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La scena veneziana
all’epoca di Goldoni
I
TAMARA TÖRÖK
L SEICENTO, IL SECOLO IN CUI A VENEZIA SI APRE LA MAGGIOR PARTE DEI TEATRI, E ANCHE IL SETTECENTO, IL SECOLO DI GOLDONI CHE ESAMINERÒ, SONO RITENUTI UN’EPOCA DI UNA GENERALE
E CRESCENTE DECADENZA ECONOMICA DELLA CITTÀ DI VENEZIA.
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Anche se i veneziani continuano a chiamare la loro città la regina dei mari, è innegabile il fatto che Venezia
non ha più la sua posizione privilegiata di principale piazza di scambio tra l’Europa e l’Oriente. Il commercio è in pieno declino, e nel campo della navigazione le navi venete sono sostituite dalle flotte inglese, olandese e francese.
Le difficoltà incontrate nel commercio mediterraneo e atlantico vengono almeno in parte compensate dallo sviluppo dell’industria e di numerose e fiorenti imprese artistiche, tra le quali anche i teatri. Quindi c’è un enorme contrasto tra la sempre più caotica realtà dell’economia, della prassi politica veneziana, e la varietà e
vivacità delle iniziative culturali della città. Venezia vive nella prima metà del secolo un periodo di «ottimismo culturale»1, e nonostante le tensioni economiche, politiche e sociali la vita qui è spettacolare. C’è una frenetica attività carnevalesca. Arrivano gruppi sempre più numerosi di visitatori forestieri, attirati dalla fama dei suoi
divertimenti. Anche la vita teatrale si fa molto intensa. Gli spettacoli teatrali occupano un rilievo straordinario nella vita cittadina, è altissima la frequenza di rappresentazioni. Il repertorio dei teatri veneziani è vario, sono presenti i migliori interpreti, i virtuosi più reputati, i capocomici più esperti, gli impresari più intraprendenti.
C’è una concentrazione di teatri unica al mondo; grazie anche al fatto che i
nobili investono i loro capitali anche nella costruzione e gestione di numerosi teatri. La rapida creazione di una rete di sale di spettacolo, di cui nessuna città d’Eu-
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ropa poteva allora vantarsi, è anzitutto il risultato di una operazione di carattere economico. A Venezia tutta l’attività teatrale è soggetta alle leggi di profitto.
Troviamo un pubblico eterogeneo nelle sale di spettacolo, perché sono teatri
pubblici a pagamento, quindi dopo il pagamento di un biglietto d’ingresso, anche
il borghese e l’artigiano, che finora erano stati esclusi dai teatri, ora ci possono entrare. In altri centri italiani, come a Roma o a Firenze, il teatro è frequentato solo
dall’élite aristocratica, a Venezia invece l’attività teatrale riflette i gusti dell’intera società. Si nota l’ambizione dei proprietari di raggiungere e interessare il più vasto pubblico possibile. Esisteva insomma un mercato teatrale cittadino sostanzialmente unitario, la cui nascita risaliva al secondo e terzo decennio del Seicento, e se nella prima metà del Settecento i palchi erano ancora esclusivo privilegio dei nobili (ma la
parte più vivace e attenta del pubblico anche allora era ospitata dalla platea), nella
seconda metà del Settecento anche le più ricche famiglie borghesi otterranno il diritto di affittare o acquistare palchi.2
Tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento si aprono a Venezia non meno di dieci sale di spettacolo, e alla fine del secolo ci sono già quasi venti teatri. Il loro numero diminuisce nel corso del Settecento: dal primo lunedì d’ottobre al martedì grasso, sono attivi sette teatri veneziani, che sono in concorrenza spietata tra
di loro.
Direttamente o tramite un impresario che prende in affitto la sala e si prende
anche il rischio dell’impresa, i teatri sono gestiti dalle famiglie nobili che li hanno
fatti costruire (i Tron, i Pisani, gli Zane, i Marcello, i Cappello, i Boldù), e alcuni membri di queste famiglie prendono parte anche alla gestione diretta dei propri teatri come impresari.3 Poche famiglie sono interessate al controllo dei teatri. I principali proprietari-gestori sono i Grimani (che nel Seicento sono proprietari di quattro, e nel
Settecento di due teatri), e i Vendramin (proprietari e gestori del Teatro «San Luca»).
Nel 1703 i Vendramin fecero un importante accordo con i Grimani, che riguardava
la programmazione dell’attività dei loro rispettivi teatri, il «San Luca» e il «San Samuele» – il patto decideva lo scambio delle compagnie disponibili da una stagione
all’altra. Francesco Tron, rappresentante di una famiglia attiva per due secoli nel settore teatrale, affitta e poi decide di chiudere il teatro di «San Cassiano»; e la sua decisione viene ispirata soprattutto dall’amarezza e dal disgusto di una lunga esperienza
nell’ambiente e dalle spietate manovre concorrenziali dei suoi rivali.
Il San Cassiano è il teatro più antico, costruito nel 1581, ed è famoso soprattutto per il fatto che nel carnevale del 1637 ci fu rappresentato per la prima volta
un dramma per musica per un pubblico pagante.4 Nella prima metà del Settecento la presenza di comici non aveva particolare rilievo, mentre il dramma musicale, sia quello serio sia quello giocoso, aveva una presenza importante e piuttosto
continua.
Il San Moisè, di proprietà della famiglia Giustinian, risale al secondo decennio del Seicento. Privilegiato dalla sua posizione centralissima (si trova a pochi passi dalla piazza San Marco), era molto frequentato. Le sue ridotte dimensioni lo rendevano disponibile, senza grandi scenografie, senza grandi esigenze richieste per
gli allestimenti, sia al dramma per musica, sia alla commedia. Proprio in questa sa-
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la comparve per la prima volta la compagnia di Girolamo Medebach, una compagnia di ex-ballerini di corda, poi attori, che, quando lavoreranno con Goldoni in un
altro teatro, avranno un ruolo molto importante nel rinnovamento del teatro comico. Comunque, dalla metà del Settecento il «San Moisè» diventò la sede veneziana più importante dell’opera buffa.
Il San Giovanni Grisostomo, di proprietà dei Grimani, fu costruito nel 1677,
per essere il primo teatro d’opera della città, e mantenne una supremazia indiscussa
in questo campo per circa settant’anni.
Quindi questi sono i teatri, insieme al lussuoso e moderno «San Benedetto»
(costruito nel 1755) dove, alla metà del Settecento, si recitano soprattutto opere in
musica. E si aggiunge a questa categoria ovviamente anche «La Fenice», che si apre
alla fine del secolo.
Rimangono i tre teatri di prosa. Sono il «San Samuele», con la compagnia di
Antonio Sacchi, il celebre Truffaldino, il «Sant’Angelo», con la compagnia di Medebach, e il «San Luca» ad ospitare a Venezia nel Settecento gli spettacoli di prosa, spesso alternandoli con le stagioni di lirica. Goldoni collaborò con tutti questi tre teatri:
due anni con l’Imer al «San Samuele» (1734–43), cinque con il Medebach al «Sant’Angelo» (1748–53), fino al contratto decennale con i Vendramin al «San Luca» (1753–62).
Il San Samuele, sorto nel 1665, è il secondo teatro costruito dai Grimani, espressamente dedicato a conquistare l’egemonia nel settore del teatro drammatico, in
diretta concorrenza con il Teatro «San Luca».
Gli attori erano i portatori più fedeli della tradizione della Commedia dell’Arte, e perciò meno inclini ad accettare il rigido controllo operato dallo scrittore sul
testo, perché la scrittura integrale del copione significò il controllo di quelle improvvisazioni che avevano fatto la fortuna degli attori nel passato. Ma Goldoni apprezzò sinceramente le qualità migliori della loro tradizione, anzi scrisse le sue commedie tenendo presente gli attori che le avrebbero interpretate. Molti personaggi
goldoniani nutrono la loro psicologia degli umori e delle caratteristiche umane di
grandi attori, quali il Sacchi, il famoso Truffaldino, per cui Goldoni scrisse il Servitore di due padroni, e Pantalone Golinetti, per cui scrisse il ruolo di Momolo nelle
sue prime tre commedie, tra il 1738 e il 1741.
Nel 1747 un violento incendio distrusse completamente il Teatro «San Samuele». Fu subito ricostruito e destinato all’opera buffa, per questo la compagnia
stabile diretta dall’Imer dovette trasferirsi al «San Giovanni Grisostomo». I comici
torneranno al «San Samuele» nel 1758, con la compagnia del Truffaldino Sacchi (che
recitò soprattutto commedie dell’arte) per restarci fino al 1762 (là reciteranno, tra
l’altro, le prime Fiabe di Carlo Gozzi, rivale di Goldoni).
Il Sant’Angelo, di proprietà delle famiglie Capello e Marcello, fu costruito nel
1676. Per circa un secolo ospitò o produsse soltanto drammi per musica (le stagioni più importanti di questo periodo sono dirette da Antonio Vivaldi). Nell’anno comico 1747–48 il teatro è convertito in una sala da commedia (è l’anno in cui Medebach prende in affitto il teatro e fa un contratto di collaborazione con Goldoni) –
tanto che lo spettacolo musicale scompare dal suo programma. Medebach e Goldoni cercano di attirare il pubblico con la novità delle commedie scritte interamente.
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Gli attori più importanti sono il Pantalone Cesare Darbes, la prima amorosa Teodora Medebach, e una giovane servetta, Maddalena Marliani, che reciterà anche Mirandolina.
Goldoni lascia Medebach nel 1753, e Medebach, quasi per ripicca, si mette a
lavorare per Pietro Chiari, rivale di Goldoni. La rivalità tra i due autori è spietata.
Il giorno seguente quasi ogni prima goldoniana, Chiari scrive la satira delle opere
goldoniane, o come lui dice, il loro rifacimento corretto. Goldoni cade poi anche nella tentazione di una gara con Chiari scrivendo commedie e tragicommedie romanzesche. La lotta fra i due dura fino al 1760, quando si riappacificano e stringono una specie di alleanza contro Gozzi. Comunque, il loro litigio rende ancora più
viva e attiva la vita teatrale a Venezia. Tanto maggiore è lo scandalo, tanto maggiori
sono gli incassi – più la polemica è accesa, più la gente si interessa dei problemi del
buon teatro.
Si vede che anche i repertori dei teatri seguono una certa evoluzione a Venezia. All’inizio del Settecento il melodramma e le opere in musica prevalgono sullo
spettacolo comico, dagli anni ’40, invece, quando Goldoni avrà iniziato la sua riforma e soprattutto quando la polemica Chiari-Goldoni, poi con l’intervento di Gozzi, dividerà il pubblico, il teatro comico riempirà davvero i programmi dei palcoscenici.
Il Teatro San Luca o «San Salvatore», di proprietà della famiglia Vendramin,
uno dei teatri più antichi, fu costruito nel 1622. Fu a lungo solo un teatro di commedia, anzi fu l’ultimo a cedere alla diffusione del melodramma, che fu accolto su
queste scene soltanto nel carnevale del 1661. Ma anche il Settecento è caratterizzato dalla prevalenza della commedia, mentre il dramma per musica è esclusivamente limitato alla stagione di primavera.5 È importante che il «San Luca» possa
contare su una compagnia stabile. Proprio in questo teatro, tra il 1753 e 1762, Goldoni porterà a compimento la sua riforma.
Al «San Luca» Goldoni ottiene una relativa liberazione dall’obbligo produttivo, ma si trova in una struttura che non ha mai conosciuto né la presenza di un direttore, né l’attività di un autore.
Nella compagnia del Teatro «San Luca» vigeva dunque una forma di autogestione, per cui l’organizzazione economica degli allestimenti veniva delegata al primo amoroso.6 Nell’organizzazione predisposta dai Vendramin, i primi amorosi gestivano le finanze della compagnia, e cioè anticipavano somme, firmavano fatture, ecc.
Proprio al «San Luca», Luigi Riccoboni, un importante primo amoroso dell’inizio del Settecento, tenta di riproporre al pubblico la tragedia cinquecentesca, con
il Trissino e il Tasso, e la tragedia contemporanea con il Martello e il Maffei. La Merope, rappresentata nel 1714, è un trionfo, ma il tentativo di allargare il repertorio
classico alla commedia, con La Scolastica di Ariosto, al «San Luca» nel 1715, è un
drastico insuccesso, che spinge Riccoboni a emigrare a Parigi l’anno dopo.
Durante il primo quarto del Settecento, anche dopo la partenza di Riccoboni,
i comici del «San Luca» sono l’effettivo motore del teatro veneziano, e verso il 1730
esso diventa una sorta di equivalente italiano della Comédie Française dove recita-
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no i canonici tipi fissi della Commedia dell’Arte. Ma già sul finire degli anni ‘20, il
ruolo di centro promotore passa dal Teatro «San Luca» al Teatro «San Samuele», grazie soprattutto all’attività di Goldoni svolta in questo teatro.
Al «San Luca», invece, la lunga permanenza degli attori delle maschere e quella della Commedia dell’Arte verranno interrotte nel 1752, sempre con l’assunzione
di Carlo Goldoni.
Lo stesso contratto che lega Goldoni ai Vendramin conclude anche l’autogestione artistica della compagnia, alla quale viene proibita, da allora in poi, la rappresentazione di qualsiasi opera o commedia d’altro poeta senza l’assenso di Goldoni. Quindi, praticamente, Goldoni diventa direttore della compagnia.
Nel 1754 muoiono improvvisamente due importanti attori, il Pantalone Francesco Rubini e il Brighella Giuseppe Angeleri ed è difficile sostituirli. Nel 1755 Teresa e Pietro Gandini, la prima donna e il Dottore, si trasferiscono a Dresda dove hanno ottenuto una vantaggiosa scrittura. È molto problematica anche la sostituzione
di Teresa Gandini. Alla fine il posto di prima donna viene occupato da Caterina Bresciani, che fino ad allora era stata la seconda amorosa della compagnia. Nella seconda parte degli anni ‘50, forse l’unico bravo attore in maschera della compagnia
è il nuovo Dottore, il bolognese Giuseppe Lapy, specializzatosi nei ruoli da vecchia,
tanto che Goldoni scriverà addirittura per lui il personaggio di Donna Pasqua ne
Il campiello. Comunque, la maggior parte della compagnia è composta da attori di
secondaria importanza, quindi Goldoni può facilmente escludere le maschere dai
suoi testi drammatici: nascono così le sue più belle commedie d’ambiente, Il campiello, Le baruffe Chiozzotte, ecc.
Questo è il periodo più acuto della lotta tra Goldoni e Gozzi. Gozzi tenta di opporre alla produzione riformata di Goldoni un ritorno alla Commedia dell’Arte e alle maschere. Reagisce all’impianto realistico della commedia del Goldoni usando
anche le macchine e effetti scenici meravigliosi (guerre, tempeste, naufragi, lotte coi
mostri, ecc.) e il pubblico dimostra di apprezzare l’uso delle tecniche della Commedia dell’Arte combinate con la scenotecnica barocca. La scenografia è così importante nel teatro di Gozzi, che la morte del macchinista del Teatro «San Samuele» crea parecchie difficoltà per la rappresentazione delle Fiabe gozziane. Goldoni,
invece, anche sul piano scenografico propone il suo coerente programma di rinnovamento. L’ispirazione realistica del mondo è in contrasto con la scenografia barocca. Goldoni usa effetti più equilibrati, ispirati dalla moderazione e dal buon senso, la scena acquista una compostezza ordinata, l’attrezzatura e le macchine si semplificano, hanno come margine la boccascena. Alla fine si definisce la moderna scena-quadro che caratterizzerà gli spettacoli goldoniani e l’ambiente scenico recupera
quasi la nudità del palcoscenico della Commedia dell’Arte. È importante la collaborazione di Goldoni con il pittore Pietro Longhi nel campo della scenografia.
Questa è un’epoca in cui, dopo l’ottimismo culturale degli anni precedenti,
possono avere la meglio soltanto le Fiabe di Gozzi, che invece della fedele rappresentazione della realtà, offrono al pubblico una specie di evasione dalla realtà in un
modo fiabesco. Non è un caso che Goldoni parta nel 1762 per la Francia, proprio
nel periodo più fortunato dell’opera goldoniana.
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Anche Chiari lascia la città di Venezia, e Gozzi rimane lì indisturbato, si trasferisce al Teatro «Sant’Angelo», e trionfa con le sue Fiabe. Come Chiari era subentrato al posto di Goldoni nei teatri che questi aveva via via lasciato liberi, così Gozzi si trasferisce prima al «San Samuele», poi al «Sant’Angelo», e infine al «San Luca».
Riesce a far scritturare anche tutta la compagnia di Sacchi da Francesco Vendramin
al suo teatro.
Anche se Goldoni non sparisce completamente dai repertori dei teatri veneziani, non ottiene grande successo con le commedie da lui inviate a Vendramin da
Parigi.
Con l’arrivo di Napoleone, che limiterà radicalmente anche l’attività dei teatri, subentra la crisi del sistema teatrale tradizionale del Settecento veneziano.
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TESSARI R., Teatro e spettacolo nel Settecento, Laterza, Roma–Bari 2000.
NOTE
1 S. FERRONE, Carlo Goldoni, Sansoni, Firenze 1990, p. 25.
2 Cfr. N. MANGINI, I teatri di Venezia, Mursia, Milano 1974, p. 31.
3 Cfr. ivi, p. 52.
4 Cfr. G. NICASTRO, Goldoni e il teatro del secondo Settecento, Laterza, Bari 1979, p. 102.
5 Cfr. N. MANGINI, op. cit., p. 31.
6 Cfr. M. BARATTO, La letteratura teatrale del Settecento in Italia, Neri Pozza Editore, Vicenza 1985, p.
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