co-evoluzione e cluster tecnologici

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ROBERTO PARENTE
CO-EVOLUZIONE
E
CLUSTER TECNOLOGICI
ARACNE
Copyright © MMVIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–1935–1
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 2008
Indice
Indice..................................................................................................... I
Introduzione ....................................................................................... V
Capitolo 1:
1.1
1.1.a
1.1.b
1.1.c
1.2
1.2.a
1.2.b
1.2.c
1.2.d
1.3
1.3.a
1.3.b
1.3.c
1.3.d
1.3.e
1.3.f
1.3.g
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese ... 1
Innovazione e competitività d’impresa ........................... 1
La frontiera della competitività ...................................... 1
La competizione nei settori emergenti e ad alta
intensità tecnologica ....................................................... 3
Forme organizzative per l’innovazione .......................... 9
Natura e fonti dell’innovazione..................................... 15
La natura dell’innovazione ........................................... 15
Creatività individuale ed organizzativa ........................ 19
Networking e open innovation ...................................... 22
La collaborazione finalizzata all’innovazione .............. 26
Rischio e incertezza nei processi di innovazione .......... 29
Imprenditorialità ed innovazione .................................. 29
Le diverse tipologie di opportunità imprenditoriali ..... 31
Forme di innovazione e regimi di apprendimento ........ 35
Innovazione sistemica e co-evoluzione ......................... 40
Condizioni di rischio/incertezza e investimenti
nelle opportunità imprenditoriali ................................. 46
Il governo del network .................................................. 48
La prossimità come condizione essenziale per
la co-evoluzione ............................................................ 50
Capitolo 2: La dimensione sistemica dell’innovazione ................ 55
2.1
Contesti di apprendimento e processi di innovazione ... 55
2.1.a
La natura emedded dell’apprendimento ed i
sistemi di innovazione ................................................... 55
2.1.b
Prossimità organizzativa e teorie d’impresa ................ 58
2.1.c
Prossimità cognitiva e Sistemi Settoriali
d’Innovazione ................................................................ 60
2.1.d
Prossimità istituzionale e Sistemi Nazionali
d’Innovazione ................................................................ 62
2.1.e
Prossimità geografica e sociale e Cluster
tecnologici ..................................................................... 65
I
II
2.2
2.2.a
2.2.b
2.3
2.3.a
2.3.b
Capitolo 3:
3.1.
3.1.a
3.1.b
3.1.c
3.1.d
3.2
3.2.a
3.2.b
3.3
3.3.a
3.3.b
3.4
3.4.a
3.4.b
3.5.
L’economia della conoscenza nei sistemi locali
innovativi ...................................................................... 70
Agglomerazioni territoriali ed esternalità positive ...... 70
Spill-over e imprenditorialità innovativa ..................... 72
Le condizioni di sviluppo dei Cluster tecnologici ........ 74
Il modello della Tripla Elica ........................................ 74
Sulle modalità di emersione dei Cluster tecnologici .... 77
Gli attori dei Cluster tecnologici ............................... 83
L’Università imprenditoriale ........................................ 83
Le tre missioni dell’Università ..................................... 83
Le strutture universitarie per il trasferimento
tecnologico ................................................................... 89
Gli incubatori accademici ............................................ 91
Le nuove imprese research-base .................................. 94
La finanza di rischio per lo sviluppo delle
imprese innovative........................................................ 98
Il ruolo del venture capital ........................................... 98
I fondi misti di venture capital.................................... 102
Politiche di decentramento knowledge-based
delle multinazionali .................................................... 105
Le nuove logiche localizzative delle
multinazionali ............................................................. 105
Multinazionali e crescita del tessuto
imprenditoriale locale ................................................ 107
Il ruolo dell’attore pubblico nello sviluppo
dei Cluster ................................................................... 110
Le ragioni dell’intervento pubblico: i fallimenti
del mercato nel trasferimento della tecnologia .......... 110
L’intervento pubblico per colmare l’innovation
gap .............................................................................. 114
Agenzie per il sostegno all’innovazione ed alla
imprenditorialità ......................................................... 118
Capitolo 4: Un approccio strategico allo sviluppo dei
Cluster tecnologici .................................................... 126
4.1
Un modello di gestione strategica dello sviluppo
dei Cluster tecnologici ................................................ 126
III III
4.1.a
4.1.b
4.1.c
4.1.d
4.1.e
4.2
4.2.a
4.2.b
4.2.c
4.2.d
La costruzione dei Cluster tecnologici: fra
programmazione e partecipazione .............................. 126
La struttura del modello.............................................. 127
Mobilitazione di interessi, diagnosie concertazione
territoriale ................................................................... 129
Strategie di sviluppo.................................................... 130
Definizione degli obiettivi di crescita e schemi
di valutazione dei risultati .......................................... 132
Evoluzione e governance dei distretti tecnologici ...... 134
Una lettura dei Cluster tecnologici secondo la
Teoria degli Stakeholder ............................................. 134
Il potenziale disallineamento di interessi.................... 139
La governance dei Cluster tecnologici: stadi
evolutivi e ruolo dell’attore pubblico.......................... 140
Le condizioni evolutive dei Cluster tecnologici:
possibili implicazioni per i policy maker .................... 144
Capitolo 5: Strategie pubbliche di sostegno all’innovazione
e allo sviluppo dei Cluster tecnologici ..................... 148
5.1
Innovazione e sviluppo economico ............................. 148
5.1.a
Innovazione, imprenditorialità e crescita
economica ................................................................... 148
5.1.b
La strategia europea di Lisbona ................................. 154
5.1.c
In particolare sulle cause del ritardo italiano ............ 161
5.2
Le politiche nazionali per l’innovazione e i
Cluster tecnologici: alcune esperienze europee .......... 163
5.2.a
Il caso Francia ............................................................ 164
5.2.b
Il caso Germania......................................................... 168
5.2.c
Il caso UK ................................................................... 173
5.3
I distretti tecnologici in Italia ...................................... 176
5.3.a
La politica nazionale per i distretti tecnologici .......... 176
5.3.b
La struttura di coordinamento del distretto ................ 178
5.3.c
I piani di sviluppo ....................................................... 180
5.3.d
L’esperienza del distretto Torino Wireless ................. 182
Riferimenti bibliografici ................................................................. 190
CAPITOLO 1
Strategie e governo
dell’innovazione nelle imprese
Sommario: 1.1 Innovazione e competitività d’impresa; 1.2 Rischio e
incertezza nei processi di innovazione; 1.3 Networking e Coevoluzione.
1.1 Innovazione e competitività d’impresa
a) La frontiera della competitività; b) La competizione nei settori emergenti e ad alta intensità tecnologica; c) Forme organizzative per
l’innovazione.
1.1.a La frontiera della competitività
Se l’essenza della strategia è nella costruzione di un vantaggio
competitivo rilevante e sostenibile nel tempo rispetto ai concorrenti,
l’essenza dell’innovazione è nel superamento dei limiti attuali
all’ulteriore sviluppo delle possibili fonti di vantaggio competitivo.
Per spiegare questo postulato si può partire da una rappresentazione
statica del posizionamento competitivo degli incumbent in un qualsiasi
settore industriale. Attraverso una analisi di posizionamento è possibile misurare il livello di successo/insuccesso delle strategie delle imprese operanti nel settore, sulla base della posizione di vantaggio/svantaggio di costo relativo rispetto a quella di vantaggio/svantaggio di differenziazione relativa (Porter, 1996). Sussistendo,
in linea di principio, un trade-off fra le due tipologie di vantaggio
competitivo, la posizione strategica delle imprese migliori, tipicamente disegnerà un arco concavo rispetto all’origine degli assi che misurano l’intensità delle due tipologie di vantaggio competitivo. Questa
1
Capitolo 1
2
sorta di frontiera della competitività consente di distinguere le imprese
migliori, caratterizzate da una posizione competitiva privilegiata rispetto a quelle posizionate al di qua della frontiera, che soffrono, viceversa di uno svantaggio competitivo. Se cambiamo la prospettiva di
analisi, considerando l’aspetto dinamico della competizione, potremmo notare lo sviluppo nel tempo di traiettorie strategiche diverse, che
ricadrebbero in una delle seguenti tre fattispecie: a) di imitazione (A,
A1); b) di innovazione incrementale (B, B1); c) di innovazione radicale
(C, C1). Le strategie di imitazione consistono nel tentativo, messo in
atto da aziende poco efficienti, di emulare la posizione di un’azienda o
di un gruppo di aziende poste sulla frontiera della competitività. Le
strategie di innovazione incrementale, invece, puntano a migliorare in
maniera sensibile almeno uno degli elementi del rapporto prezzo/differenziazione. Le strategie di innovazione radicale, infine, si
qualificano per un obiettivo di miglioramento sostanziale, ancorché
non necessariamente proporzionale, di entrambi gli elementi del rapporto (Fig. 1).
Fonte: adattamento da M. Porter, 1996.
Figura 1. Frontiera della competitività e innovazione
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
3 3
Posto in questo modo, il ruolo dell’innovazione non è legato ad una
specifica tipologia di vantaggio competitivo, potendosi materializzare
sia in un vantaggio di costo che in un vantaggio di differenziazione.
L’innovazione, sotto forma di miglioramenti di prodotto e/o di processo, o più in generale, di miglioramenti organizzativi, rappresenta
quindi la forza trainante dei confini della frontiera della competitività.
Espresso in termini così generali, l’innovazione può essere vista come
l’essenza stessa della ricerca di un vantaggio competitivo originale,
contrapponendosi concettualmente alla strategia di imitazione che invece punta a replicare una posizione di vantaggio già conseguita da altri operatori o alla scelta di un particolare posizionamento (mix prezzo/differenziazione) non ancora coperto dalla concorrenza e per il quale c’è, o si è creato, uno spazio di mercato significativo. Questa distinzione, definibile in linea di principio, non è altrettanto netta ad un riscontro empirico. Il principale motivo attiene alla natura multiforme
che può assumere il vantaggio di differenziazione. Laddove, infatti, il
vantaggio di tipo price si presenta in forma tale da poter essere misurato unidimensionalmente, quello della differenziazione rimanda ad
una pluralità di elementi sui quali è possibile costruire tale differenziazione. Ed allora, eliminato il caso, del tutto residuale, di un settore
nel quale sussista un unico elemento possibile di differenziazione, risulta evidente che lo stesso concetto di frontiera della competitività
diviene impalpabile. Ancor di più la strategia di una determinata impresa potrebbe caratterizzarsi per un mix di imitazione, relativamente
ad uno o più elementi di differenziazione del prodotto, e insieme di
innovazione, relativamente ad altri elementi di differenziazione.
1.1.b La competizione nei settori emergenti e ad alta intensità tecnologica
Lo stimolo all’innovazione si manifesta in tutti i settori dell’attività
economica, ma le peculiari condizioni delle dinamiche competitive
che si manifestano in alcuni di essi, determinano una pressione
tutt’affatto particolare sulla necessità delle imprese di mettere in campo progetti innovativi. Una distinzione largamente accettata è quella
4
Capitolo 1
fra settori maturi e settori emergenti, con riferimento all’intensità della
tensione all’innovazione (Porter, 1982; Grant, 2006).
Nei settori economici caratterizzati da una domanda stabile e consistente osserveremmo modelli di business ben consolidati e
l’innovazione si manifesterebbe attraverso un fisiologico processo di
miglioramento incrementale dei prodotti e dei processi. Rispetto a
questo contesto di settore, che si potrebbe definire come maturo, si
differenziano in modo netto quei settori che si trovano allo stadio iniziale del loro sviluppo che sono invece caratterizzati da una competizione basata prevalentemente, se non addirittura esclusivamente, sulla
capacità di fare innovazione.
Nella sua versione più semplificata, questo modello interpretativo
del ciclo di vita di un settore economico ricalca da vicino quello di un
prodotto. Avremmo quindi, una fase di introduzione, seguita da una di
sviluppo e poi di maturità ed infine di declino.
Con riferimento alle dinamiche dell’innovazione, il passaggio da
una fase all’altra del ciclo di vita di un settore è accompagnato da una
progressiva ridefinizione del ruolo dell’innovazione tecnologica. Nei
settori ai primi stadi di sviluppo, normalmente si ritrovano numerose
tipologie di prodotti che denotano talvolta anche differenze sostanziali, dato che sono il frutto di tecnologie non ancora pienamente sviluppate ed in competizione fra loro.
Nel momento in cui una, o alcune di esse, acquisiscono un vantaggio (non necessariamente in termini di migliori performance) emerge
un “modello dominante” sul quale successivamente si polarizzeranno
gli sforzi di innovazione1.
L’emersione di uno, o pochi, standard dominanti segna inoltre uno
step importante nel processo di evoluzione del settore: essa infatti può
1
L’affermazione di un disegno dominante segue a sua volta dinamiche difficilmente prevedibili la cui evoluzione risulta condizionata da alcuni elementi che fanno riferimento prevalentemente a:
- caratteristiche della tecnologia: presenza di esternalità di rete, condizioni di appropriabilità
grado di radicalità dell’innovazione;
- comportamenti strategici delle imprese: intensità degli sforzi in R&S, intensità delle leve di
marketing;
- interventi governativi tendenti a definire l’adesione ad un determinato standard.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
5 5
considerarsi come il momento di transizione di un settore dal suo stadio di introduzione a quello di sviluppo e poi di maturità.
Si pone dunque una stretta correlazione fra ciclo di sviluppo di una
tecnologia e ciclo di sviluppo di un settore. In generale il ciclo di vita
di una tecnologia può essere distinto in due fasi specifiche (Tushman,
Anderson, 1990): era del fermento ed era del cambiamento incrementale (Fig. 2).
Variazione
Discontinuità tecnologica
- Rafforzamento delle competenze
- Distruzione delle competenze
Ritenzione
Era del cambiamento incrementale
Era del fermento
- Ritenzione
- Elaborazione del disegno
dominante
- Spinta tecnologica
- Sostituzione
- Competizione sul design
- Cambiamento tecnico guidato dalla
comunità
Selezione
Disegno dominante
Fonte: Tushman e Anderson, 1990
Figura 2. Ciclo di vita della tecnologia
L’avvento di una discontinuità tecnologica, intesa come variazione
nella base delle conoscenze disponibili, inaugura l’avvio di un “periodo di fermento” in cui le innovazioni introdotte, sono ancora in una
fase di sperimentazione, costose e poco affidabili, anche se comunque
in grado di soddisfare le esigenze di alcune nicchie di mercato magari
disposte anche a pagare prezzi più elevati. Si tratta di una fase caratterizzata dall’entrata nel settore di nuove imprese pronte a sfruttare le
opportunità tecnologiche aperte dall’innovazione e da una intensa
competizione tra diverse soluzioni tecnologiche. In questa fase, infatti,
6
Capitolo 1
al fine di valutare la risposta del mercato, le imprese sperimentano diverse versioni della nuova tecnologia, fino a quando non emerge un
disegno o modello dominante.
L’affermazione di uno modello dominante, che rappresenta quella
configurazione della tecnologia in grado di assorbire la maggior quota
di mercato, anche se non sempre rappresenta la soluzione migliore in
termini di performance, segna il passaggio dall’era del fermento a
quella del “cambiamento incrementale”, in cui le innovazioni si concentrano sul modello dominante ed assumono essenzialmente un carattere incrementale.
L’affermazione del disegno dominante oltre a modificare le caratteristiche dell’innovazione, segna un momento importante anche
nell’evoluzione del settore, con il passaggio da una fase di introduzione a quella di sviluppo. Nel momento in cui si afferma un disegno
dominante, infatti, le imprese concentrano la propria attenzione
sull’efficienza del prodotto e sulla penetrazione del mercato. In questa
fase i cambiamenti sul prodotto sono prevalentemente di carattere incrementale, mentre l’attenzione si sposta sul processo perché le imprese cercano di ridurre i costi e migliorare l’affidabilità del prodotto attraverso la standardizzazione dei processi. L’affermazione del disegno
dominante, quindi, da una lato consente di ridurre l’incertezza tecnologica circoscrivendo le linee fondamentali di sviluppo futuro
dell’innovazione introdotta; dall’altro riduce anche le incertezze di carattere commerciale, poiché i consumatori acquisiscono maggiore
familiarità con il prodotto, maggiori informazioni circa le sue funzionalità e prestazioni, ed inoltre, per effetto della standardizzazione, si
riducono i rischi per i clienti.
Le dinamiche tecnologiche si intersecano con le dinamiche di mercato. Nella fase di introduzione la domanda è ancora molto contenuta,
il tasso di sviluppo è lento, poiché i nuovi prodotti sono ancora poco
conosciuti e gli acquirenti sono in numero limitato. I principali modelli teorici di riferimento (Bass, 1969; Rogers, 1995), evidenziano, infatti, che i processi di adozione e di diffusione della tecnologia non sono
istantanei ma richiedono tempi piuttosto lunghi per dispiegarsi, attra-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
77
versando fasi che coinvolgono categorie diverse di utilizzatori2. I prodotti che incorporano le nuove tecnologie vengono generalmente adottati da una base inizialmente molto ridotta di clienti più innovativi, più
propensi al rischio e disposti a pagare anche prezzi più alti. In questa
fase infatti, i prezzi dei prodotti che incorporano le nuove tecnologie
sono solitamente molto elevati in quanto economie di scala e di apprendimento non hanno ancora avuto modo di affermarsi. Le performance della nuova tecnologia sono generalmente modeste, e talvolta
addirittura inferiori rispetto alle tecnologie pre-esistenti, con riferimento ad alcune dimensioni chiave del prodotto (efficienza, affidabilità, sicurezza, ecc.). Al contempo, però, il potenziale di miglioramento
della nuova tecnologia risulta molto elevato poiché non è ancora stato
raggiunto il limite massimo delle sue prestazioni.
In sintesi, in settori emergenti la base delle conoscenze scientifiche
è ancora in forte espansione, le applicazioni di mercato sono ancora
soggette a modifiche importanti, entità e tempi previsti di apertura dei
nuovi mercati sono ancora soggetti ad oscillazioni rilevanti. La fase di
passaggio può essere quindi individuata nella selezione delle competing applications (Day, Schoemaker, 2000).
2
Rogers (1995) e Bass (1969) distinguono gli adottanti in cinque diverse categorie sulla
base della rapidità di adozione: innovatori, adottanti iniziali, maggioranza anticipatrice, maggioranza ritardataria, ritardatari.
Capitolo 1
8
Fonte: Day Schoemaker, 2000
Figura 3. Il processo di evoluzione delle tecnologie emergenti.
Ovviamente il ciclo di vita di un settore economico, normalmente,
non coincide con quello di una singola tecnologia, né tantomeno con
quello di un singolo prodotto, dato che nell’arco del suo ciclo di vita
numerosi prodotti se non generazioni di prodotti, possono nascere,
crescere e scomparire. Lo sviluppo del ciclo di vita di un settore dovrebbe quindi essere visto come l’effetto cumulato dei cicli di vita delle tecnologie e dei prodotti che da queste si originano.
Si può quindi distinguere fra settori e tecnologie emergenti, con
due sovrapposte dinamiche dell’innovazione. La rapidità con la quale
si succedono le nuove tecnologie di prodotto/processo in taluni settori
è particolarmente intensa e, in buona parte, scollegata dalla dimensione assoluta del mercato. In questi settori, definibili ad alta intensità
tecnologica, la competizione si esercita essenzialmente attraverso la
capacità di innovare ed introdurre rapidamente sul mercato nuove tecnologie, anche in presenza di una domanda stabile o addirittura calante.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
9 9
La distinzione fra settori maturi e settori emergenti dal punto di vista delle dinamiche di innovazione tecnologica è, però, rimessa in discussione dallo sviluppo di una serie di tecnologie trasversali a molteplici settori industriali.
Queste tecnologie trasversali si originano dall’attività di ricerca
scientifica e possono determinare la creazione di nuovi settori o trasformare profondamente quelli esistenti. Includono, quindi, discontinuità tecnologiche radicali, che possono essere generate da uno specifico sapere scientifico o, cosa talvolta più frequente, dalla convergenza
di filoni di ricerca prima separati.
Sono tecnologie figlie di una accelerazione del sapere scientifico
senza precedenti nella storia dell’umanità, che si è potuto produrre in
buona parte grazie allo straordinario sviluppo di una particolare tecnologia abilitante, quale l’informatica. L’ICT, le biotecnologie, le nanotecnologie, per citarne solo alcune, sono fra le tecnologie emergenti
più frequentemente indicate come capaci di rivoluzionare intere filiere
industriali, ed in quanto tali hanno catturato l’attenzione di imprese e
di governi nazionali alla ricerca di nuove opportunità di sviluppo economico3.
Si tratta di tecnologie che introducono cambiamenti radicali anche
all’interno di settori che sono in una fase di maturità, contraddicendo
così i modelli teorici che individuano nei settori maturi
un’innovazione di natura esclusivamente incrementale.
1.1.c Forme organizzative per l’innovazione
Nel corso del tempo si sono succedute interpretazioni diverse del
rapporto tra dimensione d’impresa e capacità innovativa, anche in
rapporto ai diversi momenti storici nei quali tali valutazioni venivano
effettuate (Acs, Audretsch, 2005). L’impressione prevalente è che si
possono distinguere quattro fasi storiche, ciascuna caratterizzata
dall’emergere di nuove e più efficaci tipologie di player
dell’innovazione, in quel determinato momento storico (Lazonick,
2007), ovvero:
3
Una interessante rassegna delle venti più promettenti tecnologie con potenziali impatti
trasversali su di una pluralità di settori è riportata in Ovi (2005).
10
Capitolo 1
–
–
–
–
l’impresa pionieristica;
la grande impresa fordista;
la piccola-media impresa distrettuale;
la nuova impresa research-based.
Ognuna di queste specifiche forme di impresa è espressione di una
certa fase dell’economia e della società, ed al tempo stesso con il suo
sviluppo e perfezionamento ha contribuito a caratterizzare il suo contesto storico, imprimendovi la sua orma. Possiamo definire quindi altrettanti modelli di generazione dell’innovazione (Fig. 4)
Figura 4. L’evoluzione dei modelli di generazione dell’innovazione
Una prima fase storica, che potremmo definire “ProtoImprenditoriale” ha come emblema la figura dell’inventore che, nel
chiuso del suo laboratorio, elabora tecniche sperimentali per la realizzazione di prototipi che in molti casi hanno rappresentato dei breakthrough tecnologici per l’intera umanità. Si pensi, ad esempio, ad un
personaggio come G. Whestinghouse ed all’importanza che ha avuto
in numerosi settori dell’elettricità e delle sue applicazioni, in quello
dei trasporti ferroviari, piuttosto che degli elettrodomestici, per citarne
solo alcuni.
L’emergere di mercati di massa, grazie all’affluenza fra le classi
almeno relativamente agiate di un ceto impiegatizio ed operaio sempre
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
11
più vasto, ha imposto sulla scena economica la grande impresa, cosiddetta “fordista” che ha basato il suo vantaggio competitivo su grandi
volumi di produzione standardizzata ed a costi competitivi. La piccola
e media impresa, invece, è relegata ad un ruolo di comprimaria, non
avendo a disposizione né le risorse finanziarie né le risorse manageriali per portare sul mercato prodotti innovativi.
Per un periodo particolarmente lungo la visione prevalente è stata
dunque quella della grande impresa come vero motore
dell’innovazione. Nel formarsi di questa interpretazione sulle origini
dell’innovazione hanno giocato un ruolo fondamentale studiosi come
Schumpeter stesso, con il suo lavoro del 1942, e poi (Chandler, 1977 e
Galbraith, 1970).
In realtà si intrecciano espressioni diverse del ruolo della grande
impresa. In primo luogo, troviamo l’impresa fordista vera e propria,
generalmente di matrice manifatturiera, che concorre, con la sua capacità di sviluppo e di ingegnerizzazione, all’introduzione di nuovi prodotti capaci di coniugare nuove e più raffinate funzionalità a costi accessibili al grande pubblico. Dall’altro la grande impresa generalmente operante nell’industria di processo che, grazie all’internalizzazione
di attività di ricerca anche di base, riesce a perfezionare nei suoi laboratori tecnologie che portano a discontinuità radicali nei mercati di riferimento.
La Ford con il suo “Modello T” e la Montecatini (per restare ad un
caso italiano) con il Polipropilene del prof. Natta, possono essere considerate emblematiche di questo connubio fra grande impresa e capacità di innovazione. Alla base di entrambe, e di altre plausibili varianti
della grande impresa innovativa in questo frangente storico, vi è la
massa crescente di investimenti in R&S che solo questa tipologia di
impresa è in grado di mettere in campo.
Da un punto di vista organizzativo è abbastanza pacifico
l’abbinamento di questa grande impresa al grande centro urbano. Cuore pulsante dell’economia è quindi la città metropolitana, che si chiamasse Detroit piuttosto che Stoccarda.
Sul finire degli anni settanta il pendolo della vitalità economica
sembra spostarsi dalla grande impresa alla PMI e più precisamente a
nuove forme di aggregazione delle PMI. Acs e Audretsch (1988) individuano tre elementi alla base della capacità innovativa delle PMI:
12
Capitolo 1
– minor livello di burocraticità organizzativa e quindi maggior spazio
alla creatività ed al contributo dei singoli;
– carattere incrementale di molti progetti di innovazione, la cui dimensione quindi difficilmente può apparire interessante alla grande
impresa, mentre rappresenta una forte attrazione per imprese alla
ricerca di nicchie di mercato;
– spinta motivazionale del piccolo imprenditore legata alla prospettiva del profitto, che lo spinge ad impegnarsi al massimo per ottenere
un risultato.
Se poi a questo mix di abilità e motivazione si assomma la capacità
di fare rete, di sviluppare alleanze sulla base di strategie di specializzazione, allora si materializza un nuovo modello di sviluppo economico, che Piore e Sabel (1984) hanno efficacemente etichettato come Second Industrial Divide.
Le peculiari capacità innovative di queste reti di PMI, più o meno
guidate da un’impresa leader, intercettano un punto debole della grande impresa, che è quello della scarsa flessibilità, debolezza sempre più
evidente e deflagrante in una fase di crescente frammentazione del
mercato.
Accentuando i livelli di specializzazione e flessibilità, i distretti e
sistemi locali di produzione italiani costituiti da reti di piccole e medie
imprese sono stati in grado di dare una risposta efficace alla complessità e mutevolezza nei gusti e nelle esigenze di personalizzazione espresse dal mercato. Attraverso la suddivisione del lavoro fra imprese
legate da rapporti di collaborazione si è riusciti a conseguire quelle
economie di varietà e flessibilità che la grande impresa fordista per
sua natura vocata all’accentramento ed alla standardizzazione non era
in grado di raggiungere (Becattini, 1999; Rullani, 1999).
Questa riedizione, in salsa prevalentemente italiana, dei vecchi distretti Marshalliani dell’Inghilterra di fine ‘800 (Marshall, 1920), ha
attirato l’attenzione degli studiosi di tutto il mondo. Il miracolo della
cosiddetta “Terza Italia” fa parlare di sé e diviene oggetto di studio se
non esempio virtuoso da imitare.
Anche da un punto di vista urbanistico molto cambia nella geografia dell’innovazione. Protagonisti diventano i piccoli centri di Provincia, sedi privilegiate di questi distretti industriali, mentre le aree metropolitane legate alla grande impresa fordista ne seguono le difficoltà.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
13 13
Un’indagine di Becattini e Dei Ottati (2006) sull’economia italiana
negli anni novanta ha dimostrato che le Province con un’economia basata sui distretti industriali hanno raggiunto risultati economici (addetti, valore aggiunto pro-capite, reddito pro-capite) e sociali (popolazione, migrazione, tasso di attività) migliori rispetto alle province caratterizzate dalla presenza della grande impresa4.
Sul finire del secolo scorso, tuttavia, le economie esterne di natura
distrettuale (rendita distrettuale), che hanno consentito a miriadi di
piccole e medie imprese di nascere e prosperare negli anni novanta,
non sembrano più sufficienti a garantire la competitività nello scenario
internazionale emergente. Il modello post-fordista è oggi minacciato,
da un lato, da una competizione internazionale sui costi sempre più
accesa (paesi come la Cina e l’India hanno costi del lavoro di gran
lunga inferiori rispetto alle economie cosiddette avanzate); dall’altro,
dallo sviluppo di nuove tecnologie che cambiano i paradigmi produttivi e modificano gli stessi contorni dei settori economici così come si
è abituati a conoscerli. Biotecnologie, ICT, scienze dei materiali, nanotecnologie, e così via, non sono soltanto dei nuovi settori che si aggiungono a quelli tradizionali, ma assumono una valenza trasversale
che genera opportunità e cambia le regole della concorrenza anche nei
settori maturi.
A partire poi dagli anni duemila si assiste ad un’ulteriore evoluzione dei modelli economici, con l’affermazione di un modello definibile
technology based in cui la competizione si basa sempre più sulla capacità di innovazione, ovvero sulla capacità di produrre nuove conoscenze scientifiche e di applicarle poi dal punto di vista commerciale.
In tale modello diviene sempre più rilevante lo sviluppo di meccani4
L’indagine di Becattini e Dei Ottati (2006), riferita al periodo 1991-2002, ha evidenziato
che:
- i dati relativi al cambiamento economico (addetti, valore aggiunto pro-capite, reddito procapite) ed allo sviluppo sociale (popolazione, migrazione, tasso di attività) risultano migliori nelle province “distrettuali” rispetto a quelle della “grande impresa”;
- i dati relativi alle migrazioni inter-provinciali registrano saldi positivi per le province “distrettuali” e negativi per quelle della “grande impresa”;
- i dati relativi agli indicatori di benessere risultano mediamente superiori nelle province
“distrettuali”.
Tuttavia la stessa indagine rileva dagli inizi del 2000 una certa perdita di slancio produttivo ed esportativo di molti dei distretti industriali italiani.
14
Capitolo 1
smi di trasferimento tecnologico dal sistema della ricerca al mondo
delle imprese ed un ruolo fondamentale è giocato dalle nuove imprese
innovative quale veicolo privilegiato per la concretizzazione dei processi innovativi e dunque per l’instaurazione di un circolo virtuoso di
sviluppo del territorio (Venkataram, 2004; Acs e Audretsch, 1990).
Acs (1992) sostiene che il fondamentale ruolo che le nuove imprese
innovative, generalmente di piccole dimensioni, giocano
nell’economia knowledge-based si giustifica in considerazione di
quattro elementi fondamentali: entrepreneurship, innovazione, dinamica dei settori e creazione di lavoro. In particolare, l’autore sostiene
che le nuove imprese agiscono come agenti del cambiamento attraverso la loro attività imprenditoriale, sono la fonte di una considerevole
attività innovativa, stimolano l’evoluzione dei settori industriali e sono
responsabili di una quota considerevole dei nuovi posti di lavoro creati.
Nel nuovo modello di sviluppo che viene così delineandosi, oltre al
ruolo di primo piano giocato dalle nuove imprese innovative, emerge
anche la “dimensione locale” dei processi di innovazione: infatti benché la produzione di nuova conoscenza avvenga su base globale,
l’applicazione concreta di tale conoscenza, e quindi la sua trasformazione in innovazione vera e propria, avviene fondamentalmente su
scala locale, perché è a tale livello che possono svilupparsi ed attivarsi
quelle relazioni tra gli attori pubblici e privati coinvolti nei processi di
innovazione.
Il modello economico che si è andato progressivamente affermando
è anche definito come knowledge-based economy, per individuare un
modello di sviluppo nel quale la conoscenza diventa il mezzo per la
creazione di valore (Rullani, 2004). Tale possibilità deriva da una caratteristica fondamentale della conoscenza ovvero dal fatto che essa si
configura come una risorsa che non si esaurisce con l’ utilizzo ma che
al contrario cresce e si arricchisce man mano che viene impiegata, con
un costo di riproduzione praticamente nullo.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
15 15
1.2 Natura e fonti dell’innovazione
a) La natura dell’innovazione; b) Creatività individuale ed organizzativa; c) Networking e open innovation; d) La collaborazione finalizzata all’innovazione.
1.2.a La natura dell’innovazione
La natura dell’innovazione è stata interpretata in modo sostanzialmente diverso nel corso del tempo. Nelle teorie neo-classiche
l’innovazione, intesa come progresso tecnologico, è considerata come
una variabile esogena e residuale nel funzionamento di un sistema economico. Al progresso tecnologico veniva, infatti, imputata la parte
di crescita economica che non riusciva ad essere spiegata dalle altre
variabili endogene di crescita della produttività dei fattori di produzione (Solow, 1956). In tali modelli inoltre la tecnologica veniva considerata come un bene pubblico (Mankiw et al., 1992) e pertanto suscettibile di appropriazione da parte di qualunque soggetto ed egualmente disponibile in qualunque luogo. Conseguenza di tale impostazione è che nel lungo periodo si viene a creare un livellamento del tasso di progresso tecnologico ed una convergenza verso analoghi processi di crescita.
Le più recenti teorie sull’innovazione, riconducibili essenzialmente
al contributo seminale di Schumpeter, considerano invece il progresso
tecnologico un fenomeno di natura endogena, frutto delle azioni e degli investimenti in ricerca da parte di determinati soggetti (Romer,
1990). Seguendo tale approccio, dunque, l’innovazione perde la natura
di public good per divenire invece un bene a carattere privato, suscettibile cioè di appropriazione da parte del soggetto che la sviluppa e
difficilmente estendibile agli altri agenti (Vespargen, 1997). In tale
contesto dunque l’innovazione è considerata non più un elemento residuale ma un fattore che crea disequilibri strutturali nel funzionamento del sistema economico e che determina una tendenza alla persistente divergenza nei livelli di profitto delle imprese.
Vista in questa prospettiva l’imprenditorialità diviene il presupposto dell’innovazione.
Capitolo 1
16
Per Nelson e Winter (1982), che della teoria evoluzionista sono fra
i principali esponenti, il cambiamento e l’evoluzione dei sistemi economici sono generati da un incessante ciclo di varianze, selezione e
sfruttamento dell’innovazione tecnologica, dovuto proprio all’azione
imprenditoriale.
Il ciclo inizia quando una o più imprese sviluppano una nuova tecnologia. Questa innovazione (varianza) viene affinata dai proponenti
ed il mercato ad un certo punto seleziona se e quale di queste innovazioni è di interesse. A questo punto si diparte un percorso di sfruttamento dell’innovazione vincente, da parte dell’impresa che l’ha realizzata.
Se dal punto di vista fattuale l’innovazione può essere vista come il
risultato di una strategia, dal punto di vista cognitivo, l’innovazione
può essere vista come il risultato di un processo organizzativo complesso finalizzato alla produzione di nuova conoscenza. Partendo da
questo presupposto, l’innovazione tecnologica può essere considerata
come una variazione della base di conoscenze presenti in un determinato settore in un certo momento storico.
Il cambio di prospettiva rispetto ai modelli neo-classici, è radicale.
L’innovazione è vista come il risultato di uno sforzo, interno
all’impresa, finalizzato alla produzione di nuova conoscenza (Griliches, 1979). Ricondotta la natura dell’innovazione alla sua essenza di
applicazione di una nuova conoscenza che si è prodotta nell’impresa, è
sulle condizioni e sulle modalità con le quali avviene questo peculiare
processo di “produzione” di nuova conoscenza che si appunta
l’attenzione degli studiosi della materia5.
Questa dimensione “cognitiva” dei processi di innovazione ci
proietta direttamente nella resource-based view dell’impresa che ha
indagato a fondo sui meccanismi di formazione delle risorse e competenze necessarie ad acquisire e mantenere un vantaggio competitivo6.
5
Particolarmente interessante a questo proposito è l’approccio cosiddetto “autopietico”
dell’impresa, che vede nella produzione di nuova conoscenza, sulla base di processi di acquisizione, assimilazione, rielaborazione ed integrazione di risorse e conoscenze, la condizione
necessaria e sufficiente a descrivere il sistema impresa (Vicari, 1998).
6
La teoria resource-based dell’impresa viene comunemente fatta risalire ai lavori di Penrose (1959) che ha concettualizzato l’impresa come insieme di risorse che ne determinano la
forza e la direzione della crescita possibile. Wernerfelt (1984), al quale si deve la prima formalizzazione della resource-based view, su questa base ha argomentato che per l’impresa le
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
17
17
Secondo la teoria resource based i risultati conseguiti dalle imprese,
piuttosto che essere influenzati dalle scelte di posizionamento competitivo all’interno di una determinata industria, sono influenzati dal valore delle risorse e competenze distintive che sono alla base dei propri
processi di innovazione e dalla difficoltà di imitazione da parte dei
concorrenti. Risorse e competenze di valore, perché rispondono ad un
fattore critico di successo nel settore e che al tempo stesso sono difficilmente imitabili o appropriabili da parte di terzi, non solo sono alla
base del vantaggio competitivo, ma ne determinano anche la sostenibilità nel tempo7. Su questa base di competenze, che rappresentano il
“cuore” delle competenze aziendali, si possono costruire solide basi
per lo sviluppo di nuovi prodotti o addirittura per indirizzare le strategie di diversificazione in nuovi settori (Prahalad, Hamel, 1990).
Le risorse e le competenze che possono fare la differenza rispetto ai
concorrenti non sono acquisibili sul mercato, ma sono frutto di un
processo interno di apprendimento e di accumulazione nel tempo.
L’innovazione ha quindi a che fare con l’intelligenza delle organizzazioni, con la loro capacità di apprendere, di saper convertire in modo
veloce e rapido le proprie risorse intellettuali in nuovi prodotti/processi utili per i consumatori (Quinn, 1992). Questo processo di
accumulazione segue dei percorsi che sono disegnati dalla storia passata dell’impresa ed in particolare dalle scelte che si sono dimostrate
di successo (Path dependency).
Come sottolinea Penrose «le risorse e la conoscenza maturata
dall’impresa attraverso l’esperienza sono i fattori che determinano
maggiormente la risposta dell’impresa ai mutamenti nell’ambiente esterno, determinando ciò che l’impresa vede in esso» (Penrose, 1959,
proprie risorse e competenze ed i prodotti che realizza, sono due facce della stessa medaglia.
Difatti, se è vero che è dal posizionamento competitivo dei prodotti che si misura il vantaggio
competitivo, è anche vero che in ultima analisi sono le risorse e le competenze che si dispiegano nella configurazione e nella realizzazione del prodotto a rendere possibile questo posizionamento competitivo.
7
Dierick e Cool (1989) affrontano esplicitamente il tema del valore delle risorse e competenze, riconoscendo un particolare valore a quelle tra di esse che si caratterizzano per alcune
peculiari condizioni che ne impediscono l’imitazione da parti di terzi, ad esempio: impossibilità di accelerarne la costruzione; elevata efficienza marginale degli investimenti aggiuntivi allo stock di investimenti cumulato nel tempo; ambiguità causale nella combinazione del mix di
risorse che concorrono allo sviluppo di competenze complesse.
18
Capitolo 1
pagg. 79-80). Le conoscenze accumulate determinano, infatti, dei
“corridoi informativi” (Venkataraman, 1997) che consentono di individuare, comprendere, e rielaborare le informazioni acquisite secondo
modalità innovative non individuabili da altri soggetti che pur dispongono delle stesse informazioni. Ciò si verifica anche perché le conoscenze pregresse sono spesso complementari rispetto alle informazioni
necessarie per l’individuazione di un’opportunità e delle più efficaci
modalità di concretizzazione (Gilad, 1987; Von Hippel 1987; Bruderl
et al. 1992).
L’effetto di path dependence può essere più o meno forte in relazione a tre elementi (Ghemawatt, 1991):
– entità ed idiosincraticità degli investimenti effettuati da cui deriva
la loro irreversibilità;
– importanza delle routine sviluppate;
– storia dell’impresa ed in particolare il livello di successo raggiunto
nel passato.
In situazioni di cambiamento rapido e profondo, determinato da fattori competitivi esterni, l’impresa può, però, rimanere bloccata in condizioni di lock-in (impossibilità a reagire) o lock-out (incapacità di riconoscere una opportunità esterna). L’antidoto contro questo rischio
mortale consiste in quello che Teece, Pisano e Shuen (1997, pag. 516)
hanno definito come competenze dinamiche, identificandole più precisamente con quelle meta-competenze che «consentono all’impresa di
integrare, costruire, riconfigurare le risorse e le competenze interne ed
esterne in modo tale da rispondere rapidamente ai cambiamenti ambientali». Queste meta-competenze rappresentano il codice genetico
del cambiamento possibile, della capacità di innovazione e di evoluzione dell’impresa.
Le dynamic capabilities, costituite dalla «abilità dell’impresa di integrare,costruire e riconfigurare competenze interne ed esterne per affrontare ambienti in rapido cambiamento» (Teece, Pisano, Shuen,
1997), divengono pertanto il vero e proprio motore dell’innovazione.
Vista nella sua natura di processo di cambiamento, l’innovazione ci
appare come il risultato di routine organizzative e strategiche attraverso le quali l’impresa sviluppa nuove configurazioni delle risorse in
correlazione alla crescita, collisione, suddivisione o anche declino dei
mercati (Eisenhadrt, Martin, 2000, pag. 1107). Le risorse non hanno
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
19
19
quindi valore “di per sé” come invece sostengono coloro che ipotizzano l’esistenza di un mercato efficiente delle risorse (Barney, 1986),
ma il loro valore si disvela all’impresa attraverso le sue capacità dinamiche che sono capaci di combinarle in modo originale ed idiosincratico.
Denrell ed altri (2003) per indicare il modo in cui queste competenze distintive si attivano e si indirizzano verso determinati modelli
di combinazione delle risorse, fanno ricorso al concetto di serendipità.
La scoperta e la valorizzazione di una determinata opportunità di innovazione sono cioè viste come il frutto, certamente anche di fortuna,
di circostanze occasionali, ma soprattutto di flessibilità (mentale ed
organizzativa in senso lato) e di attenzione e capacità di lettura dei
cambiamenti in essere.
La creatività individuale è quindi un ingrediente necessario dei
processi di innovazione. La capacità degli individui di immaginare un
futuro diverso e di preordinare un insieme di azioni finalizzate a realizzare tale futuro è il catalizzatore dell’innovazione. Pur tuttavia la
creatività individuale, anche la più geniale, necessita di doversi incanalare dentro un sistema organizzativo ed una rete di supporti esterni
per esprimere appieno il suo potenziale. Da questo punto di vista, se
l’origine dell’innovazione si può far risalire in ultima analisi, alla
creatività individuale, le fonti dirette sono rinvenibili:
1. nella capacità di gestione dei processi organizzativi interni, finalizzati alla produzione di nuova conoscenza;
2. nella capacità di sviluppo e gestione di relazioni finalizzate alla acquisizione di conoscenze dall’esterno.
1.2.b Creatività individuale ed organizzativa
La creatività individuale, intesa come capacità dell’individuo di
immaginare e poi realizzare qualcosa di nuovo rispetto a quanto già
esiste, è sicuramente l’elemento alla base di ogni processo di innovazione (Schilling, 2005).
Già Schumpeter nel momento in cui definiva l’innovazione come
una risposta creativa che si manifesta ogni qualvolta l’economia, un
settore, un’azienda fanno qualcosa di diverso che è al di fuori della
20
Capitolo 1
pratica esistente (Schumpeter, 1934), sottolineava il fondamentale
ruolo della creatività nella generazione di processi di innovazione.
Il senso e la natura della creatività individuale sfuggono tuttavia ad
una precisa definizione. Per alcuni il concetto di creatività può essere
associato anche a quello di realizzazione, nel senso di capacità di portare a realtà qualcosa di immaginato (Hjorth, 2003).
Vista come capacità di attualizzazione, la creatività individuale rimanda ad un doppio sforzo: un primo, anche in ordine temporale, che
consiste nella generazione di una molteplicità di ipotesi e di congetture sulle modalità di costruzione, integrazione, riconfigurazione di conoscenze; un secondo, che si concretizza nello sviluppo di una specifica teoria circa le modalità più adeguate di intervento. La prima fase,
genera una tensione al caos, la seconda al controllo ed alla gestione
del caos (Korter, 1989). È in particolare in questo sforzo di gestione
del cambiamento, che presuppone capacità manageriali e conoscenze
del business, che può essere più specificamente riconosciuta una capacità di innovazione vera e propria (Timmons, 1999).
La creatività individuale è alla base della creatività e delle capacità
di
innovazione
delle
organizzazioni.
La
creatività
di
un’organizzazione non può però essere considerata semplicemente
come la sommatoria delle creatività degli individui che la compongono, poiché fattori di carattere organizzativo (la struttura organizzativa,
le routine i meccanismi di incentivazione) possono ostacolarla o, viceversa, incentivarla poiché condizionano il modo in cui gli individui
si comportano ed interagiscono.
Fondamentale, infatti, è la creazione all’interno dell’organizzazione
di un contesto favorevole all’innovazione agendo su di una serie di
aspetti, quali (Salvato, 2003):
– organizzativi-strutturali;
– organizzativi-processuali;
– strategici e di pianificazione.
Con riferimento al primo aspetto, è stato evidenziato come strutture
organizzative rigide tenderanno ad impedire ed ostacolare la creatività
individuale, mentre forme organizzative dinamiche e flessibili, tenderanno ad esaltarla (Burns e Stalker, 1961; Thompson, 1967).
Con riferimento al secondo aspetto, l’attenzione si concentra soprattutto sulle modalità di gestione dei processi organizzativi e strate-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
21
21
gici. In particolare, ciò che emerge è che le imprese più capaci di sostenere la creatività degli individui sono imprese che hanno posto in
essere un processo di formalizzazione dei processi di innovazione attraverso la definizione di criteri e procedure connessi
all’individuazione, al controllo, e alla ricompensa, per lo sviluppo di
iniziative imprenditoriali interne (Sorrentino, 1996).
Quanto invece all’ultimo aspetto, si fa riferimento ai meccanismi di
pianificazione a sostegno dell’innovazione e alle particolari competenze strategiche necessarie per stimolare l’innovazione. In questo
contesto, si afferma come l’adozione di un modello di pianificazione
per processo invece che per obiettivi, possa favorire e stimolare lo spirito imprenditoriale ed innovativo all’interno delle organizzazioni
(Norman, 1979).
L’integrazione di modifiche strutturali, processuali e strategiche in
vere e proprie politiche di “corporate entrepreneurship” (Guth e Ginsberg, 1990) diventa oggi terreno di verifica della capacità di attrazione e ritenzione dei talenti. Si tratta, infatti, di risorse umane che hanno
un mercato globale e sono contese dalle imprese concorrenti.
Nelle piccole imprese innovative di recente costituzione, la gestione dei talenti passa, invece, principalmente attraverso le scelte di
composizione, allargamento o ridefinizione del team imprenditoriale8.
Al di là delle policy di gestione che le imprese possono escogitare
per i talenti, è stato evidenziato come le condizioni esterne, del contesto urbano e del tessuto sociale del quale le imprese fanno parte, giocano un ruolo preponderante nell’attrarre la “creative class” (Florida,
2002). Città e territori che presentano le migliori condizioni di vivibilità e di attrazione per i talenti divengono, quindi, non a caso, potenti
attrattori di agglomerazione per imprese innovative che utilizzano
questi talenti.
8
Alcuni studi hanno rilevato come la maggior parte delle nuove imprese, soprattutto quelle operanti nei settori high-tech, siano costituite da team imprenditoriali piuttosto che da imprenditori singoli (Cooper et al. 1990).
Inoltre, è stata dimostrata l’esistenza di una chiara relazione tra la presenza di un team
imprenditoriale e performance dell’impresa (Eisenhardt, Schoonhoven, 1990; Hambrick,
1994). È stato verificato infatti che le imprese gestite da un gruppo di imprenditori con competenze scientifiche e manageriali complementari presentano risultati e performance superiori
rispetto alle imprese gestite da imprenditori singoli.
Capitolo 1
22
1.2.c Networking e open innovation
Nel moltiplicarsi e nell’intrecciarsi delle tecnologie emergenti si è
venuto a declinare un modello alternativo a quello della “closed innovation”. Agli schemi organizzativi dell’impresa che fonda le sue potenzialità innovative su una capacità di R&S autonoma ed autosufficiente, si sono sostituiti modelli di “open innovation” capaci di assimilare ed integrare pezzi sempre più complessi di conoscenza e di innovazione provenienti da fonti esterne (Chesebourg, 2003).
Nel modello della closed innovation tutte le fasi del processo innovativo si sviluppano integralmente all’interno dell’impresa.
Il modello della closed innovation si fonda su un principio base che
è quello del controllo, ovvero il principio secondo il quale il controllo
dell’intero processo innovativo, dalla generazione dell’idea, alla sua
concretizzazione in un prodotto o servizio commercializzabile sul
mercato, fino alla vendita ai clienti, possa rendere più efficiente e produttiva la spesa in R&S, ad evitare rischi di appropriazione indebita da
parte di terzi.
Al contempo, tale modello presenta alcuni limiti che lo rendono
poco adatto a contesti altamente competitivi quali quelli attuali:
– uno svantaggio per le imprese che non sono in grado di sostenere
gli elevati investimenti che la ricerca e sviluppo in house richiede;
– il rischio di sviluppare innovazioni che non si riesce a valorizzare
adeguatamente per la mancanza all’interno di asset e competenze
complementari.
Il paradigma dell’open innovation sottolinea l’importanza della
creazione di un sistema di relazioni in grado di favorire l’accesso a
fonti esterne di innovazione. In altri termini, diviene sempre più importante “catturare idee dall’esterno” piuttosto che svilupparle al proprio interno (Von Hippel, 1987)9.
Cohen e Levinthal (1990) considerano le fonti interne ed esterne di
innovazione due facce della stessa medaglia, vedendo nella prima il
9
Accanto alle agenzie pubbliche di trasferimento tecnologico, quali ad esempio i Parchi
Scientifici e Tecnologici di cui si sparlerà più in avanti, è sorta recentemente una nuova tipologia di operatori privati che, appoggiandosi a network esterni e qualificati tecnologi, e servendosi anche di portali dedicati, si propongono come interfaccia fra domanda e offerta di soluzioni tecnologiche innovative (sul punto si veda Martino 2007)
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
23 23
mezzo per aumentare la capacità di assorbimento delle conoscenze esterne. Nella stessa direzione, Rosenberg (1994) considera l’attività di
R&S svolta internamente lo strumento per aumentare la capacità di utilizzo delle conoscenze esterne.
Granstrand ed altri (1997) sostengono che la creazione di nuove
competenze è il risultato di un processo dinamico di apprendimento
che risulta dalla combinazione di tecnologie esterne ed attività di R&S
sviluppate internamente.
Tuttavia gli elementi di novità nel processo di open innovation, sono riconducibili a molteplici fattori, tra i quali:
– il ruolo delle fonti esterne di conoscenza, che nel nuovo modello
non hanno più il carattere di fonti supplementari ma assumono un
ruolo paritario rispetto alle fonti interne;
– la natura dei flussi in uscita di conoscenza e di innovazione che non
vengono considerati in un’accezione negativa in termini di dispersione ed appropriazione da parte di altre imprese, quanto piuttosto
come un canale parallelo di sviluppo delle innovazioni, che rende
possibile l’impiego di quelle innovazioni che all’interno non avrebbero possibilità di utilizzo;
– la natura della conoscenza che nel nuovo modello è considerata
come ampiamente distribuita;
– il diverso ruolo della tutela della proprietà intellettuale che nel modello della closed innovation ha essenzialmente un ruolo difensivo
volto ad impedire l’imitazione da parte dei concorrenti, nel modello
dell’open innovation l’obiettivo prioritario è invece quello della
diffusione dell’innovazione;
– il ruolo degli intermediari tecnologici, ovvero di quei soggetti che
fungono da elemento di raccordo tra i produttori e gli utilizzatori di
innovazione;
– il cambiamento degli indicatori della capacità di innovazione
dell’impresa, non potendo più quest’ultima, essere misurata attraverso variabili quali le spese in R&S o il numero di brevetti ottenuti, ma essendo necessarie altre variabili, quali il rapporto tra fonti
interne ed esterne di conoscenza, il time to market, il tasso di utilizzo dei brevetti.
24
Capitolo 1
Adottando un concetto allargato di open innovation, si possono individuare tre diverse modalità attraverso le quali si manifesta un processo di innovazione aperta:
– un’innovazione trainata dal cliente, nella quale i consumatori, gli
utilizzatori del bene, divengono i veri innovatori, le fonti
dell’innovazione;
– un’innovazione che nasce all’interno dell’impresa, sfruttando le
capacità innovative dei dipendenti e nella quale, quindi, attraverso
adeguati strumenti, si cerca di stimolare la creatività e l’inventiva
dei dipendenti: si tratta di una forma di open innovation che rientra
più propriamente nel tema del corporate entrepreneurship, ovvero
dell’imprenditorialità interna alle imprese;
– un’innovazione che nasce dai fornitori di tecnologia, in questo caso
l’attenzione si focalizza dunque, da un lato sulle Università e sui
centri di ricerca pubblici e privati che svolgono attività di R&D,
sviluppando innovazioni che devono poi essere trasferite alla imprese; dall’altro lato, l’attenzione deve focalizzarsi sulle high tech
start up ovvero su quelle imprese che nascono dalla ricerca più o
meno autonomamente sul territorio, si fanno promotrici di innovazioni ma spesso non dispongono delle risorse necessarie per intraprendere processi virtuosi di crescita e sviluppo e che sono quindi
alla ricerca di partnership.
Il secondo aspetto da indagare quando si parla di open innovation è
quello relativo alla tipologia di innovazione che può essere sviluppata.
Rispetto a tale elemento, si deve distinguere a seconda della forma
assunta dal processo innovativo aperto. In particolare:
– nel caso di un processo innovativo trainato dai clienti, il focus è
sulle funzioni d’uso e quindi essenzialmente si è in presenza di
un’innovazione di prodotto;
– nel caso in cui l’innovazione nasca all’interno dell’impresa il focus
è soprattutto sul processo;
– nel caso di un’innovazione promossa dai fornitori il focus è sul
prodotto/processo.
Tuttavia l’adozione di un modello di open innovation pone
l’impresa di fronte ad una serie di criticità che riguardano, da un lato
le problematiche di gestione interna del processo innovativo aperto e
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
25 25
dall’altro la gestione ed il governo dei network che l’impresa deve sviluppare per innovare da fonti esterne.
Il primo aspetto concerne principalmente il tema delle competenze
necessarie e quello delle soluzioni organizzative che consentano
l’ordinato utilizzo delle idee innovative che si possono catturare
dall’esterno.
In questo contesto, il principale oggetto di indagine attiene al ruolo
delle competenze distintive e quali siano le competenze necessarie per
poter applicare con successo un modello di innovazione aperta.
Nel modello dell’open innovation divengono rilevanti quattro tipologie di competenze tecnologiche, ovvero:
– absorptive capabilities, ovvero capacità di monitorare, identificare
e valutare le nuove opportunità che emergono dai progressi scientifici e tecnologici;
– integrative capabilities, ovvero capacità di individuare i requisiti e
le componenti di un sistema, sviluppato internamente o esternamente all’impresa e di integrarlo all’interno dell’architettura dei
prodotti esistenti;
– coordinative capabilities, ovvero capacità di coordinare lo sviluppo
di nuovi ed emergenti sistemi di conoscenza tecnologica;
– generative capabilities, capacità di innovare sia a livello di componenti che di architettura del sistema anche indipendentemente dalle
fonti esterne di conoscenza.
Dal punto di vista organizzativo, è evidente poi che il passaggio ad
un modello di innovazione aperta richiede da un lato lo sviluppo di
una nuova cultura organizzativa (il superamento della sindrome del
not invented here, la creazione di un clima aziendale più aperto alla
sperimentazione ed all’innovazione) e dall’altro l’implementazione di
nuove soluzioni capaci di utilizzare l’apporto dall’esterno (con la revisione dei ruoli tradizionali, la creazione di strutture focalizzate per la
gestione dei rapporti con singoli o comunità di innovatori, la creazione
di unità di business operanti sul mercato per lo scambio di idee provenienti dall’esterno).
Un secondo aspetto connesso ai processi di open innovation, è
quello relativo al governo dei network. Nei processi di open innovation infatti, l’apertura all’esterno e la collaborazione con soggetti esterni, potenziali produttori di innovazioni, diviene un elemento fon-
26
Capitolo 1
damentale per l’implementazione del modello. Di qui, la conseguente
necessità di un’adeguata gestione dei network stessi.
In particolare, le principali criticità sorgono dal fatto che nel modello dell’open innovation il processo tipico dell’innovazione è quello
che assegna ai laboratori di ricerca esterni all’impresa (in genere pubblici) e alle nuove imprese start-up, un ruolo predominante nella generazione di varianze ed in parte di accumulazione, lasciando alla grande
impresa (piuttosto che alla PMI se si tratta di mercati di nicchia) il
ruolo dell’accumulazione e della selezione.
1.2.d La collaborazione finalizzata all’innovazione
L’importanza delle fonti esterne nello sviluppo di nuove risorse e
competenze è cresciuta notevolmente e ne è indiretta testimonianza
l’enorme mole di studi e pubblicazioni apparse negli ultimi anni sul
tema della collaborazione fra imprese.
La visione prevalente è che attraverso la collaborazione con altri
soggetti, detentori di risorse e competenze complementari si può avere
accesso ad informazioni, risorse tangibili ed intangibili, conoscenze
tecnologiche di estrema importanza nell’accelerare i tempi
dell’innovazione, ridurre il volume degli investimenti necessari, accrescere la qualità del risultato finale (Powell et al., 1996).
Rilevante in questo contesto diviene dunque il concetto di capacità
di assorbimento delle conoscenze esterne (Cohen e Levinthal, 1990).
La capacità di assorbimento può essere definita, infatti, come
l’attitudine dell’impresa a comprendere ed impiegare nuove risorse di
conoscenza, ovvero come la competenza che permette di riconoscere la conoscenza esterna rilevante, di incorporala e di sfruttarla
commercialmente.
Cohen e Levinthal sottolineano la forte path dependency
dell’absorptive capacity: sono proprio le conoscenze precedentemente
accumulate dall’impresa che le permettono, infatti, di riconoscere le
conoscenze esterne rilevanti ed il loro sfruttamento. Le competenze e
le capacità accumulate dall’impresa nelle esperienze passate possono
accelerare il suo tasso di apprendimento futuro in quanto rafforzano la
sua capacità di apprendimento. Infatti le esperienze passate concorro-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
27
27
no ad aumentare la capacità dell’organizzazione di riconoscere il valore delle nuove conoscenze e di utilizzarle in modo efficace.
Rilevanti in tale contesto ai fini della capacità di assorbimento divengono poi la natura e le caratteristiche della conoscenza esterna. Si
può distinguere infatti tra innovazioni competence enhancing ed innovazioni competence destroyng. Un’innovazione o più in generale una
nuova conoscenza è da considerarsi competence enhancing quando
consiste in una evoluzione della base di conoscenze già possedute
dall’impresa. Una nuova conoscenza è invece competence destroyng
quando rende inadeguata l’attuale base di competenze dell’impresa.
È evidente, pertanto, che in questo secondo caso la capacità di assorbimento risulta fortemente limitata non soltanto per effetto della
maggiore difficoltà di riconoscere e valutare le nuove fonti di conoscenza ma anche per effetto della naturale resistenza al cambiamento
(inerzia organizzativa) che caratterizza ciascuna organizzazione.
L’elemento sul quale si è concentrata l’attenzione è quello che evidenzia la natura tacita del know-how e degli asset intangibili. Questo
genere di risorse è più agevolmente scambiabile in una cornice di alleanza e di quasi-integrazione inter-organizzativa, piuttosto che attraverso scambi di mercato (Kogut, Zander, 1992).
Non è infrequente allora che una specifica impresa attivi più di un
rapporto di collaborazione e che si riproponga di gestirli in un ottica
sinergica, facendo emergere ex-novo dei network di impresa, e/o entrando a far parte di network già strutturati10. Questi network hanno
quindi una valenza strategica (Gulati et al., 2000) e, giustamente, è
stato proposto di considerarli, nel loro insieme, quale entità unitaria
dal punto di vista della competizione e, come tale, trattata a parte
nell’ambito dell’analisi strategica della competizione (Gimeno, 2004;
Nohria, Garcia-Pont, 1991).
10
Esistono numerose definizioni di “network” che, generalmente, pongono al centro
dell’attenzione le peculiarità di governo di questa tipologia di relazioni. Podolny e Page
(1998), ad esempio, definiscono il network relazionale come un insieme di due o più attori che
perseguono (realizzano) ripetute e durature relazioni scambio e, al tempo stesso, manca di una
autorità legittimata a trattare e risolvere le dispute che possono emergere nella relazione.
Grandori (1999) a sua volta, definisce il network come un insieme di imprese generalmente
caratterizzate da differenti preferenze e risorse, coordinate attraverso un mix di meccanismi
che non sono solo di prezzo, uscita o reputazione.
Capitolo 1
28
I network strategici sono particolarmente importanti per le nuove
imprese innovative data la limitatezza delle risorse che le caratterizza.
Attingendo a network relazionali queste nuove imprese possono avere
accesso ad informazioni, risorse, mercati e tecnologie di importanza
vitale. Non stupisce quindi rilevare che un consistente filone di studi
sull’entrepreneurship abbia guardato al processo imprenditoriale come ad un processo di costruzione di network relazionali (Dubini, Aldrich, 1991). Per alcuni, la caratteristica distintiva dell’imprenditore
consiste proprio nella capacità di mobilitare risorse attraverso relazioni sociali, e dunque il processo di accumulazione di risorse può essere
spiegato in termini di attività relazionali intraprese dall’imprenditore
(Alvarez, Busenitz, 2001). Numerose ricerche hanno enfatizzato
l’impatto delle capacità relazionali del neo-imprenditore sul successo
della sua impresa, rilevando come il neo-imprenditore con un network
relazionale più ampio ha in genere più probabilità di successo (Aldrich, Zimmer 1986; Baum et al., 2000).
Gli elementi che contribuiscono a caratterizzare un network sono
molteplici e riguardano aspetti sia di struttura che di governo di tali
network11. Per molti tra questi sono state sviluppate delle specifiche
analisi di correlazione con la capacità di innovazione dei componenti
un determinato network, ma gli elementi più indagati riguardano certamente l’aspetto della densità e della forza dei legami interni ad un
determinato network. L’elemento densità caratterizza il network da un
punto di vista della numerosità in senso assoluto e relativo dei rapporti
fra i componenti di un network. Dato con “N” il numero massimo teorico possibile dei collegamenti fra i componenti del network, la densità indica la proporzione fra il numero reale “n” dei rapporti realmente
attivi ed il massimo teorico “N”. L’elemento “forza” caratterizza il
network invece dal punto di vista della costanza e dalla ripetitività dei
rapporti fra i componenti del network. Costanza e ripetitività che, evidentemente presuppongono un elevato livello di fiducia reciproca, coadiuvato da efficienti meccanismi di quasi-integrazione organizzativa.
11
Fra le principali variabili proposte per la misurazione dei network si segnalano: dimensione assoluta del network e numerosità dei rapporti fra partner (Knoke, 1999); presenza di
una o più aziende centrali rispetto alle altre (Lorenzoni, Baden Fuller, 1995); livello di formalizzazione dei rapporti (Grandori, Soda, 1995); simmetria ed equilibrio di potere fra i vari
componenti (Di Maggio, Powell, 1983).
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
29
29
Pur essendo concettualmente diversi e separati tra loro, è empiricamente rilevabile una correlazione fra questi due elementi, per cui a
network poco densi si associa normalmente una debole struttura di
coordinamento, mentre network particolarmente “densi” sono anche
caratterizzati da forti e duraturi collegamenti fra i vari componenti. Su
questa base Coleman (1988) distingue fra network aperti e network
chiusi, laddove i primi sono caratterizzati dalla possibilità per i soggetti esterni di potervi penetrare (e viceversa, uscire) con relativa semplicità, mentre i secondi sono caratterizzati da massima densità e stabilità, lasciando poco spazio ad entrate ed uscite. Gilsing (2005), articola ulteriormente la tipologia di network, proponendo una classificazione degli stessi in:
– sistemi compartimentalizzati (bassa densità);
– sistemi debolmente connessi (media densità);
– sistemi fortemente connessi (alta densità).
1.3 Rischio e incertezza nei processi di innovazione
a) Imprenditorialità ed innovazione; b) Le diverse tipologie di opportunità imprenditoriali; c) Forme di innovazione e regimi di apprendimento; d) Innovazione sistemica e co-evoluzione; e) Condizioni di rischio/incertezza e investimenti nelle opportunità imprenditoriali; f) Il
governo del network; g) La prossimità come condizione essenziale per
la co-evoluzione.
1.3.a Imprenditorialità ed innovazione
Imprenditorialità ed innovazione sono intimamente legate tra loro,
ed anzi tendono ad essere viste come due facce della stessa medaglia.
Nel primo Shumpeter (1934), l’imprenditore è visto come il “medium”
dello sviluppo economico, sviluppo che egli sollecita attraverso
l’introduzione di innovazioni che rompono gli equilibri competitivi
pre-esistenti. La funzione imprenditoriale, esercitata da una particolare
tipologia di soggetto economico che assume il ruolo di imprenditore, è
la vera forza di distruzione creatrice capace di rinnovare il tessuto del
sistema economico.
Capitolo 1
30
L’evoluzione del pensiero paleo-schumpeteriano si produce nel
momento in cui si supera la sovrapposizione fra il concetto di imprenditorialità intesa come capacità di innovazione e quello di imprenditore inteso come soggetto al quale fa capo una determinata organizzazione12.
Incorporando ed integrando la visione paleo-shumpteriana, la teoria
evoluzionista dello sviluppo economico considera l’innovazione come
frutto di una strategia che prende forma in un ambiente caratterizzato,
e questo è un dato strutturale e non puramente transitorio,
dall’incertezza.
Quale possa essere il reale potenziale di un nuova tecnologia, intesa
quest’ultima in senso largo, e quale la strategia migliore per portarla
sul mercato, è questione soggetta ad opinioni diverse. La diversità di
opinioni al riguardo spiega la diversità delle scelte effettuate dalle imprese che operano all’interno dello stesso settore.
Per Acs e Audrtesch (2005) l’imprenditorialità innovativa si manifesta come un fenomeno che nasce dall’intersezione fra un passato,
considerato come stock di conoscenze accumulate nel tempo, ed un futuro, concepito come coacervo dei possibili sviluppi ed applicazioni di
questa conoscenza. In questa intersezione fra passato e futuro
l’imprenditore innovativo intravede delle opportunità da cogliere attraverso l’introduzione di nuovi prodotti e/o processi. Seguendo questa impostazione, l’imprenditore innovativo (ovvero l’imprenditore
che è alla ricerca di opportunità partendo da nuove tecnologie) assume
un atteggiamento simile allo scommettitore. Egli, all’inizio, suddivide
i suoi sforzi per una molteplicità di modalità alternative di strategie di
valorizzazione, per poi sceglierne una che appare a suo giudizio più
promettente. Per questi stessi autori l’intersezione fra passato e futuro
attraverso la quale si manifesta l’imprenditorialità è temporalmente e
12
Un chiaro esempio di questa divaricazione la vediamo in Baumol (1990) che distingue
fra due tipi di imprenditorialità: una di tipo distributivo ed una di tipo innovativo vero e proprio. Se in linea generale è vero che ogni impresa rappresenta un elemento di crescita del sistema economico, soltanto una parte di esse può essere considerata innovativa. Su questa base, si vengono a costruire modelli esplicativi della crescita economica che prendono in considerazione, appunto, due tipologie di nuove imprese, una di tipo tradizionale ed una di tipo innovativa (Minniti, Levesque, 2008).
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
31
31
spazialmente definita. Il momento e il luogo nel quale essa nasce hanno un rilievo molto importante.
1.3.b Le diverse tipologie di opportunità imprenditoriali
Se guardiamo all’innovazione in termini di un processo che si sviluppa nel tempo e ci portiamo alle fasi iniziali, nelle quali una opportunità viene intravista, ci potremmo trovare di fronte a delle condizioni molto diverse tra loro e questa differenza intrinseca influirebbe in
modo determinante sulla forma che assume il processo di innovazione.
In particolare, opportunità di natura diversa tra loro chiamano in causa
criteri di analisi, metodologie di valutazione e modalità di gestione diverse tra loro.
Ancora oggi uno dei punti più controversi riguarda il modo in cui si
manifestano le opportunità imprenditoriali legate all’innovazione, ovvero se queste siano “scoperte” piuttosto che “create” dall’azione imprenditoriale. Come evidenziano Alvarez e Barney (2007) le due diverse prospettive circa l’origine dell’opportunità imprenditoriale sono
alla base di due teorie sul processo imprenditoriale differenti tra loro.
In particolare, sostanzialmente diverse sarebbero le condizioni di rischio/incertezza che si paleserebbero in un caso piuttosto che in un altro.
Se assumiamo che le opportunità imprenditoriali “pre-esistono”
all’azione imprenditoriale (interpretazione sinora prevalente) il ruolo
dell’imprenditore è essenzialmente quello di “scoprire”, possibilmente
più in fretta di altri, una opportunità imprenditoriale e altrettanto rapidamente costruire una business idea capace di “sfruttare” al meglio tale opportunità (Shane, Eckhardt, 2005). Il concetto di “pre-esistenza”
dell’opportunità imprenditoriale è ovviamente relativo. Non è detto
che una certa opportunità sia sempre esistita, sepolta e invisibile sino a
quando qualcuno è stato capace di individuarla. Anzi, questo genere di
opportunità rappresenterebbe un caso del tutto eccezionale.
L’opportunità imprenditoriale, più verosimilmente, nasce da cambiamenti esogeni della tecnologia, dei mercati, della composizione demografica delle popolazioni e così via (Kirzner 1973; Shane 2003). È
nelle faglie che si producono in conseguenza di questi shock esterni
che si materializzano delle opportunità imprenditoriali che qualcuno,
32
Capitolo 1
più capace di altri, è in grado di individuare e di sfruttare efficacemente. Il punto centrale, in questa visione dell’origine dell’opportunità
imprenditoriale, è che, una volta che l’opportunità è emersa (e quindi
anche prima che qualcuno la scopra) questa ha già “ab origine” una
sua oggettività che la rende misurabile, seppure solo in linea di massima, con il metro dell’analisi strategica e dei criteri di valutazione economico-finanziaria. I comportamenti dell’imprenditore razionale
che osserveremmo in questo caso, sarebbero essenzialmente tesi ad
una misurazione iniziale della consistenza della opportunità imprenditoriale ed, infine, superata questa fase istruttoria di raccolta delle informazioni, sulla base di queste si avvierebbe alla formulazione di una
sua strategia imprenditoriale capace di sfruttare al meglio tale opportunità. Il contesto nel quale si materializzeranno queste sue scelte non
è esente da rischi, tutt’altro, ma il carattere di oggettività
dell’opportunità che si persegue rende tali rischi calcolabili e valutabili a priori e quindi in qualche modo incorporabili in una misura di costo/opportunità del capitale da investire nel perseguimento
dell’opportunità imprenditoriale.
Alla teoria della scoperta, Alvarez e Barney contrappongono la teoria della creazione dell’opportunità imprenditoriale. In questo caso
l’opportunità non è vista come pre-esistente né tantomeno indipendente dal soggetto che la persegue. Anzi è l’imprenditore che la crea con
il suo personalissimo percorso di azioni, valutazione delle reazioni al
suo comportamento, ricostruzione di senso ex-post delle sue strategie
di esplorazione che lo conducono a configurare nuovi prodotti o nuovi
servizi.
Nel processo di creazione dell’opportunità, vista non più come esogena ma endogena alla azione imprenditoriale, c’è una ben diversa cifra di casualità e di non pianificato nei risultati ai quali si giunge. Un
processo ispirato alla serendipità, piuttosto che alla costruzione cosciente di una strategia pianificata (Denrell et al., 2003).
È evidente che nella teoria della creazione, più che di condizioni di
rischio dovremmo parlare di condizioni di incertezza fondamentale,
nel senso che non è possibile a priori determinare il range dei risultati
ai quali si potrebbe giungere. Raramente l’imprenditore è in grado di
vedere con chiarezza fin dall’inizio il punto di arrivo del suo percorso.
In un certo senso non c’è un unico punto di arrivo possibile (o comun-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
33
33
que un numero definito ed associabile a determinate probabilità di accadimento) prima che il processo di creazione sia stato portato a compimento. L’opportunità quindi non può essere compiutamente percepita, anzi si può dire che non esiste affatto, sino a quando non sia stato
possibile per l’imprenditore che voglia innovare, ricostruire un senso
del suo percorso iterativo di esplorazione basato su azione e reazione
agli eventi che innesca con la sua azione.
Verosimilmente, più ancora che essere viste come teorie alternative
dell’emersione delle opportunità imprenditoriali, queste possono essere viste come specifiche modalità di manifestazione dell’opportunità
imprenditoriale. In alcuni casi i caratteri dell’opportunità imprenditoriale possono essere del primo tipo, in altri casi assomigliare al secondo. Sarasvathy ed altri (2005), in particolare, distinguono fra tre tipologie di processi imprenditoriali che chiamano in causa diverse tipologie di manifestazione dell’opportunità imprenditoriale:
– riconoscimento di opportunità pre-esistenti;
– scoperta di opportunità solo parzialmente pre-esistenti;
– creazione di opportunità ex novo.
Le opportunità riconoscibili sono la risultante di cambiamenti oggettivi nell’ambiente economico e/o tecnologico i cui esiti sulla struttura della competizione sono conoscibili, ancorché non a tutti conosciuti a causa di asimmetrie informative che caratterizzano i diversi attori. Ovviamente questa conoscibilità si riferisce non alla certezza dei
risultati che si possono avere dal perseguire tale opportunità imprenditoriale, quanto alla possibilità di arrivare alla individuazione di un insieme finito di possibili risultati con le relative probabilità di accadimento. Le opportunità sono chiaramente riconoscibili quando la struttura della domanda e dell’offerta è sufficientemente nota. Nascono dai
mercati nei quali ci sono ancora margini per riconfigurarli in modo più
efficiente (su base estesa, piuttosto che, più verosimilmente, su base
locale). Esempi di opportunità riconoscibili sono alla base dei processi
imprenditoriali che portano alla formazione/estensione di strutture di
franchising, e più in generale alla realizzazione di attività di arbitraggio su base spaziale e/o temporale di materie prime, componenti, prodotti finiti.
Le opportunità da scoprire rimandano a cambiamenti che hanno
cominciato a prendere forma, ma per le quali non è ancora possibile
34
Capitolo 1
identificare tutte le condizioni che possono influenzarla. In questo caso il processo imprenditoriale consiste nell’attivare un meccanismo di
sperimentazione, attraverso il quale poter ricostruire uno scenario più
preciso, dal quale far emergere i possibili risultati e appurarne le probabilità di manifestazione. Il caso classico di opportunità da scoprire
si ha in quei processi imprenditoriali nei quali la domanda è chiaramente evidenziabile e quantificabile, ma non esiste ancora una modalità soddisfacente di risposta, o quando, viceversa, esiste una potenzialità di offerta per la quale però non è ancora rilevabile un mercato dai
contorni ben definiti. Le imprese del settore biotech che puntano a cure innovative per malattie già note potrebbero essere catalogate in
questo genere di opportunità. La stessa cosa è accaduta, sul versante
opposto dell’insufficiente definizione del mercato per alcune tecnologie innovative. Per un periodo abbastanza lungo tecnologie quali quella del PC o della fotocopiatrice sono state disponibili senza che
un’impresa decidesse effettivamente di trasformarle in prodotti per il
mercato e questo a causa delle difficoltà (ed in qualche caso di clamorose imprecisioni) nel dare una dimensione al mercato complessivo ed
ai suoi segmenti più importanti.
Le opportunità da creare semplicemente non sono scindibili dallo
specifico imprenditore che le persegue. È la creatività che lo caratterizza ad indirizzarlo su quale percorso seguire per valorizzare una sua
peculiare conoscenza. In questo caso, a differenza dei primi due si potrebbe, paradossalmente sostenere che la risposta c’è, ma non è ancora
chiaro a quale tipo di problema applicarla. Ci si trova di fronte ad opportunità da creare ex novo quando né la domanda né l’offerta, soprattutto per ciò che riguarda l’organizzazione del processo produttivo,
sono definibili in modo univoco. Inoltre, sono ancora del tutto assenti
una serie di servizi e strutture commerciali, finanziarie e di competenze professionali assolutamente indispensabili per lo sviluppo del mercato. Si pensi, ad esempio, ai primi sviluppi delle tecnologie di raffinazione del petrolio per la produzione di benzine. In quella fase, non
solo il mercato di sbocco, legato alla crescita del settore automobilistico, era di difficile misurazione, ma anche tutta una serie di servizi accessori andava ancora costruita (navi specializzate per il trasporto del
greggio e, a volte, reti di erogazione al dettaglio sufficientemente diffuse sul territorio). Le opportunità da creare si manifestano quindi, so-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
35 35
prattutto, nelle fasi di avvio di un nuovo settore/tecnologia, che chiama in causa la necessità di apportare, a grappolo, numerose innovazioni incrementali e/o radicali in altri settori complementari.
Una comparazione degli elementi caratteristici del processo di creazione, rispetto a quello di scoperta e sfruttamento di una determinata
imprenditoriale è riportata nella tabella 1.
Tabella 1. Opportunità scoperte ed opportunità create a confronto
Leadership
Processo decisionale
Gestione Risorse Umane
Strategia
Finanza
SCOPERTA
Basata sull’esperienza
Raccolta di dati ed informazioni per valutare il rischio.
Valutazione del costo opportunità.
Base di reclutamento ampia ed indifferenziata
Relativamente completa e
non modificabile
Capitali esterni. Banche e
venture capitalist
Marketing
Cambiamenti incrementali nel corso del tempo
Vantaggio competitivo
Velocità, segretezza, barriere all’ingresso
CREAZIONE
Basata sul carisma
Iterativo, induttivo, incrementale.
Utilizzo di biases e ricerca euristica.
Valutazione delle perdite
sopportabili.
Reclutamento attraverso
social network
Emergente e soggetta a
continui cambiamenti
Capitali personali e esterni “informali”.
Cambiamenti anche radicali via via che
l’opportunità si definisce
Apprendimento di conoscenze tacite
Fonte: Adattamento da Alvarez, Barney, 2007
1.3.c Forme di innovazione e regimi di apprendimento
L’innovazione tecnologica può assumere diverse forme in relazione
a come si pone nei confronti dei produttori e/o degli utilizzatori di un
prodotto o di un servizio. I criteri di classificazione più frequentemente riportati in letteratura (Schilling, 2005) fanno riferimento a:
– obiettivi dell’innovazione;
– effetto esercitato sulle competenze possedute dall’impresa;
Capitolo 1
36
– ambito di destinazione dell’innovazione;
– intensità e grado di ampiezza dell’innovazione.
Dal punto di vista del loro obiettivo, le innovazioni possono suddividersi in innovazioni di prodotto ed innovazioni di processo. Nel
primo caso le innovazioni sono incorporate nei beni o nei servizi realizzati da un’impresa e sono riferibili ad un insieme di attività rivolte
alla progettazione e allo sviluppo di nuovi prodotti, oppure al miglioramento di prodotti attuali per renderli più competitivi sul mercato. Le
innovazioni di processo riguardano, invece, le modalità con cui
l’impresa svolge le sue attività. Esse sono generalmente orientate al
miglioramento dell’efficacia e/o dell’efficienza dei sistemi di produzione. Possono prevedere la razionalizzazione del processo di produzione, introducendo elementi o sistemi di automazione, aumentando la
flessibilità della produzione oppure consentendo la riduzione dei costi
di produzione o degli scarti di lavorazione. Le innovazioni di processo
possono inoltre essere orientate allo sviluppo di nuovi modi di organizzare la produzione e la distribuzione. Questa particolare forma di
innovazione di processo tende ad essere normalmente sottostimata rispetto alla sua reale importanza13.
Entrambe le tipologie rivestono grande importanza nella competitività di un’impresa e si presentano spesso collegate tra di loro. Capita
di frequente infatti, che grazie ad innovazioni di processo si rendano
possibili innovazioni di prodotto.
Il motivo per cui generalmente si insiste su questa distinzione è che
l’impatto sociale ed economico di questi due tipi di innovazione è differente. Ad esempio, è noto che l’introduzione di nuovi prodotti ha un
effetto positivo sull’aumento dei redditi e dell’occupazione, mentre
l’innovazione di processo può avere effetti ambigui a causa della ridu13
Edquist, Hommen, McKelvey (2001) hanno suggerito a questo proposito di suddividere
la categoria dell’”innovazione di processo” in “innovazioni tecnologiche di processo” e “innovazioni organizzative di processo”, riferendosi con le prime, all’introduzione di nuovi macchinari e con le seconde a nuovi modi di organizzare il lavoro. Le innovazioni organizzative
non si limitano solo a nuovi modi di organizzare il processo produttivo in una data impresa,
ma possono anche riguardare, accordi tra più imprese allo scopo di riorganizzare i collegamenti fra le catene del valore (Porter, 1987; Normann e Ramirez, 1995). Chandler (1990) ha
dimostrato che nella prima metà del secolo scorso molte delle più importanti innovazioni organizzative negli Stati Uniti hanno riguardato l’organizzazione dei rapporti tra produttori e distributori, con conseguenze importanti su interi gruppi di settori.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
37 37
zione dei costi che implica. Sebbene distinguibili a livello di singola
impresa o settore, tali differenze tendono a diventare meno nette a livello macroeconomico, poiché il prodotto di un impresa (o di un settore) può essere utilizzato per produrre beni o servizi in un’altra impresa
o in un altro settore. Molti economisti, infatti, si spingono a sostenere
che i risparmi di costi che seguono a un’innovazione di processo in
una singola impresa o settore genereranno necessariamente entrate aggiuntive e una maggiore domanda che compenserà gli eventuali effetti
negativi iniziali sull’occupazione.
Dal punto di vista delle competenze possedute dall’impresa
l’innovazione può essere competence enhancing o competence destroying. Le innovazioni del primo tipo si fondano sull’evoluzione di una
base di conoscenze preesistenti nell’impresa mentre le innovazioni
competence destroying nascono da competenze nuove o diverse e possono rendere obsolete le conoscenze esistenti. Un innovazione può essere competence enhancing rispetto alle specifiche competenze che
un’azienda applica ad una determinata funzione d’uso ed al contempo
competence destroying relativamente ad altre competenze applicate alla stessa funzione d’uso.
Dal punto di vista dell’ambito di destinazione dell’innovazione, le
innovazioni possono essere architetturali o modulari. Considerando un
prodotto od un processo come un sistema formato da diversi componenti ordinati e posti in relazione tra di loro, l’innovazione può essere
definita modulare se riguarda uno o più di tali componenti, senza che
interessi modifiche sostanziali nella configurazione generale del sistema. Per contro un’innovazione architetturale agisce sulla struttura
generale del sistema e sulle modalità di interazione tra suoi componenti. Nella maggior parte dei casi i cambiamenti del sistema determinati dalle innovazioni di tipo architetturale, si ripercuotono sull’intero
progetto ed implicano modifiche nei componenti e non solo nei meccanismi di interazione. Le innovazioni modulari sono prevalentemente
legate a conoscenze riferibili allo specifico componente interessato
dalla modifica; l’introduzione di innovazioni architetturali prevedono
invece una conoscenza più ampia del sistema e dei meccanismi che
governano le interazioni tra i suoi elementi.
Ciò che appare come una singola innovazione, è spesso il risultato
di un lungo processo che vede l’interazione di più innovazioni, per cui
38
Capitolo 1
può essere preferibile un approccio sistemico più che concentrarsi su
di una singola tipologia innovazione.
L’elemento sul quale più ci si è soffermati con riferimento alle
forme che può assumere l’innovazione è sicuramente quello che riguarda l’intensità e l’ampiezza dell’innovazione. A questo proposito
la distinzione classica è fra innovazione incrementale e innovazione
radicale, valutata in base alla distanza delle nuove tecnologie sviluppate rispetto a quelle correnti. Le innovazioni vengono quindi considerate come incrementali laddove consistono in cambiamenti marginali,
in miglioramenti o lievi adattamenti delle situazioni pre-esistenti. Le
innovazioni radicali rappresentano invece, una combinazione di novità
e differenziazione: hanno carattere di novità assoluta e risultano significativamente differenti dai processi produttivi e/o dai prodotti esistenti. Freeman e Soete (1997) hanno aggiunto una ulteriore variante, quale è quella delle rivoluzioni tecnologiche. Si è in presenza di rivoluzioni tecnologiche quando si manifestano, in un arco temporale relativamente ristretto, un gruppo di innovazioni che, insieme, possono avere effetti di vasta portata sull’intero sistema di mercato. Si tratta di un
gruppo di innovazioni, alcune di carattere radicale, altre incrementale,
normalmente facenti capo a differenti branche del sapere scientifico,
che cambiano i paradigmi tecnologici pre-esistenti (Dosi, 1982).
C’è una evidente correlazione tra regimi tecnologici e regimi di apprendimento, intesi come processi di produzione di nuova conoscenza
(Noteboom, 2000). In particolare regimi tecnologici di sviluppo radicale sono sostenuti da regimi di apprendimento di tipo esplorativo. La
differenza fra regimi di apprendimento di exploitation e quelli di exploration può essere fatta risalire a March (1991).
Il concetto di exploitation fa riferimento, ad un miglioramento delle
conoscenze già esistenti, laddove il concetto di exploration fa riferimento alla creazione ex novo di conoscenza. Di conseguenza i processi di exploitation implicano l’esistenza di un sistema di routine organizzative già ben consolidato. Al contrario i processi di exploration
implicano una maggiore flessibilità dell’organizzazione ed una capacità di cambiamento continuo di tali routine.
Il concetto di sfruttamento e quello di esplorazione possono essere
riferiti sia ai processi di apprendimento della singola organizzazione
che ai network che collegano diverse organizzazioni. Processi di e-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
39
39
xploration ed exploitation normalmente si susseguono all’interno della
singola organizzazione e dei network di organizzazioni.
La generazione di nuove conoscenze può essere vista come la fase
terminale di un ciclo di apprendimento che può essere distinto, appunto, in una fase di esplorazione ed in una fase di sfruttamento (Noteboom, 2000). La strategia di sfruttamento delle proprie conoscenze e
competenze si traduce in processi di innovazione incrementale che
proseguono fino a quando non si producono all’interno del sistema
impresa, piuttosto che all’esterno, delle varianze che mettono in discussione lo status-quo. Si diparte a questo punto un processo di esplorazione finalizzato a metabolizzare queste varianze. Durante questa fase di innovazione radicale si producono numerose soluzioni alternative che hanno come effetto quello della crescita delle possibili
varianti di combinazione fra risorse ed asset interni ed esterni. Questa
fase si chiude con una riduzione delle varianti e con il consolidamento
di una o al limite di poche fra le varianti testate (Fig. 5).
Figura 5. Esplorazione e sfruttamento delle conoscenze
40
Capitolo 1
Ovviamente l’equilibrio fra queste due fasi è di fondamentale importanza14. Lo sforzo nella generazione di varianti, se è giustificato e
necessario nella ricerca di soluzioni alternative ad un obiettivo di innovazione radicale, assorbe risorse finanziarie in misura notevolmente
superiori a quelle, del tutto eventuali, che si riesce a generare già in
questa fase. Risorse finanziarie in ingresso che sono legate essenzialmente alla fase di sfruttamento dell’innovazione generata. Più precisamente, questa possibilità di generare valore attraverso l’innovazione
dipende (BCG, 1970):
a) dal grado di dominanza sul mercato del proprio prodotto/servizio
innovativo;
b) dai tassi di crescita e dalla dimensione in valore assoluto che assume tale mercato all’apice della sua maturità.
Risalendo ancora nella catena delle relazioni, si può sostenere che
regimi tecnologici di innovazione radicale e regimi di apprendimento
di tipo esplorativo si manifestano inevitabilmente quando si perseguono opportunità da creare ex novo. In questi casi le incertezze tecniche
e di mercato risultano particolarmente forti non esistendo ancora degli
standard dominanti né un mercato di riferimento chiaramente definito
(Noteboom, Gilsing, 2004).
1.3.d Innovazione sistemica e co-evoluzione
In alcune circostanze, quali quelle che caratterizzano la fase di emersione di nuove tecnologie di prodotto o di processo, le opportunità
imprenditoriali devono essere create ex novo, e questo processo di creazione assume connotati di particolare complessità. In queste condi14
Nelle imprese, coinvolte contemporaneamente in un elevato numero di processi di esplorazione e di sfruttamento della conoscenza, si possono adottare strutture organizzative e
gestionali che separano nettamente le due tipologie di attività. Prendendo a riferimento i
network, Noteboom e Gilsing (2004), sostengono che la possibilità di far convivere all’interno
di un network entrambi i processi dipende sostanzialmente da tre elementi:
- la complessità della divisione del lavoro, intesa come la numerosità degli attori che compongono il network e la densità dei legami che si instaurano tra gli stessi;
- la modularità del sistema, che fa riferimento alla definizione di standard necessari a mantenere un’integrità sistemica;
- i vincoli di rigidità che si riferiscono alla varietà dei contributi dei vari partecipanti al
network.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
41
zioni l’innovazione è, infatti, il risultato di uno sforzo “sistemico” che
coinvolge soggetti ed imprese che trovano il loro punto di riferimento
in filiere tecnologiche solitamente diverse o addirittura molto distanti
tra loro (Teece, 1986). Distanza che genera difficoltà di coordinamento legate anche alla distanza cognitiva fra i diversi soggetti, e alla necessità di investire tempo e risorse finalizzate al superamento di questa
differenza nella base di conoscenze oltre che nella cultura di riferimento (Noteboom, 2000).
Uno sforzo che, oltre ad essere complesso è anche particolarmente
rischioso, dato l’elevato livello di specificità (che implica la non reversibilità) degli investimenti che si devono mettere in campo per
concretizzare questo genere di opportunità (Ghemawatt e Del Sol,
1998). Il concetto di specificità degli investimenti riguarda non soltanto le infrastrutture da acquisire, ma anche lo sviluppo di competenze
specifiche del personale.
Investimenti network-specific, ovvero fortemente legati allo sviluppo di rapporti di collaborazione, assumono un determinato valore soltanto in relazione al successo nello sforzo innovativo del network. È
questa una condizione che porta i componenti di un network impegnato in progetti di innovazione sistemica a calibrare i loro investimenti
network-specific in modo progressivo nel tempo, applicando logiche
di valutazione delle opzioni di sviluppo futuro che ricalcano quelle
delle opzioni finanziarie (Kogut, 1991; Miller, Folta, 2002)15.
15
In condizioni di incertezza le imprese che intendono sviluppare nuovi mercati sono portate ad intraprendere investimenti iniziali di limitata entità, finalizzati alla sperimentazione
(foothold investiment) piuttosto che partire subito con investimenti consistenti e difficilmente
reversibili. Questi investimenti possono essere visti come investimenti nella acquisizione di
una opzione reale che ricalca la struttura di valutazione di una opzione finanziaria di tipo call.
Si tratta quindi di una strategia di investimento che offre flessibilità ma che al tempo stesso
apre una serie di problemi sul se e quando trasformare questi investimenti iniziali in investimenti finalizzati al pieno sviluppo del business. Miller e Folta (2002) evidenziano tre fattori
che condizionano le scelte di sviluppo della scala degli investimenti (e quindi del pieno sviluppo di un nuovo business). Oltre alla valutazione del rischio di occupazione anticipata del
mercato ed alla possibilità di strutturare il programma degli investimenti in modo sequenziale,
un terzo fattore fa esplicito riferimento alla fonte di controllo sugli investimenti, ovvero se
l’opzione è gestita da un’unica impresa o se questa è soggetta alla condivisione con altre imprese. A differenza delle opzioni finanziarie le opzioni reali sono solitamente di tipo condiviso (shared), ovvero vanno esercitate di concerto con altre imprese. Esempi di questo tipo di
opzioni reali condivise sono rappresentate dalle alleanze strategiche, e le tecnologie sviluppa-
42
Capitolo 1
In ultimo, come e più che in altri network relazionali, si può materializzare la fattispecie dei comportamenti opportunistici (Williamson,
1975).
Complessità del coordinamento, condizioni di asset specificity, infatti, accrescono le possibilità di comportamenti opportunistici, finalizzati alla appropriabilità esclusiva o più che proporzionale allo sforzo compiuto, dei risultati dell’innovazione.
In queste condizioni si possono manifestare una serie di condizioni
degenerative e di rischio dei network relazionali (Gilsing, 2005), ed in
particolare rischi di:
– convivenza forzata;
– mancato accesso a network alternativi;
– scarsa motivazione e coinvolgimento nello sforzo di innovazione.
Le condizioni di convivenza forzata (hold-up) fanno riferimento alla necessità di voler continuare un investimento in un progetto comune
di innovazione, che si manifesta quando, senza questo investimento
aggiuntivo, verrebbero compromessi gli investimenti effettuati in precedenza.
La condizione simmetrica a quella di hold-up è quella della difficoltà di accesso network alternativi (lock-out), e questo per due ordini
di motivi:
– un vincolo di disponibilità di risorse (non solo di natura finanziaria,
ma soprattutto di natura cognitiva e di disponibilità di risorse umane);
– una oggettiva condizione di concorrenza diretta fra due o più
network alternativi.
L’ultimo aspetto preso in considerazione è quello della possibilità
che alcuni componenti del network si approprino dei risultati ottenuti,
senza aver apportato un adeguato contributo (freeridership).
La complessità e la rischiosità degli investimenti in asset reali,
piuttosto che in asset intangibili, può paralizzare e lasciare nel limbo
dei progetti incompiuti, le opportunità imprenditoriali legate a progetti
di innovazione sistemica. L’unica possibile modalità di risposta positiva a questa sfida può venire dalla capacità di impostare dei percorsi
te da queste alleanze rappresentano la base per le future opportunità di business che per essere
colte richiedono investimenti coordinati e condivisi.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
43 43
di co-evoluzione di più soggetti nella produzione di nuova conoscenza
(Fig. 6).
Figura 6. Cicli dell’innovazione e co-evoluzione
Sotteso a questo concetto di co-evoluzione c’è la necessità di coordinare tempi e direzioni degli sforzi di più soggetti nella generazione e
sfruttamento di nuove conoscenze e competenze.
Il coordinamento della direzione e dei tempi di esplorazione di una
pluralità di soggetti può essere indispensabile affinché si definisca e si
sviluppi un mercato idoneo allo sfruttamento dell’innovazione che si è
generata. In particolare lo sforzo della co-evoluzione appare irrinunciabile quando:
a) il nuovo prodotto integra una percentuale significativa di nuovi
componenti o semilavorati basati su competenze tecnologiche differenti;
44
Capitolo 1
b) il valore per il cliente è legato alla disponibilità di nuovi prodotti e
servizi complementari ancora da sviluppare;
c) il mercato è orientato verso la definizione di uno standard unico di
prodotto al fine di beneficiare delle esternalità di rete.
Lo sviluppo scientifico ed in particolar modo l’intrecciarsi fra
branche scientifiche sempre più convergenti (si pensi ad esempio, alla
pervasività delle tecnologie ICT) fa sì che l’ampiezza del business legato ad una innovazione tecnologica sempre più radicale sia potenzialmente molto elevata, ma al tempo stesso indefinita. In particolare
nei settori emergenti e ad alta tecnologia le “n” possibili applicazioni
di mercato di una nuova tecnologia tendono ad essere molteplici, ed è
estremamente difficile identificare quale sia l’ambito di mercato più
promettente e quale fra le possibili “competitive applications” dominerà questo mercato.
Gli sviluppi recenti nel campo degli studi sull’imprenditorialità innovativa hanno preso atto di questo fenomeno e tendono a rappresentare il processo imprenditoriale in modo diverso rispetto al passato. La
ricostruzione di questo processo evidenzia come nel perseguimento di
opportunità di innovazione che si aprono a partire da una discontinuità
nello stock delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, la scelta
fra le “n” possibili applicazioni piuttosto che essere definite precisamente fin dall’inizio, e perseguite con un elevato livello di investimenti (commitment), è spesso soggetta a successivi e progressivi affinamenti e innalzamenti del livello di impegno.
Il rilievo che attualmente viene dato in ambito accademico a questo
approccio strategico alla gestione delle opportunità imprenditoriali
(Hitt et al., 2001) è segnalato in modo inequivocabile dalla decisione
della rivista “Strategic Management Journal”, una delle più prestigiose a livello internazionale, di dare vita ad una nuova rivista gemella
(Strategic Management Entrepreneurship) specificamente dedicata a
questi temi.
Nella identificazione del suo campo d’azione che questa rivista ha
tracciato nei suoi primi numeri (SME n. 1-2), un posto di rilievo è dato all’analisi dei tempi di ingresso nei nuovi mercati e di sfruttamento
delle opportunità imprenditoriali sottolineando in tal modo l’enorme
rilievo strategico che assumono le scelte del tempo e del livello di
commitment nel perseguimento di una opportunità imprenditoriale.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
45 45
A questo proposito si possono definire tre opzioni strategiche di base:
a) strategia di crescita, che si propone di perseguire una opportunità
imprenditoriale rapidamente, anticipando i potenziali competitors e
acquisendo un vantaggio da first-mover (Lieberman, Montgomery,
1988);
b) strategia di differimento, che si concretizza nel postporre lo sfruttamento di una opportunità innovativa, fino al momento in cui si
giudica accettabile il livello di incertezza tecnologico e di mercato
(implicitamente presupponendo uno sforzo di sviluppo
dell’innovazione che viene assunto da altri);
c) strategia di apprendimento incrementale, che si traduce
nell’intraprendere
una
serie
di
passaggi
successivi
nell’accumulazione di risorse e conoscenze necessarie al successo
dell’innovazione. In questo modo l’impresa tiene aperta una finestra sulle tecnologie emergenti ma al tempo stesso mantiene la flessibilità necessaria al cambiamento in risposta ad ulteriori sviluppi
tecnologici e segnali di mercato (Mitchell, Singh, 1992).
Il punto centrale della co-evoluzione è sicuramente quello dei tempi. Essendo, infatti, differenti i cicli di esplorazione/sfruttamento della
conoscenza dei diversi soggetti coinvolti si può generare la necessità,
per alcuni, di entrare in una fase di stand-by in attesa che maturino le
condizioni opportune anche per gli altri soggetti caratterizzati da cicli
di sviluppo dell’innovazione più lunghi e/o per questi ultimi di accelerare gli sforzi di esplorazione. Possibilità quest’ultima, non sempre realizzabile a causa delle time compression diseconomy che caratterizzano i cicli di esplorazione della nuova conoscenza (Dierick, Cool,
1989)
I network che sono capaci di co-evoluzione possono meglio e prima
di altri centrare la finestra delle opportunità (window of opportunity)
con la creazione di:
– modalità dominanti di organizzazione della catena del valore (Bettis, Prahalad, 1999);
– standard dominanti o di riferimento nel settore (Abernathy, Utterback, 1978).
46
Capitolo 1
1.3.e Condizioni di rischio/incertezza e investimenti nelle opportunità
imprenditoriali
Le scelte strategiche dell’impresa maturano alla luce di una qualche
valutazione, sia essa formalizzata o meno, delle condizioni ambientali
nelle quali queste scelte andranno a dispiegare i loro effetti. Il rischio
e l’incertezza sono dunque dimensioni fondamentali ed insopprimibili
nel processo decisionale. La natura ed il livello assoluto di questi rischi chiamano in causa metodologie di valutazione diverse ed, al limite, tipologie di processi decisionali e gestionali diversi tra loro (Miller,
2007). In particolare rileva una distinzione fondamentale da fare fra
condizioni di rischio e condizioni di incertezza vera e propria (Knight,
1921). Questa distinzione viene fatta discendere dalla possibilità o
meno di disporre di informazioni circa la distribuzione delle probabilità di accadimento dei risultati che potrebbero aversi in seguito ad una
determinata scelta. Una prima situazione decisionale si ha quando le
probabilità di un certo esito sono calcolabili a priori. Ciò si verifica
quando è possibile una rilevazione statistica del numero di volte con le
quali si è prodotto un evento che ha numero finito di esiti possibili. La
probabilità che da un lancio di una moneta esca testa o croce è, per esempio, definibile a priori. Una seconda tipologia di situazione si ha
quando gli esiti possibili di una certa azione sono in numero finito e si
dispone di serie storiche che indicano la frequenza con la quale si sono
manifestati tali esiti. Più ampie sono queste serie storiche più accurate
sono le stime di probabilità statistiche di accadimento di un certo evento. Una terza ed ultima tipologia di situazione si verifica quando
non è disponibile nemmeno una base per classificare gli esiti che potrebbero originarsi da una certa decisione e quindi non è possibile effettuare nessun calcolo di probabilità, ma si deve necessariamente
procedere per stime basate su valutazioni e giudizi qualitativi che trovano fondamento prevalente, se non esclusivo, nelle capacità e
nell’esperienza del soggetto chiamato ad effettuare decisioni di questo
tipo. Le tipologie di situazioni con le quali si trova a doversi confrontare l’imprenditore sono del secondo e del terzo tipo e quasi mai del
primo. La seconda forma è definita da Knight come condizione di rischio, la terza come situazione di incertezza vera e propria. Knight
dimostra in modo convincente che la tipologia di razionalità economi-
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
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ca applicabile alle scelte d’investimento relative a queste due condizioni cambiano radicalmente. Ne consegue che le tecniche di valutazione economica degli investimenti del tipo DCF (Discounted Cash
Flow) possono essere applicate ai progetti imprenditoriali caratterizzati da condizioni di rischio, ma in condizioni di incertezza fondamentale queste stesse metodologie perdono ogni significato. In particolare
nel perseguimento delle opportunità da creare ex novo si manifestano
condizioni di incertezza fondamentali che impediscono di avere, non
solo delle proiezioni attendibili sui flussi di cassa futuri, ma anche su
quali saranno i flussi di investimento necessari per sfruttare una tale
tipologia di opportunità imprenditoriale.
Sulla scia di Knight, ancora recentemente è stata ulteriormente sviluppata l’analisi delle relazioni fra condizioni di rischio/incertezza e
metodologie di valutazione applicabili alle scelte d’investimento. Zeckhauser (2007) ha proposto una diversa classificazione delle condizioni d’investimento, proponendo una tripartizione fra “rischio”, “incertezza” ed “ignoranza”. La condizione di rischio coincide sostanzialmente con quella di Knight. La condizione di incertezza pertiene
ad una situazione intermedia nella quale gli esiti possibili sono noti ed
in numero finito, ma le loro probabilità di accadimento non sono desumibili a priori. La condizione di ignoranza (che coincide con quella
di incertezza descritta da Knight) presuppone invece l’impossibilità di
individuare la tipologia di esiti possibili. Investire in un mondo di questo genere che Zeckhauser definisce di tipo UU (Unknown e Unknowable) richiede una visione ampia degli scenari futuri e soprattutto
una capacità di osservazione e di inferenza degli intenti (e dei comportamenti) messi in campo da soggetti che hanno competenze complementari al business in oggetto. La tecnica del “sidecar investiment”
può essere quindi particolarmente utile in questi casi. Si tratta cioè di
indirizzare i propri investimenti in relazione a quelli effettuati da soggetti che godono di una particolare reputazione nel business o che si
ritiene possano avere una visione compiuta sulle condizioni che caratterizzano il business del futuro.
48
Capitolo 1
1.3.f Il governo del network
Gilsing (2005), con specifico riferimento ai network innovativi, ne
fa una distinzione basata sulla densità dei legami tra gli attori. Densità
dei legami che viene intesa come proporzione dei legami esistenti rispetto al numero totale dei legami possibili nel network. La distinzione poi tra legami forti e legami deboli, avanzata da Granovetter
(1973), consente di qualificare ulteriormente la differenza, rispettivamente, tra un’alta densità ed una bassa densità dei legami nel network.
Secondo Granovetter, i legami risultano tanto più forti se durevoli, con
frequenti interazioni ed ispirati a reciprocità e confidenzialità. Con riferimento a questi concetti, Gilsing traccia una sorta di percorso evolutivo dei network innovativi, distinguendo tra:
- network a compartimenti, caratterizzati da una bassa densità dei legami. Tali network si definiscono “compartimentalizzati” in quanto
gli attori, o gruppi di essi, sono disconnessi l’uno dall’altro ed interagiscono di rado. L’elevata distanza cognitiva impedisce o limita
lo scambio e l’acquisizione di nuove informazioni e conoscenze. I
legami pertanto sono limitati e, quei pochi, occasionali; numerosi
sono i cosiddetti “buchi strutturali” (Burt, 1992) nel network, intesi
come assenza di collegamenti tra gli attori che lo compongono;
- network debolmente connessi, caratterizzati da una media densità
dei legami. In tali network, i legami tra gli attori iniziano a svilupparsi ma restano deboli. Le relazioni risultano ancora poco intense
e di breve durata;
- network fortemente connessi, caratterizzati da una alta densità dei
legami. In questo tipo di network, i legami diventano numerosi e le
interazioni tra gli attori coinvolti risultano frequenti e durevoli.
La struttura del network non è un dato esogeno all’azione delle imprese, che anzi con le loro scelte strategiche possono provare a modellarla in rapporto alla struttura della competizione ed ai propri obiettivi
di innovazione. Il governo del network , normalmente porta a tipologie
differenziate di rapporti all’interno di un determinato network (Parente, 1992). In alcuni contesti è stato rilevato come la capacità di strutturare il proprio network con un assetto a “geometria variabile” può essere un fattore che accresce la capacità di innovazione di una determinata impresa. Capaldo (2007), ad esempio, ha evidenziato come nel
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settore dell’arredo le imprese più innovative sono quelle che riescono
a strutturare il proprio network in modo “duale”, unendo, insieme ad
un nocciolo centrale di partner con i quali si stabiliscono legami durevoli e forti, una platea, magari anche più vasta, di rapporti deboli e discontinui.
Le modalità di strutturazione e di governo del network vanno calibrate in rapporto alle dinamiche dell’innovazione che si trova a fronteggiare l’impresa, ovvero alle specifiche circostanze e condizioni del
cambiamento tecnologico che si manifestano a livello di settore o di
sistema economico in generale (Gilsing, 2005).
In particolare, a questo proposito rilevano elementi quali: la natura
delle basi di conoscenza; la tipologia di opportunità imprenditoriali; le
possibili modalità di difesa dell’innovazione; le condizioni del mercato e della concorrenza.
Lo sviluppo di network densi e caratterizzati da forti legami, cementati da un capitale sociale basato sulla fiducia, la reputazione e
dalla capacità sanzionatoria di comportamenti devianti (Coleman,
1988), può essere indispensabile all’innovazione laddove la base di
conoscenze nel settore è prevalentemente di natura:
– tacita, ovvero poco codificabile attraverso documenti, procedure e
standard operativi (Polanyi, 1966);
– sistemica, ovvero caratterizzata dalla convergenza di diversi filoni
di ricerca scientifica e di sviluppi tecnici provenienti da varie aree
(Teece, 1986).
Purtuttavia, cambiamenti radicali, ad esempio, nella tipologia di
opportunità imprenditoriali, piuttosto che nelle condizioni del mercato
e della concorrenza possono favorire i network più debolmente connessi, rispetto a quelli caratterizzati da legami forti. In queste circostanze di forte e repentino cambiamento, riuscire ad avere accesso a
conoscenze diverse, con attori esterni al proprio network può essere
indispensabile ad evitare il rischio di lock-in in percorsi di accumulazione di conoscenze oramai divenute obsolete rispetto alle nuove sfide
della competizione (Arthur, 1989).
Il bilanciamento fra legami forti e legami deboli, appare quindi indispensabile. Legami forti favoriscono l’accumulazione di conoscenza, lungo sentieri incrementali, legami deboli favoriscono la varietà e
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Capitolo 1
la diversità degli spunti di conoscenza utilizzabili nei processi di innovazione.
La misura e le modalità specifiche da dare a questo bilanciamento
rappresentano un problema di governo dei processi di innovazione
particolarmente delicato e complesso.
Fondare le proprie prospettive di crescita sull’innovazione chiama
in causa meccanismi di governo del network che devono garantire equilibrate condizioni di varietà e stabilità nell’acquisizione ed integrazione di conoscenze esterne.
La proposta di collegare questo bilanciamento al regime di apprendimento che si vuole instaurare sembra particolarmente convincente
(Gilsing, 2005).
Da questo punto di vista diviene rilevante se l’obiettivo
dell’apprendimento è quello di giungere ad una innovazione che fa leva su di un più efficiente utilizzo di risorse e competenze già esistenti
nel network, oppure se è quello di una innovazione fondata sulla produzione di nuove conoscenze. Il richiamo ai concetti di exploitation,
piuttosto che di exploration appare chiaro (March, 1991).
Parrebbe utile evidenziare anche una terza forma dei regimi di apprendimento, che rappresenta una variante del regime di exploration,
vale a dire il regime di co-evoluzione, che può essere rappresentato
prima facie da un percorso di sperimentazione all’interno di un contesto nel quale la base di conoscenza è spiccatamente di tipo sistemico
e/o fondata sullo sviluppo di asset complementari.
1.3.g La prossimità come condizione essenziale per la co-evoluzione
Le forme di innovazione research-based acuiscono la necessità, per
gli attori coinvolti, di coordinare le proprie azioni per accrescere le
possibilità di successo. Un coordinamento che difficilmente può essere irreggimentato all’interno di rigide clausole contrattuali né tantomeno può essere guidato da calcoli di convenienza economica “oggettivi” e pacificamente condivisi da tutte le parti in causa. È evidente
quindi che l’esigenza di questo coordinamento chiama in causa meccanismi di collaborazione che passano attraverso la costruzione di reti
di soggetti tenuti insieme da una qualche forma di legame più o meno
forte.
Strategie e governo dell’innovazione nelle imprese
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Il punto è se questo coordinamento può essere efficacemente svolto
da reti slegate da uno specifico territorio, o se, viceversa, l’efficacia
del coordinamento presuppone una contiguità fisica, fungendo quindi
da collante di una qualche forma di agglomerazione territorialmente
definita.
Il problema può essere inquadrato nell’ottica delle diverse forme di
prossimità che possono fungere da catalizzatrici dei processi di apprendimento interattivo e infine di innovazione. Secondo Boschma si
possono identificare ben cinque diverse forme di prossimità: cognitiva; organizzativa; sociale; istituzionale; geografica (Boschma, 2008).
Ciò che unisce tutte queste dimensioni di prossimità è la loro capacità
di ridurre entro limiti più accettabili l’incertezza, dato che facilitano il
coordinamento e l’apprendimento interattivo.
La prossimità cognitiva fra due o più soggetti si ha quando essi
condividono la medesima base di conoscenze e competenze tecnologiche. In queste condizioni la capacità di assorbimento ed apprendimento reciproco è massima. La prossimità cognitiva favorisce la comunicazione e lo scambio di conoscenze. Un allineamento nella identificazione e corretta interpretazione delle informazioni e del sapere, in particolare di quello difficilmente articolabile e tacito, è la premessa affinché le parti possano effettivamente procedere allo scambio.
Purtuttavia una eccessiva prossimità cognitiva se rende massima la
capacità di assorbimento può non essere l’ideale per l’apprendimento
reciproco. Una qualche forma di distanza cognitiva (frutto magari di
una peculiare specializzazione su di una comune base di conoscenze
tecnologiche) è necessaria affinché ci sia una reale utilità nello scambio di conoscenza.
La prossimità organizzativa è definita dai meccanismi gerarchici
che all’interno della stessa organizzazione (o gruppo di organizzazioni) guidano lo sviluppo di relazioni fra diverse unità operative.
L’appartenenza alla medesima struttura organizzativa (massima prossimità organizzativa) è fondamentale l’accesso e l’utilizzo di conoscenze tacite. La creazione di nuova conoscenza ha, infatti, come risvolto della medaglia dell’incertezza, quella dell’opportunismo nei
comportamenti degli attori. Per ridurre questo rischio, sono necessari
rigidi meccanismi di controllo che difficilmente possono essere incorporati in forme di contratto fra soggetti giuridicamente distinti. I costi
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Capitolo 1
di transazione (Williamson, 1975) ed in particolare quelli relativi alla
formulazione e, soprattutto, al controllo di questi contratti, sarebbero
eccessivamente elevati. Contratti molto dettagliati possono essere difficili da modificare se le condizioni esterne cambiano (Noteboom,
2000). È praticamente impossibile in un progetto fortemente innovativo, ad esempio, prevedere in un unico contratto tutti i possibili obblighi delle parti e tutte le possibili modalità di ripartizione dei benefici.
In queste condizioni i meccanismi di controllo gerarchico possono
rappresentare l’unica forma possibile di regolazione delle relazioni,
guidando difatti le strategie di sviluppo e di crescita delle imprese. Al
limite le imprese stesse possono essere viste essenzialmente come
modalità di coordinamento di scambio di conoscenza tacita in condizioni di elevato rischio di comportamento opportunistico (Kogut,
Zander, 1992).
La prossimità sociale si riferisce alla sfera delle relazioni e dei rapporti sociali che costituiscono una base efficace per lo scambio e la
condivisione di conoscenze e competenze. Si tratta di diverse forme di
relazioni e rapporti che favoriscono la reciproca fiducia fra gli agenti
economici. L’amicizia, i legami di parentela, la comune appartenenza
a specifici gruppi o associazioni, possono incoraggiare una apertura
alla comunicazione più ampia rispetto a quella che si produrrebbe sulla base di un puro calcolo di convenienza immediata.
Laddove la prossimità sociale si materializza a livello di legami del
singolo agente economico, la prossimità istituzionale si riferisce ad un
medesimo contesto generale condiviso da una pluralità di soggetti. La
prossimità istituzionale ha origine nelle norme o leggi, costumi, abitudini che sono condivise da una medesima popolazione, ed in quanto
tali ne regolano le relazioni. Si tratta di “istituzioni” che rappresentano
un collante di fondo dei comportamenti dei diversi soggetti (North,
1990). Le istituzioni possono essere formali (leggi e linguaggi di comunicazione ad esempio) o informali (culture, credenze, valori di fondo) e consentono agli attori economici di relazionarsi con maggiore
efficacia. In quanto tale, la prossimità istituzionale rappresenta un fattore abilitante dei processi innovativi poiché fornisce la base per uno
stabile e proficuo apprendimento interattivo.
La prossimità geografica è definita dalla distanza fisica fra gli attori
economici. La co-localizzazione in un medesimo territorio rappresenta
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la modalità attraverso la quale si esprime la scelta di prossimità geografica (Torre, Rallet, 2005). Laddove queste scelte coinvolgano insiemi numerosi di soggetti economici, si ha la formazione di Cluster
(agglomerati) che possono essere anche molto densi quando insistono
all’interno di un territorio relativamente circoscritto. Quello della
prossimità geografica rappresenta, molto più di altre forme di prossimità, l’esito di una scelta autonoma dei soggetti economici e quindi si
presuppone oggetto di una valutazione basata su elementi comparativi
sui quali altri soggetti esterni possono cercare di influire per condizionare le scelte in rapporto ad un loro specifico interesse (il soggetto
pubblico, ma non solo). Uno degli elementi di valutazione maggiormente evidenziati in letteratura concerne la facilità di accesso alla conoscenza ed alle competenze di altri soggetti aventi la medesima localizzazione, il che spiegherebbe la capacità di attrazione e di crescita
degli agglomerati. Distanze ridotte favoriscono contatti frequenti e ripetuti nel tempo e facilitano lo scambio di conoscenze, in particolare
delle conoscenze di tipo tacito. Tuttavia la co-localizzazione non implica automaticamente la collaborazione e la partecipazione a reti più
o meno strutturate (Breschi, Lissoni, 2002).
La prossimità geografica “di per se” non è dunque condizione né
necessaria né sufficiente a stimolare processi di condivisione della conoscenza e di apprendimento interattivo. Piuttosto l’importanza della
dimensione territoriale dell’innovazione si recupera nella visione del
suo ruolo di supporto alle altre dimensioni della prossimità. La prossimità geografica può essere cioè di grande aiuto nel sostenere e rafforzare la prossimità sociale, cognitiva, istituzionale ed organizzativa.
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