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LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014
ANNO IX - N. 35
Distribuito con il Corriere della Sera - Non vendibile separatamente
ENOLOGIA
GASTRONOMIA
TURISMO
Vini, le occasioni
meridionali:
qualità entro i 15 euro
Le prelibatezze
campane sbancano
a Eataly New York
Mezzogiorno trendy,
la stagione 2015
è già partita da Londra
CASTELLANETA A PAGINA IX
A PAGINA XI
A PAGINA IX
CM
IL PUNTO
Lo studio Città per città, le previsioni dell’Osservatorio Banche-Imprese presentate al Sorrento Meeting 2014
Nel ginepraio
dei fondi europei
è l’ora del governo
Ripresa I mille volti del Meridione
Ecco le aree che cresceranno di più
DI GIUSEPPE GALASSO
iene ormai sempre più rilevata la
contraddizione profonda tra la
disponibilità di ingenti fondi europei e la
difficoltà o pratica impossibilità, di utilizzarli da
parte delle Regioni e per le altre vie previste. La
difficoltà nasce, come tutti sanno, dai limiti
frapposti alla spesa pubblica dal patto di
stabilità. Abbiamo, perciò, il paradosso di
Regioni che — miracolo! — hanno abbondanza
di cassa e non possono avvalersene.
Degna pena del contrappasso, si dirà, per chi ha
così spesso male impiegato le proprie risorse e,
quanto ai fondi europei, è stato così spesso al di
sotto degli obiettivi da raggiungere. Nella vita
pubblica la questione non può, però, in alcun
modo chiudersi con un «ben ti sta». Si esige una
soluzione positiva dei problemi dai quali
dipende l’utilizzazione di risorse preziose,
sempre, ma in particolare in momenti di crisi
come quello nel quale siamo immersi da tempo
fino al collo. Per i fondi europei il paradosso è poi
che il governo li ritiene come un’arma decisiva
nelle mani di chi ne può disporre per uscire dalla
crisi. Senonché, il patto di stabilità fissa i noti
limiti alla possibilità di spesa e, nello stesso
tempo, le norme europee fissano per
l’utilizzazione dei fondi tempi così stretti da
rendere più che pessimisti sulla possibilità di
rispettarli. È inverosimile pensare che il governo
solleciti all’uso di quei fondi, di cui conosce le
difficoltà di utilizzazione, solo per trovare un
capro espiatorio per la sempre più probabile
mancata utilizzazione. Neppure, però, il governo
può pensare che il problema si risolva da sé.
Qualcosa bisogna fare. Autorizzare alla spesa
eccedente il patto per i soli fondi europei?
Avocare quei fondi a una sede centrale che li usi
più liberamente magari per gli obiettivi voluti
dalle Regioni? Ottenere una (improbabile)
deroga europea? Sono interrogativi che
formuliamo un po’ a caso, per dare il senso del
problema. L’importante è che il governo, al
quale a questo punto tocca la parola decisiva,
indichi una strada che scongiuri la perdita dei
fondi e dia alle Regioni la possibilità sia di
respirare, sia di raggiungere gli obiettivi che si
sono proposti (salvo, è ovvio, il loro vaglio, se
ancora non c’è stato, nelle sedi competenti).
V
DI BORRILLO, GRASSI, MARTINA,
SCAVUZZO E SCHIARITI
1
I comuni in pole position
L’analisi Parla il direttore di Obi
L’
economia meridionale
continuerà a svilupparsi a macchia di leopardo, con aree in apprezzabile
espansione contigue ad altre in
declino. È quanto emerge dallo
studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato al Sorrento Meeting 2014. Ecco, per
Campania, Puglia, Basilicata,
Calabria e Sicilia, i 15 comuni
più ricchi (per valore aggiunto
prodotto) con le stime di crescita dello per il 2014-2020. Insomma, il Mezzogiorno che
uscirà dalla crisi, da Napoli a
Bari passando per Palermo.
Con Ragusa e Catania a tirare la
volata, seguite da Avellino, Caserta, Crotone e Taranto con
l’outsider pugliese Martina
Franca.
Corvino «Salento e Sila
gli esempi da seguire»
«Sanno riscoprire il passato»
DI ROSANNA LAMPUGNANI
«S
tanno emergendo proposte per valorizzare
economicamente il passato
del Sud, come in Salento e in
Sila. Ciò non significa rinunciare alla grande impresa,
ma è importante differenziare l’offerta economica».
È la ricetta di Antonio Corvino, direttore dell’Osservatorio Banche-Imprese.
ALLE PAGINE II, III, IV E V
” L’intervista
A PAGINA II
Legge Stabilità Confindustria contro le misure di Renzi
Church: «Inglesi
e napoletani
uniti dalle scarpe»
Tagli Ue Squinzi con il Sud
Coca-Cola si dimostri
multinazionale salutista
DI EMANUELE IMPERIALI
DI PIETRO MOLINARO *
DI PAOLA CACACE
«S
Jonathan Church (a sinistra)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
A PAGINA X
ono poche le risorse per favorire gli investimenti perciò abbiamo bisogno di utilizzarle per intero,
ripristinando l’esclusione della spesa
per il cofinanziamento dei fondi
strutturali dal Patto di Stabilità delle
Regioni». Il numero uno di Confindustria è con il Sud nel respingere i
tagli ai cofinanziamento dei fondi Ue
previsti dal governo.
Accordo partenariato
Sulle risorse 2014-2020
di Bruxelles
vigila la neonata
Agenzia di Coesione
A PAGINA VII
A PAGINA VI
Il caso Nell’Isola l’Eni ha trovato un’intesa con istituzioni e sindacati, in riva allo Jonio pesa l’Ilva
Se Gela esulta per la raffineria e Taranto protesta
In Sicilia l’ambientalizzazione salva il petrolchimico, in Puglia no a Tempa rossa
P
erché in Sicilia sì e in Puglia no? Perché nell’Isola, in una zona massacrata dall’industrializzazione
«sporca» degli anni Cinquanta come il territorio di Gela, è
possibile chiudere un accordo
«pesante» per trasformare la
raffineria dell’Eni in impianto
«sostenibile»? E perché in Puglia, nella città del’Ilva, della
Cementir, dell’arsenale, si dice
no al pontile da cui far transitare il petrolio estratto nella vicina Tempa rossa, località della Basilicata, per traghettarlo
verso la raffineria di Marghera? È semplicistico rispondere
che la differenza è nel ruolo
svolto dagli ambientalisti tarantini che con i loro no hanno
” L’intervento
spinto il consiglio comunale a
smentire se stesso, modificando la decisione di tre anni fa
per dire no al pontile, sapendo
che il loro voto ha un valore
puramente consultivo, dato
che è il governo che decide su
questa materia. Ovviamente le
vicende sono più complesse,
ma sta di fatto che in Sicilia, ragionando intorno a un tavolo, i
vari soggetti - l’Eni che avrebbe voluto chiudere la raffineria di Gela, i sindacati pronti
alle barricate per difendere i
posti di lavoro, le istituzioni locali e il viceministro dello Sviluppo economico Claudio De
Vincenti — hanno trovato una
soluzione che va nella direzione giusta, come spiega il co-
Chiusura evitata
Il petrolchimico
di Gela diventa eco
compatibile: posti
di lavoro salvati
municato con cui si è inchiavardato il protocollo d’intesa:
la raffineria diventerà «verde», gli operai interni e dell’indotto continueranno a lavora-
re e nel territorio di Gela verranno insediati una bioraffineria e un nuovo centro di alto
livello per la sicurezza nel settore dei biocarburanti. A Taranto non è nemmeno immaginabile un accordo simile perché il peso dell’Ilva, con il suo
carico di sostanze inquinanti,
impedisce qualsiasi ragionamento su uno sviluppo a breve
e medio termine nel perimetro
industriale, per cui si dice no
anche alle petroliere nel porto,
al passaggio del petrolio, tutto
italiano, tutto meridionale: no
e basta. Forse, se non si vuol
perseguire la decadenza della
città, è tempo che Taranto ingaggi scienziati, tecnici ed
esperti per farsi spiegare cosa
è dannoso per la salute e cosa
non lo è, cosa è compatibile
per l’ambiente e cosa non lo è.
RO. LA.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
F
are tesoro dell’aumento dal 12 al 20%
della percentuale di succo di arance nelle bibite,
dichiarando in etichetta
la provenienza: è la nostra proposta alla Coca-Cola per diventare multinazionale salutista.
* presidente Coldiretti Calabria
A PAGINA VIII
II
MEZZOGIORNO ECONOM IA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014
Primo piano
Il Mezzogiorno che ce la fa
La luce alla fine del tunnel
L’analisi L’economia meridionale continuerà a svilupparsi a macchia di leopardo, con aree in apprez
I mille volti del Sud Ecco
Campania
Napoli la più ricca. Ma anche la meno produttiva
N
onostante tutto Napoli mantiene un ruolo «di
assoluto dominio» all’interno della graduatoria
dei primi quindici comuni più ricchi della Campania:
con un Pil pari a 16,7 miliardi di euro, infatti, la città
garantisce il 23% del valore aggiunto dell’intera regione (al secondo posto c’è Salerno, che si «ferma» a
3 miliardi) e quasi il 25% dell’occupazione (anche qui
dopo il capoluogo partenopeo c’è la città guidata dal
sindaco Vincenzo De Luca con il 2,6%). Secondo il
Rapporto dell’Osservatorio Banche-Imprese, però,
Napoli ha registrato una caduta del prodotto interno
lordo pari a quattro punti percentuali nel periodo
2008-2013, a fronte di una crescita — sempre
del valore aggiunto — di 2,6 punti dal ‘95 al 2007. Da quest’anno al
2020, comunque, si prevede una
crescita del 2,7%. Un trend simile a
quello segnalato per il mercato del
lavoro: dopo la caduta di 4,1 punti
percentuali segnalati dal 2008 al
2013, per la città all’ombra del Vesuvio si ipotizza un aumento dei posti
di lavoro pari al 2,1% di qui al 2020.
Ovvero fino a quando si esaurirà l’ultimo (almeno si presume) quadro comunitario di sostegno.
A Napoli produttività al palo
Con un valore pari a 51,1 mila euro, «la produttività
del lavoro (pl) nei primi quindici comuni della Campania risulta lievemente più bassa rispetto alla media
nazionale anche se in quattro comuni — per la precisione: Salerno, Battipaglia, Nocera Inferiore e Cava
de’ Tirreni — il dato si posiziona a 80,1 mila euro; modesto appare di contro il dato a Napoli (45,6 mila euro)». I primi quindici comuni più ricchi della regione
registrano una crescita della Pl dello
0,6% durante la fase
reces-
Il terziario che va
I servizi rivestono un ruolo di cruciale importanza
nella creazione di ricchezza (pari a poco più del 90%
del totale del prodotto interno loro regionale nei primi tre comuni più ricchi: Napoli, Salerno e Caserta).
Nel contempo, appare modesto il ruolo del settore
agricolo: la relativa incidenza, infatti, si posiziona all’0,8% della ricchezza totale, sensibilmente inferiore
al peso dell’agricoltura nell’area del Mezzogiorno
(3,8%) e della Campania (3%). «È opportuno evidenziare che l’elevato peso dei servizi non ha impedito ai comuni più ricchi (in particolar modo quelli di
Napoli, Caserta e Avellino) di sfuggire dagli effetti
della profonda crisi recessiva».
1
Dal Tirreno all’Adriatico
Area partenopea leader al Sud
Nel 2014, secondo Obi, l’analisi estesa alle province chiarisce che l’area meneghina si posiziona
al primo posto della 41 graduatoria relativamente
alle tre variabili in esame: valore aggiunto, occupazione, produttività del lavoro; in particolare il
Pil dell’area meneghina contribuisce a quasi il
10% del dato nazionale e a circa l’8% dell’occupazione totale. Al secondo posto si colloca la
provincia di Roma che, con un valore aggiunto
di circa 111 miliardi di euro, contribuisce a circa il 9% della ricchezza nazionale. Tra le province meridionali, invece, Napoli si distacca
nettamente dalle altre province sia per valore aggiunto che per occupazione, seguita ad
una certa distanza dalle province di Bari e
Palermo.
Il caso Pomigliano
Particolarmente critica, sempre stando al Rapporto presentato a Sorrento,
appare la situazione registrata a Pomigliano d’Arco, realtà fortemente industrializzata: nel quinquennio 2008-2013 il
Pil è stato fotografato «in forte caduta, pari al 5,6%», mentre l’occupazione è letteralmente crollata: «-7,2%». Dal 2014 al 2020,
invece, l’indicatore tornerà in territorio positivo, pur se le previsioni parlano di una
crescita contenuta.
Male, dal 2008 al 2013, anche i riscontri relativi al valore aggiunto e al lavoro fatti registrare da Caserta e Pozzuoli; entrambe le città,
però, torneranno a crescere a ritmi abbastanza
sostenuti a partire da quest’anno.
lore aggiunto dei primi quindici comuni sul Pil regionale. In Campania il dato si posiziona al 43,8% (in
Molise, per esempio, l’indicatore arriva fino al
66,7%); «al riguardo è opportuno sottolineare che, in
generale, la maggior parte della ricchezza prodotta si
concentra all’interno dei primi tre-quattro comuni
più ricchi. Anche l’incidenza dell’occupazione nei
primi quindici comuni sull’occupazione regionale
appare significativa con una punta massima del
62,1% in Basilicata e una punta minima (35,4%) in
Calabria». Molto elevato appare il contributo dei comuni più ricchi alla creazione di occupazione: in particolar modo, il comune di Napoli assorbe il 24,8%
dell’intera occupazione regionale).
L’economia meridionale continuerà a svilupparsi a macchia di leopardo, con aree in apprezzabile espansione contigue ad altre in declino.
È quanto emerge dallo studio dell’Osservatorio
Banche-Imprese presentato al Sorrento Meeting 2014. Tra i “sentieri virtuosi” individuati
dal report, il primo parte dall’Abruzzo, attraversa il Molise e si “diluisce” in Campania e Basilicata, lambendo la Puglia settentrionale. Un
altro sentiero interessa il Salento e si riunisce
col precedente all’altezza della Basilicata. Un
nucleo di benessere relativo si individua nella
Qualità della vita pessima
siva 20082013 mentre in tutti i comuni più
virtuosi delle altre regioni meridionali si è registrata, durante il periodo suindicato, una flessione
della crescita. «La soddisfacente performance può essere attribuibile all’andamento della produttività del
lavoro soprattutto in alcuni comuni tra cui Nola
(+2,4%), Casoria e Pomigliano d’Arco (+1,9%). Modesta risulta la Pl nell’industria (43,5 mila euro, in linea
con quella della regione, del Mezzogiorno e dell’economia italiana (55,8 mila euro in alcuni comuni).
Molto positiva, invece, la performance del comparto
dell’agricoltura che registra una Pl di 66,7 mila euro,
sensibilmente più elevata rispetto a quella della regione (25,2 mila euro), del Mezzogiorno (20,2 mila
euro) e dell’Italia (23,3 mila euro)».
La ricchezza concentrata
«Altre due indagini — è scritto nel
dossier dell’Osservatorio Banche-Imprese
— mettono in evidenza un gap rilevante
tra le province del Nord e del Sud; in particolar modo,
secondo l’indice di sviluppo regionale e provinciale elaborato da Confindustria, per trovare la prima provincia
meridionale, occorre scendere fino al 37esimo posto,
occupato dalla provincia di Cagliari, con un valore pari
a 108,42 (considerando 100 il valore medio italiano)».
Le aree meridionali si collocano prevalentemente nella
parte bassa della graduatoria: «gli ultimi 20 posti della
classifica sono occupati solo da province meridionali.
Colpisce che, tra le ultime cinque, quattro si trovino
in Sicilia. Anche relativamente all’indagine del Sole 24
Ore sulla qualità della vita relativa al 2013, le province
meridionali occupano le ultime posizioni. In particolare, al penultimo e all’ultimo posto, troviamo due importanti capoluoghi, Palermo e Napoli, che hanno registrato un peggioramento rispetto al 2012. La prima provincia del Mezzogiorno per la qualità della vita è Nuoro (al
quarantesimo posto), in salita di 13 posizioni rispetto
allo scorso anno».
Da uno sguardo d’insieme emergono alcuni altri
interessanti aspetti. In particolare, l’incidenza del va-
PAOLO GRASSI
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’intervista al direttore di Obi Corvino
«Studiando i comuni emergono sentieri virtuosi»
P
er la prima volta l’Osservatorio Banche-Imprese ha deciso di dirigere il
suo canocchiale sui comuni meridionali,
per analizzarne la produttività, ma con
uno sguardo lungo che arriva fino al
2020, come la nuova programmazione
dei fondi europei. E la conclusione è una,
come spiega il direttore di Obi, Antonio
Corvino: «Si deve tornare all’equilibrio
tra domanda e offerta, per far sì che
l’economia sia cooperativa e non competitiva. In sostanza, bisogna riconsiderare
l’economia a livello micro, ma con occhi
nuovi».
Direttore Corvino, alla luce delle recenti considerazioni di Bruxelles sullo
stato dell’economia italiana, la vostra
analisi è ancora valida?
«Sicuramente sì, anche perché siamo
andati oltre l’Istat che fornisce dati sinte-
tici, utilizzando il microscopio a livello
comunale per leggere l’eventuale evoluzione dell’economia locale e la conclusione, purtroppo, è che si deve sviluppare in
sede nazionale e locale la capacità di
equilibrare il meccanismo tra domanda
e offerta».
In cosa consiste l’equilibrio tra domanda e offerta?
«A livello internazionale il mercato è
squilibrato. Per esempio, la bilancia commerciale della Germania è in surplus,
mentre quella di altri Paesi è in deficit
pauroso. Si tende a conquistare sempre
più grandi fette di mercato senza tener
conto delle realtà interne, senza considerare che certi Paesi non possono utilizzare la leva monetaria. Quindi bisogna riconsiderare l’economia a livello micro».
Per questo avete scelto di “studiare”
i comuni?
«Vogliamo capire dove si concentrano
gran parte della ricchezza e le sacche di
povertà; accanto a questo seguiamo l’andamento dei livelli occupazionali: due
aspetti che ci portano a verificare come
un territorio si muove. Questa conoscenza è indispensabile quando si devono programmare interventi mirati, anche quelli
La conoscenza
del territorio
è indispensabile
per programmare
interventi mirati
relativi ai fondi europei, perché si deve sapere cosa serve davvero a un territorio.
Così siamo riusciti a vedere nel Mezzogiorno piccoli sentieri virtuosi, tanto più
importanti dopo il quadro di desertificazione definito dal rapporto Svimez».
Quali sono i piccoli sentieri?
«Per esempio quello che parte dal Molise, scende verso sud lambendo la Puglia, attraversando la Campania e termina
in Basilicata: abbiamo verificato una tendenza positiva alla crescita del Pil e dell’occupazione, grazie alla capacità di riuscire ad equilibrare domanda e offerta,
attraverso l’integrazione dell’agricoltura,
dei servizi, del turismo e dell’industria».
Quindi è possibile che il Mezzogiorno nel 2016 esca dalla recessione?
«No, non ce la farà, perché i problemi
sono più gravi di quanto appaiono. So-
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MEZZOGIORNO ECONOM IA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 2014
III
Il Mezzogiorno che ce la fa
Primo piano
La luce alla fine del tunnel
z zabile espansione e altre in declino. È quanto emerge dallo studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato al Sorrento Meeting 2014
le città che cavalcheranno la ripresa
Sicilia centrale, con qualche propaggine nel
Sud dell’Isola. Zone più svantaggiate, per fortuna meno estese e meno collegate tra loro, si
distinguono chiaramente a nord di Napoli, nell’entroterra campano, nella Puglia settentrionale e centrale, nella parte più montuosa della
Calabria, nella Sicilia meridionale. Ecco, per
Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia,
i 15 comuni più ricchi (per valore aggiunto prodotto) con le stime di crescita dello per il 20142020. Insomma, il Mezzogiorno che uscirà dalla crisi, da Napoli a Bari passando per Palermo.
Puglia
Taranto guida la crescita, Foggia produce di più
U
na regione a quattro ruote motrici (Bari, Taranto, Lecce e Foggia) con tre buone ruote di
scorta (Brindisi, Barletta e Andria) e un outsider,
Martina Franca. È la fotografia che fa della Puglia lo
studio dell’Osservatorio Banche-Imprese presentato nel week-end del 7-8-9 novembre a Sorrento e
che ipotizza per i prossimi anni una ripresa guidata
da Taranto , che si diffonderà nella Puglia centrale e
che lascerà ai margini le zone confinanti con la
Campania e il centro del Salento.
Monopoli agricola
La guida di Bari
Crolla il mattone
In Puglia i primi quindici comuni hanno contribuito a poco più del 47% alla
formazione del Pil regionale nel 2014 con
una concentrazione della ricchezza di
circa il 30% nei primi quattro comuni,
Bari, Taranto, Lecce e Foggia. Altrettanto rilevante appare il contributo dei comuni più virtuosi all’occupazione dell’intera regione (37,5%, di cui il 10,6%
nel solo comune di Bari).
I comuni della Puglia evidenziano
un’elevata reattività ciclica con tassi
di crescita più sostenuti del Pil e
dell’occupazione nelle due distinte
fasi (1995-2007 e 2014-2020) a
confronto della dinamica riscontrata nella regione e nel Mezzogiorno, accompagnati da una più
sensibile caduta nella fase recessiva 2008-2013.
L’incidenza dell’agricoltura dei primi quindici
comuni sul totale del Pil appare in generale modesta, ad eccezione del comune di Monopoli (6,4%)
mentre appare rilevante il peso dell’industria in
molti comuni.
Come più volte evidenziato la forte caduta del Pil
in questi comuni, verificatasi negli anni 2008-2013,
può essere attribuibile prevalentemente alla grave
crisi che ha caratterizzato il settore industriale.
Ad Altamura e Bitonto, si registra un
discreto contributo del
settore
Il valore aggiunto della Bat
Negli anni precedenti la crisi economica nel Mezzogiorno d’Italia il valore aggiunto del settore è cresciuto in
misura più decisa in vaste aree come
quella che comprende la maggior parte
dei comuni delle province di BarlettaAndria-Trani, di Bari, di Taranto e di
Lecce.
Gli effetti della crisi
La crisi economica degli anni dal 2008 al
2013 ha però colpito duramente il settore
con diminuzioni del valore aggiunto del settore che in alcuni casi hanno raggiunto la
doppia cifra. Le aree più colpite sono state
quelle che interessano i comuni delle province
pugliesi di Foggia, di Barletta-Andria-Trani, di
Bari e di Taranto. Anche sul fronte dell’agricoltura la crisi economica ha avuto conseguenze
pesanti per ampie aree della Puglia con i comuni
delle province di Foggia e di Bari che hanno registrato la caduta più ampia del valore aggiunto
settoriale.
Il calo delle aree
industriali
In particolar modo, sono stati
i comuni di Modugno (area industriale di Bari) e di Trani ad
aver registrato la flessione più
forte del Pil (-5,1% e -3,6%) e
dell’occupazione (-4,9% e -3,6%)
nel periodo della crisi dal 2008-al 2013.
L’exploit di Martina Franca
Le previsioni per i prossimi anni indicano una
diffusa ripresa (2% per il totale del Pil e 1,4% per
l’occupazione nei primi quindici comuni) con
punte significative a Martina Franca il cui Pil e
occupazione dovrebbero crescere, rispettivamente, del 3,3% e del 2,8% (quest’ultimo è il
maggior incremento occupazionale previsto nel
periodo 2014-2020 tra quelli dei primi 15 comuni
pugliesi).
Si distingue Trani (comune a forte vocazione
industriale) che, a fronte di un recupero del Pil
nel periodo 2014-2020 dell’1,2%, dovrebbe però
subire una contrazione dell’occupazione — unico
comune dei primi 15 pugliesi per valore aggiunto
— dello 0,6 per cento.
spesa è la spada di Damocle della revisione della spesa pubblica sul Pil e sull’occupazione, il che rimanda alla questione dirimente: inseguire o meno un modello di
sviluppo ormai esaurito, il che non significa adottarne uno autarchico, perché ne
serve uno a misura d’uomo, come può esserlo l’agricoltura familiare».
Tema al centro del Salone del gusto
e di Terra madre di fine ottobre.
«Anche l’Onu si sta spendendo molto
su l’economia familiare, sul recupero della manualità».
Comunque, mentre non si intravede
la ripresa del Mezzogiorno, la Grecia è
uscita dalla recessione, l’Irlanda e il
Portogallo si sono buttati alle spalle le
proprie difficoltà e così come la Spagna guardano fiduciosi al futuro. Perché loro sì e noi no?
«Noi scontiamo il ritardo nell’ammodernamento, siamo un Paese fermo che
non vuol cambiare. Tuttavia va detto che
quei Paesi, a parte la Spagna, sono più
piccoli dell’Italia, con una popolazione
mila euro). Uno scenario di semi-stagnazione caratterizza l’andamento della produttività del lavoro nei comuni più virtuosi durante le tre distinte
fasi cicliche: la crescita oscilla tra 0,5-0,6% nelle
due fasi di contenuta ripresa e tra -0,1% e -0,2%
negli anni 2008-2013. Quanto ai differenti comparti, la produttività del lavoro appare soddisfacente nel settore delle costruzioni (39,5 mila euro), raggiungendo valori più elevati rispetto a
quelli del Mezzogiorno (33,7 mila euro) e della
regione (32,6 mila euro). Nell’agricoltura la produttività del lavoro si posiziona a 36,7 mila euro,
quasi il doppio rispetto a quella della Puglia (18,6
mila euro) e del Mezzogiorno (20,2 mila euro).
Anche nei servizi, la produttività del lavoro dei
primi quindici comuni raggiunge un valore
(62,6 mila euro), più alto rispetto alle altre aree territoriali.
delle costruzioni alla creazione
della ricchezza: ciò può spiegare la forte caduta del
Pil verificatasi in questi due comuni negli ultimi
cinque-sei anni. È opportuno segnalare — si legge
nel volume del rapporto dell’Osservatorio BancheImprese — la forte caduta del Pil nel comune di
Bari (-3,2%) nonostante l’elevato contributo dei
servizi alla formazione del valore aggiunto
(88,5%).
Foggia la più produttiva
La produttività del lavoro nei primi quindici
comuni della Puglia raggiunge il valore di 57,8 mila euro nel 2014, con valori sensibilmente più elevati a Foggia (83,9 mila euro) e a Brindisi (78,8
decisamente inferiore; ma va anche aggiunto che lì si è avuto il coraggio di usare
il bisturi, come non si è fatto in Italia, dove pubblica amministrazione e servizi
causano ritardi spaventosi alla nostra
Le prospettive al 2020
Quanto alle prospettive di sviluppo delle diverse aree per i prossimi anni, secondo le previsioni
dell’Osservatorio Banche-Imprese tra le aree più
promettenti c’è anche la Puglia centrale. All’opposto, si registreranno ancora forti difficoltà tra Puglia e Campania, al centro del Salento. Le variazioni più rilevanti del valore aggiunto riguarderanno
Martina Franca (+3,3%), Taranto (+ 2,8% per il
periodo 2014-2020), Bari (+2,6%) e Modugno
(+2,6%). Ad Andria (+0,9%) e Foggia (+0,8%) è, al
contrario, prevista la crescita minore tra i primi 15
comuni pugliesi per valore aggiunto.
te da anni: cosa proponete di nuovo?
«È la politica che deve scegliere, sapendo che il Sud si gioca tutto sulla logistica».
Ma come si concilia questa ricetta
con le direttive euOccorre
ropee per
il 2014differenziare
2020, bail più possibile
sate su ril’offerta economica cerca, sostenibilità,
territoriale
inclusione
e meno
sulle infraAntonio Corvino Direttore Osservatorio Banche-Imprese
strutture?
«C’è un
economia. In sostanza, non ci si interroga deficit politico spaventoso, e quindi insisu quale modello di sviluppo ci si vuol da- sto: c’è bisogno di una programmazione
re per il futuro, mentre bisognerebbe ra- più equilibrata tra domanda e offerta».
E dal territorio quale domanda arrigionare basandosi su un modello di cooperazione ancorata nel Mediterraneo, va?
«Ci sono segnali precisi spesso ignoranon di competizione sfrenata».
Di Mediterraneo si parla inutilmen- ti: recupero della manualità, rilancio del
MICHELANGELO BORRILLO
© RIPRODUZIONE RISERVATA
manufatturiero, ma tutto ciò impatta con
le deficienze generali».
Allora si ritorna alla teoria del piccolo è bello degli anni ‘80?
«No, sono cose diverse. Allora prevalevano le teorie degli economisti che
proponevano la costruzione dei distretti,
che si sono dimostrate esperienze fallimentari. Noi parliamo di iniziative che
nascono dalla riscoperta del rapporto
tra domanda e offerta sul territorio: cibi
biologici, vino senza solfiti, manufatti di
nicchia ed ecosostenibili, segmenti di
servizi informatici all’avanguardia, proposte turistiche particolari. Qui e là, a
macchia di leopardo, stanno emergendo
proposte per valorizzare il passato economicamente, come in Salento e in Sila.
Certo, questo non significa rinunciare
alla grande impresa, ma per ampliare la
capacità di resistenza dei territori bisogna differenziarne il più possibile l’offerta economica».
ROSANNA LAMPUGNANI
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