1 Società e Storia del Cristianesimo Università degli Studi di Bergamo 4 marzo 2016 I fermenti di una théologie nouvelle 1. Lo sfondo 1. VATICANO I – Pio IX, Dei Filius, dal Proemio, 24 aprile 1870 […] Non possiamo tacere […] il nostro acerbo dolore di fronte ai mali gravissimi, nati proprio dal fatto che moltissimi hanno disprezzato l’autorità di questo santo sinodo e trascurato i suoi saggi decreti. Infatti nessuno ignora che, dopo aver rifiutato il divino magistero della chiesa e consegnate le cose della religione al giudizio privato di ciascuno, le eresie condannate dai padri di Trento si sono divise a poco a poco in molteplici sette i cui dissensi e rivalità hanno finito per spegnere presso molti uomini la fede nel Cristo. E la stessa sacra Bibbia, ritenuta prima come l’unica fonte e l’unico giudice della dottrina cristiana, ha cessato di essere considerata come divina, ma è stata assimilata ai racconti mitici. Allora è nata e si è sparsa largamente nel mondo quella dottrina del razionalismo o naturalismo che attaccando con tutti i mezzi la religione cristiana, in quanto soprannaturale, cerca con ogni sforzo di stabilire il regno di quella che chiamano la ragion pura o la natura, dopo avere escluso il Cristo, nostro solo signore e salvatore, dall’animo umano, dalla vita e dai costumi dei popoli. Ora, questo abbandono e rifiuto del cristianesimo, questa negazione del vero Dio e del suo Cristo, ha fatto sì che la mente di molti sia precipitata nel baratro del panteismo, del materialismo e dell’ateismo, di modo che, negando la stessa natura razionale ed ogni norma del giusto e del retto, essi fanno ogni sforzo per distruggere i fondamenti stessi dell’umana società. Mentre queste empie dottrine si diffondevano ovunque, sfortunatamente è avvenuto che molti, anche tra i figli della chiesa cattolica, si sono allontanati dalla via della vera pietà, e in loro il senso cattolico si è attenuato, per l’insensibile venir meno della verità. Sedotti, infatti, dalla varietà e dalla novità delle dottrine, e confondendo a torto la natura e la grazia, la scienza umana e la fede divina, deformano il senso genuino dei dogmi, quello che ritiene ed insegna la santa madre chiesa, e mettono in pericolo l’integrità e la purezza della fede. 2. Dal Decreto della Sacra Congregazione del SANT’UFFIZIO, Lamentabili sane exitu, del 3 luglio 1907 Errori dei Modernisti DH 3401 1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. DH 3420 20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio. DH 3422 22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è acquistata con un faticoso lavoro. 3. PIO X, Enciclica Pascendi dominici gregis, 8 settembre 1907 Errori dei Modernisti circa i principi filosofici DH 3475-3478 […] Il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro 2 il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che appare e nel modo in che appare: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per questo non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto storico. Poste tali premesse, ognuno scorge facilmente quali siano le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgono di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo […]. [3476] [Dall’agnosticismo deducono che:] la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’ambito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, banditone in tutto Dio e quanto sa di divino. […] [3477] Tuttavia questo agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La religione, sia essa naturale o soprannaturale, come qualsiasi altro fatto, bisogna che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, è chiaro che siffatta spiegazione invano si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo concludere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non in determinate ed favorevoli circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza; ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto a prestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza […]. […] In siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma con la fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. […] Essendo Dio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. [3481] Dunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto fu o sarà per essere in qualsivoglia religione. [3484] […] Il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia tale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. […] Nel sentimento religioso […] si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato con la realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale. 2. Lo scolasticato domenicano di Le Saulchoir (1904-1939; successivamente, dal 1939 fino al 1971 a Étiolles, nei pressi di Évry) Fondano la Revue des Sciences philosophiques et théologiques nel 1907, e il Bulletin thomiste nel 1924. 3 A. GARDEIL, Le donné révélé et la théologie, Gabalda, Paris 1910. Si fa interprete di alcune urgenze maggiori: restituire il primato alla fonte viva ch’è il dato rivelato sulle costruzioni speculative astratte e dottrinali (è la cosiddetta funzione positiva della teologia); nello studio del dato rivelato la teologia deve superare ogni fissismo, assumendo la critica biblica e storica; sul piano dell’infrastruttura concettuale occorre un tomismo aperto; nei confronti dei problemi del proprio tempo occorre dimostrare una vicinanza solidale. M.-D. CHENU dal ’32 inizia il periodo di rettorato che durerà fino al ’42. Nel frattempo a Ottawa fonda l’Institut d’Études Médiévales. M.D. CHENU, Le Saulchoir. Una scuola di teologia (1937), tr. it. Marietti, Casale Monferrato 1982. Se la Rivelazione si inserisce così nel tempo, nel corso di una storia, storia santa, ma storia, centrata sul fatto storico dell’Incarnazione, se di conseguenza il dato rivelato si iscrive e si presenta in fatti e testi storici, ci troviamo direttamente e brutalmente di fronte alla questione: la teologia, come la fede che la ispira, non deve fare allora i conti con una critica storica? Affermazione che, in teoria, sembra dover abbandonare la fede al relativismo e, di conseguenza, far entrare il lavoro teologico in un cerchio all’interno del quale non si potrà raggiungere la “Parola di Dio”. È tutto il problema del metodo storico, e dell’effettiva sistemazione dell’esegesi e della storia dei dogmi all’interno del sapere teologico. È noto quale inquietudine abbia pesato al proposito, durante trent’anni, sulla teologia, non soltanto sulla sua ortodossia demolita dal modernismo, ma sul suo comportamento interiore e sull’equilibrio del suo programma di insegnamento. È la nozione integrale della fede e della sua economia che ci consente di trattare il problema e di stabilire questo programma con una tranquilla serenità. La teologia emana dalla fede; nasce in e attraverso di essa. (45) Se l’economia della rivelazione si sviluppa nel tempo, se di conseguenza la fede trova la propria autentica espressione in enunciati solidali con la storia, il caso particolare – non è che questo – dello sviluppo del dogma all'interno dell’economia nuova nella vita della Chiesa, non sconcerta il teologo: è normale, e la legge dell’incarnazione vi è manifesta. Volerlo camuffare o ridurre a un semplice gioco di equivalenze verbali, come faceva un certo ‘fissismo’ la cui teologia consisteva interamente nell’essere antimodernista, è non solo maltrattare la storia (cattivo sistema per preparare della buona teologia) ma anche comprendere male la fede. Strano ribaltamento che è il segno dell’errore: gli stessi teologi, perduto il senso della trascendenza della Parola di Dio nella fede, ne riversarono l’assoluto in formule che l’esprimono autoritativamente, e di conseguenza sottrassero queste formule alla storia. (49s) L’intera nostra convinzione e l’intero nostro sforzo si oppongono a coloro «che sognano di distinguere nella teologia due regioni: l’una puramente intellettualistica e scolastica, irta di formule che la vita religiosa può perfettamente ignorare; l’altra positiva e mistica, in cui i bisogni soprannaturali, lavorando sui dati rivelati autenticamente riconosciuti grazie alla teologia positiva, costruirebbero un dogmatismo alla fine religioso, una sorta di teologia mistica che non dovrebbe in alcun modo tener conto della teologia scolastica» (A. Gardeil). La teologia, la fede in attività di intelligenza teologica, è davvero e propriamente un fattore di vita spirituale. Non si fa teologia aggiungendo corollaria pietatis a tesi astratte, recise dal loro dato oggettivo e soggettivo, ma rimanendo nell’unità profonda dell’ordine teologale. [...] (56). Non ci fu peggior disgrazia per il tomismo, il cui sforzo originario fu di fondare nella cristianità uno statuto dell’intelligenza umana, che l’essere trattato come una ‘ortodossia’. [...] È per un’illusoria apparenza che la teologia assume presso certuni fisionomia di scienza chiusa: non c’è scienza più aperta, più ansiosa di progresso, più tormentata dalla purificazione spirituale. Noi crediamo con tutta l’anima al progresso della teologia, in nome del fervore stesso della fede che la suscita. Ma questo progresso non consiste nello sfruttamento di un sistema acquisito, nella proliferazione di nuove conclusioni all’estremo di una dialettica più sottile; esso ha la propria sorgente nella profondità segreta del lavoro teologico, là dove nasce nella fecondità permanente del dato quell’appetito insaziabile della 4 fede che non tende a nulla di meno della visione beatificante, – e non a una conclusione qualunque. [...] (60) Nelle considerazioni svolte sempre da M.-D. CHENU alle pp. 66-68 è esplicita la riserva nei confronti dell’ideale di una philosophia perennis («ostenta una serie di proposizioni, premesse o conclusioni, che sono come il denominatore comune di pensieri e iniziative filosofiche assai disparate») e della scolastica barocca («l’intero sforzo del pensiero si porta sul possibile e sulla sua compatibilità logica»; «questo perché il vero è ciò che è ‘concepibile’, ciò di cui possiamo avere un’idea chiara e distinta, una ‘nozione’»). Il manoscritto pubblicato nel 1937, Une école de théologie. Le Saulchoir, subirà nel 1942 la condanna del S. Uffizio e la messa all’Indice. La formula della théologie nouvelle viene impiegata – in accezione dispregiativa – in un articolo apparso sull’Osservatore Romano, nell’edizione del 9/10 febbraio 1942, a firma di P. Parente, ove si espongono le ragioni della censura. Tra i capi di imputazione figurano le accuse di: gettare il discredito sulla Scolastica; svalutare la ragione e privilegiare il sentimento; sostenere una inaccettabile concezione dello sviluppo del dogma. A Chenu costò l’interdizione dall’insegnamento in Francia e in Canada, oltre che l’allontanamento da Le Saulchoir. Nel ’46 riprende l’attività accademica alla Sorbona (fino al ’53) e poi nuovamente a Le Saulchoir. Nella corrispondenza intercorsa tra M.-D. Chenu ed É. Gilson in occasione dei dolorosi eventi del 1942, trova espressione un comune sentire circa la teologia attuale e la direzione obbligata per conseguire un rinnovamento autentico. A É. Gilson che il 28 febbraio 1942 scrive: «Nel presente caso siamo ancora sotto l’influsso dell’antiprotestantesimo. […] Donde la nozione sclerotica di “teologia” contro la quale voi protestate con tanta forza e ragione. […] Voi avete un campo di azione mirabile: ricondurre il Tomismo sul piano del concreto. La Revelatio come fatto storico, non come nozione astratta di rivelazione, deve essere riabilitata», il 7 marzo M.-D. Chenu risponde : «La vostra diagnosi, quanto all’oggetto in causa, collima perfettamente con le mie convinzioni. Noi non abbiamo ancora liquidato la crisi del 1500, e rimaniamo legati ai riflessi dell’antiprotestanteismo. […] Sì, campo d’azione mirabile. La Rivelazione come fatto storico, ne va appunto di questo»1. 3. Lo scolasticato dei Gesuiti a Lyon-Fourvière (1926-1974) Il modo migliore di adempiere alle istanze conclamate maldestramente nel modernismo è di ricondurre la fede al suo principio: la rivelazione. In questa direzione è da attendersi un autentico rinnovamento del metodo teologico. È questo l’orientamento propositivo di un contributo di circostanza al centro di una durissima reazione polemica2. Numerosi interpreti riconosceranno nell’articolo pubblicato da J. Daniélou una sorta di manifesto della Facoltà di Teologia di Lyon-Fourvière. Daniélou osserva in primo luogo che, per favorire un rinnovamento della vita cristiana numerose sono le iniziative fiorite in ambito ecclesiale, le quali reclamano una teologia maggiormente “presente” alla vita intellettuale del proprio tempo e non più separata dalla vita. Benché sia caduto nell’agnosticismo, il modernismo ha giustamente denunciato una perdita del senso della trascendenza di Dio da parte di una teologia razionalistica e oggettivante; ha 1 I testi sono reperibili in F.A. MURPHY, Correspondance entre É. Gilson et M.-D. Chenu: un choix de lettres (1923-1969), «Revue Thomiste» 105, 1 (2005) 25-87:52.54. 2 Cfr. J. DANIÉLOU, Les orientations présentes de la pensée religieuse, «Études» 79, t. 249 (1946) 5-21. 5 inoltre validamente contestato la mummificazione di un pensiero fissato in forme scolastiche e sganciato dallo sviluppo della filosofia e della scienza. La severità della reazione magisteriale era necessaria e, in questo senso, il neotomismo e la Commissione biblica hanno svolto un importante ruolo di contenimento. Però è chiaro che rafforzare gli argini non basta per rispondere alle esigenze poste3. E poi, come attestano le fortune dell’esistenzialismo e del marxismo, oggi non ci si deve accontentare di una speculazione avulsa dall’azione; piuttosto si avverte l’esigenza di un pensiero “militante” (engagée) (la teologia pastorale non è un’applicazione empirica del sapere teologico, ma sua componente qualificata). Tre sono infatti le condizioni per una teologia viva: […] Essa deve trattare Dio come Dio, non come un Oggetto, ma come il Soggetto per eccellenza, che si manifesta quando e come vuole […]; essa deve venire incontro alle esperienze dello spirito moderno e tener conto delle nuove dimensioni che la scienza e la storia hanno dato allo spazio e al tempo, che la letteratura e la filosofia hanno dato allo spirito ed alla società; infine essa deve porsi come un’attitudine concreta di fronte all’esistenza […].4 Per adempiere a questo compito si debbono incoraggiare tre tendenze già in atto: a) tornare alle fonti essenziali, cioè alla Bibbia (restituendola alla sua funzione centrale, mettendo a frutto le acquisizioni della critica letteraria e delle scienze storiche), ai Padri della Chiesa ed alle fonti liturgiche (per riscoprirne la valenza simbolico-pedagogica, cioè mistagogica); Si deve all’équipe di Lyon-Fourvière la fondazione della prestigiosa collana patristica Sources Chrétiennes. Cfr. É. FOUILLOUX, La collection “Sources chrétiennes”. Éditer les Pères de l’Église au XXe siècle, Cerf, Paris 1995. Circa il contributo della teologia patristica così scrive J. DANIÉLOU: «[I Padri] non sono solamente i testimoni veraci di uno stato di cose mutato; essi sono ancora il nutrimento più attuale per gli uomini di oggi, proprio perché vi ritroviamo un certo numero di categorie che sono quelle del pensiero contemporaneo e che la teologia scolastica aveva perduto. Si deve notare in primo luogo la nozione di storia. La riflessione filosofica contemporanea, da Hegel a Marx e a Bergson, l’ha messa al centro del pensiero moderno. Ora, la nozione di storia è estranea al tomismo. Al contrario, è su di essa che sono imperniati i grandi sistemi patristici: per Ireneo, Origene, Gregorio di Nissa, il cristianesimo non è solamente una dottrina, ma anche una storia, quella dell’“economia” progressiva, mediante la quale Dio, prendendo l’umanità dal suo stadio primitivo, la educa poco a poco, secondo delle tappe scandite dalle grandi epoche bibliche, mediante una pedagogia piena di misericordia, fino a renderla capace di ricevere il Verbo incarnato» (ID., Les orientations présentes, 10). In termini analoghi si era espresso H.U. VON BALTHASAR: «Noi ci rivolgiamo verso un passato più lontano ma senza ritenere che per restituire vita ad un pensiero esangue sia sufficiente esumare i “Padri greci” e adattarli in qualche modo ai bisogni dello spirito moderno. Noi non abbiamo l’ingenuità di preferire ad una teologia “neo-scolastica” una teologia “neo-patristica”! Nessuna situazione storica è del tutto simile ad una di quelle che l’ha preceduta, nessuna potrà dunque fornire le sue soluzioni come dei passe-partout adatti a risolvere i nostri problemi di oggi» (ID., Présence et pensée. Essai sur la philosophie religieuse de Grégoire de Nysse, Beauchesne, Paris 1942, VIII). Nel volume che ha inaugurato la fortunata collana Théologie H. BOUILLARD scrive: « Se sottolineiamo più di una volta le differenze tra la teologia di S. Tommaso e la nostra, non è per denigrare quella a favore dell’altra. Quando si mettono a confronto dottrine di epoche differenti bisogna tener conto che non rispondono esattamente agli stessi problemi. Non si 3 Cfr. J. DANIELOU, Les orientations présentes, cit., 6s. Con formulazioni analoghe si era già espresso H. DE LUBAC: «[…] A quali deformazioni si arriverebbe se […] si prendesse il giuramento antimodernista non per il documento difensivo che, con ogni evidenza, vuole essere, ma per una sintesi teologica dalle proporzioni equilibrate? Un settore rafforzato del bastione non è tutta la città! La maternità dottrinale della Chiesa è ben lungi dal ridursi al potere giudiziario che esercita contro l’errore» (ID., Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma (1938), tr. it. Jaca Book, Milano 1978, 236). 4 J. DANIÉLOU, Les orientations présentes, 7. 6 può tornare a S. Tommaso cancellando tutto ciò che, nel frattempo, abbiamo appreso dalla riflessione dei teologi, dalla lotta contro le eresie e dalla contemplazione dei santi. E nemmeno ci si può costringere a ritrovare presso il maestro del XIII secolo tutta la teologia dei secoli successivi» (ID., Conversion et grâce chez saint Thomas d’Aquin. Étude historique, Aubier, Paris 1944, 16). «È il difetto pressoché inevitabile dei manuali di far sembrare la teologia come un sapere compiuto, dalle nozioni immutabili, dai problemi intemporali, dagli argomenti definitivi […]. Uno studio storico rivela invece quanto una teologia sia legata al tempo, al divenire dello spirito umano. Esso manifesta quanto di contingente vi sia in essa: relatività delle nozioni, evoluzione dei problemi, oscuramento provvisorio di alcune verità importanti» (ivi, 211). «[…] Chi considera la teologia come un pensiero sempre vivo, come una conoscenza attiva e personale del mistero divino non può astenersi dal far ricorso alla storia» (ivi, 224). Quanto alla denuncia del “fissismo” come eresia virtuale si legga: M. BLONDEL, storia e dogma. Le lacune filosofiche dell’esegesi moderna (1904), tr. it. Queriniana, Brescia 1992, 119s. b) mantenere un contatto con il pensiero contemporaneo (vengono richiamati, in particolare, i contributi di Nietzsche, Dostoïevsky e Kierkegaard), soprattutto con la filosofia dell’esistenza (existentielle), la cui acquisizione centrale è “l’infinito della libertà umana”5; Questi due abissi, storicità e soggettività, […] impongono al pensiero teologico di dilatarsi. È chiaro infatti che la teologia scolastica è estranea a queste categorie. Il suo mondo è quello immobile del pensiero greco, nel quale ha adempiuto la missione di incarnare il messaggio cristiano. Questa concezione conserva una verità permanente e sempre valida, per lo meno in quanto consiste nell’affermazione che la decisione della libertà dell’uomo o la trasformazione da parte sua delle condizioni di vita non sono un cominciamento assoluto, mediante il quale l’uomo crei se stesso, ma la risposta ad una vocazione di Dio di cui il mondo delle essenze è l’espressione. D’altronde, però, essa non assegna alcun rilievo alla storia. […] Assegnando un indice di realtà più alle essenze che ai soggetti, essa ignora il mondo drammatico delle persone, degli universali concreti trascendenti ogni essenza e che si distinguono solo per l’esistenza, cioè non più secondo il criterio dell’intelligibile e dell’intellezione, ma secondo il valore e l’amore, o l’odio.6 c) tenere conto dei bisogni delle anime. L’uomo contemporaneo chiede che gli si spieghi il senso della vita; perciò si deve superare la dissociazione in voga tra teologia (speculativa e intemporale) e spiritualità (ricca di consigli pratici non avvertiti del loro rilievo antropologico più generale). 4. Un cripto-modernismo? Sul fronte delle reazioni, si debbono registrare anzitutto i tempestivi interventi di R. Garrigou-Lagrange7: Dove va la nouvelle théologie? Torna al modernismo. Perché ha accettato la proposta di sostituire alla definizione tradizionale della verità: adaequatio rei et intellectus, come se essa fosse chimerica, la definizione soggettiva: adaequatio realis mentis et vitae.8 5 Il riscatto del tema dell’esistenza dall’ordine delle essenze e la rivalutazione del peso degli affetti concorrono alla contestazione di una deformazione gnostica del cristianesimo, secondo la quale la redenzione sarebbe da intendere come una riconduzione dell’uomo allo stadio primitivo, come se fosse meglio che la storia non ci fosse (una sorta di ideale della salvezza come salvezza dalla storia). In questo contesto si deve comprendere una affermazione di H. BOUILLARD causa di numerosi equivoci: «Una teologia che non fosse attuale sarebbe una teologia falsa» (ID., Conversion et grâce, 219). 6 J. DANIÉLOU, Les orientations présentes, 14. 7 R. GARRIGOU-LAGRANGE, La nouvelle théologie où va-t-elle?, «Angelicum» 23 (1946) 126-145. 8 R. GARRIGOU-LAGRANGE, La nouvelle théologie où va-t-elle?, 143. Il regista occulto di tale operazione viene indicato nella persona di M. Blondel (cfr. ivi, 129s). L’accusa è di aver liquidato ogni metafisica e 7 Che cosa viene proposto in alternativa al tomismo, come se Leone XIII nell’enciclica Aeterni Patris si fosse sbagliato, come se Pio X nell’enciclica Pascendi rinnovando queste raccomandazioni avesse sbagliato strada? E dove va questa nuova teologia con i nuovi maestri cui si ispira? Dove va se non nella direzione dello scetticismo, della fantasia e dell’eresia?9 e di M.-M. Labourdette10: Ciò che noi lamentiamo nella maggior parte [dei volumi della collana «Théologie»] è che la messa in luce delle ricchezze della tradizione patristica o lo sforzo per trovare una formulazione ringiovanita sono accompagnate da un evidente disprezzo della teologia scolastica.11 La pseudo-filosofia ispirata inconsciamente dai metodi della storia è il “relativismo”, nel senso forte della teoria, o più ancora di un’attitudine intellettuale che rimpiazza la nozione metafisica di verità speculativa mediante quella più modesta di verità storica, come espressione più o meno completa della mentalità, dell’esperienza umana di un’epoca o di un gruppo di uomini. L’idea stessa che il nostro spirito possa arrivare a cogliere e a discernere […] una verità intemporale diviene propriamente impensabile. […] Ma allora si deve rinunciare del tutto all’idea di un insegnamento valido sul piano universale, ad ogni funzione del Magistero permanente […].12 Dietro l’accusa di metter in dispregio la Scolastica vi è la preoccupazione di tutelare il carattere vincolante dei pronunciamenti magisteriali13, ma il contenzioso reale è la questione radicale del significato della storia per rapporto alla natura specifica della rivelazione cristiana. Da parte dei teologi gesuiti già nel 1946 era stato approntato un editoriale di replica alle accuse: ontologia, per sostituire alla filosofia dell’essere quella del fenomeno del divenire (o dell’azione) (cfr. ivi, 131). 9 R. GARRIGOU-LAGRANGE, La nouvelle théologie où va-t-elle?, 133s. 10 La rassegna di M.-M. LABOURDETTE, La théologie et ses sources, «Revue Thomiste» 46 (1946) 353371, offre una recensione molto articolata dei volumi delle collane summenzionate. 11 M.-M. LABOURDETTE, La théologie et ses sources, 358. 12 M.-M. LABOURDETTE, La théologie et ses sources, 362. Al fondo viene individuata una filosofia nominalista, secondo la quale i concetti sono astrazioni vuote, quadri logici di mero valore pragmatico (cfr. 363.366: veniamo ricondotti agli antichi dibattiti sulla natura e l’individuo, sull’essenza e l’esistenza, sull’astrazione e il concreto). In polemica con la riduzione delle asserzioni ad un mero valore espressivo leggiamo ancora: «[…] Ciò che non possiamo tollerare è l’evacuazione completa […] dell’idea della verità speculativa. E a chi ci domandasse se crediamo che la verità ci sia accessibile, noi avremmo l’ingenuità di rispondere di sì. Noi consideriamo “verità” la conformità dell’intelligenza conoscente con un reale ch’è per l’intelligenza un dato e non un “costrutto”» (ivi, 368). Tentando una ermeneutica più complessiva della discussione, osserviamo come il vero contenzioso non riguardi la preclusione della sintesi veritativa, ma di ripensarla nel quadro di una teoria dell’esperienza ove si tematizzino le condizioni reali-effettive (in questo senso: soggettive) dell’istituzione del giudizio. 13 La lettera enciclica di Pio XII, Humani Generis, del 12 agosto 1950, senza esprimere condanne dirette, analizza i “nuovi sviluppi” e passa in rassegna i “pericoli della teologia”. «[…] Queste tendenze non solo conducono al “relativismo” dogmatico, ma di fatto già lo contengono; questo relativismo è poi fin troppo favorito dal disprezzo verso la dottrina tradizionale e verso i termini con cui essa si esprime» (DH 3883). «[…] È quanto mai da deplorarsi che oggi la filosofia confermata e ammessa dalla chiesa sia oggetto di disprezzo da parte di certuni, talché essi con imprudenza la dichiarano antiquata per la forma e razionalistica per il processo di pensiero» (DH 3894). De Lubac e Bouillard, già nel mese di giugno – a seguito di un provvedimento cautelativo – avevano perduto la cattedra e le loro opere erano state ritirate dalle biblioteche dei Gesuiti. Per una documentazione circostanziata cfr. J.-D. DURAND, La Furia francese vue de Rome: peurs, suspicions et rejets des années 1950, in M. LAGRÉE – N.J. CHALINE (ed.), Religions par-delà les frontières, Beauchesne, Paris 1997, 15-35; É. FOUILLOUX, Une Église en quête de liberté. La pensée catholique française entre modernisme et Vatican II 1914-1962, Desclée, Paris 1998. 8 Più si esalta Tommaso, meno si deve temere che un ricorso diretto a quelle fonti cui egli stesso ha attinto possa fargli torto: al contrario, si tratta di una condizione per meglio comprenderlo, approfondirlo e discernere in lui le “virtualità” orientate a “migliori sviluppi”. […] Vi può essere in teologia un certo intellettualismo contro il quale noi non esitiamo affatto a schierarci. Ed è quello che vorrebbe fare della rivelazione cristiana la comunicazione di un sistema di idee, quando essa è soprattutto [...] la manifestazione di una Persona, della Verità in Persona. Cristo è nello stesso tempo il portatore e l’oggetto del messaggio divino. La Parola di Dio nella sua pienezza unica e definitiva è il Verbo fatto carne. Da qui non consegue che la rivelazione non debba esprimersi in concetti, che il passare del tempo non obblighi questa espressione concettuale a precisarsi e ad ampliarsi […]. A coloro che, per l’effetto di qualche scrupolo o di qualche riflessione scorretta, dubitassero dell’attitudine dell’intelligenza umana a cogliere il vero, l’Incarnazione del Verbo apporta al contrario nuovi motivi di fiducia. Ma ne consegue che la verità cattolica deborderà sempre la sua espressione concettuale, a maggior ragione la sua formulazione scientifica in un sistema organizzato. […] Si deve temere molto, in teologia più che altrove, questa deformazione “intellettualista” che scambia il sistema per la verità – anzi, che concepisce la verità come un sistema. […] Alcune corrispondenze, alcuni moti di agitazione sarebbero tali da farci temere che, se i malaugurati giorni del modernismo siano, grazie a Dio, per il momento distanti da noi, i giorni nefasti dell’integrismo siano sul punto di ritornare…14 Come la vicenda del modernismo ha insegnato, la partita decisiva si gioca sul piano del metodo teologico. Lo scontro era inevitabile, posta la premessa della metodologia neoscolastica15. Per riferimento al principio di soggettività ed all’istanza della storia si vedeva spiazzata quella teologia che aveva irrigidito l’apparato razionalistico – avvalorando il formalismo di una sfida al criticismo sul piano di una dimostrazione more geometrico – e si era arroccata sotto la tutela del Magistero gerarchico per sfuggire al fideismo soggettivistico (al magistero della coscienza individuale). La difesa della qualità soprannaturale della rivelazione avveniva a prezzo di un estrinsecismo: nel modello che pone la fede come ulteriore rispetto alla cogenza di tipo analitico-deduttivo è implicita una esteriorità della fede all’attuazione antropologica fondamentale (ossia, per riprendere i termini della disputa evocata, alla “natura”). La théologie nouvelle non ha mai preteso farsi carico della riformulazione del modello dominante. Ha mirato piuttosto alla rivitalizzazione contenutistica della memoria storica, in particolare della tradizione patristica, ma anche della Scolastica medievale. Si è trattato di una valorizzazione – più positiva che sistematica – del profilo economico della tradizione della fede. La disamina teorica dell’antropologia della fede è rimasta piuttosto implicita, nutrita come di riflesso dalla ricca sensibilità dei testi patristici e dalle intuizioni della filosofia blondeliana. Al di là della concettualità impiegata – che si limita ad una correzione dell’impianto metafisico –, raccogliamo un’importante lezione di metodo: le risorse per un dialogo fruttuoso con le problematiche del pensiero moderno provengono “dall’interno” della fede stessa, cioè dalla vitalità della rivelazione. 14 La théologie et ses sources, «Recherces de science religieuse» 33 (1946) 385-401; i brani citati si trovano alle pp. 395-400 passim. 15 Con non poca acredine, riferendosi agli anni della condanna dell’Action Française, H. DE LUBAC lamenta una “dittatura tomista” (cfr. ID., Memoria intorno alle mie opere (1989), tr. it. Jaca Book, Milano 1992, 101). L’episodio forse più eclatante al riguardo appare la redazione, nel 1914, a cura del gesuita p. G. Mattiussi, delle ventiquattro tesi della filosofia di S. Tommaso, pubblicate in un decreto della Congregazione degli Studi il 27 luglio 1914 (cfr. DH 3601-3624), e successivamente commentate dallo stesso Mattiussi in un volume del 1917.