Analisi storica del cannone n° 10
Descrizione:
Cannone francese in ghisa da 4 libbre -Troyes ( palla da 1,9 Kg).
Calibro: 84 mm
Lunghezza di classificazione: cm. 191 cm pari a circa 6 piedi Parigini
Lunghezza totale : 208 cm.
Peso: 600 Kg circa
Modello di costruzione (pattern) : Gribeauval, con canna divisa in tre zone diseguali,
delimitate da due larghe fasce (collari) davanti e dietro gli orecchioni di forma leggermente
conica.
Storia:
Cannone fuso nel 1788 probabilmente nella fonderia di Indret, su di un isola della Loira,
presso Nantes. In quel periodo Indret era difatti la fonderia che produceva il maggior
numero di cannoni per la marina reale francese.
La fonderia di Indret venne creata nel 1777 dal Ministero della Marina di Luigi XVI che ne
affidò la realizzazione all’industriale del ferro inglese William Wilkinson, fratello del famoso
John, creatore della Bersham Foundry, che aveva collaborato con James Watt nella
creazione delle prime macchine a vapore.
La caratteristica più particolare di questa fabbrica di cannoni era l’impianto di foratura delle
canne, mosso da una ruota idraulica azionata dalla forza delle maree. Qui venne
realizzata la prima “via ferrata” francese, una linea di 1.100 metri costruita con barre di
ferro su traversine di rovere per lo spostamento dei cannoni dai forni.
Il cannone venne probabilmente portato a Corfù a seguito della caduta della Repubblica di
Venezia nel 1797 nel corso della Campagna d’Italia. Napoleone attribuiva una enorme
importanza a Corfù come base per controllare il traffico navale dall’Egitto a Gibilterra.
La Francia perse poi le isole ioniche a seguito della azione condotto dalla flotta russa e
dalle truppe turche.
La sconfitta navale subita dalla flotta francese a Aboukir (Battaglia del Nilo-1798) da parte
della squadra di Nelson, lasciò libertà d’azione alle forze confederate contro la Repubblica
di Francia. Ad una ad una sei isole ioniche passarono sotto il controllo dei russi comandati
dall’Ammiraglio Ušakov . Cerigo, Zante e Cefalonia si sollevarono ad opera della nobiltà ,
che aizzò il popolo contro i repubblicani per riprendere il potere perduto (1798). Itaca cercò
invece sino all’ultimo di proteggere i francesi che molto bene si erano inseriti nella vita
locale. Si ricorda che i francesi in quei tre anni fondarono la Biblioteca, organizzarono
scuole e crearono il primo stabilimento tipografico della Grecia.
Rimaneva Corfù, dove il comandante delle isole ioniche, generale Chabot, non aveva però
sufficienti uomini per difendere tutte le fortificazioni, avendo disperso oltre mille soldati in
presidi sulle isole e sulla terraferma.
L’arrivo delle navi russe nell’Adriatico impediva l’invio di rinforzi francesi da Ancona, inoltre
ai primi sbarchi avvenuti a Corfù scoppiarono varie rivolte guidate dalle famiglie nobili dei
conti Bulgari e dei Capo d’Istria, che avevano una grande influenza nell’isola. La stessa
Chiesa greca caldeggiava l’arrivo dei russi, considerati fratelli correligionari.
Particolarmente grave risultò la situazione dei piccoli presidi sulla terraferma, contro cui si
rivolsero i turchi, che sino ad allora avevano manifestato una apparente amicizia verso i
francesi. In realtà le mire del pascià di Janina, Alì, erano di espandere i propri territori
occupando quelli già veneziani. Avendo inutilmente tentato di corrompere il generale
Chabot con offerte di forti somme di denaro, Alì attaccò con undicimila soldati, turchi ed
albanesi prevalentemente a cavallo, le forze francesi a Butrintò e a Parga, che dovettero
essere subito abbandonate.
I francesi si trincerarono a Nicopoli ed a Preveza, presto investite dalle grandi forze turche.
Il figlio di Alì, Muktar, guidò l’assalto a Nicopoli, riuscendo a sfondare lo schieramento al
centro, dove combattevano i volontari greci di Preveza.
Narra il cronista: “Non mai la virtù francese nelle battaglie si mostrò eminente come in
questa, né mai una scellerata barbarie tanto infierì contro infelici e buoni guerrieri”…”era
la battaglia ridotta ad affronti particolari in cui venti combattevano contr’uno. Perivano i
francesi, ma dopo vendette a cento doppi fatte, perché in loro quel che non poteva la forza
naturale, poteva l’incredibile coraggio.”…” Combattevansi dai francesi non per altra
ragione che per morire onoratamente e da uomini forti,…. infine fattosi non non quello, ma
più di quello che per la natura umana si può, piuttosto per stanchezza insuperabile che per
libera volontà, si diedero in potere dei vincitori forse cento soldati, soli supertiti di si grosso
corpo.”
Nella vicina cittadina di Preveza era rimasta di guardia solamente una compagnia di
ottanta francesi, al comando del capitano Tissot. Questi, al rumore della battaglia, cercò di
raggiungere la linea di combattimento, ma giunse a scontro appena finito e si trovò
circondato da squadroni di albanesi, dai quali dovette difendersi, sfruttando le asperità del
terreno, per tutta la ritirata su Prevesa. Qui riuscì a raggiungere la riva del mare da dove
vide arrivare una nave bombarda ed alcune barche armate, venute dalla fortezza di Santa
Maura per portare soccorso e munizioni. La speranza di salvezza fu però delusa. Un
coraggioso greco, amico del Tissot, si offrì di prendere una barca, sfidando i colpi turchi
che cadevano intorno, per chiedere alla nave di avvicinarsi rapidamente per portare in
salvo i superstiti, ma proprio un civile francese “mostro che uomo”, salito sulla barca per
mettersi subito in salvo, dichiarò al comandante della nave che tutti i soldati francesi erano
stati uccisi e che non restava che allontanarsi in fretta da quella riva.
La reazione dei soldati francesi fu epica: per non disonorare i compagni caduti in battaglia
decisero di assaltare l’esercito turco, pur essendo rimasti in poche decine. L’impeto
dell’imprevisto assalto permise di ricacciare i turchi, costretti a retrocedere sorpresi e
spaventati. L’enorme disparità però dopo poco tempo lasciò così pochi soldati che il
combattimento cessò. Alcuni si uccisero per non arrendersi; solo otto sopravvissero per
finire deportati a Costantinopoli, “viaggiando li sforzava a portare a volta a volta le teste ancora
stillanti sangue degli uccisi amici, e chi ricusava l’orrendo carico era barbaramente tormentato.”
Oltre 400 abitanti di Preveza furono torturati ed uccisi sull’isola di Salagora, che rimase
coperta delle loro ossa.
L’attacco a Corfù si stava intanto trasformando in un assedio a causa della fiera resistenza
francese e della saldezza delle fortezze. L’ammiraglio russo Ušhakov decise allora di
occupare l’isolotto di Vido, il quale si trova così vicino alle mura della fortezza che
artiglierie ivi posizionate avrebbero potuto in breve aprire brecce nelle mura.
L’isolotto era difeso da 400 soldati e da 5 postazioni di artiglieria, ma non aveva
fortificazioni e scarsi parapetti. Il primo marzo 1799 i confederati russo-turchi a bordo di 25
navi aprirono il fuoco con 800 cannoni. Un vero uragano di proiettili, cui si univano le
batterie portate sul monte San Pantaleone e Oliveto che, sparando sulla fortezza,
impedivano ogni soccorso.
Dopo tre ore tutti gli affusti dei cannoni francesi, di tipo navale e quindi poco mobili, erano
distrutti. Pur avendo inflitto agli attaccanti gravi danni senza i cannoni non c’era più
speranza per i francesi. I Russi sbarcarono 1500 soldati i turchi e gli albanesi circa 2000. I
Francesi si ritirarono combattendo all’interno cercando scampo dai turchi, ma questi
tagliarono la testa a tutti i francesi catturati, sia che si fossero arresi sia che si fossero
difesi, portandole come trofeo a Cadir Bey, viceammiraglio della flotta turca.
I russi invece non uccisero nessuno dei soldati fatti prigionieri. Si narra anzi che i russi
riscattassero con denaro molti prigionieri francesi, salvandone la vita; un colonnello russo,
terminato il denaro, diede persino il proprio orologio in cambio della vita di due francesi.
La guarnigione francese della fortezza,colpita da ogni lato dalle artiglierie, dovette a
questo punto arrendersi, pur con l’onore della armi. Ai francesi fu anche consentito di
ritornare a Tolone o ad Ancona, contro giuramento di non combattere per 18 mesi. La
nave di linea Leandro da 50 cannoni, già inglese catturata dopo la battaglia di Abukir, e la
corvetta La Brune da 28 cannoni furono date ai russi, i quali le consegnarono agli inglesi.
I ciprioti accolsero con grandi feste le truppe russe, viste come correligionari. Venne
ripristinato il consiglio generale dei nobili e dopo breve venne creata una repubblica che
comprendeva tutte le isole ioniche, sotto il protettorato russo-turco (21 marzo 1800).
Successivamente, con la pace di Tilsit (1807) tra la Francia e la Russia, Napoleone volle
fortemente far abbandonare il Mediterraneo ad ogni nave russa forzando lo Zar a ritirare
ogni soldato da Cattaro e da Corfù: il possesso di Corfù fù una sua ossessione. Spronò
perfino Giuseppe a Napoli “che si affretti ad occuparla, che vi mandi un piccolo esercito,
che vi faccia immensi depositi di grano e di materiale, e occupi nello stesso tempo le città
della costa albanese e dell'Epiro che dipendono dal governo delle isole Ionie”.
Il Generale Berthier, che doveva occupare Corfù, fece infuriare Napoleone per il ritardo di
qualche giorno nell'occupare l'isola e le città della costa. Napoleone chiamò questo ritardo
"una follia"e ne pretese l'occupazione immediata.
Per Napoleone Corfù è una delle basi della sua politica mediterranea.
Egli scriverà al fratello Giuseppe: " Corfù è tanto importante per me, che la sua perdita
sarebbe un colpo funesto per i miei progetti.." Perfino più importante della Sicilia (dove
sbarcheranno gli inglesi). "Ricordatevi di queste parole: nella situazione attuale
dell'Europa, la più grande disgrazia che mi possa accadere è la perdita di Corfù".
Napoleone scriverà nel suo Memoriale di Sant'Elena: "Quando gli inglesi l'hanno occupata,
hanno trovato materiali e munizioni per un esercito di 50.000 uomini". A che cosa
potevano servire ? , non certo per difendere l'isola. ma per salpare dall'isola! Era stata
trasformata nell’avanposto per la conquista del Mediterraneo.
Marcature:
Sopra il foro del focone si osserva una incisione che riproduce un ancora con anello e le
marre a punta triangolare. Questo disegno si riscontra su vari cannoni francesi dell’epoca,
alcuni dei quali attualmente in Sud Africa presso Capetown.
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Sopra l’incisione dell’ancora vi è incisa anche la sigla AG3, riferibile probabilmente alla sua
assegnazione di utilizzo.
Il numero di serie (N66) è riportato invece in rilievo sull’orecchione destro.
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Affusto:
L’affusto riprodotto di tipo navale o ad uso difesa costiera, rispetta disegni e misure rilevati
nella pubblicazione Artillerie de mer France 1650 –1850.
Il colore verde-oliva degli affusti era quello adottato dall’esercito francese ed impiegato
anche per i cannoni per le fortificazioni costiere. Il giallo-ocra era il colore, simile a quello
degli affusti navali inglesi, con cui la marina francese aveva sostituito il rosso, utilizzato
fino alla metà del ‘700.
Associazione Studi e Ricerche
A.R.S.A.N.G.