Secondo Corso di Perfezionamento
Percorsi didattici di Fisica e Matematica:
modelli, verifiche sperimentali, statistica
A.A. 2005/2006
Proposta di intervento didattico:
“Nascita, vita e morte
delle stelle ”
A cura di
Giovanni Bianchi
Ciuffi d'isotopi in mano
passeggio tra le particelle dei miei atomi
nuclei, pulsari, neutroni e quasari
il mondo è piccolo, il mondo è grande,
e avrei bisogno di tonnellate d'idrogeno…”
Franco Battiato
Clamori (L’arca di Noè - 1982)
“In quest'epoca di scarsa intelligenza ed alta involuzione
qualche scemo crede ancora che veniamo dalle scimmie
e il Sole è soltanto una palla di fuoco
e non si sono accorti che è una tappa di una forma di energia.”
Franco Battiato
La musica è stanca (Orizzonti perduti – 1983)
1
Presentazione
L’unità didattica che vado proponendo affonda le sue radici in una domanda vecchia quanto
l’uomo: “perché il Sole scalda e le stelle brillano?”. Molte civiltà antiche, fra cui spiccano (anche in
quest’ambito) gli Egizi, avevano posto il Sole all’apice dei loro culti pagani, impressionate da questa
immensa forma di energia.
Fornire una spiegazione dei meccanismi che regolano il funzionamento di una stella è lo
scopo di questo lavoro. E siccome sono convinto che ogni ragazzo debba avere una idea, seppur
intuitiva e fenomenologica di questi eventi, per scongiurare la possibilità che da adulto possa
pensare che sul Sole ci siano foreste in fiamme, ho cercato di impostare l’argomento in maniera
tale da poter essere affrontato in qualsiasi indirizzo scolastico.
Ovviamente in un Liceo Scientifico questi argomenti vengono già affrontati in V classe,
dove l’insegnamento di Scienze è tutto dedicato alla Geografia Astronomica. Lo stesso vale per un
Liceo Classico. In queste scuole si potrebbe proporre un affiancamento dell’insegnante di Fisica a
quello di Scienze, per portare a termine degli approfondimenti su questioni più “specialistiche”: mi
riferisco in particolare alle reazioni di fusione termonucleare che avvengono all’interno delle stelle e
all’origine degli elementi chimici che compongono noi stessi.
Ma in altre (molte, troppe!) realtà scolastiche si giunge alla Maturità pensando che il Sole sia una
palla di fuoco. Allora perché non provare a chiudere questa falla???
Questo mio stile di pensiero è correlato all’esperienza di tirocinio che ho vissuto durante
l’esperienza della Ssis. Mi sono trovato infatti ad osservare (al primo anno il tirocinio che è,
appunto, osservativo!) quanto accade in un Istituto d’Arte: una scuola non propriamente improntata
agli studi scientifici.
Mettendo mano a questi argomenti, mi sono chiesto se quella realtà fosse adatta a “sperimentare”
l’introduzione di questo soggetto, che gode almeno della stessa dignità culturale dell’Incontro di
Teano o dell’Infinito di Leopardi. La risposta è no. Non tutte le quinte classi di un Istituto d’Arte
(limitatamente alla mia esperienza) rappresentano un terreno fertile in tal senso. Però ho osservato
una quarta classe in cui i germogli attecchirebbero con sicuro successo. E non rappresentava un
caso isolato.
Fatto il punto sull’opportunità di introdurre l’argomento in una scuola come l’Istituto d’Arte,
mi sono concentrato sull’impostazione da dare all’argomento stesso. Dopo aver riflettuto a lungo,
sono giunto alla conclusione che il nòcciolo dell’argomento, ossia i meccanismi che portano alle
reazioni di fusione termonucleare, vero “motore” dell’Universo, nonché “fabbrica” degli elementi
chimici, debbano essere inglobate nella suggestiva storia della vita di una stella. E questa scelta
presuppone una “fase preparatoria” molto lunga. Essa potrebbe distrarre l’auditorio da questi due
aspetti-cardine, vero scopo di tutto il lavoro. Sarà cura dell’insegnante bilanciare le dosi, per evitare
che il tutto si riduca a un semplice racconto di “collassi stellari” o, all’opposto, a una “lavagnata” di
reazioni nucleari.
2
1. Caratteristiche dell’intervento didattico
1.1. Contestualizzazione
•
Istituto d’Arte, V anno.
1.2. Prerequisiti
•
Concetti elementari di Struttura della Materia (CHIMICA);
•
Gravitazione universale e Leggi di Keplero (FISICA);
•
Forza coulombiana (FISICA);
1.3. Prerequisiti “specifici” (argomenti introdotti ad hoc)
•
Struttura dell’atomo;
•
Fissione e fusione nucleare;
•
Spettroscopia atomica;
•
Interazione forte ed interazione debole;
•
Equivalenza massa-energia;
1.4. Obiettivi generali
•
Conoscere i fenomeni che regolano l’esistenza di una stella;
•
Conoscerne la genesi, la vita, il destino;
•
Saper comprendere il titolo di un articolo scientifico che compare su un quotidiano.
1.5. Obiettivi specifici
•
Comprendere i fenomeni che portano a processi di fusione termonucleare;
•
Comprendere i processi di nucleosintesi;
•
Interpretare il Diagramma di Hertzsprung-Russell
3
2. Le stelle
Le stelle sono sfere dotate di massa enorme1, costituite per lo più da idrogeno ed elio,
tenute insieme dalla forza gravitazionale, e che emettono energia sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche. L'energia delle stelle viene prodotta nel nòcciolo, attraverso reazioni
termonucleari. Questa semplice definizione si fonda sull'analisi di dati molto complessi riguardanti la
distanza, la luminosità, la massa, la composizione chimica, la temperatura superficiale e interna
delle stelle. Cerchiamo, dunque, di esaminarli nel dettaglio.
3. La distanza delle stelle
Osservando le stelle a occhio nudo, esse ci appaiono come punti luminosi circondati da un
debole alone, provocato dalla diffusione e dalla rifrazione atmosferica, posti tutti alla stessa
distanza dalla Terra e diversamente brillanti. In realtà, la distanza dalla Terra varia da una stella
all'altra in modo spesso considerevole. In che modo è stato possibile capire che le stelle non si
trovano tutte sulla superficie della medesima sfera e come è stato possibile determinare la loro
distanza dalla Terra) stelle sfrutta un particolare fenomeno, noto come effetto di parallasse. Il
termine parallasse indica lo spostamento apparente, rispetto a uno sfondo lontano, di un oggetto
visto da due diversi punti di osservazione. Supponiamo, per esempio, di osservare l'ago di una
bilancia e di volerne determinare la posizione rispetto alla scala graduata, per leggere il valore di
una massa. La posizione dell'ago varia ogni volta che ci spostiamo, in relazione alla posizione che
assumiamo: se ci spostiamo a sinistra, proietteremo l'ago sullo sfondo a destra, se ci spostiamo a
destra, proietteremo l'ago verso sinistra. Lo spostamento dell'oggetto, in realtà, è solo apparente ed
è causato da un cambiamento della posizione dell'osservatore, A tale spostamento viene dato il
nome di effetto di parallasse. L'effetto di parallasse è tanto più evidente quanto minore è la distanza
tra l'osservatore e l'oggetto in questione e si manifesta solo se l'oggetto è proiettato su uno sfondo
con il quale non è a diretto contatto. Anche le stelle presentano un effetto di parallasse, noto come
parallasse annua, causato dal moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole.
La Terra, infatti, si muove intorno al Sole: percorrendo un'ellisse di lunghezza non trascurabile (la
distanza massima tra due punti dell'orbita è di circa 300 milioni di km) si trova nei due punti estremi
(o comunque in due punti opposti) dell'orbita a circa 6 mesi di distanza. La posizione da cui
osserviamo il cielo, perciò, si modifica nel corso dell'anno e questo, fissando la posizione di una
1
Quella nostro Sole è pari a 1,99·10
30
kg, contro i 5,98·10
24
kg della Terra e i 7,24·10
22
kg della Luna
(rispettivamente un milione di volte e 10 milioni di volte meno massive). Ma vi sono stelle come Rigel o Deneb, con massa
rispettivamente pari a 17 volte e 25 volte quella del Sole.
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stella, quando la Terra si trova a un estremo dell'orbita, e .ripetendo l'osservazione dallo stesso
luogo della Terra 6 mesi dopo, cioè quando la Terra si trova in posizione diametralmente opposta
rispetto al Sole, si osserva un piccolo cambiamento nella posizione della stella, rispetto allo sfondo
della sfera celeste. Nell'arco di 1 anno la stella apparentemente oscilla tra due posizioni estreme
descrivendo in cielo una minuscola ellisse (Figura 1).
Figura 1
Tale effetto viene utilizzato per determinare la distanza della stella dalla Terra, con il
metodo della parallasse, un metodo simile alla triangolazione. Infatti, le due posizioni della stella,
rilevate a distanza di 6 mesi, permettono di definire un triangolo, che ha per base il diametro
dell'orbita terrestre e per lati le distanze tra i due punti di osservazione e la stella. L’angolo che ha
come vertice la stella può essere misurato sperimentalmente, perché equivale allo spostamento
angolare apparente della stella in 6 mesi. Per convenzione, l'angolo di parallasse annua p è uguale
a metà dello spostamento angolare apparente di una stella in 1 anno, e corrisponde all'angolo al
vertice del triangolo che ha come base il semiasse dell’orbita terrestre intorno al Sole misura in
media 150 milioni di km) e come vertice la stella (Figura 2).
Figura 2
5
L'angolo di parallasse annua è sempre molto piccolo, ma varia da stella a stella e il suo
valore diminuisce all'aumentare della distanza della stella dalla Terra. Si può, infatti, dimostrare che
l'angolo di parallasse annua di un astro è inversamente proporzionale alla sua distanza dalla Terra.
Se, per esempio, l'angolo si dimezza, la distanza raddoppia, e tutti gli astri che si trovano alla
medesima distanza dalla Terra hanno lo stesso angolo di parallasse. Le stelle più vicine alla Terra
hanno parallasse di poco inferiore a 1” d'arco. Quanto più aumenta la distanza, tanto più risulta
difficile misurare l'angolo di parallasse e apprezzare un cambiamento di posizione nel corso
dell'anno. Con gli attuali strumenti non si può misurare in modo attendibile un angolo di parallasse
inferiore a 1/100 di secondo d'arco. Per questo le stelle più distanti mantengono una posizione fissa
e non presentano oscillazioni apparenti. Per ricavare direttamente la distanza della stella dal valore
dell'angolo di parallasse, occorre adottare una particolare unità di misura della distanza, il parsec
(pc).
1 parsec (abbreviazione di parallasse secondo) corrisponde alla distanza alla quale dovrebbe
trovarsi un corpo per avere un angolo di parallasse di 1” d'arco. Mediante calcoli opportuni, si
dimostra che 1 pc equivale a 3. 1016 m, cioè a 206.265 volte la distanza Terra-Sole.
La distanza d di una stella espressa in parsec risulta:
d = 1/p
Se, per esempio, una stella ha un angolo di parallasse di 1/20” d'arco si trova a 20 pc dalla Terra,
cioè a una distanza di 20·3·1010 m e sarà 20×206265 volte più distante del Sole dalla Terra.
Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema Solare, si trova a 1,295 pc e ha un angolo di
parallasse di 0,76" d'arco. Questa stella (al centro della Figura 3), che si trova nella costellazione
del Centauro nell'emisfero celeste australe, è a una distanza dal Sole superiore quasi 7000 volte
rispetto a Plutone, il pianeta più esterno del Sistema Solare.
Figura 3
Per quanto concettualmente semplice, il metodo della parallasse non è di facile
applicazione: il limite più evidente è rappresentato dalle piccole dimensioni degli angoli da misurare.
In pratica, perciò, si riesce a misurare con questo sistema solo la distanza di qualche migliaio di
stelle, cioè quelle che si trovano in un raggio di 100 pc. Le stelle che si trovano a distanze superiori
ai 100 pc non mostrano un effetto di parallasse percettibile; per stabilire la loro posizione vengono
utilizzati metodi indiretti, molto più complessi.
6
Inoltre, è interessante osservare che l'effetto di parallasse era già stato previsto dagli antichi
astronomi e ricercato come prova di un eventuale moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole.
Aristotele riteneva che la Terra non si muovesse intorno al Sole e adduceva come prova proprio il
fatto che non si rilevava alcuno spostamento apparente degli astri. Infatti, a causa dei valori molto
piccoli dello spostamento angolare e dell'inadeguatezza degli strumenti, non era possibile misurare
questo effetto. La prima misura di parallasse risale al 1838 ed è stata compiuta da Friedrich
Wilhelm Bessel, che ha rilevato l'angolo di parallasse di 61 Cygni (il valore stimato attualmente è
0,293”, mentre Bessel rilevò un valore di 0,3136”).
4. Le unità di misura delle distanze in astronomia
Anche se l'unità di misura prevista dal Sistema Internazionale della Unità (SI) per le
lunghezze è il metro, in astronomia si utilizzano unità di misura più grandi, che permettono un
confronto immediato tra le distanze dei corpi celesti. Le distanze tra i corpi celesti possono essere
espresse utilizzando tre unità di misura: l'unità astronomica, l'anno luce e il parsec. L'unità
astronomica (UA) corrisponde alla distanza media Terra-Sole ed è un'unità di misura utilizzata
quasi esclusivamente nell'ambito del Sistema Solare, mentre l'anno luce e il parsec (già definito in
precedenza) vengono utilizzati per misurare la distanza delle stelle. L'anno luce (al) è la distanza
percorsa nel vuoto dalla luce in 1anno; equivale a poco meno di 1000 miliardi di km e a 0,31 pc. La
seguente tabella riassume quanto introdotto.
Unità di misura
Definizione
Equivalenze
Unità astronomica (UA)
Distanza media Terra-Sole
5·1011 m
1,58·10-6 al
4,8 ·10-6 pc
Anno luce (al)
Distanza percorsa
dalla luce in un anno
9,5 ·1015 m
63 ·103 UA
0,31 pc
Parsec (pc)
Distanza alla quale
un corpo celeste
ha una parallasse p di 1”
3·1016 m
3,26 al
206.225 UA;
La misura delle distanze espressa in anni luce offre lo spunto per un'interessante constatazione. La
luce non viaggia a velocità infinita, perciò tra il momento in cui viene emessa da una sorgente,
come una stella, e l’istante in cui l'osservatore la registra, trascorre sempre un certo tempo.
Guardando il cielo, un osservatore ignaro pensa di osservare i corpi celesti così come sono in quel
dato istante, in realtà egli osserva sempre eventi passati e neanche contemporanei; sulla Terra
giungono, infatti, contemporaneamente le immagini generate dalla luce partita 26 anni fa da Vega
(d =26 al) e 650 anni fa dalla Stella Polare (d =650 al). Spostando idealmente il riferimento, se un
osservatore potesse osservare la Terra da Andromeda, vedrebbe oggi il nostro pianeta come era 2
milioni di anni fa, prima della comparsa dell'uomo. L'Universo che possiamo osservare non è
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dunque l'Universo attuale, ma l'Universo di un tempo passato. Più lontano spingiamo lo "sguardo",
più ci allontaniamo anche nel tempo.
5. La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine
5.1. Luminosità apparente e luminosità assoluta
Le stelle hanno luminosità differente. Possiamo constatarlo guardando il cielo direttamente o
misurando l’intensità della luce stellare con un fotometro, uno strumento che misura la quantità di
energia che raggiunge il fuoco del telescopio. La luminosità apparente di una stella [II], cioè la
luminosità misurata dalla Terra, dipende non solo dalla quantità di energia che essa irradia, ma
anche dalla sua distanza dall’osservatore. Infatti, la quantità di luce che percepiamo diminuisce
man mano che ci si allontana dalla sorgente e precisamente con il quadrato della distanza. Una
stella, perciò, può apparire più splendente di un'altra solo perché si trova più vicina alla Terra. Per
esempio, Sirio è la stella più brillante del cielo notturno e brilla 10 volte più di Antares, anche se
quest'ultima irradia una quantità di energia circa 250 volte superiore a quella di Sirio. Il diverso
splendore apparente di questi due corpi si giustifica considerando la loro distanza dalla Terra:
Antares dista più di 500 al, mentre Sirio si trova a meno di 9 al dal nostro pianeta. In generale,
quindi, la luminosità apparente di un astro deve essere distinta dalla luminosità assoluta, che
dipende dall'energia che la stella irradia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche (energia
radiante) attraverso la sua superficie. La luminosità assoluta, o intrinseca, di una stella è l'energia
radiante totale, emessa dalla stella nell'unità di tempo La luminosità assoluta di una stella si può
dedurre dalla sua luminosità apparente, purché sia nota la distanza dell'astro dalla Terra. Si
esprime in joule/secondo, ma spesso si utilizza come unità di misura la luminosità del Sole
(LS = 3,83·1026J/s) a cui si attribuisce valore 1. La luminosità assoluta è un dato molto importante: si
può, infarti, dimostrare che l'energia emessa da una stella dipende soltanto dalle dimensioni della
sua superficie di emissione e dalla sua temperatura superficiale. Poiché la luminosità assoluta
aumenta al crescere delle dimensioni e della temperatura superficiale, due stelle con uguale
temperatura superficiale possono avere luminosità assoluta diversa, soltanto se hanno una
superficie di emissione, e quindi un raggio, differenti. Per la stessa ragione due stelle che hanno le
stesse dimensioni, ma temperatura superficiale diversa, devono avere luminosità differente: la
stella più calda sarà anche più luminosa.
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5.2. La magnitudine apparente e la magnitudine assoluta
La luminosità delle stelle viene, in genere, espressa mediante la magnitudine, un parametro
che permette di confrontare la luminosità di una stella con la luminosità delle altre, stabilendo una
scala di grandezza relativa. Per ogni astro si può stabilire una magnitudine apparente e una
magnitudine assoluta. La magnitudine apparente è stata introdotta da Ipparco da Samo nel II
secolo a.C. Egli suddivise le stelle visibili in sei classi di magnitudine (o grandezza), in base alla
loro luminosità apparente: nella scala di Ipparco, a un valore di magnitudine più piccolo corrisponde
una luminosità apparente maggiore: le stelle di magnitudine 1 sono le più luminose, mentre le più
deboli sono classificate come stelle di magnitudine 6. La scala delle grandezze di Ipparco è stata
conservata e perfezionata. Oggi, la magnitudine apparente di un astro si ottiene confrontando la
sua luminosità apparente con la luminosità apparente di una stella campione. La stella scelta come
campione è la Stella Polare, cui viene assegnata magnitudine apparente 2.
La scala delle magnitudini non è lineare, ma logaritmica, in perfetto accordo con la convinzione
dell'epoca in cui fu formulata che tutti i sensi umani fossero, rispetto agli stimoli, logaritmici nelle
loro risposte (la scala dei decibel, per la misura del tasso del livello sonoro, fu creata logaritmica).
Ma in realtà non è proprio così, non per la luce, i suoni e tutto il resto. La nostra percezione del
mondo segue le curve dell'energia non quelle logaritmiche. Quindi una stella di magnitudine 3 non
ha una luminosità esattamente a metà strada tra 2 e 4, ma un poco meno. Le stelle che sembrano
a metà strada sono di magnitudine 2,8. Maggiore il salto di magnitudine, maggiore è questa
discrepanza.
Passando da un ordine di magnitudine all'altro, la variazione di luminosità è di 2,5 volte. Una stella
di magnitudine 2 è perciò 2,5 volte più luminosa di una stella di magnitudine 3 e 2,5 volte meno
luminosa di una di magnitudine 1. Salendo di 5 classi di magnitudine la luminosità decresce di 100
volte.
Le stelle più luminose hanno magnitudine 0 o addirittura valori negativi. Il Sole, la stella più
luminosa del cielo, ha magnitudine apparente -26,8. All'estremo opposto della scala, a occhio nudo
si vedono solo gli astri con magnitudine apparente inferiore a 6,5, anche se con i telescopi si
rilevano stelle con magnitudine anche superiore a 25.
Le stelle che hanno la stessa magnitudine apparente hanno anche la stessa luminosità apparente;
ma non necessariamente irradiano la stessa quantità di energia. Infatti due stelle che emettono la
stessa quantità di energia hanno luminosità apparente uguale solo se si trovano alla medesima
distanza dalla Terra.
Per confrontare la luminosità assoluta delle stelle, conviene calcolare quale magnitudine avrebbero
se si trovassero tutte alla stessa distanza dalla Terra. Per questo si utilizza la magnitudine,
assoluta; definita come la magnitudine apparente che avrebbero le stelle se si trovassero tutte alla
distanza di 10 pc (cioè 32,6 al) dalla Terra.
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Per i valori di magnitudine assoluta si conserva ovviamente il medesimo criterio adottato per la
magnitudine apparente: a un valore minore di magnitudine corrisponde un maggiore splendore e
viceversa. Le stelle più splendenti hanno valori di magnitudine assoluta negativi. Per ricavare la
magnitudine assoluta di una stella dalla sua magnitudine apparente, occorre conoscere la sua
distanza dalla Terra. Ciò non è difficile nel caso di stelle vicine, per le quali sia nota la parallasse.
Per le stelle di cui non si conosce la distanza, si adottano metodi più complessi.
Se un astro è più vicino alla Terra di 10 pc, la sua magnitudine assoluta è maggiore di quella
apparente, perché il suo splendore, ponendolo idealmente a una distanza maggiore, diminuisce.
Sirio, per esempio, ha magnitudine apparente -1,46 e magnitudine assoluta 1,4, perché si trova a
una distanza dalla Terra inferiore a 10 pc (dista 8,7 al). Il Sole, che ha magnitudine assoluta
nettamente superiore (4,9) a quella apparente, alla distanza di 10 pc, apparirebbe come una stella
di debole luminosità, appena visibile a occhio nudo. Al contrario, se una stella si trova a una
distanza dalla Terra superiore a 10 pc, la sua magnitudine assoluta è minore di quella apparente,
perché avvicinandola idealmente alla Terra, aumenta di splendore. Betelgeuse si trova a una
distanza di 650 al dalla Terra e ha magnitudine assoluta inferiore (-5,6) alla sua magnitudine
apparente (0,5). La seguente tabella riassume un po’ di dati, compresi quelli relativi ai pianeti.
Catalogando le stelle in base alla loro magnitudine assoluta si può notare un altro dato
interessante: molte stelle hanno luminosità variabile. Queste stelle sono chiamate variabili.
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6. L'analisi spettrale della luce delle stelle
Uno dei metodi di indagine più significativi per studiare la natura delle stelle è l'analisi spettrale,
che consiste nello scomporre e analizzare le radiazioni elettromagnetiche provenienti dalle stelle.
Gli studi spettroscopici hanno evidenziato che gli spettri delle stelle sono sempre spettri di
assorbimento. Anche lo spettro solare, se osservato con strumenti sufficientemente potenti, non è
in realtà continuo, ma presenta un gran numero di righe nere.
La spiegazione di questa caratteristica degli spettri stellari è semplice. Le stelle producono
radiazioni elettromagnetiche, nella regione centrale, detta nòcciolo, che si comporta, in prima
approssimazione, come un corpo nero.
Lo spettro che noi osserviamo, però, non corrisponde alle radiazioni che vengono emesse dal
nòcciolo, ma alle radiazioni che emergono dalla stella dopo aver attraversato gli strati di materiali
che circondano il nòcciolo. Infatti, ciò che possiamo osservare o fotografare di un corpo celeste è
solo la superficie, l'interno è opaco e impenetrabile per tutti i mezzi ottici d'indagine. Lo strato
esterno di tutte le stelle è formato da gas, a bassa densità, che assorbono selettivamente, in base
alla loro composizione chimica, una frazione delle radiazioni provenienti dall'interno. Perciò, lo
spettro di ciascuna stella contiene una serie di righe nere, corrispondenti alle radiazioni assorbite
dagli elementi presenti negli strati più esterni (Figura 4).
Figura 4
Nello spettro di alcune stelle caldissime, oltre alle righe di assorbimento, sono presenti anche righe
di emissione molto brillanti, che si generano quando nello strato esterno sono presenti atomi
ionizzati, eccitati a causa della temperatura elevatissima.
Analizzando l'intensità delle radiazioni presenti nello spettro e determinando la posizione delle righe
di assorbimento è possibile stabilire: .
•
la composizione chimica della parte superficiale di una stella;
•
la temperatura degli strati più esterni di una stella.
11
6.1. Composizione chimica
Le sostanze presenti nella zona più superficiale di una stella vengono identificate
analizzando le righe di assorbimento (le righe nere) presenti sullo spettro.
Ogni elemento chimico, infatti, assorbe sempre le medesime radiazioni e genera un insieme di
righe di assorbimento caratteristico. Confrontando le righe di assorbimento presenti nello spettro di
una stella con gli spettri di assorbimento ottenuti in laboratorio utilizzando atomi, molecole o ioni di
composizione nota, si può quindi risalire a la composizione della parte più superficiale di una stella.
Con un metodo analogo si possono identificare gli elementi responsabili dell'emissione nelle stelle
più calde.
L'analisi chimica condotta attraverso lo studio degli spettri ha permesso di scoprire che
nell'involucro esterno delle stelle ci sono gli stessi elementi chimici che troviamo sulla Terra, anche
se in percentuali molto diverse: i componenti principali della materia stellare sono l’idrogeno e l'elio.
che insieme hanno un'abbondanza percentuale superiore al 95%.
6.2. Temperatura
La temperatura superficiale di una stella può essere determinata considerando due diversi
dati: il colore e la classe spettrale. Per quanto riguarda il colore si può osservare che le stelle
assumono un colore diverso a seconda della temperatura che raggiungono. Le stelle meno calde
sono rosse, perché irraggiano principalmente luce rossa. Al crescere della temperatura le stelle
assumono colori che vanno dall'arancio, al giallo, al bianco-azzurro, al blu. Le temperature
determinate in base al colore variano dai 3000 K circa delle stelle rosse ai 40000-60000 K circa
delle stelle azzurre. Informazioni più precise sulla temperatura possono essere dedotte studiando le
righe di assorbimento presenti negli spettri. Si è notato, infatti, che stelle di uguale colore generano
spettri simili, caratterizzati dalla presenza di alcune righe di assorbimento (o di emissione) molto
evidenti. Le stelle azzurre, per esempio, generano spettri in cui sono molto evidenti le righe dell'elio
ionizzato, le stelle gialle, invece, hanno uno spettro in cui sono molto evidenti le righe dei metalli,
mentre le righe di altri elementi, come l'idrogeno o l'elio, sono deboli.
In base alla presenza o assenza di righe di assorbimento particolarmente evidenti, corrispondenti a
determinati elementi, le stelle possono essere suddivise in classi spettrali. Le stelle che
appartengono a una stessa classe spettrale hanno lo stesso colore e generano uno spettro simile,
caratterizzato dalla presenza di parti colati righe di assorbimento molto evidenti.
I tipi spettrali sono relativamente pochi: sette classi spettrali principali, suddivise in sottoclassi. Ogni
classe spettrale è indicata con una lettera dell'alfabeto, O, B, A, F, G, K. M (Figura 5).
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Le lettere sono disposte in ordine decrescente di temperatura superficiale. Il metodo anglosassone
permette di ricordare la scala "OBAFGKM" attraverso l'acronimo scherzoso di "Oh, Be A Fine Girl,
Kiss Me". Le sottoclassi sono indicate con un numero che può variare da 0 a 9.
Figura 5
Le stelle di una medesima classe spettrale hanno temperatura superficiale simile. Perché le
stelle con uguale temperatura superficiale presentano uno spettro simile? Per rispondere bisogna
tener presente che l'intensità delle righe di assorbimento di un certo elemento varia in relazione alle
condizioni di pressione e temperatura esistenti nella zona superficiale della stella. Per esempio,
l'idrogeno atomico assorbe 100 volte meglio nelle stelle con temperatura superficiale pari a 10000
K, cioè più calde rispetto al Sole (6000 K). Perciò, le righe di assorbimento generate dagli atomi di
idrogeno risultano ben evidenti nelle stelle con temperatura intorno ai 10000 K, mentre sono meno
pronunciate (in particolare nel campo del visibile) nelle stelle più fredde. Le stelle più calde hanno
una temperatura di oltre 30000 K appartengono alla classe O, mentre le più fredde hanno
temperatura intorno ai 3000 K e appartengono alla classe M. Le stelle di classe O sono rare, tanto
che nessuna tra le stelle più splendenti del cielo appartiene a questa classe. Sono, invece, più
frequenti le stelle di classe B e di classe A. Il Sole è una stella di tipo spettrale G2 e ha una
temperatura superficiale di circa 6000 K.
7. L'effetto Doppler e gli spettri delle stelle
Apparentemente le stelle sono sorgenti luminose ferme in una determinata posizione dello
spazio. Ciò non corrisponde alla realtà: le stelle si muovono. Muovendosi, le stelle possono
cambiare la loro posizione sulla sfera celeste (si modificano quindi declinazione e ascensione retta)
o modificare la loro distanza dalla Terra. A causa delle grandi distanze che ci separano, è possibile
percepire visivamente solo le componenti del movimento che causano un cambiamento evidente
delle coordinate delle stelle sulla sfera celeste, mentre non si riesce a rilevare, solo con
l'osservazione diretta, l'esistenza di un movimento di allontanamento o di avvicinamento.
Anche la Terra si muove intorno al Sole e perciò rispetto alle stelle. I movimenti di avvicinamento o
di allontanamento di una stella o lo spostamento della Terra rispetto a essa possono, essere
rilevati, studiando l'effetto Doppler. L’effetto Doppler consiste nella variazione della frequenza della
radiazione, causata dal movimento della sorgente rispetto all'osservatore: se sorgente e
osservatore si avvicinano, la frequenza della radiazione aumenta; se sorgente e osservatore si
allontanano, la frequenza diminuisce.
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Per comprendere meglio questo fenomeno, è utile ricorrere a un esempio che riguarda le onde
sonore. Se, mentre siamo fermi a un semaforo, si avvicina un'ambulanza a sirene spiegate,
possiamo notare facilmente che il suono della sirena diventa più acuto, mentre si avvicina e che
scende di tono, quando si allontana. Il tono differente dipende da un apparente cambiamento di
lunghezza d'onda delle onde sonore, dovuto in realtà a una variazione della frequenza: quando
sorgente e osservatore si avvicinano, le lunghezze d'onda si "accorciano" e di conseguenza il
suono sale di tono (come se le onde fossero compresse), mentre quando si allontanano
reciprocamente si verifica un "allungamento" delle onde sonore che aumentano di lunghezza
d'onda (Figura 6).
Figura 6
Ciò dipende dal fatto che la sirena si sta muovendo, mentre emette il suono: la sorgente cambia
posizione nel tempo, e con essa il punto d'origine da cui si calcola la lunghezza d'onda.
Le radiazioni elettromagnetiche si comportano in maniera analoga alle onde sonore: quando una
stella è in allontanamento dalla Terra (o viceversa), tutte le righe di assorbimento del suo spettro
risultano spostate verso il rosso; quando, invece, una stella è in avvicinamento, le righe di
assorbimento risultano spostate verso il campo del blu. L’ampiezza dello spostamento delle righe
spettrali è direttamente proporzionale alla velocità di spostamento.
8. Massa e dimensioni delle stelle
Le stelle sono corpi sferici, ma le loro dimensioni non possono essere misurate
direttamente, se non in alcuni casi eccezionali. Si può calcolare il raggio di una stella, purché si
conoscano la sua luminosità assoluta e la sua temperatura superficiale. La luminosità assoluta di
una stella, infatti, dipende dalle sue dimensioni e dalla sua temperatura assoluta, secondo la
relazione:
L = 4πr 2σT 4
Secondo questa relazione, due stelle, che abbiano la stessa temperatura superficiale (e quindi lo
stesso colore), potranno avere luminosità e magnitudine assoluta diverse, solo se hanno un raggio
diverso. Poiché la temperatura di una stella può essere determinata analizzandone lo spettro e il
14
colore, è possibile calcolare il raggio di stelle di cui sia nota la luminosità assoluta. Dal raggio di una
stella si può ricavare il suo volume. Le stelle che hanno un piccolo volume sono chiamate nane
(rosse, bianche, gialle in relazione al colore), mentre le stelle di volume maggiore sono chiamate
giganti o supergiganti [IV].
La maggior parte delle giganti finora osservate ha un raggio compreso tra 10 e 100 volte il raggio
del Sole, ma non mancano stelle con dimensioni un migliaio di volte più grandi del Sole. Epsilon
aurigae, per esempio,ha un raggio circa 2000 volte più grande del Sole ed è la più grande stella
finora osservata. Le nane più piccole hanno un volume paragonabile a quello della Terra. Non
esistono comunque limiti definiti di dimensioni. Il volume di una stella non va confuso con la sua
massa: tra queste due grandezze infatti non esiste una relazione univoca: alcune stelle hanno
grande volume e grande massa, ma altre hanno grande massa e piccolo volume o al contrario
piccola massa e grande volume.
La massa è uno dei parametri più importanti nello studio delle stelle, perché ne condiziona
l'evoluzione; tuttavia, la massa di una stella può essere misurata con una certa precisione solo
quando ci si trova in presenza di stelle doppie o multiple. Le stelle doppie sono un sistema binario
di stelle, legate tra loro da attrazione gravitazionale: i corpi girano intorno al baricentro comune. Il
primo sistema binario è stato scoperto nel 1650 ed è il sistema di Mizar, nell'Orsa Maggiore.
Oltre ai sistemi binari, esistono sistemi multipli che contengono tre o più stelle che si attirano
gravitazionalmente l'una con l'altra. Le stelle doppie variabili a eclisse, invece, possono essere
riconosciute grazie a periodiche variazioni della luminosità: quando una delle due passa davanti
all'altra, la eclissa e ne riduce in parte la luminosità. Infine, alcuni sistemi binari sono riconoscibili
solo grazie allo sdoppiamento periodico delle righe spettrali (stelle doppie spettroscopiche): le
stelle, muovendosi intorno al baricentro, provocano uno sdoppiamento delle linee spettrali, come
previsto in base all'effetto Doppler.
Le stelle di un sistema binario si muovono con estrema regolarità, rispettando la legge di
gravitazione universale e le leggi di Keplero. Misurando il periodo orbitale e la distanza tra le due
stelle, è possibile utilizzare queste leggi per determinarne la massa. Poiché i sistemi binari e i
sistemi multipli sono molto frequenti, è stato possibile determinare la massa di un buon numero di
stelle. r dati ottenuti vengono in genere espressi utilizzando come unità di misura la massa solare
cui viene attribuito valore 1. La massa delle stelle varia considerevolmente, ma in modo
indipendente dalla misura del raggio: ciò significa che nelle stelle la densità può essere molto
diversa. Betelgeuse, per esempio, ha una massa solo 14 volte più grande di quella del Sole e un
raggio almeno 700 volte maggiore, per cui la sua densità è molto inferiore a quella dell'acqua; il
Sole ha una densità media di 1,4 g/cm3 e in alcune stelle nane, il cui diametro non supera quello
terrestre, la densità raggiunge valori 200.000 volte più elevati di quelli dell'acqua. La maggior parte
delle stelle osservate ha massa compresa tra 1/10 e 60 volte la massa del Sole.
15
9. Il diagramma di Hertzsprung-Russell
Tra il 1911 e il 1913 due studiosi, E. Hertzsprung e H. N. Russell, elaborarono (pur lavorando
indipendentemente) un diagramma a due dimensioni, nel quale veniva messa in evidenza la
relazione tra temperatura e luminosità delle stelle. Il grafico originario riportava i dati relativi alle
stelle visibili,situate a una distanza dalla Terra non superiore ai 10 pc.
Nel diagramma, oggi noto come diagramma H-R (Figura 7), ogni stella è individuata da un punto
cui corrispondono due coordinate: sull'asse delle ascisse, la classe spettrale appartenenza
sull'asse delle ordinate la luminosità assoluta o la magnitudine.
Nel diagramma H-R, le classi spettrali indicano la temperatura superficiale della stella e vengono
disposte in ordine di temperatura decrescente da sinistra a destra: nel diagramma, quindi, le stelle
più calde si trovano a sinistre, le stelle più fredde, a destra [II].
La luminosità, calcolata assegnando valore 1 al Sole, aumenta dal basso verso l'alto. Perciò, le
stelle che si trovano in alto nel diagramma sono le più luminose; in basso ci sono, invece, le stelle
meno luminose. Inoltre, a parità di temperatura, le stelle che si trovano in basso nel diagramma
sono più piccole rispetto a quelle che si trovano più in alto.
Figura 7
Nonostante l'esistenza di una grande varietà possibile di tipi spettrali, le stelle si
concentrano in aree precise del diagramma H-R. La maggior parte delle stelle si trova in una fascia,
detta sequenza principale, che attraversa il diagramma obliquamente, dall'alto a sinistra in basso a
destra. Le stelle della sequenza principale appaiono disposte in ordine decrescente di dimensioni e
temperatura, dalle stelle azzurre (come Spica), caldissime e di dimensioni relativamente grandi, alle
16
stelle rosse (come Proxima Centauri), più fredde e piccole. Nella sequenza principale troviamo
anche il Sole e stelle come Siria, Altair, Deneb e Regolo.
Quasi tutte le stelle rimanenti si dispongono in due aree del diagramma, nettamente distinte: sopra
la sequenza principale, spostato a destra, si trova un gruppo di stelle molto luminose, ma
relativamente fredde, dette giganti e supergiganti rosse; a sinistra della sequenza principale, in
basso, si trova un gruppo di stelle piccole (alcune hanno le dimensioni della Terra, il cui raggio è
6,37·106 m), ma decisamente calde, denominate nane bianche. Le supergiganti rosse sono le stelle
di maggiori dimensioni del diagramma, mentre le nane bianche sono le più piccole. Circa l'85%
delle stelle appartiene alla sequenza principale, solo il 3-6% alle nane bianche e il 10% alle giganti
e supergiganti rosse. Infine, alcune stelle si collocano in una striscia orizzontale corrispondente
circa a magnitudine assoluta 0,5. Questo ramo orizzontale collega la sequenza principale alla
regione delle giganti rosse.
Nel diagramma H-R non viene messa in evidenza alcuna relazione diretta tra luminosità,
temperatura e massa delle stelle. Tuttavia, studi successivi alla pubblicazione del diagramma H-R
hanno permesso di dimostrare che la luminosità (e quindi la posizione sul diagramma) di una stella
della sequenza principale dipende dalla sua massa. Ciò significa che tra le stelle della sequenza
principale, quelle bianco-azzurre sono le stelle con massa maggiore (anche 50-60 volte la massa
solare), mentre le stelle rosse, più fredde e meno luminose, sono quelle che hanno massa più
piccola (fino a 0,1 masse solari). La relazione massa-luminosità non è, invece, valida per le stelle
che si trovano al di fuori della sequenza principale.
Per esempio, le giganti e le supergiganti rosse-arancio, collocate in alto a destra del diagramma,
sono stelle molto luminose, perché hanno una superficie molto più estesa di quella e Sole, ma la
loro massa non è superiore a quella di gran arte delle stelle della sequenza principale:
sono stelle enormi e poco dense. Al contrario, le nane bianche sono piccolissime, ma hanno una
massa (e quindi una densità) elevata: Sirio β, la prima nana bianca osservata, ha una massa pari a
circa 0,9 masse solari, ma un diametro poco più grande della Terra e una luminosità 400 volte
inferiore al Sole.
9.1. Interpretazione del diagramma H-R
Il diagramma H-R è il punto di riferimento più importante per comprendere l'evoluzione
stellare. L’attuale interpretazione del diagramma si basa sulle seguenti ipotesi:
•
le stelle rappresentate si trovano in momenti diversi della loro evoluzione, ci sono dunque
stelle giovani e stelle anziane, accanto a stelle di mezza età;
•
le regioni del diagramma entro le quali vi è la maggior densità di punti corrispondono alle
condizioni fisiche (temperatura e luminosità) più frequenti e comuni;
17
•
ogni regione del diagramma occupata corrisponde a uno stadio possibile della vita di una
stella, perciò le regioni più affollate rappresentano le fasi evolutive in cui una stella trascorre
la maggior parte della sua esistenza.
In altre parole, si può considerare il diagramma H-R come una "fotografia" di stelle di età diverse,
colte in uno stesso istante. Allo stesso modo, passeggiando un pomeriggio lungo una strada o una
spiaggia affollata ci si trova di fronte a individui in stadi diversi della vita, dai neonati agli anziani, e
si può cercare approssimativamente di ricostruire le diverse fasi della vita umana e la loro durata,
basandosi sulla frequenza dei vari tipi di individui. Nel paragone, un astrofisico ha a disposizione un
tempo di osservazione di circa un'ora per comprendere i vari stadi della vita umana e ricostruirli in
modo attendibile2. Il paragone non si adatta perfettamente: al contrario degli individui della specie
umana, che crescono e invecchiano seguendo un ritmo simile, le stelle evolvono secondo modalità
e tempi diversi l'una dall'altra. Questa interpretazione conduce subito a due interessanti conclusioni:
1. le stelle non occupano, nel corso della loro esistenza, sempre lo stesso punto del
diagramma; la posizione di una stella sul diagramma dipende da vari fattori
(massa, età, composizione chimica) che, come vedremo, si modificano nel tempo,
per questo la posizione che una stella occupa non è fissa, ma cambia mentre la
stella si trasforma;
2. la sequenza principale, dove si trova la massima densità di punti, rappresenta la
fase più lunga e stabile della vita di una stella. Nella sequenza principale si trovano
le stelle che hanno una struttura simile al Sole e che differiscono dalla nostra stella
per massa e temperatura. Nane bianche e giganti rosse dovrebbero, invece,
essere stadi evolutivi diversi delle stelle della sequenza principale.
10.
Le forze che agiscono nelle stelle
I dati che abbiamo esaminato ci aiutano a capire che esistono stelle caratterizzate da
parametri fisici (massa, volume, colore, temperatura) differenti. Resta da chiarire la questione
fondamentale di tutto il percorso: come sono fatte al loro interno le stelle e come producono
energia? Nel rispondere a questo interrogativo, è necessario tener presente un dato importante:
non è possibile né osservare direttamente la struttura interna di una stella, né rilevarne le
caratteristiche fisiche e chimiche. A causa di queste difficoltà, gli studi sulla struttura e sull'energia
delle stelle sono studi teorici, svolti applicando le leggi della Fisica a corpi con dimensioni e
composizione simili alle stelle. In base alle leggi fisiche, vengono costruiti modelli degli interni
stellari e delle possibili trasformazioni che subiscono nel tempo. I modelli proposti vengono poi
2
Considerando che l’età dell’Universo è dell’ordine delle decine di miliardi di anni, e che la scienza studia le stelle da un
centinaio di anni, approssimando la vita di un uomo a circa 100 anni, si ha che:
10
2
2
(10 anni):(10 ) = (10 anni·360 giorni/anno·24ore/giorno):(1 ora).
La proporzione, eseguendo i dovuti calcoli, è esatta.
18
confrontati con i dati ricavati dall'osservazione dei corpi celesti, per verificarne la validità. I modelli
attualmente accettati sono stati costruiti partendo da due presupposti:
a) La forza di attrazione gravitazionale gioca un ruolo importantissimo nella storia di una stella. Le
stelle sono sfere di massa enorme, sottoposte all'azione di una forza di gravità diretta sempre
dalla superficie verso il centro. Per effetto di tale forza, gli strati esterni esercitano una forte
pressione sugli strati interni delle stelle, che tendono spontaneamente a contrarsi, cioè a
collassare. La contrazione però si realizza solo in momenti particolari della vita della stella,
quando la forza gravitazionale non viene contrastata adeguatamente dalla "resistenza" opposta
dai materiali presenti all'interno della stella. In ogni caso, quando avviene un collasso
gravitazionale, la temperatura interna della stella aumenta, perché l'energia gravitazionale
potenziale liberata nella contrazione viene trasformata in calore. L'energia irraggiata nella
contrazione è importante, perché consente alla stella di raggiungere nel nòcciolo condizioni di
temperatura che non si realizzano sulla Terra. La forza gravitazionale ha intensità diversa a
seconda della massa delle stelle: le stelle di massa maggiore generano una forza
gravitazionale più intensa, perciò si contraggono più rapidamente e raggiungono alloro interno
temperature più elevate, rispetto alle stelle che hanno una massa minore. Il calore prodotto
dalla contrazione gravitazionale, in ogni caso, non è sufficiente per spiegare la produzione di
onde elettromagnetiche.
b) L'energia emanata dalle stelle, sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, viene prodotta al
loro interno attraverso reazioni di fusione termonucleare nelle quali avviene la trasformazione di
massa in energia. Le reazioni di fusione termonucleare sono reazioni in cui due o più di nuclei
atomici si uniscono per formare un solo nucleo più complesso. Le reazioni termonucleari più
importanti nelle stelle sono quelle che portano alla fusione di nuclei di idrogeno, con la
formazione di nuclei di elio: da quattro nuclei di idrogeno si ottiene un nucleo di elio. Le reazioni
di fusione termonucleare hanno una importante caratteristica: il nucleo che si forma ha quasi
sempre massa minore rispetto alla somma delle masse dei nuclei iniziali. Si verifica, quindi, una
perdita di massa (difetto di massa). Nella reazione di fusione dell'idrogeno, per esempio, il
nucleo di elio prodotto ha una massa inferiore alla somma delle masse dei 4 nuclei di idrogeno
da cui deriva. Albert Einstein (Figura 8) ha dimostrato che la massa "perduta" (m) viene
trasformata in energia (E) secondo la relazione:
E =mc2
dove c è la velocità della luce.
Figura 8
19
L'energia prodotta in questi processi è enorme e largamente sufficiente per garantire il
"funzionamento" di qualsiasi stella: la trasformazione di 1 kg di materia (una quantità insignificante
per le stelle) produce una quantità di energia pari a 9·1014J, quanto 450.000 motori di Formula 1
spinti al massimo per un’ora!!!
Le reazioni di fusione termonucleare possibili nelle stelle sono diverse, ma tutte vengono innescate
solo quando temperatura e densità raggiungono valori determinati e molto elevati. Perché si realizzi
una reazione di fusione è necessario, infatti, vincere le repulsioni elettrostatiche che si realizzano
quando i nuclei degli atomi (che hanno carica positiva) si avvicinano l'uno all'altro. Per superare tale
repulsione, i nuclei atomici devono avere un’energie cinetica e una velocità considerevoli. Questa
condizione si attua solo quando la materia si trova a temperature elevatissime, superiori al milione
di kelvin. Anche la pressione esterna è importante: se la pressione aumenta, i nuclei sono costretti
a muoversi in uno spazio ridotto e hanno maggiore probabilità di scontrarsi, mentre si muovono
caoticamente. Le reazioni di fusione nucleare, quindi, possono avvenire solo nel nòcciolo delle
stelle, dal momento che, nell'involucro esterno, non sussistono normalmente le condizioni di
temperatura e pressione indispensabili. Gli strati esterni della stella, quindi, non producono, ma
assorbono e trasmettono all'esterno l'energia prodotta al centro della stella.
La reazione di fusione più semplice è quella che utilizza i nuclei di idrogeno (carica +1) per produrre
nuclei di elio (carica +2). In molte stelle tuttavia possono avvenire altre reazioni di fusione che
producono nuclei di elementi con carica positiva superiore rispetto all’ elio. È possibile, per
esempio, la fusione di nuclei di elio con produzione di nuclei di carbonio.
È importante a questo proposito sottolineare che le condizioni di temperatura necessarie per
attivare le reazioni non sono sempre le stesse: le temperature richieste aumentano, al crescere
della carica positiva dei nuclei. Per esempio, le reazioni di fusione dell'idrogeno avvengono
efficacemente solo quando la temperatura supera i 10 milioni di kelvin, mentre le reazioni di fusione
dell'elio richiedono temperature di un centinaio di milioni di kelvin. Si è constatato, inoltre, che le
reazioni di fusione nucleare che consumano nuclei con carica superiore alla carica del nucleo del
ferro non liberano energia, perché non vi è difetto di massa. Bisogna, infine, rilevare che l'energia
prodotta nelle reazioni termonucleari all'interno di una stella non viene dissipata integralmente
all'esterno sotto forma di luce e calore: una parte, come si detto, riscalda la materia dentro la stella,
creando una pressione rivolta verso l'esterno. Tale pressione, detta pressione di radiazione, si
oppone alla pressione generata dalla forza di gravità e impedisce il collasso della stella. La stella,
pertanto, collassa solo nelle fasi in cui le reazioni termonucleari non avvengono. A causa delle
reazioni termonucleari le stelle modificano nel tempo la loro composizione chimica (perché si
producono nuovi elementi chimici) e riducono, anche se di poco, la loro massa. Ogni stella, inoltre,
è destinata a spegnersi, perché le reazioni termonucleari possono durare solo finché esistono i
materiali reagenti e vengono mantenute le condizioni di temperatura e pressione necessarie. In
astrofisica, quindi, si parla di nascita, evoluzione e morte delle stelle.
20
Si parla di nascita di una stella, quando in un corpo celeste si innescano le reazioni termonucleari
con produzione di luce e calore, mentre con l'espressione evoluzione delle stelle si indicano tutti i
cambiamenti che si susseguono dal momento in cui una stella comincia a brillare, fino al momento
della sua morte, quando, molto spesso in seguito a fenomeni esplosivi e clamorosi, si spegne,
terminando le reazioni termonucleari.
11.
La nascita delle stelle
Le stelle si formano per condensazione di polveri e gas interstellari [II]. Lo spazio
interstellare, infatti, non è vuoto, anche se la materia molto rarefatta (si calcola che la densità media
sia di 1 particella per centimetro cubo), e frequentemente si possono osservare ammassi di gas più
densi, detti nebulose interstellari. Queste nubi hanno dimensioni estese (diversi anni luce di
diametro) e contengono in prevalenza idrogeno (circa 90%), l'elemento più leggero e più diffuso
nell'Universo, elio, insieme a gas e polveri costituiti di elementi e composti più pesanti. La densità
delle nebulose, anche se superiore a quella delle regioni circostanti, è molto bassa: da 1.000 a
10.000 particelle per centimetro cubo. In queste nubi, per eventi casuali, possono formarsi zone più
dense (nelle quali la densità sale anche fino 100.000 particelle per centimetro cubo), che appaiono
scure e di forma globulare. Una stella si forma quando i gas di una regione densa cominciano a
coagulare e la nube collassa,cioè si contrae. Non è facile capire il meccanismo che innesca il
processo, ma è chiaro che deve verificarsi un aumento locale della densità: si forma cioè un grumo
più denso che comincia ad attirare polveri e gas accrescendo così la sua massa. Il fattore
determinante nella fase iniziale di formazione di una stella è quindi la forza gravitazionale.
In un arco di tempo “relativamente” breve (qualche decina di migliaia di anni), al centro della nube
si forma una protostella, una massa gassosa più densa, di dimensioni variabili, che lentamente si
contrae e si scalda. L'energia gravitazionale, infatti, durante la contrazione, viene convertita in
calore, che in parte scalda l'interno della protostella, in parte viene dissipato verso l’esterno. Per
questa ragione, la temperatura all’interno della protostella cresce lentamente, passando da un
valore inferiore ai 10 K (temperatura iniziale della nebulosa) al migliaio di kelvin, ed essa comincia a
emettere energia sotto forma di radiazioni infrarosse. Le protostelle hanno una temperatura
superficiale molto bassa e una luminosità ridotta e molto spesso variabile perché l'emissione di
radiazioni avviene in modo irregolare. Sul diagramma H-R le protostelle si collocano nel settore in
basso a destra. Anche se vi è una certa emissione di radiazioni, nelle protostelle non si svolgono
reazioni termonucleari.
Con il procedere della contrazione, la pressione e la temperatura aumentano in modo
considerevole,specialmente nella regione centrale della protostella, anche perché cresce la densità
dei materiali, che diventano più opachi e trattengono maggiormente la radiazione.
21
Con il passare del tempo il diametro della protostella si riduce ulteriormente, perché la forza
gravitazionale non è contrastata da una pressione di radiazione. Quando la temperatura nella zona
più interna della protostella supera i 10 milioni di kelvin, iniziano le reazioni di fusione
termonucleare e la protostella diventa una vera e propria stella. L’energia prodotta nelle reazioni di
fusione impedisce un ulteriore collasso gravitazionale e la stella assume dimensioni stabili. Inoltre, il
calore liberato "spazza" via e riscalda i gas residui della nebulosa originaria, rimasti come un
involucro intorno alla stella, che diventa visibile, perché l'energia prodotta al suo interno viene in
parte dissipata all'esterno, sotto forma di radiazioni elettromagnetiche.
La fase prestellare, cioè l'insieme dei fenomeni che da una nebulosa in contrazione portano alla
formazione della stella, ha una durata diversa a seconda della massa della protostella. Quando la
protostella ha una grande massa, l'energia gravitazionale è più elevata e la contrazione procede più
velocemente, provocando un aumento più rapido della densità e della temperatura; se invece la
massa è piccola la contrazione è meno intensa e il processo più lento. Le stelle come il Sole
impiegano circa 30 milioni di anni per raggiungere la sequenza principale, mentre stelle con massa
maggiore impiegano poche centinaia di migliaia di anni. I corpi caldi con massa troppo piccola
(inferiore a 1/10 della massa solare) non sviluppano, durante la contrazione, energia sufficiente per
innescare i processi di fusione nucleare, perciò non si trasformano in stelle.
Al limite opposto, si calcola che non si possano formare stelle con massa superiore a un centinaio
di masse solari, perché probabilmente nelle nebulose con masse così elevate si innescano
processi diversi, che portano alla formazione contemporanea di più protostelle, come si può
osservare nella Figura 9, che ritrae la nebulosa Testa di fantasma (NGC 2080) fotografata da
Hubble.
Figura 9
22
12.
Le stelle della sequenza principale
In una stella appena formata, pressione e temperatura crescono gradualmente dall'esterno
verso l'interno, fino a raggiungere al centro della stella valori tanto elevati da essere incompatibili
con i normali stati fisici della materia. Gli strati più esterni si comportano come un gas in massima
parte ionizzato, molto caldo e rarefatto, mentre nel nòcciolo, dove la pressione supera i 500 miliardi
di atmosfere e la temperatura raggiunge i 10-15 milioni di kelvin, la materia si trova allo stato di
plasma: gli elettroni si separano dai nuclei atomici con cui si mescolano liberamente.
Nel nòcciolo della stella i nuclei atomici e gli elettroni sono dotati di energia cinetica elevatissima
(proporzionale
alla temperatura assoluta) e si muovono molto rapidamente, urtandosi
frequentemente in uno spazio ridotto, a causa dell'alta densità esistente. In queste condizioni i
nuclei atomici riescono a vincere la reciproca repulsione elettrostatica e ad avvicinarsi fino a
fondersi. Nel plasma del nòcciolo della stella si svolgono quindi le reazioni termonucleari (spesso
indicate impropriamente con il termine "bruciamento"). In questa prima fase di vita stellare vengono
principalmente prodotti nuclei di elio, partendo da nuclei di idrogeno. Questo, infatti, è il costituente
fondamentale delle stelle; inoltre, le reazioni di fusione dell'idrogeno possono essere avviate a
temperature inferiori rispetto alle reazioni di fusione.
Secondo i modelli teorici, elaborati tenendo conto delle condizioni di temperatura e pressione
esistenti all'interno del nòcciolo, le reazioni di fusione avvengano con modalità diverse nelle stelle di
grande massa e in quelle di piccola massa, anche se il risultato è sempre lo stesso: si consuma
l'idrogeno presente nel nucleo e si producono nuclei di elio. Nelle stelle di massa inferiore a 1,5
masse solari, la temperatura del nòcciolo non supera i 15 miliardi kelvin e in queste condizioni la
produzione di elio avviene mediante un processo, denominato ciclo protone-protone, mentre nelle
stelle più pesanti, specialmente quelle delle classi spettrali O, B, A, la temperatura del nòcciolo
supera i 20 milioni di kelvin e prevale un processo, denominato ciclo carbonio-azoto-ossigeno.
Descriviamo sinteticamente i due processi [II].
Nel ciclo protone-protone possiamo individuare una via principale e diversi processi collaterali
meno importanti dal punto di vista quantitativo. In questa contesto descriveremo il processo
principale che, per comodità, suddivideremo in due fasi.
Prima fase: fusione di due protoni (cioè due nuclei di idrogeno
deuterio è l'idrogeno
2
1H,
1
1H)
con produzione di deuterio (il
che possiede un protone e un neutrone nel nucleo). Questa fusione libera
energia comporta la trasformazione di un protone in un neutrone,mediante l'espulsione di un
neutrino (ν). Oltre al deuterio, quindi, vengono prodotti anche 1 neutrino, 1 elettrone positivo (e+) e
radiazioni γ, cioè fotoni. Il deuterio si fonde, a sua volta, con un altro protone, formando un nucleo di
elio “leggero" (32He), contenente due protoni e un neutrone. Anche in questa fase viene liberata
energia, sempre sotto forma di raggi γ.
23
Seconda fase: i nuclei di elio “leggero” vengono trasformati in nuclei di elio
4
2He.
La trasformazione
può avvenire con modalità diverse. Nella maggior parte dei casi (85%), due nuclei di
uniscono direttamente, producendo un nucleo di
4
2He
3
2He
si
(formato da due protoni e due neutroni).
Questa reazione produce anche 2 protoni, che possono essere utilizzati per un nuovo ciclo. In
totale,dunque, 6 protoni sono stati immessi nel ciclo e 2 sono stati restituiti, alla fine, insieme al
nucleo di elio. Il bilancio, complessivo del ciclo è:
411H → 24He + 2e + + 2ν + 3,2MeV (γ )
Nella successiva Figura 10 è schematizzato l’intero ciclo.
Figura 10
Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno inizia quando un nucleo di idrogeno penetra in un nucleo di
carbonio,
12
6C,
formando un nucleo di azoto instabile
13
7N
che va incontro a ulteriori trasformazioni
in cui vengono assorbiti altri tre protoni. Al termine del ciclo viene rigenerato un nucleo di carbonio
12
6C
identico a quello di partenza e viene espulso un nucleo di elio
4
2He.
ll bilancio complessivo è
identico a quello deI ciclo protone-protone: dall' assorbimento di 4 protoni si forma un nucleo di
4
2He,
2 elettroni positivi ed energia, sotto forma di raggi γ. Di seguito sono riportate le reazioni del
ciclo.
12
6C
13
7N
→ 136C + e+ + ν
6C
+ 11H → 147N + γ
7N
+ 11H → 158O + γ
13
14
15
15
+ 11H →137N + γ
8O
7N
→ 157N + e+ + ν
+ 11H → 126C + 42He
Queste due reazioni di fusione comportano un difetto di massa dello 0,7%: ogni volta che si
realizza la fusione di 4 nuclei di idrogeno in un nucleo di elio, lo 0,7% della massa viene trasformato
in energia, emessa sotto forma di raggi γ. Di conseguenza, si stabilisce un equilibrio tra la pressione
generata dalla forza di gravità e la pressione di radiazione, provocata dall'energia liberata dalle
reazioni di fusione nucleare.
24
Una stella che si trovi in questa fase è stabile, cioè non si espande e non si contrae. L’energia
prodotta sotto forma di raggi γ dal nòcciolo viene assorbita dagli involucri circostanti il nòcciolo, che
la trasferiscono molto lentamente verso l'esterno, mediante meccanismi di convezione e
irraggiamento. Nel trasporto, l'energia viene in parte dissipata per riscaldare l'interno della stella,
perciò la superficie della stella emana radiazioni elettromagnetiche in tutto lo spettro, ma è molto
più fredda rispetto al nòcciolo. La temperatura superficiale sarà comunque tanto più elevata quanto
maggiore è l'energia prodotta nelle reazioni termonucleari. Sul diagramma H-R, le stelle di questo
tipo si trovano sulla sequenza principale. La posizione che occupano sulla sequenza principale
dipende dalla loro massa. Le stelle con massa maggiore sono quelle più luminose e calde, perché
devono consumare una maggior quantità di idrogeno per generare una pressione di radiazione
sufficiente a impedire il collasso gravitazionale. Esse quindi si collocano in alto a sinistra nel
diagramma, mentre le stelle di piccola massa si collocano in basso a destra. Le reazioni
termonucleari non hanno soltanto effetti energetici: la composizione chimica del nòcciolo, infatti, si
modifica e con il passare del tempo aumenta la percentuale di elio, mentre diminuisce quella di
idrogeno. Inoltre, la massa della stella si riduce, anche se questo effetto ha scarsa influenza sulla
sua evoluzione:si calcola che nel Sole la riduzione di massa comporti una perdita di circa 5 miliardi
di kg al secondo. Una massa enorme dal nostro punto di vista, ma insignificante in questo contesto:
da quando si è formato, circa 5 miliardi di anni fa, il Sole ha perso meno di 1 millesimo della sua
massa.
Le stelle della sequenza principale, come abbiamo detto, sono in equilibrio e permangono
in questo stadio finché l'energia prodotta nelle reazioni di fusione è uguale all'energia irradiata.
Tale fase di equilibrio dura per tempi lunghissimi, ma prima o poi tutte le stelle attraevano una fase
di instabilità, nella quale escono dalla sequenza principale perché modificano luminosità,
temperatura superficiale e dimensioni. La ragione di tale instabilità è semplice: la stella può
utilizzare per le reazioni nucleari solo l'idrogeno del nòcciolo e questo con il passare del tempo si
esaurisce. Negli strati esterni, l'idrogeno è presente abbondantemente, ma non esistono le
condizioni di pressione e temperatura necessarie per la fusione. Quando quasi tutto l'idrogeno del
nòcciolo è trasformato in elio, le reazioni si arrestano e vengono a mancare le condizioni che
garantivano l'equilibrio della stella.
Il tempo necessario alla stella per consumare l'idrogeno del nòcciolo varia con la massa. Infatti, le
stelle di massa maggiore, per poter contrastare efficacemente la contrazione gravitazionale,
devono consumare l'idrogeno molto più velocemente rispetto alle stelle di piccola massa e la loro
permanenza sulla sequenza principale è più breve. Una stella con massa pari a 20 masse solari,
per esempio, resta sulla sequenza principale per circa 1 milione di anni; le stelle di massa simile al
Sole permangono nella fase stabile anche 10 miliardi di anni e le stelle di massa pari a 0,5 masse
solari possono restare sulla sequenza anche 30 miliardi di anni. In generale comunque una stella
passa sulla sequenza principale circa il 70% della sua vita.
25
13.
Dalla sequenza principale alle giganti rosse
In tutti i casi, quando la stella ha consumato l'idrogeno del nòcciolo, le reazioni di fusione si
esauriscono e la stella riprende a contrarsi, per effetto della forza di gravitazione. Il destino della
stella a questo punto è condizionato dalla massa. Se la stella ha una massa inferiore a 0,5 masse
solari, la contrazione riscalda il nucleo senza tuttavia raggiungere i valori necessari per innescare
nuove reazioni termonucleari. La contrazione quindi procede incontrastata, provocando soltanto un
aumento della densità e della pressione. La stella si spegne e muore. Invece, nelle stelle con
massa superiore a 0,5 masse solari, la contrazione provoca un considerevole aumento della
temperatura interna. La stella in questa fase ha un nòcciolo formato da elio, intorno al quale c'è un
involucro costituito principalmente da idrogeno. Il calore prodotto dalla contrazione ha un primo
effetto importante: nella regione circostante al nocciolo si innescano le reazioni di fusione
dell'idrogeno in elio (perché si raggiungono anche in questa zona i valori di temperatura necessari).
Gli strati più esterni della stella, riscaldati dall'energia prodotta dalle nuove reazioni di fusione, si
espandono. L’involucro esterno perciò si dilata e contemporaneamente si raffredda, provocando un
aumento considerevole delle dimensioni della stella,che assume una colorazione rossastra a causa
della diminuzione della temperatura superficiale. La stella si trasforma in una gigante rossa e "si
sposta" sul diagramma H-R nella regione in alto a destra. Le stelle di grande massa si trasformano
in giganti rosse in poche migliaia di anni, mentre le stelle di piccola massa possono impiegare
anche milioni di anni. Inoltre, la trasformazione di una stella della sequenza principale in gigante
rossa può avvenire tranquillamente, oppure attraverso una serie di fasi instabili, in cui la stella
alterna contrazione ed espansione. In questo caso la luminosità,condizionata dal periodico variare
delle dimensioni, oscilla e la stella diventa una stella variabile. Mentre la stella diventa una gigante
rossa, al suo interno avviene un altro cambiamento; la regione centrale, composta principalmente di
elio, si contrae e si scalda, fino a raggiungere una temperatura intorno ai 100 milioni di kelvin, e
prendono avvio le reazioni di fusione nucleare che trasformano l'elio in carbonio, denominato ciclo
3α, poiché coinvolge 3 nuclei di elio [I]:
4
2He
+
4
2He
→ 84Be + γ
8
+
4
2He
→ 126C + γ
4Be
L’energia liberata da questa reazione impedisce al nucleo di collassare ulteriormente e la
gigante rossa raggiunge suo equilibrio. Nelle giganti rosse è presente un nòcciolo denso costituito
da due zone: una regione centrale in cui l'elio viene trasformato in carbonio, circondato da un
involucro in cui l'idrogeno viene trasformato in elio. La gigante rossa mantiene la sua stabilità per un
certo periodo, poi entra in una nuova fase di instabilità: infatti, quando l'elio del nucleo si è
trasformato in carbonio, le reazioni di fusione si arrestano e riprende la contrazione, con
conseguente aumento della temperatura interna.
26
La successiva evoluzione della gigante rossa è ancora condizionata dalla sua massa. Se la gigante
rossa ha una massa piccola (inferiore a 2 masse solari), non vengono raggiunte le temperature
necessarie a innescare nuove reazioni di fusione e la stella entra nella fase finale della sua vita e si
spegne.
Se, invece, la stella ha una massa abbastanza grande, la densità e la temperatura interna
aumentano velocemente fino a valori che permettono di attivare le reazioni di fusione dell'elio in un
guscio intorno al nòcciolo. Contemporaneamente, il nòcciolo si contrae e, se raggiunge le
temperature necessarie (almeno 800 milioni di kelvin), in esso si avviano le reazioni di fusione del
carbonio, con produzione di elementi più pesanti,come ossigeno,magnesio e neon.
Gli strati esterni riscaldati si espandono ulteriormente e la stella diventa una supergigante rossa.
Essa ha una struttura a involucri concentrici (Figura 11), con un nocciolo a strati in cui avvengono
reazioni di fusione diverse: al centro si producono gli elementi più pesanti, mentre negli involucri
circostanti si producono rispettivamente carbonio ed elio.
Figura 11
Ogni volta che si esaurisce il "combustibile" del nòcciolo, la stella riprende a contrarsi e
riscaldarsi e, se riesce, attiva nuove reazioni termonucleari nelle quali l'ossigeno viene trasformato
in silicio,zolfo ecc. Ogni stadio produce elementi più pesanti ed è più breve di quello precedente;
inoltre, la fusione richiede temperature sempre maggiori (anche di miliardi di kelvin), perché,
aumentando la carica positiva dei nuclei, aumentano le forze repulsive da vincere. Per questo,
l'evoluzione di una supergigante rossa procede diversamente a seconda della massa: le stelle più
massicce raggiungono temperature più elevate nel nòcciolo e si innescano le reazioni
termonucleari che portano alla formazione di elementi molto pesanti; le stelle con massa minore si
arrestano prima In tutti i casi i processi di fusione possono proseguire solo fino alla formazione dei
nuclei di ferro. Le reazioni di fusione, a partire da nuclei di ferro, infatti, non liberano energia, ma la
assorbono, perciò, quando una stella giunge alla formazione. del ferro, comunque si arresta la
produzione di energia nucleare.
Lo stadio di gigante o supergigante rossa ha una durata molto breve rispetto allo stadio di
sequenza principale; infatti, l'energia prodotta dalla fusione dell'elio o di altri elementi pesanti è in
proporzione minore rispetto a quella prodotta nella fusione dell'idrogeno. Nel caso del Sole questa
fase dovrebbe durare circa 1 miliardo di anni.
27
14.
La morte di una stella:
nane bianche, stelle a neutroni e buchi neri
Quando le reazioni termonucleari si arrestano definitivamente, il nucleo non è più in grado
di contrastare la forza gravitazionale che provoca il collasso della stella. La fase finale della vita di
una stella è dunque condizionata dall'intensità della forza gravitazionale che agisce al suo
interno [II]. Tale forza, come sappiamo, dipende dalla massa, perciò stelle di massa diversa hanno
destini differenti. Le stelle con massa inferiore a 8 masse solari, in genere, attraversano una fase di
instabilità, durante la quale espellono gli strati più esterni, che si dilatano formando nebulose
sferiche, dette nebulose planetarie. In questa fase, la stella perde buona parte della sua massa e il
nocciolo residuo diventa visibile come un corpo di piccole dimensioni molto denso e caldo, detto
nana bianca (Figura 12).
Figura 12
All'interno della nana bianca non avvengono reazioni termonucleari, ma la temperatura superficiale
è ancora molto elevata, perché viene disperso all'esterno il calore residuo. Anche se la temperatura
superficiale può superare i 30000 K, la stella appare poco luminosa a causa elle dimensioni ridotte.
Il diametro delle nane bianche, infatti, è piccolo, paragonabile a quello terrestre, mentre la densità
arriva a valori dell'ordine di 109 kg/m3. La materia all'interno della nana bianca si trova in uno stato
degenere: gli elettroni sono separati dai nuclei, come nel plasma ma si dispongono intorno a essi
avvicinandosi più possibile gli uni dagli altri fino a quando la repulsione elettrostatica non impedisce
un ulteriore collasso.
La materia allo stato degenere resiste alla contrazione ed esercita una pressione, detta pressione
degenere, che sostiene la stella, indipendentemente dal suo stato termico interno.
28
La nana bianca, perciò, non può contrarsi ulteriormente, ma in un arco di tempo lunghissimo si
raffredda, fino a diventare una nana nera, un corpo denso e oscuro non più visibile. Le nane nere
diversamente dalle nebulose planetarie e dalle nane bianche, non sono mai state osservate: i tempi
necessari per raffreddare una nana bianca fino a questo stadio, infatti superano l'età attuale
dell’universo.
La trasformazione di una gigante rossa in una nana bianca può avvenire anche con modalità
diverse da quelle descritte. Si ritiene, per esempio, che le stelle con massa inferiore a 0,5 masse
solari si trasformino direttamente in una nana bianca, senza attraversare lo stadio di nebulosa
planetaria, Inoltre, l'evoluzione di una nana bianca può essere accompagnata da una fase
esplosiva nella quale si realizza un improvviso aumento di luminosità della stella, pari anche a 1
milione di volte, con una variazione di magnitudine di 11-12 classi.
Le stelle che manifestano questo rapido aumento di luminosità sono chiamate novae e in genere
declinano rapidamente [V]. Si tratta quasi sempre di stelle che appartengono a sistemi binari. È raro
che, infatti, nei sistemi binari le stelle si trovino nella stessa fase evolutiva. Può, così, capitare che
in un sistema binario si trovino vicine una nana bianca e una gigante rossa. Secondo i modelli
teorici quest’ultima perderebbe materia dallo strato esterno espanso e tale materia sarebbe attratta
dalla nana bianca. La caduta di gas sulla nana bianca innescherebbe nuove reazioni termonucleari
con fenomeni esplosivi esterni e si formerebbe così una nova.
È stato dimostrato che le nane bianche non possono avere una massa superiore a 1,44 masse
solari (limite di Chandrasekhar) [XIII]. Se, infatti, la massa supera questo valore critico, la pressione
degenere non è in grado di impedisce il collasso gravitazionale. Per questo muoiono come nane
bianche le stelle che hanno un nòcciolo relativamente piccolo, cioè quelle con massa inferiore a 8
masse solari. Le stelle di massa superiore a 8 masse solari muoiono in nodo catastrofico
diventando supernovae. Una supernova è una stella che esplode violentemente, aumentando
anche di 1 miliardo di volte la sua luminosità. L’esplosione è causata probabilmente da un rapido
collasso del nucleo, che libera in breve tempo un'enorme quantità di energia gravitazionale, che
scalda e dilata velocemente l’involucro esterno e attiva nuovi processi nucleari di fusione e cattura
elettronica. Si tratta di un evento molto rapido che provoca l'espulsione nello spazio di una parte
consistente della materia della stella, che si espande a velocità elevatissima (migliaia di km/s). Gli
elementi che la stella ha prodotto nelle reazioni termonucleari quelli (anche più pesanti del ferro)
possono formarsi durante la stessa fase esplosiva, attraverso processi di fissione, fusione e
decadimento radioattivo, vengono dispersi nello spazio. Una supernova si manifesta con un
improvviso aumento di luminosità, che si esaurisce in un arco di tempo di ore, giorni o al massimo
mesi. Talvolta la luminosità dell'astro è tale da renderlo visibile anche durante il giorno I materiali
espulsi restano visibili in cielo, come una nebulosa luminosa anche per centinaia di anni, come la
nebulosa del Granchio (Figura 13), formata dai materiali prodotti dall’esplosione di una supernova
con massa pari a 10 masse solari, il 4 luglio 1054. L’esplosione fu osservata dagli astronomi cinesi
29
dell’epoca, e rimase osservabile nel cielo per parecchi mesi, con una magnitudine paragonabile a
quella della Luna.
Figura 13
Al termine dell'esplosione, al posto della supernova resta il nòcciolo, estremamente caldo e
denso, che, a seconda della massa, dà origine a una stella a neutroni o a un buco nero.
Le stelle a neutroni si formano quando il nocciolo residuo della supernova ha una massa compresa
fra 1,44 e 3 masse solari. Sono corpi con un diametro di circa una decina di kilometri, entro i quali
la densità raggiunge valori estremi, dell'ordine di 1017kg/m3. Per effetto dell'intensissima forza di
gravità che agisce al loro interno, la materia assume una struttura particolare: gli elettroni riescono
a penetrare nei nuclei e a combinarsi con i protoni, formando neutroni. In queste condizioni la
materia assume una struttura particolare: gli elettroni riescono a penetrare nei nuclei e a combinarsi
coi protoni, formando neutroni, i quali esercitano una pressione tanto intensa da impedire un
ulteriore collasso. Le stelle a neutroni hanno una luminosità ancora più ridotta delle nane bianche,
per cui risulta difficile osservarle direttamente. In effetti la loro esistenza era stata prevista in base a
studi teorici già negli anni '30 del secolo scorso, ma solo alla fine degli anni '60, sono stati scoperti
corpi celesti detti pulsar, che potrebbero identificarsi con le stelle a neutroni. Le pulsar (pulsating
radio source) sono oggetti celesti di dimensioni molto ridotte che emettono onde radio sotto forma
di impulsi a intervalli regolari dell'ordine di 1 s. Non sono corpi luminosi e la loro esistenza è stata
rilevata utilizzando i radiotelescopi. Le pulsar sono spesso associate alle nebulose, che si formano
in seguito all'esplosione delle supenovae. Una pulsar è stata scoperta, per esempio, nella nebulosa
del Granchio; si tratta di un corpo molto piccolo, che emette segnali radio con una periodicità di 33
millesimi di secondo, variando nel contempo la sua luminosità. Si ritiene che le pulsar siano stelle a
neutroni, dotate di un campo magnetico, che ruotano molto rapidamente (anche 1000 giri/s) su se
stesse perdendo continuamente energia, prevalentemente in corrispondenza dei poli magnetici.
L'asse magnetico non coincide con l'asse di rotazione (Figura 14). Quando la pulsar rivolge verso di
noi il suo asse magnetico, la Terra viene raggiunta da un fascio di radiazioni, cioè di onde radio.
30
Figura 14
Le pulsar rallentano la loro rotazione nel tempo e lentamente perdono energia, raffreddandosi come
le nane bianche. Vi sono poi le magnetar, stelle di neutroni con elevatissime proprietà magnetiche,
da 1014 a 1015 Gauss. Uno studio svolto da astrofisici del Marshall Space Flight Center della NASA,
ha appurato che questi oggetti cosmici, che sono in grado di smagnetizzare una carta di credito a
una distanza di 150 mila chilometri, sono molti di più di quanto si credeva.
Se il nucleo residuo della supernova ha una massa superiore a 3 masse solari si trasforma
in un buco nero, un corpo nel quale il collasso gravitazionale non può essere contrastato in alcun
modo. Un buco nero corrisponderebbe, in teoria, a una stella in cui la forza gravitazionale è tanto
elevata da non essere contrastata né da uno stato degenere della materia, come nelle nane
bianche, né da una struttura a neutroni. La gravità in un corpo del genere impedirebbe la fuga di
qualsiasi particella o segnale luminoso. Il termine buco nero identifica proprio queste
caratteristiche: qualsiasi oggetto attratto è destinato a precipitare all'interno, perdendo la sua
identità e la stessa luce, pur costituita di particelle infinitesimali, verrebbe intrappolata, tanto da
rendere il corpo invisibile a qualsiasi osservazione. Secondo la fisica teorica, perché un corpo
celeste si trasformi in un buco nero occorre che esista un preciso rapporto tra la sua massa e le
sue dimensioni. Più esattamente può essere considerato buco nero solo un corpo il cui raggio sia
inferiore al raggio di Schwarzschild (RS) [XV]:
Rs = 2
MG
c2
dove:
M è la massa del corpo,
G è la costante di gravitazione universale,
c è la velocità della luce.
In teoria quindi qualunque corpo potrebbe trasformarsi in buco nero, se la sua massa venisse
compressa in una sfera di raggio Rs abbastanza piccolo. Nel caso del Sole, per esempio,
Rs = 2,9 km: il Sole potrebbe diventare un buco nero, se si contraesse fino a diventare una sfera di
queste dimensioni! La Terra, invece, per trasformarsi in buco nero dovrebbe diventare una biglia
31
con Rs = 0,88 cm. Sole e Terra comunque non possono trasformarsi in buchi neri, perché la forza
gravitazionale che agisce alloro interno non consente una contrazione così accentuata. Nella realtà,
possono trasformarsi in buchi neri solo corpi di massa enorme (almeno 3 volte la massa del Sole):
in questo caso, infatti, la forza gravitazionale può ridurre dimensioni del corpo al di sotto del valore
del raggio di Schwarzschild. I buchi neri sono uno dei rari esempi di modello teorico elaborato
senza l'appoggio di dati sperimentali. Ciò rende difficile sia l'ulteriore elaborazione del modello sia la
ricerca delle conferme sperimentali. Secondo molti astrofisici, è possibile identificare la presenza di
buchi neri perché essi esercitano una forza gravitazionale intensa sui corpi celesti a loro vicini. Per
questo dovrebbe essere più facile osservare a presenza di un buco nero in un sistema binario di
stelle in stadi evolutivi avanzati. In tal caso, potrebbero trovarsi associati una stella e un buco nero
e la stella visibile dovrebbe essere perturbata dalla forza gravitazionale del buco nero, che
comunque resterebbe invisibile a ogni osservazione. Effettivamente, si osservano stelle dalle quali
fuoriesce materia che si dispone come un disco in rotazione intorno a una massa invisibile per
essere inghiottita (Figura 15).
Figura 15
Durante la caduta a spirale verso la massa nascosta i gas si riscaldano ed emettono raggi x. In
questo caso, la compagna invisibile, potrebbe essere un buco nero. Una situazione del genere si
osserva nella costellazione del Cigno, dove c'è una sorgente di radiazioni x,denominata Cygnus X1,
la cui massa calcolata pare essere di circa 6 masse solari. Secondo alcuni astrofisici al centro di
ogni galassia si trova un buco nero, intorno a cui essa ruota.
La seguente Figura 16 riassume l’evoluzione delle stelle.
Figura 16
32
15.
Le stelle modificano la composizione dell'Universo
Lo studio dei meccanismi evolutivi delle stelle ha permesso di comprendere alcuni aspetti
interessanti della storia dell'Universo. Innanzitutto bisogna notare che le stelle non si sono formate
tutte contemporaneamente in una fase precoce della vita dell'Universo: anche oggi all'interno di
molte nebulose si possono osservare i fenomeni che accompagnano la nascita di nuove stelle. Le
stelle, inoltre, invecchiano e muoiono, secondo tempi e modalità .che dipendono dalla loro massa:
le stelle di grande massa evolvono rapidamente e in modo catastrofico al contrario di quelle di
piccola massa. La morte precoce delle stelle di massa maggiore ha modificato in modo
significativo la composizione dell'Universo e ha contribuito a diffondere nello spazio elementi
chimici che non erano presenti nell’universo iniziale [VI]. Durante l'esplosione delle supernovae,
infatti, accadono due eventi significativi. Vengono create per fusione e fissione elementi pesanti e
buona parte del materiale della stella viene disperso nello spazio circostante. Da tali elementi
possono derivare nuove nebulose, in cui potranno formarsi, in un secondo tempo, nuove
generazioni di stelle, caratterizzate da una composizione leggermente diversa da quella delle stelle
primordiali. Le nuove stelle, infatti, conterranno una minore percentuale di idrogeno e una maggiore
percentuale di elementi pesanti e metalli.
Una galassia come la nostra contiene quindi diverse generazioni di stelle: una generazione di stelle
formatesi nelle prime fasi di sviluppo della galassia, povere di elementi pesanti, relativamente
vecchie (perché dotate di massa non troppo elevata), composte prevalentemente di idrogeno; una
generazione di stelle relativamente "giovani" ricche di elementi pesanti prodotti da una precedente
"generazione" di stelle.
Le stelle di più recente formazione vengono chiamate stelle di popolazione I o di seconda
generazione, mentre le stelle "vecchie", povere di metalli ed elementi pesanti, vengono chiamate
stelle di popolazione II o di prima generazione.
Il Sole è una stella di seconda generazione. L'abbondanza di elementi pesanti ha avuto un effetto
importante nella storia del Sole: ha reso possibile, infatti, anche la formazione di un sistema
planetario e in particolare di un pianeta come il nostro in cui abbondano carbonio, silicio, ossigeno,
ferro e molti altri elementi, prodotti in tempi remoti all'interno di qualche supernova. Tali elementi
sono indispensabili per gli esseri viventi e non potrebbero esistere sul nostro pianeta se il Sole e il
suo sistema planetario si fossero formati da una nebulosa di prima generazione. Ciò significa che la
vita non avrebbe potuto formarsi (per mancanza di materia prima) in una fase precoce della
storia dell'Universo o in un universo più giovane rispetto a quello attuale. Tutti gli elementi chimici
presenti sulla Terra, e che costituiscono gli stessi esseri viventi, hanno quindi una storia complessa
che lega la nostra esistenza al destino di stelle ormai estinte.
33
16.
Attualità
Riporto di seguito un articolo comparso su La Repubblica del 18 febbraio 2005 (quello
riportato è tratto dalla versione on-line). Si spera che, dopo questo percorso, la sua lettura risulti
agevole [IX].
34
Sitografia
[I]
http://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione_stellare
[II]
http://physics.infis.univ.trieste.it/~monaco/node10.html
[III]
http://www.astro.unifi.it/gruppi/planetneb/
[IV]
http://www.astrofili.org/universo/stelle.htm
[V]
http://www.astrosurf.com/cosmoweb/stelle/evoluzione.html
[VI]
http://www.cosediscienza.it/fisica/08_materia.htm
[VII]
http://www.ecplanet.com/canale/astronomia-9/stelle-111/1/0/10625/it/ecplanet.rxdf
[VIII]
http://www.pd.astro.it/MOSTRA/G2320STE.HTM
[IX]
http://www.repubblica.it/2005/b/sezioni/scienza_e_tecnologia/sagittar/sagittar/sagittar.html
[X]
http://www.specialgratis.it/sfondi_L/sfondi__spazio1.htm
[XI]
http://www.vialattea.net/hubble/1996/9607.htm
[XII]
www.brera.mi.astro.it/docB/galaxy/matteucci.ps
[XIII]
http://www.lngs.infn.it/lngs_infn/index.htm?mainRecord=http://www.lngs.infn.it/lngs_infn/con
tents/lngs_it/public/educational/physics/supernova/
[XIV]
http://diamante.uniroma3.it/hipparcos/buchineri.htm
Bibliografia
[A]
Accordi - Lupia Palmieri - Parotto, Il globo terrestre e la sua evoluzione,
Bologna, 1993.
Zanichelli,
[B]
Lupia Palmieri - Parotto La Terra nello spazio e nel tempo, Zanichelli, Bologna, 2002.
[C]
Rosino, L., Lezioni di astronomia, CEDAM, Padova, 1979.
35
Indice
Presentazione
Pag. 2
1. Caratteristiche dell’intervento didattico
1.1 Contestualizzazione
1.2 Prerequisiti
1.3 Prerequisiti “specifici”
1.4 Obiettivi generali
1.5 Obiettivi specifici
Pag. 3
Pag. 3
Pag. 3
Pag. 3
Pag. 3
Pag. 3
2. Le stelle
Pag. 4
3. La distanza delle stelle
Pag. 4
4. Le unità di misure delle distanze in astronomia
Pag. 7
5. La luminosità delle stelle e le classi di magnitudine
5.1 Luminosità apparente e luminosità assoluta
5.2 La magnitudine apparente e la magnitudine assoluta
Pag. 8
Pag. 8
Pag. 9
6. L’analisi spettrale della luce delle stelle
6.1 Composizione chimica
6.2 Temperatura
Pag.11
Pag.12
Pag.12
7. L’effetto Doppler e gli spettri delle stelle
Pag.13
8. Massa e dimensioni delle stelle
Pag.14
9. Il diagramma di Hertzsprung-Russell
9.1 Interpretazione del diagramma H-R
Pag.16
Pag.17
10. Le forze che agiscono nelle stelle
Pag.18
11. La nascita delle stelle
Pag.21
12. Le stelle della sequenza principale
Pag.23
13. Dalla sequenza principale alle giganti rosse
Pag.26
14. La morte di una stella: nane bianche, stelle a neutroni e buchi neri
Pag.28
15. Le stelle modificano la composizione dell’universo
Pag.33
16. Attualità
Pag.34
Sitografia e bibliografia
Pag.35
36