Codice cliente: 10008548 www.corrieredelmezzogiorno.it LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014 ANNO IX - N. 35 Distribuito con il Corriere della Sera - Non vendibile separatamente ENOLOGIA GASTRONOMIA TURISMO Vini, le occasioni meridionali: qualità entro i 15 euro Le prelibatezze campane sbancano a Eataly New York Mezzogiorno trendy, la stagione 2015 è già partita da Londra CASTELLANETA A PAGINA IX A PAGINA XI A PAGINA IX CM IL PUNTO Lo studio Città per città, le previsioni dell’Osservatorio Banche-Imprese presentate al Sorrento Meeting 2014 Nel ginepraio dei fondi europei è l’ora del governo Ripresa I mille volti del Meridione Ecco le aree che cresceranno di più DI GIUSEPPE GALASSO iene ormai sempre più rilevata la contraddizione profonda tra la disponibilità di ingenti fondi europei e la difficoltà o pratica impossibilità, di utilizzarli da parte delle Regioni e per le altre vie previste. La difficoltà nasce, come tutti sanno, dai limiti frapposti alla spesa pubblica dal patto di stabilità. Abbiamo, perciò, il paradosso di Regioni che — miracolo! — hanno abbondanza di cassa e non possono avvalersene. Degna pena del contrappasso, si dirà, per chi ha così spesso male impiegato le proprie risorse e, quanto ai fondi europei, è stato così spesso al di sotto degli obiettivi da raggiungere. Nella vita pubblica la questione non può, però, in alcun modo chiudersi con un «ben ti sta». Si esige una soluzione positiva dei problemi dai quali dipende l’utilizzazione di risorse preziose, sempre, ma in particolare in momenti di crisi come quello nel quale siamo immersi da tempo fino al collo. Per i fondi europei il paradosso è poi che il governo li ritiene come un’arma decisiva nelle mani di chi ne può disporre per uscire dalla crisi. Senonché, il patto di stabilità fissa i noti limiti alla possibilità di spesa e, nello stesso tempo, le norme europee fissano per l’utilizzazione dei fondi tempi così stretti da rendere più che pessimisti sulla possibilità di rispettarli. È inverosimile pensare che il governo solleciti all’uso di quei fondi, di cui conosce le difficoltà di utilizzazione, solo per trovare un capro espiatorio per la sempre più probabile mancata utilizzazione. Neppure, però, il governo può pensare che il problema si risolva da sé. Qualcosa bisogna fare. Autorizzare alla spesa eccedente il patto per i soli fondi europei? Avocare quei fondi a una sede centrale che li usi più liberamente magari per gli obiettivi voluti dalle Regioni? Ottenere una (improbabile) deroga europea? Sono interrogativi che formuliamo un po’ a caso, per dare il senso del problema. L’importante è che il governo, al quale a questo punto tocca la parola decisiva, indichi una strada che scongiuri la perdita dei fondi e dia alle Regioni la possibilità sia di respirare, sia di raggiungere gli obiettivi che si sono proposti (salvo, è ovvio, il loro vaglio, se ancora non c’è stato, nelle sedi competenti). V DI BORRILLO, GRASSI, MARTINA, SCAVUZZO E SCHIARITI 1 I comuni in pole position L’analisi Parla il direttore di Obi L’ economia meridionale continuerà a svilupparsi a macchia di leopardo, con aree in apprezzabile espansione contigue ad altre in declino. È quanto emerge dallo studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato al Sorrento Meeting 2014. Ecco, per Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, i 15 comuni più ricchi (per valore aggiunto prodotto) con le stime di crescita dello per il 2014-2020. Insomma, il Mezzogiorno che uscirà dalla crisi, da Napoli a Bari passando per Palermo. Con Ragusa e Catania a tirare la volata, seguite da Avellino, Caserta, Crotone e Taranto con l’outsider pugliese Martina Franca. Corvino «Salento e Sila gli esempi da seguire» «Sanno riscoprire il passato» DI ROSANNA LAMPUGNANI «S tanno emergendo proposte per valorizzare economicamente il passato del Sud, come in Salento e in Sila. Ciò non significa rinunciare alla grande impresa, ma è importante differenziare l’offerta economica». È la ricetta di Antonio Corvino, direttore dell’Osservatorio Banche-Imprese. ALLE PAGINE II, III, IV E V ” L’intervista A PAGINA II Legge Stabilità Confindustria contro le misure di Renzi Church: «Inglesi e napoletani uniti dalle scarpe» Tagli Ue Squinzi con il Sud Coca-Cola si dimostri multinazionale salutista DI EMANUELE IMPERIALI DI PIETRO MOLINARO * DI PAOLA CACACE «S Jonathan Church (a sinistra) © RIPRODUZIONE RISERVATA A PAGINA X ono poche le risorse per favorire gli investimenti perciò abbiamo bisogno di utilizzarle per intero, ripristinando l’esclusione della spesa per il cofinanziamento dei fondi strutturali dal Patto di Stabilità delle Regioni». Il numero uno di Confindustria è con il Sud nel respingere i tagli ai cofinanziamento dei fondi Ue previsti dal governo. Accordo partenariato Sulle risorse 2014-2020 di Bruxelles vigila la neonata Agenzia di Coesione A PAGINA VII A PAGINA VI Il caso Nell’Isola l’Eni ha trovato un’intesa con istituzioni e sindacati, in riva allo Jonio pesa l’Ilva Se Gela esulta per la raffineria e Taranto protesta In Sicilia l’ambientalizzazione salva il petrolchimico, in Puglia no a Tempa rossa P erché in Sicilia sì e in Puglia no? Perché nell’Isola, in una zona massacrata dall’industrializzazione «sporca» degli anni Cinquanta come il territorio di Gela, è possibile chiudere un accordo «pesante» per trasformare la raffineria dell’Eni in impianto «sostenibile»? E perché in Puglia, nella città del’Ilva, della Cementir, dell’arsenale, si dice no al pontile da cui far transitare il petrolio estratto nella vicina Tempa rossa, località della Basilicata, per traghettarlo verso la raffineria di Marghera? È semplicistico rispondere che la differenza è nel ruolo svolto dagli ambientalisti tarantini che con i loro no hanno ” L’intervento spinto il consiglio comunale a smentire se stesso, modificando la decisione di tre anni fa per dire no al pontile, sapendo che il loro voto ha un valore puramente consultivo, dato che è il governo che decide su questa materia. Ovviamente le vicende sono più complesse, ma sta di fatto che in Sicilia, ragionando intorno a un tavolo, i vari soggetti - l’Eni che avrebbe voluto chiudere la raffineria di Gela, i sindacati pronti alle barricate per difendere i posti di lavoro, le istituzioni locali e il viceministro dello Sviluppo economico Claudio De Vincenti — hanno trovato una soluzione che va nella direzione giusta, come spiega il co- Chiusura evitata Il petrolchimico di Gela diventa eco compatibile: posti di lavoro salvati municato con cui si è inchiavardato il protocollo d’intesa: la raffineria diventerà «verde», gli operai interni e dell’indotto continueranno a lavora- re e nel territorio di Gela verranno insediati una bioraffineria e un nuovo centro di alto livello per la sicurezza nel settore dei biocarburanti. A Taranto non è nemmeno immaginabile un accordo simile perché il peso dell’Ilva, con il suo carico di sostanze inquinanti, impedisce qualsiasi ragionamento su uno sviluppo a breve e medio termine nel perimetro industriale, per cui si dice no anche alle petroliere nel porto, al passaggio del petrolio, tutto italiano, tutto meridionale: no e basta. Forse, se non si vuol perseguire la decadenza della città, è tempo che Taranto ingaggi scienziati, tecnici ed esperti per farsi spiegare cosa è dannoso per la salute e cosa non lo è, cosa è compatibile per l’ambiente e cosa non lo è. RO. LA. © RIPRODUZIONE RISERVATA F are tesoro dell’aumento dal 12 al 20% della percentuale di succo di arance nelle bibite, dichiarando in etichetta la provenienza: è la nostra proposta alla Coca-Cola per diventare multinazionale salutista. * presidente Coldiretti Calabria A PAGINA VIII II MEZZOGIORNO ECONOM IA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014 Primo piano Il Mezzogiorno che ce la fa La luce alla fine del tunnel L’analisi L’economia meridionale continuerà a svilupparsi a macchia di leopardo, con aree in apprez I mille volti del Sud Ecco Campania Napoli la più ricca. Ma anche la meno produttiva N onostante tutto Napoli mantiene un ruolo «di assoluto dominio» all’interno della graduatoria dei primi quindici comuni più ricchi della Campania: con un Pil pari a 16,7 miliardi di euro, infatti, la città garantisce il 23% del valore aggiunto dell’intera regione (al secondo posto c’è Salerno, che si «ferma» a 3 miliardi) e quasi il 25% dell’occupazione (anche qui dopo il capoluogo partenopeo c’è la città guidata dal sindaco Vincenzo De Luca con il 2,6%). Secondo il Rapporto dell’Osservatorio Banche-Imprese, però, Napoli ha registrato una caduta del prodotto interno lordo pari a quattro punti percentuali nel periodo 2008-2013, a fronte di una crescita — sempre del valore aggiunto — di 2,6 punti dal ‘95 al 2007. Da quest’anno al 2020, comunque, si prevede una crescita del 2,7%. Un trend simile a quello segnalato per il mercato del lavoro: dopo la caduta di 4,1 punti percentuali segnalati dal 2008 al 2013, per la città all’ombra del Vesuvio si ipotizza un aumento dei posti di lavoro pari al 2,1% di qui al 2020. Ovvero fino a quando si esaurirà l’ultimo (almeno si presume) quadro comunitario di sostegno. A Napoli produttività al palo Con un valore pari a 51,1 mila euro, «la produttività del lavoro (pl) nei primi quindici comuni della Campania risulta lievemente più bassa rispetto alla media nazionale anche se in quattro comuni — per la precisione: Salerno, Battipaglia, Nocera Inferiore e Cava de’ Tirreni — il dato si posiziona a 80,1 mila euro; modesto appare di contro il dato a Napoli (45,6 mila euro)». I primi quindici comuni più ricchi della regione registrano una crescita della Pl dello 0,6% durante la fase reces- Il terziario che va I servizi rivestono un ruolo di cruciale importanza nella creazione di ricchezza (pari a poco più del 90% del totale del prodotto interno loro regionale nei primi tre comuni più ricchi: Napoli, Salerno e Caserta). Nel contempo, appare modesto il ruolo del settore agricolo: la relativa incidenza, infatti, si posiziona all’0,8% della ricchezza totale, sensibilmente inferiore al peso dell’agricoltura nell’area del Mezzogiorno (3,8%) e della Campania (3%). «È opportuno evidenziare che l’elevato peso dei servizi non ha impedito ai comuni più ricchi (in particolar modo quelli di Napoli, Caserta e Avellino) di sfuggire dagli effetti della profonda crisi recessiva». 1 Dal Tirreno all’Adriatico Area partenopea leader al Sud Nel 2014, secondo Obi, l’analisi estesa alle province chiarisce che l’area meneghina si posiziona al primo posto della 41 graduatoria relativamente alle tre variabili in esame: valore aggiunto, occupazione, produttività del lavoro; in particolare il Pil dell’area meneghina contribuisce a quasi il 10% del dato nazionale e a circa l’8% dell’occupazione totale. Al secondo posto si colloca la provincia di Roma che, con un valore aggiunto di circa 111 miliardi di euro, contribuisce a circa il 9% della ricchezza nazionale. Tra le province meridionali, invece, Napoli si distacca nettamente dalle altre province sia per valore aggiunto che per occupazione, seguita ad una certa distanza dalle province di Bari e Palermo. Il caso Pomigliano Particolarmente critica, sempre stando al Rapporto presentato a Sorrento, appare la situazione registrata a Pomigliano d’Arco, realtà fortemente industrializzata: nel quinquennio 2008-2013 il Pil è stato fotografato «in forte caduta, pari al 5,6%», mentre l’occupazione è letteralmente crollata: «-7,2%». Dal 2014 al 2020, invece, l’indicatore tornerà in territorio positivo, pur se le previsioni parlano di una crescita contenuta. Male, dal 2008 al 2013, anche i riscontri relativi al valore aggiunto e al lavoro fatti registrare da Caserta e Pozzuoli; entrambe le città, però, torneranno a crescere a ritmi abbastanza sostenuti a partire da quest’anno. lore aggiunto dei primi quindici comuni sul Pil regionale. In Campania il dato si posiziona al 43,8% (in Molise, per esempio, l’indicatore arriva fino al 66,7%); «al riguardo è opportuno sottolineare che, in generale, la maggior parte della ricchezza prodotta si concentra all’interno dei primi tre-quattro comuni più ricchi. Anche l’incidenza dell’occupazione nei primi quindici comuni sull’occupazione regionale appare significativa con una punta massima del 62,1% in Basilicata e una punta minima (35,4%) in Calabria». Molto elevato appare il contributo dei comuni più ricchi alla creazione di occupazione: in particolar modo, il comune di Napoli assorbe il 24,8% dell’intera occupazione regionale). L’economia meridionale continuerà a svilupparsi a macchia di leopardo, con aree in apprezzabile espansione contigue ad altre in declino. È quanto emerge dallo studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato al Sorrento Meeting 2014. Tra i “sentieri virtuosi” individuati dal report, il primo parte dall’Abruzzo, attraversa il Molise e si “diluisce” in Campania e Basilicata, lambendo la Puglia settentrionale. Un altro sentiero interessa il Salento e si riunisce col precedente all’altezza della Basilicata. Un nucleo di benessere relativo si individua nella Qualità della vita pessima siva 20082013 mentre in tutti i comuni più virtuosi delle altre regioni meridionali si è registrata, durante il periodo suindicato, una flessione della crescita. «La soddisfacente performance può essere attribuibile all’andamento della produttività del lavoro soprattutto in alcuni comuni tra cui Nola (+2,4%), Casoria e Pomigliano d’Arco (+1,9%). Modesta risulta la Pl nell’industria (43,5 mila euro, in linea con quella della regione, del Mezzogiorno e dell’economia italiana (55,8 mila euro in alcuni comuni). Molto positiva, invece, la performance del comparto dell’agricoltura che registra una Pl di 66,7 mila euro, sensibilmente più elevata rispetto a quella della regione (25,2 mila euro), del Mezzogiorno (20,2 mila euro) e dell’Italia (23,3 mila euro)». La ricchezza concentrata «Altre due indagini — è scritto nel dossier dell’Osservatorio Banche-Imprese — mettono in evidenza un gap rilevante tra le province del Nord e del Sud; in particolar modo, secondo l’indice di sviluppo regionale e provinciale elaborato da Confindustria, per trovare la prima provincia meridionale, occorre scendere fino al 37esimo posto, occupato dalla provincia di Cagliari, con un valore pari a 108,42 (considerando 100 il valore medio italiano)». Le aree meridionali si collocano prevalentemente nella parte bassa della graduatoria: «gli ultimi 20 posti della classifica sono occupati solo da province meridionali. Colpisce che, tra le ultime cinque, quattro si trovino in Sicilia. Anche relativamente all’indagine del Sole 24 Ore sulla qualità della vita relativa al 2013, le province meridionali occupano le ultime posizioni. In particolare, al penultimo e all’ultimo posto, troviamo due importanti capoluoghi, Palermo e Napoli, che hanno registrato un peggioramento rispetto al 2012. La prima provincia del Mezzogiorno per la qualità della vita è Nuoro (al quarantesimo posto), in salita di 13 posizioni rispetto allo scorso anno». Da uno sguardo d’insieme emergono alcuni altri interessanti aspetti. In particolare, l’incidenza del va- PAOLO GRASSI © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista al direttore di Obi Corvino «Studiando i comuni emergono sentieri virtuosi» P er la prima volta l’Osservatorio Banche-Imprese ha deciso di dirigere il suo canocchiale sui comuni meridionali, per analizzarne la produttività, ma con uno sguardo lungo che arriva fino al 2020, come la nuova programmazione dei fondi europei. E la conclusione è una, come spiega il direttore di Obi, Antonio Corvino: «Si deve tornare all’equilibrio tra domanda e offerta, per far sì che l’economia sia cooperativa e non competitiva. In sostanza, bisogna riconsiderare l’economia a livello micro, ma con occhi nuovi». Direttore Corvino, alla luce delle recenti considerazioni di Bruxelles sullo stato dell’economia italiana, la vostra analisi è ancora valida? «Sicuramente sì, anche perché siamo andati oltre l’Istat che fornisce dati sinte- tici, utilizzando il microscopio a livello comunale per leggere l’eventuale evoluzione dell’economia locale e la conclusione, purtroppo, è che si deve sviluppare in sede nazionale e locale la capacità di equilibrare il meccanismo tra domanda e offerta». In cosa consiste l’equilibrio tra domanda e offerta? «A livello internazionale il mercato è squilibrato. Per esempio, la bilancia commerciale della Germania è in surplus, mentre quella di altri Paesi è in deficit pauroso. Si tende a conquistare sempre più grandi fette di mercato senza tener conto delle realtà interne, senza considerare che certi Paesi non possono utilizzare la leva monetaria. Quindi bisogna riconsiderare l’economia a livello micro». Per questo avete scelto di “studiare” i comuni? «Vogliamo capire dove si concentrano gran parte della ricchezza e le sacche di povertà; accanto a questo seguiamo l’andamento dei livelli occupazionali: due aspetti che ci portano a verificare come un territorio si muove. Questa conoscenza è indispensabile quando si devono programmare interventi mirati, anche quelli La conoscenza del territorio è indispensabile per programmare interventi mirati relativi ai fondi europei, perché si deve sapere cosa serve davvero a un territorio. Così siamo riusciti a vedere nel Mezzogiorno piccoli sentieri virtuosi, tanto più importanti dopo il quadro di desertificazione definito dal rapporto Svimez». Quali sono i piccoli sentieri? «Per esempio quello che parte dal Molise, scende verso sud lambendo la Puglia, attraversando la Campania e termina in Basilicata: abbiamo verificato una tendenza positiva alla crescita del Pil e dell’occupazione, grazie alla capacità di riuscire ad equilibrare domanda e offerta, attraverso l’integrazione dell’agricoltura, dei servizi, del turismo e dell’industria». Quindi è possibile che il Mezzogiorno nel 2016 esca dalla recessione? «No, non ce la farà, perché i problemi sono più gravi di quanto appaiono. So- Codice cliente: 10008548 MEZZOGIORNO ECONOM IA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014 III Il Mezzogiorno che ce la fa Primo piano La luce alla fine del tunnel z zabile espansione e altre in declino. È quanto emerge dallo studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato al Sorrento Meeting 2014 le città che cavalcheranno la ripresa Sicilia centrale, con qualche propaggine nel Sud dell’Isola. Zone più svantaggiate, per fortuna meno estese e meno collegate tra loro, si distinguono chiaramente a nord di Napoli, nell’entroterra campano, nella Puglia settentrionale e centrale, nella parte più montuosa della Calabria, nella Sicilia meridionale. Ecco, per Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, i 15 comuni più ricchi (per valore aggiunto prodotto) con le stime di crescita dello per il 20142020. Insomma, il Mezzogiorno che uscirà dalla crisi, da Napoli a Bari passando per Palermo. Puglia Taranto guida la crescita, Foggia produce di più U na regione a quattro ruote motrici (Bari, Taranto, Lecce e Foggia) con tre buone ruote di scorta (Brindisi, Barletta e Andria) e un outsider, Martina Franca. È la fotografia che fa della Puglia lo studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato nel week-end del 7-8-9 novembre a Sorrento e che ipotizza per i prossimi anni una ripresa guidata da Taranto , che si diffonderà nella Puglia centrale e che lascerà ai margini le zone confinanti con la Campania e il centro del Salento. Monopoli agricola La guida di Bari Crolla il mattone In Puglia i primi quindici comuni hanno contribuito a poco più del 47% alla formazione del Pil regionale nel 2014 con una concentrazione della ricchezza di circa il 30% nei primi quattro comuni, Bari, Taranto, Lecce e Foggia. Altrettanto rilevante appare il contributo dei comuni più virtuosi all’occupazione dell’intera regione (37,5%, di cui il 10,6% nel solo comune di Bari). I comuni della Puglia evidenziano un’elevata reattività ciclica con tassi di crescita più sostenuti del Pil e dell’occupazione nelle due distinte fasi (1995-2007 e 2014-2020) a confronto della dinamica riscontrata nella regione e nel Mezzogiorno, accompagnati da una più sensibile caduta nella fase recessiva 2008-2013. L’incidenza dell’agricoltura dei primi quindici comuni sul totale del Pil appare in generale modesta, ad eccezione del comune di Monopoli (6,4%) mentre appare rilevante il peso dell’industria in molti comuni. Come più volte evidenziato la forte caduta del Pil in questi comuni, verificatasi negli anni 2008-2013, può essere attribuibile prevalentemente alla grave crisi che ha caratterizzato il settore industriale. Ad Altamura e Bitonto, si registra un discreto contributo del settore Il valore aggiunto della Bat Negli anni precedenti la crisi economica nel Mezzogiorno d’Italia il valore aggiunto del settore è cresciuto in misura più decisa in vaste aree come quella che comprende la maggior parte dei comuni delle province di BarlettaAndria-Trani, di Bari, di Taranto e di Lecce. Gli effetti della crisi La crisi economica degli anni dal 2008 al 2013 ha però colpito duramente il settore con diminuzioni del valore aggiunto del settore che in alcuni casi hanno raggiunto la doppia cifra. Le aree più colpite sono state quelle che interessano i comuni delle province pugliesi di Foggia, di Barletta-Andria-Trani, di Bari e di Taranto. Anche sul fronte dell’agricoltura la crisi economica ha avuto conseguenze pesanti per ampie aree della Puglia con i comuni delle province di Foggia e di Bari che hanno registrato la caduta più ampia del valore aggiunto settoriale. Il calo delle aree industriali In particolar modo, sono stati i comuni di Modugno (area industriale di Bari) e di Trani ad aver registrato la flessione più forte del Pil (-5,1% e -3,6%) e dell’occupazione (-4,9% e -3,6%) nel periodo della crisi dal 2008-al 2013. L’exploit di Martina Franca Le previsioni per i prossimi anni indicano una diffusa ripresa (2% per il totale del Pil e 1,4% per l’occupazione nei primi quindici comuni) con punte significative a Martina Franca il cui Pil e occupazione dovrebbero crescere, rispettivamente, del 3,3% e del 2,8% (quest’ultimo è il maggior incremento occupazionale previsto nel periodo 2014-2020 tra quelli dei primi 15 comuni pugliesi). Si distingue Trani (comune a forte vocazione industriale) che, a fronte di un recupero del Pil nel periodo 2014-2020 dell’1,2%, dovrebbe però subire una contrazione dell’occupazione — unico comune dei primi 15 pugliesi per valore aggiunto — dello 0,6 per cento. spesa è la spada di Damocle della revisione della spesa pubblica sul Pil e sull’occupazione, il che rimanda alla questione dirimente: inseguire o meno un modello di sviluppo ormai esaurito, il che non significa adottarne uno autarchico, perché ne serve uno a misura d’uomo, come può esserlo l’agricoltura familiare». Tema al centro del Salone del gusto e di Terra madre di fine ottobre. «Anche l’Onu si sta spendendo molto su l’economia familiare, sul recupero della manualità». Comunque, mentre non si intravede la ripresa del Mezzogiorno, la Grecia è uscita dalla recessione, l’Irlanda e il Portogallo si sono buttati alle spalle le proprie difficoltà e così come la Spagna guardano fiduciosi al futuro. Perché loro sì e noi no? «Noi scontiamo il ritardo nell’ammodernamento, siamo un Paese fermo che non vuol cambiare. Tuttavia va detto che quei Paesi, a parte la Spagna, sono più piccoli dell’Italia, con una popolazione mila euro). Uno scenario di semi-stagnazione caratterizza l’andamento della produttività del lavoro nei comuni più virtuosi durante le tre distinte fasi cicliche: la crescita oscilla tra 0,5-0,6% nelle due fasi di contenuta ripresa e tra -0,1% e -0,2% negli anni 2008-2013. Quanto ai differenti comparti, la produttività del lavoro appare soddisfacente nel settore delle costruzioni (39,5 mila euro), raggiungendo valori più elevati rispetto a quelli del Mezzogiorno (33,7 mila euro) e della regione (32,6 mila euro). Nell’agricoltura la produttività del lavoro si posiziona a 36,7 mila euro, quasi il doppio rispetto a quella della Puglia (18,6 mila euro) e del Mezzogiorno (20,2 mila euro). Anche nei servizi, la produttività del lavoro dei primi quindici comuni raggiunge un valore (62,6 mila euro), più alto rispetto alle altre aree territoriali. delle costruzioni alla creazione della ricchezza: ciò può spiegare la forte caduta del Pil verificatasi in questi due comuni negli ultimi cinque-sei anni. È opportuno segnalare — si legge nel volume del rapporto dell’Osservatorio BancheImprese — la forte caduta del Pil nel comune di Bari (-3,2%) nonostante l’elevato contributo dei servizi alla formazione del valore aggiunto (88,5%). Foggia la più produttiva La produttività del lavoro nei primi quindici comuni della Puglia raggiunge il valore di 57,8 mila euro nel 2014, con valori sensibilmente più elevati a Foggia (83,9 mila euro) e a Brindisi (78,8 decisamente inferiore; ma va anche aggiunto che lì si è avuto il coraggio di usare il bisturi, come non si è fatto in Italia, dove pubblica amministrazione e servizi causano ritardi spaventosi alla nostra Le prospettive al 2020 Quanto alle prospettive di sviluppo delle diverse aree per i prossimi anni, secondo le previsioni dell’Osservatorio Banche-Imprese tra le aree più promettenti c’è anche la Puglia centrale. All’opposto, si registreranno ancora forti difficoltà tra Puglia e Campania, al centro del Salento. Le variazioni più rilevanti del valore aggiunto riguarderanno Martina Franca (+3,3%), Taranto (+ 2,8% per il periodo 2014-2020), Bari (+2,6%) e Modugno (+2,6%). Ad Andria (+0,9%) e Foggia (+0,8%) è, al contrario, prevista la crescita minore tra i primi 15 comuni pugliesi per valore aggiunto. te da anni: cosa proponete di nuovo? «È la politica che deve scegliere, sapendo che il Sud si gioca tutto sulla logistica». Ma come si concilia questa ricetta con le direttive euOccorre ropee per il 2014differenziare 2020, bail più possibile sate su ril’offerta economica cerca, sostenibilità, territoriale inclusione e meno sulle infraAntonio Corvino Direttore Osservatorio Banche-Imprese strutture? «C’è un economia. In sostanza, non ci si interroga deficit politico spaventoso, e quindi insisu quale modello di sviluppo ci si vuol da- sto: c’è bisogno di una programmazione re per il futuro, mentre bisognerebbe ra- più equilibrata tra domanda e offerta». E dal territorio quale domanda arrigionare basandosi su un modello di cooperazione ancorata nel Mediterraneo, va? «Ci sono segnali precisi spesso ignoranon di competizione sfrenata». Di Mediterraneo si parla inutilmen- ti: recupero della manualità, rilancio del MICHELANGELO BORRILLO © RIPRODUZIONE RISERVATA manufatturiero, ma tutto ciò impatta con le deficienze generali». Allora si ritorna alla teoria del piccolo è bello degli anni ‘80? «No, sono cose diverse. Allora prevalevano le teorie degli economisti che proponevano la costruzione dei distretti, che si sono dimostrate esperienze fallimentari. Noi parliamo di iniziative che nascono dalla riscoperta del rapporto tra domanda e offerta sul territorio: cibi biologici, vino senza solfiti, manufatti di nicchia ed ecosostenibili, segmenti di servizi informatici all’avanguardia, proposte turistiche particolari. Qui e là, a macchia di leopardo, stanno emergendo proposte per valorizzare il passato economicamente, come in Salento e in Sila. Certo, questo non significa rinunciare alla grande impresa, ma per ampliare la capacità di resistenza dei territori bisogna differenziarne il più possibile l’offerta economica». ROSANNA LAMPUGNANI © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 10008548