I.S.I.S. “GIULIO NATTA” BERGAMO LICEO SCIENTIFICO TECNOLOGICO 5C MAGNETAR Candidato: ADAMI ANDREA a.s.: 2013/2014 INDICE Introduzione 3 Magnetar 4 1. La scoperta 4 2. L’origine 4 3. La formazione 5 4. Conseguenze del campo magnetico 6 5. Starquake 6 Le stelle 7 1. Caratteristiche chimico-fisiche 7 2. Il ciclo evolutivo 8 Spettropolarimetro 10 Enantiomeri 10 1. Attività ottica 11 Le onde elettromagnetiche 13 1. La polarizzazione 14 Fisica quantistica 15 Hans Bethe e il progetto Manhattan 17 Bomba H e Guerra Fredda 17 Ciclo protone-protone 18 George Orwell 19 1. Nineteen Eighty-Four 19 Conclusioni 22 Sitografia 23 2 INTRODUZIONE Il protagonista del progetto sono le magnetar, le stelle con il campo magnetico più potente nell’Universo. Nelle pagine a seguire verrà spiegato l’argomento analizzando in particolare gli studi svolti dagli anni Ottanta fino ai giorni nostri, partendo dalle prime scoperte; le ricerche hanno permesso di comprendere la vera natura di questi corpi celesti assai oscuri e misteriosi. Il lavoro presenta una prima parte nella quale viene spiegato ed approfondito il concetto di magnetar; vi è poi il collegamento a scienze e quindi alla volta celeste, con l’analisi delle tipologie di stelle ed il loro ciclo evolutivo. Si passerà quindi ad una breve analisi dello spettropolarimetro, lo strumento utilizzato dagli astronomi per osservare le peculiarità delle stelle, riferendosi a ciò che concerne nell’ambito prima chimico (enantiomeria e polarimetria) e poi fisico (onde e fisica quantistica). Ci si collegherà alla storia delle bombe atomiche e della guerra fredda grazie al fisico Hans Bethe che scoprì la produzione di energia nelle stelle (ciclo protone-protone). Infine troveremo un approfondimento, in lingua inglese, sullo scrittore britannico George Orwell che per primo utilizzò il termine guerra fredda. Studiando l’elettromagnetismo in fisica, sono stato colpito dall’esistenza di un corpo così ambiguo ed insolito, il sopracitato magnetar, a tal punto che ho deciso di effettuare una breve ricerca per saperne di più. L’argomento ha suscitato il mio interesse vedendo anche che molti scienziati non furono inizialmente in grado di comprendere la natura di tale corpo. Da quel momento ho cercato sempre più informazioni che fossero in grado di chiarirmi le idee e sono stato quindi in grado di stendere una relazione, che personalmente considero molto approfondita, che comprendesse anche collegamenti interdisciplinari. Ddddddd dd d d d d d d d d d d d interdisciplinari. 3 Una magnetar è il corpo celeste con il più grande campo magnetico finora conosciuto, la cui intensità si aggira intorno a 1015 G; valori di questo ordine di grandezza sono assai elevati (la Terra ha un campo magnetico di soli 0,5 G). Il nome magnetar (contrazione dei termini inglesi “magnetic star”, tradotto: stella magnetica) è stato coniato nel 1993 da Robert C. Duncan e Christopher Thompson, astrofisici all’università di Austin, Texas. Una magnetar è una stella di neutroni che, grazie all’enorme campo magnetico, è in grado di produrre abbondanti onde elettromagnetiche; la sua vita è molto breve, circa 10.000 anni, dopo i quali l’emissione di onde si conclude e la stella si spegne. LA SCOPERTA Nonostante l’effettiva teoria sulla nascita delle magnetar sia stata formulata nel 1993, le prime scoperte risalgono a circa 15 anni prima. Il 5 marzo del 1979 due navicelle spaziali sovietiche, che viaggiavano all’interno del sistema solare, vennero colpite da un’enorme quantità di raggi gamma; undici secondi dopo quest’ultimi arrivarono sulla Terra. I radar registrarono un’intensità di radiazione 100 volte superiore a qualsiasi altro raggio gamma mai riscontrato; sebbene quest’energia sia stata irradiata in appena due decimi di secondo, è l’equivalente di energia propagata dal Sole in 10.000 anni. Si pensi che, a causa dello scoppio, lo strato più interno della ionosfera è stato schiacciato all’interno di circa 60 Km per cinque minuti. Nei successivi quattro anni ben sedici esplosioni vennero rilevate, sempre provenienti dalla medesima parte di Universo, tutte però meno potenti della prima e per questo motivo un meeting di astronomi coniò un nuovo termine per rappresentare l’ipotetico oggetto, padre delle esplosioni: Soft Gamma Repeaters (abbreviato SGRs e tradotto “Ripetitore di raggi gamma morbidi”). L’aggettivo soft indica che le radiazioni appartengono alla fascia a più bassa frequenza dei raggi gamma (o a quella più elevata dei raggi x, infatti possono essere anche definiti come raggi x pesanti), quindi di circa 1020 Hz, e non che possiedono una bassa intensità. Tredici anni dopo venne usato il termine magnetar per definire il medesimo corpo celeste. L’ORIGINE Scienziati di tutto il mondo si sorpresero di questa nuova scoperta ed avanzarono teorie sulla possibile causa dell’insolito fenomeno, in particolare della prima esplosione. Inizialmente si ipotizzò che lo scoppio, essendo assai luminoso ed energetico, dovesse provenire da un luogo relativamente vicino al Sistema Solare: circa 1000 a.l.1 In questo modo la luminosità dei raggi sarebbe stata appena sotto il limite di Eddington. Il limite di Eddington è un massimo valore prefissato di luminosità di un corpo celeste, ed è determinabile dalla seguente equazione: LEDD= 33.000 * (M/ Mʘ)*Lʘ dove Mʘ e Lʘ sono rispettivamente massa e luminosità del Sole. Bisogna evidenziare però che questo limite non è valido per i corpi instabili, quali le supernove per esempio. Ciò spiega il fatto che questa teoria non fu confutabile. 1 12 A.l.= anno luce = distanza percorsa dalla luce in un anno = 9,46 * 10 Km 4 Infatti, grazie a studi approfonditi, si riuscì a determinare l’esatta provenienza dell’esplosione: la Grande Nube di Magellano, situata a circa 170.000 a.l. da noi. Conoscendo la distanza, si determinò che la luminosità supera di un milione di volte il limite di Eddington. Gli astronomi capirono perciò che un fenomeno di tale calibro poteva essere stato creato da un corpo raro ed insolito. Si pensò dapprima ad un buco nero, ma l’ipotesi venne scartata in quanto non possedendo una struttura definita, il buco nero non può produrre radiazioni così intense. La seconda ipotesi, che è tuttora quella certa, riguarda le stelle di neutroni. Esse sono piccole stelle formate da neutroni compattati che possiedono una massa circa pari a quella del Sole; ma, essendo contenuta in una sfera di raggio di poche decine di chilometri, ha una densità straordinaria, circa 1014 volte più alta del Sole. Ha inoltre un’attrazione gravitazionale gigantesca ed una rapida velocità di rotazione. LA FORMAZIONE Nonostante fosse stata compresa la vera origine della magnetar, restava da capire come potesse generarsi l’intenso campo magnetico. Vi sono due meccanismi all’interno di una qualsiasi stella che, composti insieme, danno origine ad un campo magnetico: Convezione: Il gas contenuto negli strati interni, circola per convezione: un moto di fluidi o gas che crea cicli continui. I gas più caldi, e di conseguenza più leggeri, salgono verso la superficie; qui si raffreddano e ritornano verso l’interno. Questi movimenti, detti appunto cicli concettivi, permettono il rimescolamento della materia nella stella. I cicli trasferiscono parte della loro energia cinetica (dovuta al movimento) al campo magnetico facendone aumentare l’intensità. Dinamo solare: Si prenda come esempio il Sole, per facilitare il ragionamento; questo meccanismo è valido anche nelle magnetar ma è amplificato. Il Sole possiede un proprio campo magnetico bipolare (come la Terra) con un Polo Nord ed un Polo Sud, e le linee magnetiche scorrono in senso circolare dal polo positivo a quello negativo. Inoltre la materia superficiale scorre con velocità differenti in base alla longitudine, dove all’equatore si trova la velocità massima; ciò crea una distorsione del campo magnetico, le cui linee di campo seguono l’andamento della materia. Esse si avvolgono intorno alla stella e portano ad un aumento del campo magnetico. 5 Duncan e Thompson dimostrarono che, per ottenere dei campi magnetici estremamente intensi, è necessario che il periodo di rotazione della stella di neutroni sia pressoché uguale o maggiore del periodo di convezione del fluido; deve cioè girare su se stessa molto velocemente. E’ quindi questo il requisito necessario che deve avere la neonata stella di neutroni, affinché possa diventare una magnetar. L’aumento di rotazione è dovuto alla perdita di una gran quantità di massa della stella originaria. Circa una stella di neutroni su dieci è in grado di trasformarsi in una magnetar. CONSEGUENZE DEL CAMPO MAGNETICO Come detto in precedenza, le magnetar possiedono un campo magnetico dell’ordine di 1015 G. Duncan e Thompson si resero conto che in queste situazioni accadono fenomeni mai visti in precedenza, che alterano la natura della materia stessa: I fotoni, principalmente quelli appartenenti ai raggi-x, si separano o si fondono insieme. Il vuoto si polarizza facendo cambiare velocità e lunghezza d’onda alle onde. Gli atomi subiscono una deformazione e si allungano, assottigliandosi; ad esempio un atomo di idrogeno diventa 200 volte più stretto del solito. STARQUAKE Con il passare degli anni e grazie all’evolversi della tecnologia, si riuscì a decifrare l’esatta natura delle esplosioni: improvvisi aggiustamenti della superficie della stelle, analoghi ai terremoti, detti quindi starquake (“letteralmente stella-moto”). A causa delle elevate tensioni superficiali, dovute sempre al campo magnetico, la crosta della magnetar subisce degli spostamenti improvvisi. Si libera così una palla di fuoco formata da elettroni e positroni, che inizialmente rimane intrappolata dalle linee del campo magnetico; tende poi a scomparire sottoforma di radiazioni elettromagnetiche nel giro di qualche minuto e, possedendo un’elevata intensità, sono in grado di viaggiare nello spazio e raggiungere la Terra. Sono proprio queste le esplosioni che sono state rilevate sin dal 1979. 6 LE STELLE Le stelle sono i corpi celesti maggiormente diffusi nell’Universo e brillano di luce propria, prodotta dalle reazioni termonucleari che avvengono al loro interno. Sono visibili dalla Terra anche ad occhio nudo: il Sole, la stella più vicina a noi, dista “solamente” 150 milioni di kilometri dalla Terra (si pensi che la stella polare è distante da noi di circa 47 anni luce). Grazie ai potenti telescopi astronomici si contano, al giorno d’oggi, circa 3*1023 stelle nella volta celeste. Data l’enorme quantità, si adotta una nomenclatura per distinguerle: una stella prende il nome latino della galassia di appartenenza preceduto da una lettera greca che varia a seconda della luminosità del corpo (α per la stella più luminosa della galassia, β per quella appena dopo e così via). Nel 1718 Edmond Halley (1656-1742), un astronomo inglese, ipotizzò correttamente che le stelle possedessero dei moti propri, non visibili dall’occhio umano a causa delle distanze elevate. Esse, infatti, ruotano su se stesse (rotazione) e si spostano l’una rispetto all’altra. In generale le stelle tendono ad unirsi in gruppi, più o meno numerosi (ad eccezione di alcune, di cui il Sole è un esempio); esistono i sistemi binari (due sole stelle), i sistemi multipli (da tre fino ad un massimo di dieci stelle), le associazioni (fino ad alcune centinaia) e gli ammassi (insiemi numerosi di stelle, nell’ordine di migliaia o centinaia di migliaia). Inoltre, sin dall’antichità, l’uomo creò immagine fittizie nell’Universo collegando tra loro le stelle con linee immaginarie, nonostante abbiano distanze assai diverse: le cosiddette costellazioni. Ad esempio il Grande ed il Piccolo Carro oppure le dodici costellazioni zodiacali. CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE Le stelle sono così numerose che si distinguono secondo vari fattori: 2 Composizione chimica: In generale la materia stellare è essenzialmente costituita per il 70% da idrogeno e per il 28% da elio (questi valori variano anche in base all’età del corpo); la restante percentuale è costituita da altri elementi più pesanti. A causa delle temperature elevate, questo miscuglio è presente sottoforma di plasma, un insieme neutro di elettroni e ioni. Per determinarne la composizione si ricorre all’analisi dei loro spettri di emissione. Dimensioni: Il diametro delle stelle può estendersi da 2000 volte quello del Sole (VY Canis Majoris) fino a qualche decina di chilometro. Massa: Da circa un decimo a 200 volte la massa del Sole; la massa influisce sulla vita della stella: più piccola è la massa, maggiore è la durata del ciclo della stella. Luminosita’: E’ la quantità di energia irradiata dalla stella, sottoforma di onde elettromagnetiche, nell’unità di tempo. Dipende dalla temperatura e dalla superficie della stella e l’energia viene irradiata in modo isotropo, cioè in tutte le direzioni. Si è adottato un sistema, detto magnitudine, che consente di catalogare le stelle a seconda della loro luminosità; gli astronomi decisero che per calcolare la magnitudine assoluta, si dovessero paragonare tra loro le stelle, ponendole all’ideale distanza di 10 parsec2. Le stelle con 16 1 parsec = 3,26 a. l. = 3,09*10 m 7 magnitudine prossima a zero sono le più luminose, mentre man mano che la magnitudine diventa più elevata la luminosità si affievolisce. Temperatura e colore:Il colore è legato alla temperatura superficiale della stella. Le stelle relativamente più fredde, con temperatura di circa 3000 K, appaiono rosse, mentre quelle più calde, circa 50000 K, appaiono azzurrognole. Studiando gli spettri di emissione, si riconstrò che stelle aventi spettri simili, possiedono analoghe caratteristiche; si decise quindi di creare una classificazione universale delle stelle, a seconda del loro spettro di emissione: ciò venne chiamato classificazione spettrale di Morgan-Keenan-Kellman, e suddivide le stelle in sette gruppi: O, B, A, F, G, K, M. Quelle appartenenti alla classe O sono le più calde e massicce mentre quelle della classe M sono assai più fredde e piccole. IL CICLO EVOLUTIVO Il ciclo è formato da tre fasi e le stelle possono prendere vie differenti a seconda della loro massa (infatti maggiore è la massa della stella, di minor durata sarà il suo ciclo); la massa della stella verrà in seguito paragonata al rapporto rispetto a quella del Sole detta Mʘ. 3 1. NASCITA Le stelle prendono vita dalle nebulose, nubi di gas rarefatti, principalmente idrogeno, elio ed alcuni metalli. Questi gas si uniscono e creano una forza di gravità sempre maggiore che, man mano che aumenta, attira a sè ulteriore materia; la spinta che avvia questa contrazione è dovuta probabilmente all’esplosione di una supernova vicina oppure allo scontro di due galassie, le cui onde d’urto causano l’unione primordiale dei gas. L’attrazione gravitazionale si trasforma, nei successivi istanti, in energia cinetica con un conseguente aumento della temperatura del corpo; detto a questo punto protostella. Avviene già una prima distinzione: 0,01 Mʘ La temperatura non raggiunge la soglia minima per innescare le reazioni di fusione termonucleare e perciò la protostella va incontro ad un improvviso raffreddamento diventando una nana bruna. M > 0,1 Mʘ La protostella prosegue a riscaldarsi ed hanno inizio le reazioni di fusione termonucleare (temperatura intorno ai 15.000 K) ed essa diventa così una stella. 2. STABILITA’ Le enormi quantità di energia prodotte della reazioni di fusione fanno espandere i gas verso l’esterno, e ciò contrasta la crescente forza di gravità della stella; quando queste due forze 3 31 Mʘ = (1,98855 ± 0,00025) * 10 Kg 8 entrano in perfetto equilibrio tra loro, si dice che la stella è nella fase di stabilità perché smette di contrarsi. Qui le stelle vengono classificate in base alla massa ed al colore in tre gruppi: Stelle grandi, estremamente calde e blu, che hanno una vita piuttosto breve: qualche milione di anni. Stelle di massa e temperatura medie e gialle, la loro durata è di circa 10 miliardi di anni (il Sole ne è un esempio, con un’età di 5 miliardi di anni è considerato a metà del suo ciclo). Stelle relativamente piccole e poco calde e di colore rosso, consumano la riserva di energia dopo qualche decina di miliardi di anni. 3. MORTE La stella abbandona la fase di stabilità nel momento in cui tutto l’idrogeno presente nel nucleo si è trasformato in elio. Ora la pressione dei gas verso l’esterno si affievolisce e la gravità riprende ad aumentare; ciò causa un collasso del nucleo su se stesso, con conseguente espulsione degli strati più esterni. Questa è la fase finale della stella, considerata la sua morte. Ancora una volta, le stelle prendono strade diverse: M ≈ 0,1-0,8 Mʘ Esse collassano lentamente fino a divenire corpi di dimensioni simili alla Terra e prendono il nome di nane bianche. Questo accade perché il nucleo non ha temperatura sufficiente per fondere l’elio. M ≈ Mʘ Il nucleo si contrae e la temperatura aumenta; questo genera nuove fusioni nucleari che, a partire dall’elio, producono il carbonio. I gas esterni riprendono la loro espansione, raffreddandosi; analogamente alla fase di stabilità, la nuova forza gravitazionale blocca l’espansione dei gas e si crea una gigante rossa. Questa fase dura molto meno della fase 2, in quanto la trasformazione di elio in carbonio produce assai meno energia rispetto alla reazione idrogeno-elio. Finite le reazioni di fusione il nucleo si contrae ulteriormente diventando una nana bianca e gli strati esterni vengono espulsi e formano un anello di nubi, detto nebulosa planetaria. M = 10 Mʘ Anch’esse raggiungono la fase di gigante rossa, ma la loro massa le permette di continuare le reazioni nucleari producendo elementi sempre più pesanti, fino a raggiungere il ferro (le reazioni si bloccano qui perché dopo il ferro non vi è più produzione di energia ma assorbimento). Vengono quindi dette supergiganti rosse. Al termine delle reazioni la stella collassa ed, esplodendo, libera un’enorme quantità di energia e diventa un miliardo di volte più luminosa: si crea una supernova. Gli strati esterni vengono scagliati nello spazio (con una velocità di circa un decimo di quella della luce) ed il nucleo si contrae enormemente, costringendo gli elettroni a fondersi con i protoni per dar luogo ai neutroni; si forma così una stella di neutroni. M = 30-60 Mʘ Raggiungono la fase di gigante, supergigante rossa e supernova per poi creare un buco nero, molto più piccolo e denso della stella di neutroni. Esso è essenzialmente un vortice oscuro capace di attirare e far scomparire la materia e anche la luce. 9 SPETTROPOLARIMETRO Lo spettropolarimetro è uno strumento utilizzato in astronomia per misurare il campo magnetico dei corpi celesti; a differenza dei semplici polarimetri, che utilizzano una luce monocromatica al sodio di lunghezza d’onda 589.3 nm, lo spettropolarimetro è in grado di analizzare la radiazione elettromagnetica emessa dalla stella in funzione della sua lunghezza d’onda, e di conseguenza della sua frequenza. Questa differenza è prodotta dalla presenza di uno spettrografo agganciato al polarimetro. Motivo di ciò è il fatto che molti corpi celesti non risultano visibili, come le stelle di neutroni, e gran parte delle radiazioni nell’universo non rientrano nello spettro del visibile. Il polarimetro svolge funzioni diverse a seconda dell’ambito nel quale è inserito: Chimico: viene utilizzato per determinare il potere rotatorio specifico di una data sostanza, e studiarne quindi le caratteristiche di chiralità; l’argomento verrà approfondito qui di seguito. Fisico: è usato per analizzare la polarizzazione di un’onda elettromagnetica ed esaminarne il campo elettrico e magnetico; l’argomento verrà approfondito alla pagina 13. ENANTIOMERI Gli isomeri configurazionali4 sono composti che possiedono la medesima formula bruta ma possono essere trasformati l’uno nell’altro solo a seguito della rottura di un legame. Questa famiglia è suddivisa in diastereomeri ed enantiomeri; i primi non sono immagini speculari tra di loro e non sono sovrapponibili; i secondi, invece, pur essendo immagini speculari non sono comunque sovrapponibili. Concentreremo l’attenzione su quest’ultimi. DIASTEREOMERI: ENANTIOMERI: Gli enantiomeri esistono solo quando il carbonio centrale è legato a quattro gruppi sostituenti diversi tra loro (ad esempio nel 2-bromobutano i sostituenti sono: idrogeno, metile, etile e bromo); un atomo carbonio avente questa caratteristica è detto centro stereogeno. Per differenziare le due molecole della coppia di enantiomeri si utilizza una convenzione basata sulle regole di priorità di Cahn-Ingold-Prelog: 4 Ricordiamo che essi, insieme agli isomeri conformazionali (composti che possono essere scambiati uno nell’altro tramite la semplice rotazione attorno al legame), appartengono agli isomeri. 10 1. Numerare i sostituenti in ordine crescente secondo il loro numero atomico (corrispondente al numero di protoni dell’elemento); 2. Se vi sono sostituenti con il primo atomo identico, procedere osservando i gruppi successivi; 3. Se è presente un legame multiplo, trasformarlo idealmente in tanti legami singoli; 4. Osservare la molecola: se l’ordine dei gruppi segue un andamento orario, è l’enantiomero R, se segue invece il senso anti-orario, sarà S; 5. Se il gruppo con priorità minore è oltre il piano della molecola, bisogna invertire il senso di rotazione della priorità. Esistono due modi per rappresentare molecole di enantiomeri: A) Cunei e stanghette, dove il cuneo pieno rappresenta il sostituente fuori dal piano, quello con le stanghette è il gruppo dietro il piano e i due con la linea giacciono su di esso (figura A). B) Proiezione di Fischer, rappresentazioni bidimensionali formate da una croce ai cui estremi vi sono i sostituenti; quelli sulla linea orizzontale, per convenzione, escono dal piano, mentre gli altri sono dietro di esso (figura B). Figura A: Figura B: Gli enantiomeri possono essere detti composti chirali (tradotto dal greco cheir: “mano”) in quanto, proprio come le mani, sono immagini speculari non sovrapponibili. Al contrario, oggetti come una sfera sono achirali. Sommando due composti achirali ed ottenendone uno chirale, si producono entrambi gli enantiomeri R ed S, in uguale quantità e con la medesima velocità: la cosiddetta soluzione racemica (o racemo). Sommando invece composti chirali, uno dei due enantiomeri sarà maggiormente facilitato a formarsi. Esiste un metodo per separare i due composti da un racemo, chiamato risoluzione del racemo. Si aggiunge alla soluzione 50% R e 50% S uno dei due enantiomeri, formando così due diastereomeri; quest’ultimi sono facili da separare (con la cromatografia ad esempio) e da essi si ottiene l’enantiomero desiderato puro. ATTIVITA’ OTTICA La luce del Sole è costituita da onde che oscillano su infiniti piani, tutti perpendicolari alla direzione di propagazione della stessa, e viene detta luce non polarizzata. E’ possibile polarizzarla, facendola passare attraverso un prisma di Nicol; polarizzare significa fare in modo che la luce oscilli su un unico piano: 11 E’ inoltre possibile variare la direzione di polarizzazione del nostro fascio grazie all’uso di opportune sostanze. Queste premesse sono servite per introdurre il concetto di attività ottica, una caratteristica importante, propria solo delle molecole chirali e quindi degli enantiomeri. Per attività ottica si intende la capacità di una sostanza di variare il piano della luce polarizzata. Per determinare il numero di gradi della rotazione si utilizza un polarimetro: uno strumento formato da un tubo porta campioni inserito tra due prismi di Nicol, il primo detto polarizzatore mentre il secondo analizzatore. Inizialmente è necessario posizionare gli assi dei due prismi in modo perpendicolare in modo che non passi luce e l’osservatore veda nero. Facendo poi passare la luce (non polarizzata) attraverso il primo prisma essa si polarizzerà e la sua direzione coinciderà con l’asse dell’oggetto; successivamente viene indirizzata nel tubo porta campioni. Se la sostanza è otticamente inattiva (achirale) non succede nulla, mentre se la sostanza è otticamente attiva (chirale) l’asse di polarizzazione subisce una variazione di α gradi e parte della luce raggiungerà l’occhio dell’utente. Esso deve girare il prisma analizzatore oscurando il fascio di luce; l’angolo di rotazione rappresenta il potere rotatorio osservato α. Dato che questo valore dipende da numerosi fattori, quali la lunghezza del tubo, la concentrazione della sostanza e la temperatura, esiste una formula per determinare il potere rotatorio specifico: [α0] = dove C è la concentrazione del solvente, misurata in g/ml, e l è la lunghezza del tubo porta campioni, misurata in decimetri. Il potere rotatorio specifico, inoltre, è valutato in funzione della temperatura (in Kelvin) e della lunghezza d’onda della luce (λ misurata in metri). Se l’osservatore gira l’analizzatore in senso orario, si dice che la sostanza è destrogira e si indica con il segno +; se invece lo gira in senso antiorario, allora si chiama levogira e si indica con il segno -. E’ opportuno sottolineare che un racemo NON è otticamente attivo in quanto il potere rotatorio degli enantiomeri che lo costituiscono è opposto ed uno annulla l’altro. 12 LE ONDE ELETTROMAGNETICHE Un’onda è l’unione di propagazione, cioè spostamento, e oscillazione di energia. E’ costituita da due componenti: un campo magnetico ed un campo elettrico che scorrono in fase (cioè entrambi assumono contemporaneamente il valore massimo o quello minimo) e perpendicolari tra di loro e rispetto alla direzione di propagazione. Viene prodotta grazie ad una carica che oscilla, proprio come nei circuiti a corrente alternata (caratterizzata dall’alternarsi periodico del verso della corrente); la figura mostra come una sorgente CA crea un campo elettrico con andamento sinusoidale. L’onda elettromagnetica è caratterizzata da quattro grandezze fondamentali: Periodo T: lasso di tempo che intercorre tra un’oscillazione e la successiva. Frequenza f: numero di oscillazioni compiute nell’unità di tempo; è il reciproco del periodo e si calcola f = 1/T Lunghezza d’onda λ: distanza tra una cresta (o un ventre) e la successiva. Velocità di propagazione v: velocità alla quale un’onda si propaga in un mezzo. Tutte le onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto con la medesima velocità detta velocità della luce c = f*λ Questa equazione mette in evidenza che in ogni onda il prodotto tra frequenza e lunghezza d’onda rimane costante. Maxwell (fisico scozzese che assunse una notevole importanza nella fisica classica) scoprì anche che la luce, essendo formata da campo elettrico e magnetico, potesse avere una velocità costante ricavabile dalla seguente formula: c= = 3*108 m/s dove ε0 è la costante dielettrica del vuoto e vale 8,85*10-12 C2/N*m2 e μ0 è la permeabilità magnetica del vuoto e vale 4*π*10-7 T*m/A 13 Le onde elettromagnetiche vengono raggruppate in uno schema, detto spettro elettromagnetico, nel quale esse sono ordinate in modo crescente di frequenza (quindi decrescente di lunghezza d’onda). Si noti che circa nella parte centrale, vi è lo spettro del visibile, cioè tutte le frequenze di luce (comprese tra 4,3*1014 Hz e 7,5*1014 Hz) visibili dall’occhio umano, ed è pressoché rappresentabile con tutti i colori dell’arcobaleno. LA POLARIZZAZIONE Il piano di polarizzazione, cioè la direzione secondo la quale un’onda è polarizzata, in fisica corrisponde con la direzione del suo campo elettrico. Proprio come spiegato precedentemente, la luce solare (non polarizzata) può essere polarizzata facendola passare in un prisma detto polarizzatore. La luce risultante possiede una sola direzione di polarizzazione e la sua intensità viene dimezzata rispetto al fascio iniziale; questo perché, in media, metà delle onde che oscillano in modo casuale della luce non polarizzata vengono assorbite dal polarizzatore. Quindi I = I0/2 Anche in questo caso, è possibile modificare la direzione di polarizzazione tramite un prisma analizzatore, e grazie alla legge di Malus si riesce a determinare l’intensità della luce in uscita, dipendente dall’angolo θ: I = I0 cos2θ Riprendendo in esame il caso del polarimetro, dove i due avvenimenti appena descritti avvengono in successione, è necessario “unire” le due formule per valutare l’intensità; l’intensità posseduta dal fascio dopo essere passato nel prisma polarizzatore ed in quello analizzatore è quindi: g 2 I = (I0 cos θ)/2 14 FISICA QUANTISTICA Agli albori del XX secolo tutti i concetti fondamentali della fisica classica (formulati da Galileo o Newton ad esempio) iniziano a dar segni di cedimento, non essendo in grado di spiegare alcuni fenomeni naturali; viene aperta la strada ad una nuova branca della fisica moderna: la fisica quantistica, nata nel 1900 grazie al fisico tedesco Max Planck ed approfondita negli anni a venire da figure come Albert Einstein, Wernerl Heisenberg, Louis de Broglie. La fisica o meccanica quantistica si occupa essenzialmente dello studio di sistemi microscopici, nell’ordine di grandezza di un atomo (circa mezzo Angstrom5); è quindi contrapposta alla relatività, la quale si occupa di sistemi macroscopici e con velocità paragonabile a quella della luce. Le prime teorie vennero formulate a seguito dell’analisi di corpo nero: un corpo ideale che assorbe tutte le radiazioni che lo colpiscono ed irradia al meglio; secondo la fisica classica, riscaldando il corpo, esso dovrebbe emettere intensità infinita ad alte frequenza di onda. Questa teoria era in completo disaccordo con i risultati sperimentali che dimostravano come l’aumento della frequenza fosse si legato all’aumento della temperatura, ma solo fino ad un valore massimo (detto frequenza di picco) oltre il quale l’intensità diminuisce. Planck pensa ad una teoria che possa dare una spiegazione matematica a questo fenomeno: detta teoria dei quanti. Lo scambio di energia tra i corpi avviene solo attraverso parti finite e discrete che chiama quanti; sono idealmente pacchetti di energia pari a E = h*f dove h è la costante di Planck6. Da qui deriva l’energia quantizzata: la quantità di energia scambiata tra corpi, ad una data frequenza; non può essere minore di un quanto e può assumere solo valori multipli dello stesso: E = n*h*f dove n è detto numero quantico e assume valori di numeri interi finiti maggiori o uguali a uno. Nel 1905 Einstein decise di prendere in considerazione le teorie di Planck ipotizzando che anche la luce fosse formata da quanti, che lui chiamò invece fotoni. Con questa teoria la luce viene vista sotto un duplice aspetto: fino ad allora era vista come un’onda, adesso anche come formata da corpuscoli. I fotoni sono i componenti essenziali delle onde elettromagnetiche ed hanno caratteristiche innovative: 5 6 Viaggiano sempre alla velocità della luce; Non possono essere fermati; Hanno massa a riposo pari a zero; questo gli permette di viaggiare a velocità pari a c; Nonostante non abbiano massa, possiedono una quantità di moto finita in funzione della lunghezza d’onda: p = h/λ -10 1 A = 10 m -34 h = 6,626*10 J*s 15 Arrivati a queste conclusioni, sorse un’ulteriore domanda: se la luce ha anche un aspetto corpuscolare, è possibile che anche la materia stessa abbia un comportamento ondulatorio? Cioè le particelle di materia possono essere viste sotto duplice natura come le onde? La risposta venne data dalla teoria del dualismo onda-particella formulata e sperimentata da de Broglie. Egli riuscì a determinare che la materia, avente una quantità di moto finita, possiede anche una lunghezza d’onda: λ = h/p Analizzando questa equazione si evince che un corpo accelerato del mondo di tutti i giorni, ad esempio una palla, possiede una lunghezza d’onda infinitamente piccola; un elettrone invece, data le sue piccole dimensioni, possiede una lunghezza d’onda nell’ordine della grandezza dello stesso, e maggiore della palla. Ciò dimostra come il comportamento ondulatorio della materia sia trascurabile nel mondo macroscopico e come sia invece importante nel mondo microscopico. 16 HANS BETHE E IL PROGETTO MANHATTAN Hans Albrecht Bethe è stato un fisico tedesco di enorme importanza nella Seconda Guerra Mondiale ma soprattutto nella guerra fredda. Nato nel 1906 a Strasburgo, trasferitosi poi negli Stati Uniti dove, nel 1937, diventò cittadino americano; morì nel 2005 nello stato di New York. Nel 1967 vinse il premio Nobel per la fisica grazie alla scoperta delle reazioni che producono energia nelle stelle: il ciclo protone-protone. Arrivato negli Stati Uniti venne assunto nel team di scienziati che lavoravano al Progetto Manhattan: un programma di ricerca durante la Seconda Guerra Mondiale capeggiato dal governo degli USA. E’ un nome in codice (che prende spunto dalla sede centrale situata appunto a Manhattan) usato per occultare il vero scopo del piano; nella base operativa, il laboratorio di Los Alamos, New Mexico, si studiavano meccanismi innovativi per la costruzione di ordigni atomici. Bethe venne incaricato della direzione teorica del gruppo di comando e studiò il rendimento della bomba atomica in costruzione, sotto la guida del direttore del progetto, il fisico Robert Oppenheimer. Vennero prodotti ben tre ordigni: il primo, semplicemente un prototipo fatto esplodere nel deserto del New Mexico per effettuare una prova chiamata Trinity Test: da questo momento iniziò lo spiacevole periodo degli armamenti nucleari. Il secondo, chiamato Little Boy, venne sganciato su Hiroshima, in Giappone, il 6 agosto del 1945 mentre tre giorni dopo sulla vicina città di Nagasaki venne fatto esplodere il terzo ordigno: Fat Man. I morti complessivi a seguito delle due esplosioni ammontarono a più di 200.000; fu un atto distruttivo mai visto prima nella storia dell’umanità e a causa dell’enorme potenza distruttiva il Giappone decise di firmare l’armistizio. Con questo avvenimento si concluse definitivamente la Seconda Guerra Mondiale. BOMBA H E GUERRA FREDDA Hans Bethe, finita la guerra, partecipò anche alla nascita di un nuovo ordigno: la bomba a idrogeno o bomba H. Si conta che abbia una potenza distruttiva più di mille volte superiore alla bomba atomica e per questo motivo non fu mai usata in un conflitto vero e proprio. Infatti conclusa la Seconda Guerra Mondiale, si creò nel mondo un “equilibrio del terrore” che venne chiamato Guerra Fredda. Il termine venne coniato nel 1945 da George Orwell, riferendosi alla bomba atomica, e venne poi ripreso dal giornalista Walter Lippmann nel 1947. Questo periodo si concluse nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. La Guerra Fredda non fu mai considerata un conflitto armato perché i due blocchi antagonisti, USA e URSS, non fecero mai fatto ricorso alle armi in modo diretto. Vigeva un conflitto principalmente ideologico, politico, economico e tecnologico; era una corsa agli armamenti tra le due potenze, un continuo migliorare ed incrementare le proprie armi di distruzione di massa. Proprio in questi anni Stati Uniti prima (1952) e Unione Sovietica poi (1953), sperimentarono i primi tentativi della bomba H; un metodo per garantire la supremazia tecnologica e militare. Entrambe le potenze ritenevano che il fatto di possedere la bomba fosse un valido motivo per evitare un conflitto armato diretto, che avrebbe distrutto gran parte del pianeta; sostanzialmente si trattava di ricercare strumenti di dissuasioni sempre più efficaci. I due avversari si sfidarono anche sul piano ideologico; gli USA vedevano nell’imperialismo sovietico lo stesso totalitarismo hitleriano e la stessa tendenza ad espandersi, conquistando sempre più paesi. Viceversa l’Unione Sovietica si giustificava attribuendo le sue misure militari ed espansionistiche all’irruenza degli USA. 17 CICLO PROTONE-PROTONE Nei nuclei delle stelle avvengono reazioni di fusione termonucleare che combinano due nuclei più leggeri per formarne uno più pesante. Per permettere la fusione dei nuclei è necessario vincere la forza repulsiva coulombiana tra le cariche F= (avendo lo stesso segno tenderanno a respingersi)7; e per fare ciò essi devono essere molto vicini, a circa un femtometro (10 -15 m) e quindi sottoposti a temperature di almeno 107 K. Questi processi permettono di creare enormi quantità di energia a partire da piccole parti di massa. La reazione termonucleare fondamentale per la vita delle stelle è il cosiddetto ciclo protoneprotone, schematizzato nel modo seguente: 1 H + 1 H → 2 H + e+ + ν e 1 H + 2H → 3He + γ 3 He + 3He → 4He + 1H + 1H Come si nota dalla figura, al ciclo partecipano varie particelle: 7 Protone ¹H: particella che forma il nucleo dell’atomo, avente carica positiva; esso è essenzialmente il nucleo (senza quindi l’elettrone) del primo isotopo dell’idrogeno, il prozio. Neutrone n: particella che costituisce, insieme al protone, il nucleo dell’atomo; ha massa atomica pari a quella del protone ma carica nulla. Deuterio ²H: nucleo del secondo isotopo dell’idrogeno, il deuterio; è costituito da un protone e da un neutrone. Elio ³He: isotopo altamente instabile dell’elio; formato da due protoni ed un neutrone. Elio 4He: secondo elemento della tavola periodica; formato da due protoni e due neutroni. Positrone e+: è l’antiparticella dell’elettrone, dotata della sua stessa massa e carica, ma di segno positivo. Neutrino νe: particella con massa piccolissima e carica pari a zero. Fotone γ: particella elementare di energia che costituisce le onde elettromagnetiche. 9 2 Questa è la nota legge di Coulomb dove k è la costante dielettrica del vuoto e misura 8,99*10 N*m /C 18 2 Il ciclo è costituito da tre fasi: 1. Due protoni si scontrano e si fondono in una particella di deuterio, liberando un neutrino ed un positrone (dovuto alla trasformazione di un protone in neutrone). E’ il passaggio più lento in quanto i protoni devono vincere la forza elettrostatica (vinta solo grazie all’effetto tunnel) che li tiene separati ed il tempo necessario è di circa 109 anni. A seguito di ciò, il positrone si annichila con un elettrone producendo due raggi gamma γ. 2. Il deuterio precedentemente formatosi, si fonde con un protone e crea l’elio-3 ed un fotone. 3. Due nuclei di elio-3 si fondono e formano l’elio-4 e due protoni; essi potranno ricominciare il ciclo. In definitiva la massa dell’elio (4,003 u.m.a.8) è inferiore alla somma dei quattro protoni utilizzati nel ciclo (4*1,008 u.m.a.=4,032 u.m.a.). Per ogni nucleo di elio, quindi, circa lo 0,7% della massa iniziale vengono trasformati in energia secondo la formula relativistica di Einstein E = m*c². Nonostante la massa sia piccolissima, l’energia prodotta è enorme ed è calcolabile cosi facendo: m ceduta = 4*(m protone) - m elio = 4*(1,008 u.m.a.) – 4,003 u.m.a. = 0,029 u.m.a. = 4,817*10-29 Kg E = mc² = 4,817*10-29 Kg * (3*108 m/s)2 = 4,335*10-12 J ≈ 27*106 eV = 27 MeV 8 - 7 1 u.m.a. = 1,661 * 10 ² Kg 19 GEORGE ORWELL George Orwell, pseudonym of Eric Arthur Blair, was a British journalist and writer, who was born in Motihari, India, on 25 June 1903 and died in London on 21 January 1950. He studied at Eton College, England and then he joined the Indian Imperial Police; in 1927 Orwell returned in Europe to live in Paris and London. During the Second World War he got a job as a journalist for the BBC, and there he learnt how to use clear and simple language. At the end of the war his wife died and he suffered of tuberculosis; in 1950 he died too due to a failure of a pulmonary artery. His most famous novels are: Burmese Days (1934), Animal Farm (1945) and Nineteen Eighty-Four (1948). NINETEEN EIGHTY-FOUR Nineteen Eighty-Four is a dystopian novel, which represents a negative world with an undesirable society, and a classic of science fiction; it is curious that the novel is written in 1948 and the title is made by the inversion of the last two digits: probably this suggests that this world may be ours in few years (36 years). The world is dominated by three totalitarianism: Oceania: which includes America, Great Britain, Ireland, Australia and South Africa. It is dominated by the Party (the English Socialist Party) and the Big Brother: no one ever saw him but everywhere there are posters with his face under the slogan “Big Brother is watching you”; he also remembers Stalin and Hitler totalitarianisms. Eurasia: which includes Europe and Russia. It derives from the Communist Party. Eastasia: which includes China, Japan and North India. There is also a disputed zone which includes North Africa and some part of Asia. The novel reports the dictatorship of German and U.R.S.S. during the Second World War and Orwell wants to warn people against all the dangers that these totalitarianism can bring in the world. PLOT In the world, that have been described above, the Big Brother controls everyone’s minds and actions, using cameras and microphones in all the houses. People can’t think in their own way because they have to follow Big Brother’s ideas; there is a group of opponents to the Party, headed from Emmanuel Goldstein. The protagonist named Winston Smith, lives in London city; he is a member of the Party at the Ministry of Truth; there he rewrites the past, modifying journals. This name has a very important meaning: Winston refers to the England Prime Minister, Winston Churchill, and Smith is one of the most common English surnames, making him an ordinary man. Winston wants to rebel to the Party with Julia, who he is falling in love with. But he is betrayed by O’Brien and arrested from the Thought Police who tortured him and brainwashed. At the end Winston 20 changes his mind and starts loving the Big Brother (this is a sign of the Orwell’s pessimism). In this novel there are two important elements which are introduced by Orwell himself: Newspeak (neolingua): it is a fictional language created by the Party to limit the freedom of thought; people who work in the Party, such as Smith, have the task of simplify the original language in order to create a perfect one. Doublethink (bipensiero): it is the possibility to believe in two ideas at the same time in spite of being contradictory; they are used by the Party (for example “War is peace”) to make people believe in all the Big Brother’s ideas. 21 CONCLUSIONI Il progetto è stato svolto con successo ed entro la scadenza prestabilita; è durato circa tre mesi ed è stato suddiviso in varie fasi di lavoro: la ricerca, l’analisi delle fonti, la progettazione, la stesura, la revisione e lo studio. I primi approcci al progetto sono stati duraturi essenzialmente per due motivi: in primo luogo, le fonti ed i documenti sulle magnetar sono limitati in quanto si tratta di una scoperta recente ed in parte oscura e le strumentazioni astronomiche del giorno d’oggi non sono perfettamente in grado di analizzare luoghi dell’Universo molto lontani da noi. Inoltre, come secondo motivo, la maggior parte di queste informazioni sono in lingua inglese; è stato perciò necessario un ulteriore lavoro di traduzione durato parecchio tempo a causa dell’elevato numero di termini prettamente scientifici. Il risultato ha soddisfatto pienamente le mie aspettative. 22 SITOGRAFIA Kouveliotou, C., R. C. Duncan e C. Thompson, “Magnetar” (Febbraio 2003), Scientific American, 34-41. Duncan, R. C., “Magnetars” (Marzo 2003), http://solomon.as.utexas.edu/magnetar.html. A. Wolter, “Risolto il mistero della formazione delle magnetar?” (14 maggio 2014), European Southern Observatory ESO, http://www.eso.org/public/italy/news/eso1415/. http://www.chimica-online.it/organica.htm. http://www.treccani.it/enciclopedia/scienze_naturali_e_matematiche/fisica/meccanica_quant istica/. http://www.treccani.it/scuola/lezioni/storia/guerra_fredda.html. http://en.wikipedia.org/wiki/Nineteen_Eighty-Four. 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