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Piero Stefani
GESÙ NEL TALMUD
relazione presentata al corso di aggiornamento «Il Gesù degli altri », organizzato da Biblia-BeS,
Napoli 30 novembre – 1 dicembre 2013
La parola Talmud è evocativa di un mondo. In questo contesto la prendiamo perciò in senso
lato, occupandoci del giudaismo tardoantico e facendo un’incursione finale in quello
medievale. Per comprendere però il senso di questi riferimenti all’interno di un ebraismo
che giunge fino a giorni nostri, occorre compiere un cenno al tema della periodizzazione
relativa all’interesse ebraico su Gesù. Fermo restando che, in quest’ambito, le assenze non
sono meno eloquenti delle presenze.
1. Una delle più comuni periodizzazioni prospettate al fine di inquadrare l’interesse ebraico
nei confronti di Gesù1 è articolata in quattro tappe principali: 1) tradizioni rabbiniche coeve
a Gesù o immediatamente successive; 2) tradizione della letteratura talmudica; 3) tradizioni
medievali; 4) approcci moderni e contemporanei. Ora, scorrendo velocemente questi quattro
periodi, si può constatare che nel primo i riferimenti sono pressoché nulli o comunque
difficili da cogliere e decifrare; nel secondo i rimandi continuano essere proporzionalmente
esegui all’interno del mare magnum del Talmud; il terzo è l’epoca delle cosiddette Toledot
Yeshu; nel quarto il materiale è molto abbondante.
Avigdor Shinan2 propone una divisione in tre periodi contraddistinti da tre diverse
categorie di interessi: i testi dell’epoca tardo antica si collegano soprattutto alla persona di
Gesù in un percorso che non ha nulla di sistematico. I testi medievali si propongono di
deridere Gesù e il cristianesimo in modo più organico. Il terzo gruppo, segnato dalla ricerca
storico-critica della fine del XIX secolo, considera Gesù a prescindere dal cristianesimo più
tardivo; pratica una ricerca più rigorosa; tuttavia ci sono ancora tracce di una ricerca più
conservatrice che non distingue in modo netto tra Gesù e il cristianesimo.
Senza volerlo rendere l’unico motivo di una successione bisognosa di essere spiegata
anche con altri fattori, è opportuno sottolineare la presenza in questa quadruplice scansione
di una diversa incidenza cristiana nei confronti dell’ebraismo. Nel primo periodo essa è
marginale ed è connessa a frammenti di discussione con ebrei legati ai influssi provenienti
dai seguaci di Gesù. Nel secondo (quando la pressione cristiana era assai ridotta, almeno
nelle aree in cui fu redatta la summa del giudaismo rabbinico: il Talmud babilonese) il tema
è secondario e in ogni caso il cristianesimo è assai più presente di Gesù; mentre in
Occidente tra l’epoca tardo antica e quella medievale domina la identificazione di Gesù con
un mondo cristiano ostile. Ricca, molteplice, e varia nel quarto, vale a dire nell’epoca in cui
l’ebraismo visse l’esperienza dell’emancipazione3.
1
Cfr. A. LUZZATTO, La tradizione ebraica e Gesù, in «Servitium» XXXIII, 1999, pp. 461-472.
Quell’uomo: gli Ebrei raccontano Gesù, Tel Aviv 1999 in ebraico (recensito da D. Jaffé, L’ebreo Gesù, p.
348).
3
A questo proposito abbiamo da poco a disposizione in italiano un volume aggiornato e completo Dan JAFFÉ
Gesù l’ebreo. Gesù di Nazaret negli scritti degli storici ebrei del XX secolo, Prefazione di Daniel MARGUERAT,
Jaca Book, Milano 2013, pp. 415 (orig. Jésus sous la plume de historiens juifs du XXe siècle, Editios du Cerf,
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2. Di Jaffé in italiano era già noto, Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo. Gesù,
Paolo e i giudeocristiani nella letteratura talmudica4. Si tratta di un giovane studioso
franco-israeliano docente di storia delle relazioni tra giudaismo rabbinico e cristianesimo
primitivo all’università di Bar-Ilan. A livello internazionale Jaffé è noto soprattutto per la
corposa opera (frutto del suo lavoro di dottorato) Le Judaïsme e l’Àvenement du
christianisme. Orthodoxie et hétérodoxie dans la littérature talumudique, IerIIe siècle5.
Le caratteristiche salienti delle ricerche di questo autore possono riassumersi nella
seguente valutazione: le sue conclusioni risultano generalmente persuasive in virtù della scelta
di seguire una via mediana. L’impianto storico e metodologico delle opere di Jaffé non
possono, per definizione, coincidere con le forme in cui nei testi si espresse, a suo tempo,
l’autocoscienza rabbinica. Per quest’ultima infatti le cose, nella sostanza, sono sempre state
identiche a partire dal Sinai dove ebbe luogo la rivelazione sia della Torah scritta sia di quella
orale. Tuttavia Jaffé non segue neppure la linea radicale espressa in posizioni sostenute da
studiosi come Daniel Boyarin6 in cui i termini vengono a tal punto capovolti da negare ogni
anteriorità del giudaismo rispetto al cristianesimo.
3. Siccome le fonti più antiche hanno a che fare con i dibattiti relativi ai cosiddetti giudeocristiani occorre chiarire che l’impianto di Jaffè continua a riferirsi in buona misura anche a
una storiografia classica non recente. In conclusione, non siamo di fronte a uno spirito
dominato da una «rerum novarum cupidine». Ne fornisce un bell’esempio la vexata quaestio
della Birkat ha-minim, la benedizione (eufemismo per maledizione) per gli eretici, estesa nella
redazione palestinese anche ai nozrim (giudeocristiani). A questo proposito, Jaffè prende le
distanze da posizioni che tendono a spostare molto in avanti la redazione della benedizione e a
ridefinirne gli scopi7. La sua collocazione, significato e datazione per Jaffé restano quelli
classici: essa risale alla fine del I secolo, è contro i giudeocristiani ed ha a che fare con il
cosiddetto sinodo di Jamnia e con la presidenza di Rabban Gamaliel II8. Tra le prove addotte
di questa datazione alta vi è ancora la nota espressione (aposynagōgos) del quarto vangelo
(Gv 9,22; 12,42; 16,2). Tuttavia proprio questa impostazione rende molto marcato il fatto che
i rapporti tra ebrei credenti in Cristo e gli altri ebrei prima del 70 erano totalmente diversi da
quanto sarebbero stati successivamente. Anche se non è il suo scopo principale, la ricerca di
Jaffé conferma, perciò, di riflesso l’«ebraicità» del primitivo annuncio dell’evangelo. In
questa luce, la posizione «cauta» di individuare la frattura già alla fine del I sec. rende, in un
certo senso, più percepibile il fatto che prima non ci fosse.
Paris 2009). Per una panoramica divulgativa cfr. S. MALKA, Jésus rendu aux siens. Enquête en Israël sur une
énigme de vingt siècle, Ablin Michel, Paris 1999, che contiene interviste a vari studiosi, Geza Vermes, David
Satran, Daniel Schwarz, ecc..
4
Jaca Book, Milano 2008. pp. 229 (l’originale è uscito presso Les Éditions du Cerf, Paris nel 2007).
5
Les Éditions du Cerf, Paris 2005.
6
Cfr. per es. Morire per Dio. Il martirio e la formazione del Cristianesimo e del Giudaismo, Il melangolo,
Genova 2008.
7
Cfr. L. VANA, «La birkat ha-minim è una preghiera conto i giudeocristiani?» in G. FILORAMO e C.
GIANOTTO, a cura di, Verus Israel. Nuove prospettive sul giudeocristianesimo. Atti del Colloquio di Torino – 4-5
novembre 1999, Paideia, Brescia 2001, pp. 147-189.
8
JAFFÉ Gesù l’ebreo, pp. 123-133.
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Come è ovvio, la stessa forma liturgica della Birkat ha-minim, vale a dire il suo essere una
preghiera sinagogale in cui tutto era legato al fatto che pronunciare un «amen» avrebbe
provocato la propria maledizione, indica come essa fosse una misura interna che poteva
colpire solo coloro che continuavano ad andare in sinagoga. Anche se accolta nella sua
ricezione «classica», la «benedizione» non rappresenta perciò nessuna forma diretta di
espulsione o di scomunica. Inoltre, è obbligo concludere che: «la Birkhat ha-minim non ha
ostacolato il fenomeno della “doppia fedeltà” dei giudeocristiani, o comunque il loro legame
con il giudeo-cristianesimo; i giudeocristiani sopravvivono fino al IV secolo, e vengono
esclusi sia dalle autorità cristiane sia da quelle giudaiche»9.
4. Una ricaduta particolare di questa impostazione è che Jaffé rende sempre più persuasiva ai
propri occhi l’inadeguatezza della terminologia che è costretto a impiegare, a iniziare dal
tardo e composto termine di giudeocristiani: «una denominazione che è più un’espressione
storiografica che una realtà storica; in realtà gli ebrei che vedevano in Gesù una figura
messianica, o che gli attribuivano una filiazione divina, non si sono mai definiti in altro modo
che come ebrei; l’idea di una duplice appartenenza identitaria o religiosa non si attaglia a
un’epoca in cui il cristianesimo non esisteva ancora pienamente come religione»10.
Quanto si è venuto in breve esemplificando in relazione alla Birkat ha-minim trova
riscontro pure nelle altre parti di un libro nell’insieme piuttosto composito. Tra gli apporti va
particolarmente segnalata la presentazione delle discussioni talmudiche relative alle
guarigioni compiute nel nome di Gesù, testimoni di un livello di separazione e contrasto tanto
netto da far preferire la morte al tradimento11 (cfr. pp. 75-84). Rilevanti i commenti riservati a
una citazione matteana recepita in seno al Talmud (b. Shabbat 116a-b)12.
5. Rispetto alla ricerca ebraica su Gesù, vi è la possibilità di prendere in considerazione
l’aggiornato volume di Peter Schäfer13. Il libro è dominato da un eccesso di spirito polemico
(che lascia sospettare anche qualche risentimento personale) rispetto all’impostazione
dell’erudita ricerca di Johann Maier, Jesus von Nazareth in der talmudischen Überlieferung
1978. Quest’ultimo testo voleva dimostrare l’insignificanza delle fonti ebraiche rispetto al
problema del Gesù storico. L’orientamento di Schäfer è invece di puntare sulla “storicità
letteraria” dei testi e di dar credito alla consapevolezza ebraica nel rispondere a documenti
cristiani, un particolare interesse riguarda il rapporto con il vangelo di Giovanni. Il testo (un
poco ripetitivo) si colloca in un ambito specialistico. In italiano comunque il capitolo sulle
fonti ebraiche su Gesù è sempre collocato come una parte dei libri su Gesù. Nella letteratura
talmudica i passi che si riferiscono esplicitamente o implicitamente al cristianesimo sono
numerosi14, la stessa cosa non si può dire per quelli che nominano con chiarezza Yeshu haNozeri.
9
JAFFÉ Gesù l’ebreo, p. 131. In relazione a questo tema si veda il dettagliato contributo di Günter
STEIMBERGER, «La Birkat ha-minim», in I libri di Biblia, Quando i cristiani erano ebrei, a cura di P. STEFANI,
Morcelliana, Brescia 2010, pp. 103-125.
10
JAFFÉ Gesù l’ebreo, p. 133.
11
JAFFÉ Gesù l’ebreo, pp. 75-84.
12
JAFFÉ Gesù l’ebreo, pp. 111-112.
13
Peter SCHÄFER, Jesus in the Talmud, Princeton University Press 2007.
14
Cfr. Ebrei credenti in Gesù. Le testimonianze degli autori antichi, a cura di C. GIANOTTO, Paoline, Milano
2012, pp. 508-522.
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6. È assolutamente convincente che i testi su Gesù contenuti nel Talmud corrispondano alle
preoccupazione dei rabbi e abbiano poco o nulla da spartire con la ricerca storica su Gesù.
In ogni caso lo stesso ricorso al termine Yeshu ha lo scopo di privare il nome Yehoshua’ di
ogni componente teofora. Il che già di per sé è indice di un intero orizzonte.
Il testo più noto tra tutti è b. Sanhedrin 43a (quasi sempre citato nei libri dedicati a Gesù),
in cui si afferma che Gesù «ha sedotto, ingannato e praticato la stregoneria», ecco perché
della ragione della sua esecuzione capitale e del perché nessuno testimone si è schierato a
suo favore. Altro testo citato è b. Sanhedrin 107b di segno diverso dal precedente; esso
riferisce la leggenda di Yehoshua’ ben Perachiah (vissuto circa tra il 104 e il 78 a.C.) e del
suo discepolo Gesù Nazareno, dapprima accusato di immoralità e poi delle tre accuse già
prima citate15.
7. I passi di interesse maggiore sono quelli relativi alle opinioni fatte risalire a Gesù. Infatti
i documenti più significativi sono, nel periodo più antico, quelli che riportano detti attribuiti
a Gesù; alcuni di essi testimoniano una situazione ancora fluida in cui tra i seguaci di Gesù
Cristo e gli altri ebrei era in corso una dialettica vivace e a volte anche aspra, senza che si
fosse ancora consumata una definitiva rottura. Uno di questi esempi è il seguente:
Rabbi Eliezer disse: una volta camminavo al mercato superiore di Sefforis [località della
Galilea, prossima a Nazaret] e incontrai uno dei discepoli di Gesù il Nazareno, chiamato
Giacobbe (…). Egli mi disse: “nella vostra Torah è scritto: ‘Non porterai il denaro di una
prostituta nella casa del Signore’ (Dt 23,19). Com’è? Non si può con esso costruire un cesso per
il sommo sacerdote?”. Io non gli risposi. Egli mi disse: “Così ha insegnato Gesù il Nazareno:
‘Fu raccolto a prezzo di prostitute e in prezzo di prostitute tornerà ’ (Ml 1,7); da un luogo di
sozzure è venuto e in un luogo di sozzura andrà”. La parola mi piacque; perciò io fui arrestato
per eresia (Talmud Babilonese, ‘Avodah Zarah, 16b).
L’autorevole Rabbi Eliezer (I-II secolo) fu per qualche tempo scomunicato dai suoi
colleghi (forse per simpatie nei confronti del cristianesimo). L’ambientazione e il modo di
procedere del ragionamento riportati nell’episodio sono attendibili. Il detto di Gesù
testimonia una grande libertà interpretativa che lo approssima ad alcune discussioni
presenti nei Sinottici. Gesù, ricorrendo a passi biblici (spesso tradotti diversamente),
sostiene che il denaro derivato dall’esercizio della prostituzione possa essere utilizzato
nell’area più sacra dell’intera Gerusalemme. Per comprendere il caso, bisogna tener
presente che al sommo sacerdote, in preparazione della grande festa di Yom Kippur
(Giorno dell’Espiazione), era proibito muoversi dal tempio per un’intera settimana; la
presenza, in loco, di servizi igienici era, quindi, indispensabile.
La discussione richiama passi sinottici. Per esempio quello in cui si afferma che non vi è
nulla in se stesso che è oggettivamente impuro: «ma sono le cose che escono dall’uomo [cioè
i propositi malvagi] a renderlo impuro» (Mc 7,15). Qui la categoria di impurità viene
profondamente ridefinita. L’affermazione che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non lo
rende impuro viene giustificata con una frase difficile da rendere. Essa afferma che gli
15
Tra le brevi raccolte di materiale rabbinico-talmudico su Gesù, facilmente accessibile è il capitolo «Le
opinioni rabbiniche su Gesù» in H. C. KIPPENBEERG e G. A. WEWERS (a cura di), Testi giudaici per lo studio del
Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1987, pp. 269-277.
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alimenti non entrano nel cuore ma nel ventre e di là vanno nella latrina «purificando
(katharizōn) tutti i cibi» (Mc 7,19). A differenza di quanto avviene nelle traduzioni correnti
(«così rendeva puri tutti gli alimenti») il participio greco non ha come soggetto Gesù. L’atto
di rendere puri gli alimenti sembra perciò attribuito al processo di digestione che impedisce a
essi di essere trattenuti nel corpo (cfr. l’episodio di Rabbi Eliezer). Non è, comunque,
difforme alla Legge sostenere che l’uomo è reso impuro da ciò che esce dal suo cuore, vale a
dire dalle sue intenzioni inique (Mc 7,20-22). L’impurità è creata dall’uomo; essa lo tiene
lontano da Dio, è reale ma alberga nel cuore e non nelle cose.
8. Nel Talmud – in un passo peraltro privo di riscontri nella letteratura rabbinica (b. Shabbat
116a-b) – vi è un riferimento a un detto di Matteo (particolarmente caro a tutte le amicizie
ebraico-cristiane): «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti...» (Mt
5,17). aggiungere alla legge di Mosè...» Ironico contro il giudice "giudeocristiano". La
contraddizione evangelica che consente due conclusioni opposte (l’asino; moggio misura
Imma Shalom, moglie di Rabbi Eliezer, era sorella di Rabbi Gamaliel. Nel loro quartiere viveva un
filosofo che aveva la fama di essere incorruttibile. Si vollero burlare di lui [Imma Shalom] gli portò
una lampada d’oro. [R. Gamaliel e Imma Shalom] vennero da lui. Ella gli disse: «Voglio che mi dia
parte dei beni di famiglia». Rispose: «Divideteli». [R. Gamaliel] gli disse: «Sta scritto: se c’è un
figlio, la figlia non eredita nulla». «Dopo che siete stati esiliati dalla vostra terra, la legge du Mosè
è stata ripresa [nel manoscritto di Oxford si trova la lezione "la legge di Mosè è stata ripresa e la
legge del Vangelo è stata data], ora è scritto in questa legge il figlio e la figlia erediteranno in parti
uguali». L’indomani [R. Gamaliel] gli portò un asino della Libia. [Il filosofo] disse loro: “Ho
consultato la conclusione del Vangelo, e vi sta scritto: non sono venuto per togliere alla legge di
Mosè né per aggiungere alla legge di Mosè, e sta scritto [in questa legge]: se c’è un figlio, la figlia
non eredita nulla» [Imma Shalom] gli disse: «La tua luce risplenda come la lampada!». Rabbi
Gamaliel gli disse: «L’asino è arrivato e ha dato un calcio alla lampada».
Si tratta con ogni evidenza di un discorso ironico che però mostra di ben conoscere almeno
alcuni passi del «Discorso della montagna» (si veda anche l’allusione alla lampada alla luce e
per conservo al sottointeso moggio, Mt 5,14-15). Al di là della più immediata questione
dell’incoerenza del filosofo (chiaramente giudeocristiano) che aveva fama di incorruttibile
che si lascia invece corrompere dal dono dell’asino, il testo sembra lasciar trapelare che
l’aleatorietà delle conclusioni derivi anche dall’ambiguità dell’atteggiamento cristiano nei
confronti della Legge che viene a un tempo abolita e conservata16.
9. I rabbi hanno insegnato: «La (mano) sinistra respinga sempre e la mano destra avvicini; e
non come fece Eliseo che respinse Ghezi con entrambe le mai (2Re 5,19ss.) e non come R.
Joshua Perachya che ha respinto Yeshu con entrambe le mani» (b. Sanhedrin 107 b; b. Sota
47a)17.
Dall’insieme del passo si può concludere che l’immagine di Gesù era dunque per il mondo
ebraico quella di un discepolo che si era sviato e aveva sviato altri. Attraverso di lui, è l’intera
16
Per la discussione al riguardo cfr. JAFFÉ, Talmud, pp. 111-122.
Cfr. C. TOUATI, «Le Christianisme dans la théologie juive», Revue des Études juives 160, 2001, pp. 493498; trad. it. in Il Regno-documenti 19,2002, pp. 640-641.
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visione del cristianesimo, una religione proveniente dal giudaismo divenuta avversaria e
ostile, che si è formata, ecco il messaggio di questo passo talmudico18.
10. A proposito della condanna a morte di Gesù, il primo argomento di cui sospettare è la
notorietà del passo del trattato di Sanhedrin citata ad abundantiam in tutte le ricerche sul Gesù
storico da parte sia ebraica sia cristiana. Esso è dovuto alla fortissima pressione psicologica
collegata al processo a Gesù e al suo collegamento all’accusa di deicidio. In realtà in tutto
l’enorme corpus della letteratura rabbinica all’argomento è dedicato solo un breve passo della
ghemarà babilonese (b. Sanhedrin 43a) tratto dalla discussione della Mishnah relativa alle
quattro forme di condanna capitale prevista dalla Bibbia: lapidazione, abbruciamento,
impiccagione (dopo essere stati lapidati), uccisi con la spada...
Si appese Yeshu per essere lapidato alla vigilia di pasqua. E quaranta giorni prima l’araldo uscì (e
gridò): “Egli esce per essere lapidato per magia e per aver traviato e ingannato Israele. Chiunque
possegga elementi a sua discolpa, venga e ce le illustri”. Ma non si trovarono elementi a sua
discolpa. E alla vigilia di pasqua lo appesero.
Gesù è citato come una specie di caso giudiziario anacronistico che crea una specie di
precedente in uno spirito simile a quello della common law in un’epoca in cui certamente agli
ebrei non era consentito applicare la legislazione biblica relativa alla pena di morte19.
11. Al periodo alto medievale risale un testo polemico, ritenuto il primo documento
apertamente anticristiano, risalente a un ex prete di nome Nestore convertitosi all’ebraismo.
Si sanno poche cose a proposito di quest’autore che sarebbe vissuto in Medio Oriente nel IX
sec. Il testo, scritto in arabo, spiega le ragioni dell’abbandono dell’antica fede. Il pamphlet
critica la dottrina della Trinità, mostra le contraddizioni proprie del Nuovo Testamento,
ridicolizza la presunta nascita miracolosa di Gesù, al pari della sua morte in croce. A detta
degli studiosi il testo si muove anche nella duplice direzione polemica di mostrare
l’incoerenza cristiana nei confronti di Gesù. Lo scopo del testo infatti sembra soprattutto:
1. mostrare che il cristianesimo si è costituito senza alcuna fedeltà nei confronti di Gesù;
2. mostrare che Gesù, per quanto messo in ridicolo, è presentato come osservante i
precetti di Mosè20.
12. Si può riassumere il senso delle Toledot Yeshu (alla lettere «Storie di Gesù») attraverso
alcune parole di Riccardo Di Segni, curatore dell’unica edizione italiana che raccoglie gran
parte di questo materiale leggendario e denigratorio: «spesso è avvenuta una più o meno
conscia identificazione del cristianesimo vissuto come minaccia reale per l’identità fisica e
culturale dell’ebraismo, con la persona del suo fondatore, Gesù. Su questi sono state
rovesciate tutte le tensioni e paure secolari»21. Va da sé sottolineare l’inadeguatezza della
18
Cfr. JAFFÉ, Talmud, p. 154.
Cfr. SCHÄFER, Jesus in the Talmud, pp. 63-74, la conclusione più significativa sta nella rivendicazione
"virtuale" della responsabilità ebraica per la morte di Gesù, il che conferma che quanto interessa non è il "Gesù
storico" ma la storicità dei testi rispetto all’auto-comprensione rabbinica.
20
Edizione critica di D.J. LASKER, S. STROUMSA, The Polemic of Nestor the Priest. Qissat Mujaladat aUsuquf and Sefer Nestor ha-Kromer, Yerushalaim 1996.
21
R. DI SEGNI, Il Vangelo del Ghetto, Newton Compton, Roma 1985, pp. 236, qui p. 9.
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scelta ad effetto adottata per il titolo italiano22. In effetti questi testi – che parlano della nascita
adulterina di Gesù e del suo uso di arti magiche – si presentano (qualunque sia la loro fonte)
come storie ebraiche su Gesù e non come una lettura ebraica di testi cristiani, alternativa,
quest’ultima, dominante nel secolo XIX e per buona parte del XX. Con ogni probabilità fu
questa natura sedicente autonoma a favorirne la diffusione (oltre che in yiddish, esistono
traduzioni in giudeo-persiano, in arabo, nel cosiddetto ladino, cioè giudeo-spagnolo).
Le Toledot Yeshu sono una composizione che combina testi talmudici su Gesù e testi della
letteratura evangelica. Secondo questo quadro d’assieme, sarebbe nato da un’unione
adulterina di Myriam con un soldato romano chiamato Pantera (diceria già conosciuta da
Celso), ciò avvenne quando la donna era in stato di impurità mestruale. Yeshu si sarebbe
mostrato impudente davanti ai Saggi e avrebbe interpretato i versetti biblici sui tempi
messianici come se lo avessero riguardato personalmente. Avrebbe fatto uso del Tetragramma
impronunziabile praticando la stregoneria, si sarebbe proclamato Figlio di Dio e, così facendo,
avrebbe indotto in errore numerose persone. Queste aberrazioni avrebbero causato la sua
condanna per impiccagione alla vigilia di Pasqua. Il corpo di Gesù fu ritirato dalla sua tomba
da un giardiniere e gettato in una condotta d’acqua, cosa che portò i suoi discepoli a credere
nella risurrezione. Il sospetto è molto antico: vedi il passo di Matteo - che se non avesse
qualche aggancio reale sarebbe una excusatio non petita - di mettere delle guardie perché i
discepoli non rubassero il corpo di Gesù per far credere nella sua resurrezione (Mt 27,62-66).
Dopo che pure la regina aderì a questa credenza, ella volle far mettere a morte i Saggi
d’Israele per il loro aver condannato Gesù. Allora Rabbi Tanchumà trovò il corpo della
condotta e lo mostrò alla regina la quale comprese di essere stata ingannata. Dato che i
discepoli di Gesù si comportavano male nei confronti degli ebrei, Simon Pietro tentò di
separare i discepoli di Gesù dagli ebrei, con l’insegnamento di leggi morali (forse eco dei
dibattiti tra Pietro, Giacomo e Paolo, Gal 2,1-11). Ci riuscì, fingendo di credere in Gesù; dopo
di che, partì per andare a vivere in una torre costruita per lui, che portava il suo nome (forse
un’allusione alla basilica di S. Pietro).
22
Opzione peraltro già assunta dalla versione francese J. P. OSIER, L’Évangile du ghetto ou comment les Juifs
se racontaient Jésus (IIe -Xe siècles), Paris 1984; ripubblicata con il titolo, Jésus racconté par le juifs. L’Évangile
du ghetto, Paris 1999.
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