Federico M. Mucciarelli [email protected] CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Grande Sezione, 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione delle Comunità Europee (sig. Benyon, sig. Braun) v. Repubblica federale di Germania (avv. Wissel) – Skouris Presidente, Jann Relatore, Ruiz-Jarabo Colomer Avvocato Generale. Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei capitali – Disposizioni legislative relative alla società per azioni Volkswagen (Trattato CE, art. 56; VWGmbHÜG, 21 luglio 1960) Mantenendo in vigore il § 4, n. 1, nonché il § 2, n. 1, in combinato disposto con il § 4, n. 3, della legge 21 luglio 1960, relativa al trasferimento al settore privato delle quote della società a responsabilità limitata Volkswagenwerk (Gesetz über die Überführung der Anteilsrechte an der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter Haftung in privatem Hand), nella versione applicabile alla causa in esame, la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 56, n. 1, CE.(1) Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che gli artt. 2, n. 1, nonché 4, nn. 1 e 3, della legge 21 luglio 1960, relativa al trasferimento al settore privato delle quote della società a responsabilità limitata Volkswagenwerk (Gesetz über die Überführung der Anteilsrechte an der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter Haftung in private Hand, BGBl. 1960 I, pag. 585, e BGBl. 1960 III, pag. 641-1-1), nella sua versione applicabile alla presente controversia (in prosieguo: la «legge VW»), violano gli artt. 43 CE e 56 CE. Ambito normativo La legge sulle società per azioni 2 L’art. 134, n. 1, della legge sulle società per azioni (Aktiengesetz) del 6 settembre 1965 (BGBl. 1965 I, pag. 1089; in prosieguo: la «legge sulle società per azioni»), come modificata dalla legge sul controllo e la trasparenza nel settore delle imprese (Gesetz zur Kontrolle und Transparenz im Unternehmensbereich), del 27 aprile 1998 (BGBl. 1998 I, pag. 786), così dispone: «Il diritto di voto si esercita in funzione dell’importo nominale delle azioni o, nel caso delle azioni di quota (“Stückaktien”), del loro numero. Nel caso delle società non quotate, lo statuto può limitare il diritto di voto, qualora un azionista detenga varie azioni, fissando un limite massimo assoluto o progressivo (…)». 3 L’art. 101, n. 2, della legge sulle società per azioni prevede quanto segue: «Il diritto di designare rappresentanti nel consiglio di sorveglianza deve essere previsto nello statuto e può essere concesso soltanto a determinati azionisti o ai titolari di determinate azioni. In quest’ultimo caso, il diritto di rappresentanza è riconosciuto solamente qualora le azioni siano nominative e qualora il trasferimento delle stesse sia soggetto all’approvazione della società. Le quote degli azionisti che dispongono di tale diritto non rappresentano una categoria particolare. Nel complesso, i diritti di rappresentanza attribuiti non devono superare un terzo del numero di rappresentanti degli azionisti nel consiglio di sorveglianza previsto dalla legge o dallo statuto. L’art. 4, n. 1, della [legge VW] rimane invariato». La legge VW 4 L’art. 1, n. 1, della legge VW dispone che la società a responsabilità limitata Volkswagenwerk è trasformata in una società per azioni (in prosieguo: la «Volkswagen»). 5 L’art. 2 della legge VW, relativo al diritto di voto e ai limiti di tale diritto, al suo n. 1 così recita: «Il diritto di voto di un azionista titolare di azioni il cui importo nominale superi un quinto del capitale sociale è limitato al numero di voti conferito da un importo di azioni nominale pari a un quinto del capitale sociale». 6 L’art. 3 della stessa legge, relativo alla rappresentanza per l’esercizio del diritto di voto, prevede al suo n. 5: «Nessuno, in occasione dell’assemblea generale, può esercitare il diritto di voto corrispondente ad un importo di azioni superiore al quinto del capitale sociale». 7 L’art. 4 della citata legge, dal titolo «Statuto della società», recita: «1. La Repubblica federale di Germania e il Land della Bassa Sassonia sono autorizzati a designare ciascuno due membri del consiglio di sorveglianza, purché posseggano azioni della società. (…) 3. Le decisioni dell’assemblea generale per le quali, ai sensi della legge sulle società per azioni, è necessaria una maggioranza pari almeno ai tre quarti del capitale sociale rappresentato in occasione della loro adozione richiedono una maggioranza superiore ai quattro quinti del capitale sociale rappresentato in occasione di tale adozione». Fase precontenziosa del procedimento 8 Dopo avere invitato la Repubblica federale di Germania a presentare le sue osservazioni in merito agli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1 e 3, della legge VW, in data 1 aprile 2004 la Commissione ha emanato un parere motivato affermando che tali disposizioni nazionali rappresentano restrizioni alla libera circolazione dei capitali e alla libertà di stabilimento garantite, rispettivamente, dagli artt. 56 CE e 43 CE. Poiché tale Stato membro non ha adottato le misure necessarie per conformarsi a detto parere nel termine impartito, la Commissione ha proposto il ricorso in esame, a sostegno del quale essa afferma che il fatto di mantenere in vigore le citate disposizioni viola gli artt. 56 CE e 43 CE. Sul ricorso 9 La Commissione rileva, in sostanza, che le disposizioni in questione della legge VW, limitando, in primo luogo, in deroga al diritto comune, i diritti di voto di ogni azionista al 20% del capitale sociale della Volkswagen, richiedendo, in secondo luogo, una maggioranza superiore all’80% del capitale rappresentato ai fini delle decisioni dell’assemblea generale che richiedono, secondo il diritto comune, solamente una maggioranza pari al 75% e consentendo, in terzo luogo, in deroga al diritto comune, allo Stato federale e al Land della Bassa Sassonia di designare ciascuno due rappresentanti nell’ambito del consiglio di sorveglianza della società di cui trattasi, sono idonee a dissuadere gli investimenti diretti e rappresentano pertanto restrizioni alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 CE. 10 La Commissione non sviluppa alcuna specifica argomentazione per dimostrare una violazione dell’art. 43 CE. 11 La Repubblica federale di Germania contesta la fondatezza del motivo sollevato dalla Commissione in merito alla violazione dell’art. 56 CE. 12 Rilevando che la Commissione non si esprime in alcun modo sul motivo relativo alla violazione dell’art. 43 CE, la Repubblica federale di Germania ne deduce che esso è divenuto privo di oggetto. Sulla violazione dell’art. 43 CE 13 In conformità ad una giurisprudenza costante, rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae delle disposizioni del Trattato CE relative alla libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino dello Stato membro interessato, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirgli di indirizzarne le attività (v., segnatamente, sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, Racc. pag. I-2787, punto 22; 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 31, e 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punto 27). 14 Nella fattispecie emerge dal fascicolo, segnatamente dall’argomentazione difensiva formulata dalla Repubblica federale di Germania, che le disposizioni della legge VW in esame nell’ambito del ricorso riguardano, quanto meno in parte, la situazione di un’eventuale assunzione di controllo della Volkswagen ad opera di un azionista che abbia l’obiettivo di esercitare un’influenza dominante sull’impresa. 15 Si deve tuttavia rilevare che la Commissione non ha sviluppato nell’ambito del suo ricorso, come neppure nella sua replica o in sede di udienza, alcuna argomentazione specifica a sostegno di un’eventuale restrizione alla libertà di stabilimento. 16 Di conseguenza, occorre respingere il ricorso nella parte in cui esso è basato su una violazione dell’art. 43 CE. Sulla violazione dell’art. 56 CE 17 Secondo una costante giurisprudenza, l’art. 56, n. 1, CE vieta in maniera generale le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri (v., in particolare, sentenza 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-9141, punto 18 e giurisprudenza ivi citata). 18 In assenza di definizione, nell’ambito del Trattato CE, della nozione di «movimenti di capitali» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, la Corte ha in precedenza riconosciuto un valore indicativo alla nomenclatura allegata alla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato [articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam] (GU L 178, pag. 5). Costituiscono quindi movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, segnatamente, gli investimenti diretti, vale a dire, come emerge da tale nomenclatura e dalle relative note esplicative, gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati dalle persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica (v., in tal senso, sentenze 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, punti 179-181, e 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck, Racc. pag. I-4051, punti 33 e 34). Con riferimento a partecipazioni in imprese nuove o esistenti, come confermano tali note esplicative, l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli presuppone che le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo, a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni o altrimenti, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo (v. citate sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 182, e Holböck, punto 35; v. altresì sentenze 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-4731, punto 38; causa C-483/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I-4781, punto 37; causa C-503/99, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-4809, punto 38; 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-4581, punto 53; causa C-98/01, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-4641, punto 40; 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4933, punto 28, nonché Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19). 19 Con riferimento a tale forma di investimenti, la Corte ha precisato che devono essere qualificate come «restrizioni» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE misure nazionali idonee a impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime (v. citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 45; Commissione/Francia, punto 41; Commissione/Spagna, punto 61; Commissione/Regno Unito, punto 47; Commissione/Italia, punti 30 e 31, nonché Commissione/Paesi Bassi, punto 20). 20 Nella fattispecie, la Repubblica federale di Germania afferma, in sostanza, che la legge VW non rappresenta una misura nazionale ai sensi della giurisprudenza citata ai tre precedenti punti. Essa aggiunge che neppure le disposizioni impugnate di tale legge, considerate singolarmente o nel loro complesso, rappresentano restrizioni ai sensi della citata giurisprudenza. 21 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare gli argomenti dedotti dalla Commissione a sostegno del suo motivo basato sulla violazione dell’art. 56 CE. Sull’esistenza di una misura nazionale Argomenti delle parti 22 La Repubblica federale di Germania ricorda che la legge VW si basa su un compromesso raggiunto nel 1959 dalle persone e dai gruppi che, nel corso degli anni ’50, avevano avanzato diritti sulla società a responsabilità limitata Volkswagenwerk. All’epoca, sia i sindacati e i lavoratori, sia lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia beneficiavano di diritti su tale impresa. Nell’ambito del citato compromesso, i lavoratori e i sindacati, quale contropartita per la loro rinuncia a rivendicare un diritto di proprietà su quest’ultima, avrebbero ottenuto la garanzia di essere tutelati nei confronti di un grande azionista che dovesse dominare da solo sulla società in questione. 23 La Repubblica federale di Germania osserva che tale compromesso si è concretizzato innanzitutto mediante la conclusione, il 12 novembre 1959, di un contratto («Staatsvertrag») tra lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia e, successivamente, mediante l’adozione, in base a tale contratto, della legge 9 maggio 1960, recante regolamentazione della situazione giuridica della società a responsabilità limitata Volkswagenwerk (Gesetz über die Regelung der Rechtsverhältnisse bei der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter Haftung, BGBl. 1960 I, pag. 301), seguita dall’adozione, in data 6 luglio 1960, dello statuto della Volkswagen e, infine, della legge VW, che ha ripreso le norme già contenute in tale statuto. 24 A parere di detto Stato membro, la legge VW, nel creare la società per azioni Volkswagen e nel procedere alla sua privatizzazione, non ha fatto altro che esprimere la volontà degli azionisti nonché di tutti gli altri soggetti e di tutti gli altri gruppi che avevano avanzato diritti di natura privata su tale impresa. Con riferimento alla libera circolazione dei capitali, detta legge dovrebbe pertanto essere assimilata ad una convenzione tra titolari di quote. In forza dell’adagio pacta sunt servanda, detto compromesso conserverebbe a tutt’oggi il suo pieno valore. 25 La Commissione osserva che tali considerazioni storiche sono irrilevanti. Gli addebiti che essa muove alla Repubblica federale di Germania non avrebbero ad oggetto i motivi dell’attività legislativa svolta da tale Stato membro nel 1960, ma riguarderebbero la sua attuale inattività sul piano legislativo, in quanto la legge VW contrasta, da molto tempo, con le esigenze della libera circolazione dei capitali. Giudizio della Corte 26 Ammettendo che, come affermato dalla Repubblica federale di Germania, la legge VW si limiti a riprodurre un accordo qualificabile come contratto di diritto privato, si deve rilevare che il fatto che detto accordo sia stato oggetto di una legge è sufficiente a far sì che esso sia considerato, con riferimento alla libera circolazione dei capitali, come una misura nazionale. 27 Infatti, l’esercizio della competenza legislativa ad opera delle autorità nazionali, debitamente abilitate a tal fine, rappresenta la manifestazione per eccellenza del potere statale. 28 Occorre oltretutto rilevare che le disposizioni della legge di cui trattasi non possono più essere modificate dalla mera volontà delle parti dell’accordo iniziale, ma che qualsiasi modifica richiede l’adozione di una nuova legge, in conformità alle procedure di diritto costituzionale della Repubblica federale di Germania. 29 Di conseguenza, l’argomento di quest’ultima secondo cui la legge VW non rappresenterebbe una misura nazionale con riferimento alla libera circolazione dei capitali deve essere respinto. Sull’esistenza di restrizioni 30 Alla luce dell’argomentazione sviluppata dalle parti con riferimento alle due prime censure, nonché agli effetti cumulativi prodotti dalle due disposizioni della legge VW contestate nell’ambito di tali censure, queste ultime devono essere esaminate congiuntamente. Sulla prima e sulla seconda censura, basate sul limite massimo ai diritti di voto pari al 20% e sulla fissazione della minoranza di blocco al 20% – Argomenti delle parti 31 Per quanto riguarda, in primo luogo, il limite massimo ai diritti di voto di ogni azionista al 20% del capitale sociale della Volkswagen, previsto dall’art. 2, n. 1, della legge VW, la Commissione sostiene che tale norma contraddice l’esigenza di correlazione tra la partecipazione a detto capitale e i diritti di voto ad essa relativi. Pur ammettendo che la previsione di un limite massimo ai diritti di voto sia uno strumento corrente nell’ambito del diritto societario, utilizzato altresì in altri Stati membri, vi sarebbe una rilevante differenza tra l’ipotesi in cui lo Stato offra la possibilità di introdurre un siffatto strumento nello statuto di una società, come avviene nel diritto tedesco per le società per azioni non quotate in borsa, e l’ipotesi in cui esso adotti, in veste di legislatore, una disposizione in tal senso riguardante un’unica impresa e, in definitiva, nel suo stesso interesse, come avviene nel caso dell’art. 2, n. 1, della legge VW. 32 La Repubblica federale di Germania ricorda che, in occasione della costituzione della Volkswagen, il limite massimo ai diritti di voto era stato stabilito nello 0,01% per tutti gli azionisti, fatta eccezione per lo Stato federale e per il Land della Bassa Sassonia, i quali potevano esercitare i loro diritti proporzionalmente alla loro partecipazione del 20% ciascuno. Tuttavia, nel corso dell’anno 1970, tale statuto derogatorio in favore di questi due ultimi soggetti è stato abolito e il limite massimo ai diritti di voto è stato innalzato al 20% per applicarsi indistintamente a tutti gli azionisti. La Repubblica federale di Germania sottolinea che, da allora, la disposizione di cui trattasi della legge VW è indistintamente applicabile a tutti gli azionisti della Volkswagen. Il contesto giuridico si distinguerebbe, in tal senso, da quelli presi in considerazione nella giurisprudenza cui fa riferimento la Commissione per dimostrare, nella fattispecie, l’esistenza di restrizioni alla libera circolazione dei capitali (citate sentenze Commissione/Portogallo, punti 36 e 44; Commissione/Francia, punti 35 e 40; Commissione/Belgio, punto 36; Commissione/Spagna, punti 51 e 56; Commissione/Regno Unito, punti 38 e 43, e Commissione/Italia, punto 26). Tale giurisprudenza avrebbe riguardato, infatti, taluni diritti speciali istituiti a vantaggio dello Stato. Secondo la Repubblica federale di Germania, un’eventuale estensione dell’ambito di tutela della libera circolazione dei capitali al di là dei diritti speciali dello Stato amplierebbe all’infinito l’ambito applicativo di tale libertà. 33 Nel contestare la tesi secondo cui dovrebbe sussistere una correlazione tra la partecipazione al capitale di una società e i diritti di voto degli azionisti della stessa, tale Stato membro afferma che il legislatore nazionale è libero di legiferare nel settore del diritto societario nazionale e di prevedere norme applicabili a taluni gruppi di imprese, se non addirittura a una sola impresa, laddove da una legislazione siffatta non discenda alcun ostacolo. 34 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la fissazione di una minoranza di blocco pari al 20%, la Commissione afferma che, col pretendere una maggioranza superiore all’80% del capitale rappresentato per le decisioni dell’assemblea generale che, secondo il diritto societario comune, richiedono solo una maggioranza pari ad almeno il 75%, l’art. 4, n. 3, della legge VW consente al Land della Bassa Sassonia, considerata la partecipazione dell’ordine del 20% che esso possiede sin dalla privatizzazione della Volkswagen, di bloccare tale tipo di decisioni. Secondo la Commissione, il requisito di una soglia più elevata dell’80% è stato introdotto, nonostante la sua parvenza formalmente non discriminatoria, ad esclusivo beneficio dei pubblici poteri. 35 La Commissione ammette che la legge sulle società per azioni autorizza la fissazione di percentuali superiori al 75% per l’adozione delle decisioni di cui trattasi, ma sottolinea che si tratta di una libertà concessa agli azionisti, i quali possono decidere se farne o meno uso. Per contro, la soglia dell’80% prevista dall’art. 4, n. 3, della legge VW sarebbe stata imposta agli azionisti della Volkswagen dal legislatore, allo scopo di garantire a sé stesso, quale principale azionista all’epoca, una minoranza di blocco. 36 In via preliminare, la Repubblica federale di Germania sottolinea che, come la disposizione relativa al limite massimo dei diritti di voto pari al 20%, la disposizione in esame della legge VW è indistintamente applicabile a tutti gli azionisti della Volkswagen. Essa ritiene pertanto che la disposizione di cui trattasi non rappresenti una restrizione alla libera circolazione dei capitali in quanto non conferisce alcun diritto speciale allo Stato. 37 La Repubblica federale di Germania aggiunge che né la legge sulle società per azioni né la disciplina comunitaria in materia prevedono alcun limite alla fissazione di una minoranza di blocco. La situazione del Land della Bassa Sassonia, sotto il profilo della sua capacità di costituire una minoranza di blocco, corrisponderebbe alla normale situazione di un azionista di analoga rilevanza. Tale Stato membro sottolinea, in proposito, che, se è vero che il Land della Bassa Sassonia detiene attualmente una partecipazione pari al 20% circa del capitale della Volkswagen, tale partecipazione deriva da investimenti realizzati sul mercato in qualità di investitore privato. – Giudizio della Corte 38 Come osservato dalla Repubblica federale di Germania, il limite massimo ai diritti di voto è uno strumento noto nell’ambito del diritto societario. 39 È peraltro pacifico tra le parti che, se è vero che l’art. 134, n. 1, prima frase, della legge sulle società per azioni introduce il principio della proporzionalità del diritto di voto alla quota del capitale, la seconda frase del citato articolo autorizza, in taluni casi, una limitazione ai diritti di voto. 40 Tuttavia, come giustamente rilevato dalla Commissione, sussiste una differenza tra una facoltà concessa a taluni azionisti, i quali sono liberi di decidere se intendono o meno farne uso, e uno specifico obbligo imposto agli azionisti per via legislativa, senza fornire loro alcuna possibilità di deroga. 41 Oltretutto, le parti concordano nell’ammettere che, nella sua versione derivante dalla legge relativa al controllo e alla trasparenza nel settore delle imprese, l’art. 134, n. 1, prima frase, della legge sulle società per azioni ha abolito la possibilità di introdurre una limitazione dei diritti di voto nello statuto di società quotate in borsa. Come osservato dalla Commissione, senza essere contraddetta sul punto specifico dal governo tedesco, poiché la Volkswagen è una società quotata in borsa, il suo statuto non potrebbe di norma prevedere alcun limite massimo ai diritti di voto. 42 La Repubblica federale di Germania afferma che, poiché la limitazione prevista dall’art. 2, n. 1, della legge VW è indistintamente applicabile a tutti gli azionisti, essa può essere considerata, nel contempo, come uno svantaggio e come un vantaggio. Alla limitazione dei diritti di voto subita da un azionista che detiene più del 20% del capitale sociale corrisponderebbe una tutela rispetto all’influenza di altri eventuali azionisti che detengano rilevanti partecipazioni e, in tal modo, sussisterebbe la garanzia di poter partecipare effettivamente alla gestione della società. 43 Prima di formulare un giudizio su tale argomento, è necessario esaminare gli effetti del citato limite massimo ai diritti di voto con riferimento all’obbligo, previsto dall’art. 4, n. 3, della legge VW, di una maggioranza superiore all’80% del capitale sociale ai fini dell’adozione di talune decisioni dell’assemblea generale degli azionisti della Volkswagen. 44 Come rilevato dalla Commissione, senza essere contraddetta sul punto dalla Repubblica federale di Germania, si tratta di decisioni, quali ad esempio una modifica dello statuto, del capitale o delle strutture finanziarie della società, per le quali la legge sulle società per azioni richiede una maggioranza pari quantomeno al 75% del capitale sociale. 45 È vero – come osserva la Repubblica federale di Germania – che la percentuale del 75% del capitale sociale prevista dalla legge sulle società per azioni può essere aumentata e fissata ad una percentuale superiore dallo statuto societario. Tuttavia, come giustamente rilevato dalla Commissione, si tratta in tal caso di una facoltà che gli azionisti sono liberi di decidere se esercitare o meno. Per contro, la fissazione della soglia di maggioranza superiore all’80% del capitale in questione, prevista dall’art. 4, n. 3, della legge VW, risulta non dalla volontà degli azionisti bensì, come stabilito al punto 29 di questa sentenza, da una misura nazionale. 46 Tale requisito derogatorio rispetto al diritto comune, imposto mediante una specifica legislazione, conferisce in tal modo a qualsiasi azionista che detenga il 20% del capitale sociale la possibilità di disporre di una minoranza di blocco. 47 È vero che, come sottolineato dalla Repubblica federale di Germania, tale possibilità è indistintamente applicabile. Analogamente al limite massimo ai diritti di voto, essa può produrre effetti sia favorevoli che sfavorevoli nei confronti di qualsiasi azionista della società. 48 Dal fascicolo emerge tuttavia che, in sede di adozione della legge VW, nel 1960, lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia erano i due principali azionisti della Volkswagen, società recentemente privatizzata, della quale essi detenevano ciascuno il 20% del capitale. 49 Secondo le informazioni fornite alla Corte, se è vero che lo Stato federale ha scelto di rinunciare alla propria partecipazione al capitale della Volkswagen, il Land della Bassa Sassonia, da parte sua, mantiene ancora una partecipazione pari al 20%. 50 L’art. 4, n. 3, della legge VW introduce in tal modo uno strumento che consente agli operatori pubblici di garantirsi, mediante un investimento inferiore rispetto a quanto sarebbe richiesto dal diritto societario comune, una minoranza di blocco che consente loro di opporsi a rilevanti decisioni. 51 Nell’introdurre un limite massimo ai diritti di voto, anch’esso pari al 20%, l’art. 2, n. 1, della legge VW completa un contesto giuridico che fornisce ai citati operatori pubblici la possibilità di esercitare, con un tale investimento di più modesta portata, un’influenza sostanziale. 52 Detta situazione, limitando la possibilità degli altri azionisti di partecipare alla società con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con quest’ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo, è idonea a dissuadere taluni investitori diretti di altri Stati membri. 53 Tale rilievo non può essere messo in discussione dall’argomento formulato dalla Repubblica federale di Germania, secondo cui le azioni della Volkswagen sono tra le più richieste in Europa e un gran numero delle stesse si troverebbe nelle mani di investitori di altri Stati membri. 54 Infatti, come osserva la Commissione, le restrizioni alla libera circolazione dei capitali di cui trattasi nel ricorso hanno ad oggetto gli investimenti diretti nel capitale della Volkswagen, anziché gli investimenti di portafoglio, che sono effettuati soltanto per realizzare un investimento finanziario (v. sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19) e non sono considerati nel ricorso. Per quanto riguarda gli investitori diretti, si deve rilevare che gli artt. 2, n. 1, e 4, n. 3, della legge VW, poiché introducono uno strumento idoneo a limitare la loro possibilità di partecipare alla società con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con quest’ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo, riducono l’interesse all’acquisto di una partecipazione nel capitale della Volkswagen. 55 Tale rilievo non è confutato dalla presenza, nell’ambito dell’azionariato della Volkswagen, di un numero di investitori diretti che, secondo la Repubblica federale di Germania, sarebbe analogo a quello presente nell’azionariato di altre grandi imprese. Infatti, detta circostanza non è tale da contraddire il fatto che, in ragione delle disposizioni in esame della legge VW, taluni investitori diretti di altri Stati membri, attuali o potenziali, hanno potuto essere dissuasi dall’acquisire una partecipazione nel capitale di tale società al fine di parteciparvi con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con essa, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo, pur avendo il diritto di beneficiare del principio della libera circolazione dei capitali e della tutela derivante a loro favore dal principio citato. 56 Si deve dunque dichiarare che il combinato disposto degli artt. 2, n. 1, e 4, n. 3, della legge VW rappresenta una restrizione ai movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE. Sulla terza censura, basata sul diritto di designazione di due rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen – 57 Argomenti delle parti La Commissione osserva che l’art. 4, n. 1, della legge VW, che consente allo Stato federale e al Land della Bassa Sassonia di designare ciascuno due rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen, purché essi ne siano azionisti, deroga alla norma prevista dall’art. 101, n. 2, della legge sulle società per azioni, secondo cui un tale diritto può essere istituito solamente dallo statuto e può riguardare solamente un terzo dei membri del consiglio di sorveglianza nominati dagli azionisti, vale a dire, nel caso della Volkswagen, tre rappresentanti. Secondo la Commissione, il citato art. 4, n. 1, limitando la possibilità per gli altri azionisti di partecipare effettivamente alla gestione e al controllo di tale società, rappresenta una restrizione alla libera circolazione dei capitali. 58 La Repubblica federale di Germania rileva che il consiglio di sorveglianza è meramente un organo di controllo e non un organo decisionale. Essa aggiunge che il numero di rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen è proporzionale alla partecipazione al capitale di quest’ultima e che, a tal proposito, la rappresentanza del Land della Bassa Sassonia è inferiore alla quota da esso detenuta in detto capitale. Essa afferma che l’art. 4, n. 1, della legge VW non ha, del resto, alcun rilievo pratico per le decisioni in materia di investimenti. – Giudizio della Corte 59 Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della legge VW, lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia hanno la possibilità, a condizione che siano azionisti della Volkswagen, di designare ciascuno due rappresentanti in qualità di membri del consiglio di sorveglianza di quest’ultima, vale a dire un numero complessivo di quattro persone. 60 Una siffatta possibilità rappresenta una deroga al diritto societario comune. Quest’ultimo limita infatti i diritti di rappresentanza concessi a taluni azionisti a un terzo del numero di rappresentanti degli azionisti nel consiglio di sorveglianza. Nel caso della Volkswagen, in cui, come ha affermato la Commissione senza essere contraddetta sul punto, il consiglio di sorveglianza è composto di 20 membri, 10 dei quali sono designati dagli azionisti, il numero di rappresentanti designabili dallo Stato federale e dal Land della Bassa Sassonia potrebbe essere, secondo il diritto societario comune, pari al massimo a 3. 61 Si tratta quindi di un diritto specifico, derogatorio rispetto al diritto societario comune, previsto ad esclusivo beneficio degli operatori pubblici da una misura legislativa nazionale. 62 Il diritto di designazione attribuito allo Stato federale e al Land della Bassa Sassonia dà loro la possibilità di partecipare all’attività del consiglio di sorveglianza con maggiore rilievo rispetto a quanto sarebbe loro normalmente concesso dalla loro qualità di azionisti. 63 Anche se, come osservato dalla Repubblica federale di Germania, il diritto di rappresentanza del Land citato non è sproporzionato rispetto alla partecipazione che esso attualmente detiene nel capitale della Volkswagen, è altresì vero che sia tale Land, sia lo Stato federale dispongono del diritto di designare due rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen in quanto posseggono azioni di quest’ultima, a prescindere dall’ampiezza della loro partecipazione. 64 L’art. 4, n. 1, della legge VW introduce in tal modo uno strumento che fornisce agli operatori pubblici la possibilità di esercitare un’influenza che va al di là dei loro investimenti. Corrispettivamente, l’influenza degli altri azionisti può risultare ridotta rispetto ai loro investimenti. 65 Il fatto che il consiglio di sorveglianza sia, come sostenuto dalla Repubblica federale di Germania, non un organo decisionale, bensì un mero organo di controllo non è tale da mettere in discussione la posizione e l’influenza degli operatori pubblici di cui trattasi. Infatti, laddove il diritto societario tedesco attribuisce al consiglio di sorveglianza il compito di controllare la gestione della società nonché di riferire agli azionisti in ordine a tale gestione, esso concede a detto organo, ai fini dell’esercizio di tale compito, talune rilevanti competenze, quali la nomina e la revoca dei membri del comitato esecutivo. Oltretutto, come ricordato dalla Commissione, il consenso del consiglio di sorveglianza è necessario per un certo numero di operazioni tra cui, oltre alla realizzazione e al trasferimento di impianti produttivi, la creazione di succursali, l’acquisto e la vendita di beni immobili, gli investimenti e il riacquisto di altre imprese. 66 Limitando la possibilità degli altri azionisti di partecipare alla società con l’obiettivo di creare o mantenere legami economici durevoli e diretti con quest’ultima, che consentano una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo, l’art. 4, n. 1, della legge VW è idoneo a dissuadere gli investitori diretti di altri Stati membri dall’investire nel capitale della società. 67 Per le stesse ragioni esposte ai punti 53-55 della presente sentenza, tale rilievo non può essere confutato dall’argomento della Repubblica federale di Germania secondo cui sui mercati finanziari internazionali sussisterebbe un vivace interesse degli investitori per le azioni della Volkswagen. 68 Alla luce di quanto precede, occorre rilevare che l’art. 4, n. 1, della legge VW rappresenta una restrizione ai movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE. 69 La questione se lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia facciano o meno uso del diritto loro attribuito dal citato art. 4, n. 1, è priva di qualsivoglia rilevanza. A tal proposito è sufficiente rilevare, infatti, che il diritto specifico e derogatorio rispetto al diritto comune attribuito a tali operatori pubblici di nominare rappresentanti nel consiglio di sorveglianza della Volkswagen sussiste nell’ordinamento giuridico tedesco. Su un’eventuale giustificazione delle restrizioni Argomenti delle parti 70 La Repubblica federale di Germania afferma, in subordine, che le disposizioni della legge VW contestate dalla Commissione sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale. Tale legge, che si iscrive in un peculiare contesto storico, avrebbe infatti istituito un «giusto equilibrio dei poteri» per tener conto degli interessi dei lavoratori della Volkswagen e per tutelare gli azionisti di minoranza della stessa. Detta legge perseguirebbe in tal modo un obiettivo di politica sociale e regionale nonché un obiettivo economico, in combinazione con obiettivi di politica industriale. 71 Secondo la Commissione, che contesta la rilevanza di tali considerazioni storiche, la legge VW non risponde all’interesse generale, poiché le ragioni invocate dalla Repubblica federale di Germania non valgono per tutte le imprese che esercitano un’attività sul territorio di tale Stato membro, ma persegue obiettivi di politica economica che non possono giustificare restrizioni alla libera circolazione dei capitali (sentenza Commissione/Portogallo, cit., punti 49 e 52). Giudizio della Corte 72 La libera circolazione dei capitali può essere limitata da provvedimenti nazionali che si giustifichino per le ragioni di cui all’art. 58 CE o per motivi imperativi di interesse generale, purché non esistano misure comunitarie di armonizzazione che indichino i provvedimenti necessari a garantire la tutela di tali interessi (v. citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 49; Commissione/Francia, punto 45; Commissione/Belgio, punto 45; Commissione/Spagna, punto 68; Commissione/Italia, punto 35, nonché Commissione/Paesi Bassi, punto 32). 73 In mancanza di tale armonizzazione comunitaria, spetta in linea di principio agli Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela di tali legittimi interessi, nonché il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Essi non possono tuttavia farlo se non nei limiti indicati dal Trattato e, in particolare, nel rispetto del principio di proporzionalità, che richiede che le misure adottate siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (v. citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 49; Commissione/Francia, punto 45; Commissione/Belgio, punto 45; Commissione/Spagna, punto 68; Commissione/Italia, punto 35, nonché Commissione/Paesi Bassi, punto 33). 74 Per quanto riguarda la tutela degli interessi dei lavoratori, invocata dalla Repubblica federale di Germania per giustificare le disposizioni controverse della legge VW, si deve rilevare che tale Stato membro non è stato in grado di spiegare, al di là di generali considerazioni sulla necessità di una tutela nei confronti di un grande azionista che domini da solo sulla società, la ragione per cui il mantenimento, nel capitale della Volkswagen, di una posizione rafforzata e inamovibile a vantaggio di operatori pubblici sarebbe idoneo e necessario a raggiungere l’obiettivo di tutela dei lavoratori di tale società. 75 Inoltre, quanto al diritto di designare taluni rappresentanti nel consiglio di sorveglianza, si deve constatare che, ai sensi della legislazione tedesca, i lavoratori dispongono direttamente di una rappresentanza nell’ambito dell’organo in questione. 76 Di conseguenza, la giustificazione addotta dal citato Stato membro in merito alla tutela dei lavoratori non può essere accolta. 77 Lo stesso vale per la giustificazione che la Repubblica federale di Germania vorrebbe trarre dalla tutela degli azionisti di minoranza. Se la volontà di tutelare questi ultimi può rappresentare del pari un interesse legittimo e giustificare, nel rispetto dei principi richiamati ai punti 72 e 73 di questa sentenza, un intervento legislativo, anche qualora quest’ultimo sia tale da rappresentare, sotto altro profilo, una restrizione alla libera circolazione dei capitali, si deve rilevare che, nella fattispecie, una tale volontà non può giustificare le disposizioni controverse della legge VW. 78 Occorre ricordare in proposito che le disposizioni in oggetto creano un contesto giuridico che attribuisce allo Stato federale e al Land della Bassa Sassonia la possibilità di esercitare un’influenza maggiore rispetto a quella che sarebbe di regola correlata ai loro investimenti. Orbene, la Repubblica federale di Germania non ha dimostrato per quali ragioni il mantenimento di una tale posizione a beneficio degli operatori pubblici in parola sarebbe necessario o idoneo a tutelare gli interessi generali degli azionisti di minoranza. 79 Non può infatti escludersi che, in talune specifiche circostanze, gli operatori pubblici in questione utilizzino la loro posizione allo scopo di difendere interessi generali eventualmente contrari agli interessi economici della società interessata e, di conseguenza, contrari agli interessi degli altri azionisti di quest’ultima. 80 Infine, poiché la Repubblica federale di Germania afferma che l’attività di un’impresa importante come la Volkswagen può avere sull’interesse generale un’incidenza tale da giustificare l’esistenza di garanzie legali superiori ai controlli previsti dal diritto societario comune, si deve rilevare che, anche a voler considerare fondata detta tesi, tale Stato membro non ha spiegato, a parte considerazioni generali in merito al rischio che taluni azionisti facciano prevalere i loro interessi personali su quelli dei lavoratori, le ragioni per le quali le disposizioni della legge VW contestate dalla Commissione sono idonee e necessarie allo scopo di salvaguardare gli impieghi generati dall’attività della Volkswagen. 81 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, le censure sollevate dalla Commissione e basate su una violazione dell’art. 56, n. 1, CE devono essere accolte. 82 Occorre di conseguenza dichiarare che, mantenendo in vigore l’art. 4, n. 1, nonché l’art. 2, n. 1, in combinato disposto con l’art. 4, n. 3, della legge VW, la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 56, n. 1, CE. Sulle spese 83 Ai sensi dell’ art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha chiesto la condanna alle spese, la Repubblica federale di Germania, rimasta soccombente nella parte sostanziale dei suoi motivi, dev’essere condannata alle spese. (omissis) La sentenza “Volkswagen” e il pericolo di una “convergenza” forzata tra gli ordinamenti societari (1) SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Storia della Legge Volkswagen e sua natura di “misura nazionale”. – 3. Massimale al voto e minoranza di blocco. – 4. Diritto di nomina di esponenti del consiglio di sorveglianza. – 5. Possibile giustificazione in nome di interessi generali. – 6. Il regime della proprietà privata. – 7. Due sentenze contigue: Volkswagen e Federconsumatori. – 7. Sentenza Volkswagen e sentenze golden shares: quale spazio per il diritto societario nazionale? – 8. I diritti societari nazionali e i limiti alle competenze della Corte. – 9. Uno sguardo al futuro di Volkswagen. 1. La sentenza “Volkswagen” della Corte di Giustizia è molto di più di una delle molte decisioni su una delle libertà comunitarie. La Corte, infatti, affronta la legge che nel 1960 disciplinò la società per azioni Volkswagen1, risorta come l’Araba Fenice dalla distruzione della seconda guerra mondiale sotto forma di società a responsabilità limitata di diritto singolare e senza un vero proprietario e successivamente trasformata in s.p.a. con una legge ad hoc La sentenza qui commentata, inoltre, potrebbe avere ripercussioni sistemiche di grande portata e ridefinire interamente il rapporto tra il diritto comunitario e i diritti societari nazionali. Ma conviene procedere con ordine, illustrando prima di tutto il procedimento che ha condotto alla sentenza e le questioni sottoposte alla Corte. La Commissione nel marzo 2003 iniziò una procedura contro la Repubblica Federale di Germania per violazione del Trattato; in seguito alla replica del Governo tedesco e alla mancata ottemperanza, da parte di questo, al “parere motivato” emesso dalla Commissione ai sensi dell’art. 226(1) del Trattato, la Commissione presentò ricorso alla Corte di Giustizia. Precisamente, alla Corte venne chiesto se alcune specifiche norme della Legge Volkswagen, che derogavano alla disciplina generale delle società per azioni, fossero compatibili con la libera circolazione dei capitali. Queste norme erano: (i) la previsione di un tetto ai diritti di voto nell’assemblea di Volkswagen AG, pari al 20% dei diritti di voto complessivi2; (ii) la necessità di approvare ogni modifica Ringrazio Marco Corradi, Stefano Lombardo e Pietro Manzini per gli utilissimi suggerimenti e le occasioni di confronto. Resto ovviamente responsabile di ogni errore od omissione e delle opinioni espresse. 1 Gesetz über die Überführung der Anteilsrechte an der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter Haftung in private Hand, del 21 luglio 1960 (nel prosieguo: “VWGmbHÜG” oppure la “Legge Volkswagen”). 2 § 2(1) VWGmbHÜG. Il diritto societario comune, invece, consente di introdurre massimali al diritto di voto, ma solo nelle società non quotate (§134(1) AktG) statutaria con una maggioranza pari all’80% del capitale rappresentato in assemblea3, invece del 75% previsto dal AktG4; (iii) il diritto attribuito al Governo federale e al Land della Bassa Sassonia di nominare due membri ciascuno nel consiglio di sorveglianza, sin tanto che detengono azioni nella società5. Le questioni sottoposte alla Corte, quindi, rientrano nell’alveo delle cause sulla compatibilità con la libera circolazione dei capitali di poteri speciali attribuiti allo Stato, anche se come vedremo, il “caso Volkswagen” presenta alcune peculiarità che non consentono di assimilarlo alle decisioni della Corte di Giustizia sulle norme statali comunemente chiamate golden shares6. La Corte, respinto il ricorso per la violazione della libertà di stabilimento delle società7, si concentra sulla questione della compatibilità con la libera circolazione dei capitali e, dopo un’articolata motivazione, conclude che le suddette norme contrastano con il Trattato e non sono supportate da alcuna possibile giustificazione. L’art. 56 del Trattato vieta le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati Membri, ma non definisce cosa si debba intendere per “capitali”. A tal fine la Corte, per giurisprudenza costante8, impiega la definizione fornita dalla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, che attuava l’abrogato articolo 67 del Trattato, poi sostituito dall’attuale articolo 569. Pertanto, sono da considerare come movimenti di capitale gli “investimenti diretti”, ossia “gli investimenti di 3 § 4(3) VWGmbHÜG. 4 § 179(2) AktG. 5 § 4(1) VWGmbHÜG. 6 CORTE DI GIUSTIZIA, 23 maggio 2000, causa C-58/99, Comissione v. Italia, Racc. pag. I-3811; CORTE DI GIUSTIZIA, 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione v. Portogallo, Racc. pag. I4731; causa C-483/99, Commissione v. Francia, Racc. pag. I-4781; causa C-503/99, Commissione v. Belgio, Racc. pag. I-4809; CORTE DI GIUSTIZIA, 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione v. Spagna, Racc. pag. I-4581; C-98/01, Commissione v. Regno Unito, Racc. pag. I-4641; CORTE DI GIUSTIZIA, 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione v. Italia, Racc. pag. I-4933; CORTE DI GIUSTIZIA, 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione v. Paesi Bassi, Racc. pag. I-9141. Cfr. BALLARINO – BELLODI, La golden share nel diritto comunitario. A proposito delle recenti sentenze della Corte comunitaria, in Riv. Soc. 2003, 2 ss.; SANTONASTASIO, La saga della “golden share" tra libertà di movimento di capitali e libertà di stabilimento, in Giur. comm. 2007, 302 ss. 7 P.to 16 Sentenza Volkswagen. Sul possibile concorso tra libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali cfr. BALLARINO – BELLODI (nt. 6). 8 CORTE DI GIUSTIZIA, sentenze 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, p.to 179-181, e 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck, p.ti 33 e 34). Cfr. anche FLYNN, Coming the age: the free movement of capital case law 1993 – 2002, in 39 CMLR, 2002, 773 ss. Articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, e che recitava: “Gli Stati membri sopprimono gradatamente fra loro, durante il periodo transitorio e nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune, le restrizioni ai movimenti dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri, e parimenti le discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o la residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali”. 9 qualsiasi tipo effettuati dalle persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica”10. Riguardo alle società, lo scopo di mantenere “legami durevoli” “presuppone che le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo, a norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni o altrimenti, la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo”11. Sulla base di questa definizione di “movimento di capitali”, che fa quindi riferimento alla concreta possibilità di acquistare partecipazioni in società di altri Stati Membri e di esercitare i relativi diritti azionari, la Corte considera come “restrizione” ogni misura nazionale idonea “a impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori”degli altri Stati Membri dall’investire nel capitale di queste ultime”12. 2. Il Governo tedesco, in primo luogo, contestò che la “legge Volkswagen” rappresentasse una “misura nazionale” ai sensi dell’art. 56 del Trattato13. Per capire l’argomentazione del Governo tedesco e le ragioni della legge ora contestata occorre ricostruire la storia della società Volkswagen14. La nuova fabbrica, che doveva produrre auto a basso prezzo, venne finanziato in parte dallo Stato, attraverso una fondazione, in parte dai risparmiatori e futuri acquirenti delle vetture, che dal 1938 poterono versare una cifra periodica minima e vedersi poi attribuito il diritto ad acquistare le automobili di nuova produzione ad un prezzo accessibile. Da questo punto di vista, quindi, la società Volkswagenwerk, pur avendo la singolare forma di società a responsabilità limitata, era retta da una logica mutualistica e non capitalistica. I vari stabilimenti Volkswagen, inoltre, vennero finanziati anche attraverso le somme requisite ai sindacati della Repubblica di Weimar, soppressi nel 1933 poco dopo la presa del potere del partito nazionalsocialista. La guerra interruppe bruscamente l’attività della fabbrica, iniziata da pochissimo, e dopo l’occupazione del territorio tedesco da parte degli Stati Alleati, la fabbrica di Wolfsburg si ritrovò nel cuore del settore britannico. Sebbene il Governatore inglese non fosse riuscito a trovare un compratore per le quote della società, dopo la guerra i manager e le maestranze ne ripresero comunque l’attività e ne fecero un’impresa di successo, nonostante la forma giuridica fosse assolutamente ambigua (una s.r.l. di diritto speciale) e, soprattutto, non fosse chiaro chi fossero i 10 P.to 18 Sentenza Volkswagen. 11 P.to 18 Sentenza Volkswagen. 12 P.to 19 Sentenza Volkswagen. 13 Cfr. p.to 22 ss. Sentenza Volkswagen. Traggo la ricostruzione dalle conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer del 13 febbraio 2007, p.to 17 ss. 14 proprietari delle relative quote. Pretendenti erano i “soggetti” che a vario titolo avevano contribuito a finanziare e poi a far prosperare l’azienda: i sindacati e i lavoratori, il Land della Bassa Sassonia, il Governo federale, i risparmiatori/acquirenti. Il conflitto assumeva contorni squisitamente politici e non giuridici e, pertanto, venne risolto con un accordo tra lo Stato e gli altri pretendenti, suggellato da un contratto di diritto pubblico, trasfuso nello statuto della Volkswagen e poi ancora nella “Legge Volkswagen” del 1960, che trasformò la originaria società a responsabilità limitata in una società per azioni. Nell’accordo, i risparmiatori e i lavoratori rinunciavano alle loro pretese e, in cambio, lo Stato Federale e il Land della Bassa Sassonia si impegnavano a far sì che la società non potesse essere scalata da privati e a mantenere una partecipazione rilevante nel capitale, per proteggere gli interessi della collettività. È evidente che la società Volkswagen, nonostante la forma giuridica di società per azioni, non è una “normale” società nata da un contratto e da conferimenti di soggetti privati. Poiché la Legge Volkswagen codificava un accordo politico, il Governo tedesco sostenne di fronte alla Corte che tale legge fosse solo la forma esteriore di un accordo tra privati e non “misura nazionale” ai sensi dell’art. 56 del Trattato. La Corte, però, rigettò questa impostazione, sulla base del dato formale che i provvedimenti contestati avevano a tutti gli effetti forza di legge o comunque atti di diritto pubblico, ritenendo perciò irrilevante il percorso storico che ha condotto alla loro emanazione o approvazione15. 3. Veniamo ora alle questioni di merito. La Corte affronta congiuntamente il massimale al diritto di voto e la minoranza di blocco. Poiché il Land della Bassa Sassonia detiene il 20% del capitale, l’effetto congiunto del massimale al diritto di voto e della minoranza di blocco gli danno la certezza di non essere soppiantato da investitori privati, indipendentemente dal capitale investito nella società. In sostanza: nessuno può “scalare” Volkswagen e la Bassa Sassonia potrà al massimo essere affiancata da soci con un eguale numero di voti. Ebbene, il punto cruciale della difesa del Governo tedesco è che il tetto al diritto di voto e la minoranza di blocco si applicano a qualsiasi azionista, non solo all’azionista pubblico16. Di conseguenza, continua il Governo tedesco, queste disposizioni non creerebbero alcuna disparità di trattamento, mentre l’unica differenza rispetto ad altre società è che nella società Volkswagen queste clausole sono previste per legge e, quindi, sono immodificabili, mentre per il diritto societario generale sono rimesse all’autonomia statutaria (ma, in base all’Aktiengesetz, le società quotate, come Volkswagen, non potrebbero introdurre massimali al voto). 15 P.to 26 ss. Sentenza Volkswagen. 16 P.to 31 ss. Sentenza Volkswagen. La Corte e l’avvocato generale rigettano le argomentazioni del Governo tedesco sulla base di un ragionamento sostanzialista17. Proprio dalla storia della società Volkswagen, rileva la Corte, emerge che al momento dell’approvazione della legge, nel 1960, lo Stato e il Land erano i due principali azionisti, cosicché la Legge Volkswagen, fissando al 20% del capitale sia il tetto al voto, sia la minoranza di blocco, non faceva altro che codificare una situazione di fatto e consentiva agli operatori pubblici di mantenere un’influenza sostanziale sulla società con investimenti di più modesta portata18. Ne consegue, prosegue la Corte, che la situazione complessiva creata dalle norme contestate scoraggia terzi investitori dal creare legami durevoli con la Volkswagen attraverso l’investimento nel relativo capitale e, quindi, rappresenta una tipica restrizione della libera circolazione dei capitali19. 4. L’altra questione di merito riguardava la eventuale incompatibilità con la libera circolazione dei capitali del diritto a nominare due rappresentanti nel consiglio di sorveglianza, sui dieci attribuiti agli azionisti. Si tratta di un diritto specifico attribuito al Land sin tanto che mantiene partecipazioni nella società, in un organo che non ha solo poteri di controllo, ma nomina gli amministratori, approva il bilancio e alcune operazioni gestionali e che, quindi, può essere qualificato come organo di “alta amministrazione”. Si tratta, quindi, di una disposizione che introduce “uno strumento che fornisce agli operatori pubblici la possibilità di esercitare un’influenza che va al di là dei loro investimenti”, cosicché “l’influenza degli altri azionisti può risultare ridotta rispetto ai loro investimenti.”20 Sul punto, peraltro, la Corte riconosce che il diritto di nominare due componenti del consiglio è perfettamente in linea con la quota di capitale sottoscritta dal Land (il 20%), ma la disposizione ha anche effetti potenziali e indipendenti dalla quota di capitale concretamente sottoscritta dall’ente pubblico. 5. Il Governo tedesco, in subordine, adduce che, se anche la Corte ritenesse che la Legge Volkswagen rappresenti una restrizione alla libera circolazione dei capitali, tale restrizione sarebbe giustificata da motivi imperativi d’interesse generale, quali la tutela dei lavoratori e delle minoranze, in base all’accordo stipulato con tali soggetti alla fine degli anni ’50 e che ha dato origine alla Legge Volkswagen. Cfr. ZUMBANSEN – SAAM, The ECJ, Volkswagen and European Corporate Law: Reshaping the European Varieties of Capitalism, in German law journal, 2007, 1028 ss. e SPATTINI, "Vere" e "false". "golden shares" nella giurisprudenza comunitaria. la "deriva sostanzialista" della Corte di giustizia, ovvero il "formalismo" del principio della "natura della cosa": il caso Volkswagen, e altro ..., in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, 303 ss. 17 18 P.to 51 Sentenza Volkswagen. 19 P.to 52 Sentenza Volkswagen. 20 P.to 64 Sentenza Volkswagen. Come si ricorderà, la giurisprudenza della Corte considera legittime le restrizioni alla circolazione dei capitali solo se giustificate da ragioni imperative d’interesse pubblico, purché le misure restrittive non siano discriminatorie e siano proporzionate, ossia idonee “a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest'ultimo”21. La Corte nega che questi requisiti sussistano: l’interesse dei lavoratori viene comunque tutelato dalla disciplina sulla cogestione e quindi non necessita di una “eterotutela” ulteriore da parte dello Stato22, mentre non è dimostrabile che gli azionisti di minoranza siano effettivamente protetti dall’azione dell’ente pubblico23, né si capisce perché la società Volkswagen e i suoi azionisti debbano essere trattati in maniera diversa dalle altre società24. 6. La Corte tralascia di considerare l’art. 295 del Trattato, in base al quale il Trattato stesso lascia impregiudicata la disciplina della proprietà privata dei singoli Paesi Membri. L’Avvocato Generale Colomer, al contrario, si sofferma sul punto affermando che “il rispetto del Trattato per il regime della proprietà negli ordinamenti giuridici nazionali, sancito nell’art. 295 CE, deve estendersi a ogni misura che, mediante l’intervento nel settore pubblico, inteso in senso economico, consente allo Stato di contribuire alla configurazione dell’attività produttiva del paese”25. Nonostante questa premessa, l’Avvocato Generale nega che la legge Volkswagen sia coperta dall’art. 295 del Trattato, affermando che non si tratterebbe di una società privatizzata in “settori chiave dell’economia nazionale”26 e soprattutto che “ non riguardano l’assetto della proprietà, né in generale, né con riferimento alla società Volkswagen isolatamente.”27 Per comprendere le affermazioni dell’Avvocato Generale, occorre ricordare che lo stesso Colomer, nelle conclusioni riguardanti tre delle sentenze sulle c.d. “golden shares”, aveva chiesto alla Corte di considerare compatibili con la libera circolazione dei capitali i poteri speciali previsti dal diritto portoghese, francese e belga, che si applicavano indistintamente a qualsiasi soggetto28, proprio sulla base del fatto che il Trattato rispetta pienamente il regime di proprietà delle imprese, 21 CORTE DI GIUSTIZIA, Commissione v. Francia (nt. 6) p.to 45. 22 P.to 74 Sentenza Volkswagen. 23 P.to 78 – 79 Sentenza Volkswagen. 24 P.to 81 Sentenza Volkswagen. 25 Conclusioni dell’Avvocato Generale, p.to 49 26 Conclusioni dell’Avvocato Generale, p.to 53. 27 Conclusioni dell’Avvocato Generale, p.to 54. 28 Conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer (Raccolta, 2002, p. I-4733 ss.) C- C-367/98, C483/99 e C-503/99, p.to 39 ss.. Cfr. BALLARINO – BELLODI (nt. 2). sia esso pubblico o privato. Secondo Colomer, “difficilmente si potrebbe pensare che il Trattato abbia voluto permettere agli Stati di mantenere interamente le loro partecipazioni in una qualsiasi impresa, con la massima restrizione al diritto di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali che ciò implica, e contemporaneamente, si opponga ad un regime liberalizzato, soggetto a condizioni di natura amministrativa tassative e non discriminatorie e, pertanto, più affine ad una logica integrativa.”29 7. La sentenza Volkswagen deve essere confrontata con le precedenti sentenze sulle golden shares e con la sentenza Federconsumatori, emessa quasi contemporaneamente30. Cominciamo da quest’ultima. Al momento di vendere al mercato una quota significativa della società AEM e di scendere al di sotto del 50% del capitale, il comune di Milano fa approvare alla società stessa una modifica statutaria, sulla base dell’art. 2449 c.c.31, che gli attribuisce il diritto di nominare un numero di amministratori proporzionato alla sua partecipazione residua nella società (il 33,4% del capitale). Questa previsione si assommava al voto di lista per l’elezione degli amministratori, previsto statutariamente ai sensi dell’art. 4 della l. 474/1994, cosicché il comune di Milano, oltre agli amministratori nominati separatamente in forza del potere speciale, riusciva a fare eleggere la lista principale. L’effetto combinato del potere speciale di nomina e del voto di lista attribuiva al comune di Milano il controllo della società, in maniera sproporzionata alla partecipazione effettivamente detenuta nel capitale. La Corte, sia pure con alcune ambiguità, dichiara questa situazione come una restrizione ingiustificata della libera circolazione dei capitali; in particolare, la Corte ritiene che l’art. 2449 c.c. (nella versione originaria) fosse incompatibile con il Trattato in quanto “di per sé, oppure, come nelle cause principali, in combinato con una disposizione quale l’art. 4 della legge 474/1994, che conferisce allo Stato o all’ente pubblico in parola il diritto di partecipare all’elezione, mediante voto di lista degli amministratori non direttamente nominati da esso stesso, è tale da consentire a detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società.” 29 Conclusioni Avvocato Generale, cause golden shares, p.to 66. 30 CORTE DI GIUSTIZIA, sentenza 6 dicembre 2007, causa C-464/04, Federconsumatori et al. V. Comune di Milano, in questa Rivista, 2008 II (la “Sentenza Federconsumatori”). La versione originaria dell’art. 2449(1) c.c., oggetto della valutazione della Corte, recitava “Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza.” In seguito alla l. 25 febbraio 2008, n. 34, l’art. 2449 c.c. recita, al comma 1: “Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale.” 31 Non è chiaro se l’art. 2449 c.c. sia incompatibile di per sé con la libera circolazione dei capitali oppure se lo sia solamente assieme a una disposizione ulteriore, quale il voto di lista, che consente al socio pubblico di sommare agli amministratori nominati separatamente quelli eletti dall’assemblea32. Il punto è molto rilevante, perché il comune di Milano sulla base dell’art. 2449 c.c. aveva il diritto a nominare un certo numero predefinito di amministratori, che però proporzionale alla propria quota di capitale, e non superiore. Anche se riteniamo che l’art. 2449 c.c. sia incompatibile col Trattato solo quando opera congiuntamente ad altre disposizioni, come il voto di lista, resta inevasa la domanda: come si sarebbe comportata la Corte se l’ente pubblico avesse avuto a disposizione il potere di nominare amministratori in numero sproporzionato alla propria quota di capitale, ma non tanti da attribuirgli il controllo della società? La sentenza Federconsumatori non è chiara sul punto: forse la soluzione più coerente con la sua ratio decidendi è di ritenere che quel che viene vietato sia il “controllo” sproporzionato alla partecipazione, non una semplice partecipazione sproporzionata33. La sentenza Volkswagen, però, potrebbe indurre ad una lettura differente anche della sentenza Federconsumatori. Infatti, il Land della Bassa Sassonia, a differenza del Comune di Milano, aveva solo il diritto di nominare due consiglieri su dieci, quindi in misura proporzionata al capitale sottoscritto, cosa che non gli attribuiva il controllo della società, in misura sproporzionata alla quota di capitale effettivamente detenuta, bensì solamente un potere potenzialmente sproporzionato alla partecipazione. Nonostante ciò, la Corte ha ritenuto che il diritto di nomina rappresentasse di per sé, ossia indipendentemente dal tetto al diritto di voto e dalla minoranza di blocco, fosse una restrizione alla libera circolazione dei capitali34. Il principio di diritto sotteso, quindi, pare essere molto ampio, ma per chiarirne la portata è opportuno confrontare la sentenza Volkswagen con le precedenti sentenze sulle c.d. golden shares. 8. Nelle cause sulle c.d. golden shares, i governi nazionali si difesero sostenendo che i poteri speciali loro attribuiti potevano essere rivolti “senza distinzioni, agli GHEZZI – VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici nel capitale delle società per azioni: fine di un privilegio?, in Riv. Soc., 2008, 692. 32 DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario della nomina diretta ex art. 2449 c.c., in Giur. comm., II, 2007, . Cfr. anche CORRADI, Libera circolazione dei capitali ed art. 2449 cc.: il principio di proporzionalità tra partecipazione e “potere di controllo”, in Giur. comm. II, 2008, 941, il quale sottolinea che la valutazione della Corte non può fondarsi sulla natura “pubblica” del soggetto titolare dei poteri speciali, perché sarebbe un argomento contrario all’art. 295 del Trattato, e allora la vera ratio risiederebbe nella “sproporzione tra proprietà e controllo”. 33 34 GHEZZI – VENTORUZZO, op. loc. cit. azionisti nazionali e agli azionisti cittadini di altri Stati membri”35 e, quindi, non creavano alcuna discriminazione. La Corte rigettò quest’argomentazione e ritenne che una restrizione alla libera circolazione dei capitali potesse verificarsi anche ove il potere attribuito all’ente pubblico non fosse formalmente discriminatorio, poiché tali norme potevano “impedire l'acquisizione di azioni nelle società interessate e dissuadere gli investitori di altri Stati membri dall'investire nel capitale di tali società.”36 Inoltre, nonostante il potere di veto potesse rivolgersi nei confronti di soggetti tanto nazionali quanto esteri e, quindi, non rappresentava una violazione formale della parità di trattamento, esso configurava una violazione del principio di eguaglianza tra soci, inteso come modalità di attribuzione dei diritti e poteri (Gleichberechtigung)37. Questa ratio decidendi delle sentenze sulle c.d. golden shares si attaglia perfettamente al diritto di nominare due membri del consiglio di sorveglianza della società Volkswagen, attribuito per legge al Land della Bassa Sassonia, ma non può essere estesa alle altre due norme contestate, ossia il massimale al voto e la minoranza di blocco, poiché queste si applicano a tutti i soci indistintamente e, quindi, a differenza del diritto di nomina, non rappresentano alcuna deroga al principio di eguaglianza tra soci. Pertanto, se il Land della Bassa Sassonia incrementasse la propria partecipazione oltre il 20% del capitale, il massimale al voto ridimensionerebbe il suo potere assembleare rispetto alla partecipazione azionaria, così come avviene per tutti gli altri soci privati38; viceversa, se la Bassa Sassonia decidesse di vendere la propria partecipazione, il massimale al diritto di voto e la minoranza di blocco resterebbero in vita e riguarderebbero solo i soci privati rimasti in società. La condanna della Corte, quindi, riguarda norme squisitamente di diritto societario39, che si applicano a qualsiasi socio di Volkswagen nel pieno rispetto della parità di trattamento. Rispetto alle norme di diritto societario “comune”, ossia quelle che si applicano a tutte le società indistintamente in forza del Aktuiengesetz, le norme ora affrontate dalla Corte presentano però una differenza significativa: esse non possono essere modificate o eliminate con una semplice modifica statutaria, bensì solo con una nuova legge. Questa differenza pare essere molto importante nell’argomentazione della Corte, la quale insiste sul fatto che i soci non possano né eliminare il tetto al 35 Cfr. CORTE DI GIUSTIZIA, Commissione v. Portogallo (nt. 6) p.to 43; Commissione v. Francia (nt. 6) p.to 39. 36 CORTE DI GIUSTIZIA, Commissione v. Portogallo (nt. 6) p.to 44 -45; Commissione v. Francia, (nt. 6) p.to 41. 37 D’ATTORRE, Il principio d’uguaglianza tra soci nelle società per azioni, Milano, 2007, 128 ss. Ossia in concreto rispetto alla Porsche, l’unico azionista che al momento ha una partecipazione superiore e, anzi, sta tentando un aperto takeover della società Volkswagen 38 39 RINGE, commento alla sentenza Volkswagen, in Common Market Law Review, 2008, 542. diritto di voto né la maggioranza rafforzata. Se ne potrebbe dedurre che la Corte avrebbe valutato queste regole in maniera differente, se esse fossero state semplicemente introdotte nello statuto, entro gli spazi concessi dalla legge all’autonomia statutaria. Per comprendere come la Corte reagirà in futuro di fronte a norme nazionali che, astrattamente, potrebbero essere tacciate di ostacolare la libera circolazione dei capitali, possiamo notare che la Corte considera come “restrizioni” alla libertà di stabilimento tutte quelle ipotesi in cui un soggetto viene dissuaso dall’investire in una società comunitaria e dallo stabilirvi “legami durevoli”; questa “dissuasione”, per la Corte, può avvenire tanto attraverso norme che attribuiscono al socio pubblico un potere speciale di nomina, derogando così al principio di eguaglianza tra soci, quanto attraverso norme di diritto societario che, pur rispettose del principio di eguaglianza, di fatto cristallizzano e rendono non modificabile una posizione di potere dell’ente pubblico. Si potrebbe, forse, trarre un principio di diritto estremamente ampio, per il quale sarebbero incompatibili con la libera circolazione dei capitali tutte le disposizioni nazionali che consentono, anche solo potenzialmente, ad un ente pubblico di ottenere o mantenere un’influenza sproporzionata alla quota di capitale sottoscritta. Inoltre, ragionando in astratto, non vi sono ragioni per distinguere tra soci pubblici e privati dal punto di vista del diritto comunitario. Di conseguenza, anche una legge che preveda un tetto al voto o una minoranza di blocco e che cristallizza il potere detenuto da un socio privato, rendendo una società non scalabile alla stessa maniera di Volkswagen, potrebbe essere considerata incompatibile con la libera circolazione dei capitali in quanto dissuade potenziali investitori dallo stabilire “legami durevoli” con la società40. Questo modo di ragionare e le conclusioni che se ne potrebbero trarre, però, nascondono una contraddizione e rappresentano potenzialmente un pericolo. La contraddizione è dovuta al fatto che la Corte non indaga il rapporto tra legge e autonomia privata. Il diritto societario, infatti, può essere considerato come una sorta di “contratto standard”, contenente regole dispositive o imperative secondo il bilanciamento di interessi prescelto caso per caso dai singoli ordinamenti41. Questa riflessione vale per tutte le regole societarie, tanto “comuni”, ossia applicabili in generale a tutte le società, quanto “speciali” ossia applicabili ad una 40 Cfr. RINGE, Company law and free movement of capital: nothing escapes the ECJ?, University of Oxford legal research paper series, 11, November 2008, www.ssrn.com/abstract=1295905 (che però nel seguito dell’articolo differenzia tra il caso in cui la società è partecipata da enti pubblici da quello in cui la società è partecipata da private: il primo caso sarebbe facilmente una limitazione della libera circolazione dei capitali perché gli enti pubblici di solito perseguono finalità non lucrative, e per questo dissuadono maggiormente l’investimento, al contrario di soggetti privati che, ancorché tutelati in concreto da norme di legge che attribuiscono loro più potere di quello derivante dal loro investimento, proprio perché perseguono interessi lucrativi finirebbero per non ostacolare gli investimenti, almeno nella maggior parte dei casi) 41 Cfr. EASTERBROOK – FISCHEL, L’economia delle società per azioni, Milano, 1996, 44 ss. sola società o a una classe di società, come ad esempio la Legge Volkswagen. Nulla vieterebbe ai legislatori nazionali di prevedere una legge ad hoc, con regole diverse tra loro, per ogni singola società, facendo coincidere così la regola legale e quella statutaria, così come avveniva in passato nel vigore del sistema “concessorio” della personalità giuridica42. D’altro canto, la restrizione della libera circolazione dei capitali da parte della Legge Volkswagen non può risiedere nel fatto che essa contiene regole inderogabili, perché in realtà tutto il diritto tedesco sulle società per azioni è retto dal principio generale di inderogabilità, per cui tutto quel che non è espressamente consentito dalla legge è vietato all’autonomia statutaria43: cosa deciderebbe allora la Corte se l’Aktiengesetz estendesse a tutte le società tedesche il tetto al diritto voto o la minoranza di blocco? Pare ben difficile sostenere che gli stati membri non siano liberi di disegnare come meglio credano il proprio diritto societario; di conseguenza, il problema della Legge Volkswagen non può risiedere nella inderogabilità del tetto al voto o della minoranza di blocco, bensì proprio nel contenuto di tali regole, che allora potrebbero essere considerate come restrizioni della libera circolazione dei capitali di per sé, ossia anche se introdotte nello statuto sulla base di una delibera dell’assemblea e pur essendo assolutamente non discriminatorie. Il pericolo insito nella Sentenza Volkswagen emerge da questa mancata analisi. Il principio per cui tutte le norme nazionali che dissuadono dallo stabilire “legami durevoli” rappresentino restrizioni alla libera circolazione dei capitali, infatti, potrebbe avere effetti eccessivamente estesi, se non ne individuiamo il perimetro di applicazione. Se applicassimo il principio in questione in maniera lineare, infatti, dovremmo concludere che tutte le norme dei diritti societari nazionali che conformano i poteri dei soci in maniera da rendere meno appetibile l’acquisto della partecipazione sociale, siano contrarie alla libera circolazione dei capitali: in pratica tutte le norme che esulano, o consentono di esulare, dal rigido principio “un’azione – un voto” potrebbero essere tacciate di restringere la circolazione dei capitali, nonostante la scelta di imporre su base comunitaria il principio “un’azione – un voto” sia stata rigettata dalla Commissione, per l’impossibilità di dimostrare che questo livello di armonizzazione abbia effetti davvero benefici sull’efficienza produttiva e l’integrazione comunitaria44. Seguendo questa logica, la Corte rischierebbe di mettere in discussione la varietà degli ordinamenti giuridici nazionali, sino a realizzarne una sorta di forzata Ossia quel meccanismo, che per le società per azioni risale ormai ad un’epoca storica passata, in base al quale la personalità giuridica viene concessa dallo Stato (o dal Sovrano) con un atto pubblico di diritto singolare (cfr. RITTNER, Die Weredende Juristische Person, Tübingen, 1973, 17 ss.) 42 43 44 § 25, comma 1, AktG. Dichiarazione del Commissario McCreevy alla Commissione affari legali del Parlamento Europeo, 3 ottobre, 2007, 07/592. convergenza per mano giudiziaria45, proprio in un momento in cui la stessa Giurisprudenza della stessa Corte in materia di libertà di stabilimento ha aperto spazi amplissimi alla competizione tra ordinamenti giuridici, esaltando così il valore positivo delle rispettive differenze46. In sostanza: con la sentenza Volkswagen (e con la sentenza Federconsumatori), al di là del merito delle singole controversie, la Corte assume posizioni che non consentono di individuarne i limiti intrinseci dell’argomentazione e, quindi, rischiano in futuro di applicarsi anche alle scelte dei legislatori nazionali riguardo alle regole di diritto societario. 9. Ma il braccio di ferro tra il Governo tedesco e la Commissione comunitaria potrebbe proseguire, dimostrando quanto il “caso Volkswagen” rappresenti molto di più della difesa di un semplice potere statale. Il 27 maggio il Governo tedesco ha approvato un progetto di legge per riformare la “Legge Volkswagen”, progetto poi approvato dal Bundestag e dal Bundestag ed entrato in vigore l’11 dicembre 2008. La legge, però, abroga solo il massimale al diritto di voto e il diritto di nominare due membri del consiglio di sorveglianza, ma conserva la minoranza di blocco, ritenendo che questa da sola non sia oggetto di condanna da parte della Corte. La Commissione ha già dichiarato la sua contrarietà al progetto e che, se verrà approvato con questo contenuto, procederà nuovamente contro la Germania per violazione del Trattato. Alle spalle del conflitto tra il Governo tedesco e la Commissione, si staglia il profilo del convitato di pietra: il gruppo Porsche ha acquistato più del 30% in azioni e opzionato più del 20% del capitale di Volkswagen e attende paziente di poter scalare la società di Wolfsburg e di restituirla agli eredi di Ferdinand Porsche. ZUMBANSEN – SAAM (nt. 17); VOSSESTEIN, Volkswagen: the State of Affairs of Golden Shares, General Company Law and European Free Movement of Capital, in European company and financial law review, 2008, 130. 45 46 Per una panoramica rinvio a MUCCIARELLI, Company ‘Emigration’ and EC Freedom of Establishment: Daily Mail Revisited, in EBOR, 2008, 267 ss.