La previdenza complementare penalizza le

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previdenza complementare
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Gio 10 FEB 2005
STUDIO COMMERCIALISTA DEL DR.RAG. ANTONIO DI CARLO, REVISORE CONTABILE & PUBBLICISTA
La Previdenza Complementare
- La previdenza complementare penalizza le imprese ed i lavoratori -
In attesa della definitiva approvazione del disegno di legge delega al
Governo in materia previdenziale: "Misure di sostegno alla previdenza
complementare e all'occupazione stabile e riorganizzazione degli enti
di previdenza e assistenza obbligatoria", presentato nel 2001 e
licenziato dalla Commissione Lavoro in sede referente agli inizi del
2003, il destino del Trattamento di Fine Rapporto dei lavoratori
dipendenti, indirizzato verso l'obiettivo della previdenza
complementare rimane incerto e problematico.
La manovra, che sostanzialmente tende a spostare il TFR dai fondi
aziendali, per trasferirlo più o meno forzosamente al finanziamento
della previdenza complementare, colpisce ancora una volta le imprese,
minando seriamente il processo produttivo interno e quindi lo
sviluppo dell'economia del Paese.
La nostra non è un affermazione retorica, ma una constatazione per
professionisti ed imprenditori che ben conoscono i risvolti pratici del
problema .
Le aziende per svolgere la loro attività debbono acquisire i fattori
p r o d u t t i v i ( i m p i a n t i , m a c c h i n e m e r c i ) . Il r e p e r i m e n t o d e l
finanziamento, necessario per tali fini avviene o con capitale proprio o
con capitali di terzi.
Conosciamo tutte le problematiche connesse con le difficoltà di cercare
finanziamenti esterni all' azienda, in un momento particolare qual' è
quello attuale per l'economia italiana, in cui lo Stato sottrae
quotidianamente al mercato la maggior parte delle risorse finanziarie,
per far fronte ad un debito pubblico incontenibile.
Le aziende, che da sempre fanno di necessità virtu', cercano di supplire
alla carenza dei finanziamenti esterni, con quelli interni. All'apporto di
capit ale da parte del la propri età, spesso si deve aggiungere
l'autofinanziamento con finanziamenti infruttiferi, ovvero l'utile non
distribuito ai soci, per consentire all'azienda di sopravvivere ín un
contesto di accesa competizione internazionale, che vede in campo
forti multinazionali in assoluta posizione di predominio sui mercati
globali.
La lotta è ancora piu' cruenta ove si considerino le necessità di
investimenti sempre piu' ampi, per una ricerca sempre piu' sofisticata
e costosa, imposta dalla inarrestabile corsa del progresso tecnologico.
Anche nei s et tori i nnovati vi l e nost re azi ende s ono l as ci at e
prevalentemente all' iniziativa del singolo, al fai da te.
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Tuttavia, malgrado la carenza dei fondi pubblici e l'improvvisazione di
qualche imprenditore, i risultati della presenza delle nostre imprese
sui mercati internazionali non sono disprezzabili. Tanta vitalità è da
ascriversi all'innata inventiva degli italiani, ma anche al sistema ancora
in essere dell'autofinanziamento interno dalle aziende.
Un rilievo particolare assume a tal fine nei bilanci il fondo per il
trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, creato
accantonando la quota di trattamento quiescenza del personale, di
competenza dell'esercizio.
Questo sistema sorto all' inizio come volontaria previdenza, è diventato
uno dei pilastri dell' economia aziendale e rilevante fattore del suo
sviluppo. Il fondo di TFR codificato dapprima nelle norme dei contratti
di lavoro e quindi regolamentato con legge, come retribuzione differita
spettante al lavoratore al momento del congedo dall'azienda , è dunque
rilevante fonte di finanziamento interno, quale risparmio forzoso
accumulato saggiamente per far fronte nei momenti di incertezza agli
impegni futuri.
Tale finanziamento ha assunto un notevole rilievo nella moderna
economia, al punto da condizionare gli investimenti, lo sviluppo e
quindi la stessa esistenza delle aziende, dalle grandi società di capitale
alle più pi ccole impres e individuali. Qualora foss e mancato
l'accantonamento del TFR, lo sviluppo della moderna economia
avrebbe avuto ben altri esiti. Basta analizzare il bilancio di una società
per azioni, per rendersi conto come le immobilizzazioni siano
bilanciate dall' entità del fondo in questione, spesso per importi
notevolissimi.
L'aspetto finanziario d'altronde è rilevante per l'economia aziendale,
che deve tendere all'equilibrio fra entrate ed uscite nel breve periodo.
Quest'equilibrio, gìà precario nella fragile economia italiana, viene ora
turbato delle prospettive di una riforma del sistema che privilegia
l'investimento finanziario della previdenza complementare, privando
le aziende della vecchia e naturale fonte di autofinanziamento.
Tecnicamente il trattamento di fine rapporto è un costo, riportato nel
conto economico del bilancio di esercizio, per la quota annuale di
competenza. La contropartita viene rilevata al Passivo dello Stato
Patrimoniale come debito aziendale, con accantonamento in apposito
fondo del Trattamento di Fine Rapporto. Accanto a tale voce, troviamo i
trattamenti di quiescenza, integrativi di quelli obbligatori (previsti da
alcuni contratti collettivi), che per competenza vengono rilevati nel
conto economico ed hanno la contropartita nel passivo dello Stato
Patrimoniale quali fondi per rischi ed oneri, per trattamento di
quiescenza ed obblighi simili.
I fondi considerati presentano valori notevoli, tali da condizionare gli
investimenti, le spese di ricerca e quindi lo sviluppo aziendale.
E’ ininfluente il fattore che la manovra sul TFR colpisca i trattamenti di
fine rapporto in sé, ovvero anticipo delle imposte su tale
accantonamento: di fatto è l'impresa che subisce immediatamente
l'esborso e il taglio alla disponibilità finanziarie e, quindi, l'aggravio deì
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costi.
Ciò va ad influire negativamente sull'equilibrio economico aziendale,
con conseguenti riflessi sull'utile anche per diversi esercizi.
L'anticipato utilizzo del TFR nei fondi complementari sembra non
colpire immediatamente i lavoratori destinatari solo in futuro dell'
accantonamento della liquidazione ma le imprese, le sole in grado di
affrontare in modo costruttivo e dinamico la ripresa economica e la
crisi occupazionale della nazione.
In Europa è stata varata nei mesi scorsi dall'ECOFIN la direttiva sui
fondi pensione, che dovrebbe essere recepita dalla legge italiana entro il
2005.
La normativa cornice si propone sostanzialmente di creare un mercato
unico per le pensioni integrative e pertanto fissa le regole per il
mercato e le garanzie per gli investitori. In attesa dell'entrata in vigore
della normativa europea, e della nuova legge delega italiana sulla
previdenza complementare, vediamo quale è il bilancio della sofferta
riforma della previdenza complementare, ormai al traguardo del primo
decennio.
Al 31 di cem bre del 2 0 0 2 l e ri s ors e affluit e all a previ denz a
complementare ammontavano, secondo la COVIP a circa 35 miliardi di
Euro.
Nel 2002 il rendimento dei fondi chiusi è stato di 3,4%; quello dei
fondi aperti – 13,1%.
Nel primo semestre 2003, c'è stata una inversione di tendenza del
trend negativo, anche in conseguenza della ripresa dei mercati
finanziari, per cui í fondi chiusi presentano un valore positivo del 2,3% e
quelli aperti del 2%.
Sempre alla fine del primo semestre 2003, i lavoratori iscritti nei fondi
erano oltre 2 milioni, con un incremento dello 0,1% per i fondi chiusi e
del 3,8% per i fondi aperti. I continui interventi legislativi in materia,
hanno creato un sistema alquanto confuso, con una miriade di leggi
non sempre coordinate, che hanno portato ad un clima di sfiducia nel
sistema e ad una scarsa adesione da parte dei lavoratori.
L'Italia si colloca nel settore agli ultimi posti della graduatoria
europea. Dunque anche i lavoratori risultano penalizzati dai miseri
rendimenti della previdenza complementare: ciò è causa ed effetto allo
stesso tempo del crollo degli iscritti e del mancato decollo del sistema
previdenziale complementare.
D'altronde, a fronte della scarsa competitività e staticità del sistema
italiano, troviamo un mondo USA del risparmio gestito dinamico e
speculativo, che può portare a buoni rendimenti, ma anche a disastri
finanziari come nel caso Enron .
Tutto sommato i lavoratori erano senz'altro più tutelati con i vecchi
fondi TFR aziendali, che se da un lato assicurano tassi dì rivalutazione
limitati (+ 1,7% nel Primo semestre del 2003), peraltro garantiscono
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L’esistenza e lo sviluppo di una sana economia finanziaria della propria
azienda e, quindi, la sicurezza del posto di lavoro.
Un articolo sulla "Previdenza Complementare” del Dott. Antonio Di Carlo
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