Giurisdizione del giudice italiano in materia concorsuale: una nuova

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Federico M. Mucciarelli
[email protected]
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Grande Sezione, 23 ottobre
2007, causa C-112/05, Commissione delle Comunità Europee (sig. Benyon,
sig. Braun) v. Repubblica federale di Germania (avv. Wissel) – Skouris
Presidente, Jann Relatore, Ruiz-Jarabo Colomer Avvocato Generale.
Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei capitali – Disposizioni
legislative relative alla società per azioni Volkswagen
(Trattato CE, art. 56; VWGmbHÜG, 21 luglio 1960)
Mantenendo in vigore il § 4, n. 1, nonché il § 2, n. 1, in combinato disposto
con il § 4, n. 3, della legge 21 luglio 1960, relativa al trasferimento al settore
privato delle quote della società a responsabilità limitata Volkswagenwerk
(Gesetz über die Überführung der Anteilsrechte an der Volkswagenwerk
Gesellschaft mit beschränkter Haftung in privatem Hand), nella versione
applicabile alla causa in esame, la Repubblica federale di Germania è venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 56, n. 1, CE.(1)
Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di
dichiarare che gli artt. 2, n. 1, nonché 4, nn. 1 e 3, della legge 21 luglio 1960,
relativa al trasferimento al settore privato delle quote della società a
responsabilità limitata Volkswagenwerk (Gesetz über die Überführung der
Anteilsrechte an der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter Haftung in
private Hand, BGBl. 1960 I, pag. 585, e BGBl. 1960 III, pag. 641-1-1), nella sua
versione applicabile alla presente controversia (in prosieguo: la «legge VW»),
violano gli artt. 43 CE e 56 CE.
Ambito normativo
La legge sulle società per azioni
2
L’art. 134, n. 1, della legge sulle società per azioni (Aktiengesetz) del 6
settembre 1965 (BGBl. 1965 I, pag. 1089; in prosieguo: la «legge sulle società
per azioni»), come modificata dalla legge sul controllo e la trasparenza nel
settore delle imprese (Gesetz zur Kontrolle und Transparenz im
Unternehmensbereich), del 27 aprile 1998 (BGBl. 1998 I, pag. 786), così
dispone:
«Il diritto di voto si esercita in funzione dell’importo nominale delle azioni o, nel
caso delle azioni di quota (“Stückaktien”), del loro numero. Nel caso delle
società non quotate, lo statuto può limitare il diritto di voto, qualora un azionista
detenga varie azioni, fissando un limite massimo assoluto o progressivo (…)».
3
L’art. 101, n. 2, della legge sulle società per azioni prevede quanto segue:
«Il diritto di designare rappresentanti nel consiglio di sorveglianza deve essere
previsto nello statuto e può essere concesso soltanto a determinati azionisti o ai
titolari di determinate azioni. In quest’ultimo caso, il diritto di rappresentanza è
riconosciuto solamente qualora le azioni siano nominative e qualora il
trasferimento delle stesse sia soggetto all’approvazione della società. Le quote
degli azionisti che dispongono di tale diritto non rappresentano una categoria
particolare. Nel complesso, i diritti di rappresentanza attribuiti non devono
superare un terzo del numero di rappresentanti degli azionisti nel consiglio di
sorveglianza previsto dalla legge o dallo statuto. L’art. 4, n. 1, della [legge VW]
rimane invariato».
La legge VW
4
L’art. 1, n. 1, della legge VW dispone che la società a responsabilità limitata
Volkswagenwerk è trasformata in una società per azioni (in prosieguo: la
«Volkswagen»).
5
L’art. 2 della legge VW, relativo al diritto di voto e ai limiti di tale diritto, al suo
n. 1 così recita:
«Il diritto di voto di un azionista titolare di azioni il cui importo nominale superi
un quinto del capitale sociale è limitato al numero di voti conferito da un importo
di azioni nominale pari a un quinto del capitale sociale».
6
L’art. 3 della stessa legge, relativo alla rappresentanza per l’esercizio del diritto
di voto, prevede al suo n. 5:
«Nessuno, in occasione dell’assemblea generale, può esercitare il diritto di voto
corrispondente ad un importo di azioni superiore al quinto del capitale sociale».
7
L’art. 4 della citata legge, dal titolo «Statuto della società», recita:
«1.
La Repubblica federale di Germania e il Land della Bassa Sassonia sono
autorizzati a designare ciascuno due membri del consiglio di sorveglianza,
purché posseggano azioni della società.
(…)
3.
Le decisioni dell’assemblea generale per le quali, ai sensi della legge sulle
società per azioni, è necessaria una maggioranza pari almeno ai tre quarti del
capitale sociale rappresentato in occasione della loro adozione richiedono una
maggioranza superiore ai quattro quinti del capitale sociale rappresentato in
occasione di tale adozione».
Fase precontenziosa del procedimento
8
Dopo avere invitato la Repubblica federale di Germania a presentare le sue
osservazioni in merito agli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1 e 3, della legge VW, in data 1
aprile 2004 la Commissione ha emanato un parere motivato affermando che tali
disposizioni nazionali rappresentano restrizioni alla libera circolazione dei capitali
e alla libertà di stabilimento garantite, rispettivamente, dagli artt. 56 CE e
43 CE. Poiché tale Stato membro non ha adottato le misure necessarie per
conformarsi a detto parere nel termine impartito, la Commissione ha proposto il
ricorso in esame, a sostegno del quale essa afferma che il fatto di mantenere in
vigore le citate disposizioni viola gli artt. 56 CE e 43 CE.
Sul ricorso
9
La Commissione rileva, in sostanza, che le disposizioni in questione della legge
VW, limitando, in primo luogo, in deroga al diritto comune, i diritti di voto di ogni
azionista al 20% del capitale sociale della Volkswagen, richiedendo, in secondo
luogo, una maggioranza superiore all’80% del capitale rappresentato ai fini delle
decisioni dell’assemblea generale che richiedono, secondo il diritto comune,
solamente una maggioranza pari al 75% e consentendo, in terzo luogo, in
deroga al diritto comune, allo Stato federale e al Land della Bassa Sassonia di
designare ciascuno due rappresentanti nell’ambito del consiglio di sorveglianza
della società di cui trattasi, sono idonee a dissuadere gli investimenti diretti e
rappresentano pertanto restrizioni alla libera circolazione dei capitali ai sensi
dell’art. 56 CE.
10
La Commissione non sviluppa alcuna specifica argomentazione per dimostrare
una violazione dell’art. 43 CE.
11
La Repubblica federale di Germania contesta la fondatezza del motivo sollevato
dalla Commissione in merito alla violazione dell’art. 56 CE.
12
Rilevando che la Commissione non si esprime in alcun modo sul motivo relativo
alla violazione dell’art. 43 CE, la Repubblica federale di Germania ne deduce che
esso è divenuto privo di oggetto.
Sulla violazione dell’art. 43 CE
13
In conformità ad una giurisprudenza costante, rientrano nell’ambito di
applicazione ratione materiae delle disposizioni del Trattato CE relative alla
libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da
parte di un cittadino dello Stato membro interessato, nel capitale di una società
stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una
sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirgli di indirizzarne le
attività (v., segnatamente, sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars,
Racc. pag. I-2787, punto 22; 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury
Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 31, e 13
marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation,
Racc. pag. I-2107, punto 27).
14
Nella fattispecie emerge dal fascicolo, segnatamente dall’argomentazione
difensiva formulata dalla Repubblica federale di Germania, che le disposizioni
della legge VW in esame nell’ambito del ricorso riguardano, quanto meno in
parte, la situazione di un’eventuale assunzione di controllo della Volkswagen ad
opera di un azionista che abbia l’obiettivo di esercitare un’influenza dominante
sull’impresa.
15
Si deve tuttavia rilevare che la Commissione non ha sviluppato nell’ambito del
suo ricorso, come neppure nella sua replica o in sede di udienza, alcuna
argomentazione specifica a sostegno di un’eventuale restrizione alla libertà di
stabilimento.
16
Di conseguenza, occorre respingere il ricorso nella parte in cui esso è basato su
una violazione dell’art. 43 CE.
Sulla violazione dell’art. 56 CE
17
Secondo una costante giurisprudenza, l’art. 56, n. 1, CE vieta in maniera
generale le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri (v., in
particolare, sentenza 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04,
Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9141, punto 18 e giurisprudenza ivi
citata).
18
In assenza di definizione, nell’ambito del Trattato CE, della nozione di
«movimenti di capitali» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, la Corte ha in precedenza
riconosciuto un valore indicativo alla nomenclatura allegata alla direttiva del
Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato
[articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam] (GU L 178, pag. 5). Costituiscono
quindi movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, segnatamente, gli
investimenti diretti, vale a dire, come emerge da tale nomenclatura e dalle
relative note esplicative, gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati dalle persone
fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e
diretti tra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di
un’attività economica (v., in tal senso, sentenze 12 dicembre 2006, causa
C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753,
punti 179-181, e 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck, Racc. pag. I-4051,
punti 33 e 34). Con riferimento a partecipazioni in imprese nuove o esistenti,
come confermano tali note esplicative, l’obiettivo di creare o mantenere legami
economici durevoli presuppone che le azioni detenute dall’azionista conferiscano
a quest’ultimo, a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per
azioni o altrimenti, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di
tale società o al suo controllo (v. citate sentenze Test Claimants in the FII Group
Litigation, punto 182, e Holböck, punto 35; v. altresì sentenze 4 giugno 2002,
causa C-367/98, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-4731, punto 38; causa
C-483/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I-4781, punto 37; causa C-503/99,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I-4809, punto 38; 13 maggio 2003, causa
C-463/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4581, punto 53; causa C-98/01,
Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-4641, punto 40; 2 giugno 2005, causa
C-174/04,
Commissione/Italia,
Racc. pag. I-4933,
punto 28,
nonché
Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19).
19
Con riferimento a tale forma di investimenti, la Corte ha precisato che devono
essere qualificate come «restrizioni» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE misure
nazionali idonee a impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese
interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri
dall’investire
nel
capitale
di
queste
ultime
(v.
citate
sentenze
Commissione/Portogallo,
punto 45;
Commissione/Francia,
punto 41;
Commissione/Spagna,
punto 61;
Commissione/Regno
Unito,
punto 47;
Commissione/Italia, punti 30 e 31, nonché Commissione/Paesi Bassi, punto 20).
20
Nella fattispecie, la Repubblica federale di Germania afferma, in sostanza, che
la legge VW non rappresenta una misura nazionale ai sensi della giurisprudenza
citata ai tre precedenti punti. Essa aggiunge che neppure le disposizioni
impugnate di tale legge, considerate singolarmente o nel loro complesso,
rappresentano restrizioni ai sensi della citata giurisprudenza.
21
È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare gli argomenti dedotti
dalla Commissione a sostegno del suo motivo basato sulla violazione
dell’art. 56 CE.
Sull’esistenza di una misura nazionale
Argomenti delle parti
22
La Repubblica federale di Germania ricorda che la legge VW si basa su un
compromesso raggiunto nel 1959 dalle persone e dai gruppi che, nel corso degli
anni ’50, avevano avanzato diritti sulla società a responsabilità limitata
Volkswagenwerk. All’epoca, sia i sindacati e i lavoratori, sia lo Stato federale e il
Land della Bassa Sassonia beneficiavano di diritti su tale impresa. Nell’ambito
del citato compromesso, i lavoratori e i sindacati, quale contropartita per la loro
rinuncia a rivendicare un diritto di proprietà su quest’ultima, avrebbero ottenuto
la garanzia di essere tutelati nei confronti di un grande azionista che dovesse
dominare da solo sulla società in questione.
23
La Repubblica federale di Germania osserva che tale compromesso si è
concretizzato innanzitutto mediante la conclusione, il 12 novembre 1959, di un
contratto («Staatsvertrag») tra lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia
e, successivamente, mediante l’adozione, in base a tale contratto, della legge 9
maggio 1960, recante regolamentazione della situazione giuridica della società a
responsabilità limitata Volkswagenwerk (Gesetz über die Regelung der
Rechtsverhältnisse bei der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter
Haftung, BGBl. 1960 I, pag. 301), seguita dall’adozione, in data 6 luglio 1960,
dello statuto della Volkswagen e, infine, della legge VW, che ha ripreso le norme
già contenute in tale statuto.
24
A parere di detto Stato membro, la legge VW, nel creare la società per azioni
Volkswagen e nel procedere alla sua privatizzazione, non ha fatto altro che
esprimere la volontà degli azionisti nonché di tutti gli altri soggetti e di tutti gli
altri gruppi che avevano avanzato diritti di natura privata su tale impresa. Con
riferimento alla libera circolazione dei capitali, detta legge dovrebbe pertanto
essere assimilata ad una convenzione tra titolari di quote. In forza dell’adagio
pacta sunt servanda, detto compromesso conserverebbe a tutt’oggi il suo pieno
valore.
25
La Commissione osserva che tali considerazioni storiche sono irrilevanti. Gli
addebiti che essa muove alla Repubblica federale di Germania non avrebbero ad
oggetto i motivi dell’attività legislativa svolta da tale Stato membro nel 1960,
ma riguarderebbero la sua attuale inattività sul piano legislativo, in quanto la
legge VW contrasta, da molto tempo, con le esigenze della libera circolazione dei
capitali.
Giudizio della Corte
26
Ammettendo che, come affermato dalla Repubblica federale di Germania, la
legge VW si limiti a riprodurre un accordo qualificabile come contratto di diritto
privato, si deve rilevare che il fatto che detto accordo sia stato oggetto di una
legge è sufficiente a far sì che esso sia considerato, con riferimento alla libera
circolazione dei capitali, come una misura nazionale.
27
Infatti, l’esercizio della competenza legislativa ad opera delle autorità nazionali,
debitamente abilitate a tal fine, rappresenta la manifestazione per eccellenza del
potere statale.
28
Occorre oltretutto rilevare che le disposizioni della legge di cui trattasi non
possono più essere modificate dalla mera volontà delle parti dell’accordo iniziale,
ma che qualsiasi modifica richiede l’adozione di una nuova legge, in conformità
alle procedure di diritto costituzionale della Repubblica federale di Germania.
29
Di conseguenza, l’argomento di quest’ultima secondo cui la legge VW non
rappresenterebbe una misura nazionale con riferimento alla libera circolazione
dei capitali deve essere respinto.
Sull’esistenza di restrizioni
30
Alla luce dell’argomentazione sviluppata dalle parti con riferimento alle due
prime censure, nonché agli effetti cumulativi prodotti dalle due disposizioni della
legge VW contestate nell’ambito di tali censure, queste ultime devono essere
esaminate congiuntamente.
Sulla prima e sulla seconda censura, basate sul limite massimo ai diritti di voto
pari al 20% e sulla fissazione della minoranza di blocco al 20%
–
Argomenti delle parti
31
Per quanto riguarda, in primo luogo, il limite massimo ai diritti di voto di ogni
azionista al 20% del capitale sociale della Volkswagen, previsto dall’art. 2, n. 1,
della legge VW, la Commissione sostiene che tale norma contraddice l’esigenza
di correlazione tra la partecipazione a detto capitale e i diritti di voto ad essa
relativi. Pur ammettendo che la previsione di un limite massimo ai diritti di voto
sia uno strumento corrente nell’ambito del diritto societario, utilizzato altresì in
altri Stati membri, vi sarebbe una rilevante differenza tra l’ipotesi in cui lo Stato
offra la possibilità di introdurre un siffatto strumento nello statuto di una società,
come avviene nel diritto tedesco per le società per azioni non quotate in borsa, e
l’ipotesi in cui esso adotti, in veste di legislatore, una disposizione in tal senso
riguardante un’unica impresa e, in definitiva, nel suo stesso interesse, come
avviene nel caso dell’art. 2, n. 1, della legge VW.
32
La Repubblica federale di Germania ricorda che, in occasione della costituzione
della Volkswagen, il limite massimo ai diritti di voto era stato stabilito nello
0,01% per tutti gli azionisti, fatta eccezione per lo Stato federale e per il Land
della Bassa Sassonia, i quali potevano esercitare i loro diritti proporzionalmente
alla loro partecipazione del 20% ciascuno. Tuttavia, nel corso dell’anno 1970,
tale statuto derogatorio in favore di questi due ultimi soggetti è stato abolito e il
limite massimo ai diritti di voto è stato innalzato al 20% per applicarsi
indistintamente a tutti gli azionisti. La Repubblica federale di Germania
sottolinea che, da allora, la disposizione di cui trattasi della legge VW è
indistintamente applicabile a tutti gli azionisti della Volkswagen. Il contesto
giuridico si distinguerebbe, in tal senso, da quelli presi in considerazione nella
giurisprudenza cui fa riferimento la Commissione per dimostrare, nella
fattispecie, l’esistenza di restrizioni alla libera circolazione dei capitali (citate
sentenze Commissione/Portogallo, punti 36 e 44; Commissione/Francia, punti 35
e 40; Commissione/Belgio, punto 36; Commissione/Spagna, punti 51 e 56;
Commissione/Regno Unito, punti 38 e 43, e Commissione/Italia, punto 26). Tale
giurisprudenza avrebbe riguardato, infatti, taluni diritti speciali istituiti a
vantaggio dello Stato. Secondo la Repubblica federale di Germania, un’eventuale
estensione dell’ambito di tutela della libera circolazione dei capitali al di là dei
diritti speciali dello Stato amplierebbe all’infinito l’ambito applicativo di tale
libertà.
33
Nel contestare la tesi secondo cui dovrebbe sussistere una correlazione tra la
partecipazione al capitale di una società e i diritti di voto degli azionisti della
stessa, tale Stato membro afferma che il legislatore nazionale è libero di
legiferare nel settore del diritto societario nazionale e di prevedere norme
applicabili a taluni gruppi di imprese, se non addirittura a una sola impresa,
laddove da una legislazione siffatta non discenda alcun ostacolo.
34
Per quanto riguarda, in secondo luogo, la fissazione di una minoranza di blocco
pari al 20%, la Commissione afferma che, col pretendere una maggioranza
superiore all’80% del capitale rappresentato per le decisioni dell’assemblea
generale che, secondo il diritto societario comune, richiedono solo una
maggioranza pari ad almeno il 75%, l’art. 4, n. 3, della legge VW consente al
Land della Bassa Sassonia, considerata la partecipazione dell’ordine del 20% che
esso possiede sin dalla privatizzazione della Volkswagen, di bloccare tale tipo di
decisioni. Secondo la Commissione, il requisito di una soglia più elevata dell’80%
è stato introdotto, nonostante la sua parvenza formalmente non discriminatoria,
ad esclusivo beneficio dei pubblici poteri.
35
La Commissione ammette che la legge sulle società per azioni autorizza la
fissazione di percentuali superiori al 75% per l’adozione delle decisioni di cui
trattasi, ma sottolinea che si tratta di una libertà concessa agli azionisti, i quali
possono decidere se farne o meno uso. Per contro, la soglia dell’80% prevista
dall’art. 4, n. 3, della legge VW sarebbe stata imposta agli azionisti della
Volkswagen dal legislatore, allo scopo di garantire a sé stesso, quale principale
azionista all’epoca, una minoranza di blocco.
36
In via preliminare, la Repubblica federale di Germania sottolinea che, come la
disposizione relativa al limite massimo dei diritti di voto pari al 20%, la
disposizione in esame della legge VW è indistintamente applicabile a tutti gli
azionisti della Volkswagen. Essa ritiene pertanto che la disposizione di cui
trattasi non rappresenti una restrizione alla libera circolazione dei capitali in
quanto non conferisce alcun diritto speciale allo Stato.
37
La Repubblica federale di Germania aggiunge che né la legge sulle società per
azioni né la disciplina comunitaria in materia prevedono alcun limite alla
fissazione di una minoranza di blocco. La situazione del Land della Bassa
Sassonia, sotto il profilo della sua capacità di costituire una minoranza di blocco,
corrisponderebbe alla normale situazione di un azionista di analoga rilevanza.
Tale Stato membro sottolinea, in proposito, che, se è vero che il Land della
Bassa Sassonia detiene attualmente una partecipazione pari al 20% circa del
capitale della Volkswagen, tale partecipazione deriva da investimenti realizzati
sul mercato in qualità di investitore privato.
–
Giudizio della Corte
38
Come osservato dalla Repubblica federale di Germania, il limite massimo ai
diritti di voto è uno strumento noto nell’ambito del diritto societario.
39
È peraltro pacifico tra le parti che, se è vero che l’art. 134, n. 1, prima frase,
della legge sulle società per azioni introduce il principio della proporzionalità del
diritto di voto alla quota del capitale, la seconda frase del citato articolo
autorizza, in taluni casi, una limitazione ai diritti di voto.
40
Tuttavia, come giustamente rilevato dalla Commissione, sussiste una differenza
tra una facoltà concessa a taluni azionisti, i quali sono liberi di decidere se
intendono o meno farne uso, e uno specifico obbligo imposto agli azionisti per
via legislativa, senza fornire loro alcuna possibilità di deroga.
41
Oltretutto, le parti concordano nell’ammettere che, nella sua versione derivante
dalla legge relativa al controllo e alla trasparenza nel settore delle imprese,
l’art. 134, n. 1, prima frase, della legge sulle società per azioni ha abolito la
possibilità di introdurre una limitazione dei diritti di voto nello statuto di società
quotate in borsa. Come osservato dalla Commissione, senza essere contraddetta
sul punto specifico dal governo tedesco, poiché la Volkswagen è una società
quotata in borsa, il suo statuto non potrebbe di norma prevedere alcun limite
massimo ai diritti di voto.
42
La Repubblica federale di Germania afferma che, poiché la limitazione prevista
dall’art. 2, n. 1, della legge VW è indistintamente applicabile a tutti gli azionisti,
essa può essere considerata, nel contempo, come uno svantaggio e come un
vantaggio. Alla limitazione dei diritti di voto subita da un azionista che detiene
più del 20% del capitale sociale corrisponderebbe una tutela rispetto all’influenza
di altri eventuali azionisti che detengano rilevanti partecipazioni e, in tal modo,
sussisterebbe la garanzia di poter partecipare effettivamente alla gestione della
società.
43
Prima di formulare un giudizio su tale argomento, è necessario esaminare gli
effetti del citato limite massimo ai diritti di voto con riferimento all’obbligo,
previsto dall’art. 4, n. 3, della legge VW, di una maggioranza superiore all’80%
del capitale sociale ai fini dell’adozione di talune decisioni dell’assemblea
generale degli azionisti della Volkswagen.
44
Come rilevato dalla Commissione, senza essere contraddetta sul punto dalla
Repubblica federale di Germania, si tratta di decisioni, quali ad esempio una
modifica dello statuto, del capitale o delle strutture finanziarie della società, per
le quali la legge sulle società per azioni richiede una maggioranza pari
quantomeno al 75% del capitale sociale.
45
È vero – come osserva la Repubblica federale di Germania – che la percentuale
del 75% del capitale sociale prevista dalla legge sulle società per azioni può
essere aumentata e fissata ad una percentuale superiore dallo statuto societario.
Tuttavia, come giustamente rilevato dalla Commissione, si tratta in tal caso di
una facoltà che gli azionisti sono liberi di decidere se esercitare o meno. Per
contro, la fissazione della soglia di maggioranza superiore all’80% del capitale in
questione, prevista dall’art. 4, n. 3, della legge VW, risulta non dalla volontà
degli azionisti bensì, come stabilito al punto 29 di questa sentenza, da una
misura nazionale.
46
Tale requisito derogatorio rispetto al diritto comune, imposto mediante una
specifica legislazione, conferisce in tal modo a qualsiasi azionista che detenga il
20% del capitale sociale la possibilità di disporre di una minoranza di blocco.
47
È vero che, come sottolineato dalla Repubblica federale di Germania, tale
possibilità è indistintamente applicabile. Analogamente al limite massimo ai
diritti di voto, essa può produrre effetti sia favorevoli che sfavorevoli nei
confronti di qualsiasi azionista della società.
48
Dal fascicolo emerge tuttavia che, in sede di adozione della legge VW, nel 1960,
lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia erano i due principali azionisti
della Volkswagen, società recentemente privatizzata, della quale essi
detenevano ciascuno il 20% del capitale.
49
Secondo le informazioni fornite alla Corte, se è vero che lo Stato federale ha
scelto di rinunciare alla propria partecipazione al capitale della Volkswagen, il
Land della Bassa Sassonia, da parte sua, mantiene ancora una partecipazione
pari al 20%.
50
L’art. 4, n. 3, della legge VW introduce in tal modo uno strumento che consente
agli operatori pubblici di garantirsi, mediante un investimento inferiore rispetto a
quanto sarebbe richiesto dal diritto societario comune, una minoranza di blocco
che consente loro di opporsi a rilevanti decisioni.
51
Nell’introdurre un limite massimo ai diritti di voto, anch’esso pari al 20%,
l’art. 2, n. 1, della legge VW completa un contesto giuridico che fornisce ai citati
operatori pubblici la possibilità di esercitare, con un tale investimento di più
modesta portata, un’influenza sostanziale.
52
Detta situazione, limitando la possibilità degli altri azionisti di partecipare alla
società con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti
con quest’ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione
o al suo controllo, è idonea a dissuadere taluni investitori diretti di altri Stati
membri.
53
Tale rilievo non può essere messo in discussione dall’argomento formulato dalla
Repubblica federale di Germania, secondo cui le azioni della Volkswagen sono
tra le più richieste in Europa e un gran numero delle stesse si troverebbe nelle
mani di investitori di altri Stati membri.
54
Infatti, come osserva la Commissione, le restrizioni alla libera circolazione dei
capitali di cui trattasi nel ricorso hanno ad oggetto gli investimenti diretti nel
capitale della Volkswagen, anziché gli investimenti di portafoglio, che sono
effettuati soltanto per realizzare un investimento finanziario (v. sentenza
Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19) e non sono considerati nel ricorso. Per
quanto riguarda gli investitori diretti, si deve rilevare che gli artt. 2, n. 1, e 4,
n. 3, della legge VW, poiché introducono uno strumento idoneo a limitare la loro
possibilità di partecipare alla società con l’obiettivo di creare o mantenere legami
economici durevoli e diretti con quest’ultima, che consentano una partecipazione
effettiva alla sua gestione o al suo controllo, riducono l’interesse all’acquisto di
una partecipazione nel capitale della Volkswagen.
55
Tale rilievo non è confutato dalla presenza, nell’ambito dell’azionariato della
Volkswagen, di un numero di investitori diretti che, secondo la Repubblica
federale di Germania, sarebbe analogo a quello presente nell’azionariato di altre
grandi imprese. Infatti, detta circostanza non è tale da contraddire il fatto che,
in ragione delle disposizioni in esame della legge VW, taluni investitori diretti di
altri Stati membri, attuali o potenziali, hanno potuto essere dissuasi
dall’acquisire una partecipazione nel capitale di tale società al fine di parteciparvi
con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con
essa, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo
controllo, pur avendo il diritto di beneficiare del principio della libera circolazione
dei capitali e della tutela derivante a loro favore dal principio citato.
56
Si deve dunque dichiarare che il combinato disposto degli artt. 2, n. 1, e 4,
n. 3, della legge VW rappresenta una restrizione ai movimenti di capitali ai sensi
dell’art. 56, n. 1, CE.
Sulla terza censura, basata sul diritto di designazione di due rappresentanti nel
consiglio di sorveglianza della Volkswagen
–
57
Argomenti delle parti
La Commissione osserva che l’art. 4, n. 1, della legge VW, che consente allo
Stato federale e al Land della Bassa Sassonia di designare ciascuno due
rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen, purché essi ne
siano azionisti, deroga alla norma prevista dall’art. 101, n. 2, della legge sulle
società per azioni, secondo cui un tale diritto può essere istituito solamente dallo
statuto e può riguardare solamente un terzo dei membri del consiglio di
sorveglianza nominati dagli azionisti, vale a dire, nel caso della Volkswagen, tre
rappresentanti. Secondo la Commissione, il citato art. 4, n. 1, limitando la
possibilità per gli altri azionisti di partecipare effettivamente alla gestione e al
controllo di tale società, rappresenta una restrizione alla libera circolazione dei
capitali.
58
La Repubblica federale di Germania rileva che il consiglio di sorveglianza è
meramente un organo di controllo e non un organo decisionale. Essa aggiunge
che il numero di rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen è
proporzionale alla partecipazione al capitale di quest’ultima e che, a tal
proposito, la rappresentanza del Land della Bassa Sassonia è inferiore alla quota
da esso detenuta in detto capitale. Essa afferma che l’art. 4, n. 1, della legge
VW non ha, del resto, alcun rilievo pratico per le decisioni in materia di
investimenti.
–
Giudizio della Corte
59
Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della legge VW, lo Stato federale e il Land della Bassa
Sassonia hanno la possibilità, a condizione che siano azionisti della Volkswagen,
di designare ciascuno due rappresentanti in qualità di membri del consiglio di
sorveglianza di quest’ultima, vale a dire un numero complessivo di quattro
persone.
60
Una siffatta possibilità rappresenta una deroga al diritto societario comune.
Quest’ultimo limita infatti i diritti di rappresentanza concessi a taluni azionisti a
un terzo del numero di rappresentanti degli azionisti nel consiglio di
sorveglianza. Nel caso della Volkswagen, in cui, come ha affermato la
Commissione senza essere contraddetta sul punto, il consiglio di sorveglianza è
composto di 20 membri, 10 dei quali sono designati dagli azionisti, il numero di
rappresentanti designabili dallo Stato federale e dal Land della Bassa Sassonia
potrebbe essere, secondo il diritto societario comune, pari al massimo a 3.
61
Si tratta quindi di un diritto specifico, derogatorio rispetto al diritto societario
comune, previsto ad esclusivo beneficio degli operatori pubblici da una misura
legislativa nazionale.
62
Il diritto di designazione attribuito allo Stato federale e al Land della Bassa
Sassonia dà loro la possibilità di partecipare all’attività del consiglio di
sorveglianza con maggiore rilievo rispetto a quanto sarebbe loro normalmente
concesso dalla loro qualità di azionisti.
63
Anche se, come osservato dalla Repubblica federale di Germania, il diritto di
rappresentanza del Land citato non è sproporzionato rispetto alla partecipazione
che esso attualmente detiene nel capitale della Volkswagen, è altresì vero che
sia tale Land, sia lo Stato federale dispongono del diritto di designare due
rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen in quanto
posseggono azioni di quest’ultima, a prescindere dall’ampiezza della loro
partecipazione.
64
L’art. 4, n. 1, della legge VW introduce in tal modo uno strumento che fornisce
agli operatori pubblici la possibilità di esercitare un’influenza che va al di là dei
loro investimenti. Corrispettivamente, l’influenza degli altri azionisti può risultare
ridotta rispetto ai loro investimenti.
65
Il fatto che il consiglio di sorveglianza sia, come sostenuto dalla Repubblica
federale di Germania, non un organo decisionale, bensì un mero organo di
controllo non è tale da mettere in discussione la posizione e l’influenza degli
operatori pubblici di cui trattasi. Infatti, laddove il diritto societario tedesco
attribuisce al consiglio di sorveglianza il compito di controllare la gestione della
società nonché di riferire agli azionisti in ordine a tale gestione, esso concede a
detto organo, ai fini dell’esercizio di tale compito, talune rilevanti competenze,
quali la nomina e la revoca dei membri del comitato esecutivo. Oltretutto, come
ricordato dalla Commissione, il consenso del consiglio di sorveglianza è
necessario per un certo numero di operazioni tra cui, oltre alla realizzazione e al
trasferimento di impianti produttivi, la creazione di succursali, l’acquisto e la
vendita di beni immobili, gli investimenti e il riacquisto di altre imprese.
66
Limitando la possibilità degli altri azionisti di partecipare alla società con
l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con
quest’ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al
suo controllo, l’art. 4, n. 1, della legge VW è idoneo a dissuadere gli investitori
diretti di altri Stati membri dall’investire nel capitale della società.
67
Per le stesse ragioni esposte ai punti 53-55 della presente sentenza, tale rilievo
non può essere confutato dall’argomento della Repubblica federale di Germania
secondo cui sui mercati finanziari internazionali sussisterebbe un vivace
interesse degli investitori per le azioni della Volkswagen.
68
Alla luce di quanto precede, occorre rilevare che l’art. 4, n. 1, della legge VW
rappresenta una restrizione ai movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1,
CE.
69
La questione se lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia facciano o meno
uso del diritto loro attribuito dal citato art. 4, n. 1, è priva di qualsivoglia
rilevanza. A tal proposito è sufficiente rilevare, infatti, che il diritto specifico e
derogatorio rispetto al diritto comune attribuito a tali operatori pubblici di
nominare rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen sussiste
nell’ordinamento giuridico tedesco.
Su un’eventuale giustificazione delle restrizioni
Argomenti delle parti
70
La Repubblica federale di Germania afferma, in subordine, che le disposizioni
della legge VW contestate dalla Commissione sono giustificate da motivi
imperativi di interesse generale. Tale legge, che si iscrive in un peculiare
contesto storico, avrebbe infatti istituito un «giusto equilibrio dei poteri» per
tener conto degli interessi dei lavoratori della Volkswagen e per tutelare gli
azionisti di minoranza della stessa. Detta legge perseguirebbe in tal modo un
obiettivo di politica sociale e regionale nonché un obiettivo economico, in
combinazione con obiettivi di politica industriale.
71
Secondo la Commissione, che contesta la rilevanza di tali considerazioni
storiche, la legge VW non risponde all’interesse generale, poiché le ragioni
invocate dalla Repubblica federale di Germania non valgono per tutte le imprese
che esercitano un’attività sul territorio di tale Stato membro, ma persegue
obiettivi di politica economica che non possono giustificare restrizioni alla libera
circolazione dei capitali (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punti 49 e 52).
Giudizio della Corte
72
La libera circolazione dei capitali può essere limitata da provvedimenti nazionali
che si giustifichino per le ragioni di cui all’art. 58 CE o per motivi imperativi di
interesse generale, purché non esistano misure comunitarie di armonizzazione
che indichino i provvedimenti necessari a garantire la tutela di tali interessi (v.
citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 49; Commissione/Francia,
punto 45; Commissione/Belgio, punto 45; Commissione/Spagna, punto 68;
Commissione/Italia, punto 35, nonché Commissione/Paesi Bassi, punto 32).
73
In mancanza di tale armonizzazione comunitaria, spetta in linea di principio agli
Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela di tali
legittimi interessi, nonché il modo in cui questo livello deve essere raggiunto.
Essi non possono tuttavia farlo se non nei limiti indicati dal Trattato e, in
particolare, nel rispetto del principio di proporzionalità, che richiede che le
misure adottate siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo
perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (v.
citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 49; Commissione/Francia,
punto 45; Commissione/Belgio, punto 45; Commissione/Spagna, punto 68;
Commissione/Italia, punto 35, nonché Commissione/Paesi Bassi, punto 33).
74
Per quanto riguarda la tutela degli interessi dei lavoratori, invocata dalla
Repubblica federale di Germania per giustificare le disposizioni controverse della
legge VW, si deve rilevare che tale Stato membro non è stato in grado di
spiegare, al di là di generali considerazioni sulla necessità di una tutela nei
confronti di un grande azionista che domini da solo sulla società, la ragione per
cui il mantenimento, nel capitale della Volkswagen, di una posizione rafforzata e
inamovibile a vantaggio di operatori pubblici sarebbe idoneo e necessario a
raggiungere l’obiettivo di tutela dei lavoratori di tale società.
75
Inoltre, quanto al diritto di designare taluni rappresentanti nel consiglio di
sorveglianza, si deve constatare che, ai sensi della legislazione tedesca, i
lavoratori dispongono direttamente di una rappresentanza nell’ambito
dell’organo in questione.
76
Di conseguenza, la giustificazione addotta dal citato Stato membro in merito
alla tutela dei lavoratori non può essere accolta.
77
Lo stesso vale per la giustificazione che la Repubblica federale di Germania
vorrebbe trarre dalla tutela degli azionisti di minoranza. Se la volontà di tutelare
questi ultimi può rappresentare del pari un interesse legittimo e giustificare, nel
rispetto dei principi richiamati ai punti 72 e 73 di questa sentenza, un intervento
legislativo, anche qualora quest’ultimo sia tale da rappresentare, sotto altro
profilo, una restrizione alla libera circolazione dei capitali, si deve rilevare che,
nella fattispecie, una tale volontà non può giustificare le disposizioni controverse
della legge VW.
78
Occorre ricordare in proposito che le disposizioni in oggetto creano un contesto
giuridico che attribuisce allo Stato federale e al Land della Bassa Sassonia la
possibilità di esercitare un’influenza maggiore rispetto a quella che sarebbe di
regola correlata ai loro investimenti. Orbene, la Repubblica federale di Germania
non ha dimostrato per quali ragioni il mantenimento di una tale posizione a
beneficio degli operatori pubblici in parola sarebbe necessario o idoneo a tutelare
gli interessi generali degli azionisti di minoranza.
79
Non può infatti escludersi che, in talune specifiche circostanze, gli operatori
pubblici in questione utilizzino la loro posizione allo scopo di difendere interessi
generali eventualmente contrari agli interessi economici della società interessata
e, di conseguenza, contrari agli interessi degli altri azionisti di quest’ultima.
80
Infine, poiché la Repubblica federale di Germania afferma che l’attività di
un’impresa importante come la Volkswagen può avere sull’interesse generale
un’incidenza tale da giustificare l’esistenza di garanzie legali superiori ai controlli
previsti dal diritto societario comune, si deve rilevare che, anche a voler
considerare fondata detta tesi, tale Stato membro non ha spiegato, a parte
considerazioni generali in merito al rischio che taluni azionisti facciano prevalere
i loro interessi personali su quelli dei lavoratori, le ragioni per le quali le
disposizioni della legge VW contestate dalla Commissione sono idonee e
necessarie allo scopo di salvaguardare gli impieghi generati dall’attività della
Volkswagen.
81
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, le censure sollevate dalla
Commissione e basate su una violazione dell’art. 56, n. 1, CE devono essere
accolte.
82
Occorre di conseguenza dichiarare che, mantenendo in vigore l’art. 4, n. 1,
nonché l’art. 2, n. 1, in combinato disposto con l’art. 4, n. 3, della legge VW, la
Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti
in forza dell’art. 56, n. 1, CE.
Sulle spese
83
Ai sensi dell’ art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente
è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne
ha chiesto la condanna alle spese, la Repubblica federale di Germania, rimasta
soccombente nella parte sostanziale dei suoi motivi, dev’essere condannata alle
spese.
(omissis)
La sentenza “Volkswagen” e il pericolo di una “convergenza” forzata tra
gli ordinamenti societari
(1)
SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Storia della Legge Volkswagen e sua natura di “misura
nazionale”. – 3. Massimale al voto e minoranza di blocco. – 4. Diritto di
nomina di esponenti del consiglio di sorveglianza. – 5. Possibile
giustificazione in nome di interessi generali. – 6. Il regime della proprietà
privata. – 7. Due sentenze contigue: Volkswagen e Federconsumatori. – 7.
Sentenza Volkswagen e sentenze golden shares: quale spazio per il diritto
societario nazionale? – 8. I diritti societari nazionali e i limiti alle
competenze della Corte. – 9. Uno sguardo al futuro di Volkswagen.
1. La sentenza “Volkswagen” della Corte di Giustizia è molto di più di una delle
molte decisioni su una delle libertà comunitarie. La Corte, infatti, affronta la legge
che nel 1960 disciplinò la società per azioni Volkswagen1, risorta come l’Araba
Fenice dalla distruzione della seconda guerra mondiale sotto forma di società a
responsabilità limitata di diritto singolare e senza un vero proprietario e
successivamente trasformata in s.p.a. con una legge ad hoc
La sentenza qui commentata, inoltre, potrebbe avere ripercussioni sistemiche di
grande portata e ridefinire interamente il rapporto tra il diritto comunitario e i
diritti societari nazionali. Ma conviene procedere con ordine, illustrando prima di
tutto il procedimento che ha condotto alla sentenza e le questioni sottoposte alla
Corte.
La Commissione nel marzo 2003 iniziò una procedura contro la Repubblica
Federale di Germania per violazione del Trattato; in seguito alla replica del
Governo tedesco e alla mancata ottemperanza, da parte di questo, al “parere
motivato” emesso dalla Commissione ai sensi dell’art. 226(1) del Trattato, la
Commissione presentò ricorso alla Corte di Giustizia.
Precisamente, alla Corte venne chiesto se alcune specifiche norme della Legge
Volkswagen, che derogavano alla disciplina generale delle società per azioni,
fossero compatibili con la libera circolazione dei capitali. Queste norme erano: (i)
la previsione di un tetto ai diritti di voto nell’assemblea di Volkswagen AG, pari
al 20% dei diritti di voto complessivi2; (ii) la necessità di approvare ogni modifica

Ringrazio Marco Corradi, Stefano Lombardo e Pietro Manzini per gli utilissimi suggerimenti e le
occasioni di confronto. Resto ovviamente responsabile di ogni errore od omissione e delle opinioni
espresse.
1
Gesetz über die Überführung der Anteilsrechte an der Volkswagenwerk Gesellschaft mit
beschränkter Haftung in private Hand, del 21 luglio 1960 (nel prosieguo: “VWGmbHÜG” oppure
la “Legge Volkswagen”).
2
§ 2(1) VWGmbHÜG. Il diritto societario comune, invece, consente di introdurre massimali al
diritto di voto, ma solo nelle società non quotate (§134(1) AktG)
statutaria con una maggioranza pari all’80% del capitale rappresentato in
assemblea3, invece del 75% previsto dal AktG4; (iii) il diritto attribuito al Governo
federale e al Land della Bassa Sassonia di nominare due membri ciascuno nel
consiglio di sorveglianza, sin tanto che detengono azioni nella società5.
Le questioni sottoposte alla Corte, quindi, rientrano nell’alveo delle cause sulla
compatibilità con la libera circolazione dei capitali di poteri speciali attribuiti allo
Stato, anche se come vedremo, il “caso Volkswagen” presenta alcune peculiarità
che non consentono di assimilarlo alle decisioni della Corte di Giustizia sulle
norme statali comunemente chiamate golden shares6.
La Corte, respinto il ricorso per la violazione della libertà di stabilimento delle
società7, si concentra sulla questione della compatibilità con la libera circolazione
dei capitali e, dopo un’articolata motivazione, conclude che le suddette norme
contrastano con il Trattato e non sono supportate da alcuna possibile
giustificazione.
L’art. 56 del Trattato vieta le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati Membri,
ma non definisce cosa si debba intendere per “capitali”. A tal fine la Corte, per
giurisprudenza costante8, impiega la definizione fornita dalla direttiva del
Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, che attuava l’abrogato articolo 67 del
Trattato, poi sostituito dall’attuale articolo 569. Pertanto, sono da considerare
come movimenti di capitale gli “investimenti diretti”, ossia “gli investimenti di
3
§ 4(3) VWGmbHÜG.
4
§ 179(2) AktG.
5
§ 4(1) VWGmbHÜG.
6
CORTE DI GIUSTIZIA, 23 maggio 2000, causa C-58/99, Comissione v. Italia, Racc. pag. I-3811;
CORTE DI GIUSTIZIA, 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione v. Portogallo, Racc. pag. I4731; causa C-483/99, Commissione v. Francia, Racc. pag. I-4781; causa C-503/99, Commissione
v. Belgio, Racc. pag. I-4809; CORTE DI GIUSTIZIA, 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione
v. Spagna, Racc. pag. I-4581; C-98/01, Commissione v. Regno Unito, Racc. pag. I-4641; CORTE DI
GIUSTIZIA, 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione v. Italia, Racc. pag. I-4933; CORTE DI
GIUSTIZIA, 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione v. Paesi Bassi,
Racc. pag. I-9141.
Cfr. BALLARINO – BELLODI, La golden share nel diritto comunitario. A proposito delle recenti
sentenze della Corte comunitaria, in Riv. Soc. 2003, 2 ss.; SANTONASTASIO, La saga della “golden
share" tra libertà di movimento di capitali e libertà di stabilimento, in Giur. comm. 2007, 302 ss.
7
P.to 16 Sentenza Volkswagen. Sul possibile concorso tra libertà di stabilimento e libera
circolazione dei capitali cfr. BALLARINO – BELLODI (nt. 6).
8
CORTE DI GIUSTIZIA, sentenze 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII
Group Litigation, Racc. pag. I-11753, p.to 179-181, e 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck,
p.ti 33 e 34). Cfr. anche FLYNN, Coming the age: the free movement of capital case law 1993 –
2002, in 39 CMLR, 2002, 773 ss.
Articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, e che recitava: “Gli Stati
membri sopprimono gradatamente fra loro, durante il periodo transitorio e nella misura necessaria
al buon funzionamento del mercato comune, le restrizioni ai movimenti dei capitali appartenenti a
persone residenti negli Stati membri, e parimenti le discriminazioni di trattamento fondate sulla
nazionalità o la residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali”.
9
qualsiasi tipo effettuati dalle persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di
stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra il finanziatore e l’impresa cui
tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica”10.
Riguardo alle società, lo scopo di mantenere “legami durevoli” “presuppone che
le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo, a norma delle
disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni o altrimenti, la possibilità
di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo”11.
Sulla base di questa definizione di “movimento di capitali”, che fa quindi
riferimento alla concreta possibilità di acquistare partecipazioni in società di altri
Stati Membri e di esercitare i relativi diritti azionari, la Corte considera come
“restrizione” ogni misura nazionale idonea “a impedire o a limitare l’acquisizione
di azioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori”degli
altri Stati Membri dall’investire nel capitale di queste ultime”12.
2. Il Governo tedesco, in primo luogo, contestò che la “legge Volkswagen”
rappresentasse una “misura nazionale” ai sensi dell’art. 56 del Trattato13.
Per capire l’argomentazione del Governo tedesco e le ragioni della legge ora
contestata occorre ricostruire la storia della società Volkswagen14. La nuova
fabbrica, che doveva produrre auto a basso prezzo, venne finanziato in parte dallo
Stato, attraverso una fondazione, in parte dai risparmiatori e futuri acquirenti delle
vetture, che dal 1938 poterono versare una cifra periodica minima e vedersi poi
attribuito il diritto ad acquistare le automobili di nuova produzione ad un prezzo
accessibile. Da questo punto di vista, quindi, la società Volkswagenwerk, pur
avendo la singolare forma di società a responsabilità limitata, era retta da una
logica mutualistica e non capitalistica. I vari stabilimenti Volkswagen, inoltre,
vennero finanziati anche attraverso le somme requisite ai sindacati della
Repubblica di Weimar, soppressi nel 1933 poco dopo la presa del potere del
partito nazionalsocialista.
La guerra interruppe bruscamente l’attività della fabbrica, iniziata da pochissimo,
e dopo l’occupazione del territorio tedesco da parte degli Stati Alleati, la fabbrica
di Wolfsburg si ritrovò nel cuore del settore britannico. Sebbene il Governatore
inglese non fosse riuscito a trovare un compratore per le quote della società, dopo
la guerra i manager e le maestranze ne ripresero comunque l’attività e ne fecero
un’impresa di successo, nonostante la forma giuridica fosse assolutamente
ambigua (una s.r.l. di diritto speciale) e, soprattutto, non fosse chiaro chi fossero i
10
P.to 18 Sentenza Volkswagen.
11
P.to 18 Sentenza Volkswagen.
12
P.to 19 Sentenza Volkswagen.
13
Cfr. p.to 22 ss. Sentenza Volkswagen.
Traggo la ricostruzione dalle conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer del 13 febbraio 2007,
p.to 17 ss.
14
proprietari delle relative quote. Pretendenti erano i “soggetti” che a vario titolo
avevano contribuito a finanziare e poi a far prosperare l’azienda: i sindacati e i
lavoratori, il Land della Bassa Sassonia, il Governo federale, i
risparmiatori/acquirenti.
Il conflitto assumeva contorni squisitamente politici e non giuridici e, pertanto,
venne risolto con un accordo tra lo Stato e gli altri pretendenti, suggellato da un
contratto di diritto pubblico, trasfuso nello statuto della Volkswagen e poi ancora
nella “Legge Volkswagen” del 1960, che trasformò la originaria società a
responsabilità limitata in una società per azioni. Nell’accordo, i risparmiatori e i
lavoratori rinunciavano alle loro pretese e, in cambio, lo Stato Federale e il Land
della Bassa Sassonia si impegnavano a far sì che la società non potesse essere
scalata da privati e a mantenere una partecipazione rilevante nel capitale, per
proteggere gli interessi della collettività. È evidente che la società Volkswagen,
nonostante la forma giuridica di società per azioni, non è una “normale” società
nata da un contratto e da conferimenti di soggetti privati.
Poiché la Legge Volkswagen codificava un accordo politico, il Governo tedesco
sostenne di fronte alla Corte che tale legge fosse solo la forma esteriore di un
accordo tra privati e non “misura nazionale” ai sensi dell’art. 56 del Trattato. La
Corte, però, rigettò questa impostazione, sulla base del dato formale che i
provvedimenti contestati avevano a tutti gli effetti forza di legge o comunque atti
di diritto pubblico, ritenendo perciò irrilevante il percorso storico che ha condotto
alla loro emanazione o approvazione15.
3. Veniamo ora alle questioni di merito. La Corte affronta congiuntamente il
massimale al diritto di voto e la minoranza di blocco. Poiché il Land della Bassa
Sassonia detiene il 20% del capitale, l’effetto congiunto del massimale al diritto di
voto e della minoranza di blocco gli danno la certezza di non essere soppiantato
da investitori privati, indipendentemente dal capitale investito nella società. In
sostanza: nessuno può “scalare” Volkswagen e la Bassa Sassonia potrà al
massimo essere affiancata da soci con un eguale numero di voti.
Ebbene, il punto cruciale della difesa del Governo tedesco è che il tetto al diritto
di voto e la minoranza di blocco si applicano a qualsiasi azionista, non solo
all’azionista pubblico16. Di conseguenza, continua il Governo tedesco, queste
disposizioni non creerebbero alcuna disparità di trattamento, mentre l’unica
differenza rispetto ad altre società è che nella società Volkswagen queste clausole
sono previste per legge e, quindi, sono immodificabili, mentre per il diritto
societario generale sono rimesse all’autonomia statutaria (ma, in base
all’Aktiengesetz, le società quotate, come Volkswagen, non potrebbero introdurre
massimali al voto).
15
P.to 26 ss. Sentenza Volkswagen.
16
P.to 31 ss. Sentenza Volkswagen.
La Corte e l’avvocato generale rigettano le argomentazioni del Governo tedesco
sulla base di un ragionamento sostanzialista17. Proprio dalla storia della società
Volkswagen, rileva la Corte, emerge che al momento dell’approvazione della
legge, nel 1960, lo Stato e il Land erano i due principali azionisti, cosicché la
Legge Volkswagen, fissando al 20% del capitale sia il tetto al voto, sia la
minoranza di blocco, non faceva altro che codificare una situazione di fatto e
consentiva agli operatori pubblici di mantenere un’influenza sostanziale sulla
società con investimenti di più modesta portata18. Ne consegue, prosegue la Corte,
che la situazione complessiva creata dalle norme contestate scoraggia terzi
investitori dal creare legami durevoli con la Volkswagen attraverso l’investimento
nel relativo capitale e, quindi, rappresenta una tipica restrizione della libera
circolazione dei capitali19.
4. L’altra questione di merito riguardava la eventuale incompatibilità con la libera
circolazione dei capitali del diritto a nominare due rappresentanti nel consiglio di
sorveglianza, sui dieci attribuiti agli azionisti. Si tratta di un diritto specifico
attribuito al Land sin tanto che mantiene partecipazioni nella società, in un organo
che non ha solo poteri di controllo, ma nomina gli amministratori, approva il
bilancio e alcune operazioni gestionali e che, quindi, può essere qualificato come
organo di “alta amministrazione”.
Si tratta, quindi, di una disposizione che introduce “uno strumento che fornisce
agli operatori pubblici la possibilità di esercitare un’influenza che va al di là dei
loro investimenti”, cosicché “l’influenza degli altri azionisti può risultare ridotta
rispetto ai loro investimenti.”20 Sul punto, peraltro, la Corte riconosce che il diritto
di nominare due componenti del consiglio è perfettamente in linea con la quota di
capitale sottoscritta dal Land (il 20%), ma la disposizione ha anche effetti
potenziali e indipendenti dalla quota di capitale concretamente sottoscritta
dall’ente pubblico.
5. Il Governo tedesco, in subordine, adduce che, se anche la Corte ritenesse che la
Legge Volkswagen rappresenti una restrizione alla libera circolazione dei capitali,
tale restrizione sarebbe giustificata da motivi imperativi d’interesse generale, quali
la tutela dei lavoratori e delle minoranze, in base all’accordo stipulato con tali
soggetti alla fine degli anni ’50 e che ha dato origine alla Legge Volkswagen.
Cfr. ZUMBANSEN – SAAM, The ECJ, Volkswagen and European Corporate Law: Reshaping the
European Varieties of Capitalism, in German law journal, 2007, 1028 ss. e SPATTINI, "Vere" e
"false". "golden shares" nella giurisprudenza comunitaria. la "deriva sostanzialista" della Corte
di giustizia, ovvero il "formalismo" del principio della "natura della cosa": il caso Volkswagen, e
altro ..., in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, 303 ss.
17
18
P.to 51 Sentenza Volkswagen.
19
P.to 52 Sentenza Volkswagen.
20
P.to 64 Sentenza Volkswagen.
Come si ricorderà, la giurisprudenza della Corte considera legittime le restrizioni
alla circolazione dei capitali solo se giustificate da ragioni imperative d’interesse
pubblico, purché le misure restrittive non siano discriminatorie e siano
proporzionate, ossia idonee “a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e
non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest'ultimo”21.
La Corte nega che questi requisiti sussistano: l’interesse dei lavoratori viene
comunque tutelato dalla disciplina sulla cogestione e quindi non necessita di una
“eterotutela” ulteriore da parte dello Stato22, mentre non è dimostrabile che gli
azionisti di minoranza siano effettivamente protetti dall’azione dell’ente
pubblico23, né si capisce perché la società Volkswagen e i suoi azionisti debbano
essere trattati in maniera diversa dalle altre società24.
6. La Corte tralascia di considerare l’art. 295 del Trattato, in base al quale il
Trattato stesso lascia impregiudicata la disciplina della proprietà privata dei
singoli Paesi Membri.
L’Avvocato Generale Colomer, al contrario, si sofferma sul punto affermando che
“il rispetto del Trattato per il regime della proprietà negli ordinamenti giuridici
nazionali, sancito nell’art. 295 CE, deve estendersi a ogni misura che, mediante
l’intervento nel settore pubblico, inteso in senso economico, consente allo Stato di
contribuire alla configurazione dell’attività produttiva del paese”25. Nonostante
questa premessa, l’Avvocato Generale nega che la legge Volkswagen sia coperta
dall’art. 295 del Trattato, affermando che non si tratterebbe di una società
privatizzata in “settori chiave dell’economia nazionale”26 e soprattutto che “ non
riguardano l’assetto della proprietà, né in generale, né con riferimento alla società
Volkswagen isolatamente.”27
Per comprendere le affermazioni dell’Avvocato Generale, occorre ricordare che lo
stesso Colomer, nelle conclusioni riguardanti tre delle sentenze sulle c.d. “golden
shares”, aveva chiesto alla Corte di considerare compatibili con la libera
circolazione dei capitali i poteri speciali previsti dal diritto portoghese, francese e
belga, che si applicavano indistintamente a qualsiasi soggetto28, proprio sulla base
del fatto che il Trattato rispetta pienamente il regime di proprietà delle imprese,
21
CORTE DI GIUSTIZIA, Commissione v. Francia (nt. 6) p.to 45.
22
P.to 74 Sentenza Volkswagen.
23
P.to 78 – 79 Sentenza Volkswagen.
24
P.to 81 Sentenza Volkswagen.
25
Conclusioni dell’Avvocato Generale, p.to 49
26
Conclusioni dell’Avvocato Generale, p.to 53.
27
Conclusioni dell’Avvocato Generale, p.to 54.
28 Conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer (Raccolta, 2002, p. I-4733 ss.) C- C-367/98, C483/99 e C-503/99, p.to 39 ss.. Cfr. BALLARINO – BELLODI (nt. 2).
sia esso pubblico o privato. Secondo Colomer, “difficilmente si potrebbe pensare
che il Trattato abbia voluto permettere agli Stati di mantenere interamente le loro
partecipazioni in una qualsiasi impresa, con la massima restrizione al diritto di
stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali che ciò implica, e
contemporaneamente, si opponga ad un regime liberalizzato, soggetto a
condizioni di natura amministrativa tassative e non discriminatorie e, pertanto, più
affine ad una logica integrativa.”29
7. La sentenza Volkswagen deve essere confrontata con le precedenti sentenze
sulle golden shares e con la sentenza Federconsumatori, emessa quasi
contemporaneamente30.
Cominciamo da quest’ultima. Al momento di vendere al mercato una quota
significativa della società AEM e di scendere al di sotto del 50% del capitale, il
comune di Milano fa approvare alla società stessa una modifica statutaria, sulla
base dell’art. 2449 c.c.31, che gli attribuisce il diritto di nominare un numero di
amministratori proporzionato alla sua partecipazione residua nella società (il
33,4% del capitale). Questa previsione si assommava al voto di lista per l’elezione
degli amministratori, previsto statutariamente ai sensi dell’art. 4 della l. 474/1994,
cosicché il comune di Milano, oltre agli amministratori nominati separatamente in
forza del potere speciale, riusciva a fare eleggere la lista principale.
L’effetto combinato del potere speciale di nomina e del voto di lista attribuiva al
comune di Milano il controllo della società, in maniera sproporzionata alla
partecipazione effettivamente detenuta nel capitale. La Corte, sia pure con alcune
ambiguità, dichiara questa situazione come una restrizione ingiustificata della
libera circolazione dei capitali; in particolare, la Corte ritiene che l’art. 2449 c.c.
(nella versione originaria) fosse incompatibile con il Trattato in quanto “di per sé,
oppure, come nelle cause principali, in combinato con una disposizione quale
l’art. 4 della legge 474/1994, che conferisce allo Stato o all’ente pubblico in
parola il diritto di partecipare all’elezione, mediante voto di lista degli
amministratori non direttamente nominati da esso stesso, è tale da consentire a
detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato
rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società.”
29
Conclusioni Avvocato Generale, cause golden shares, p.to 66.
30
CORTE DI GIUSTIZIA, sentenza 6 dicembre 2007, causa C-464/04, Federconsumatori et al. V.
Comune di Milano, in questa Rivista, 2008 II  (la “Sentenza Federconsumatori”).
La versione originaria dell’art. 2449(1) c.c., oggetto della valutazione della Corte, recitava “Se
lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi
conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del
consiglio di sorveglianza.” In seguito alla l. 25 febbraio 2008, n. 34, l’art. 2449 c.c. recita, al
comma 1: “Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa
ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un
numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza,
proporzionale alla partecipazione al capitale sociale.”
31
Non è chiaro se l’art. 2449 c.c. sia incompatibile di per sé con la libera
circolazione dei capitali oppure se lo sia solamente assieme a una disposizione
ulteriore, quale il voto di lista, che consente al socio pubblico di sommare agli
amministratori nominati separatamente quelli eletti dall’assemblea32. Il punto è
molto rilevante, perché il comune di Milano sulla base dell’art. 2449 c.c. aveva il
diritto a nominare un certo numero predefinito di amministratori, che però
proporzionale alla propria quota di capitale, e non superiore.
Anche se riteniamo che l’art. 2449 c.c. sia incompatibile col Trattato solo quando
opera congiuntamente ad altre disposizioni, come il voto di lista, resta inevasa la
domanda: come si sarebbe comportata la Corte se l’ente pubblico avesse avuto a
disposizione il potere di nominare amministratori in numero sproporzionato alla
propria quota di capitale, ma non tanti da attribuirgli il controllo della società? La
sentenza Federconsumatori non è chiara sul punto: forse la soluzione più coerente
con la sua ratio decidendi è di ritenere che quel che viene vietato sia il “controllo”
sproporzionato alla partecipazione, non una semplice partecipazione
sproporzionata33.
La sentenza Volkswagen, però, potrebbe indurre ad una lettura differente anche
della sentenza Federconsumatori. Infatti, il Land della Bassa Sassonia, a
differenza del Comune di Milano, aveva solo il diritto di nominare due consiglieri
su dieci, quindi in misura proporzionata al capitale sottoscritto, cosa che non gli
attribuiva il controllo della società, in misura sproporzionata alla quota di capitale
effettivamente detenuta, bensì solamente un potere potenzialmente sproporzionato
alla partecipazione. Nonostante ciò, la Corte ha ritenuto che il diritto di nomina
rappresentasse di per sé, ossia indipendentemente dal tetto al diritto di voto e dalla
minoranza di blocco, fosse una restrizione alla libera circolazione dei capitali34. Il
principio di diritto sotteso, quindi, pare essere molto ampio, ma per chiarirne la
portata è opportuno confrontare la sentenza Volkswagen con le precedenti
sentenze sulle c.d. golden shares.
8. Nelle cause sulle c.d. golden shares, i governi nazionali si difesero sostenendo
che i poteri speciali loro attribuiti potevano essere rivolti “senza distinzioni, agli
GHEZZI – VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti
pubblici nel capitale delle società per azioni: fine di un privilegio?, in Riv. Soc., 2008, 692.
32
DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario della nomina diretta ex art. 2449 c.c., in
Giur. comm., II, 2007, . Cfr. anche CORRADI, Libera circolazione dei capitali ed art. 2449 cc.: il
principio di proporzionalità tra partecipazione e “potere di controllo”, in Giur. comm. II, 2008,
941, il quale sottolinea che la valutazione della Corte non può fondarsi sulla natura “pubblica” del
soggetto titolare dei poteri speciali, perché sarebbe un argomento contrario all’art. 295 del
Trattato, e allora la vera ratio risiederebbe nella “sproporzione tra proprietà e controllo”.
33
34
GHEZZI – VENTORUZZO, op. loc. cit.
azionisti nazionali e agli azionisti cittadini di altri Stati membri”35 e, quindi, non
creavano alcuna discriminazione.
La Corte rigettò quest’argomentazione e ritenne che una restrizione alla libera
circolazione dei capitali potesse verificarsi anche ove il potere attribuito all’ente
pubblico non fosse formalmente discriminatorio, poiché tali norme potevano
“impedire l'acquisizione di azioni nelle società interessate e dissuadere gli
investitori di altri Stati membri dall'investire nel capitale di tali società.”36 Inoltre,
nonostante il potere di veto potesse rivolgersi nei confronti di soggetti tanto
nazionali quanto esteri e, quindi, non rappresentava una violazione formale della
parità di trattamento, esso configurava una violazione del principio di eguaglianza
tra soci, inteso come modalità di attribuzione dei diritti e poteri
(Gleichberechtigung)37.
Questa ratio decidendi delle sentenze sulle c.d. golden shares si attaglia
perfettamente al diritto di nominare due membri del consiglio di sorveglianza
della società Volkswagen, attribuito per legge al Land della Bassa Sassonia, ma
non può essere estesa alle altre due norme contestate, ossia il massimale al voto e
la minoranza di blocco, poiché queste si applicano a tutti i soci indistintamente e,
quindi, a differenza del diritto di nomina, non rappresentano alcuna deroga al
principio di eguaglianza tra soci.
Pertanto, se il Land della Bassa Sassonia incrementasse la propria partecipazione
oltre il 20% del capitale, il massimale al voto ridimensionerebbe il suo potere
assembleare rispetto alla partecipazione azionaria, così come avviene per tutti gli
altri soci privati38; viceversa, se la Bassa Sassonia decidesse di vendere la propria
partecipazione, il massimale al diritto di voto e la minoranza di blocco
resterebbero in vita e riguarderebbero solo i soci privati rimasti in società.
La condanna della Corte, quindi, riguarda norme squisitamente di diritto
societario39, che si applicano a qualsiasi socio di Volkswagen nel pieno rispetto
della parità di trattamento.
Rispetto alle norme di diritto societario “comune”, ossia quelle che si applicano a
tutte le società indistintamente in forza del Aktuiengesetz, le norme ora affrontate
dalla Corte presentano però una differenza significativa: esse non possono essere
modificate o eliminate con una semplice modifica statutaria, bensì solo con una
nuova legge. Questa differenza pare essere molto importante nell’argomentazione
della Corte, la quale insiste sul fatto che i soci non possano né eliminare il tetto al
35
Cfr. CORTE DI GIUSTIZIA, Commissione v. Portogallo (nt. 6) p.to 43; Commissione v. Francia
(nt. 6) p.to 39.
36
CORTE DI GIUSTIZIA, Commissione v. Portogallo (nt. 6) p.to 44 -45; Commissione v. Francia,
(nt. 6) p.to 41.
37
D’ATTORRE, Il principio d’uguaglianza tra soci nelle società per azioni, Milano, 2007, 128 ss.
Ossia in concreto rispetto alla Porsche, l’unico azionista che al momento ha una partecipazione
superiore e, anzi, sta tentando un aperto takeover della società Volkswagen
38
39
RINGE, commento alla sentenza Volkswagen, in Common Market Law Review, 2008, 542.
diritto di voto né la maggioranza rafforzata. Se ne potrebbe dedurre che la Corte
avrebbe valutato queste regole in maniera differente, se esse fossero state
semplicemente introdotte nello statuto, entro gli spazi concessi dalla legge
all’autonomia statutaria.
Per comprendere come la Corte reagirà in futuro di fronte a norme nazionali che,
astrattamente, potrebbero essere tacciate di ostacolare la libera circolazione dei
capitali, possiamo notare che la Corte considera come “restrizioni” alla libertà di
stabilimento tutte quelle ipotesi in cui un soggetto viene dissuaso dall’investire in
una società comunitaria e dallo stabilirvi “legami durevoli”; questa “dissuasione”,
per la Corte, può avvenire tanto attraverso norme che attribuiscono al socio
pubblico un potere speciale di nomina, derogando così al principio di eguaglianza
tra soci, quanto attraverso norme di diritto societario che, pur rispettose del
principio di eguaglianza, di fatto cristallizzano e rendono non modificabile una
posizione di potere dell’ente pubblico.
Si potrebbe, forse, trarre un principio di diritto estremamente ampio, per il quale
sarebbero incompatibili con la libera circolazione dei capitali tutte le disposizioni
nazionali che consentono, anche solo potenzialmente, ad un ente pubblico di
ottenere o mantenere un’influenza sproporzionata alla quota di capitale
sottoscritta.
Inoltre, ragionando in astratto, non vi sono ragioni per distinguere tra soci pubblici
e privati dal punto di vista del diritto comunitario. Di conseguenza, anche una
legge che preveda un tetto al voto o una minoranza di blocco e che cristallizza il
potere detenuto da un socio privato, rendendo una società non scalabile alla stessa
maniera di Volkswagen, potrebbe essere considerata incompatibile con la libera
circolazione dei capitali in quanto dissuade potenziali investitori dallo stabilire
“legami durevoli” con la società40.
Questo modo di ragionare e le conclusioni che se ne potrebbero trarre, però,
nascondono una contraddizione e rappresentano potenzialmente un pericolo.
La contraddizione è dovuta al fatto che la Corte non indaga il rapporto tra legge e
autonomia privata. Il diritto societario, infatti, può essere considerato come una
sorta di “contratto standard”, contenente regole dispositive o imperative secondo
il bilanciamento di interessi prescelto caso per caso dai singoli ordinamenti41.
Questa riflessione vale per tutte le regole societarie, tanto “comuni”, ossia
applicabili in generale a tutte le società, quanto “speciali” ossia applicabili ad una
40
Cfr. RINGE, Company law and free movement of capital: nothing escapes the ECJ?, University
of Oxford legal research paper series, 11, November 2008, www.ssrn.com/abstract=1295905 (che
però nel seguito dell’articolo differenzia tra il caso in cui la società è partecipata da enti pubblici
da quello in cui la società è partecipata da private: il primo caso sarebbe facilmente una
limitazione della libera circolazione dei capitali perché gli enti pubblici di solito perseguono
finalità non lucrative, e per questo dissuadono maggiormente l’investimento, al contrario di
soggetti privati che, ancorché tutelati in concreto da norme di legge che attribuiscono loro più
potere di quello derivante dal loro investimento, proprio perché perseguono interessi lucrativi
finirebbero per non ostacolare gli investimenti, almeno nella maggior parte dei casi)
41
Cfr. EASTERBROOK – FISCHEL, L’economia delle società per azioni, Milano, 1996, 44 ss.
sola società o a una classe di società, come ad esempio la Legge Volkswagen.
Nulla vieterebbe ai legislatori nazionali di prevedere una legge ad hoc, con regole
diverse tra loro, per ogni singola società, facendo coincidere così la regola legale e
quella statutaria, così come avveniva in passato nel vigore del sistema
“concessorio” della personalità giuridica42. D’altro canto, la restrizione della
libera circolazione dei capitali da parte della Legge Volkswagen non può risiedere
nel fatto che essa contiene regole inderogabili, perché in realtà tutto il diritto
tedesco sulle società per azioni è retto dal principio generale di inderogabilità, per
cui tutto quel che non è espressamente consentito dalla legge è vietato
all’autonomia statutaria43: cosa deciderebbe allora la Corte se l’Aktiengesetz
estendesse a tutte le società tedesche il tetto al diritto voto o la minoranza di
blocco? Pare ben difficile sostenere che gli stati membri non siano liberi di
disegnare come meglio credano il proprio diritto societario; di conseguenza, il
problema della Legge Volkswagen non può risiedere nella inderogabilità del tetto
al voto o della minoranza di blocco, bensì proprio nel contenuto di tali regole, che
allora potrebbero essere considerate come restrizioni della libera circolazione dei
capitali di per sé, ossia anche se introdotte nello statuto sulla base di una delibera
dell’assemblea e pur essendo assolutamente non discriminatorie.
Il pericolo insito nella Sentenza Volkswagen emerge da questa mancata analisi. Il
principio per cui tutte le norme nazionali che dissuadono dallo stabilire “legami
durevoli” rappresentino restrizioni alla libera circolazione dei capitali, infatti,
potrebbe avere effetti eccessivamente estesi, se non ne individuiamo il perimetro
di applicazione.
Se applicassimo il principio in questione in maniera lineare, infatti, dovremmo
concludere che tutte le norme dei diritti societari nazionali che conformano i
poteri dei soci in maniera da rendere meno appetibile l’acquisto della
partecipazione sociale, siano contrarie alla libera circolazione dei capitali: in
pratica tutte le norme che esulano, o consentono di esulare, dal rigido principio
“un’azione – un voto” potrebbero essere tacciate di restringere la circolazione dei
capitali, nonostante la scelta di imporre su base comunitaria il principio
“un’azione – un voto” sia stata rigettata dalla Commissione, per l’impossibilità di
dimostrare che questo livello di armonizzazione abbia effetti davvero benefici
sull’efficienza produttiva e l’integrazione comunitaria44.
Seguendo questa logica, la Corte rischierebbe di mettere in discussione la varietà
degli ordinamenti giuridici nazionali, sino a realizzarne una sorta di forzata
Ossia quel meccanismo, che per le società per azioni risale ormai ad un’epoca storica passata, in
base al quale la personalità giuridica viene concessa dallo Stato (o dal Sovrano) con un atto
pubblico di diritto singolare (cfr. RITTNER, Die Weredende Juristische Person, Tübingen, 1973, 17
ss.)
42
43
44
§ 25, comma 1, AktG.
Dichiarazione del Commissario McCreevy alla Commissione affari legali del Parlamento
Europeo, 3 ottobre, 2007, 07/592.
convergenza per mano giudiziaria45, proprio in un momento in cui la stessa
Giurisprudenza della stessa Corte in materia di libertà di stabilimento ha aperto
spazi amplissimi alla competizione tra ordinamenti giuridici, esaltando così il
valore positivo delle rispettive differenze46.
In sostanza: con la sentenza Volkswagen (e con la sentenza Federconsumatori), al
di là del merito delle singole controversie, la Corte assume posizioni che non
consentono di individuarne i limiti intrinseci dell’argomentazione e, quindi,
rischiano in futuro di applicarsi anche alle scelte dei legislatori nazionali riguardo
alle regole di diritto societario.
9. Ma il braccio di ferro tra il Governo tedesco e la Commissione comunitaria
potrebbe proseguire, dimostrando quanto il “caso Volkswagen” rappresenti molto
di più della difesa di un semplice potere statale.
Il 27 maggio il Governo tedesco ha approvato un progetto di legge per riformare
la “Legge Volkswagen”, progetto poi approvato dal Bundestag e dal Bundestag ed
entrato in vigore l’11 dicembre 2008. La legge, però, abroga solo il massimale al
diritto di voto e il diritto di nominare due membri del consiglio di sorveglianza,
ma conserva la minoranza di blocco, ritenendo che questa da sola non sia oggetto
di condanna da parte della Corte. La Commissione ha già dichiarato la sua
contrarietà al progetto e che, se verrà approvato con questo contenuto, procederà
nuovamente contro la Germania per violazione del Trattato.
Alle spalle del conflitto tra il Governo tedesco e la Commissione, si staglia il
profilo del convitato di pietra: il gruppo Porsche ha acquistato più del 30% in
azioni e opzionato più del 20% del capitale di Volkswagen e attende paziente di
poter scalare la società di Wolfsburg e di restituirla agli eredi di Ferdinand
Porsche.
ZUMBANSEN – SAAM (nt. 17); VOSSESTEIN, Volkswagen: the State of Affairs of Golden Shares,
General Company Law and European Free Movement of Capital, in European company and
financial law review, 2008, 130.
45
46 Per una panoramica rinvio a MUCCIARELLI, Company ‘Emigration’ and EC Freedom of
Establishment: Daily Mail Revisited, in EBOR, 2008, 267 ss.
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