoga alle onde sonore: quando una stella è in allontanamento dalla Terra (o viceversa), tutte le righe di assorbimento del suo spettro risultano spostate verso il rosso; quando, invece, una stella è in avvicinamento, le righe di assorbimento risultano spostate verso il campo del blu. L’ampiezza dello spostamento delle righe spettrali è direttamente proporzionale alla velocità di spostamento. 8. Massa e dimensioni delle stelle Le stelle sono corpi sferici, ma le loro dimensioni non possono essere misurate direttamente, se non in alcuni casi eccezionali. Si può calcolare il raggio di una stella, purché si conoscano la sua luminosità assoluta e la sua temperatura superficiale. La luminosità assoluta di una stella, infatti, dipende dalle sue dimensioni e dalla sua temperatura assoluta, secondo la relazione: L = 4πr 2σT 4 Secondo questa relazione, due stelle, che abbiano la stessa temperatura superficiale (e quindi lo stesso colore), potranno avere luminosità e magnitudine assoluta diverse, solo se hanno un raggio diverso. Poiché la temperatura di una stella può essere determinata analizzandone lo spettro e il 14 colore, è possibile calcolare il raggio di stelle di cui sia nota la luminosità assoluta. Dal raggio di una stella si può ricavare il suo volume. Le stelle che hanno un piccolo volume sono chiamate nane (rosse, bianche, gialle in relazione al colore), mentre le stelle di volume maggiore sono chiamate giganti o supergiganti [IV]. La maggior parte delle giganti finora osservate ha un raggio compreso tra 10 e 100 volte il raggio del Sole, ma non mancano stelle con dimensioni un migliaio di volte più grandi del Sole. Epsilon aurigae, per esempio,ha un raggio circa 2000 volte più grande del Sole ed è la più grande stella finora osservata. Le nane più piccole hanno un volume paragonabile a quello della Terra. Non esistono comunque limiti definiti di dimensioni. Il volume di una stella non va confuso con la sua massa: tra queste due grandezze infatti non esiste una relazione univoca: alcune stelle hanno grande volume e grande massa, ma altre hanno grande massa e piccolo volume o al contrario piccola massa e grande volume. La massa è uno dei parametri più importanti nello studio delle stelle, perché ne condiziona l'evoluzione; tuttavia, la massa di una stella può essere misurata con una certa precisione solo quando ci si trova in presenza di stelle doppie o multiple. Le stelle doppie sono un sistema binario di stelle, legate tra loro da attrazione gravitazionale: i corpi girano intorno al baricentro comune. Il primo sistema binario è stato scoperto nel 1650 ed è il sistema di Mizar, nell'Orsa Maggiore. Oltre ai sistemi binari, esistono sistemi multipli che contengono tre o più stelle che si attirano gravitazionalmente l'una con l'altra. Le stelle doppie variabili a eclisse, invece, possono essere riconosciute grazie a periodiche variazioni della luminosità: quando una delle due passa davanti all'altra, la eclissa e ne riduce in parte la luminosità. Infine, alcuni sistemi binari sono riconoscibili solo grazie allo sdoppiamento periodico delle righe spettrali (stelle doppie spettroscopiche): le stelle, muovendosi intorno al baricentro, provocano uno sdoppiamento delle linee spettrali, come previsto in base all'effetto Doppler. Le stelle di un sistema binario si muovono con estrema regolarità, rispettando la legge di gravitazione universale e le leggi di Keplero. Misurando il periodo orbitale e la distanza tra le due stelle, è possibile utilizzare queste leggi per determinarne la massa. Poiché i sistemi binari e i sistemi multipli sono molto frequenti, è stato possibile determinare la massa di un buon numero di stelle. r dati ottenuti vengono in genere espressi utilizzando come unità di misura la massa solare cui viene attribuito valore 1. La massa delle stelle varia considerevolmente, ma in modo indipendente dalla misura del raggio: ciò significa che nelle stelle la densità può essere molto diversa. Betelgeuse, per esempio, ha una massa solo 14 volte più grande di quella del Sole e un raggio almeno 700 volte maggiore, per cui la sua densità è molto inferiore a quella dell'acqua; il Sole ha una densità media di 1,4 g/cm3 e in alcune stelle nane, il cui diametro non supera quello terrestre, la densità raggiunge valori 200.000 volte più elevati di quelli dell'acqua. La maggior parte delle stelle osservate ha massa compresa tra 1/10 e 60 volte la massa del Sole. 15 9. Il diagramma di Hertzsprung-Russell Tra il 1911 e il 1913 due studiosi, E. Hertzsprung e H. N. Russell, elaborarono (pur lavorando indipendentemente) un diagramma a due dimensioni, nel quale veniva messa in evidenza la relazione tra temperatura e luminosità delle stelle. Il grafico originario riportava i dati relativi alle stelle visibili,situate a una distanza dalla Terra non superiore ai 10 pc. Nel diagramma, oggi noto come diagramma H-R (Figura 7), ogni stella è individuata da un punto cui corrispondono due coordinate: sull'asse delle ascisse, la classe spettrale appartenenza sull'asse delle ordinate la luminosità assoluta o la magnitudine. Nel diagramma H-R, le classi spettrali indicano la temperatura superficiale della stella e vengono disposte in ordine di temperatura decrescente da sinistra a destra: nel diagramma, quindi, le stelle più calde si trovano a sinistre, le stelle più fredde, a destra [II]. La luminosità, calcolata assegnando valore 1 al Sole, aumenta dal basso verso l'alto. Perciò, le stelle che si trovano in alto nel diagramma sono le più luminose; in basso ci sono, invece, le stelle meno luminose. Inoltre, a parità di temperatura, le stelle che si trovano in basso nel diagramma sono più piccole rispetto a quelle che si trovano più in alto. Figura 7 Nonostante l'esistenza di una grande varietà possibile di tipi spettrali, le stelle si concentrano in aree precise del diagramma H-R. La maggior parte delle stelle si trova in una fascia, detta sequenza principale, che attraversa il diagramma obliquamente, dall'alto a sinistra in basso a destra. Le stelle della sequenza principale appaiono disposte in ordine decrescente di dimensioni e temperatura, dalle stelle azzurre (come Spica), caldissime e di dimensioni relativamente grandi, alle 16 stelle rosse (come Proxima Centauri), più fredde e piccole. Nella sequenza principale troviamo anche il Sole e stelle come Siria, Altair, Deneb e Regolo. Quasi tutte le stelle rimanenti si dispongono in due aree del diagramma, nettamente distinte: sopra la sequenza principale, spostato a destra, si trova un gruppo di stelle molto luminose, ma relativamente fredde, dette giganti e supergiganti rosse; a sinistra della sequenza principale, in basso, si trova un gruppo di stelle piccole (alcune hanno le dimensioni della Terra, il cui raggio è 6,37·106 m), ma decisamente calde, denominate nane bianche. Le supergiganti rosse sono le stelle di maggiori dimensioni del diagramma, mentre le nane bianche sono le più piccole. Circa l'85% delle stelle appartiene alla sequenza principale, solo il 3-6% alle nane bianche e il 10% alle giganti e supergiganti rosse. Infine, alcune stelle si collocano in una striscia orizzontale corrispondente circa a magnitudine assoluta 0,5. Questo ramo orizzontale collega la sequenza principale alla regione delle giganti rosse. Nel diagramma H-R non viene messa in evidenza alcuna relazione diretta tra luminosità, temperatura e massa delle stelle. Tuttavia, studi successivi alla pubblicazione del diagramma H-R hanno permesso di dimostrare che la luminosità (e quindi la posizione sul diagramma) di una stella della sequenza principale dipende dalla sua massa. Ciò significa che tra le stelle della sequenza principale, quelle bianco-azzurre sono le stelle con massa maggiore (anche 50-60 volte la massa solare), mentre le stelle rosse, più fredde e meno luminose, sono quelle che hanno massa più piccola (fino a 0,1 masse solari). La relazione massa-luminosità non è, invece, valida per le stelle che si trovano al di fuori della sequenza principale. Per esempio, le giganti e le supergiganti rosse-arancio, collocate in alto a destra del diagramma, sono stelle molto luminose, perché hanno una superficie molto più estesa di quella e Sole, ma la loro massa non è superiore a quella di gran arte delle stelle della sequenza principale: sono stelle enormi e poco dense. Al contrario, le nane bianche sono piccolissime, ma hanno una massa (e quindi una densità) elevata: Sirio β, la prima nana bianca osservata, ha una massa pari a circa 0,9 masse solari, ma un diametro poco più grande della Terra e una luminosità 400 volte inferiore al Sole. 9.1. Interpretazione del diagramma H-R Il diagramma H-R è il punto di riferimento più importante per comprendere l'evoluzione stellare. L’attuale interpretazione del diagramma si basa sulle seguenti ipotesi: • le stelle rappresentate si trovano in momenti diversi della loro evoluzione, ci sono dunque stelle giovani e stelle anziane, accanto a stelle di mezza età; • le regioni del diagramma entro le quali vi è la maggior densità di punti corrispondono alle condizioni fisiche (temperatura e luminosità) più frequenti e comuni; 17 • ogni regione del diagramma occupata corrisponde a uno stadio possibile della vita di una stella, perciò le regioni più affollate rappresentano le fasi evolutive in cui una stella trascorre la maggior parte della sua esistenza. In altre parole, si può considerare il diagramma H-R come una "fotografia" di stelle di età diverse, colte in uno stesso istante. Allo stesso modo, passeggiando un pomeriggio lungo una strada o una spiaggia affollata ci si trova di fronte a individui in stadi diversi della vita, dai neonati agli anziani, e si può cercare approssimativamente di ricostruire le diverse fasi della vita umana e la loro durata, basandosi sulla frequenza dei vari tipi di individui. Nel paragone, un astrofisico ha a disposizione un tempo di osservazione di circa un'ora per comprendere i vari stadi della vita umana e ricostruirli in modo attendibile2. Il paragone non si adatta perfettamente: al contrario degli individui della specie umana, che crescono e invecchiano seguendo un ritmo simile, le stelle evolvono secondo modalità e tempi diversi l'una dall'altra. Questa interpretazione conduce subito a due interessanti conclusioni: 1. le stelle non occupano, nel corso della loro esistenza, sempre lo stesso punto del diagramma; la posizione di una stella sul diagramma dipende da vari fattori (massa, età, composizione chimica) che, come vedremo, si modificano nel tempo, per questo la posizione che una stella occupa non è fissa, ma cambia mentre la stella si trasforma; 2. la sequenza principale, dove si trova la massima densità di punti, rappresenta la fase più lunga e stabile della vita di una stella. Nella sequenza principale si trovano le stelle che hanno una struttura simile al Sole e che differiscono dalla nostra stella per massa e temperatura. Nane bianche e giganti rosse dovrebbero, invece, essere stadi evolutivi diversi delle stelle della sequenza principale. 10. Le forze che agiscono nelle stelle I dati che abbiamo esaminato ci aiutano a capire che esistono stelle caratterizzate da parametri fisici (massa, volume, colore, temperatura) differenti. Resta da chiarire la questione fondamentale di tutto il percorso: come sono fatte al loro interno le stelle e come producono energia? Nel rispondere a questo interrogativo, è necessario tener presente un dato importante: non è possibile né osservare direttamente la struttura interna di una stella, né rilevarne le caratteristiche fisiche e chimiche. A causa di queste difficoltà, gli studi sulla struttura e sull'energia delle stelle sono studi teorici, svolti applicando le leggi della Fisica a corpi con dimensioni e composizione simili alle stelle. In base alle leggi fisiche, vengono costruiti modelli degli interni stellari e delle possibili trasformazioni che subiscono nel tempo. I modelli proposti vengono poi 2 Considerando che l’età dell’Universo è dell’ordine delle decine di miliardi di anni, e che la scienza studia le stelle da un centinaio di anni, approssimando la vita di un uomo a circa 100 anni, si ha che: 10 2 2 (10 anni):(10 ) = (10 anni·360 giorni/anno·24ore/giorno):(1 ora). La proporzione, eseguendo i dovuti calcoli, è esatta. 18 confrontati con i dati ricavati dall'osservazione dei corpi celesti, per verificarne la validità. I modelli attualmente accettati sono stati costruiti partendo da due presupposti: a) La forza di attrazione gravitazionale gioca un ruolo importantissimo nella storia di una stella. Le stelle sono sfere di massa enorme, sottoposte all'azione di una forza di gravità diretta sempre dalla superficie verso il centro. Per effetto di tale forza, gli strati esterni esercitano una forte pressione sugli strati interni delle stelle, che tendono spontaneamente a contrarsi, cioè a collassare. La contrazione però si realizza solo in momenti particolari della vita della stella, quando la forza gravitazionale non viene contrastata adeguatamente dalla "resistenza" opposta dai materiali presenti all'interno della stella. In ogni caso, quando avviene un collasso gravitazionale, la temperatura interna della stella aumenta, perché l'energia gravitazionale potenziale liberata nella contrazione viene trasformata in calore. L'energia irraggiata nella contrazione è importante, perché consente alla stella di raggiungere nel nòcciolo condizioni di temperatura che non si realizzano sulla Terra. La forza gravitazionale ha intensità diversa a seconda della massa delle stelle: le stelle di massa maggiore generano una forza gravitazionale più intensa, perciò si contraggono più rapidamente e raggiungono alloro interno temperature più elevate, rispetto alle stelle che hanno una massa minore. Il calore prodotto dalla contrazione gravitazionale, in ogni caso, non è sufficiente per spiegare la produzione di onde elettromagnetiche. b) L'energia emanata dalle stelle, sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, viene prodotta al loro interno attraverso reazioni di fusione termonucleare nelle quali avviene la trasformazione di massa in energia. Le reazioni di fusione termonucleare sono reazioni in cui due o più di nuclei atomici si uniscono per formare un solo nucleo più complesso. Le reazioni termonucleari più importanti nelle stelle sono quelle che portano alla fusione di nuclei di idrogeno, con la formazione di nuclei di elio: da quattro nuclei di idrogeno si ottiene un nucleo di elio. Le reazioni di fusione termonucleare hanno una importante caratteristica: il nucleo che si forma ha quasi sempre massa minore rispetto alla somma delle masse dei nuclei iniziali. Si verifica, quindi, una perdita di massa (difetto di massa). Nella reazione di fusione dell'idrogeno, per esempio, il nucleo di elio prodotto ha una massa inferiore alla somma delle masse dei 4 nuclei di idrogeno da cui deriva. Albert Einstein (Figura 8) ha dimostrato che la massa "perduta" (m) viene trasformata in energia (E) secondo la relazione: E =mc2 dove c è la velocità della luce. Figura 8 19 L'energia prodotta in questi processi è enorme e largamente sufficiente per garantire il "funzionamento" di qualsiasi stella: la trasformazione di 1 kg di materia (una quantità insignificante per le stelle) produce una quantità di energia pari a 9·1014J, quanto 450.000 motori di Formula 1 spinti al massimo per un’ora!!! Le reazioni di fusione termonucleare possibili nelle stelle sono diverse, ma tutte vengono innescate solo quando temperatura e densità raggiungono valori determinati e molto elevati. Perché si realizzi una reazione di fusione è necessario, infatti, vincere le repulsioni elettrostatiche che si realizzano quando i nuclei degli atomi (che hanno carica positiva) si avvicinano l'uno all'altro. Per superare tale repulsione, i nuclei atomici devono avere un’energie cinetica e una velocità considerevoli. Questa condizione si attua solo quando la materia si trova a temperature elevatissime, superiori al milione di kelvin. Anche la pressione esterna è importante: se la pressione aumenta, i nuclei sono costretti a muoversi in uno spazio ridotto e hanno maggiore probabilità di scontrarsi, mentre si muovono caoticamente. Le reazioni di fusione nucleare, quindi, possono avvenire solo nel nòcciolo delle stelle, dal momento che, nell'involucro esterno, non sussistono normalmente le condizioni di temperatura e pressione indispensabili. Gli strati esterni della stella, quindi, non producono, ma assorbono e trasmettono all'esterno l'energia prodotta al centro della stella. La reazione di fusione più semplice è quella che utilizza i nuclei di idrogeno (carica +1) per produrre nuclei di elio (carica +2). In molte stelle tuttavia possono avvenire altre reazioni di fusione che producono nuclei di elementi con carica positiva superiore rispetto all’ elio. È possibile, per esempio, la fusione di nuclei di elio con produzione di nuclei di carbonio. È importante a questo proposito sottolineare che le condizioni di temperatura necessarie per attivare le reazioni non sono sempre le stesse: le temperature richieste aumentano, al crescere della carica positiva dei nuclei. Per esempio, le reazioni di fusione dell'idrogeno avvengono efficacemente solo quando la temperatura supera i 10 milioni di kelvin, mentre le reazioni di fusione dell'elio richiedono temperature di un centinaio di milioni di kelvin. Si è constatato, inoltre, che le reazioni di fusione nucleare che consumano nuclei con carica superiore alla carica del nucleo del ferro non liberano energia, perché non vi è difetto di massa. Bisogna, infine, rilevare che l'energia prodotta nelle reazioni termonucleari all'interno di una stella non viene dissipata integralmente all'esterno sotto forma di luce e calore: una parte, come si detto, riscalda la materia dentro la stella, creando una pressione rivolta verso l'esterno. Tale pressione, detta pressione di radiazione, si oppone alla pressione generata dalla forza di gravità e impedisce il collasso della stella. La stella, pertanto, collassa solo nelle fasi in cui le reazioni termonucleari non avvengono. A causa delle reazioni termonucleari le stelle modificano nel tempo la loro composizione chimica (perché si producono nuovi elementi chimici) e riducono, anche se di poco, la loro massa. Ogni stella, inoltre, è destinata a spegnersi, perché le reazioni termonucleari possono durare solo finché esistono i materiali reagenti e vengono mantenute le condizioni di temperatura e pressione necessarie. In astrofisica, quindi, si parla di nascita, evoluzione e morte delle stelle. 20 Si parla di nascita di una stella, quando in un corpo celeste si innescano le reazioni termonucleari con produzione di luce e calore, mentre con l'espressione evoluzione delle stelle si indicano tutti i cambiamenti che si susseguono dal momento in cui una stella comincia a brillare, fino al momento della sua morte, quando, molto spesso in seguito a fenomeni esplosivi e clamorosi, si spegne, terminando le reazioni termonucleari. 11. La nascita delle stelle Le stelle si formano per condensazione di polveri e gas interstellari [II]. Lo spazio interstellare, infatti, non è vuoto, anche se la materia molto rarefatta (si calcola che la densità media sia di 1 particella per centimetro cubo), e frequentemente si possono osservare ammassi di gas più densi, detti nebulose interstellari. Queste nubi hanno dimensioni estese (diversi anni luce di diametro) e contengono in prevalenza idrogeno (circa 90%), l'elemento più leggero e più diffuso nell'Universo, elio, insieme a gas e polveri costituiti di elementi e composti più pesanti. La densità delle nebulose, anche se superiore a quella delle regioni circostanti, è molto bassa: da 1.000 a 10.000 particelle per centimetro cubo. In queste nubi, per eventi casuali, possono formarsi zone più dense (nelle quali la densità sale anche fino 100.000 particelle per centimetro cubo), che appaiono scure e di forma globulare. Una stella si forma quando i gas di una regione densa cominciano a coagulare e la nube collassa,cioè si contrae. Non è facile capire il meccanismo che innesca il processo, ma è chiaro che deve verificarsi un aumento locale della densità: si forma cioè un grumo più denso che comincia ad attirare polveri e gas accrescendo così la sua massa. Il fattore determinante nella fase iniziale di formazione di una stella è quindi la forza gravitazionale. In un arco di tempo “relativamente” breve (qualche decina di migliaia di anni), al centro della nube si forma una protostella, una massa gassosa più densa, di dimensioni variabili, che lentamente si contrae e si scalda. L'energia gravitazionale, infatti, durante la contrazione, viene convertita in calore, che in parte scalda l'interno della protostella, in parte viene dissipato verso l’esterno. Per questa ragione, la temperatura all’interno della protostella cresce lentamente, passando da un valore inferiore ai 10 K (temperatura iniziale della nebulosa) al migliaio di kelvin, ed essa comincia a emettere energia sotto forma di radiazioni infrarosse. Le protostelle hanno una temperatura superficiale molto bassa e una luminosità ridotta e molto spesso variabile perché l'emissione di radiazioni avviene in modo irregolare. Sul diagramma H-R le protostelle si collocano nel settore in basso a destra. Anche se vi è una certa emissione di radiazioni, nelle protostelle non si svolgono reazioni termonucleari. Con il procedere della contrazione, la pressione e la temperatura aumentano in modo considerevole,specialmente nella regione centrale della protostella, anche perché cresce la densità dei materiali, che diventano più opachi e trattengono maggiormente la radiazione. 21 Con il passare del tempo il diametro della protostella si riduce ulteriormente, perché la forza gravitazionale non è contrastata da una pressione di radiazione. Quando la temperatura nella zona più interna della protostella supera i 10 milioni di kelvin, iniziano le reazioni di fusione termonucleare e la protostella diventa una vera e propria stella. L’energia prodotta nelle reazioni di fusione impedisce un ulteriore collasso gravitazionale e la stella assume dimensioni stabili. Inoltre, il calore liberato "spazza" via e riscalda i gas residui della nebulosa originaria, rimasti come un involucro intorno alla stella, che diventa visibile, perché l'energia prodotta al suo interno viene in parte dissipata all'esterno, sotto forma di radiazioni elettromagnetiche. La fase prestellare, cioè l'insieme dei fenomeni che da una nebulosa in contrazione portano alla formazione della stella, ha una durata diversa a seconda della massa della protostella. Quando la protostella ha una grande massa, l'energia gravitazionale è più elevata e la contrazione procede più velocemente, provocando un aumento più rapido della densità e della temperatura; se invece la massa è piccola la contrazione è meno intensa e il processo più lento. Le stelle come il Sole impiegano circa 30 milioni di anni per raggiungere la sequenza principale, mentre stelle con massa maggiore impiegano poche centinaia di migliaia di anni. I corpi caldi con massa troppo piccola (inferiore a 1/10 della massa solare) non sviluppano, durante la contrazione, energia sufficiente per innescare i processi di fusione nucleare, perciò non si trasformano in stelle. Al limite opposto, si calcola che non si possano formare stelle con massa superiore a un centinaio di masse solari, perché probabilmente nelle nebulose con masse così elevate si innescano processi diversi, che portano alla formazione contemporanea di più protostelle, come si può osservare nella Figura 9, che ritrae la nebulosa Testa di fantasma (NGC 2080) fotografata da Hubble. Figura 9 22 12. Le stelle della sequenza principale In una stella appena formata, pressione e temperatura crescono gradualmente dall'esterno verso l'interno, fino a raggiungere al centro della stella valori tanto elevati da essere incompatibili con i normali stati fisici della materia. Gli strati più esterni si comportano come un gas in massima parte ionizzato, molto caldo e rarefatto, mentre nel nòcciolo, dove la pressione supera i 500 miliardi di atmosfere e la temperatura raggiunge i 10-15 milioni di kelvin, la materia si trova allo stato di plasma: gli elettroni si separano dai nuclei atomici con cui si mescolano liberamente. Nel nòcciolo della stella i nuclei atomici e gli elettroni sono dotati di energia cinetica elevatissima (proporzionale alla temperatura assoluta) e si muovono molto rapidamente, urtandosi frequentemente in uno spazio ridotto, a causa dell'alta densità esistente. In queste condizioni i nuclei atomici riescono a vincere la reciproca repulsione elettrostatica e ad avvicinarsi fino a fondersi. Nel plasma del nòcciolo della stella si svolgono quindi le reazioni termonucleari (spesso indicate impropriamente con il termine "bruciamento"). In questa prima fase di vita stellare vengono principalmente prodotti nuclei di elio, partendo da nuclei di idrogeno. Questo, infatti, è il costituente fondamentale delle stelle; inoltre, le reazioni di fusione dell'idrogeno possono essere avviate a temperature inferiori rispetto alle reazioni di fusione. Secondo i modelli teorici, elaborati tenendo conto delle condizioni di temperatura e pressione esistenti all'interno del nòcciolo, le reazioni di fusione avvengano con modalità diverse nelle stelle di grande massa e in quelle di piccola massa, anche se il risultato è sempre lo stesso: si consuma l'idrogeno presente nel nucleo e si producono nuclei di elio. Nelle stelle di massa inferiore a 1,5 masse solari, la temperatura del nòcciolo non supera i 15 miliardi kelvin e in queste condizioni la produzione di elio avviene mediante un processo, denominato ciclo protone-protone, mentre nelle stelle più pesanti, specialmente quelle delle classi spettrali O, B, A, la temperatura del nòcciolo supera i 20 milioni di kelvin e prevale un processo, denominato ciclo carbonio-azoto-ossigeno. Descriviamo sinteticamente i due processi [II]. Nel ciclo protone-protone possiamo individuare una via principale e diversi processi collaterali meno importanti dal punto di vista quantitativo. In questa contesto descriveremo il processo principale che, per comodità, suddivideremo in due fasi. Prima fase: fusione di due protoni (cioè due nuclei di idrogeno deuterio è l'idrogeno 2 1H, 1 1H) con produzione di deuterio (il che possiede un protone e un neutrone nel nucleo). Questa fusione libera energia comporta la trasformazione di un protone in un neutrone,mediante l'espulsione di un neutrino (ν). Oltre al deuterio, quindi, vengono prodotti anche 1 neutrino, 1 elettrone positivo (e+) e radiazioni γ, cioè fotoni. Il deuterio si fonde, a sua volta, con un altro protone, formando un nucleo di elio “leggero" (32He), contenente due protoni e un neutrone. Anche in questa fase viene liberata energia, sempre sotto forma di raggi γ. 23 Seconda fase: i nuclei di elio “leggero” vengono trasformati in nuclei di elio 4 2He. La trasformazione può avvenire con modalità diverse. Nella maggior parte dei casi (85%), due nuclei di uniscono direttamente, producendo un nucleo di 4 2He 3 2He si (formato da due protoni e due neutroni). Questa reazione produce anche 2 protoni, che possono essere utilizzati per un nuovo ciclo. In totale,dunque, 6 protoni sono stati immessi nel ciclo e 2 sono stati restituiti, alla fine, insieme al nucleo di elio. Il bilancio, complessivo del ciclo è: 411H → 24He + 2e + + 2ν + 3,2MeV (γ ) Nella successiva Figura 10 è schematizzato l’intero ciclo. Figura 10 Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno inizia quando un nucleo di idrogeno penetra in un nucleo di carbonio, 12 6C, formando un nucleo di azoto instabile 13 7N che va incontro a ulteriori trasformazioni in cui vengono assorbiti altri tre protoni. Al termine del ciclo viene rigenerato un nucleo di carbonio 12 6C identico a quello di partenza e viene espulso un nucleo di elio 4 2He. ll bilancio complessivo è identico a quello deI ciclo protone-protone: dall' assorbimento di 4 protoni si forma un nucleo di 4 2He, 2 elettroni positivi ed energia, sotto forma di raggi γ. Di seguito sono riportate le reazioni del ciclo. 12 6C 13 7N → 136C + e+ + ν 6C + 11H → 147N + γ 7N + 11H → 158O + γ 13 14 15 15 + 11H →137N + γ 8O 7N → 157N + e+ + ν + 11H → 126C + 42He Queste due reazioni di fusione comportano un difetto di massa dello 0,7%: ogni volta che si realizza la fusione di 4 nuclei di idrogeno in un nucleo di elio, lo 0,7% della massa viene trasformato in energia, emessa sotto forma di raggi γ. Di conseguenza, si stabilisce un equilibrio tra la pressione generata dalla forza di gravità e la pressione di radiazione, provocata dall'energia liberata dalle reazioni di fusione nucleare. 24 Una stella che si trovi in questa fase è stabile, cioè non si espande e non si contrae. L’energia prodotta sotto forma di raggi γ dal nòcciolo viene assorbita dagli involucri circostanti il nòcciolo, che la trasferiscono molto lentamente verso l'esterno, mediante meccanismi di convezione e irraggiamento. Nel trasporto, l'energia viene in parte dissipata per riscaldare l'interno della stella, perciò la superficie della stella emana radiazioni elettromagnetiche in tutto lo spettro, ma è molto più fredda rispetto al nòcciolo. La temperatura superficiale sarà comunque tanto più elevata quanto maggiore è l'energia prodotta nelle reazioni termonucleari. Sul diagramma H-R, le stelle di questo tipo si trovano sulla sequenza principale. La posizione che occupano sulla sequenza principale dipende dalla loro massa. Le stelle con massa maggiore sono quelle più luminose e calde, perché devono consumare una maggior quantità di idrogeno per generare una pressione di radiazione sufficiente a impedire il collasso gravitazionale. Esse quindi si collocano in alto a sinistra nel diagramma, mentre le stelle di piccola massa si collocano in basso a destra. Le reazioni termonucleari non hanno soltanto effetti energetici: la composizione chimica del nòcciolo, infatti, si modifica e con il passare del tempo aumenta la percentuale di elio, mentre diminuisce quella di idrogeno. Inoltre, la massa della stella si riduce, anche se questo effetto ha scarsa influenza sulla sua evoluzione:si calcola che nel Sole la riduzione di massa comporti una perdita di circa 5 miliardi di kg al secondo. Una massa enorme dal nostro punto di vista, ma insignificante in questo contesto: da quando si è formato, circa 5 miliardi di anni fa, il Sole ha perso meno di 1 millesimo della sua massa. Le stelle della sequenza principale, come abbiamo detto, sono in equilibrio e permangono in questo stadio finché l'energia prodotta nelle reazioni di fusione è uguale all'energia irradiata. Tale fase di equilibrio dura per tempi lunghissimi, ma prima o poi tutte le stelle attraevano una fase di instabilità, nella quale escono dalla sequenza principale perché modificano luminosità, temperatura superficiale e dimensioni. La ragione di tale instabilità è semplice: la stella può utilizzare per le reazioni nucleari solo l'idrogeno del nòcciolo e questo con il passare del tempo si esaurisce. Negli strati esterni, l'idrogeno è presente abbondantemente, ma non esistono le condizioni di pressione e temperatura necessarie per la fusione. Quando quasi tutto l'idrogeno del nòcciolo è trasformato in elio, le reazioni si arrestano e vengono a mancare le condizioni che garantivano l'equilibrio della stella. Il tempo necessario alla stella per consumare l'idrogeno del nòcciolo varia con la massa. Infatti, le stelle di massa maggiore, per poter contrastare efficacemente la contrazione gravitazionale, devono consumare l'idrogeno molto più velocemente rispetto alle stelle di piccola massa e la loro permanenza sulla sequenza principale è più breve. Una stella con massa pari a 20 masse solari, per esempio, resta sulla sequenza principale per circa 1 milione di anni; le stelle di massa simile al Sole permangono nella fase stabile anche 10 miliardi di anni e le stelle di massa pari a 0,5 masse solari possono restare sulla sequenza anche 30 miliardi di anni. In generale comunque una stella passa sulla sequenza principale circa il 70% della sua vita. 25 13. Dalla sequenza principale alle giganti rosse In tutti i casi, quando la stella ha consumato l'idrogeno del nòcciolo, le reazioni di fusione si esauriscono e la stella riprende a contrarsi, per effetto della forza di gravitazione. Il destino della stella a questo punto è condizionato dalla massa. Se la stella ha una massa inferiore a 0,5 masse solari, la contrazione riscalda il nucleo senza tuttavia raggiungere i valori necessari per innescare nuove reazioni termonucleari. La contrazione quindi procede incontrastata, provocando soltanto un aumento della densità e della pressione. La stella si spegne e muore. Invece, nelle stelle con massa superiore a 0,5 masse solari, la contrazione provoca un considerevole aumento della temperatura interna. La stella in questa fase ha un nòcciolo formato da elio, intorno al quale c'è un involucro costituito principalmente da idrogeno. Il calore prodotto dalla contrazione ha un primo effetto importante: nella regione circostante al nocciolo si innescano le reazioni di fusione dell'idrogeno in elio (perché si raggiungono anche in questa zona i valori di temperatura necessari). Gli strati più esterni della stella, riscaldati dall'energia prodotta dalle nuove reazioni di fusione, si espandono. L’involucro esterno perciò si dilata e contemporaneamente si raffredda, provocando un aumento considerevole delle dimensioni della stella,che assume una colorazione rossastra a causa della diminuzione della temperatura superficiale. La stella si trasforma in una gigante rossa e "si sposta" sul diagramma H-R nella regione in alto a destra. Le stelle di grande massa si trasformano in giganti rosse in poche migliaia di anni, mentre le stelle di piccola massa possono impiegare anche milioni di anni. Inoltre, la trasformazione di una stella della sequenza principale in gigante rossa può avvenire tranquillamente, oppure attraverso una serie di fasi instabili, in cui la stella alterna contrazione ed espansione. In questo caso la luminosità,condizionata dal periodico variare delle dimensioni, oscilla e la stella diventa una stella variabile. Mentre la stella diventa una gigante rossa, al suo interno avviene un altro cambiamento; la regione centrale, composta principalmente di elio, si contrae e si scalda, fino a raggiungere una temperatura intorno ai 100 milioni di kelvin, e prendono avvio le reazioni di fusione nucleare che trasformano l'elio in carbonio, denominato ciclo 3α, poiché coinvolge 3 nuclei di elio [I]: 4 2He + 4 2He → 84Be + γ 8 + 4 2He → 126C + γ 4Be L’energia liberata da questa reazione impedisce al nucleo di collassare ulteriormente e la gigante rossa raggiunge suo equilibrio. Nelle giganti rosse è presente un nòcciolo denso costituito da due zone: una regione centrale in cui l'elio viene trasformato in carbonio, circondato da un involucro in cui l'idrogeno viene trasformato in elio. La gigante rossa mantiene la sua stabilità per un certo periodo, poi entra in una nuova fase di instabilità: infatti, quando l'elio del nucleo si è trasformato in carbonio, le reazioni di fusione si arrestano e riprende la contrazione, con conseguente aumento della temperatura interna. 26 La successiva evoluzione della gigante rossa è ancora condizionata dalla sua massa. Se la gigante rossa ha una massa piccola (inferiore a 2 masse solari), non vengono raggiunte le temperature necessarie a innescare nuove reazioni di fusione e la stella entra nella fase finale della sua vita e si spegne. Se, invece, la stella ha una massa abbastanza grande, la densità e la temperatura interna aumentano velocemente fino a valori che permettono di attivare le reazioni di fusione dell'elio in un guscio intorno al nòcciolo. Contemporaneamente, il nòcciolo si contrae e, se raggiunge le temperature necessarie (almeno 800 milioni di kelvin), in esso si avviano le reazioni di fusione del carbonio, con produzione di elementi più pesanti,come ossigeno,magnesio e neon. Gli strati esterni riscaldati si espandono ulteriormente e la stella diventa una supergigante rossa. Essa ha una struttura a involucri concentrici (Figura 11), con un nocciolo a strati in cui avvengono reazioni di fusione diverse: al centro si producono gli elementi più pesanti, mentre negli involucri circostanti si producono rispettivamente carbonio ed elio. Figura 11 Ogni volta che si esaurisce il "combustibile" del nòcciolo, la stella riprende a contrarsi e riscaldarsi e, se riesce, attiva nuove reazioni termonucleari nelle quali l'ossigeno viene trasformato in silicio,zolfo ecc. Ogni stadio produce elementi più pesanti ed è più breve di quello precedente; inoltre, la fusione richiede temperature sempre maggiori (anche di miliardi di kelvin), perché, aumentando la carica positiva dei nuclei, aumentano le forze repulsive da vincere. Per questo, l'evoluzione di una supergigante rossa procede diversamente a seconda della massa: le stelle più massicce raggiungono temperature più elevate nel nòcciolo e si innescano le reazioni termonucleari che portano alla formazione di elementi molto pesanti; le stelle con massa minore si arrestano prima In tutti i casi i processi di fusione possono proseguire solo fino alla formazione dei nuclei di ferro. Le reazioni di fusione, a partire da nuclei di ferro, infatti, non liberano energia, ma la assorbono, perciò, quando una stella giunge alla formazione. del ferro, comunque si arresta la produzione di energia nucleare. Lo stadio di gigante o supergigante rossa ha una durata molto breve rispetto allo stadio di sequenza principale; infatti, l'energia prodotta dalla fusione dell'elio o di altri elementi pesanti è in proporzione minore rispetto a quella prodotta nella fusione dell'idrogeno. Nel caso del Sole questa fase dovrebbe durare circa 1 miliardo di anni. 27 14. La morte di una stella: nane bianche, stelle a neutroni e buchi neri Quando le reazioni termonucleari si arrestano definitivamente, il nucleo non è più in grado di contrastare la forza gravitazionale che provoca il collasso della stella. La fase finale della vita di una stella è dunque condizionata dall'intensità della forza gravitazionale che agisce al suo interno [II]. Tale forza, come sappiamo, dipende dalla massa, perciò stelle di massa diversa hanno destini differenti. Le stelle con massa inferiore a 8 masse solari, in genere, attraversano una fase di instabilità, durante la quale espellono gli strati più esterni, che si dilatano formando nebulose sferiche, dette nebulose planetarie. In questa fase, la stella perde buona parte della sua massa e il nocciolo residuo diventa visibile come un corpo di piccole dimensioni molto denso e caldo, detto nana bianca (Figura 12). Figura 12 All'interno della nana bianca non avvengono reazioni termonucleari, ma la temperatura superficiale è ancora molto elevata, perché viene disperso all'esterno il calore residuo. Anche se la temperatura superficiale può superare i 30000 K, la stella appare poco luminosa a causa elle dimensioni ridotte. Il diametro delle nane bianche, infatti, è piccolo, paragonabile a quello terrestre, mentre la densità arriva a valori dell'ordine di 109 kg/m3. La materia all'interno della nana bianca si trova in uno stato degenere: gli elettroni sono separati dai nuclei, come nel plasma ma si dispongono intorno a essi avvicinandosi più possibile gli uni dagli altri fino a quando la repulsione elettrostatica non impedisce un ulteriore collasso. La materia allo stato degenere resiste alla contrazione ed esercita una pressione, detta pressione degenere, che sostiene la stella, indipendentemente dal suo stato termico interno. 28 La nana bianca, perciò, non può contrarsi ulteriormente, ma in un arco di tempo lunghissimo si raffredda, fino a diventare una nana nera, un corpo denso e oscuro non più visibile. Le nane nere diversamente dalle nebulose planetarie e dalle nane bianche, non sono mai state osservate: i tempi necessari per raffreddare una nana bianca fino a questo stadio, infatti superano l'età attuale dell’universo. La trasformazione di una gigante rossa in una nana bianca può avvenire anche con modalità diverse da quelle descritte. Si ritiene, per esempio, che le stelle con massa inferiore a 0,5 masse solari si trasformino direttamente in una nana bianca, senza attraversare lo stadio di nebulosa planetaria, Inoltre, l'evoluzione di una nana bianca può essere accompagnata da una fase esplosiva nella quale si realizza un improvviso aumento di luminosità della stella, pari anche a 1 milione di volte, con una variazione di magnitudine di 11-12 classi. Le stelle che manifestano questo rapido aumento di luminosità sono chiamate novae e in genere declinano rapidamente [V]. Si tratta quasi sempre di stelle che appartengono a sistemi binari. È raro che, infatti, nei sistemi binari le stelle si trovino nella stessa fase evolutiva. Può, così, capitare che in un sistema binario si trovino vicine una nana bianca e una gigante rossa. Secondo i modelli teorici quest’ultima perderebbe materia dallo strato esterno espanso e tale materia sarebbe attratta dalla nana bianca. La caduta di gas sulla nana bianca innescherebbe nuove reazioni termonucleari con fenomeni esplosivi esterni e si formerebbe così una nova. È stato dimostrato che le nane bianche non possono avere una massa superiore a 1,44 masse solari (limite di Chandrasekhar) [XIII]. Se, infatti, la massa supera questo valore critico, la pressione degenere non è in grado di impedisce il collasso gravitazionale. Per questo muoiono come nane bianche le stelle che hanno un nòcciolo relativamente piccolo, cioè quelle con massa inferiore a 8 masse solari. Le stelle di massa superiore a 8 masse solari muoiono in nodo catastrofico diventando supernovae. Una supernova è una stella che esplode violentemente, aumentando anche di 1 miliardo di volte la sua luminosità. L’esplosione è causata probabilmente da un rapido collasso del nucleo, che libera in breve tempo un'enorme quantità di energia gravitazionale, che scalda e dilata velocemente l’involucro esterno e attiva nuovi processi nucleari di fusione e cattura elettronica. Si tratta di un evento molto rapido che provoca l'espulsione nello spazio di una parte consistente della materia della stella, che si espande a velocità elevatissima (migliaia di km/s). Gli elementi che la stella ha prodotto nelle reazioni termonucleari quelli (anche più pesanti del ferro) possono formarsi durante la stessa fase esplosiva, attraverso processi di fissione, fusione e decadimento radioattivo, vengono dispersi nello spazio. Una supernova si manifesta con un improvviso aumento di luminosità, che si esaurisce in un arco di tempo di ore, giorni o al massimo mesi. Talvolta la luminosità dell'astro è tale da renderlo visibile anche durante il giorno I materiali espulsi restano visibili in cielo, come una nebulosa luminosa anche per centinaia di anni, come la nebulosa del Granchio (Figura 13), formata dai materiali prodotti dall’esplosione di una supernova con massa pari a 10 masse solari, il 4 luglio 1054. L’esplosione fu osservata dagli astronomi cinesi 29 dell’epoca, e rimase osservabile nel cielo per parecchi mesi, con una magnitudine paragonabile a quella della Luna. Figura 13 Al termine dell'esplosione, al posto della supernova resta il nòcciolo, estremamente caldo e denso, che, a seconda della massa, dà origine a una stella a neutroni o a un buco nero. Le stelle a neutroni si formano quando il nocciolo residuo della supernova ha una massa compresa fra 1,44 e 3 masse solari. Sono corpi con un diametro di circa una decina di kilometri, entro i quali la densità raggiunge valori estremi, dell'ordine di 1017kg/m3. Per effetto dell'intensissima forza di gravità che agisce al loro interno, la materia assume una struttura particolare: gli elettroni riescono a penetrare nei nuclei e a combinarsi con i protoni, formando neutroni. In queste condizioni la materia assume una struttura particolare: gli elettroni riescono a penetrare nei nuclei e a combinarsi coi protoni, formando neutroni, i quali esercitano una pressione tanto intensa da impedire un ulteriore collasso. Le stelle a neutroni hanno una luminosità ancora più ridotta delle nane bianche, per cui risulta difficile osservarle direttamente. In effetti la loro esistenza era stata prevista in base a studi teorici già negli anni '30 del secolo scorso, ma solo alla fine degli anni '60, sono stati scoperti corpi celesti detti pulsar, che potrebbero identificarsi con le stelle a neutroni. Le pulsar (pulsating radio source) sono oggetti celesti di dimensioni molto ridotte che emettono onde radio sotto forma di impulsi a intervalli regolari dell'ordine di 1 s. Non sono corpi luminosi e la loro esistenza è stata rilevata utilizzando i radiotelescopi. Le pulsar sono spesso associate alle nebulose, che si formano in seguito all'esplosione delle supenovae. Una pulsar è stata scoperta, per esempio, nella nebulosa del Granchio; si tratta di un corpo molto piccolo, che emette segnali radio con una periodicità di 33 millesimi di secondo, variando nel contempo la sua luminosità. Si ritiene che le pulsar siano stelle a neutroni, dotate di un campo magnetico, che ruotano molto rapidamente (anche 1000 giri/s) su se stesse perdendo continuamente energia, prevalentemente in corrispondenza dei poli magnetici. L'asse magnetico non coincide con l'asse di rotazione (Figura 14). Quando la pulsar rivolge verso di noi il suo asse magnetico, la Terra viene raggiunta da un fascio di radiazioni, cioè di onde radio. 30 Figura 14 Le pulsar rallentano la loro rotazione nel tempo e lentamente perdono energia, raffreddandosi come le nane bianche. Vi sono poi le magnetar, stelle di neutroni con elevatissime proprietà magnetiche, da 1014 a 1015 Gauss. Uno studio svolto da astrofisici del Marshall Space Flight Center della NASA, ha appurato che questi oggetti cosmici, che sono in grado di smagnetizzare una carta di credito a una distanza di 150 mila chilometri, sono molti di più di quanto si credeva. Se il nucleo residuo della supernova ha una massa superiore a 3 masse solari si trasforma in un buco nero, un corpo nel quale il collasso gravitazionale non può essere contrastato in alcun modo. Un buco nero corrisponderebbe, in teoria, a una stella in cui la forza gravitazionale è tanto elevata da non essere contrastata né da uno stato degenere della materia, come nelle nane bianche, né da una struttura a neutroni. La gravità in un corpo del genere impedirebbe la fuga di qualsiasi particella o segnale luminoso. Il termine buco nero identifica proprio queste caratteristiche: qualsiasi oggetto attratto è destinato a precipitare all'interno, perdendo la sua identità e la stessa luce, pur costituita di particelle infinitesimali, verrebbe intrappolata, tanto da rendere il corpo invisibile a qualsiasi osservazione. Secondo la fisica teorica, perché un corpo celeste si trasformi in un buco nero occorre che esista un preciso rapporto tra la sua massa e le sue dimensioni. Più esattamente può essere considerato buco nero solo un corpo il cui raggio sia inferiore al raggio di Schwarzschild (RS) [XV]: Rs = 2 MG c2 dove: M è la massa del corpo, G è la costante di gravitazione universale, c è la velocità della luce. In teoria quindi qualunque corpo potrebbe trasformarsi in buco nero, se la sua massa venisse compressa in una sfera di raggio Rs abbastanza piccolo. Nel caso del Sole, per esempio, Rs = 2,9 km: il Sole potrebbe diventare un buco nero, se si contraesse fino a diventare una sfera di queste dimensioni! La Terra, invece, per trasformarsi in buco nero dovrebbe diventare una biglia 31 con Rs = 0,88 cm. Sole e Terra comunque non possono trasformarsi in buchi neri, perché la forza gravitazionale che agisce alloro interno non consente una contrazione così accentuata. Nella realtà, possono trasformarsi in buchi neri solo corpi di massa enorme (almeno 3 volte la massa del Sole): in questo caso, infatti, la forza gravitazionale può ridurre dimensioni del corpo al di sotto del valore del raggio di Schwarzschild. I buchi neri sono uno dei rari esempi di modello teorico elaborato senza l'appoggio di dati sperimentali. Ciò rende difficile sia l'ulteriore elaborazione del modello sia la ricerca delle conferme sperimentali. Secondo molti astrofisici, è possibile identificare la presenza di buchi neri perché essi esercitano una forza gravitazionale intensa sui corpi celesti a loro vicini. Per questo dovrebbe essere più facile osservare a presenza di un buco nero in un sistema binario di stelle in stadi evolutivi avanzati. In tal caso, potrebbero trovarsi associati una stella e un buco nero e la stella visibile dovrebbe essere perturbata dalla forza gravitazionale del buco nero, che comunque resterebbe invisibile a ogni osservazione. Effettivamente, si osservano stelle dalle quali fuoriesce materia che si dispone come un disco in rotazione intorno a una massa invisibile per essere inghiottita (Figura 15). Figura 15 Durante la caduta a spirale verso la massa nascosta i gas si riscaldano ed emettono raggi x. In questo caso, la compagna invisibile, potrebbe essere un buco nero. Una situazione del genere si osserva nella costellazione del Cigno, dove c'è una sorgente di radiazioni x,denominata Cygnus X1, la cui massa calcolata pare essere di circa 6 masse solari. Secondo alcuni astrofisici al centro di ogni galassia si trova un buco nero, intorno a cui essa ruota. La seguente Figura 16 riassume l’evoluzione delle stelle. Figura 16 32 15. Le stelle modificano la composizione dell'Universo Lo studio dei meccanismi evolutivi delle stelle ha permesso di comprendere alcuni aspetti interessanti della storia dell'Universo. Innanzitutto bisogna notare che le stelle non si sono formate tutte contemporaneamente in una fase precoce della vita dell'Universo: anche oggi all'interno di molte nebulose si possono osservare i fenomeni che accompagnano la nascita di nuove stelle. Le stelle, inoltre, invecchiano e muoiono, secondo tempi e modalità .che dipendono dalla loro massa: le stelle di grande massa evolvono rapidamente e in modo catastrofico al contrario di quelle di piccola massa. La morte precoce delle stelle di massa maggiore ha modificato in modo significativo la composizione dell'Universo e ha contribuito a diffondere nello spazio elementi chimici che non erano presenti nell’universo iniziale [VI]. Durante l'esplosione delle supernovae, infatti, accadono due eventi significativi. Vengono create per fusione e fissione elementi pesanti e buona parte del materiale della stella viene disperso nello spazio circostante. Da tali elementi possono derivare nuove nebulose, in cui potranno formarsi, in un secondo tempo, nuove generazioni di stelle, caratterizzate da una composizione leggermente diversa da quella delle stelle primordiali. Le nuove stelle, infatti, conterranno una minore percentuale di idrogeno e una maggiore percentuale di elementi pesanti e metalli. Una galassia come la nostra contiene quindi diverse generazioni di stelle: una generazione di stelle formatesi nelle prime fasi di sviluppo della galassia, povere di elementi pesanti, relativamente vecchie (perché dotate di massa non troppo elevata), composte prevalentemente di idrogeno; una generazione di stelle relativamente "giovani" ricche di elementi pesanti prodotti da una precedente "generazione" di stelle. Le stelle di più recente formazione vengono chiamate stelle di popolazione I o di seconda generazione, mentre le stelle "vecchie", povere di metalli ed elementi pesanti, vengono chiamate stelle di popolazione II o di prima generazione. Il Sole è una stella di seconda generazione. L'abbondanza di elementi pesanti ha avuto un effetto importante nella storia del Sole: ha reso possibile, infatti, anche la formazione di un sistema planetario e in particolare di un pianeta come il nostro in cui abbondano carbonio, silicio, ossigeno, ferro e molti altri elementi, prodotti in tempi remoti all'interno di qualche supernova. Tali elementi sono indispensabili per gli esseri viventi e non potrebbero esistere sul nostro pianeta se il Sole e il suo sistema planetario si fossero formati da una nebulosa di prima generazione. Ciò significa che la vita non avrebbe potuto formarsi (per mancanza di materia prima) in una fase precoce della storia dell'Universo o in un universo più giovane rispetto a quello attuale. Tutti gli elementi chimici presenti sulla Terra, e che costituiscono gli stessi esseri viventi, hanno quindi una storia complessa che lega la nostra esistenza al destino di stelle ormai estinte. 33 16. Attualità Riporto di seguito un articolo comparso su La Repubblica del 18 febbraio 2005 (quello riportato è tratto dalla versione on-line). Si spera che, dopo questo percorso, la sua lettura risulti agevole [IX]. 34 Sitografia [I] http://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione_stellare [II] http://physics.infis.univ.trieste.it/~monaco/node10.html [III] http://www.astro.unifi.it/gruppi/planetneb/ [IV] http://www.astrofili.org/universo/stelle.htm [V] http://www.astrosurf.com/cosmoweb/stelle/evoluzione.html [VI] http://www.cosediscienza.it/fisica/08_materia.htm [VII] http://www.ecplanet.com/canale/astronomia-9/stelle-111/1/0/10625/it/ecplanet.rxdf [VIII] http://www.pd.astro.it/MOSTRA/G2320STE.HTM [IX] http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/scienza_e_tecnologia/sagittar/sagittar/sagittar.html [X] http://www.specialgratis.it/sfondi_L/sfondi__spazio1.htm [XI] http://www.vialattea.net/hubble/1996/9607.htm [XII] www.brera.mi.astro.it/docB/galaxy/matteucci.ps [XIII] http://www.lngs.infn.it/lngs_infn/index.htm?mainRecord=http://www.lngs.infn.it/lngs_infn/con tents/lngs_it/public/educational/physics/supernova/ [XIV] http://diamante.uniroma3.it/hipparcos/buchineri.htm Bibliografia [A] Accordi - Lupia Palmieri - Parotto, Il globo terrestre e la sua evoluzione, Bologna, 1993. Zanichelli, [B] Lupia Palmieri - Parotto La Terra nello spazio e nel tempo, Zanichelli, Bologna, 2002. [C] Rosino, L., Lezioni di astronomia, CEDAM, Padova, 1979. 35 Indice Presentazione Pag. 2 1. Caratteristiche dell’intervento didattico 1.1 Contestualizzazione 1.2 Prerequisiti 1.3 Prerequisiti “specifici” 1.4 Obiettivi generali 1.5 Obiettivi specifici Pag. 3 Pag. 3 Pag. 3 Pag. 3 Pag. 3 Pag. 3 2. Le stelle Pag. 4 3. La distanza delle stelle Pag. 4 4. Le unità di misure delle distanze in astronomia Pag. 7 5. La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine 5.1 Luminosità apparente e luminosità assoluta 5.2 La magnitudine apparente e la magnitudine assoluta Pag. 8 Pag. 8 Pag. 9 6. L’analisi spettrale della luce delle stelle 6.1 Composizione chimica 6.2 Temperatura Pag.11 Pag.12 Pag.12 7. L’effetto Doppler e gli spettri delle stelle Pag.13 8. Massa e dimensioni delle stelle Pag.14 9. Il diagramma di Hertzsprung-Russell 9.1 Interpretazione del diagramma H-R Pag.16 Pag.17 10. Le forze che agiscono nelle stelle Pag.18 11. La nascita delle stelle Pag.21 12. Le stelle della sequenza principale Pag.23 13. Dalla sequenza principale alle giganti rosse Pag.26 14. La morte di una stella: nane bianche, stelle a neutroni e buchi neri Pag.28 15. Le stelle modificano la composizione dell’universo Pag.33 16. Attualità Pag.34 Sitografia e bibliografia Pag.35 36