icram - Regione Lazio

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ICRAM
Istituto Centrale per la Ricerca
scientifica e tecnologica Applicata al Mare
STUDIO PER L’IMPATTO AMBIENTALE CONNESSO
ALLO SFRUTTAMENTO DI DEPOSITI SABBIOSI SOMMERSI
AI FINI DI RIPASCIMENTO LUNGO LA PIATTAFORMA
CONTINENTALE LAZIALE
Fase A – Caratterizzazione della piattaforma continentale laziale
(Sintesi dei dati di letteratura scientifica e tecnica)
Regione Lazio
2002
ICRAM
Responsabile Scientifico:
Massimo Gabellini
Coordinamento:
Luisa Nicoletti
Hanno collaborato per l’ICRAM:
•
•
•
•
•
•
Paola La Valle
Maria Celia Magno
Emanuela Fanelli
Ornella Nonnis
Daniela Paganelli
Marina Pulcini
ICRAM
INDICE
PREMESSA
3
INTRODUZIONE
5
PARTE I - Analisi Critica della Letteratura
1. MORFOLOGIA E SEDIMENTOLOGIA
1.1 L’entroterra
8
1.2 La fascia costiera
11
1.3 La piattaforma continentale
14
Bibliografia
2. GEOCHIMICA
Introduzione
42
2.1 Geochimica dei sedimenti della piattaforma
44
Bibliografia
3. POPOLAMENTO BENTONICO
Introduzione
53
3.1 Distribuzione delle biocenosi bentoniche
56
3.2 Posidonia oceanica e altre fanerogame marine
62
Bibliografia
4. POPOLAMENTO ITTICO
Introduzione
73
4.1 Popolamento ittico demersale
73
4.2 Aree di nursery e rendimenti delle specie demersali di maggior interesse commerciale
80
4.3 Attività di pesca
85
4.4 Impianti di acquacoltura e mitilicoltura
98
4.5 Popolamento ittico delle barriere artificiali
99
Bibliografia
5. CARATTERISTICHE IDROLOGICHE E DINAMICHE DELLE MASSE D’ACQUA
Introduzione
105
1
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5.1 Masse d’acqua
105
5.2 Circolazione
107
Bibliografia
6. VINCOLI E USI DEL MARE
Introduzione
112
6.1 Aree marine protette, parchi nazionali e oasi blu
114
6.2 Barriere artificiali
116
6.3 Terminali off-shore
117
6.4 Cavi, condotte di scarico e oleodotti
118
6.5 Aree di sversamento dei materiali portuali
121
6.6 Poligoni militari
123
Bibliografia
7. CONCLUSIONI
126
PARTE II - Analisi Cartografica: Banca Dati ed Elaborazioni
1. GEOGRAPHICAL INFORMATION SYSTEM (G.I.S.)
128
2. COSTRUZIONE DELLA BANCA DATI CARTOGRAFICA
129
3. LETTURA INTEGRATA DEI DATI (Overlay mapping)
132
4. CONCLUSIONI
136
Allegati:
- Carta della Distribuzione dei Sedimenti Superficiali e dei Principali Lineamenti Morfologici
- Carta della Distribuzione delle Biocenosi Bentoniche
- Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (primavera)
- Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (estate)
- Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (autunno)
- Carta dei Vincoli e degli Usi del Mare
2
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PREMESSA
E’ noto da tempo come il litorale nazionale sia soggetto a rilevanti fenomeni erosivi e di
arretramento della linea di costa, soprattutto a causa dell’antropizzazione “incontrollata” delle coste
con conseguente immobilizzazione delle dune, della presenza di derivazione e sbarramenti sui corsi
d’acqua e del prelievo di inerti.
Con il procedere del degrado dell’ambiente costiero diventa, quindi, sempre più importante la
ricerca di materiale idoneo da utilizzare per la ricarica delle spiagge al fine di proteggere tratti di
litorale interessati da significativi fenomeni di erosione.
Da segnalare come negli ultimi anni sia stata posta particolare attenzione alla possibilità di
utilizzare giacimenti di sabbie sommerse presenti lungo la piattaforma continentale.
In particolare, la Regione Lazio ha avviato una serie di studi (in collaborazione con università e
istituti di ricerca) finalizzati sia all’identificazione di possibili giacimenti di sabbie sommerse da
utilizzare ai fini di ripascimento, sia all’impatto ambientale generato dal loro eventuale
sfruttamento.
E’ stata quindi avvertita l’esigenza di disporre di un bagaglio completo di informazioni, derivanti da
studi interdisciplinari, capaci di offrire una lettura rapida e integrata delle diverse tematiche
ambientali che possono interagire con le attività di movimentazione dei fondali.
Questo lavoro si inserisce all’interno di un più vasto programma di pianificazione a scala regionale
inerente lo studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi
lungo la piattaforma continentale laziale.
In particolare, la Regione Lazio ha messo a punto insieme all’ICRAM un programma di indagini
articolato in tre Fasi principali: Fase A, che costituisce l’oggetto specifico di questa relazione, Fase
B e Fase C.
Nella Fase A, di raccolta e analisi dei dati disponibili in letteratura, vengono definiti i principali
caratteri della piattaforma continentale laziale in merito a: morfologia, sedimentologia e geochimica
dei fondali, popolamento bentonico ed ittico, caratteristiche idrologiche e dinamiche delle masse
d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare.
Sulla base dei risultati ottenuti nella Fase A, si procederà nelle aree potenzialmente interessate
dall’estrazione di sabbie alla caratterizzazione sia dei fondali che della colonna d’acqua (Fase B).
Nella Fase B verranno, quindi, effettuati campionamenti specifici riguardanti i principali parametri
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fisici, chimici e biologici, al fine di fornire un quadro di dettaglio e di colmare le lacune emerse
dall’analisi dei dati bibliografici.
Verranno, quindi, condotte indagini di maggior dettaglio per ogni sito individuato come
potenzialmente sfruttabile (Fase C). La Fase C sarà articolata in una Fase C1, prima dell’inizio dei
lavori e necessaria per l’autorizzazione, una Fase C2, durante i lavori, e una Fase C3 di
monitoraggio, al termine delle attività di dragaggio.
Questo studio ha, quindi, lo scopo di fornire un quadro il più completo possibile delle conoscenze
attualmente disponibili per le varie discipline afferenti il dominio marino della piattaforma
continentale del Lazio. La necessità di disporre di un quadro dettagliato, aggiornato e aggiornabile,
nasce dalla consapevolezza che la corretta gestione dei fondali marini, soprattutto in rapporto al loro
eventuale sfruttamento (coltivazione di depositi sabbiosi sommersi), necessita di supporti scientifici
rilevanti e autorevoli, basati sullo studio e sulla comprensione del “sistema piattaforma”, in tutta la
sua complessità (Bartolini et al., 1986)1.
Poiché il tema dei ripascimenti è un argomento sempre attuale, con programmi spesso a lungo
termine, è nata l’esigenza di creare dei data base aggiornabili da utilizzare anche in futuro.
Per lo svolgimento di tale attività, essenzialmente basata sull’integrazione e sul confronto di dati
non omogenei e afferenti a diverse discipline, è stato utilizzato un sistema multidisciplinare di
pianificazione, mediante l’utilizzo di un G.I.S. (Geographical Information System). La disponibilità
di tecnologie informatiche relative alla gestione e alla rappresentazione dei dati semplificano,
infatti, la redazione di cartografie anche complesse. Per questo motivo i dati raccolti in letteratura
sono stati utilizzati per la realizzazione di un S.I.T. (Sistema Informativo Territoriale) che
nell’immediato ha permesso sia la visualizzazione dei dati raccolti nelle diverse discipline in una
serie di carte tematiche scelte sia, mediante processi di overlay, la visualizzazione in alcune precise
zone delle aree di attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie.
1
Bartolini C., Bernabini M., Burragato F., Maino A. (1986) - Rilievi per Placers sulla piattaforma continentale del Tirreno centro-settentrionale. In
P.F. CNR “Oceanografia e Fondi marini” Sottoprogetto “Risorse minerarie” Rapp. Tec. Fin.: 97-117.
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INTRODUZIONE
La piattaforma continentale è definita come quella porzione sommersa di continente caratterizzata
da bassi fondali e deboli pendenze del fondo marino (tra 0.1° e 1°) ed è associata, alle medie
latitudini, a una sedimentazione limoso-argillosa (Selli, 1970)2. Essa è delimitata verso largo da un
bordo esterno o ciglio (shelf break), ubicato a una profondità media di 130-140m e identificato da
un brusco aumento della pendenza del fondo; si distinguono una piattaforma interna, estesa fino a
una profondità di 40-50m e una piattaforma esterna, da 40-50m fino al ciglio (Ricci Lucchi, 1980)3.
La piattaforma, così come la scarpata che ne determina il ciglio esterno, è un elemento strutturale,
legato cioè all’evoluzione tettonica dei continenti (Ricci Lucchi, 1980). Al motivo strutturale si
sono poi sovrimposti gli effetti prodotti dalle oscillazioni glacioeustatiche del livello marino,
responsabili di importanti modificazioni sui margini continentali.
Nella maggior parte dei casi la sedimentazione attuale che interessa la piattaforma è per lo più di
natura terrigena, essendo alimentata dal carico solido trasportato dai corsi d’acqua; al contrario, nel
caso di piattaforme isolate, che bordano per esempio piccole isole, la sedimentazione è fortemente
controllata dall’attività biologica (sedimenti biogenici), come nel caso dei sedimenti calcarei delle
piattaforme tipo Bahamas e Golfo Persico, per i quali sono stati riconosciuti evidenti fenomeni di
biomineralizzazione (Fabricius, 1977)4.
La distribuzione dei sedimenti superficiali lungo le piattaforme continentali è, generalmente,
controllata dall’azione del moto ondoso che opera una separazione abbastanza netta tra carico di
fondo (sabbia) e carico sospeso (fango). Il primo viene concentrato sottocosta, nelle spiagge, nelle
barriere, ecc., e va ad alimentare il prisma costiero; il secondo è disperso più al largo dall’inerzia
della stessa corrente fluviale (pennacchi torbidi), da onde di tempesta, correnti di marea e correnti
costiere, e forma la cosiddetta lente o coltre di fango. Lungo la piattaforma è però possibile trovare
anche sedimenti grossolani deposti in condizioni diverse da quelle attuali (sabbie relitte). Essi sono
interpretati come depositi continentali e litorali pleistocenici non in equilibrio con le condizioni
attuali e ricoprono ben il 70% delle piattaforme continentali. (Emery, 1968)5.
Nell’area in studio la piattaforma continentale è caratterizzata dall’essere più stretta e acclive
rispetto alla media delle piattaforme italiane (Savelli e Wezel, 1980)6, sebbene essa sia una delle
2
Selli R. (1970) – Cenni morfologici generali sul mar Tirreno. Giornali di Geologia, 37: 5-24.
Ricci Lucchi F. (1980) – Sedimentologia, parte III: Ambienti sedimentari e facies. CLUEB Ed., Bologna: 545 pp.
4
Fabricius F. (1977) – Origin of marine ooids and grapstones. Contribution to sedimentology, 7, Scweizerbart, Stuttgart: 113pp.
5
Emery K.O. (1968) – Relict sediments on continental shelves of the world. Bull. Amer. Ass. Petrol. Geol., 52: 445-464.
6
Savelli D., Wezel F.C. (1980) - Morphologic map of the Tyrrhenian Sea, scale 1:1.250.000. P. F. CNR Oceanografia e Fondi Marini – Bacini
sedimentari. Lit. Art. Cart., Firenze.
3
5
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piattaforme maggiormente sviluppate dell’intero margine tirrenico (Marani et al., 1986)7. La sua
ampiezza è variabile: è più limitata nel settore centrale, tra Capo Linaro e Capo Circeo (20Km),
mentre è maggiormente estesa nei settori settentrionale (tra l’Argentario e Capo Linaro) e
meridionale (tra Capo Circeo e Gaeta) (30-40km). La sua pendenza media è di poco inferiore a 0.5°
mentre il margine verso mare, in corrispondenza del quale ha inizio la scarpata continentale, è ben
definito e si trova ad una profondità variabile tra i 120m e i 150m (Chiocci e La Monica, 1996)8.
L’area oggetto di questo studio comprende parte della piattaforma continentale del Lazio fino alla
profondità di circa 100m; quest’area è, infatti, quella più direttamente interessata da eventuali
attività di estrazione delle sabbie.
La relazione in oggetto è stata articolata in due parti. Nella parte I si analizza criticamente la
letteratura esistente, riportando nei capitoli specifici gli elementi considerati: la morfologia, la
sedimentologia e la geochimica dei fondali, le principali caratteristiche del popolamento bentonico
e del popolamento ittico demersale, le caratteristiche idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, i
vincoli e gli usi legittimi del mare. I risultati relativi a qualità e quantità dei dati raccolti provenienti
sia dalla letteratura scientifica che tecnica sono riportati nel capitolo 7.
Nella parte II viene presentata la banca dati cartografica realizzata, alla scala 1:250.000, sulla base
dei risultati emersi nella parte precedente, mediante l’utilizzo di un apposito sistema G.I.S., dalla
quale sono state estratte le carte relative a:
-distribuzione dei sedimenti e dei principali lineamenti morfologici;
-distribuzione delle biocenosi bentoniche;
-distribuzione delle aree di nursery delle principali specie di interesse commerciale (primavera,
estate e autunno);
-vincoli e usi legittimi del mare.
Il G.I.S. è stato, inoltre, utilizzato per effettuare una lettura integrata dei dati disponibili, mediante
operazioni di analisi spaziale (overlay mapping), nelle due aree di Montalto di Castro (VT) e del
golfo di Gaeta (LT), sulla base delle indicazioni fornite dalla Regione Lazio. Nonostante sia nota la
presenza di depositi sabbiosi lungo gran parte della piattaforma laziale, queste aree sono state
considerate prioritarie per la messa in sicurezza di alcuni tratti di litorale laziale.
7
8
Marani M., Taviani M., Trincardi F., Argnani A., Borsetti A. M., Zitellini N. (1986) - Pleistocene progradation and post-glacial events of the NE
Tyrrhenian continental shelf between the Tiber River delta and Capo Circeo. Mem. Soc. Geol. It., 36, 67-89.
Chiocci F.L., La Monica G.B. (1996) - Analisi sismostratigrafica della piattaforma continentale. In: Il Mare del Lazio – Elementi di oceanografia
fisica e chimica, biologia e geologia marina, clima meteomarino, dinamica dei sedimenti ed apporti continentale. Regione Lazio. Tip. Borgia.
Roma: 40-61.
6
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Si ritiene importante, infine, sottolineare che i prodotti cartografici presentati in questo lavoro
hanno una valenza puramente indicativa e pertanto non possono essere utilizzati come carte
operative per la programmazione delle attività di dragaggio, essendo stati realizzati con dati
bibliografici spesso relativi a lavori datati e/o condotti ad una scala non adeguata.
7
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PARTE I: Analisi Critica della Letteratura
1. MORFOLOGIA E SEDIMENTOLOGIA
1.1 L’entroterra
Cenni di geologia e geomorfologia
La principale fonte di sedimenti terrigeni presenti sulla piattaforma continetale è costituita dai
rilievi emersi continuamente sottoposti ai processi di weathering (fisico, chimico e biologico) e
che ne determinano l’alterazione e la frammentazione; la natura della roccia originaria e le
condizioni climatiche prevalenti determinano l’intensità con cui si verificano tali processi. Ne
consegue che nello studio degli ambienti marini è importante conoscere, almeno nelle linee più
generali, le caratteristiche geologiche salienti dei bacini versanti.
L’assetto geologico della regione laziale ha origine da quegli eventi che, durante la fase miopliocenica dell’orogenesi alpina, hanno corrugato i sedimenti mesozoici prevalentemente
carbonatici e gran parte dei depositi terrigeni cenozoici, deposti nel mare della Tetide. Nel
Pliocene-Pleistocene la catena, già emersa, è stata interessata da una fase tettonica
prevalentemente distensiva che ha dato origine a vaste depressioni colmate da estesi bacini
lacustri e da un vasto braccio di mare esteso nella valle del Tevere. Nelle depressioni interne si
sono accumulati sedimenti eterogenei fluvio-lacustri, mentre nella depressione del Tevere si sono
deposti sedimenti marini prevalentemente argilloso-sabbiosi, successivamente ricoperti da
sedimenti continentali.
Contemporaneamente ha avuto inizio un’intensa attività vulcanica che ha dato origine
all’allineamento di vulcani, esteso dal Monte Amiata fino a Roccamonfina.
L’area considerata risulta attualmente costituita da tre principali ambienti morfo-strutturali:
•
la dorsale appenninica, dove corre lo spartiacque che divide i bacini idrografici con foce
nell’Adriatico e nel Tirreno e che occupa il settore sud-orientale della regione. Essa è
costituita da rilievi prevalentemente carbonatici che, nel settore più meridionale, si
spingono fino al mare con la catena dei Volsci;
•
il Graben del Tevere e le sue diramazioni che hanno dato origine a una vasta e articolata
depressione posta al centro della regione e di cui la Valle Latina costituisce la propaggine
più meridionale;
8
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•
gli apparati vulcanici del monte Amiata, dei monti Vulsini, Cimini, Sabatini e Albani e,
all’estremo settore meridionale, l’apparato di Roccamonfina, che occupano gran parte del
settore occidentale della regione.
La fascia peritirrenica è bordata, da nord a sud, dai grandi distretti vulcanici: gran parte di essi
presenta conche lacustri più o meno ampie riconducibili o a centri di emissione, come nel caso
dei laghi di Vico, di Martignano, di Castel Gandolfo e di Nemi, o a depressioni
vulcano-tettoniche, generate da episodi di collasso seguiti allo svuotamento delle camere
magmatiche sottostanti, come nel caso dei bacini lacustri di Bolsena e di Bracciano.
Più a sud, oltre la foce del Tevere, che scorre all’interno del graben omonimo, è presente la
Pianura Pontina che costituisce, in termini morfologico-strutturali, il settore più depresso
dell'intero Lazio e che, per questo motivo, è stata invasa a più riprese dal mare durante il Pliocene
e il Quaternario, tanto che il rilievo isolato del Monte Circeo, che da essa si erge verso ovest, è
passato più volte da isola a promontorio.
A oriente della Pianura Pontina si individuano le dorsali calcaree fra loro parallele e allungate in
direzione NO-SE dei Monti Lepini-Ausoni-Aurunci e dei Monti Simbruini-Ernici, separate tra loro
dalla Valle Latina. Queste dorsali calcaree, che rappresentano ciò che rimane dell'antica
piattaforma carbonatica laziale-abruzzese, sono limitate spesso verso ovest da brusche scarpate di
faglia e sono caratterizzate da valli che tagliano longitudinalmente e trasversalmente i lineamenti
geologici principali dell’Appennino.
Quando queste dorsali sono venute a trovarsi in posizione arretrata rispetto alla linea di costa, si
sono potute instaurare condizioni favorevoli alla formazione di pianure costiere più o meno estese.
E’ questo il caso dei monti Aurunci, al cui arretramento si deve lo sviluppo della piana costiera del
fiume Garigliano, mentre al maggior arretramento dei monti di Caserta è imputabile l’esistenza
della più ampia piana costiera del fiume Volturno, che, come la precedente, è stata sede, nel
Quaternario, di un’intensa sedimentazione (Brancaccio et al., 1991; Pennetta et al., 1998).
In definitiva è possibile rilevare che mentre il litorale centro-settentrionale è caratterizzato da un
entroterra costituito prevalentemente da formazioni vulcaniche, cui si deve un apporto detritico
importante (Ferretti et al., 1989b), quello meridionale è caratterizzato da importanti pianure
litoranee (Agro Pontino e Piana di Fondi) e da rilievi prevalentemente carbonatici (Promontorio di
Monte Circeo, Monti Ausoni e Aurunci). La presenza di questi rilievi che spesso si spingono fino al
mare, ha determinato l’instaurarsi di un’idrografia superficiale poco sviluppata cui fa però riscontro
una circolazione sotterranea rilevante e a cui si deve la presenza di numerose emergenze puntuali,
anche sottomarine.
9
ICRAM
Cenni di idrologia e idrogeologia
Le acque continentali sono in grado di esercitare una significativa influenza sugli ambienti marini
adiacenti, sia per effetto del trasporto di sedimenti che possono alimentare la spiaggia e la
piattaforma continentale interna, sia per effetto del trasporto in mare dei contaminanti.
I fiumi che versano le loro acque nel mare antistante la costa laziale sono diversi, i più importanti
sono il Tevere, il Garigliano e il Volturno9. Per tutti è stata stimata una portata media complessiva
pari a 526 m3/s, così ripartita: 7.9 m3/s il Fiora, 2.3 m3/s l’Arrone, 7.3 m3/s il Marta, 4.4 m3/s il
Mignone, 224.8 m3/s il Tevere, 21.8 m3/s l’Amaseno, 141.8 m3/s il Garigliano e 84 m3/s il Volturno,
cui si somma il contributo di bacini minori e di sorgenti sottomarine (31.7 m3/s) (Boni et al., 1996).
Si può osservare come il Tevere, pur avendo una portata specifica dimezzata rispetto a quella del
Garigliano (rispettivamente 12.6 l/s/Km e 27 l/s/Km), contribuisca con oltre il 40% al deflusso
totale, il Garigliano con il 27% e il Volturno con il 17%, mentre i corsi d’acqua minori forniscono
portate assai più limitate (Boni et al., 1996).
Nel bacino del Tevere si distingue un settore settentrionale che, pur essendo privo di risorse idriche
importanti, è caratterizzato da elevati valori di ruscellamento e contribuisce in modo significativo al
suo carico solido. Il settore sud-orientale, in cui dominano le grandi dorsali carbonatiche, costituisce
invece un ingente serbatoio di acque sotterranee ed alimenta il flusso di base del Nera-Velino e
dell’Aniene; infine, il settore sud-occidentale drena i domini vulcanici del Lazio settentrionale ed è
caratterizzato da ruscellamento limitato e flusso di base sostenuto, per la presenza di importanti
acquiferi nei domini vulcanici.
9
In realtà il Volturno ha la propria foce nella regione Campania, ma poiché sfocia all’interno del golfo di Gaeta, si ritiene importante considerare
anche il suo apporto.
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ICRAM
1.2 La fascia costiera
Aspetti geomorfologici
Il litorale laziale, articolato su un totale di circa 297km, è formato in gran parte da spiagge sabbiose
(78 %) caratterizzate da ampie falcature. Alle coste basse si alternano tratti di costa rocciosa (22 %)
che possono costituire veri promontori, come nel caso di Capo Linaro, Capo d’Anzio e Monte
Circeo, oppure generare limitati aggetti costieri all’interno di insenature più o meno ampie, come
per Terracina e Sperlonga o, infine, dare luogo a ripe rocciose poco elevate come quelle presenti tra
il fiume Mignone e Civitavecchia e tra Capo d’Anzio e Torre Astura, con piccole baie e pocket
beaches (La Monica e Raffi, 1996).
L’area più settentrionale che si estende dal promontorio dell’Argentario alla foce del fiume
Mignone, presenta un andamento ad arco con apertura a SO, in cui sfociano i fiumi Fiora e Marta e
altri corsi d’acqua di minore importanza. Essa è caratterizzata da una costa prevalentemente bassa,
sabbiosa e orlata di dune, che passa a costa rocciosa nel tratto più meridionale, in corrispondenza di
estesi affioramenti di arenarie conglomeratiche del Pliocene superiore. Sono presenti, lungo questo
tratto di litorale sabbioso, il lago costiero di Burano, paludi costiere e lingue di eluviale recente,
talora torboso, raccoltosi entro laghi o stagni costieri per prevalente azione eolica.
Dalla foce del fiume Marta fino a Ladispoli si avvicendano tratti di costa bassa in erosione, talora
privi di sabbia, con affiorante un substrato argilloso fluvio-lacustre, tratti di costa alta e piccole
pocket beach sabbiose.
Da Ladispoli ad Anzio si estende, invece, la grande unità fisiografica del fiume Tevere. La
morfologia costiera, in questo tratto, è caratterizzata da una successione di cordoni sabbiosi che
marcano gli stadi di costruzione del delta tiberino in epoca storica. Alle sue spalle sono presenti tre
aree palustri bonificate e una piana costiera estesa da Castel Porziano al Monte Circeo.
Il Tevere drena un bacino di 17.156km2 e prima di giungere al mare, percorre la propria piana
deltizia per circa 15Km. In prossimità della costa si divide in due canali distributori di cui il
principale dà origine alla foce di Fiumara Grande, e a cui si deve l’esistenza della cuspide deltizia,
mentre il secondo, artificiale e di epoca romana, raggiunge il mare poco più a nord con una foce
armata (canale artificiale di Fiumicino).
La parte emersa del delta, sviluppatasi soprattutto nel corso degli ultimi 4-5.000 anni (Bellotti et al.,
1989), è costituita da una piana deltizia superiore, morfologicamente piatta e a dominio fluviale, e
da una piana deltizia inferiore, a dominio marino ed eolico. Quest'ultima presenta una serie di
cordoni litorali di accrescimento (beach ridges), che segnano le fasi della recente progradazione
iniziata a una distanza di circa 4km dall’odierna linea di riva (3.500-2.500 anni fa).
11
ICRAM
Sebbene siano stati riconosciuti momenti di arresto, di ripresa e di accelerazione (alto medioevo),
l’accrescimento è stato pressoché continuo fino a circa 40 anni fa, quando si è instaurata una forte
tendenza erosiva, tuttora in corso. L'erosione, che ha agito e agisce principalmente sulla parte
centrale dell'apparato, i cui materiali ridistribuiti a nord e a sud delle foci sono andati ad ampliare i
litorali delle ali deltizie (Caputo et al., 1987), viene essenzialmente attribuita alla drastica riduzione
degli apporti solidi fluviali (Bellotti e De Luca, 1979), registrata soprattutto negli anni '50 e dovuta
alla realizzazione di alcuni invasi artificiali lungo il medio e basso corso del Tevere (Corbara,
Nazzano e Castel Giubileo).
L'area deltizia, bonificata delle sue zone palustri ad inizio secolo, è stata, infine, oggetto di
un’intensa antropizzazione che ha portato alla realizzazione e/o all’ampliamento di diversi centri
abitati come Focene, Fiumicino e Ostia, nonché alla realizzazione dell'aeroporto Internazionale di
Fiumicino.
Immediatamente a sud della foce del Tevere, fra Capo d’Anzio e il Circeo, la continuità del litorale
è interrotta dal piccolo promontorio di Torre Astura. A nord, fra Anzio e Torre Astura, si sviluppa la
piccola unità fisiografica di Anzio, lungo la quale affiorano le unità del Plio-Pleistocene cui si deve
l’esistenza del promontorio omonimo; al piede degli affioramenti è presente un’esile spiaggia.
L’intensa antropizzazione del litorale, in corrispondenza soprattutto dei centri di Anzio e di
Nettuno, ne ha profondamente modificato l’aspetto, impedendone il naturale sviluppo e limitando,
di fatto, l’estensione dell’unità fisiografica al tratto compreso fra Nettuno e Torre Astura.
Il settore meridionale, esteso tra Torre Astura e il Circeo, è invece caratterizzato dalla presenza di
cordoni dunari che si frappongono fra il mare e i laghi costieri, estesi praticamente lungo tutto il
litorale (lago di Fogliano, lago dei Monaci, lago di Caprolace e lago di Sabaudia).
Fra Monte Circeo e Gaeta il litorale, arcuato e leggermente asimmetrico, presenta caratteristiche
morfologiche peculiari rispetto al resto della regione, prevalgono infatti, le coste alte e frastagliate e
con falesie e frequenti pocket beaches. A sud di Gaeta il litorale è caratterizzato, invece, da una
costa alluvionale bassa che si estende fino alla foce del Garigliano.
Segue, infine, la grande unità fisiografica dei fiumi Volturno e Garigliano, che si estende fino al
Monte di Procida.
Aspetti sedimentologici della spiaggia emersa e sommersa
Nell’area antistante la costa laziale, i fondali compresi tra la battigia e l’isobata dei 10m presentano
un andamento e un’ampiezza che riflettono i principali lineamenti della morfologia costiera: fondali
poco acclivi, associati a un’ampia fascia costiera, sono localizzati nel Lazio settentrionale, mentre
12
ICRAM
un’acclività maggiore determina il restringimento della stessa lungo le coste meridionali del Lazio
(La Monica e Raffi, 1996). In corrispondenza dei litorali bassi e sabbiosi sono presenti più ordini di
barre, rettilinee e più continue quelle esterne e discontinue e con frequente festonatura quelle
interne (La Monica e Raffi, 1996).
Indagini di dettaglio condotte nella fascia compresa tra 0 e 10 m lungo tutto il litorale laziale (La
Monica e Raffi, 1996) hanno evidenziato come i sedimenti ivi presenti siano costituiti quasi
esclusivamente da sabbie medie e fini, con differenze abbastanza evidenti a nord e a sud del Tevere.
Nei settori settentrionali sono presenti sedimenti che vanno dalle sabbie molto grossolane alle
sabbie finissime (diametro medio compreso tra -1.2 e +4 phi10), mentre a sud prevalgono
rispettivamente sabbie fini e medie (diametro medio rispettivamente di +3.5 e +0.8 phi).
Sabbie molto grossolane bioclastiche sono associate a fondali profondi e acclivi (dal Fiora al
Mignone), mentre sabbie grossolane si rinvengono su fondali a debole acclività, come nel caso del
tratto compreso tra Capo Linaro e Palo e tra Torre Astura e Torre di Foce Verde. Al contrario, la
costa rocciosa e le forti pendenze del fondo che caratterizzano la costa fra Monte Circeo e Scauri
non sembrano influenzare la granulometria dei sedimenti di spiaggia soggiacenti (sabbie fini).
Le indagini condotte circa l’influenza degli apporti solidi fluviali sulle caratteristiche delle spiagge
laziali indicano che solo i fiumi Tevere e Garigliano influenzano la fascia batimentrica compresa tra
0 e 10m, mentre i corsi d’acqua minori incidono al più sulla composizione mineralogica (La Monica
e Raffi, 1996).
La composizione mineralogica delle sabbie delle spiagge del litorale laziale è stata, in particolare,
associata al disfacimento dei vulcani quaternari ed è caratterizzata, ad eccezione delle aree più
prossime alla foce del Tevere, da vistose concentrazioni di minerali pesanti (Brondi et al., 1971).
Per quanto attiene alla deriva litorale, questa verrà trattata nel paragrafo successivo, in riferimento
alle singole aree in cui, per semplicità di rappresentazione, è stata suddivisa la piattaforma
continentale del Lazio. Se non diversamente indicato, le informazioni discusse sono quelle tratte da
Milli (1993).
10
Il phi è un’unità di misura del diametro delle particelle ed è, in particolare, uguale al logaritmo in base 2 del rapporto fra il diametro della particella,
espresso in mm, e il diametro unitario.
13
ICRAM
1.3 La piattaforma continentale laziale
Da un punto di vista morfologico, la piattaforma laziale si presenta più stretta ed acclive rispetto
alla media delle piattaforme italiane (Savelli e Wezel, 1980), sebbene essa sia una delle piattaforme
maggiormente sviluppate dell’intero margine tirrenico (Marani et al., 1986). L’ampiezza è
variabile: è più limitata nel settore centrale, tra Capo Linaro e Capo Circeo (20km), ed è più estesa
(30-40km) nei settori settentrionale (tra l’Argentario e Capo Linaro) e meridionale (tra Capo Circeo
e Gaeta). La sua pendenza media è di poco inferiore a 0.5° mentre il margine, ove inizia la scarpata
continentale, è ben definito e si trova ad una profondità variabile tra i 120m e i 150m (Chiocci e La
Monica, 1996; 1999).
Questo tratto di piattaforma viene oggi definita come un margine continentale passivo molto
giovane, essenzialmente di età pliocenica e quaternaria (ultimi 5 milioni di anni), dominato da una
sedimentazione detritica e caratterizzata da una modesta escursione di marea (Bartole, 1990;
Chiocci, 1989; Chiocci e La Monica, 1999).
Essa è ubicata immediatamente a nord del limite tra il dominio del Tirreno settentrionale (con
caratteristiche tipiche di un margine continentale) e quello del Tirreno meridionale (interpretato
come bacino in via di oceanizzazione), entrambi legati alla generale distensione post-orogenica che
ha interessato tutto il margine occidentale della penisola italiana (Chiocci e La Monica, 1996,
Trincardi e Zitellini, 1987; Zitellini et al. 1986).
Indagini sismiche condotte nel tratto di piattaforma compreso tra Civitavecchia e Capo Circeo
hanno evidenziato come le strutture tettoniche ivi presenti siano riconducibili a due episodi
differenti, legati da un lato all’apertura del bacino tirrenico (alto Miocene-basso Pliocene) e
dall’altro a movimenti transpressivi di età pleistocenica (Marani e Zitellini, 1986).
Per la costruzione del margine continentale sono state riconosciute condizioni eustatiche diverse
dall’attuale, come è testimoniato dalle differenze riscontrate tra le unità sismiche che costituiscono
il margine e i depositi olocenici (Marani et al., 1986; Chiocci et al., 1997) e dai lineamenti
morfosedimentari (incisioni sulla piattaforma; spiagge e costruzioni carbonatiche nella piattaforma
media ed esterna; incisioni lungo la scarpata superiore) non compatibili con l’attuale posizione del
mare.
Le attuali caratteristiche dei fondali marini (almeno fino all’isobata dei 120m) sono, infatti, il
risultato dell’azione di due fattori diversi: l’apporto di sedimenti della terraferma e le variazioni
glacioeustatiche pleistoceniche (ultimi 2.000.000 anni), in particolare quelle relative all’ultima
risalita del livello del mare (20.000-8000 anni fa) (La Monica e Raffi, 1996).
I depositi del Pleistocene medio-superiore che costituiscono il margine laziale si sono formati
14
ICRAM
durante un periodo di abbassamento del livello del mare o lowstand (Marani et al., 1986; Chiocci et
al., 1997). La sedimentazione olocenica di alto stazionamento (highstand) è, invece, principalmente
collegata a sorgenti di materiale detritico che hanno favorito la progradazione dei settori costieri
antistanti, i quali hanno ricevuto un consistente apporto di sedimenti. La sedimentazione è sempre
ristretta alle spiagge o alla porzione di piattaforma interna o media antistante la sorgente di
materiale detritico (Chiocci et al., 1997).
Le indagini sismiche condotte lungo il margine tirrenico laziale (Chiocci, 1991; Chiocci e La
Monica, 1996; 1999) hanno permesso di riconoscere come la piattaforma sia costituita, dal basso
verso l’alto, da un basamento acustico su cui poggia una potente serie clinostratificata troncata al
tetto da una superficie d’erosione subaerea; la successione termina con la sequenza deposizionale
post-glaciale.
Il basamento acustico11 è stato correlato da Bartole (1984; 1990) alle unità geologiche
dell’Appennino e, in particolare, procedendo da nord a sud:
•
ai depositi di Falda Toscana di età triassico-cretacica, che affiorano all’Isola di Giannutri e
ad Ansedonia;
•
ai depositi flyschiodi liguridi di età cretacico-paleocenica (probabilmente Pietraforte) che
costituiscono il Promontorio di Capo Linaro;
•
al substrato carbonatico di età meso-cenozoica, presente in affioramento tra Sperlonga e
Gaeta.
Nel tratto che va dal Fiume Tevere a Capo Circeo l’unità più profonda è stata attribuita da Marani et
al. (1986) a una formazione sedimentaria stratificata e tettonizzata di età mio-pliocenica.
La serie clinostratificata di età pleistocenica (da 2.000.000 a 20.000 anni fa) presenta una
stratificazione che evidenzia l’assetto progradante e la pendenza del fondo marino sui cui si
depositavano i sedimenti. L’inclinazione degli strati, maggiore verso largo, indica una deposizione
in ambiente di scarpata continentale (Marani et al., 1986). All’interno della serie clinostratificata
sono presenti superfici di discordanza angolare e terrazzi deposizionali, che testimoniano
l’emersione della piattaforma nel Pleistocene durante le fasi di basso stazionamento eustatico.
La serie termina con una superficie d’erosione generata dall’emersione della piattaforma avvenuta
durante la glaciazione würmiana (20.000-18.000 anni fa), quando il livello del mare era di circa
120m più basso dell’attuale in seguito all’immobilizzazione di grandi masse d’acqua nelle calotte
polari e nei ghiacciai continentali (Chappel e Shakleton, 1986; Williams, 1988).
11
unità ben riconoscibile sui profili sismici perché completamente sorda alla prospezione.
15
ICRAM
La superficie d’erosione, caratterizzata sismicamente da un forte coefficiente di riflessione e da una
netta discordanza angolare con i depositi sottostanti, è localmente interessata dalla presenza di
paleoalvei associati o meno alla presenza di corsi d’acqua tuttora attivi (tratto AnsedoniaCivitavecchia) o attivi solo nel passato (tratto Capo Circeo-Gaeta) (Chiocci e La Monica, 1996;
1999).
La trasgressione versiliana, che corrisponde all’innalzamento del livello del mare che ha avuto
luogo a partire da circa 18.000 anni fa, pur essendo stata prevalentemente di tipo non deposizionale,
ha lasciato, in alcune aree, depositi trasgressivi che sono ciò che rimane dei sedimenti costieri che
si andavano formando durante la risalita del mare. Tali depositi sono caratterizzati da una base
piatta e un tetto ondulato, causato dalla rielaborazione subita in seguito al passaggio della linea di
riva.
Circa 8.000-6.000 anni fa ha, infine, avuto inizio la stabilizzazione del livello del mare su quote
prossime all’attuale; sulla piattaforma continentale è iniziata così la deposizione dei sedimenti
olocenici, che in piattaforma esterna sono costituiti prevalentemente da peliti drappeggianti le
morfologie sottostanti.
Da segnalare, infine, la presenza, al largo della costa meridionale del Lazio (golfo di Gaeta),
dell’arcipelago pontino. Esso è costituito dalle isole di Ponza, Palmarola e Zannone a ovest e da
quelle di Ventotene e Santo Stefano a est e dà luogo a una catena allungata per circa 30km in
direzione NO-SE.
L’evoluzione dell’arcipelago è connesso sia con i processi tettonici distensivi post-orogenici che
all’ispessimento crostale associato all’apertura del Mar Tirreno (Bartole, 1984). Ad eccezione delle
unità sedimentarie del Mesozoico e Cenozoico e delle metamorfiti affioranti in limitati settori
dell’isola di Zannone, tutte le isole sono interamente vulcaniche e principalmente di età
pleistocenica (Report TI.VOL.I. CRUISE, 1998).
Poiché l’area di interesse è, ai fini del programma in oggetto, quella relativa alla sola piattaforma
continentale interna e, dato che i principali lineamenti morfologici e le caratteristiche dei sedimenti
superficiali non sono omogenei e costanti lungo tutta la piattaforma, si è ritenuto opportuno
suddividere l’area in oggetto in sei zone, al fine di fornire una descrizione dettagliata e
rappresentativa:
•
Monte Argentario - Capo Linaro
16
ICRAM
•
Capo Linaro - Fiumicino
•
Foce del Tevere
•
Fiumicino - Monte Circeo
•
Monte Circeo - foce del Garigliano
•
Isole Pontine
MONTE ARGENTARIO – CAPO LINARO
Deriva litorale
L’area in esame è interessata prevalentemente dai mari provenienti da sud (Mezzogiorno), sudovest (Libeccio) e ovest (Ponente) (Milli, 1993). In particolare per i mari da sud la deriva litorale è
diretta sempre verso NO, i mari da SO generano due correnti di deriva che si muovono verso SE nel
settore settentrionale del litorale e verso nord-ovest in quello meridionale; mentre i mari da ovest
influenzano solo l’area tra Punta delle Morelle e Civitavecchia determinando una corrente diretta
verso SE (Milli, 1993).
L’azione combinata di queste correnti determina una risultante negli spostamenti dei materiali lungo
riva, tale da permettere la distinzione di due settori:
•
Settore compreso tra Ansedonia e Punta delle Morelle: è caratterizzato da una prevalente
deriva litorale verso SE nel tratto compreso tra il Lago di Burano e la località di Sughereto, e
da una corrente lungo riva verso NO nel tratto compreso tra la località di Sughereto e Punta
delle Morelle; la località Sughereto, ubicata in posizione centrale rispetto ai due tratti
costieri, costituisce così una zona di accumulo di sedimenti (Milli, 1993).
•
Settore compreso tra Punta delle Mourelle e Torre Sant’Agostino: la corrente di deriva è
diretta verso SE nel tratto compreso tra Punta delle Morelle e la foce del torrente del Gesso e
verso NO nel tratto compreso tra Torre S. Agostino e la foce del torrente del Gesso (Milli,
1993).
Studi di carattere composizionale hanno individuato in questo litorale un generale trasporto lungo
costa dei sedimenti verso NO (Anselmi et al., 1976), avvalorato dall’andamento del tratto terminale
delle aste dei fiumi Marta e Mignone e dei loro modesti apparati deltizi che risultano appunto
spostati verso NO.
Batimetria e morfologia dei fondali
Nel tratto considerato, la piattaforma continentale è ampia (30-40km) e poco articolata verso largo,
17
ICRAM
mentre in prossimità della costa si presenta movimentata per la presenza di alti morfologici rocciosi
riferibili ai complessi geologici affioranti in superficie (Chiocci e La Monica, 1996).
Sulla base dell’assetto batimetrico questo tratto di piattaforma può essere suddiviso in due settori
principali, ubicati rispettivamente a nord e a sud di Punta delle Morelle.
Nel tratto settentrionale le isobate presentano un andamento abbastanza regolare e sub-parallelo alla
linea di costa, mentre il fondale presenta una pendenza media di circa 0.4°; l’unica irregolarità è
data dall’affioramento roccioso della Formica di Burano, ubicato al largo del lago omonimo.
Nel settore meridionale, esteso tra Punta delle Morelle e Torre Sant’Agostino, la presenza di
affioramenti rocciosi determina una certa irregolarità del fondale, che presenta dislivelli anche di
alcuni metri.
Proseguendo verso sud, si assiste ad un aumento della pendenza media del fondo, maggiormente
accentuata nel tratto compreso tra Torre Sant’Agostino e Capo Linaro, cui corrisponde la presenza
di una costa alta e rocciosa con l’isobata dei 10m distante soli 500m dalla linea di riva.
Un elemento caratteristico è dato, in quest’area, dalla presenza di alti morfologici paralleli alle
isobate, sub-affioranti sul fondo marino e ricoperti dai sedimenti più recenti, interpretati come
paleocordoni litorali. Essi sono geometricamente caratterizzati da una base piatta (coincidente con
la superficie d’erosione würmiana) e da un tetto ondulato (coincidente con la superficie di
ingressione). I paleocordoni hanno uno spessore massimo di 20-25m ed una larghezza di 6001000m; il principale di questi corpi si osserva tra i 55 e i 65m di profondità, altri sono stati osservati
tra i 25 e 35m (Chiocci e La Monica, 1996, 1999).
Altre forme positive sono presenti tra i 95 e i 110 m di profondità e corrispondono a testate di strato
affioranti o parzialmente sepolte.
Questo tratto di piattaforma è, inoltre, caratterizzato dalla presenza dei depositi e delle forme
associati ai paleoalvei ubicati in prosecuzione delle attuali aste fluviali (fossi Chiarone e Tafone,
fiume Fiora, torrente Arrone e fiume Marta), circa parallele tra loro ed ortogonali alla linea di costa
(Chiocci e La Monica, 1999).
Nella fascia di fondale compresa tra i 15 e 25m di profondità è da segnalare la presenza pressoché
continua di praterie di Posidonia oceanica, interrotte solo nelle aree antistanti le foci fluviali.
Origine e distribuzione dei sedimenti
Nel tratto di costa in esame si possono distinguere due unità fisiografiche, quella del Tombolo di
Feniglia (Bartolini et al., 1977; Evangelista et al., 1977; La Monica et al., 1984) e quella che va
dallo sperone roccioso di Ansedonia a Torre Sant'Agostino (Caputo et al., 1981). Le due unità, i cui
18
ICRAM
sedimenti provengono soprattutto dai complessi vulcanici dell'entroterra e presentano un trasporto
prevalente lungo costa diretto verso NO (Anselmi et al., 1976), costituiscono un unico
compartimento litorale, chiuso agli apporti sedimentari esterni a nord dal Monte Argentario e a sud
dai fondali rocciosi di Torre Sant'Agostino.
L’area sottocosta viene rifornita dal punto di vista sedimentario principalmente dagli apporti solidi
dei fiumi Fiora, Marta e Mignone, e subordinatamente da quelli di alcuni corsi d'acqua minori, che
solo localmente e durante le fasi di forte alluvionamento influenzano la sedimentazione marina
(Angelucci et al., 1979; Carboni et al., 1980; Tortora et al., 1986; Tortora, 1989a; 1989b).
I sedimenti portati al mare dai corsi d’acqua sono esclusivamente sabbioso-argillosi (Evangelista et
al., 1996), ma sembra che solo i tre fiumi principali e l'Arrone siano in grado di fornire un apporto
significativo alla sedimentazione sabbiosa litorale (AA.VV., 1985).
La presenza delle numerose foci fluviali, unitamente alla morfologia dei fondali caratterizzati dalla
presenza di posidonieti e/o biocostruzioni, può favorire l’intrappolamento dei sedimenti o costituire
uno sbarramento per il loro transito, e di conseguenza condizionare fortemente la sedimentazione
locale (La Monica e Raffi, 1996).
L’azione del moto ondoso distribuisce i sedimenti in funzione delle loro caratteristiche tessiturali,
permettendo la gradazione dei depositi superficiali in relazione alla crescente intensità dei processi
idrodinamici verso il largo.
La fascia costiera risulta, quindi, caratterizzata da sedimenti sabbiosi e sabbioso-pelitici con
aumento della frazione limoso-argillosa verso largo (Tortora, 1989b). A maggiori profondità la
sedimentazione, non più direttamente correlabile con la batimetria, è influenzata, soprattutto nel
settore di piattaforma centrale e meridionale, dai processi di dispersione dei limi fluviali.
In generale, la sedimentazione attuale si svolge con apporti sia extra bacinali di origini fluviale, nei
fondali antistanti le foci dei principali corsi d’acqua, sia con apporti intrabacinali, le cui sorgenti
sedimentarie principali sono costituite dai sedimenti dell'unità trasgressiva (sabbie relitte), mentre
quelle secondarie provengono dalle costruzioni organogene, presenti sui fondali rocciosi e dalle
aree caratterizzate dalla presenza di Posidonia oceanica, fornitrici di materiale bioclastico.
In particolare, i depositi olocenici relativi alla piattaforma interna sono costituiti da un’unità
trasgressiva sabbiosa basale a cui si sovrappone una unità pelitica di sedimentazione recente.
La prima è subaffiorante nei fondali che si estendono tra Ansedonia e Marina di Pescia Romana,
caratterizzati da una scarsa deposizione di limi attuali. La seconda, nelle zone antistanti il Tombolo
di Feniglia e le foci dei fiumi Fiora, Marta e Mignone, dà luogo a depositi dalla geometria
cuneiforme, che dalla costa si protendono verso il largo fino ai 30-50m di profondità. Tali depositi
19
ICRAM
sono particolarmente potenti soprattutto nelle zone antistanti le foci fluviali principali e il loro
sviluppo, guidato dalle incisioni dei paleoalvei, è avvenuto soprattutto verso il largo.
Nelle aree prossime alla presenza di posidonia il sedimento è spesso di natura bioclastica e
increspato da ripple mark. In particolare, tra i fiumi Fiora e Mignone, nella fascia batimetrica
compresa tra 5 e 10m, sono presenti sabbie molto grossolane spesso di natura bioclastica. Invece, al
traverso del fiume Mignone si rinvengono sedimenti più fini già intorno ai 20m di profondità (La
Monica e Raffi, 1996).
Altri studi condotti nell’area sono quelli di Borelli et al. (1986), Cipollone (1990), Fiorini (1992) e
Tortora (1996) relativi alle caratteristiche sedimentologiche e stratigrafiche della coltre
sedimentaria, quelli di Aiello et al. (1978), Bartolini et al. (1979), Bartolini et al. (1986) mirati alla
ricerca di sabbie metallifere (placers), quelli di Tortora (1992; 1994) per la ricerca di depositi
sabbiosi da utilizzare per il ripascimento dei litorali in erosione e quelli di ENEL (1993; 1994) e
ISMES (1991) finalizzati a indagini di supporto per la costruzione della centrale ENEL di Montalto
di Castro, ai quali si rimanda per ogni ulteriore approfondimento.
CAPO LINARO – FIUMICINO
Deriva litoranea
Il settore in esame è direttamente interessato dalle ondazioni provocate dai venti foranei provenienti
dal II, III e IV quadrante, che innescano per i mari provenienti da sud una corrente di deriva litorale
diretta costantemente verso NO; l’ondazione da SO, soprattutto in corrispondenza dell’aggetto
apicale del delta del Tevere, determina condizioni di deriva litorale in opposte direzioni (NO e SE),
mentre per i mari provenienti da ovest la corrente di deriva è sempre diretta verso SE (Milli, 1993).
Batimetria e morfologia dei fondali
Il tratto di piattaforma interna compreso tra Capo Linaro e Fiumicino può essere suddiviso in due
settori per il diverso andamento dei fondali, condizionati anche dell’articolazione della fascia
costiera. A nord (da Capo Linaro a Palo), infatti, è presente una successione di promontori ed
insenature caratterizzate da piccole spiagge ciottolose, alimentate dai modesti corsi d’acqua che
drenano i versanti meridionali dei Monti della Tolfa e che non forniscono significativi apporti di
materiali terrigeni. A sud (da Palo sino alla foce del Tevere) si passa ad una costa bassa e sabbiosa,
con andamento debolmente ondulato, per la presenza di piccole cuspidi generate dagli aggetti
20
ICRAM
costieri di natura calcarenitica di Macchiatonda, Torre Flavia e Palo. Il tratto più meridionale (da
Ladispoli alla foce del Tevere) è caratterizzato quasi esclusivamente dagli apporti del fiume Tevere
e coincide, di fatto, con l’ala destra del suo delta (La Monica e Raffi, 1996).
La spiaggia sommersa risente dell’assetto morfologico del tratto emerso ed è caratterizzata, a nord,
dalla presenza di numerose secche (Secche di Macchiatonda, Torre Flavia e Palo), che giungono
fino alla profondità di 20m e sulle quali si rinviene Posidonia oceanica. Oltre i 20m, la morfologia
dei fondali diventa omogenea ed è caratterizzata da un progressivo incremento delle pendenze.
Il tratto meridionale, coincidente con la conoide sommersa del delta del Tevere (Chiocci e La
Monica, 1996), presenta, invece, fondali omogenei. In questo tratto la spiaggia sottomarina che
raggiunge la massima ampiezza in corrispondenza di Fiumicino, è interessata dalla presenza, fino
alla profondità di 10m, di più ordini di barre (La Monica e Raffi, 1996).
Da punto di vista sismico il tratto di piattaforma in esame sembra sia costituito da un’unica unità,
acusticamente trasparente (indice di litologie omogenee), poggiante direttamente sulla superficie
d’erosione würmiana e riferibile all’attuale sedimentazione di piattaforma di origine tiberina.
La distribuzione degli spessori attuali non è omogenea, ma sono stati individuati nel settore in
esame due grossi deponenti: il primo al traverso di Civitavecchia-S. Marinella, il secondo
coincidente con la conoide sommersa del fiume Tevere. In tutta l’area solo al traverso di Capo
Linaro è stato rinvenuto un deposito trasgressivo caratterizzato probabilmente da sedimenti
grossolani (Chiocci e La Monica, 1999). Tra Capo Linaro e Ladispoli, è da segnalare, a profondità
comprese fra i 50 e i 90m, la presenza di alcuni alti morfologici costituiti da testate di strato
riferibili a depositi pleistocenici; analoghi affioramenti del substrato litoide sono presenti anche al
largo di S. Severa e a sud di Palo (Chiocci e La Monica, 1999). Procedendo verso sud si incontrano,
invece, i depositi del delta del Tevere, la cui intensa sedimentazione post-glaciale ha mantellato la
morfologia preesistente, obliterandola e rendendo la morfologia del fondo assai regolare.
Origine e distribuzione dei sedimenti
Il tratto di piattaforma in esame è in gran parte sotto l’influenza degli apporti solidi del Fiume
Tevere. Nel settore settentrionale sino a Ladispoli il fondale è caratterizzato dalla prevalenza di
peliti sabbiose, il cui limite verso terra è legato alla distribuzione delle biocostruzioni: ove queste
sono maggiormente diffuse, tale limite si posiziona su fondali più profondi (ad es. in prossimità dei
promontori), mentre in corrispondenza delle insenature il limite verso terra delle peliti sabbiose
risulta posizionato su fondali meno profondi.
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ICRAM
In questo tratto di piattaforma, la mancanza di sedimenti a prevalente componente sabbiosa indica,
oltre alla mancanza di apporti dall’interno, l’azione di blocco che le biocostruzioni operano sui
sedimenti in deriva litoranea da SE.
I sedimenti ad elevata componente sabbiosa si rinvengono a SE di Ladispoli (Palo) quando,
scomparsi i posidonieti e le biocostruzioni, inizia a farsi sentire in modo evidente l’influenza degli
apporti di origine fluviale. In questo settore si rinvengono, variamente distribuite, diverse facies
sedimentarie. Sabbie e sabbie pelitiche si rinvengono sul fronte del delta fino a circa 20m di
profondità, mentre le peliti molto sabbiose si trovano tra i 20 e i 30m. Su quest’ala del delta il
passaggio tra questi sedimenti e quelli più pelitici si ha tra i 60 e i 75m.
Tale distribuzione dei sedimenti è tuttavia caratterizzata dalla presenza di alcune “irregolarità” da
mettere in relazione ai fenomeni di flocculazione che si verificano all’incontro fra le acque dolci di
origine continentale e le acque marine; è stata, infatti, riscontrata la deposizione di sedimenti più
fini di quello che consentirebbero le sole condizioni idrodinamiche (Bellotti e Tortora, 1985).
Altri studi condotti nell’area sono quelli di Chiocci (1989) e Tufoni (1992), relativi a indagini di
carattere sismostratigrafico e ai quali si rimanda per ogni ulteriore approfondimento.
FOCE DEL TEVERE
Deriva litorale
Il settore in esame è direttamente interessato dalle ondazioni provocate dai venti foranei provenienti
dal II, III e IV quadrante; in particolare l’ondazione da SO, determina in corrispondenza
dell’aggetto apicale del delta condizioni di deriva litorale in opposte direzioni (NO e SE) (Milli,
1993). Gli studi condotti sulla ripartizione dei sedimenti di origine tiberina hanno confermato come
i sedimenti apportati dal Tevere si distribuiscono verso NO lungo l’ala destra del delta sino a Palo e
verso SE lungo l’ala sinistra sino all’altezza di Tor Paterno.
L’area della foce deltizia rappresenta la zona dove si concentra maggiormente l’energia del moto
ondoso a causa dei processi di rifrazione, si ha quindi anche la massima erosione (come
testimoniato dal forte arretramento della line di riva da entrambi i lati) e le più elevate variazioni
granulometriche (Bellotti et al., 1993).
Batimetria e morfologia dei fondali
Il tratto di piattaforma che si estende da Capo Linaro a Capo d’Anzio è dominato dalla cuspide
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ICRAM
deltizia del Tevere che, con la sua forma arcuata, costituisce l’elemento morfologico dominante di
tutta l’area. Il raccordo al litorale avviene a nord nei pressi di Ladispoli (Palo) e a sud in prossimità
di Lavinio.
Il delta, di forma arcuata, è caratterizzato da un regime microtidale a dominio ondoso ed è percorso
da due canali distributori: il Canale di Fiumicino e Fiumara Grande, che costituisce il ramo
principale (Bellotti e Tortora, 1985).
La presenza del delta del Tevere influenza in modo evidente sia la spiaggia che la piattaforma
continentale interna, mentre il tratto più esterno della piattaforma, che si estende fino a 150m di
profondità, non è interessato dalla sedimentazione deltizia (Bellotti et al., 1993). I depositi distali si
sviluppano anche parallelamente alla costa, verso nord ovest, arrivando fino al traverso di
Civitavecchia (Bellotti e Tortora, 1985).
L'apparato sottomarino del delta è costituito da terra fino all’isobata di 25m da un fronte deltizio
caratterizzato da un fondale a debolissima pendenza (0,2°–0,3°), il cui limite esterno dista 4-6km
dalla costa (Bortoluzzi et al.,1982). Tale settore è fortemente influenzato dalla rifrazione del moto
ondoso che, per la forma arcuata del delta, induce una forte concentrazione di energia all’apice
dell’apparato e flussi di corrente lungo riva che guidano il trasporto delle sabbie verso le ali (Caputo
et al., 1987). Il fondale è piatto e privo di morfologie erosive o deposizionali di rilievo, ad
eccezione delle barre localizzate in prossimità delle foci fluviali (a 3-4m di profondità).
Verso largo, il delta prosegue con la scarpata di prodelta, caratterizzata da un’acclività più elevata
(0,6°–0,9°); in essa si riconoscono una parte superiore che si spinge fino ai 75m di profondità e una
inferiore, di raccordo con la piattaforma, che si estende fino a 115m.
Lungo la scarpata, in una fascia estesa fra i 50 e i 110m di profondità, sono stati segnalati alcuni
fenomeni di instabilità gravitativa (lenti movimenti franosi superficiali) (Chiocci et al., 1991) che
deformano il fondo marino creando una serie di gradini alti in media 3-5 m (Chiocci e La Monica,
1996).
L’assetto stratigrafico del delta è notevolmente complesso e legato agli eventi di tre fasi principali.
La più antica è quella relativa all’ultimo periodo glaciale di stazionamento basso del mare (circa
20.000 anni), quando la piattaforma continentale era in gran parte emersa e si andava a formare una
superficie di erosione.
La risalita del livello del mare determinò sul margine la completa erosione del paleo-delta di basso
stazionamento e, successivamente più verso terra, indusse una forte sedimentazione all’interno della
valle glaciale incisa dal F. Tevere. Tale valle ospitava un complesso barriera-laguna in continua
retrogradazione a causa dell’eustatismo positivo.
23
ICRAM
In seguito, la stabilizzazione del mare (5-6000 anni fa) portò a una forte colmata dell’antica laguna
e, in seguito a ciò, le foci fluviali raggiunsero finalmente la barriera litorale e gli apporti solidi
poterono riversarsi direttamente in mare. Da quel momento inizia la storia recente del delta,
altamente dominata dai processi di progradazione. Ad essi si deve l’attuale configurazione arcuata
dell’apparato emerso, derivante dalla saldatura dei cordoni di accrescimento, e l’esteso deposito
prismatico regressivo del delta sommerso (Bellotti e Tortora, 1996).
Origine e distribuzione dei sedimenti
Il tratto di piattaforma antistante la foce del Tevere è caratterizzato da una notevole variabilità
areale dei processi ondosi e fluviali, tali da determinare sul prodelta e sul fronte deltizio la presenza
di più tipi di sedimento. Sui fondali più profondi e lungo la fascia litorale si osserva una maggiore
uniformità di prodotti sedimentari (Bellotti e Tortora, 1996).
Il sedimento superficiale segue una zonazione secondo fasce parallele alla costa, grossomodo
coincidenti con i principali settori morfodinamici dell’apparato sottomarino del delta (Tortora,
1995; Bellotti e Tortora, 1996).
Si distinguono:
1. la spiaggia emersa e sommersa (fronte deltizio superiore), caratterizzate da sabbie e sabbie
limose;
2. il fronte deltizio inferiore con limi molto sabbiosi ed altre tipologie subordinate;
3. il prodelta superiore nel quale dominano il limo sabbioso ed il fango sabbioso, a cui si
associano sedimenti più fini oppure più grossolani;
4. il prodelta inferiore e la piattaforma continentale esterna (dove è assente il deposito deltizio)
dove prevalgono i fanghi, soprattutto quelli a dominante argillosa.
Sebbene la metà settentrionale del delta sia quella caratterizzata da più alti tassi di deposizione, non
è stata riscontrata una sedimentazione asimmetrica rispetto alle foci (Bellotti et al., 1987a; 1993).
La differenza nei tassi di deposizione è imputabile ad una persistente corrente costiera (Lechi e
Todisco, 1980) e alla maggiore ricorrenza dei mari da sud, ambedue agenti nel deflettere verso NO
il flusso ipopicnale di acqua dolce con il suo carico solido in sospensione.
Al contatto tra le acque dolci e quelle del cuneo salino, che risale il corso dei due distributori
(Fiumara Grande e canale artificiale di Fiumicino) durante le fasi di alta marea, avvengono i primi
processi di flocculazione del sedimento fine di origine fluviale. Tali processi avvengono in aree
spostate verso terra o verso mare rispettivamente durante i periodi di magra o di piena del fiume,
anche se avvengono generalmente in modo più intenso in mare, poco più a largo delle aree di
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ICRAM
abbandono del carico grossolano che origina le barre di foce (Bellotti et al., 1993).
Il moto ondoso è il principale fattore che controlla la dispersione del carico fluviale (Bellotti e
Tortora, 1985). Provvede sia alla ridistribuzione del sedimento sabbioso sul fronte deltizio sia
all’orientamento e all’estensione verso il largo del pennacchio torbido. La variabilità del moto
ondoso e dei deflussi liquidi e torbidi fluviali, la modesta escursione di marea e l’assenza di un
bacino accettore morfologicamente articolato sembrano essere i fattori principali che condizionano
la dinamica deltizia attuale.
Il fronte del delta, a causa dell'azione del moto ondoso e dell'interazione tra questo e gli apporti
fluviali, è caratterizzato da variazioni granulometriche nel tempo, tali da far ipotizzare che i
materiali ivi presenti siano soggetti ad una notevole dinamica, con frequenti fenomeni di
deposizione, erosione e smistamento (Bortoluzzi et al., 1982; Bellotti et al., 1993). Tali variazioni
sembrano, inoltre, essere la causa di ricorrenti modificazioni batimetriche sulla fascia compresa tra
la costa e i 20m di profondità (Bortoluzzi et al., 1982).
Il fronte del delta viene, inoltre, interpretato come una zona di raccolta momentanea del sedimento
fluviale, che qui viene smistato dal moto ondoso in ragione della sua granulometria e avviato verso
la costa o verso il largo. Al tempo stesso è anche un'area di by passing di parte del materiale
finissimo fluviale che, in sospensione sulla lama ipopicnale di acqua dolce, viene portato a notevole
distanza dalla foce fino a decantare sulla scarpata di prodelta.
Il sedimento presente sulla scarpata di prodelta rappresenta, pertanto, il prodotto finale della
selezione granulometrica agente durante il trasporto e che non sembra risentire delle variazioni
stagionali, come attesta la stabilità granulometrica riscontrata. Le caratteristiche granulometriche
del sedimento deposto (argille e limi) sono indice di condizioni di bassa energia, non compatibili
quindi né con la rimozione del sedimento né con il suo eventuale trasporto nella zona costiera di più
elevata dinamica (Bellotti et al., 1993).
La gradazione laterale del sedimento, tipica di molti apparati deltizi sottomarini, indica una
sedimentazione alloctona, con chiara provenienza del sedimento dal Fiume Tevere; sono invece
assenti sorgenti marine locali di sedimento, quali potrebbero essere eventuali antichi corpi relitti del
delta.
Altri studi che hanno interessato sia il settore emerso e che quello sommerso del delta sono quelli di
Almonti et al. (1990), Bagnari et al. (1984), Belfiore et al. (1987), Bellotti et al. (1984; 1986a, b, c;
1987b; 1989a, b, c; 1994a, b; 1995), Bellotti e De Luca (1979), Bortoluzzi et al. (1983), Chiocci
(1989), Chiocci e Normark (1992), Chiocci e La Monica (1999), Chiocci e Milli (1992; 1994;
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ICRAM
1995), Chiocci e Tommasi (1996), Ciolli (1995), Fabbri et al. (1984), Falese (1992), Frignani et al.
(1985), Ghirlanda e Ronda (1981), La Monica e Raffi (1996), Mikhailova et al. (1998), Trincardi e
Normark (1988), Tufoni (1992) e ai quali si rimanda per ogni ulteriore approfondimento.
FIUMICINO – MONTE CIRCEO
Deriva litorale
Il settore in esame è direttamente interessato dalle ondazioni provocate dai venti foranei provenienti
da ovest, SO e sud. Nel settore compreso tra il delta del Tevere ed Anzio l’ondazione da SO,
determina, in seguito alla presenza dell’aggetto apicale del delta, una corrente di deriva litorale
diretta verso SE (Milli, 1993). Nel tratto compreso tra Anzio e Monte Circeo i mari provenienti da
sud innescano correnti di deriva dirette costantemente verso NO. Per i mari di provenienza
occidentale, i più importanti ai fini del trasporto lungo costa, la deriva è diretta invece verso SE
(AA.VV., 1985; Milli, 1993).
Batimetria e morfologia dei fondali
La piattaforma continentale raggiunge, nel tratto compreso tra il delta del Tevere e il promontorio
del Circeo, una delle massime estensioni osservate sul margine continentale tirrenico (una media di
circa 20Km). Il ciglio della piattaforma è ubicato ad una profondità media di circa 160m, anche se
nel settore settentrionale si eleva raggiungendo i 120-140m di profondità (Marani et al., 1986).
Il tratto di piattaforma compreso tra Fiumicino ed Anzio, caratterizzato da un andamento delle
isobate grossomodo regolare e parallelo alla linea di costa, è dominato dalla presenza dell’ala
sinistra del Tevere. I fondali sono abbastanza omogenei e presentano alcune significative
irregolarità, come al traverso di Torvaianica (Secca di Tor Paterno) dove si osserva la risalita di una
formazione geologica tettonizzata (Chiocci e La Monica, 1996; 1999).
In questo tratto di piattaforma è stata rilevata un’ampia zona subpianeggiante, delimitata da due
rotture di pendio. Quella più sottocosta, localizzata ad una profondità di 15-20m e corrispondente al
limite della spiaggia attuale, si segue da Torvaianica a Tor Caldara, quella più al largo si sviluppa
sino ad Anzio, ad una profondità costante di circa 20-30m, e corrisponde nella zona del delta del
Tevere al limite tra il fronte deltizio e la scarpata di prodelta.
Il fatto che questo allineamento tipicamente deltizio, corrispondente al limite di efficacia del moto
ondoso nella ridistribuzione dei sedimenti, si estenda ben oltre i limiti fisiografici del delta tiberino
emerso indica che i processi deposizionali di tipo deltizio sono attivi sui fondali del tratto di
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ICRAM
piattaforma compreso tra Fiumicino ed Anzio (Chiocci e La Monica, 1996; 1999).
I fondali tra Capo d’Anzio ed il promontorio di Monte Circeo, terminati gli effetti degli apporti
sedimentari dall’entroterra (fiume Tevere), perdono parte della loro omogeneità divenendo
fortemente articolati (Torre Astura - Torre di Foce Verde).
Tale settore maggiormente articolato è caratterizzato, tra i 10-20m e tra i 30-40m di profondità, da
forme positive di notevoli dimensioni, alcune delle quali corrispondono a culminazioni del substrato
(Chiocci e La Monica, 1996; 1999).
Origine e distribuzione dei sedimenti
La distribuzione dei sedimenti coincide praticamente con quella dell’ala destra del Tevere, anche se
in questo settore il limite fra sedimenti limoso-sabbiosi e sedimenti pelitici, è localizzato intorno ai
70-90m di profondità (Bellotti e Tortora, 1985). Tra Torvaianica e Tor Caldara, il diametro medio
dei sedimenti tende a diminuire, mentre aumenta nei pressi di Capo d’Anzio a causa delle
condizioni di maggiore energia e della presenza di fondali rocciosi.
Tra Capo d’Anzio e Capo Circeo l’elemento caratterizzante è costituito dalla presenza di sabbie
sino alla batimetrica dei 20-30m.
In particolare, tra Capo d’Anzio e Torre Astura la fascia di materiale più grossolano, più estesa
lungo il litorale di Anzio e Nettuno, tende a restringersi procedendo verso sud; la distribuzione dei
sedimenti più sottili presenta un andamento abbastanza regolare e subparallelo a quello dei
sedimenti più grossolani. Tra Torre Astura e il Lago di Caprolace, la presenza di Posidonia
oceanica condiziona probabilmente la sedimentazione, alterando la regolare distribuzione
riscontrata più a nord. Tra il Lago di Caprolace e il Circeo, infine, la distribuzione dei sedimenti
superficiali presenta limiti più irregolari e fasce ad ampiezza variabile. In particolare, al largo del
Lago di Caprolace, i sedimenti sabbiosi interessano il fondale fino alla profondità di 30m, mentre
raggiungono i 50-60m nei fondali adiacenti il promontorio del Circeo (Taliana, 1992).
Altri contributi forniti alla conoscenza dell’area sono quelli di Falese (1992), Marani e Zitellini
(1986), Zitellini et al. (1984), relativi all’assetto sismostratigrafico, quelli di Anselmi et al. (1980) e
La Monica e Raffi (1996) sulla sedimentologia e, infine, quelli di ICRAM (2000a; 2000b; 2000c;
2001a; 2001b) e Nonnis et al. (2001), inerenti l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento dei
depositi sabbiosi sommersi per il ripascimento delle spiagge in erosione. A tali studi si rimanda per
ogni ulteriore approfondimento.
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ICRAM
MONTE CIRCEO – FIUME GARIGLIANO
Deriva litorale
Il tratto di costa che si estende tra il Monte Circeo e il Golfo di Gaeta, per la sua particolare
conformazione, risulta esposto ai venti e ai mari provenienti dal II e dal III quadrante.
In particolare, l’ondazione proveniente da SO genera una corrente di deriva litorale diretta
costantemente da ovest verso est; quella proveniente da SE, viceversa, determina una corrente che si
muove da est verso ovest. I venti provenienti da sud danno luogo ad una corrente di deriva diretta
verso est, nel tratto di litorale compreso tra San Felice Circeo e Terracina, mentre la deriva nel tratto
tra Terracina e Sperlonga che essi innescano è diretta verso occidente. A causa della convergenza
delle due correnti si ha una parziale zona d’accumulo dei sedimenti in corrispondenza del
promontorio di Terracina. La corrente litorale prevalente, ed il conseguente trasporto solido, risulta
comunque diretta verso oriente (Evangelista et al., 1983; D’Alessandro et al., 1986; Milli, 1993).
All’interno del Golfo di Gaeta, i mari da sud e da SO sono poco influenti e limitano la loro azione
soprattutto al tratto tra Scauri e il Lago di Patria; la corrente di deriva litorale che innescano è diretta
prevalentemente verso NO. L’ondazione proveniente da ovest risulta la più importante e determina
un prevalente trasporto solido lungocosta diretto verso SE; tale movimento è stato evidenziato dalle
analisi petrografiche sui campioni di sabbia litorale (Gandolfi e Paganelli, 1984) e dalle indagini
condotte utilizzando sabbie fluorescenti che sono state immesse lungo il litorale domizio (Cocco et
al., 1988).
Batimetria e morfologia dei fondali
Il tratto di piattaforma compreso tra Monte Circeo e Gaeta (Punta Stendardo) presenta una
caratteristica forma a falce, con la parte più ampia e meno acclive a NO, mentre a sud di Sperlonga
la piattaforma presenta un’ampiezza di solo 900m e una pendenza media maggiore. I fondali
presentano un andamento omogeneo, ad esclusione della zona tra Tor Canneto e Lago Lungo, nella
fascia compresa tra i 15 e 20m, dove si osservano numerose forme positive allungate e subparellele
alla costa, legate alla presenza di “matte” di Posidonia oceanica.
In corrispondenza dei tratti di costa alta, i fondali sono, invece, maggiormente acclivi e irregolari a
causa degli affioramenti delle testate di strato (promontorio del Monte Circeo). In particolare, il
litorale adiacente la costa compresa tra il Monte Circeo e la foce del Fiume Sisto è caratterizzato
dalla presenza di un alto morfologico strutturale sulla cui sommità, subpianeggiante, si è impostata
una prateria di Fanerogame (Cristofalo, 1992).
Nel tratto più meridionale dell’area in esame, tra Gaeta e la foce del Fiume Garigliano, la
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ICRAM
piattaforma è notevolmente estesa, raggiungendo al largo della foce del Garigliano un’ampiezza di
20km (Pennetta et al., 1998). I fondali sono omogenei e non sembrano risentire dell’articolazione
della fascia costiera. Inoltre, in questo tratto è stata riscontrata la mancanza di posidonieti a
testimonianza della persistenza degli apporti fluviali torbidi provenienti dal Volturno e dal
Garigliano (La Monica e Raffi, 1996).
Uno degli elementi più caratteristici della piattaforma in studio, in particolare nel tratto compreso
tra Monte Circeo e Gaeta, è la presenza di paleoalvei sepolti che interessano i fondali fino alla
batimetrica dei 50m e talvolta degli 80m. Al limite meridionale dell’area è stata, inoltre,
riconosciuta una morfologia di grandi dimensioni corrispondente all’alveo di basso stazionamento
del fiume Garigliano (Chiocci e La Monica, 1999). I paleolvei e i depositi sedimentari ad essi
associati interrompono la continuità dei depositi postglaciali localizzati sottocosta e caratterizzati da
piccoli depocentri ben pronunciati e ubicati in prossimità di fonti sedimentarie attuali e subattuali
(Chiocci e La Monica, 1996; 1999).
Origine e distribuzione dei sedimenti
La presenza dell’alto morfologico che collega il Promontorio del Circeo all’arcipelago delle Isole
Pontine condiziona in modo significativo la distribuzione locale dei sedimenti ed è tale da
permettere ai sedimenti sabbiosi profondità prossime ai 60m.
Tra S. Felice Circeo e Terracina la distribuzione dei sedimenti è irregolare: le sabbie si rinvengono
lungo una fascia parallela alla costa, la cui continuità viene però interrotta nei pressi della foce del
Fiume Portatore e, nonostante la frazione argillosa aumenti con la profondità, i limiti non sono mai
regolari.
Tra Terracina e il Lago Lungo, invece, le popolazioni granulometriche sono ben gradate verso il
largo secondo le fasce batimetriche: la zona tra il Lago Lungo e Punta Stendardo è, infatti, quella
caratterizzata da sedimenti superficiali con caratteristiche omogenee e con limiti quasi paralleli alle
isobate (Cristofalo, 1992).
Nel tratto tra Capo Circeo e Punta Stendardo mancano, quindi, le peliti pure ed anche le peliti
sabbiose; questo fatto, oltre ad indicare la quasi totale mancanza di apporti dall’entroterra,
caratterizza i sedimenti sabbiosi ivi presenti come relitti (La Monica e Raffi, 1996).
L’area tra Punta Stendardo e la foce del Fiume Garigliano risente fortemente dell’azione del Fiume
Garigliano; infatti, sono estremamente diffuse le peliti sabbiose e le peliti anche su fondali con
profondità poco superiori ai 30m, mentre sono praticamente assenti sedimenti a prevalente
componente sabbiosa (La Monica e Raffi, 1996). L’andamento dei limiti fra le aree interessate da
29
ICRAM
sedimentazione prevalentemente sabbiosa e pelitica è circa parallelo alle isobate (Cristofalo, 1992).
Infine, le indagini condotte nel Golfo di Gaeta hanno evidenziato come la sedimentazione sia
generalmente più omogenea, raggiungendo spessori molto maggiori di quelli osservati nelle altre
zone del Lazio meridionale (Chiocci e La Monica, 1996).
Altri studi di carattere sedimentologico, stratigrafico e ambientale hanno, infine, interessato
soprattutto il Golfo di Gaeta (Aiello et al., 1996; Amore et al., 1996; Anselmi et al., 1981;
Antonioli, 1991; Astraldi et al., 1983; Bartole et al., 1990; Borsetti e Capotondi, 1990; Brondi et
al., 1983a; Brondi et al., 1983b; Brondi et al., 1983c; Brondi et al., 1984; Cocco et al., 1986; 1987;
Coppa et al., 1996; Damiani et al., 1983; Ferretti et al., 1989a, 1989b; Frattini, 1992; Pennetta e
Valente, 1996) e a questi si rimanda per ogni ulteriore approfondimento.
ISOLE PONTINE
Il tratto di piattaforma continentale sul quale si elevano le isole dell’Arcipelago Pontino, per quanto
poco conosciuto, è stato oggetto prevalentemente di indagini di carattere tettonico e geofisico
(Barberi, 1967; Bartole, 1984; Bosman, 2000; Report TI.VOL.I. CRUISE, 1998; Zitellini et al.,
1984) ed in maniera subordinata da indagini sedimentologiche (La Monica e Raffi, 1996).
Le Isole Pontine sono localizzate sulla piattaforma continentale che borda le coste del Tirreno
orientale, al largo del Golfo di Gaeta. L’arcipelago, costituito da tre isole a ovest (Ponza, Palmarola
and Zannone) e da altre due isole verso est (Ventotene e Santo Stefano), forma nel suo insieme una
catena lungo circa 30km, che corre parallela al Lazio, tra Roma e Napoli.
L’evoluzione delle Pontine è connessa con i processi tettonici distensivi post orogenici ed
all’ispessimento crostale dovuto all’apertura del Mar Tirreno (Bartole, 1984). Ad eccezione delle
unità sedimentarie del Mesozoico e Cenozoico e delle metamorfiti affioranti in limitati settori
dell’isola di Zannone, tutte le isole sono interamente vulcaniche e principalmente di età
pleistocenica (Report TI.VOL.I. CRUISE, 1998).
Batimetria e morfologia dei fondali
Del tutto peculiari sono le caratteristiche morfologiche e di distribuzione dei sedimenti rilevabili
sulla piattaforma continentale delle isole Pontine che non ha alcun collegamento con quella del
litorale peninsulare (La Monica e Raffi, 1996).
L’origine vulcanica delle isole e la mancanza di apporti sedimentari locali fanno si che i fondali tra
10 e 50m di profondità siano per lo più costituiti da roccia in posto, con andamenti anche molto
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ICRAM
articolati, associati a brusche variazioni di pendenza e di quota. Queste sono anche accentuate per la
presenza, lungo tutto l’arcipelago, di Posidonia oceanica, anche su fondali relativamente profondi
(La Monica e Raffi, 1996).
La presenza di corpi sedimentari poco sviluppati fa sì che l’unico lineamento (sismostratigrafico) di
un certo rilievo sia costituito da un deposito cuneiforme presente a profondità variabile tra 100 e
140m e dello spessore minimo di alcune decine di metri (Chiocci e La Monica, 1996). Esso si
sarebbe formato, al di sotto del livello di base delle onde, durante il periodo di basso stazionamento
marino conseguente la glaciazione würmiana, mentre la differenza di quota sarebbe imputabile a
fenomeni di neotettonica (ovvero a movimenti tettonici avvenuti negli ultimi 20.000 anni) (Chiocci
e La Monica, 1996).
Origine e distribuzione dei sedimenti
Riguardo alla distribuzione dei sedimenti, le isole di Ponza, Palmarola e Zannone presentano
caratteristiche simili, con una spiccata prevalenza di sedimenti francamente sabbiosi anche a
profondità elevate (superiori a 50m) lungo il versante NO, caratteristiche rilevate anche sul versante
NO dell’isola di Ventotene12, mentre sui fondali di SE le sabbie passano presto a sabbie pelitiche e
peliti molto sabbiose (La Monica e Raffi, 1996).
La composizione prevalentemente bioclastica delle sabbie e la mancanza di sedimenti francamente
pelitici comprova, in definitiva, la mancanza di apporti terrigeni significativi dalle isole e
testimoniano come, in questo caso, non solo gli elementi morfologici minori, ma anche la
sedimentologia, sia fortemente controllata dall’attività biologica (La Monica e Raffi, 1996).
12
Sul lato SE dell’isola, non campionato a causa dei divieti, la carta n. 126 dell’IIM segnala la presenza di “sabbie e alghe” fino a una profondità di
100 m (La Monica e Raffi, 1996).
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ICRAM
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ICRAM
2. GEOCHIMICA
Introduzione
La definizione dello stato attuale delle conoscenze geochimiche inerenti i sedimenti marini della
piattaforma laziale si inserisce in un più ampio progetto mirato alla caratterizzazione biologica,
chimica e geologica dell’area, in vista di eventuali future operazioni di movimentazione dei
sedimenti finalizzate a progetti di ripascimento. In tale contesto, lo studio preliminare bibliografico
è anche mirato a evidenziare eventuali lacune conoscitive che, laddove ritenuto necessario, potranno
essere superate con l’esecuzione di più specifiche e mirate indagini.
Lo studio della composizione chimica dei sedimenti marini è di estrema utilità negli studi di
carattere ambientale, in quanto permette di fare importanti valutazioni circa l’origine e il grado di
contaminazione del sedimento stesso.
I bacini di sedimentazione sono i recettori naturali di tutto ciò che viene portato in carico dai fiumi
sotto forma di trasporto solido. In particolare, la distribuzione delle abbondanze elementari nei
sedimenti di fondo, ottenuta studiando la ripartizione degli elementi nelle singole fasi13, permette di
comprenderne:
• l’origine;
• i processi post-deposizionali che possono anche aver modificato la composizione della coltre
sedimentaria;
• l’ambiente di sedimentazione;
• eventuali fenomeni di inquinamento.
Limitare la caratterizzazione geochimica alle sole abbondanze totali14, fornirebbe, infatti, una
rappresentazione statica e complessiva della geochimica dei sedimenti con scarse indicazioni sulla
loro genesi ed evoluzione.
La fase più interessante dal punto di vista geochimico è quella relativa ai minerali primari stabili,
identificabili con la frazione residuale o “frazione di sedimento refrattaria alla lisciviazione
sequenziale” (Branca et al., 1996). Poiché non esiste un procedimento di lisciviazione sequenziale a
selettività assoluta, alcune fasi particolarmente resistenti alla dissoluzione, come per es. ossidi idrati
di ferro e/o manganese, possano in realtà contribuire, anche se minimamente, al risultato della
13
ovvero nei prodotti dei diversi tipi di attacco chimico cui vengono sottoposti i campioni da esaminare e che permettono di definire, in senso più
operativo che fisico, le fasi stesse e che rappresentano la somma dei vari contributi, sia quelli relativi ai minerali primari stabili, sia quelli associati ai
metalli fissati dalle diverse fasi.
14
abbondanze misurate sulle soluzioni risultanti da attacco chimico totale del sedimento.
42
ICRAM
frazione residuale; questo fenomeno dipende dal fatto che la definizione di frazione residuale è più
operativa che fisica.
Lo studio della frazione elementare adsorbita, generalmente espressa come percentuale della
frazione totale, prende in esame quegli elementi che non sono contenuti stabilmente in una o più
fasi, ma che sono debolmente trattenuti sulle superfici attive dei costituenti minerali ed organici dei
sedimenti. Essa ha una connotazione spiccatamente ambientale in quanto l’adsorbimento si è
sicuramente verificato in un momento successivo alla deposizione (alterazione di una condizione
naturale); inoltre, poiché nei fenomeni di adsorbimento sono coinvolti legami deboli, al variare
delle condizioni chimico-fisiche esterne, i metalli adsorbiti possono essere rilasciati più o meno
facilmente, generando anomalie positive di concentrazione nelle acque, con conseguente
peggioramento delle condizioni ambientali.
L’indagine bibliografica ha evidenziato come la produzione scientifica specialistica, con particolare
riferimento allo studio delle singole fasi, sia piuttosto carente, ad eccezione dello studio condotto da
Branca et al. (1996) sulla geochimica dei sedimenti marini della piattaforma laziale (148 campioni
corrispondenti a più di 4000 determinazioni analitiche). Le altre ricerche condotte, esigue per
numero, sono generalmente riferite a specifiche aree di interesse, quali il settore prospiciente le foci
del Marta e del Fiora, indagato in quanto coincidente con l’area più meridionale della provincia
mercurifera toscana (Barghigiani et al., 1996), il golfo di Gaeta (Damiani et al., 1983; 1985;
Boniforti et al., 1986; Ferretti et al., 1989) e il mare antistante il promontorio di Anzio, studiato
perché interessato da lavori di movimentazione dei sedimenti di fondo (ICRAM, 2000), rimanendo
escluso, almeno da studi di dettaglio, tutto il resto del territorio.
I risultati presentati nei vari lavori, inoltre, fanno spesso riferimento a dati tra loro eterogenei, sia
per i protocolli analitici, sia per le differenti scale di indagine adottate, con la conseguenza di dati
non sempre facilmente confrontabili, pur rimanendo generalmente valido il confronto a livello dei
trends.
Da segnalare, infine, come, spesso, le ricerche condotte siano limitate al confronto fra frazione
totale e frazione adsorbita, rimanendo difficoltosa l’interpretazione in senso geologico dei dati
ottenuti.
43
ICRAM
2.1 Geochimica dei sedimenti della piattaforma
E’ noto che le caratteristiche dei sedimenti di fondo della piattaforma laziale sono notevolmente
influenzati dall’apporto solido dei fiumi che vi versano le loro acque e che drenano bacini
idrografici con caratteristiche geopetrografiche assai diverse. Ad aree di alimentazioni diverse,
anche in termini di fondo geochimico, viene, infatti, imputata, piuttosto che a fenomeni di
inquinamento, la particolare distribuzione osservata per certi elementi (ad es. piombo) e a cui si
deve la variabilità composizionale del sedimento stesso (Branca et al., 1996).
Gli autori evidenziano per i sedimenti esaminati una condizione apparentemente non influenzata da
fenomeni di inquinamento, verificata a scala sia regionale15 (Branca et al., 1996) sia locale (Ferretti
et al., 1989; ICRAM, 2000).
Nell’area in oggetto, lo studio delle condizioni chimico-fisiche che regolano l’accumulo dei
sedimenti con la conseguente distinzione tra origine naturale e antropica degli apporti, è stato
affrontato con risultati soddisfacenti, evidenziando la distribuzione di alcuni elementi (ferro,
manganese, cromo, nichel, cobalto, piombo, rame e zinco) nelle varie fasi, con particolare
riferimento allo studio della frazione contenuta nei minerali primari stabili, direttamente associata
alle caratteristiche geologiche dell’area sorgente (Branca et al., 1996).
Sulla base dei risultati emersi, vengono ipotizzate, in particolare, come primitive, cioè non
imputabili a fenomeni verificatisi in tempi successivi ai processi di deposizione, le abbondanze sia
del piombo sia degli elementi del gruppo del ferro. Questi elementi sarebbero associati alla presenza
(nei sedimenti) di alcuni minerali residuali, notoriamente provenienti dalle aree dell’Italia centrale
tirrenica in cui affiorano le rocce vulcaniche della serie K-alcalina, caratterizzate da elevati tenori in
piombo, ovvero termini litologici meno differenziati e più ricchi in metalli del gruppo del ferro. E’
altresì noto che tali elementi sono portati in carico dai corsi d’acqua che drenano tali bacini e che
sono recapitati in mare ad opera delle relative plume (Calderoni et al., 1981; Branca et al., 1996). I
siti di maggior accumulo (relativamente ai due elementi considerati) corrispondono rispettivamente
ai settori centrali e meridionali dell’area in studio (Branca et al., 1996).
L’esistenza per il piombo di due popolazioni di campioni, evidenziata dalla distribuzione bimodale
rilevata sugli istogrammi di frequenza (relativi alle fasi considerate), potrebbe in definitiva
corrispondere a significative anomalie positive in diretta dipendenza litogenetica e non dovute ad
arricchimenti successivi, come confermato dalla bassa incidenza della frazione adsorbita rispetto a
15
L’unico lavoro a scala regionale è quello di Branca et al. (1996) che però non prende in esame il mercurio, relativamente al quale sono invece note,
per il settore più settentrionale, concentrazioni anomale significative.
44
ICRAM
quella totale (Branca et al., 1996) (tabella 2.1), condizione confermata da altri studi (ICRAM,
2000).
Tabella 2.1 - Abbondanze medie (ppm) nella frazione totale e in quella adsorbita
(Branca et al., 1996)
Elemento
Totale
Adsorbiti
Piombo
79.5±21.7
4.4±3.1
Rame
31.6±20.4
2.6±1.5
Zinco
86.2±30.6
4.9±2.2
Manganese
714.9±206.3
30.0±27.0
Ferro
2.7±1.0 (%)
134.5±117.3
Nichel
64.7±16.0
0.7±0.5
Cromo
46.7±23.6
0.7±0.4
Cobalto
32.1±7.6
0.51±0.06
Per i tre metalli base (rame, piombo e zinco) viene ipotizzata una derivazione da minerali residuali
arricchiti in ferro e, solo subordinatamente, in fasi manganesifere (Branca et al., 1996). I dati
relativi ai coefficienti di correlazione per le abbondanze totali indicano, infatti, valori significativi
tra zinco e piombo (0.46), tra zinco e rame (0.63) e, minore, tra piombo e rame (0.19), e tutti e tre
mantengono una correlazione significativa con il ferro, ma non apprezzabile con il manganese. Le
abbondanze totali degli elementi esaminati indicherebbero pertanto che, mentre manganese, ferro,
nichel e cobalto (la distribuzione del cromo è risultata complessa e di difficile interpretazione)
deriverebbero da un unico modello genetico, per i rimanenti bisogna ipotizzare apporti diversificati
dal continente. Nonostante sia nota in letteratura l’associazione del piombo alle mineralizzazioni a
solfuri dei metalli base presenti a nord di Roma (Calderoni et al., 1981; Branca et al., 1996), dati
più recenti, relativi in particolare alla distribuzione degli elementi nella frazione residuale (Branca
et al., 1996), non hanno confermato l’interdipendenza del piombo con il rame e lo zinco (essendo
stati trovati per i coefficienti di correlazione valori di 0.06 tra piombo e rame e 0.04 tra piombo e
zinco). Inoltre, la distribuzione (ubiquitaria) del manganese nella frazione residuale è risultata
abbastanza complessa e non facilmente definibile su base mineralogica, anche per il probabile
intervento di fenomeni complessi e dipendenti da situazioni locali (Branca et al., 1996).
Altre caratteristiche, quali la giacitura (superficiale) e la vicinanza al continente, oltre all’origine dei
sedimenti, sembrano governare la distribuzione degli elementi nei sedimenti tirrenici. In accordo
con gli studi condotti (Branca et al., 1996) che hanno, infatti, evidenziato apporti continentali
scarsamente alterati, proprio per effetto della giacitura superficiale (dei sedimenti campionati) e
45
ICRAM
della vicinanza al continente, il modello di ripartizione (degli elementi) proposto da Branca et al.
(1996) è confrontabile con i modelli relativi ad altri sedimenti epicontinentali (Eaton, 1979; Branca
et al., 1996) piuttosto che con quello tipico dei sedimenti pelagici (Forstner e Stoffers, 1981; Branca
et al., 1996). La differenza che si osserva nella distribuzione elementare per i sedimenti tirrenici ed
epicontinentali da una parte e quelli pelagici dall’altra (tabella 2.2), è spiegabile ammettendo che
per questi ultimi siano intervenuti significativi processi di alterazione dovuti al più lungo trasporto
(che non si è verificato nel caso dei sedimenti tirrenici) e alla diagenesi.
Tabella 2.2 - Dati di letteratura relativi alle abbondanze elementari nella frazione totale (ppm)
nei sedimenti di vari ambienti
Elemento
Sedimenti pelagici
Sedimenti epicontinentali
Sedimenti Mar Tirreno
(Branca et al., 1996)
(Eaton, 1979)
(Wedwpohol, 1974)
Intervallo
valori medi
Piombo
10-140
-
35-128
79.5±21.7
Rame
70-300
55
5-127
31.6±20.4
Zinco
90-180
95
21-141
86.2±30.6
Manganese
0.04-4.0 (%)
470
333-1866
714.9206.3
Ferro
0.5-5.0 (%)
3.8 (%)
0.34-5.17 (%)
2.7±1.0 (%)
Nichel
40-320
73
25-107
64.7±16.0
Cromo
80
-
10-112
46.7±23.6
Cobalto
20-160
21
10-54
32.1±7.6
I dati relativi alle abbondanze totali, evidenziando come i sedimenti tirrenici siano meno arricchiti
negli elementi considerati rispetto a quelli pelagici, portano ad escludere che siano intervenute
modifiche rilevanti in tempi successivi alla deposizione per cause naturali e/o antropiche (Branca et
al., 1996).
Il confronto con i dati di letteratura relativi a campioni analizzati con tecniche analoghe ha
permesso agli Autori (Branca et al., 1996) di rilevare come il tratto laziale del mare Tirreno sia
caratterizzato dalla presenza di sedimenti in condizioni accettabili di “naturalità”: in particolare il
confronto è stato effettuato relativamente alla frazione adsorbita presente nei sedimenti della baia di
S. Francisco (Eaton, 1979; Branca et al., 1996), evidenziando abbondanze significativamente più
elevate per i sedimenti californiani, in cui rame, zinco, manganese, cobalto e ferro sono presenti
rispettivamente a livelli di 15, 16, 88, 43 e 1538 ppm (Branca et al., 1996) (tabella 2.3).
46
ICRAM
Tabella 2.3 - Abbondanze media (ppm) per gli elementi labilmente adsorbiti
Elemento
Mar Tirreno (Branca et al., 1996)
Baia S.Francisco (Eaton, 1979)
Piombo
4.4±3.1
-
Rame
2.6±1.5
15
Zinco
4.9±2.2
16
Manganese
30.0±27.0
88
Ferro
134.5±117.3
1538
Nichel
0.7±0.5
-
Cromo
0.7±0.4
-
Cobalto
0.51±0.06
43
In particolare, la bassa incidenza del cromo, nelle fasi debolmente adsorbite, è in accordo con la
sua non partecipazione ad equilibri di adsorbimento (Nowlan, 1976; Branca et al., 1996).
Gli studi di dettaglio condotti al largo della costa laziale (ICRAM, 2000) hanno confermato, per gli
elementi analizzati (cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, rame e zinco), concentrazioni basse,
prossime a quelle misurate da diversi autori sulla piattaforma continentale tirrenica (Baldi e
Bargagli 1984; Cosma et al., 1994; Frignani et al., 1985; Giordani et al., 1991; ICRAM, 1997;
2000; Leoni et al., 1991; 1993; Niccolai, 1991; Niccolai et al., 1993; Pisani et al., 1991) e
interpretabili come background (ICRAM, 2000), con bassa incidenza della frazione adsorbita
rispetto a quella totale. Tale condizione è stata riscontrata anche da altri autori sia nel golfo di Gaeta
(Damiani et al., 1983; Ferretti et al., 1989) in cui gli studi condotti hanno evidenziato livelli di
concentrazione tali da escludere evidenti fenomeni di inquinamento, sia al largo della foce del
Tevere in cui, anche nel caso del cadmio e del mercurio, per cui sono state trovate le maggiori
deviazioni dai valori naturali, si rimane sempre al di sotto dei limiti di rischio per la vita acquatica
(La Noce et al., 1984).
Gli studi condotti nel golfo di Gaeta (Damiani et al., 1983; 1985; Boniforti et al., 1986) hanno
evidenziato fenomeni di contaminazione limitati e localizzati nei sedimenti dei delta dei fiumi
Volturno e Garigliano, in cui sono state rilevate concentrazioni anomale di Hg e di Cd.
Da segnalare infine come la parte più settentrionale dell’area sia stata, spesso, oggetto di studi
specifici (mercurio), in relazione alle indagini condotte sulla provincia mercurifera toscana, poiché
è noto che alla presenza di una provincia mercurifera corrisponde un contenuto di mercurio
decisamente anomalo (Anselmi et al., 1979) nel golfo di Trieste e nell’Alto Adriatico, in rapporto a
una provincia mercurifera localizzata nelle Alpi orientali.
47
ICRAM
Nell’area centro-tirrenica sono stati evidenziati fenomeni di contaminazione, almeno in parte,
correlati all’attività mineraria del monte Amiata, come è stato dimostrato dallo studio dei gradienti
verticali di contaminazione (Barghigiani et al., 1996). I dati relativi ai carotaggi indicano, infatti,
che i valori di concentrazione sono più elevati nei livelli superficiali e più bassi in quelli più
profondi, in particolare i subcampioni corrispondenti alle profondità di 50 e di 80cm sono quelli con
i livelli di contaminazione più bassi, sia nella frazione inferiore ai 20µm sia in quella totale. Le
variazioni di concentrazione in senso verticale rifletterebbero, quindi, la variabilità della produzione
di mercurio nel tempo: i livelli di concentrazione più elevata corrisponderebbero alla maggior
produzione di mercurio che si è avuta nella seconda metà del 1900 (Barghigiani et al., 1996). Alle
anomalie positive di mercurio osservate nei sedimenti del Tirreno centro-settentrionale sarebbero
inoltre da imputare i più elevati valori di concentrazione rilevati in alcuni organismi marini
bentonici (Barghigiani et al., 1996; Barghigiani e Ristori, 1995a; 1995 b).
I dati raccolti indicano per il mercurio presente nei sedimenti marini gradienti di concentrazione
caratterizzati da significativi decrementi procedendo dalla costa verso il mare aperto (Barghigiani et
al., 1996; La Noce et al., 1984; ICRAM, 2000), mentre le concentrazioni più elevate sono associate
in particolare alla frazione sottile (inferiore ai 20 µm in Barghigiani et al., 1996 e ai 63 µm in
ICRAM, 2000)
Il mercurio presente nei sedimenti del Tirreno centrale è sicuramente associato al trasporto dei fiumi
del versante tirrenico che drenano le aree caratterizzate da significativi arricchimenti in mercurio,
quali il bacino del M.te Amiata (Ombrone, Albegna e Fiora) e del lago di Bolsena (Marta)
(Barghigiani et al., 1996).
Nei metalli presenti nei sedimenti del Tirreno, oltre alla generale associazione di questi alla frazione
sottile, non rilevata per il cadmio (la cui distribuzione sembra essere condizionata principalmente
dalla composizione, ICRAM 2000) è stato osservato un caratteristico arricchimento nei campioni
relativi alle batimetriche dei 20-30 m per le abbondanze totali di piombo, zinco e nichel, mentre per
gli altri metalli non è stato possibile rilevare l’esistenza di un evidente gradiente batimetrico.
Gli effetti che l’intensa antropizzazione dell’area, produce sui sedimenti marini sono stati infine
evidenziati dallo studio del carbonio organico e dell’azoto totale, che ha rivelato un regime di
sedimentazione caratterizzato da un significativo apporto di sostanza organica, sicuramente
condizionato dal contributo continentale. Associati ad essa, in particolari condizioni meteorologiche
possono verificarsi locali fenomeni di anossia all’interfaccia acqua-sedimento (Branca et al., 1996).
In definitiva i sedimenti della piattaforma laziale sembrano essere principalmente condizionati dalle
caratteristiche geolitologiche delle aree sorgente piuttosto che da fenomeni di inquinamento. Sono
48
ICRAM
ben evidenti in particolare i contributi delle aree mineralizzate a solfuri e quelli delle vulcaniti della
serie k-alcalina che determinano per il piombo e per gli elementi del gruppo del ferro
concentrazioni anomale rispettivamente nel settore centrale e in quello meridionale dell’area in
studio. Il confronto fra i dati relativi alle abbondanze elementari nei sedimenti tirrenici rispetto a
quelle relative a campioni analizzati con metodologie analoghe e relativi a siti di cui sono ben note
le condizioni di inquinamento, ha evidenziato valori di concentrazione significativamente più bassi
per i sedimenti tirrenici. Fenomeni di contaminazione da mercurio sono invece evidenti nel settore
più settentrionale in cui trovano recapito alcuni dei corsi d’acqua che drenano la provincia
mercurifera toscana; i sedimenti presentano in questo settore elevate concentrazioni in mercurio
legate sia al fondo geochimico formazionale che all’incidenza dell’attività mineraria.
49
ICRAM
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52
ICRAM
3. POPOLAMENTI BENTONICO
Introduzione
Nell’ambito del programma di ricerca “Studio di impatto ambientale per lo sfruttamento di depositi
sabbiosi sommersi lungo la piattaforma continentale laziale ai fini di ripascimento” sono state
reperite ed esaminate le informazioni presenti in letteratura (sia bianca che grigia) per fornire un
quadro informativo completo della distribuzione e localizzazione delle biocenosi bentoniche lungo
la piattaforma continentale del Lazio.
Negli studi d’impatto ambientale in ambiente marino si sono rivelate particolarmente utili le analisi
dei popolamenti animali e vegetali, con particolare riferimento agli organismi bentonici. Le
comunità bentoniche, costituite dall’insieme degli organismi che popolano il fondo e che sono ad
esso strettamente legati, grazie alla loro scarsa vagilità, agli stretti rapporti che hanno con il fondo e
ai cicli vitali relativamente lunghi, forniscono informazioni complete e più a lungo termine circa le
condizioni globali del sistema (Pearson e Rosenberg, 1978).
Nell’ambiente marino il dominio bentonico comprende tutti i fondali che si estendono dalla riva
fino alle massime profondità oceaniche. Gli organismi bentonici sono distribuiti su tali fondali in
diverse associazioni a seconda del tipo di substrato, della profondità e dei fattori ad essa legati (luce,
salinità, gas disciolti, nutrienti, idrodinamismo e granulometria del substrato). I numerosi fattori
abiotici e l’elevato numero di specie creano una diversificazione in tale ambiente, spesso difficile da
schematizzare. Per questo è emersa l’esigenza da parte degli studiosi di creare un modello di
zonazione delle comunità - o biocenosi bentoniche - come utile strumento operativo al fine di
possedere un quadro di riferimento per poter identificare i principali elementi che caratterizzano
l’ambiente in esame.
Il modello attualmente più utilizzato, tra i vari proposti per il Mar Mediterraneo, è quello di Pérès e
Picard (1964) che individua sia per il sistema fitale (presenza di luce) che per quello afitale (senza
luce) le diverse biocenosi presenti sui fondali mobili e duri. Secondo tale modello all’interno di
ciascun sistema si possono individuare dei “piani” che si susseguono verticalmente e si estendono
tra due livelli “critici” entro i quali le condizioni ambientali si mantengono più o meno costanti.
All’interno di ogni piano si trovano le biocenosi tipiche dello stesso, che sono costituite da specie
caratteristiche, accompagnatrici e accidentali. Le specie caratteristiche sono dette esclusive nel
caso in cui siano legate ad un determinato biotopo e si trovino solo eccezionalmente altrove; sono
dette preferenziali se sono nettamente più abbondanti in un determinato biotopo, ma, allo stesso
53
ICRAM
tempo possono essere accompagnatrici in un altro. Le specie accompagnatrici possono essere
ugualmente abbondanti in diversi biotopi, in quanto sono specie distribuite nell’intero piano, oppure
indicatrici di un certo fattore edafico, o ancora a larga ripartizione ecologica. Infine le specie
accidentali sono quelle caratteristiche di un’altra biocenosi, che, vengono trovate eccezionalmente
nel biotopo in esame.
Il sistema litorale o fitale (così chiamato in quanto in esso è possibile la vita autotrofa) comprende 4
“piani”:
- Piano Sopralitorale: si estende sopra il livello dell’alta marea per tutta la fascia raggiunta dagli
spruzzi del mare (non viene praticamente mai sommerso). Sui fondi duri si trova la biocenosi della
Roccia Sopralitorale mentre su quelli mobili si osservano le biocenosi delle Sabbie Sopralitorali ad
essiccazione Rapida e delle Sabbie Sopralitorali ad essiccazione Lenta;
- Piano Mesolitorale: corrisponde alla fascia di marea, in cui sono presenti organismi in grado di
sopportare l’alternanza di periodi di emersione ed immersione. Sui fondi duri sono presenti le
biocenosi della Roccia Mesolitorale Superiore ed Inferiore e delle Grotte Mesolitorali, mentre su
quelli mobili si trovano le biocenosi del Detritico Mesolitorale, della Sabbia di Moda Battuta e di
Moda Calma;
- Piano Infralitorale: si estende dalla superficie fino alla profondità alla quale possono vivere le
Fanerogame marine o le alghe fotofile. Sui fondi duri si riconoscono il complesso delle biocenosi
delle Alghe Fotofile e delle Alghe Sciafile, mentre sui fondi mobili si trovano le biocenosi delle
praterie di Posidonia oceanica, delle Ghiaie Infralitorali, delle sabbie (Sabbie Fini degli Alti Livelli
e Sabbie Fini Ben Calibrate) e delle sabbie fangose (Sabbie Fangose di Moda Calma);
- Piano Circalitorale: si estende dal limite inferiore delle fanerogame marine fino al margine della
piattaforma continentale. Sui substrati duri si insediano la biocenosi del Coralligeno, quella delle
Grotte Semi-Oscure e ad Oscurità Totale e la biocenosi della Roccia del Largo. Sono numerose le
biocenosi presenti sui fondi mobili sia dei sedimenti grossolani (Detritico Costiero, Detritico
Infangato e Detritico del Largo) che dei sedimenti fini (Fanghi Terrigeni Costieri).
Alcune biocenosi, indipendenti dal piano, si possono inoltre trovare sia nell’Infralitorale che nel
Circalitorale (Sabbie Grossolane e Ghiaie Fini influenzate dalle Correnti di fondo, Sabbie Fini ad
Anfiosso e la biocenosi dei Fondi Mobili Instabili).
*******
Nei capitoli successivi viene riportata una sintesi dei dati presenti in letteratura riguardanti la
54
ICRAM
distribuzione dei popolamenti fitozoobentonici lungo la piattaforma continentale del Lazio.
La distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica lungo il litorale laziale, considerata
l’importanza che esse rivestono nell’ambiente marino costiero, viene riportata separatamente.
Infatti, esistono, sia a livello nazionale che internazionale, leggi che hanno come obiettivo quello di
prevenire ogni tipo di opera che comporti il degrado o la distruzione della Posidonia oceanica
(Direttiva “Habitat” 92/43 CEE del 21maggio 1992, Decreto del Presidente della Repubblica n. 357
dell’ 8 settembre 1997 e successive modificazioni, UNEP Mediterranean Action Plan del 19 marzo
2001), al fine di salvaguardare la qualità dell’ambiente marino, di prevenire l’estinzione delle
risorse biologiche minacciate dei fondali ed assicurare la conservazione dei biotopi litorali.
55
ICRAM
3.1 Distribuzione delle biocenosi bentoniche
FOSSO DEL CHIARONE - CIVITAVECCHIA SUD
Esistono diversi studi riguardanti la distribuzione delle principali biocenosi bentoniche lungo il
tratto di costa, che si estende dal confine settentrionale del Lazio (Fosso del Chiarone) fino a
Civitavecchia. Tra i principali, ricordiamo gli studi effettuati da Taramelli e Chimenz (1985) relativi
al tratto di mare prospiciente le centrali termoelettriche di Civitavecchia, da ICRAM (1995)
riguardanti l’area tra Montalto di Castro e Torre Valdaliga nord, nell’ambito del progetto dei lavori
di posa e di messa in opera di un oleodotto sottomarino, dall’Università “La Sapienza” di Roma per
conto della Regione Lazio lungo le coste laziali (Chimenz Gusso et al., 1996) e dall’ENEL (1997,
2000, 2002) nella zona costiera antistante la centrale di Montalto di Castro. Ricerche più puntiformi
e specialistiche sui popolamenti bentonici sia di substrato mobile che duro di questa zona sono state
realizzate da Cognetti Varriale e Zunarelli Vandini (1979), Chimenz e Contessini (1986), Chimenz
et al. (1989), Contessini et al. (1989), Taramelli e Chimenz (1990), Taramelli e Venanzangeli
(1990), Argenti et al. (1992), Bracale et al. (1992), Chimenz (1993), Scipione e Lattanzi (1995),
Scipione et al. (1995), Tomassetti e Chimenz Gusso (1998), Franceschini et al. (1996), Nicoletti et
al. (2000).
Per una completa rassegna bibliografica, nel periodo antecedente al 1995, si rimanda alla
bibliografia contenuta ne “Il mare del Lazio” (Chimenz Gusso et al., 1996).
Dall’insieme delle indagini sopra citate, la fascia a profondità compresa tra 8 e 15m, nell’area tra
Montalto di Castro e Civitavecchia, risulta caratterizzata dalla presenza della biocenosi delle Sabbie
Fini Ben Calibrate (SFBC), là dove sono assenti praterie di Posidonia oceanica. In corrispondenza
delle foci dei fiumi Marta e Mignone si rinvengono popolamenti bentonici caratterizzati da specie
tipicamente sabulicole, come il polichete Nephtys hombergi e il bivalve Tellina pulchella, e da
organismi limicoli, come il polichete Glycera unicornis e il bivalve Abra alba.
I popolamenti delle sabbie si estendono fino ai 20m di profondità dove iniziano a essere presenti
specie sabulicole tolleranti e tendenzialmente limicole, indice di un progressivo infangamento del
fondale.
Tra i 20 e i 30m di profondità, nella zona compresa tra la foce del fiume Marta e quella del
Mignone, è presente una fascia ecotonale con caratteristiche intermedie tra la biocenosi SFBC e
quella dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC), situata più in profondità. Questa zona è caratterizzata
dalla presenza di un popolamento zoobentonico misto: specie frequenti nei sedimenti sabbiosi
(come i policheti Nephtys cirrhosa, Nephtys hombergii e il bivalve Tellina nitida) si accompagnano
56
ICRAM
a specie tipiche del VTC e di sedimenti misti (come i bivalvi Corbula gibba e Nucula nitidosa).
Nella porzione di fondale compresa tra 30 e 50m sono presenti popolamenti zoobentonici tipici
della biocenosi del Detritico Infangato (DE), caratterizzati dalla presenza del bivalve Tellina serrata
e dei policheti Glycera lapydum e Aponuphis brementi.
Oltre i 50m, si trova un popolamento tipico del VTC, caratterizzato dalla presenza dei policheti
Sternaspis scutata, Laonice cirrata, del gasteropode Turritella communis, del decapode Goneplax
rhomboides, e del bivalve Corbula gibba, specie indicatrice di instabilità sedimentaria.
Recenti indagini (Ardizzone, com. pers.) a profondità comprese tra 100 e 150m, in corrispondenza
del margine della piattaforma continentale, hanno individuato vaste aree di fondale colonizzate dal
crinoide Leptometra phalangium, caratteristico di substrati detritici (biocenosi dei fondi Detritici del
Largo: Facies a Leptometra).
Per quanto riguarda i popolamenti bentonici di substrato duro nel tratto di costa compreso tra S.
Agostino e Punta Mattonara si osserva, dalla superficie del mare fino a 4m di profondità, un
substrato roccioso ricoperto da alghe fotofile, quali Corallina elongata, Padina pavonica, Dictyota
dicotoma e Ulva rigida. Specie dominanti del popolamento animale sono i policheti Theostoma
oerstedi, Syllis prolifera, il tanaidaceo Pseudoleptochelia anomala, gli anfipodi Elasmopus
pocillimanus, Amphithoe helleri, i gasteropodi Pisinna glabrata, Bittium reticulatum, Barleeia
rubra, Mytilaster minimus, Irus irus e l’echinoderma Amphipholis squamata. Oltre tale profondità è
presente una prateria di Posidonia oceanica, che si insedia prevalentemente su un substrato
roccioso.
CIVITAVECCHIA SUD - TORVAIANICA
Anche per questa zona un importante e ampio contributo sulla distribuzione delle biocenosi
bentoniche proviene dagli studi effettuati dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto della
Regione Lazio (Chimenz Gusso et al.,1996). Sono presenti, inoltre, diversi lavori a carattere più
locale e specialistico riguardanti i popolamenti bentonici della zona: Argenti et al. (1992), Bracale
et al. (1992), Chimenz e Nicoletti. (1994), Gravina et al. (1995), Scipione e Lattanzi (1995),
Scipione et al. (1995), Nicoletti e Chimenz (1995), Tomassetti e Chimenz Gusso (1998),
Franceschini et al. (1996).
Per quanto riguarda la distribuzione delle biocenosi bentoniche su substrato mobile, le informazioni
raccolte riportano la presenza tra Fregene e Fiumicino, tra 0 e 7m di profondità, della biocenosi
delle Sabbie Fini degli Alti Livelli (SFHN). La biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC) è
57
ICRAM
segnalata tra 8 e 15m, da Ladispoli a Torvaianica. Il fondale a profondità compresa tra 15 e 30m, da
Santa Severa a Torvaianica, è caratterizzato da fondi misti fango-sabbiosi. Più in profondità, tra 30
e 50m, sono presenti popolamenti bentonici ascrivibili alla biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri
(VTC).
La zona prospiciente la foce del Tevere è stata studiata in particolare da Della Seta et al. (1977),
Focardi et al. (1982), Falciai et al. (1983), Falciai e Spadini (1985). In base ai dati raccolti, in tale
area vengono evidenziati gli stessi popolamenti descritti nelle aree più settentrionali, la cui
distribuzione batimetrica appare però modificata. La biocenosi SFHN, localizzata nella parte
superiore del piano infralitorale, si estende fino ad una profondità di 5m ed è caratterizzata dalla
presenza di specie caratteristiche esclusive quali Lentidium mediterraneum, Donax semistriatus e
Chamelea gallina, strettamente associata a fondi psammitici. La biocenosi SFBC, costituita da
specie caratteristiche esclusive e preferenziali, quali il bivalve Spisula subtruncata, il polichete
Owenia fusiformis, il decapode Diogenes pugilator e l’echinoderma Ophiura ophiura, si ritrova ad
una profondità compresa tra 5 e 15m. Oltre i 20m di profondità è presente un popolamento tipico
della biocenosi del VTC, caratterizzato dalla presenza di specie legate ai fondi pelitici quali il
bivalve Phaxas adriaticus, i policheti Sternaspis scutata e Nephtys hystrycis, il decapode Alpheus
glaber. Tra le biocenosi SFBC e VTC è stata evidenziata una quarta zona definita “mista”
caratterizzata dalla presenza di organismi misticoli: la presenza di tale zona, molto più estesa
nell’area a nord della foce, è probabilmente una conseguenza diretta del continuo e massiccio
apporto di materiale fine da parte del fiume.
Il margine della piattaforma continentale, nell’area tra Santa Severa e Fiumicino tra 100 e 150m, è
caratterizzato dalla presenza della biocenosi dei fondi Detritici del Largo - facies a Leptometra
phalangium, (DL-Lept) (Ardizzone, com. pers.).
I fondali rocciosi presenti nella zona di Capo Linaro, tra Civitavecchia e Santa Severa, sono
caratterizzati dalla biocenosi della Roccia Infralitorale di Moda Battuta (RIPB), nella fascia più
superficiale, dalle biocenosi della Roccia Infralitorale Fotofila di Moda Calma (RIPC) e delle
Rodoficee Calcaree Incrostanti e Ricci (RCEO), nei livelli inferiori. Nella fascia superiore si
rinviene una fascia a Mytilidae rappresentata dal bivalve Mytilaster minimus che in genere si adatta
a condizioni di ridotto idrodinamismo. Ad una profondità compresa tra 1 e 6m è presente una facies
caratterizzata dalla feoficea Cladostephus spongiosus e da altre specie (Halopteris scoparia, Padina
pavonica e Codium vermilara) che tipicamente si insediano su fondi rocciosi dove si possono
accumulare notevoli quantità di sedimento che rimane intrappolato tra i loro talli. I massi di
maggiori dimensioni sono spesso ricoperti da corallinacee incrostanti e da ricci. Anche il
58
ICRAM
popolamento zoobentonico è formato dalle specie tipiche dei substrati rocciosi fotofili di moda
semi-esposta, soggetti a debole idrodinamismo. Alla profondità di 10m, accanto a specie fotofile se
ne aggiungono altre tipicamente sciafile, frequenti nelle formazioni coralligene del circalitorale.
Alla profondità compresa tra di 30 e 50m, in corrispondenza del limite inferiore della prateria di
Posidonia, sono presenti popolamenti di fondo mobile appartenenti alla biocenosi del Detritico
Infangato (DE).
TORVAIANICA – CIRCEO
Tra Torvaianica ed Anzio non sono stati trovati lavori relativi ai popolamenti bentonici, tranne
alcuni riguardanti le biocostruzioni a Sabellaria presenti a Tor Caldara (Lavinio) (Taramelli, 1961;
Nicoletti et al., 2000).
Per la zona compresa tra Anzio e il promontorio del Circeo sono, invece, disponibili numerose
informazioni sui popolamenti che caratterizzano tali fondali: Argenti et al. (1992), Chimenz Gusso
et al. (1996), Gravina et al. (1995), Scipione e Lattanzi (1995), Scipione et al. (1995), Tomassetti e
Chimenz Gusso (1998), Franceschini et al. (1996).
Tra Anzio e il lago di Sabaudia, ad una profondità tra 5 e 10m, si trova la biocenosi delle Sabbie
Fini Ben Calibrate (SFBC), caratterizzata dal gasteropode Nassarius mutabilis, dai crostacei
Bathyporeia guilliamsoniana e Liocarcinus zariquiey e dal polichete Glycera tridactyla. In
prossimità di Anzio e Sabaudia sono segnalate facies a Spisula subtruncata.
Il fondale compreso tra 20 e 40m, situato tra Capo d’Anzio e la foce del fiume Astura, è
caratterizzato da popolamenti tipici di fondi misti. Invece, tra la foce del fiume Astura ed il lago di
Caprolace, dai 20 ai 50m, è presente un popolamento bentonico tipico della biocenosi del Detritico
Infangato (DE), rappresentato dai molluschi Plagiocardium papillosum, Tellina balaustina, Pitar
rudis e Dentalium inaequicostatum. A maggiori profondità di 50m, tutta la zona è caratterizzata da
popolamenti bentonici ascrivibili alla biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC).
Una serie di indagini sono state effettuate da ICRAM a largo di Anzio, nell’ambito di un progetto
per lo studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini
di ripascimento (ICRAM, 2000a; b; c; ICRAM 2001a; b). Il fondale investigato è caratterizzato
dalla presenza di un affioramento roccioso (secca di Costacurti) dove sono presenti popolamenti
fitozoobentonici ascrivibili alle biocenosi del Precoralligeno (PC) e Coralligeno (C). Ad una
profondità di 30-35m sul margine settentrionale della secca si osservano macchie di P. oceanica su
roccia. Verso costa, a profondità tra 40 e 48m, si individuano le biocenosi del Detritico Costiero
59
ICRAM
(DC) - facies a Mäerl - e del VTC (Nicoletti et al., in stampa).
Tra 100 e 150m, sul bordo della scarpata, è presente la facies a Leptometra phalangium del detritico
del largo (DL- Lept) (Ardizzone, com. pers.)
CIRCEO - GAETA
Numerosi sono gli studi relativi alla distribuzione delle comunità bentoniche nell’area antistante il
promontorio del Circeo (Argenti et al., 1992; Bracale et al., 1992; Chimenz e Nicoletti, 1994;
Gravina et al., 1995; Nicoletti e Chimenz, 1995; Scipione e Lattanzi, 1995; Scipione et al. 1995;
Chimenz Gusso et al., 1996; Franceschini et al., 1996; Tomassetti e Chimenz Gusso, 1998) e il
golfo di Gaeta (Zurlini e Bedulli, 1983; ECOMAR, 1983; Ferretti et al.,1989).
Le informazioni sui popolamenti macrozoobentonici dei fondi mobili evidenziano, in prossimità di
Terracina, la presenza della biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC) ad una profondità di
circa 5m, caratterizzata dagli anfipodi Ampelisca brevicornis, Bathyporeia megalops e B.
guilliamsoniana.
In questa zona è presente una vasta prateria di Posidonia oceanica su sabbia, intervallata da ampie
aree di “matte” morta. Oltre i 30m, in corrispondenza del limite inferiore della prateria di
Posidonia, nella porzione di fondale che si estende a sud del Circeo fino a Sperlonga, si trova la
biocenosi del Detritico Infangato (DE).
Nel golfo di Gaeta, tra Torre Viola ed il fiume Garigliano, tra 15 e 20m, sono presenti popolamenti
ascrivibili alla biocenosi SFBC con specie tipiche come i policheti Owenia fusiformis, Pectinaria
koreni e Nephtys hombergii ed i molluschi Tellina pulchella, Spisula subtruncata. A maggiori
profondità, tra 35-50m, sono presenti specie indicatrici di instabilità sedimentaria come Ditrupa
arietina e Corbula gibba. Tra i 44 e 98m di profondità si rinvengono specie caratteristiche della
biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC), quali i policheti Laonice cirrata, Chaetozone setosa
e Nephthys histricis (Zurlini e Bedulli, 1983; ECOMAR, 1983).
I dati forniti da Ferretti et al. (1989) sulle comunità bentoniche del golfo di Gaeta mostrano alcune
contraddizioni rispetto agli studi precedenti. Tra 5 e 20m di profondità è presente la biocenosi
SFBC, cui segue una sottile fascia, a circa 20m, caratterizzata dalla presenza di popolamenti
bentonici tipici del Detritico Costiero (DC). Oltre tale profondità sono presenti popolamenti
ascrivibili alla biocenosi del VTC. Alla profondità di 100m si rinvengono organismi bentonici tipici
della biocenosi del DE.
Per quanto riguarda i popolamenti bentonici di substrato duro sono stati esaminate in particolare due
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ICRAM
aree, una localizzata a Capo Circeo, nelle vicinanze di Torre Paola, e l’altra a Gaeta, a sud della
montagna Spaccata. Le osservazioni relative ai fondi duri del Circeo individuano una parete
verticale (esposta ad ovest) che termina a circa 6m di profondità su un fondo sabbioso. In superficie
si rinvengono associazioni fitozoobentoniche appartenenti alle biocenosi della Roccia Infralitorale
Fotofila di Moda Battuta (RIPB), caratterizzata dall’alga Cystoseira amentacea var. stricta, alla
quale sono associati sia anfipodi tipici di un ambiente a forte idrodinamismo come Jassa
marmorata, il decapode Pilumnus hirtellus e il bivalve Mytilus galloprovincialis. Nella fascia
batimetrica successiva, tra 1 e 5m, è presente la biocenosi delle Alghe Fotofile di Moda Calma
(APIC). Si osserva una facies a Cystoseiretum crinitae costituita dalle alghe Halopteris scoparia e
Colpomenia sinuosa. Alla profondità di 5m è presente una biocostruzione formata dai tubi di
policheti del genere Sabellaria che escludono quasi completamente il popolamento vegetale
(Gravina et al., 1995; Nicoletti et al., 2000).
In prossimità di Gaeta, su una parete rocciosa subverticale esposta a sud che scende oltre i 15m di
profondità, si segnala la presenza di un popolamento algale infralitorale (tra 1-6m) che risente della
torbidità dell’acqua; in superficie manca, infatti, il popolamento a Cystoseira amentacea var. stricta
che viene sostituito da una facies a Corallina elongata, Pterosiphonia pennata e da specie algali che
tollerano la presenza di sedimento fine, come Halopteris scoparia e Padina pavonia. Per quanto
riguarda la fauna bentonica, in superficie le specie predominanti sono i molluschi Mytilus
galloprovincialis e Mytilaster minimus; inoltre, si rinvengono sia specie legate al popolamento
algale fotofilo, come i policheti Syllis prolifera, Perinereis cultrifera e l’anfipode Caprella
acanthifera, sia specie di substrato roccioso del circalitorale (i policheti Lumbrineris coccinea e
Chrysopetalum debile) sia di substrato mobile (i policheti Kefersteinia cirrata e Ophiodromus
pallidus). A profondità tra 12 e 15m predomina una copertura algale composta di varie specie del
genere Peyssonnelia (rodoficea sciafila) e, tra la fauna, sono presenti specie sciafile come i
gorgonacei Eunicella cavolinii, E. stricta e Paramunicea clavata.
61
ICRAM
3.2 Posidonia oceanica e altre Fanerogame marine
FOSSO DEL CHIARONE - CIVITAVECCHIA SUD
Una serie di indagini sono state svolte negli anni ’90 per approfondire la distribuzione delle
fanerogame marine, in particolare della Posidonia oceanica, lungo la piattaforma continentale
laziale. Nel tratto di costa che si estende dal limite settentrionale del Lazio fino alla località di
Civitavecchia sono da segnalare gli studi condotti da SNAM Progetti (1991), ICRAM (1995),
Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio (1996), ENEL (1997, 2000,
2001), Diviacco et al. (1999a), Virno et al. (2001), Diviacco et al. (2001), Spada et al. (2001).
Le informazioni raccolte descrivono, nel tratto di mare compreso tra la località di Graticciara ad
ovest e la foce del fiume Fiora ad est, una prateria di Posidonia oceanica estremamente degradata.
Fin dal limite superiore, intorno ai 15m di profondità, la prateria si presenta, infatti, intervallata da
ampie zone di “matte” morta; questa situazione è presente fino alla profondità di 20m dove fasci
sparsi o piccole macchie si rinvengono insieme a “matte” morta e ampi catini di sedimento fine.
Oltre i 20m si trova soprattutto “matte” morta, spesso infangata e poco visibile. In tutta questa zona
non si può parlare di prateria di Posidonia oceanica bensì di fasci isolati o “semi-prateria”
(Ardizzone e Belluscio, 1996).
Le indagini condotte da Virno et al. (2001) segnalano la presenza di tre piccoli prati di un’altra
fanerogama marina, Cymodocea nodosa, tra la costa ed il limite superiore della prateria di
Posidonia. Il primo prato è localizzato in prossimità di Graticciara, a profondità comprese tra 5 e
10m; il secondo ben definito è situato ad est di Graticciara, mentre il terzo prato è disposto a circa
1,5 km ad est della centrale ENEL di Montalto di Castro.
La prateria di Posidonia sopra citata è interrotta in prossimità della foce del fiume Fiora; a sud di
tale foce (Punta Morelle) il fondale è caratterizzato da substrato duro di natura organogena che si
estende fino a circa 25m, intervallato da zone di sabbia. In questa zona, la Posidonia è presente a
macchie intervallata ad ampie zone di “matte” morta.
La Posidonia oceanica, interrotta nei pressi della foce dell’Arrone, riprende più a sud con
caratteristiche simili fino alla foce del Marta. In questa zona, dagli 11-13m di profondità fino ai
18m, sono evidenti sempre più ampie zone di “matte” morta, intervallate a rocce sparse. Oltre tale
profondità si osservano ampie zone sabbiose e “matte” morta, con radi fasci di Posidonia.
Un’altra prateria di Posidonia si rinviene nella zona antistante il litorale di Marina di Tarquinia,
delimitata a ponente dal fiume Marta e a levante dal fiume Mignone; questa si insedia, a partire dai
62
ICRAM
7m di profondità, sia su sabbia che su “matte”. Oltre i 10-12m il fondale presenta ampie zone
rocciose con articolate formazioni organogene e Posidonia. Alla profondità di 18-20m il fondale è
caratterizzato prevalentemente da “matte” morta e vari affioramenti rocciosi; sono presenti rade
macchie e fasci isolati di Posidonia.
Nel tratto di litorale che si estende tra il fiume Mignone e Civitavecchia, il fondale è di natura
prevalentemente rocciosa con sacche di sabbia. La Posidonia oceanica è sempre presente con
macchie più o meno grandi, sia nei catini di sabbia che sulla roccia (Ardizzone e Belluscio, 1996).
In particolare, nella zona delimitata a nord dalla località Bagni di Sant’Agostino e a sud da Torre
Valdaliga, la fanerogama è presente con maggiori densità su sabbia rispetto a quella insediata su
roccia.
In prossimità dell’approdo di Torre Valdaliga, la Posidonia oceanica è insediata su un substrato
roccioso. Il limite superiore è situato attorno ai 2m di profondità e risulta fortemente influenzato
dalla natura rocciosa del substrato; il limite inferiore si presenta anch’esso molto irregolare ed è
compreso tra 12 e 14m di profondità (ICRAM, 1995).
CIVITAVECCHIA SUD – TORVAIANICA
I dati sulla distribuzione delle fanerogame marine nel tratto di costa compreso tra Civitavecchia e
Fiumicino sono forniti principalmente da SNAM Progetti (1991), dall’Università “La Sapienza” di
Roma per conto della Regione Lazio (Ardizzone e Belluscio, 1996), da Diviacco et al. (1999a), da
Virno et al. (2001), da Diviacco et al. (2001).
Nel tratto di costa a sud di Civitavecchia fino Capo Linaro il fondale si presenta roccioso, con ampi
canali di sabbia. Macchie di Posidonia, più o meno grandi, sono evidenti sia nei catini di sabbia che
sulla roccia. La prateria che si estende dal molo di levante del porto di Civitavecchia a Torre del
Marangone si presenta in macchie sia su sabbia che su roccia. Il limite superiore coincide con la
linea di costa, mentre quello inferiore raggiunge i 20m. Un’altra prateria, che si estende tra 10 e
20m nella zona delle secche dinanzi Capo Linaro, è impiantata su roccia con l’eccezione di piccole
macchie su fondi mobili confinanti.
Nella zona tra Santa Marinella e Santa Severa si osserva Posidonia su sabbia, prevalentemente in
fasci isolati, “matte” morta e ampi cantini di sabbia.
Nei pressi della località dei Grottini (S. Severa), il fondale è prevalentemente roccioso con
alternanza di ampi canali e catini di sabbia. Fino a 7-8m di profondità sono presenti radi fasci di
Posidonia su roccia e chiazze di “matte” morta. Più a largo diviene predominante la “matte” morta,
63
ICRAM
con ampi catini di sabbia. Sono presenti piccole macchie sparse di Posidonia e basse formazioni
rocciose. La fanerogama diventa sempre più rada con l’aumentare della profondità.
Proseguendo verso sud si trovano le secche di Macchia Tonda, formazioni rocciose di origine
organogena che si sviluppano dai primi metri di profondità fino a raggiungere i 20m. Ad una
profondità di 7-8m, sia sulla roccia che nei canali di sabbia, è presente Posidonia rada. Oltre i 10m
si rinvengono, assieme alla roccia, ampi tratti di “matte” morta con radi fasci di Posidonia. La
“matte" morta risulta dominante alla profondità di circa 14m ed i fasci di Posidonia diventano
sempre più radi con l’aumentare della profondità.
A nord di Ladispoli, macchie di Posidonia si trovano sulle secche di Torre Flavia. Queste
formazioni appaiono articolate, con roccia bassa di origine organogena e canali di sabbia. Macchie
di Posidonia, piccole e rade, sono presenti nei catini di sabbia che si intervallano alle formazioni
rocciose.
Nei fondali più meridionali la fanerogama risulta assente.
TORVAIANICA – CIRCEO
Informazioni relative alla distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica e in questo tratto di
litorale si reperiscono dettagliatamente nei lavori di SNAM Progetti (1991), Ardizzone e Belluscio
(1996), Spada et al. (2001), Diviacco et al. (2001).
L’unica area in tutto il Lazio centrale dove è presente Posidonia è in prossimità delle secche di Tor
Paterno. Tali secche, situate davanti la località di Torvaianica, sono costituite da alcune formazioni
rocciose che si estendono fino a 4 miglia dalla costa. Sulle formazioni rocciose più costiere, ad una
profondità di circa 10m, non si rinviene Posidonia, mentre su quelle più esterne, ad una profondità
compresa tra 18 e 40m, si trovano alcune zone ricoperte dalla fanerogama.
Le indagini condotte dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto del Ministero della Marina
Mercantile (1993) sui fondali della secca evidenziano nella parte più superficiale, fino alla
profondità di 30m, la presenza di macchie di Posidonia intervallate a formazioni rocciose più o
meno articolate e a chiazze di “matte” morta. E’ una prateria che appare quasi ovunque in
regressione.
Uno studio recente (Bataloni, 2000) eseguito sulla secca di Tor Paterno conferma la presenza di un
mosaico di Posidonia oceanica su fondo duro e mobile e su “matte”, di fondi rocciosi con
coralligeno, spesso infangato, e della biocenosi del coralligeno - facies a Paramunicea clavata.
Nel tratto di costa compreso tra Torre Astura ed i laghi pontini è presente una prateria di Posidonia
64
ICRAM
divisa in due parti da un’ampia radura sabbiosa situata davanti la località di Lido di Foce Verde. Tra
Torre Astura e Capo Portiere, la prateria di Posidonia su “matte” si presenta piuttosto compatta alla
profondità di 15m, meno compatta per la presenza di ampie zone di erosione intorno ai 20m, e a
chiazze fino a 32m di profondità. Da Capo Portiere fino al lago di Caprolace fino ai 16-18m di
profondità, si trova una prateria di P. oceanica a macchie sparse e con maggiori densità fino a circa
30m.
La fanerogama è assente tra la foce del lago Caprolace ed il promontorio del Circeo, dove invece è
presente Cymodocea nodosa. Ardizzone e Belluscio (1996), Spada et al. (2001) e Diviacco et al.
(2001) segnalano tra le Grottacce e Torre Astura piccole chiazze di Cymodocea nodosa, la cui
presenza diviene più importante nella radura che separa i due tratti di prateria di Posidonia e davanti
i laghi costieri, ad una profondità compresa tra 10 e 20m. Un altro prato di Cymodocea nodosa,
caratterizzato da un notevole numero di radure sabbiose al suo interno, si estende dal lago di
Caprolace fino al Circeo tra 7 e 14m di profondità. La definizione di “prato” in questo caso può
essere impropria dato che si tratta in realtà di una serie di cespugli di Cymodocea.
CIRCEO – GAETA
Una serie di indagini sulla distribuzione delle fanerogame marine presenti nell’area compresa tra il
promontorio del Circeo e Gaeta sono state condotte da SNAM Progetti (1991), dall’Università “La
Sapienza” di Roma (Ardizzone e Belluscio, 1996), da Diviacco et al. (1999b), da Diviacco et al.
(2001), da Spada (1996) e da Spada et al. (2001).
Nel tratto di litorale che va dal promontorio del Circeo fino a Terracina si insedia una estesa prateria
di Posidonia oceanica su sabbia o in fasci isolati e “matte” morta, il cui margine inferiore è situato
a circa 22-24m di profondità. La prateria mostra un’area di maggior densità (più di 150 fasci/mq)
nelle acque prospicienti il promontorio del Circeo, la foce del fiume Sisto e tra Terracina e Torre
Canneto. Queste tre aree sono circondate da zone di Posidonia che presentano modesti valori di
densità, equivalenti ad una condizione di “semi-prateria”. La maggior parte dell’area è occupata da
una prateria molto rarefatta e con ampie zone di “matte” morta. Tra Terracina e la foce del lago
Lungo è presente una prateria, prevalentemente su “matte”, caratterizzata da una zona centrale
piuttosto estesa. Due propaggini più degradate si estendono sia verso ponente che levante,
riducendosi in prossimità del lago Lungo (densità inferiori ai 50 fasci mq). In questa zona si
osservano ampie zone di “matte” morta ed è netta la regressione verso terra del margine inferiore
che si trova tra i 20 e 10m. Più a sud di lago Lungo la Posidonia oceanica risulta assente.
65
ICRAM
Nel golfo di Gaeta non è presente Posidonia oceanica (Zurlini e Bedulli, 1983).
Per quanto riguarda la fanerogama marina Cymodocea nodosa, Ardizzone e Belluscio (1996) e
Diviacco et al. (2001) segnalano, tra Rio Torto e Torre Olevola, un prato insediato su una conca
sabbiosa che in passato doveva ospitare un tratto di prateria di Posidonia. Tale zona, dai margini
irregolari, possiede un limite superiore frammentato su sabbia, con chiazze sparse.
Prati di C. nodosa sono presenti ad una profondità compresa tra 5 e 20m nel tratto di costa
compreso tra Terracina e Sperlonga, tra Sperlonga e Gaeta e davanti alla località di Scauri. Il prato
di Cymodocea rilevato a Foce Sisto si distribuisce lungo il limite superiore della prateria di
Posidonia, presentando un limite superiore composto di ciuffi sparsi che aumentano verso riva. Tra
Porto Badino e Terracina sono presenti due piccoli prati di Cymodocea che presentano limiti molto
regolari. Nel tratto di costa compreso tra il porto di Terracina e Torre Truglia (Sperlonga) è presente
un prato di Cymodocea di maggior ampiezza, che segue nel suo limite inferiore la sottostante
prateria di Posidonia. Un altro prato di Cymodocea, che ha inizio subito dopo Sperlonga, mostra
numerose strozzature e due interruzioni, una a ridosso di Torre Sant’Agostino e l’altra poco prima
di Torre Scissura. Esso presenta molte radure sabbiose ed il ricoprimento, inizialmente alto, tende a
diminuire con l’aumentare della sabbia. In prossimità della località di Scauri si trova una ridotta
area a Cymodocea situata lungo la batimetria dei 10m, costituita da radure sabbiose e con limiti
irregolari. Numerose altre chiazze di questa fanerogama si rinvengono fino al fiume Garigliano; in
particolare quella situata tra Torre Giano e Torre del Fico, più grande delle altre, che inizia ad una
profondità di 12 m e che un tempo doveva far parte dell’adiacente area di prateria.
ISOLE PONTINE
Tra gli studi sulla distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica attorno alle Isole Ponziane
segnaliamo quelli condotte dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio
(Ardizzone e Belluscio, 1996).
L’isola di Ponza presenta una prateria di Posidonia che la circonda completamente, tranne la zona
antistante Cala Chiaia di Luna. I fondali dell’isola nei versanti orientale, occidentale e nord
occidentale, si presentano piuttosto ripidi, con profondità elevate a breve distanza dalla costa:
questo giustifica l’estensione limitata delle praterie. Lungo il margine inferiore delle praterie,
situato a circa 38-40m di profondità, si rinviene una fascia di “matte” morta. Ampie aree di “matte”
morta si osservano nei pressi della località “il Frontone”. La Posidonia si insedia su roccia intorno
66
ICRAM
agli scogli delle Formiche, intorno a Punta della Madonna, Punta bianca e anche lungo il versante
nord occidentale dell’isola. Nelle altre aree la fanerogama è presente su sabbia o “matte”.
Anche l’isola di Palmarola presenta una prateria che la circonda quasi totalmente. Le praterie più
estese si rinvengono lungo il versante meridionale fino alla profondità di 32m. Altre zone ampie con
Posidonia si osservano nei pressi di Monte tramontana e Punta Grottelle. Praterie su roccia si
sviluppano lungo il versante sud occidentale (secca di Mezzogiorno) e nord occidentale dell’isola
(Punta Tramontana). Inoltre, sono presenti piccole praterie sia su sabbia o “matte” che su roccia
lungo i fondali del versante orientale.
L’Isola di Zannone è quasi completamente circondata da una fascia di Posidonia; il suo limite
inferiore è collocato intorno ai 37-38 m di profondità e “matte “morta si rinviene fino a circa 40m.
Entrambe le isole di Ventotene e S. Stefano hanno praterie di Posidonia di estensione ridotta, a
causa dei fondali estremamente ripidi. A Ventotene, Posidonia è presente lungo tutto il versante sud
occidentale insediata su roccia fino a circa 16m di profondità e su sabbia o “matte”fino a 36-37m. I
fondali del versante settentrionale dell’isola mostrano una ampia zona con Posidonia sia su sabbia o
“matte” che su roccia. Posidonia prevalentemente su roccia si osserva lungo il versante
meridionale. L’isola di S. Stefano presenta praterie su roccia di ridotte estensioni. I margini inferiori
delle praterie descritte in ambedue le isole possono raggiungere i 40-41m di profondità.
67
ICRAM
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72
ICRAM
4. POPOLAMENTO ITTICO
Introduzione
In questo capitolo si riportano le informazioni presenti in letteratura relative al popolamento ittico
demersale della piattaforma continentale laziale.
Negli studi di impatto ambientale in ambiente marino è importante studiare tali popolamenti a causa
dello stretto contatto che contraggono con il fondo e pertanto risultano più direttamente interessati
da eventuali modificazioni dell’ambiente e, in particolare, da attività di movimentazione dei fondali
causate dall’estrazione di sabbie ai fini di ripascimento. I dati relativi alla fauna ittica pelagica sono
stati pertanto tralasciati dal presente studio.
4.1 Popolamento ittico demersale
Le principali informazioni sul popolamento demersale della piattaforma continentale laziale, tra 0 e
150 m di profondità, provengono essenzialmente dai dati raccolti durante campagne sperimentali di
pesca a strascico, realizzate dal Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università di
Roma “La Sapienza”. Tali campagne sono state svolte nell’ambito di due progetti di ricerca, uno
nazionale e l’altro internazionale, denominati rispettivamente Gru.N.D. (Gruppo Nazionale
Demersali) e MedITSIT (Mediterranean International Trawl Survey). Il primo, avviato nel 1985
prevede campagne di pesca sperimentali nella stagione autunnale, il secondo iniziato nel 1994 si
svolge nella stagione primaverile.
Nella tabella 4.1.1 vengono elencate le specie demersali caratteristiche della piattaforma laziale
rinvenute nelle campagne Gru.N.D. e MedITSIT; i dati si riferiscono al triennio 1996-1998.
Sono state censite in tutto 13 specie di pesci cartilaginei, 89 di pesci ossei, 18 cefalopodi e 18
crostacei, per un totale di 138 specie.
73
ICRAM
Tabella 4.1.1 – Elenco delle specie rinvenute sulla piattaforma continentale laziale durante le
campagne di pesca a strascico sperimentali (progetto GRUND e MEDITSIT), con indicazione
dell’intervallo batimetrico (metri) in cui sono presenti. I dati si riferiscono al triennio 1996-98.
MEDITS
GRUND
prof. min. prof.max prof. min. prof.max
16
>150
15
>150
36
>150
52
>150
31
105
35
>150
22
>150
39
>150
95
>150
98
>150
16
128
15
>150
47
47
16
147
15
>150
22
>150
52
>150
102
>150
46
>150
75
>150
30
>150
45
>150
24
41
105
>150
93
>150
31
>150
65
>150
49
49
49
49
104
104
140
>150
22
>150
53
>150
MEDITS
GRUND
prof. min. prof.max prof. min. prof.max
30
95
98
>150
95
>150
115
>150
16
105
142
>150
16
16
16
>150
51
>150
95
>150
139
>150
105
106
16
105
18
>150
81
>150
38
38
79
>150
59
>150
30
82
119
>150
15
15
22
65
36
65
95
>150
95
>150
73
>150
16
104
15
>150
MEDITS
GRUND
prof.min prof.max prof.min prof.max
30
95
31
38
16
16
15
106
89
105
68
>150
80
>150
81
>150
16
>150
39
39
Cefalopodi
Alloteuthis media (Linnaeus, 1758)
Eledone cirrhosa (Lamarck, 1798)
Eledone moschata (Lamarck, 1798)
Illex coindetii (Verany, 1839)
Loligo forbesi Steenstrup, 1856
Loligo vulgaris Lamarck, 1798
Octopus macropus Risso, 1826
Octopus vulgaris Cuvier, 1797
Rondeletiola minor Naef, 1912
Rossia macrosoma (Delle Chiaje, 1830)
Scaeurgus unicirrhus (Orbigny, 1840)
Sepia elegans Blainville, 1827
Sepia officinalis Linnaeus, 1758
Sepia orbignyana Ferussac, 1826
Sepietta oweniana (Pfeffer, 1908)
Sepiola robusta Naef, 1912
Sepiola rondeleti Steenstrup, 1856
Todaropsis eblanae (Ball, 1841)
Crostacei
Alpheus glaber (Olivi, 1792)
Chlorotochus crassicornis (Costa, 1871)
Goneplax rhomboides (Linnaeus, 1758)
Liocarcinus vernalis (Risso, 1827)
Macropipus depurator (Linnaeus, 1758)
Macropipus tuberculatus (Roux, 1830)
Maja squinado (Herbst, 1788)
Medorippe lanata (Linnaeus, 1767)
Monodaeus couchii (Couch, 1851)
Pagurus prideaux Leach, 1815
Parapenaeus longirostris (Lucas, 1846)
Partenope macrocheles (Herbst, 1790)
Penaeus kerathurus (Forsskål, 1775)
Pontocaris cataphractus (Olivi,1792)
Pontocaris lacazei (Gourret,1887)
Processa mediterranea (Parisi, 1915)
Solenocera membranacea (Risso, 1816)
Squilla mantis (Linnaeus, 1758)
Teleostei
Alosa fallax (Lacepède, 1803)
Aphia minuta mediterranea (De Buen, 1931)
Antonogadus megalokynodon (Kolombatovic, 1894)
Argentina sphyraena Linnaeus, 1758
Arnoglossus laterna (Walbaum, 1792)
74
ICRAM
MEDITS
prof.min prof.max
105
>150
38
45
90
>150
38
85
90
120
22
90
82
>150
80
>150
16
31
95
>150
22
120
30
131
30
>150
16
>150
16
95
16
79
30
31
34
150
16
>150
105
>150
117
120
22
45
128
131
94
94
80
>150
79
>150
147
>150
16
>150
125
>150
45
>150
31
85
15
15
117
128
80
108
105
>150
22
>150
65
65
22
105
22
>150
16
>150
-
Teleostei
Arnoglossus rueppeli (Cocco, 1844)
Arnoglossus thori Kyle, 1913
Aspitrigla cuculus (Linnaeus, 1758)
Aspitrigla obscura (Linnaeus, 1764)
Blennius ocellaris (Linnaeus, 1758)
Boops boops (Linnaeus, 1758)
Bothus podas podas (Delaroche, 1809)
Callanthias ruber (Rafinesque, 1810)
Callionymus maculatus Rafinesque Schmaltz, 1809
Callionymus phaeton (Gunter, 1861)
Callionymus risso Lesuer, 1814
Capros aper Linnaeus, 1758
Centracanthus cirrus Rafinesque, 1810
Cepola macrophthalma (Linnaeus, 1758)
Citharus linguatula (Linnaeus, 1758)
Conger conger (Linnaeus, 1758)
Deltentosteus quadrimaculatus (Valenciennes, 1837)
Dentex dentex (Linnaeus, 1758)
Dicentrarchus labrax (Linnaeus, 1758)
Diplodus annularis (Linnaeus, 1758)
Diplodus puntazzo (Cetti, 1777)
Diplodus vulgaris (E. Geoffrey St.-Hilaire, 1817)
Echelus myrus (Linnaeus, 1758)
Engraulis encrasicolus (Linnaeus, 1758)
Eutrigla gurnardus (Linnaeus, 1758)
Glossanodon leioglossus (Valenciennes, 1848)
Gnathophis mystax (Delaroche, 1809)
Gobius niger jozo Linnaeus, 1758
Helicolenus dactylopterus (Delaroche, 1809)
Hippocampus hippocampus (Linnaeus, 1758)
Lepidopus caudatus (Euphrasen, 1788)
Lepidorhombus boscii (Risso, 1810)
Lepidorhombus whiffiagonis (Walbaum, 1792)
Lepidotrigla cavillone (Lacepède, 1801)
Lepidotrigla dieuzeidei Audouin in Blanc & Hureau, 1973
Lesueurigobius friesii (Malm, 1874)
Lesueurigobius suerii (Risso, 1810)
Lichia amia (Linnaeus, 1758)
Lithognathus mormyrus (Linnaeus, 1758)
Liza aurata (Risso, 1810)
Lophius budegassa Spinola, 1807
Lophius piscatorius Linnaeus, 1758
Macroramphosus scolopax (Linnaeus, 1758)
Merluccius merluccius (Linnaeus, 1758)
Microchirus ocellatus (Linnaeus, 1758)
Microchirus variegatus (Donovan, 1808)
Mola mola (Linnaeus, 1758)
Monochirus hispidus Rafinesque, 1814
Mullus barbatus Linnaeus, 1758
Mullus surmuletus Linnaeus, 1758
Notolepis rissoi (Bonaparte, 1840)
75
GRUND
prof.min prof.max
33
>150
71
>150
31
>150
32
122
93
118
19
>150
21
21
142
142
75
>150
112
114
120
>150
50
120
35
>150
35
>150
21
>150
68
111
20
31
40
40
15
56
29
34
16
16
27
97
25
132
137
155
134
>150
107
137
29
>150
137
>150
94
94
94
>150
117
>150
164
>150
33
>150
131
>150
47
>150
65
65
15
15
15
17
20
203
107
>150
133
>150
112
>150
28
>150
38
>150
18
>150
39
40
15
>150
27
>150
15
15
ICRAM
Pagellus acarne (Risso, 1826)
Pagellus bogaraveo (Brunnich, 1768)
Pagellus erythrinus (Linnaeus, 1758)
Phycis blennoides (Brunnich, 1768)
Sardina pilchardus (Walbaum, 1792)
Sardinella aurita Valenciennes, 1847
Sarpa salpa (Linnaeus, 1758)
Scomber scombrus Linnaeus, 1758
Scophthalmus rhombus (Linnaeus, 1758)
Scorpaena elongata Cadenat, 1943
Scorpaena notata Rafinesque, 1810
Scorpaena scrofa Linnaeus, 1758
Seriola dumerilii (Risso, 1810)
Serranus cabrilla (Linnaeus, 1758)
Serranus hepatus (Linnaeus, 1766)
Solea vulgaris Quensel, 1806
Sphyraena sphyraena (Linnaeus, 1758)
Spicara flexuosa Rafinesque, 1810
Spicara maena (Linnaeus, 1758)
Spicara smaris (Linnaeus, 1758)
Symphurus nigrescens Rafinesque, 1810
Synodus saurus (Linnaeus, 1758)
Trachinus draco Linnaeus, 1758
Trachurus mediterraneus (Steindachner, 1863)
Trachurus picturatus (Bowdich, 1825)
Trachurus trachurus (Linnaeus, 1758)
Trigla lucerna Linnaeus, 1758
Trigla lyra Linnaeus, 1758
Trigloporus lastoviza (Bonnaterre, 1788)
Trisopterus minutus capelanus (Lacepède, 1800)
Umbrina cirrhosa (Linnaeus, 1758)
Uranoscopus scaber Linnaeus, 1758
Zeus faber Linnaeus, 1758
Selaci
16
>150
119
>150
16
>150
95
>150
16
>150
16
79
30
31
16
128
30
36
120
120
22
65
89
94
30
131
16
131
34
36
16
144
104
104
16
>150
36
131
34
82
22
83
16
>150
16
>150
16
45
151
>150
22
79
45
>150
38
95
16
>150
MEDITS
prof.min prof.max
45
46
80
82
16
105
150
>150
38
38
150
150
Dasyatis violacea Bonaparte, 1832
Mobula mobular (Bonnaterre, 1788)
Mustelus mustelus (Linnaeus, 1758)
Myliobatis aquila (Linnaeus, 1758)
Oxynotus centrina (Linnaeus, 1758)
Raja asterias Delaroche, 1809
Raja clavata Linnaeus, 1758
Raja miraletus Linnaeus, 1758
Raja montagui Fowler, 1910
Scyliorhinus canicula (Linnaeus, 1758)
Scyliorhinus stellaris (Linnaeus, 1758)
Torpedo nobiliana Bonaparte, 1835
Torpedo torpedo (Linnaeus, 1758)
28
109
87
>150
15
143
93
>150
24
115
25
36
28
>150
27
40
40
>150
89
94
26
38
55
128
50
>150
23
71
25
68
16
113
27
59
40
143
95
106
30
106
16
>150
99
>150
30
>150
17
>150
116
>150
55
133
60
>150
15
15
36
100
53
>150
GRUND
prof.min prof.max
14
14
15
15
18
>150
43
>150
95
>150
142
142
108
>150
128
>150
84
>150
47
>150
15
15
Dai dati a disposizione sul popolamento demersale della piattaforma laziale, il nasello (Merluccius
merluccius) risulta la specie commerciale più abbondante a partire dai 50m di profondità, mentre la
76
ICRAM
triglia di fango (Mullus barbatus) e il polpo (Octopus vulgaris) mostrano rendimenti maggiori tra i
10 e i 50m. La cattura del nasello, ed ancor più della triglia di fango, è concentrata sui giovanili ed è
fortemente condizionata dall’intensità del reclutamento16. Tra le altre specie maggiormente catturate
vi è il fragolino (Pagellus erythtrinus) (rendimento massimo 2.8 kg/h), il potassolo (Micromesistius
potassou), la musdea (Phycis blennoides), il moscardino bianco (Eledone cirrhosa) e il gambero
rosa (Parapenaeus longirostris) (Ardizzone et al., 1998c).
I rendimenti orari medi (kg/h) dei primi tre “strati batimetrici”, relativi alla piattaforma, sono
riportati nella tabella 4.1.2 (Ardizzone et al., 1998c).
Tabella 4.1.2 - Rendimenti orari medi (kg/h)
relativi a tre fasce batimetriche (Ardizzone et
al., 1998)
Strato batimetrico
Anno
0-50
51-100
101-200
1985
20.8±8.5
13.7±1.9
24.9±18.7
1986
31.7±17.2
14.6±4.3
45.4±40.2
1987
15.1±6.6
10.3±1.8
32.1±17.2
1990
16.28±14.0
13.2±3.7
1991
37.1±18.1
16.1±6.0
1992
28.3±7.4
43.2±30.1
1993
9.9±3.3
16.5±7.8
1994
15.3±9.3
35.9±47.2
34.9±16.3
1995
25.0±20.1
32.7±16.7
21.6±7.5
1996
49.5±32.3
32.5±7.2
38.5±17.7
1997
56.8±54.6
38.3±18.9
29.7±22.1
In un recente lavoro di Colloca et al. (2001; 2002) viene analizzata in dettaglio la struttura e la
distribuzione nello spazio dei popolamenti demersali del Lazio. L’analisi dei dati, relativi al 19971998, evidenzia la presenza sulla piattaforma laziale, di tre gruppi faunistici con caratteristiche
distinte: il primo localizzato nella fascia compresa tra 0 e 50m di profondità, il secondo
caratteristico del tratto di piattaforma compreso i 50 e 120m circa e il terzo localizzato oltre i 120m
16
Il reclutamento è generalmente definito come l’ingresso di una nuova generazione nella popolazione oggetto di pesca.
77
ICRAM
di profondità, costituito dalle specie che vivono al confine tra la piattaforma continentale e la
scarpata.
Il popolamento presente nella fascia più prossima alla costa è caratterizzato da concentrazioni
elevate di giovanili di pesci tipici della piattaforma, in particolare la triglia di fango (M. barbatus) e
il pagello (Pagellus acarne). La triglia di fango è la specie maggiormente caratterizzante la
porzione interna della piattaforma e costituisce circa il 60% dell’abbondanza totale. Altre specie
caratteristiche di questo popolamento sono il fragolino Pagellus erythrinus, il sugherello bianco
Trachurus mediterraneus, il nasello M. merluccius, la gallinella Trigla lucerna, la menola Spicara
flexuosa, lo sparaglione Diplodus annularis e il calamaro Loligo vulgaris. Si tratta di specie che
vivono su fondali sabbiosi misti a fango e detrito caratterizzati dalla presenza delle biocenosi delle
Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC), dei fondi misti sabbioso-fangosi (SFBC e Fanghi Terrigeni
Costieri - VTC) e del detritico costiero (DC) (Pérès e Picard, 1964).
Il secondo gruppo, localizzato nel tratto di mare che va dai 50 ai 120m di profondità, è costituito da
specie che prediligono fondi fangosi caratterizzati dalle biocenosi del VTC e del Detritico Infangato
(DE); la specie più abbondante è il nasello insieme alla menola e al gambero rosa (Parapenaeus
longirostris). Anche il cavillone Lepidotrigla cavillone e la seppia elegante Sepia elegans sono
costituenti importanti di questo gruppo. Altre specie che contribuiscono in modo significativo in
termini di abbondanza sono la suacia Arnoglossus laterna e il serrano bruno Serranus hepatus.
Il terzo gruppo, infine, è costituito da specie che raggiungono concentrazioni significative sul
margine della piattaforma, caratterizzato da sedimenti detritici infangati, colonizzati dal crinoide
Leptometra phalangium (biocenosi del Detritico del Largo - facies a Leptometra phalangium), il
cosiddetto “feniccio”. Questa specie è distribuita tra 120 e 180m di profondità, dove raggiunge
elevati valori in termini di biomassa e abbondanza numerica. E’ stato osservato che in
corrispondenza della facies a Leptometra phalangium vivono ben 82 specie demersali. Le specie
tipiche di questo raggruppamento sono il nasello M. merluccius, il merluzzetto Trisopterus minutus
capelanus, il pesce trombetta Macroramphosus scolopax e l’argentina Argenthina sphyraena tra i
pesci, Illex coindetii e P. longirostris rispettivamente tra i cefalopodi e i crostacei.
In generale i valori più bassi di biodiversità sono stati osservati, sulla piattaforma, nel popolamento
più costiero: ciò è dovuto alla presenza di ampie aree di nursery di M. barbatus e P. acarne, tra la
fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. La diversità biologica tende ad aumentare con l’incremento
della profondità: infatti, nella porzione più profonda della piattaforma è presente un
raggruppamento maggiormente diversificato e composto sia da specie tipiche della piattaforma sia
da specie euribate (ad esempio P. longirostris, Macropipus depurator, L. cavillone, etc.), che si
78
ICRAM
estendono sino alla parte superiore della scarpata.
Tale lavoro completa e conferma uno studio comparato sugli assemblaggi di tre aree del Tirreno
centro-settentrionale (dalla foce del fiume Magra, in Liguria, fino alla foce del fiume Garigliano nel
Lazio) di Biagi et al. (1998).
Diversi studi, tra Capo Circeo e Terracina (Ardizzone, 1982; Ardizzone e Pelusi, 1983; ECOMAR,
1981), sono stati condotti sulla pesca a strascico entro le tre miglia dalla costa, zona in cui è vietata
(legge 963 del 14.7.65, art. 111), per caratterizzare il popolamento demersale presente e valutare i
danni ad esso arrecati da questa attività illegale.
La pesca a strascico entro le tre miglia risulta particolarmente dannosa poiché viene condotta a
livelli di sovrasfruttamento degli stocks costieri, colpisce gli stadi giovanili di molte specie
(Ardizzone, 1982), e altera, spesso irreversibilmente, biocenosi bentoniche, quali la prateria di
Posidonia, di notevolissima importanza nell’equilibrio biologico della fascia costiera (Ardizzone e
Migliuolo, 1982). L’area considerata, ad 1 miglio dalla costa, tra 8m e 12m di profondità, risulta
caratterizzata dalla presenza di specie variabili stagionalmente in funzione di migrazioni genetiche;
la triglia di fango è presente allo stadio giovanile (spesso per il 100%) nel periodo estivo-autunnale;
cefalopodi quali il calamaro (L. vulgaris), la seppia (S. officinalis) e il polpo (O. vulgaris) sono
presenti principalmente dalla fine dell’inverno alla tarda primavera; il rombo Bothus podas è invece
presente tutto l’anno. A due miglia dalla costa, all’interno della prateria di Posidonia oceanica tra
12 e 25m di profondità, la composizione delle catture è usualmente monotona e dominata dal polpo
(fino a 12.5 Kg/ora). L’interesse dei pescatori in quest’area è comunque legato alla possibilità di
cattura di specie pregiate quali la marmora, l’orata, il pagro, diverse specie di saraghi (Diplodus
sargus, D. vulgaris, D. puntazzo), l’aragosta (Palinurus elephas) e altre specie un tempo assai
abbondanti ed ormai occasionali a causa dell’intenso sfruttamento e delle modificazioni delle
biocenosi di fondo. A tre miglia, su un fondale di 50 m, le catture risultano più eterogenee: le specie
regolarmente presenti sono la triglia di fango, la razza (Raja asterias), il fragolino (P. erythrynus), il
moscardino rosso e il moscardino bianco (Eledone moscata e E. cirrhosa), il calamaro (L vulgaris)
e il nasello (M. merluccius). La frazione giovanile è considerevole per gran parte delle specie.
79
ICRAM
4.2 Aree di nursery e rendimenti delle specie demersali di maggior interesse commerciale
In questo paragrafo vengono riportati i dati relativi alle aree di nursery (aree dove si concentrano i
giovanili) e ai rendimenti delle specie demersali di maggior interesse commerciale. Queste
informazioni risultano particolarmente utili nel momento in cui si deve valutare l’eventuale disturbo
dovuto a movimentazione del fondale in una determinata area.
I dati sono stati tratti da Ardizzone e Corsi (1997), Ardizzone et al. (1999) e Relini et al. (1998).
Al fine di rendere le informazioni più agevolmente utilizzabili e consultabili si è suddivisa l’intera
area in quattro sub-aree.
FOSSO DEL CHIARONE – CIVITAVECCHIA SUD
Nursery:
Nasello (Merluccius merluccius)
E’ presente un’area di nursery primaverile (Merluccius merluccius) localizzata tra i 100m e i 400m
di profondità. In autunno l’area di nursery risulta essere maggiormente estesa sia verso profondità
inferiori (< 100m), sia verso profondità maggiori.
Triglia di fango (Mullus barbatus)
E’ stata rilevata un’area di nursery autunnale che comprende il tratto costiero che va da Graticciara
a Riva dei Tarquini e che si estende fino a circa 100m di profondità.
Musdea (Phycis blennoides)
Presenta un’area di nursery primaverile che va dal largo dell’Argentario fino a Tarquinia ed è estesa
fino ai 180m di profondità.
Moscardino (Eledone cirrhosa)
In estate si osservano due aree di nursery: la prima nelle acque antistanti Riva dei Tarquini tra gli 80
e i 180m di profondità circa; la seconda tra le Saline di Tarquinia e Torre Marangone (a sud di
Civitavecchia) tra 50 e 200m di profondità. Una nursery autunnale è presente al largo di Graticciata,
tra 50 e 120m circa di profondità.
Polpo (Octopus vulgaris)
E’ stata osservata una nursery estiva che comprende il tratto di mare che va dall’Argentario fino al
confine laziale.
Rendimenti:
Nasello (Merluccius merluccius)
80
ICRAM
All’interno di tale area si osserva un graduale incremento nei rendimenti che presentano un valore
massimo (>410 kg/Km2) nella zona centrale, tra i 100 e i 400m di profondità. In estate elevati
rendimenti si riscontrano nelle acque antistanti Civitavecchia.
Triglia di fango (Mullus barbatus)
Rendimenti elevati (>45 kg/h) si osservano lungo tutta la costa compresa tra l’Argentario e
Tarquinia.
Gambero bianco (Parapenaeus longirostris)
Si riscontrano discreti rendimenti (36-56 kg/Km2) nel mare al largo di Tarquinia, tra i 100 e i 200m
di profondità.
Moscardino (Eledone cirrhosa)
Si rilevano elevati rendimenti primaverili (5.50-7.20 kg/h) nella fascia batimetrica compresa tra i 50
e i 200m di profondità.
Polpo (Octopus vulgaris)
Per questa specie si sono rilevati discreti rendimenti lungo tutta la costa fino a 50m di profondità sia
in estate che in autunno.
CIVITAVECCHIA SUD – FIUMICINO
Nursery:
Nasello (Merluccius merluccius)
In autunno è presente una nursery tra i 130 e i 200m di profondità al largo di Ladispoli.
Triglia di fango (Mullus barbatus)
Da S. Marinella a Palidoro, estesa fino alla batimetrica dei 50m, è presente un’area di nursery
autunnale.
Musdea (Phycis blennoides)
Una nursery primaverile è localizzata al largo di S. Severa e si estende da 120 a oltre 200m di
profondità.
Moscardino (Eledone cirrhosa)
In autunno si osserva un’area di nursery da Fregene a Fiumicino tra 50m e 200m di profondità.
Polpo (Octopus vulgaris)
Si osservano due aree di nursery estive: una da S. Marinella a Fregene, dalla costa fino a circa 70m
di profondità; la seconda tra Fregene e Focene tra i 20 e 60m di profondità circa.
81
ICRAM
Rendimenti:
Nasello (Merluccius merluccius)
Elevati rendimenti si osservano in estate.
Triglia di fango (Mullus barbatus)
In tutta l’area questa specie presenta elevati rendimenti (>45 kg/Km2) in estate ed autunno.
Moscardino (Eledone cirrhosa)
Discreti rendimenti (4.10-5.50 kg/h) si riscontrano in primavera tra Civitavecchia e Fregene.
FIUMICINO – CIRCEO
Nursery:
Nasello (Merluccius merluccius)
Sono presenti due aree di nursery primaverili: la prima nel tratto di mare antistante Torvaianica e
Lido dei Pini, estesa tra 70 e più di 200m di profondità, la seconda di fronte ad Anzio tra i 150 e i
250m di profondità. Due vaste nursery autunnali sono inoltre presenti in questa zona: la prima tra
Lido di Ostia e Torvaianica tra i 50m (in prossimità del Lido di Ostia) e i 400m (al largo di
Torvaianica) di profondità, la seconda tra Lido dei Pini e Nettuno tra 170 e 500m.
Musdea (Phycis blennoides)
Questa specie si riproduce oltre il limite della piattaforma. Si osservano in quest’area due nursery
primaverili: la prima oltre la batimetrica dei 200m, nelle acque antistanti il litorale tra Torvaianica e
Torre Astura, la seconda nel tratto di mare al largo delle coste del Lido di Latina.
Rendimenti:
Nasello (Merluccius merluccius)
Rendimenti elevati si osservano in estate al largo di Torvaianica a profondità che vanno da 150m e
a più di 300m.
In tutta l’area e in particolare nella porzione centrale delle aree di nursery si riscontrano alti
rendimenti stagionali.
Potassolo (Micromesistius potassou)
Elevati rendimenti si osservano nel tratto di mare antistante Lido di Ostia intorno ai 300m di
profondità.
Musdea (Phycis blennoides)
Discreti rendimenti si osservano solo a profondità che superano i 200m.
Gambero bianco (Parapenaeus longirostris)
82
ICRAM
Alti rendimenti sono stati osservati al largo del promontorio del Circeo, oltre i 300m di profondità.
Moscardino (Eledone cirrhosa)
Presenta elevati rendimenti in primavera nel tratto di mare al largo di Torvaianica, tra i 100 e i
200m di profondità, e al largo del Circeo, tra 80 e 120m di profondità Le rese autunnali sono meno
consistenti, anche se i valori maggiori si osservano sempre nelle medesime aree.
Polpo (Octopus vulgaris)
Il polpo presenta discreti rendimenti lungo tutta la costa da Fiumicino al Circeo, sia in primavera
che in autunno.
CIRCEO – GAETA
Nursery:
Nasello (Merluccius merluccius)
Sono state rilevate diverse aree di nursery: in primavera al largo del promontorio del Circeo tra le
batimetriche dei 100m e 200m circa; in estate un’ampissima nursery si estende da Sabaudia a
Terracina, nella fascia che si estende a partire dai 60m fino oltre i 500m di profondità, mentre in
autunno ne sono state osservate una tra 130 e 360m tra il Circeo e Porto Badino e una tra 30 e 90m,
al largo del Lido di Fondi.
Musdea (Phycis blennoides)
Si osservano due aree di nursery primaverili localizzate rispettivamente tra 90 e 500m al largo di
Terracina e tra 100 e più di 800m nel tratto di mare esteso da Terracina fino ad oltre il confine con
la Campania.
Gambero bianco (Parapenaeus longirostris)
Si riscontra una piccola nursery primaverile intorno ai 100m di profondità al largo di Gaeta, e
un’altra area di riproduzione si osserva in estate al largo del Circeo, tra 130 e 360m circa di
profondità.
Triglia di fango (Mullus barbatus)
Una piccola zona di riproduzione della triglia di fango si osserva tra Lido di Fondi e Sperlonga,
all’incirca tra i 10m e 40m di profondità.
Moscardino (Eledone cirrhosa)
Sono presenti in quest’area alcune nursery, una osservata in primavera tra i 100 e i 140m di
profondità all’altezza di Terracina e un’altra in estate a profondità maggiori, tra i 130 e i 320m
circa. Infine si osserva un’ampia nursery che si estende dal confine tra il campano-laziale fino
all’isola di Ischia ed è compresa tra le batimetriche dei 50 e dei 500m.
83
ICRAM
Polpo (Octopus vulgaris)
Due ampie aree di nursery ed elevati rendimenti (>20 kg/h) si rilevano in estate, tra il Promontorio
del Circeo e il Lido di Fondi e tra Gaeta e Mondragone, estese dalla costa fino alla profondità di
circa 100m.
Rendimenti:
Polpo (Octopus vulgaris)
I dati relativi all’area in oggetto evidenziano zone ad elevato rendimento solo per il polpo (Octopus
vulgaris). Esse sono localizzate tra il Promontorio del Circeo e il Lido di Fondi e tra Gaeta e
Mondragone e sono estese dalla costa fino alla profondità di circa 100m. I rendiment sono stati
stimati essere superiori ai 20 kg/h.
84
ICRAM
4.3 Attività di pesca
Nelle acque laziali vengono praticate numerose attività di pesca: strascico, reti da posta, ciancioli
per il pesce azzurro, rastrelli e turbosoffianti per i bivalvi. Lo sfruttamento delle risorse è quindi
molto diversificato e complesso (Ardizzone et al., 1998c). Tra tutte le attività sopracitate la pesca a
strascico riveste un ruolo di particolare importanza. Lungo le coste laziali, i fondali da pesca sono
generalmente posti entro le 20 miglia dalla costa (con esclusione dei fondali circostanti le isole
pontine): la pesca a strascico è quindi prevalentemente di tipo costiero e le uscite sono per lo più
giornaliere (Ardizzone, 1985). Nel Lazio vi sono importanti marinerie dedite alla pesca a strascico
(Civitavecchia, Anzio, Terracina, Gaeta e Formia), con un totale di circa 154 motopesca pari a
5.400 tsl. L’attività di pesca lungo la costa laziale risulta essere quindi molto intensa, con uno
Sforzo di pesca tra i più elevati nel Tirreno (Ardizzone, 1985; 1994).
Nel Lazio vi sono tre compartimenti marittimi: Civitavecchia, che comprende gli uffici marittimi di
Ladispoli, S. Marinella e la delegazione di spiaggia di Montalto di Castro; Roma-Fiumicino, con gli
uffici marittimi di Fregene, Torvaianica ed Anzio; Gaeta, con gli uffici marittimi di S. Felice
Circeo, Terracina, Sperlonga, Formia, Gaeta, Ventotene e Ponza e la delegazione di spiaggia di
Scauri.
Il numero di unità da pesca per attrezzo, relativamente ai mezzi che operano nei diversi
compartimenti marittimi viene riassunto nelle tabelle 4.3.1, 4.3.2 e 4.3.3 (dati forniti dalle
Capitanerie di Porto di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta).
Di seguito vengono invece riportati i dati relativi al numero di imbarcazioni censite, alla tipologia di
attività e di attrezzi impiegati suddivisi per compartimento ed ufficio marittimo; i dati sulla flotta
sono aggiornati al 1996 (UNIMAR, 2001a).
Tabella 4.3.1 - N° di imbarcazioni per attrezzo da pesca
nel compartimento marittimo di Civitavecchia (uffici
marittimi di Ladispoli, S. Marinella e delegazione di
spiaggia di Montalto di Castro) (dati aggiornati al
31.08.2000)
Attrezzo da pesca
Strascico
Reti a circuizione e ferrettara
Rete a circuizione e da posta
Rete da posta e palangari
85
N° di imbarcazioni
21
1
1
79
Tot. 102
ICRAM
Tabella 4.3.2 - N° di imbarcazioni per attrezzo da pesca
nel compartimento marittimo di Roma – Fiumicino
(uffici marittimi di Fregene, Torvaianica ed Anzio)
(dati aggiornati al 31.05.2000)
Attrezzo da pesca
Strascico
Reti da circuizione
Draga idraulica
Rastrelli da natante
Attrezzi da posta
N° di imbarcazioni
69
61
21
69
221
Tot. 441
Tabella 4.3.3 - N° di imbarcazioni per attrezzo da pesca nel
compartimento marittimo di Gaeta (dati aggiornati al
31.12.2000)
Uffici marittimi e delegazioni di spiaggia
Gaeta
Formia
Scauri
Terracina
Sperlonga
S. Felice Circeo
Ponza
Ventotene
Attrezzo da pesca
Strascico
Attrezzi da posta e palangari
Altri
Strascico
Attrezzi da posta e palangari
Circuizione
Altri
Attrezzi da posta e palangari
Altri
Strascico
Attrezzi da posta e palangari
Circuizione
Altri
Attrezzi da posta e palangari
Altri
Attrezzi da posta e palangari
Strascico
Circuizione
Attrezzi da posta e palangari
Derivanti
Attrezzi da posta e palangari
86
N° di imbarcazioni
21
34
5
7
36
2
6
22
3
36
24
8
10
7
1
24
2
4
32
8
5
Tot. 297
ICRAM
Compartimento: CIVITAVECCHIA
Numero imbarcazioni censite: 100
- Civitavecchia
Numero imbarcazioni censite: 49
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
48
1
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
6
27
26
27
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
1
1
Volante
0
4
Strascico
22
0
Draga
1
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 259
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 5,40, informazione n.d. in 1caso (2,04%)
- Ladispoli
Numero imbarcazioni censite: 21
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
21
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
8
17
17
18
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
1
Strascico
0
0
Draga
5
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 157
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 8,26, informazione n.d. in 2 casi (9,52%)
87
ICRAM
- Montalto di castro
Numero imbarcazioni censite: 17
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
16
1
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
16
16
17
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
1
Strascico
0
0
Draga
1
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 136
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 8,00, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
- S. Marinella
Numero imbarcazioni censite: 13
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
13
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
2
13
13
13
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
2
Strascico
0
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
1
0
Numero totale attrezzi in licenza: 110
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 8,46, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
88
ICRAM
Compartimento: ROMA
Numero imbarcazioni censite: 304
- Anzio
Numero imbarcazioni censite: 98
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
97
1
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
7
43
43
69
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
1
Sciabica
0
2
Volante
7
20
Strascico
34
0
Draga
7
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
4
1
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 519
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 5,35, informazione n.d. in 1 casi (1,02%)
- Fiumicino
Numero imbarcazioni censite: 76
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
75
1
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
1
14
14
36
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
1
0
Volante
0
9
Strascico
35
0
Draga
10
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
6
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 307
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 4,09, informazione n.d. in 1 casi (1,32%)
89
ICRAM
- Fregene
Numero imbarcazioni censite: 9
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
9
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
2
2
9
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
1
Strascico
0
2
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
5
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 65
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 7,22, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
- Nettuno
Numero imbarcazioni censite: 30
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
29
1
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
6
21
21
26
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
7
Strascico
2
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
2
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 192
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 6,62, informazione n.d. in 1 casi (3,33%)
90
0
ICRAM
- Ostia Lido
Numero imbarcazioni censite: 39
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
39
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
2
11
11
38
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
3
Strascico
2
0
Draga
6
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
17
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 282
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 7,23, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
- Torvaianica
Numero imbarcazioni censite: 52
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
50
2
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
6
21
21
49
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
1
0
Volante
0
0
Strascico
0
0
Draga
12
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
32
1
1
0
Numero totale attrezzi in licenza: 385
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 7,70, informazione n.d. in 2 casi (3,85%)
91
ICRAM
Compartimento: GAETA
Numero imbarcazioni censite: 300
- Formia
Numero imbarcazioni censite: 31
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
31
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
0
0
22
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
1
Sciabica
0
0
Volante
0
0
Strascico
9
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 57
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 1,84, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
- Gaeta
Numero imbarcazioni censite: 67
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
62
5
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
0
8
44
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
2
Sciabica
2
0
Volante
0
0
Strascico
22
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 122
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 1,91, informazione n.d. in 3 casi (4,48%)
92
ICRAM
- Ponza
Numero imbarcazioni censite: 70
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
68
2
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
0
56
64
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
12
Sciabica
1
0
Volante
1
5
Strascico
3
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
20
Numero totale attrezzi in licenza: 247
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 3,58, informazione n.d. in 1caso (1,43%)
- S. Felice Circeo
Numero imbarcazioni censite: 25
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
25
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
0
14
25
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
0
Strascico
0
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
0
0
0
2
Numero totale attrezzi in licenza: 96
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 3,84, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
93
ICRAM
- Sperlonga
Numero imbarcazioni censite: 13
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
12
1
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
1
2
12
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
2
0
Volante
0
2
Strascico
0
0
Draga
0
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
2
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 35
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 2,69, informazione n.d. in 0 casi (0,00%)
- Terracina
Numero imbarcazioni censite: 94
Tipologia dell'attività
Tipo di pesca
Costiera locale
Ravvicinata
94
0
Tipologia degli attrezzi in licenza
Lenze
Palangari derivanti
Palangari fissi
Posta
0
1
25
67
Posta derivante
Ferrettara
Circuizione
Tonnara
0
Sciabica
0
0
Volante
0
3
Strascico
33
0
Draga
1
Rastrello da natante
Traino per molluschi
Arpione/Fiocina
Altri attrezzi
1
0
0
0
Numero totale attrezzi in licenza: 228
Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 2,48, informazione n.d. in 2 casi (2,13%)
94
ICRAM
Piccola pesca artigianale
Nel primo paragrafo si è parlato ampiamente del popolamento ittico demersale e della pesca a
strascico; di seguito vengono riportati alcuni dati provenienti da altri tipi di pesca che vengono
esercitati nel Lazio.
Pesca con rastrelli e turbosoffianti
Tra le diverse attività di pesca del Lazio, quella con turbosoffianti è praticata nel Lazio centrale e
meridionale. In particolare, nella zona di Rio Martino (LT) viene abitualmente praticata la pesca al
cannolicchio (Ensis siliqua minor) dove sono presenti grandi banchi, sfruttati da molti anni
(A.GE.I., 1995). E’ stato stimato che, in questo tratto di mare, il rendimento medio di questa specie
è di 15.3 kg/cala (A.GE.I., 1995). Una discreta risorsa è, inoltre, rappresentata da alcune specie
della fauna associata, ovvero di quegli organismi catturati accidentalmente durante la pesca del
cannolicchio. Tra questi, di particolare pregio, sono la mazzancolla (Penaeus kerathurus), la
canocchia (Squilla mantis), la vongola (Chamalea gallina), due specie di telline (Donax trunculus e
D. semistriatus), il tartufo di mare (Venus verrucosa) e altre specie di crostacei decapodi quali
l’erifia pelosa Eriphia verrucosa e Liocarcinus vernalis, il tipico granchio di sabbia.
Nel compartimento marittimo di Roma (tra Torre Paola e Torre di Foce Verde) è stato stimato che
la densità media del cannolicchio è di 0.97 ind./m2. Nel compartimento marittimo di Gaeta (tra
Torre Paola e la foce del fiume Garigliano, comprese le isole Pontine) la densità media è invece di
1,43 ind./m2 (Mariani, 1999).
Uno studio sulle telline (D. trunculus e D. semistriatus), sui cannolicchi (E. siliqua minor) e sulle
vongole (C. gallina) è stato condotto dall’Istituto di Idrobiologia e Acquacoltura “G. Brunelli”, tra
il 1985 e il 1987. In particolare tale ricerca ha evidenziato, in alcune aree del Lazio meridionale e
più a sud, tra il Garigliano e il Volturno, la presenza di banchi di telline, ovvero aree in cui una
barca può pescare in una giornata un quantitativo di telline sufficiente a giustificare
economicamente la pesca. Tale quantitativo è stimabile, per una barca dotata di rastrello a mano, in
circa 50-60 kg/giorno e, considerando che nell’arco di una giornata l’area esplorata può raggiungere
l’estensione di circa 5.000 m2, la densità minima di telline che ne giustifica lo sfruttamento equivale
a 10 g/m2 (Costa et al., 1989). Assumendo pertanto in 9 telline/m2 il numero minino di telline
necessario per la presenza di un banco si ha che nella zona di mare dalla foce del fiume Volturno a
quella del Garigliano, esistono le condizioni per la presenza di banchi di telline. Osservazioni dirette
hanno fatto ipotizzare, inoltre, una ripresa produttiva per la zona di Torvaianica (RM) e per la zona
di Mondragone (LT), mentre per l’area intorno alla foce del Rio Martino (LT) è stata confermata
95
ICRAM
una scarsa produttività unitamente ad un’elevata taglia delle telline pescate.
Banchi di cannolicchi caratterizzano invece la zona che va da Torre S. Severa a Capo Fusaro. Tra
Torre S. Severa e Tor Caldara, tra Anzio e Capo Circeo, tra Scauri e Capo Fusaro e da Torre Flavia
a Gaeta operano circa 40 turbosoffianti e si ha uno sfruttamento equilibrato della risorsa, come
evidenziato dalla prevalente presenza di individui di taglia 2 (taglia media). Considerando che,
nonostante le possibili oscillazioni, una densità di cannolicchi di circa 10.000 kg/Km2 può
giustificarne lo sfruttamento per la pesca, si evince che nelle aree sopra citate circa 21 Km2 sono
realmente sfruttabili per la pesca dei cannolicchi (Costa et al., 1989). Attualmente il limite di
prelievo del cannolicchio è la taglia degli 8 cm, che risulta in grado di garantire la salvaguardia dei
banchi, inoltre il periodo di fermo, aprile e maggio per il mar Tirreno, è tale da garantire l’intervallo
di tempo necessario all’insediamento dei giovani molluschi.
La realtà descritta in questi studi si riferisce a più di 10 anni fa e appare attualmente modificata da
quanto riferiscono gli addetti alla pesca; non risultano pubblicati dati più recenti.
Pesca con le nasse
Riguardo la pesca con le nasse è stata condotta, tra febbraio 1987 e gennaio 1988, una ricerca
(Belluscio e Ardizzone, 1990) nella zona tra Sabaudia e Sperlonga. Nello studio risulta che le
imbarcazioni (9-10) impiegate nella zona utilizzano ciascuna circa 600-1000 nasse, lasciate in pesca
l’intera giornata. La specie maggiormente catturata è il polpo (O. vulgaris) con rendimenti
giornalieri, per barca e riferiti a 100 nasse, variabili tra 1.3kg nel mese di luglio e 8.5kg in inverno –
primavera. Tra le altre specie catturate vengono citate la polpessa (Octopus macropus), con rese di
circa 4 kg/giorno in ottobre - dicembre, la murena (Muraena helena), il gronco (Conger conger), gli
scorfani (Scorpaena scrofa e S. porcus), i serranidi (Serranus spp.) e i labridi (con prevalenza di
donzelle, Coris julis). Stagionalmente compaiono nelle catture le seppie Sepia elegans e S.
officinalis (<1% del pescato in estate e autunno), giovanili di sparidi (in particolare Diplodus
annularis) e mullidi. Saltuarie le catture di aragoste (Palinurus elephas) e di astici (Homarus
gammarus). Nelle catture effettuate nella zona del Circeo, ove sono presenti substrati duri, si
ritrovano anche specie più pregiate, quali triglie di scoglio (Mullus surmuletus), occhiate (Oblada
melanura) e saraghi (Diplodus spp.).
Piccola pesca costiera
Uno studio di ECOMAR (1980) riporta dati sulla la pesca artigianale, nella zona tra Torre Astura e
Caprolace, effettuata principalmente con tramagli (con lunghezze variabili fino a 2-300m). Le
96
ICRAM
catture sono costituite soprattutto da marmore, aragoste, saraghi, gronchi, scorfani, tordi, ma anche
salpe, orate, spigole, triglie, sogliole, seppie, cefali, occhiate ecc.
Tra Terracina e Torre Viola la pesca artigianale viene effettuata con tramagli, barracuda, palangari,
turbosoffianti, piccoli ciancioli e sciabiche (ECOMAR, 1982).
Nell’area tra Torre Viola e il Garigliano (ECOMAR, 1983) la pesca artigianale (palangari, tramagli,
reti monofilamento per merluzzi ecc.), è concentrata su specie tipiche di substrati rocciosi [saraghi,
corvine (Sciaena umbra), blennidi, gobidi, scorfani (Scorpaena porcus), labridi (Crenilabrus tinca),
occhiate (Oblada melanura), salpe (Boops salpa) ecc.] o di fondali sabbiosi [rombo (B. podas),
sogliole (Solea spp.), triglie (M. barbatus) ecc.]. Stagionalmente la pesca si concentra su alcune
specie: in autunno–primavera tra 8 e 12m di profondità l’attività di pesca con tramagli è concentrata
su seppie, sogliole e canocchie (S. mantis); in inverno–tarda primavera sui 60m di profondità, si
catturano naselli con reti monofilamento; in estate con i tramagli tra 6 e 15m si pesca la
mazzancolla (Penaeus kerathurus) e più al largo il nasello; nella tarda estate la pesca si concentra
sugli stadi giovanili della triglia di fango (con tramagli); in autunno la pesca si incentra nuovamente
sulla seppia. Nei mesi invernali–primaverili vengono inoltre catturati rombi (fino ad 8Kg/giorno per
barca), mugilidi (da 1 a 5Kg/giorno per barca). In estate si pescano rombi (Scophtalmus rombus,
Psetta maxima, Bothus podas), pagelli e sparaglioni; in autunno nelle catture sono presenti
mormore (2-4kg/giorno) e mugilidi (2-4kg/giorno) (ECOMAR, 1983).
A Fregene (Ardizzone e Bombace, 1982) la piccola pesca costiera ha un andamento periodico: da
gennaio ad aprile la pesca predominante è quella di Sepia officinalis su fondali di 8-10m; da aprile –
maggio inizia la pesca della mazzancolla (P. kerathurus) su fondali dai 2 ai 13m e si protrae fino ai
primi di agosto, allorchè viene iniziata la pesca alle sogliole (principalmente Solea vulgaris e S.
impar) su fondali di 8-9m; insieme alle sogliole vengono frequentemente catturati caponi (in
particolare Trigla lucerna e Trigloporus lastoviza) e razze (principalmente Raja asterias);
occasionalmente viene catturato qualche rombo (Scophtalmus rhombus e Psetta maxima). La pesca
dei bivalvi è praticata tutto l’anno ed è caratterizzata principalmente dalla cattura di Donax
trunculus, su fondali da 1 a 3m.
97
ICRAM
4.4 Impianti di acquacoltura e mitilicoltura
Nel Golfo di Gaeta viene svolta da alcune ditte locali una rilevante attività di mitilicoltura con 12
ditte appaltatrici e 317.487m2 di specchi d’acqua dati in concessione. Viene anche svolta attività di
maricoltura con 202.357m2 di specchi d’acqua dati in concessione ad otto ditte (dati C.P. Gaeta
aggiornati al 8.05.02).
Gli impianti di mitilicoltura presenti afferiscono a due tipologie: una di tipo fisso a filari e una di
tipo flottante a monoventia. I vivai di tipo fisso a palafitta, sono situati più a terra, su fondali di 710m di profondità (ECOMAR, 1983).
Un recente censimento delle attività di mitilicoltura su territorio nazionale è stato svolto da
UNIMAR (2001b). Da questa indagine risultano 5 impianti di mitilicoltura attivi, tutti nel golfo di
Gaeta, la superficie in dotazione è di 326.170m2. La tipologia di allevamento in questi impianti è la
long-line o monoventia e la produzione dichiarata per l’allevamento della cozza Mytilus
galloprovincialis è di 14.600 quintali.
Per quel che concerne la piscicoltura nel Lazio risultano attivi 8 impianti in acque salmastre e
marine, ma solo un impianto di tipo intensivo con gabbie a mare con volume complessivo di
57.500m3 (UNIMAR, 2001c).
98
ICRAM
4.5 Popolamento ittico delle barriere artificiali
Studi particolari sono stati condotti sul popolamento ittico delle barriere artificiali di Fregene e
Ponza.
La barriera artificiale di Fregene, rappresenta il primo esperimento di “barriera a fini multipli” nel
Mar Tirreno, realizzata con scopi di protezione dalla pesca a strascico illegalmente svolta
sottocosta, di ripopolamento e di maricoltura (mitilicoltura sommersa in particolare). È situata 8km
a nord della foce del fiume Tevere, a poco meno di 2km dalla costa, di fronte l’abitato di Fregene in
acque eutrofiche. La barriera è costituita da 280 blocchi, assemblati a gruppi di 4-5 a formare delle
piramidi, poste su un fondale tra 12 e 14m. Il popolamento ittico di queste strutture ha subito
un’importante evoluzione durante i 15 anni di studi seguiti alla sua installazione: nel 1997 esso era
composto di circa dieci specie “residenti”, ovvero legate in maniera permanente alla barriera
artificiale. Tra queste un gruppo è costituito da specie bentoniche, strettamente associate al
substrato roccioso su cui si appoggiano e nascondono (Scorpaena notata, Parablennius rouxi, P.
gattoruggine, Apogon imberbis, C. conger, G. mediterraneus, Serranus cabrilla, O. vulgaris, S.
arctus e P.elephas). Un secondo gruppo è costituito da specie che si ritrovano in prossimità dei
substrati duri, ma che non sono direttamente legate ad essi (D. annularis e S. umbra). Un terzo
gruppo infine è costituito da specie più tipicamente pelagiche osservate tra i massi (D. labrax,
Chelon labrosus, Spicara spp., Trachurus spp., S. dumerilii). Infine pescate effettuate con attrezzi
da pesca hanno permesso di catturare specie non censite in immersione, quali la triglia di scoglio, il
merluzzo, l’ombrina (Ombrina cirrosa) e il sarago maggiore (Diplodus sargus) (Ardizzone et al.,
1998a).
Le strutture artificiali di Ponza sono di disegno originale e appositamente progettate a fini di
ripopolamento; sono formate da elementi modulari in calcestruzzo assemblati a formare 10
strutture. Tali strutture sono state installate nel 1991 in tre differenti località dell’isola di Ponza, con
profondità e caratteristiche del fondale diverse: 1) Cala Inferno, 38-39m di profondità, oltre il limite
inferiore di una prateria di Posidonia oceanica, 2) Chiaia di Luna, 27m, su fondale sabbioso, con
presenza di Cymodocea nodosa, 3) Secca dei Mattoni, 30m, su “matte” morta. Differentemente
dalle acque di Fregene, quelle di Ponza sono oligotrofiche e sempre molto trasparenti. Sulle tre
strutture sono state censite circa 30 specie, suddivise in base al grado di “permanenza” presso le
strutture, ovvero si passa da specie che svolgono l’intero ciclo vitale sulle strutture, come il re di
triglie Apogon imberbis, a specie come la menola S. flexuosa, il latterino Atherina sp., la boga
Boops boops e la tanuta Spondyliosoma cantharus che vengono attratte dalle strutture per semplice
effetto tigmotropico. Tra questi due estremi vi sono specie i cui adulti vivono sulle strutture ma che
99
ICRAM
disperdono larve e giovani all’esterno (S. cabrilla, Chromis chromis, Anthias anthias, S. notata,
Parablennius spp., Trypterigion spp., Gobius spp.), specie che trovano rifugio sulle strutture
soprattutto da adulti (M. helena, C. conger, S. scriba, D. sargus) e specie che si alimentano e/o si
rifugiano nelle strutture solo per periodi limitati (Coris julis, M. barbatus, M. surmuletus,
Symphodus spp., Labrus viridis, Thalassoma pavo) (Belluscio et al., 1998).
*****
Riguardo il popolamento ittico demersale della piattaforma continentale laziale ci sono numerosi
studi relativi ai diversi aspetti della biologia e dell’ecologia di alcune specie di interesse
commerciale (Agnesi et al., 1998; Ardizzone,1998; Ardizzone e Cau, 1990; Ardizzone et al., 1990;
Ardizzone et al., 1993a; 1993b; Cardinale et al., 1997a; 1997b; Carpentieri et al., 2000; Colloca et
al., 1994; 1997; 2000; Passariello et al.,1994; Schintu et al., 1994). Alcuni aspetti legati alla pesca a
strascico e allo stato delle risorse ittiche del Tirreno centrale sono stati analizzati da Ardizzone
(1981, 1982) e Ardizzone et al. (1994a); ulteriori studi specifici sulle barriere artificiali presenti nel
Lazio sono stati effettuati da Ardizzone et al. (1994b) e da Ardizzone et al. (1996a, 1996b); studi
sul popolamento ittico delle Secche di Tor Paterno sono stati effettuati da Ardizzone et al. (1998b).
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104
ICRAM
5. CARATTERISTICHE IDROLOGICHE E DINAMICHE DELLE MASSE
D’ACQUA
Introduzione
Nella letteratura oceanografica il mar Tirreno viene generalmente associato a scarsa dinamica,
velocità non elevate, bassi gradienti di temperatura e pressione e a una circolazione essenzialmente
ciclonica (Hopkins, 1988; Bignami et al., 1996). Il suo bacino presenta una forma tipicamente
triangolare con vertice rivolto ad ovest ed è diviso in due settori principali dalla congiungente
Argentario-Trapani: un settore SO, caratterizzato da temperature superficiali più elevate e da una
dinamica caotica e poco intensa, e un settore NO, il più interessante dal punto di vista dinamico
(Bignami et al., 1996).
Gli scambi con i mari adiacenti, che sono principalmente governati dalle caratteristiche geografiche
del bacino stesso, interessano sia il canale presente tra Sicilia e Sardegna che il canale di Corsica. Il
primo canale permette l’ingresso di acqua superficiale Atlantica e di acqua di fondo, mentre quello
di Corsica è interessato da un flusso diretto verso il mar Ligure, attraverso cui viene bilanciato
l’eccesso di acqua superficiale e intermedia. L’acqua persa per evaporazione costituisce, infine, solo
una piccola aliquota del bilancio idrologico (Bignami et al., 1996).
Lungo la piattaforma continentale laziale l'apporto più significativo, sia in termini di portata liquida
che di portata solida, è quello fornito dal fiume Tevere che ha un portata media annua di 236m3/a,
con massimi in marzo e in aprile ed è in grado di determinare notevoli effetti sulla circolazione
locale (IRSA, 1983).
5.1 Masse d’acqua
Le caratteristiche fisico-chimiche delle masse d’acqua tirreniche sono oggi abbastanza note.
Secondo Bignami et al. (1996), le acque tirreniche sono costituite dalla sovrapposizione di tre strati:
uno strato di origine “Atlantica”, caratterizzato da una bassa salinità, uno strato intermedio di
origine Levantina, che presenta un massimo di salinità ed, infine, uno strato di fondo, con acque più
dense, contemporaneamente più fredde e più salate.
Serravall e Cristofalo (1999) propongono per il Tirreno la sovrapposizione di quattro strati di acqua:
•
uno strato superficiale (Modified Atlantic Water o MAW) che interessa i primi 200m di
profondità (temperatura 13.5-13.9°C e salinità 38.0-38.5 psu);
105
ICRAM
•
uno strato sottostante (Levantine Intermediate Water o LIW) generalmente presente in
Mediterraneo a profondità comprese tra 250 e 700m (temperatura 13.5-13.9°C, salinità
38.45-38.75 psu);
•
uno strato più denso e meno salato (Western Mediterranean Deep Water o WMDW) che è
localizzato tra i 700 e i 3000m (temperatura 12.90-13.50°C, salinità 38.4-38.6 psu);
•
uno strato di fondo che raggiunge profondità superiori ai 4200m e si origina nel
Mediterraneo NO.
La struttura verticale delle masse d’acqua tirreniche proposta da Hopkins et al. (1992) per la
piattaforma continentale laziale è articolata in quattro strati: Tyrrhenian Intermediate Water (TIW),
Tyrrhenian Surface Water (TSW), Tyrrhenian Atlantic Water (TAW), Levantine Intermediate
Water (LIW), è riportata nella tabella 5.1.1.
Tabella 5.1.1 - Struttura verticale delle masse d’acqua tirreniche (Hopkins et al., 1992)
Acqua
Temperatura (°C) Salinità (psu)
TSW
25.0
38.30
TAW
15.5
38.02
TIW
14.2
38.15
LIW
13.8
38.64
La temperatura delle acque tirreniche presenta variazioni stagionali nello strato superficiale, mentre
rimane abbastanza costante negli strati intermedio e di fondo (rispettivamente 14°C e 12°.75). Studi
condotti, in particolare, sulle caratteristiche idrologiche delle acque della piattaforma continentale
hanno evidenziato, nella zona costiera e per lo strato superficiale, temperature più basse di 1-4°C
rispetto a quelle osservate per lo strato (superficiale) del largo, mentre la zona relativamente più
fredda, caratterizzata da temperature superficiali inferiori ai 21°C, è risultata essere localizzata al
largo di Ostia (Hopkins et al., 1992).
Da considerare, infine, come gli effetti della circolazione possano però determinare delle variazioni
nelle caratteristiche delle masse d’acqua: nelle acque intermedie la salinità diminuisce da sud verso
nord, al contrario di quanto avviene per le acque superficiali e di fondo (Bignami et al., 1996).
Indagini condotte durante la stagione estiva sulla struttura chimico-fisica delle acque costiere
tirreniche (profili verticali di temperatura e salinità, analisi dei contenuti di acqua dolce e di Acqua
106
ICRAM
Intermedia Levantina negli strati superficiali) hanno, inoltre, evidenziato la presenza di due
differenti strutture nelle masse d’acque a nord e a sud del Tevere. A nord, tra Fiumicino e
Civitavecchia, è stata rilevata l’intrusione verso costa di acque più calde (T>25°C) e più salate
(S>38.25 psu) provenienti da largo. Questa intrusione è risultata essere sufficientemente profonda
da determinare una convergenza sulla piattaforma continentale che ha provocato una risalita
(upwelling) della LIW.
L’altra zona di risalita di acque intermedie (upwelling) è localizzatata più a sud, al di sotto della
plume fluviale e viene interpretata come un caso (tipico) di dinamica estuariale; il richiamo di acque
più dense nello strato sottostante la plume, dovuto al ripristino del bilancio idrostatico, impartisce
alla stessa una considerevole stabilità (Hopkins et al., 1992).
Per ciò che concerne più specificatamente l’area meridionale della piattaforma continentale laziale,
studi recenti condotti nel golfo di Gaeta (Budillon et al., 1999) e relativi alle condizioni tipiche del
periodo autunnale, hanno evidenziato la presenza di uno strato superficiale dello spessore di 2070m caratterizzato da temperature di 17.8-18.0°C e salinità di 37.80psu. Nell’area tra il promontorio
del Circeo e Gaeta, l’intrusione di una lingua di acque più dense modifica la graduale variazione di
densità che accompagna il passaggio dalle acque costiere (σt<27.5) alle acque Tirreniche (σt>27.5).
5.2 Circolazione
La generale circolazione ciclonica che caratterizza l’area tirrenica, come ricostruito sulla base di
misure a grande scala, è caratterizzata da una forte interazione con il vento e viene rafforzata,
soprattutto in inverno, per effetto dei venti prevalenti provenienti da SO (libeccio) e da NO
(maestrale) (Ovchinnikov, 1966; Budillon et al., 1999).
Uno degli elementi più interessanti è per il mar Tirreno la presenza di un vortice freddo localizzato
ad est delle Bocche di Bonifacio e che controlla, fino a bloccarli del tutto, i flussi di provenienza
meridionale. Il vortice sarebbe generato dai venti che soffiano verso est attraverso le Bocche e dalla
presenza di un fronte termico localizzato lungo il 41° parallelo (Hopkins et al., 1992; Della Croce,
2000). Secondo Della Croce (2000), però, il vento non spiega, da solo, tutte le caratteristiche del
vortice, considerando che mentre il vento influenza la colonna d’acqua per l’intera sua estensione
sia nella tarda estate che in inverno, il vortice, seppure presente tutto l’anno (Hopkins et al., 1992),
cambia di forma e dimensione. Modelli numerici e dati sperimentali farebbero risalire queste
variazioni alla variabilità stagionale della corrente litorale diretta a nord (Della Croce, 2000).
107
ICRAM
Nel tratto di mare prospiciente la costa la circolazione generale è caratterizzata da un flusso
parallelo alla linea di costa diretto verso NO, che generalmente presenta una buona correlazione con
il vento. In caso di stratificazione della colonna d’acqua, fenomeno tipico della stagione estiva, la
corrente può invece diventare normale alla linea di costa (Bignami et al., 1996).
Le correnti costiere sono interessate dal vortice, dovuto all’intrusione della cella ciclonica del
Tirreno settentrionale, localizzato in inverno tra Fiumicino e Civitavecchia (secondo le elaborazioni
di immagini termiche) o tra Civitavecchia e l’Argentario (come emerge invece dalle indagini in
situ) e in autunno tra Civitavecchia e l’Argentario; in estate il vortice si sposta infine tra Fiumicino
e l’isola d’Elba. Esso viene interpretato come un fenomeno ad elevata energia e di grande
importanza dinamica (Bignami et al., 1996).
Da segnalare che l’intrusione della cella ciclonica del Tirreno settentrionale non solo influenza la
circolazione nella zona settentrionale, ma indirettamente anche quella del settore meridionale.
Infatti, mentre la cella ciclonica determina un flusso verso nord, nella zona perimetrale stessa si
evidenzia una zona di alte altezze steriche (una vera e propria cresta), determinano un flusso diretto
verso meridione, che blocca e orienta la plume verso sud (Hopkins et al., 1992).
Relativamente alle due zone di upwelling riconosciute sulla piattaforma continentale laziale, la
combinazione dei dati emersi dai rilevamenti idrologici con i dati provenienti dall’elaborazione
delle immagini satellitari ha inoltre evidenziato come l’upwelling settentrionale sia subordinato alla
presenza di una corrente parallela alla costa e diretta verso SE, mentre nella zona costiera a sud del
Tevere, sono state osservate direzioni opposte per il flusso superficiale e per quello prossimo al
fondo, diretti rispettivamente verso sud e verso nord.
In definitiva le due zone di upwelling sono imputabili a:
•
condizioni stagionali legate all’intrusione della cella ciclonica del Tirreno settentrionale
sulla piattaforma e alla contemporanea assenza di venti da sud, che hanno spinto la plume
verso sud e verso largo, con la conseguente risalita, a nord della plume, di acque intermedie,
più fredde;
•
all’esistenza di una complessa struttura verticale (caratterizzata dalla presenza di una
corrente geostrofica superficiale diretta a sud e di una corrente geostrofica prossima al fondo
diretta a nord), cui si deve il sollevamento verso la superficie del termoclino posto alla base
dello strato superficiale.
108
ICRAM
E’ noto che diversi fattori quali la presenza di fiumi, le forzanti locali, la differenza di riscaldamento
solare e l’isolamento provocato da fronti termici marini, possono influenzare profondamente i
fenomeni dinamici costieri (Bignami et al., 1996; Hopkins et al., 1992).
Anche in presenza di una circolazione generale si possono osservare controcorrenti lungo la fascia
costiera. In particolare, i fenomeni fisici che governano la fascia compresa tra 0 e 20m possono
essere diversi da quelli che governano le correnti sulla piattaforma continentale, oltre i 20m di
profondità.
Rilevamenti di salinità e temperatura condotti nelle acque costiere della piattaforma continentale
laziale (Bignami et al., 1996) hanno messo in evidenza, dal punto di vista della dinamica costiera,
l’esistenza di due zone dalle caratteristiche significativamente differenti: quella meridionale e
costiera con salinità relativamente basse e temperature relativamente alte e quella settentrionale con
caratteristiche opposte. Tutto ciò viene associato a un flusso costiero proveniente da SE, compresso
verso costa all’altezza di Anzio.
Lungo la piattaforma continentale laziale non sono presenti grossi corsi d’acqua. L'apporto più
significativo è quello del Tevere (portata media 263m3/a) (IRSA, 1983). Le acque fluviali si
immettono in mare e si mescolano con le acque costiere secondo le forzanti del vento e della
circolazione generale: si stratificano e scivolano sulle più dense acque marine, generando plume più
o meno estese cui si deve la dispersione del materiale più sottile (Bellotti et al., 1993).
All'aumentare della distanza dalla foce le acque si mescolano e vengono deviate verso NO dalla
corrente costiera (Hopkins et al., 1992; Bellotti et al., 1993), caratterizzata da una velocità media di
0.1- 0.25m/s (Bellotti et al., 1993). Studi condotti lungo la piattaforma laziale hanno, infatti,
evidenziato come la plume si disponga generalmente entro la fascia costiera a nord della foce
(Hopkins et al., 1992; Bignami et al., 1996). I venti da sud rafforzano tale tendenza, restringendo
maggiormente la plume lungo la fascia costiera, mentre condizioni meteo particolari (forti venti da
settentrione, in particolare da NE) ne forzerebbero la direzione verso sud e verso il largo.
All’interno della plume sono stati inoltre segnalati nuclei secondari di circolazione anticiclonica
interpretati come “pulsazioni” della portata del fiume, riconducibile a variazioni cicliche del livello
del mare, non necessariamente corrispondenti al ciclo semidiurno delle maree (Hopkins et al.,
1992). La dispersione del carico fluviale è operata principalmente per effetto del moto ondoso; ad
esso si deve sia l’orientamento e l’estensione verso largo della plume (sviluppata a nord della foce
su un'area di circa 400Km2) e che in casi particolari può raggiungere la costa tra Focene e Fregene,
sia la ridistribuzione del sedimento sabbioso sul fronte del delta (IRSA, 1983).
109
ICRAM
Altri studi recenti (Budillon et al., 1999), condotti nel settore meridionale della piattaforma
continentale laziale hanno evidenziato, in particolare tra le isole di Ischia e Ventotene, un trasporto
diretto verso il promontorio del Circeo, caratterizzato da una componente barotropica predominante
su quella baroclina e che appare essere principalmente determinato dal forzamento topografico e dei
boundaries. Il flusso si interrompe in corrispondenza della soglia tra Ponza e Gaeta, deviando verso
costa in senso orario.
110
ICRAM
Bibliografia
Bellotti V., Chiocci F.L., Milli S., Tortora P. (1993) – Variabilità nel tempo della distribuzione
granulometrica sui fondali del delta del Tevere. Boll. Soc. Geol. It., 112: 143-153.
Bignami F., Manzella G.M.R., Salusti E., Sparnocchia S. (1996) – Circolazione delle acque. In: Il
Mare del Lazio Università degli Studi di Roma "La Sapienza" – Regione Lazio. Ass. Opere e reti
di servizi e mobilità: 331 pp.
Budillon G., Pierini S., Sansone E., Spezie G. (1999) – Caratteristiche idrodinamiche lungo la fascia
costiera campano-laziale. Annali della Facoltà di Scienze Nautiche, LXIV: 7-18.
Della Croce N. (2000) – Il Mare Tirreno. Atti Associazione Italiana Oceanologia Limnologia, 13
(2): 363-378.
Hopkins T.S. (1988) – Recent observations on the intermediate and deep water circulation in the
Southern Tyrrenian Sea.. Oceanologica Acta, No. SP, 41-50.
Hopkins T.S., Battilotti M., De Lauro M., Monassi M., Ribera D’Alcalà, Saggiomo V., Tramontano
M.A., Zagaglia A. (1992) – Lazio shelf experiment (crociera Hopi, agosto, 1991): distribuzione
delle masse d’acqua e cenni sulla circolazione. Atti del 10° congresso A.I.O.L., Alassio, 4-6
novembre 1992: 375-387.
IRSA (1983) – L'esperimento Tevere. Influenza di un fiume sull'ecosistema marino prospiciente la
sua foce. Quad.. Ist. Ric. Acque, 66: 27-46.
Ovchinnikov I.M. (1966) – Circulation in the surface and intermediate layers of the Mediterranean.
Oceanology, 6: 48-59.
Serravall R., Cristofalo G.C. (1999) – On the presence of a coastal current of Levantine
intermediate water in the central Tyrrhenian Sea. Oceanologica Acta, 22 (3): 281-290.
111
ICRAM
6. VINCOLI E USI DEL MARE
Introduzione
Nell’ambito del progetto “Studio di impatto ambientale per lo sfruttamento di depositi sabbiosi
sommersi lungo la piattaforma continentale laziale ai fini di ripascimento” è apparso di
fondamentale importanza evidenziare gli usi legittimi del mare (aree marine protette, parchi
nazionali, oasi blu, barriere artificiali, terminali off-shore, cavi, condotte di scarico, oleodotti, aree
di sversamento dei materiali portuali, poligoni militari) con particolare riferimento alle aree
“sensibili” dal punto di vista naturalistico, al fine di programmare correttamente le attività di
dragaggio e prevedere, eventualmente, misure adeguate per la mitigazione degli effetti (Pellegrini et
al., 2002).
L’indagine condotta ha evidenziato la presenza, nel settore meridionale della piattaforma
continentale laziale, di aree a significativa valenza ambientale: area marina protetta “Secche di Tor
Paterno” e le oasi blu di Gianola, Monte Orlando e di Scauri. Nell’area sono state segnalate attività
con una diretta ricaduta economica sulla popolazione residente quali la pratica della pesca e
dell’acqualcoltura. A tutto ciò si aggiunge la presenza sia di strutture quali terminali off-shore (torri,
piattaforme e oleodotti), cavi, condotte di scarico e poligoni militari (Istituto Idrografico della
Marina, 1991a; 1991b), sia di zone destinate allo sversamento dei materiali portuali. In particolare,
la presenza e la distribuzione delle aree di scarico dei materiali portuali è stata ricostruita sulla base
dei dati forniti dal Ministero dell’Ambiente. I dati relativi alle altre voci (terminali off-shore, cavi,
condotte di scarico e poligoni militari) sono invece stati ottenuti dai portolani, consultati presso le
locali Capitanerie di Porto e aggiornati a dicembre 2001 (Istituto Idrografico della Marina, 2001a;
2001b), e dalle carte nautiche (Istituto idrografico della Marina, 1986; 1987; 1988; 1993).
Le informazioni ottenute dalle carte nautiche e dai portolani, nonché quelle reperite direttamente
presso uffici pubblici e ministeri (capitanerie di porto, ministero dell’ambiente, ecc.) e di seguito
descritte sono state quindi utilizzate per la realizzazione della Carta dei Vincoli e degli Usi del Mare
che riporta: la fascia compresa entro il limite delle tre miglia, le aree marine protette, i parchi
nazionali, le oasi blu del WWF, i porti principali, cavi e condotte, i terminali off-shore, le zone di
divieto di ancoraggio e pesca, le aree di sversamento dei materiali portuali e i poligoni militari.
Di seguito vengono riportati pertanto i dati raccolti relativi a:
- aree marine protette, parchi nazionali e oasi blu;
- barriere artificiali;
112
ICRAM
- terminali off-shore;
- cavi, condotte di scarico e oleodotti;
- aree di sversamento dei materiali portuali;
- poligoni militari.
113
ICRAM
6.1 Aree marine protette, Parchi Nazionali e Oasi Blu
Nell’area in studio sono presenti due aree marine protette (Secche di Tor Paterno e Isola di
Ventotene e Santo Stefano), l’area marina di competenza del Parco Nazionale dell’Arcipelago
Toscano (Isola di Giannutri) e tre oasi blu (WWF).
L’area naturale marina protetta “Secche di Tor Paterno” è stata istituita con Decreto del Ministero
dell’Ambiente del 29 novembre 2000 (G.U. n.16 del 20/01/01). La sua gestione è attualmente
affidata a “Roma Natura” (Ente Regionale per la Gestione del Sistema delle Aree Naturali Protette
nel Comune di Roma).
Data la peculiarità ecologica dell’area, essa comprende un’unica zona di riserva generale, delimitata
dai seguenti punti:
a) 41°37’.30N - 12°20’.50E
b) 41°36’.00N - 12°21’.90E
c) 41°34’.50N - 12°19’.50E
d) 41°35’.80N - 12°18’.00E
L’area naturale marina protetta “Isole di Ventotene e Santo Stefano” è stata istituita con Decreto
Ministeriale del 12 dicembre 1997 (G.U. n.47 del 20/02/1998), mentre con decreto ministeriale
dell’11 maggio 1999 è stata istituita l’omonima riserva terrestre.
La riserva presenta una triplice zonazione, con un’area di riserva integrale (zona A), un’area di
riserva orientata (zona B) e un’area di riserva generale (zona C).
Essa è delimitata dai seguenti punti:
a) 40°49’.13N - 13°23’.13E
b) 40°49’.47N - 13°25’.95E
c) 40°48’.33N - 13°27’.87E
d) 40°47’.58N - 13°28’.00E
e) 40°46’.80N - 13°28’.80E
f) 40°46’.27N - 13°25’.33E
g) 40°46’.77N - 13°22’.90E
h) 40°48’.45N - 13°24’.78E
Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, d’interesse ai fini della ricerca in oggetto per la
presenza di aree marine di particolare interesse quale l’isola di Giannutri, ha avuto, in particolare,
un iter legislativo e istituzionale abbastanza lungo e la sua perimetrazione definitiva risale al D.P.R.
114
ICRAM
22 luglio 1996 Istituzione dell’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (G.U. n. 290 del
11/12/1996).
Le tre oasi blu (WWF) presenti nell’area sono, infine, l’oasi di Villa di Tiberio (C.D. 19/05/1995),
di M.te Orlando (C.D. 04/02/1993) e di Gianola (C.D. 14/07/1992).
Oasi blu di Villa di Tiberio: essa è situata nei pressi di Sperlonga (LT), costituisce il settore a mare
dell’oasi Villa di Tiberio e si estende dal litorale per circa 11 ettari su fondi sabbiosi e rocciosi.
Oasi blu di Monte Orlando: la zona di mare antistante il parco urbano di Monte Orlando costituisce
l’oasi blu di Monte Orlando. Essa si estende a mare per circa 295.000 m2 ed è delimitata da 3 boe di
colore giallo, con miraglio ad X, sprovviste della segnalazione luminosa notturna, nelle seguenti
posizioni:
a) 41°12’.12N - 13°24’.12E
b) 41°12’.10N - 13°34’.56E
c) 41°12’.26N - 13°35’.20E
All’interno dell’oasi sono vietate, salvo alcune eccezioni, la pesca e la navigazione a distanze
inferiori ai 100m dalla costa; la sosta alle imbarcazioni è invece consentita nei due corridoi posti
rispettivamente all’estremità ovest ed est dell’oasi, per l’osservazione marina in apnea o subacquea,
previo accordo con l’associazione concessionaria (WWF). L’accesso e la sosta, nell’intera area,
sono consentite esclusivamente alle imbarcazioni del WWF.
Oasi blu di Monte Gianola: l’oasi si estende nell’insenatura antistante il parco regionale suburbano
di Gianola e Monti di Scauri; essa raggiunge i 4.5m di profondità massima, la costa è a scogliera
con spiaggette a ciottoli e con fondali sabbiosi.
115
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6.2 Barriere artificiali
Le barriere artificiali sottomarine sono uno strumento di protezione e di conoscenza dell’ambiente
costiero, una “tecnologia morbida” per il recupero e la protezione dei fondi marini (Riggio, 1995).
Si tratta di strutture sommerse di diverse forme (cubi, piramidi ecc.), dimensioni e materiali
(calcestruzzo, cemento, metallo, plastica ecc.), generalmente localizzate in alcune aree costiere
particolarmente sensibili, con molteplici finalità:
•
riciclare dell’energia dei sistemi trofici costieri
•
offrire un rifugio-supporto a varie specie demersali
•
proteggere i fondali dalla pesca a strascico
•
aumentare la produttività dell’ambiente (Giannì, 1995)
Nell’area in studio, al largo di Fregene è presente una barriera artificiale sottomarina coperta da
9.5m di acqua e destinata al ripopolamento ittico; nella zona delimitata dalle congiungenti i punti
sottoelencati sono vietati la pesca e l’ancoraggio:
a) 41°51’05’’N - 12°09’02’’E
b) 41°52’31’’N - 12°09’05’’E
c) 41°50’30’’N - 12°10’05’’E
d) 41°50’01’’N - 12°10’00’’E
Al largo di Ponza sono presenti tre barriere sottomarine, una a Chiaia di Luna (27m), una a Secca
Mattoni (30m) e una a Cala Inferno (39m).
116
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6.3 Terminali off-shore
Nell’area investigata sono presenti due piattaforme di carico e scarico e una torre petrolifera.
La torre è localizzata a NO di Torre Valdaliga, nel punto di coordinate 42°07’27’’N e 11°43’38’’E
ed è segnalata da un fanale a luce bianca e da un autofono. Nella zona di mare delimitata da un
raggio di 0.5 miglia avente centro nella torre petrolifera, sono vietati il transito, la pesca, la sosta, la
balneazione e l’ancoraggio.
Le due piattaforme mono-ormeggio (R1 e R2) sono situate al largo di Fiumicino e sono collegate a
terra da sea-lines. R2 si trova circa 5400m per 237°.5 dal fanale bianco sulla Banchina Petroli del
porto di Fiumicino (in 41°44,6’N e 12°10,1’E), mentre R1 è situata a circa 1450m per 308°.5 da R2,
in 41°45,1’N e 12°09,3’E. Entrambe si elevano di circa 10m s.l.m. e sono munite di cavi di
ormeggio e di manichette galleggianti segnalate da fanali. Nella zona di mare interessata dalle due
piattaforme sono vietati l’ancoraggio, la pesca e i recuperi marittimi. E’ vietato il transito attorno ai
terminali per un raggio di 300m ed è vietato, entro un raggio di 1000m da R1 e R2, avvicinarsi,
sostare, esercitare la pesca o qualsiasi altra attività subacquea. E’ infine vietato a tutte le navi non
addette ai servizi di assistenza o antinquinamento, avvicinarsi o sostare a meno di 550m dalle navi
cisterna impegnate nelle attività alle piattaforme.
117
ICRAM
6.4 Cavi, condotte di scarico e oleodotti
La presenza di cavi sottomarini, condotte di scarico e oleodotti comporta generalmente nelle zone
interessate l’interdizione alle attività di ancoraggio e di pesca, ovvero di tutte quelle attività che
agiscono meccanicamente sui fondali. In taluni casi è anche interdetta la navigazione.
Cavi sottomarini
Nei pressi di punta di S. Agostino (Tarquinia) è presente un cavo telefonico sottomarino che si
allaccia con la Sardegna. Il percorso del cavo si svolge, all’interno delle acque territoriali, nella
zona delimitata dalle seguenti coordinate:
a) 42°10’54’’N - 11°43’42’’E
b) 42°07’42’’N - 11°37’00’’E
c) 42°09’30’’N - 11°36’15’’E
d) 42°09’00’’N - 11°44’25’’E
La zona suddetta è vietata all’ancoraggio e alla pesca.
Verso largo il cavo si snoda lungo il tratto compreso tra i seguenti punti:
a) 42°09’18’’N - 11°41’06’’E
b) 42°00’30’’N - 10°57’24’’E
Sempre per la presenza di cavi sottomarini, la zona di mare antistante il tratto di costa a Sud di
Torre Valdaliga, estesa per circa 1 miglio lungo costa e per 12 miglia verso largo, è interdetta
all’ancoraggio e alla pesca.
La presenza di un cavo telegrafico sottomarino comporta il divieto di navigazione e di pesca nella
zona di mare delimitata dalle coordinate di seguito riportate:
a) 41°55’ 05’’N - 12°06’01’’E
b) 41°54’ 05’’N - 12°08’05’’E
c) 41°50’ 05’’N - 12°02’00’’E
d) 41°49’ 05’’N - 12°04’04’’E
La presenza di cavi sottomarini, nella zona di mare definita dalle seguenti coordinate, determina il
divieto di ancoraggio e delle attività di pesca che necessitano di attrezzature agenti meccanicamente
sul fondale marino:
a) 41°39’48’’N - 12°24’15’’E
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ICRAM
b) 41°38’17’’N - 12°16’24’’E
c) 41°35’13’’N - 12°26’46’’E
d) 41°31’26’’N - 12°26’46’’E
e) 41°38’08’’N - 12°26’40’’E
La zona, riportata sulle carte nautiche, è segnalata a terra con tre palloni dipinti di giallo e di nero in
basso, recanti la lettera “T” in bianco e sistemati su pali situati sul litorale. Detti segnali, posti a
triangolo, determinano i due allineamenti che indicano l’area protetta.
Nei pressi di Torre del Fico per la presenza di cavi telegrafici sottomarini è presente una zona di
divieto di ancoraggio e pesca.
La zona di mare di 300m di raggio, centrata in 41°13’46’’N e 13°06’44’’E, è interdetta
all’ancoraggio alla pesca e all’attività subacquee.
Nella Rada di Gaeta, per la presenza di cavi sottomarini, esistono zone vietate all’ancoraggio e alla
pesca.
Condotte sottomarine
Circa a 1000m da Villa Campello, alla foce del Fosso di Pratica, ha origine una condotta
sottomarina di scarico che si estende per 1600m in direzione 230°. Il terminale a mare è segnalato
da una boa luminosa speciale di colore giallo.
Due condotte sottomarine di scarico hanno origine sul litorale rispettivamente circa 4.5 miglia e 1.2
miglia a NO dal faro di Capo d’Anzio (rispettivamente località Cavallo Morto e Colonia Bottaccio).
I terminali a mare sono segnalate da due boe luminose cilindriche, di color giallo, munite di
riflettore radar.
Una condotta di scarico sottomarina è presente nella zona antistante Torre Olevola, lungo la
congiungente i punti:
a) 41°14’38’’N – 13°06’50’’E
b) 41°14’00’’N – 13°08’36’’E
A Torre Vittoria, nel punto di coordinate 41°14’.20N e 13°06’.02E, è presente una conduttura
sottomarina che si estende per 450m verso est, fino a raggiungere fondali di circa 3 metri. E’ fissata
119
ICRAM
sul fondo per mezzo di pali le cui testate si trovano ad un metro sotto il livello del mare ed è
segnalata alle estremità da un palo emergente.
Oleodotti
Ad una certa distanza dalla costa, tra Montalto di Castro e Torre Valdaliga, è presente un oleodotto;
esso parte dal punto sulla costa in 42°21’09’’N – 11°31’15’’E e approda, sempre sulla costa, nel
punto di coordinate 42°07’57’’N - 11°44’57’’E. In entrambi gli approdi l’oleodotto è interrato a una
profondità di circa 1.5m (l’interramento si estende fino alla batimetrica dei 10m).
Un oleodotto collega a terra, nel punto di coordinate 42°07’56’’N - 12°44’56’’E, la torre petrolifera
presente a NO di Torre Valdaliga; nella fascia di mare ampia 0.5 miglia, su ciascun lato
dell’oleodotto, sono vietati l’ormeggio e la pesca.
A partire dalla costa, immediatamente antistante il fanale bianco alla radice del molo S di
Fiumicino, hanno origine due oleodotti sottomarini che si protendono in direzione SO e convergono
in un unico terminale, costituito dalla piattaforma R2.
Circa a 300m a nord della Diga Foranea del Nuovo Porto Commerciale di Gaeta, precisamente sulla
costa a 41°14’07’’N - 13°34’16’’E, ha origine un lungo oleodotto diretto all’incirca verso E-SE, il
cui terminale si trova in rada nel punto di coordinate 41°13’27’’N - 13°36’23’’E.
Nella zona di mare circolare, raggio 0,5 miglia, centrata nel predetto terminale sono vietati
l’ancoraggio e la pesca, per la presenza sul fondo di ostacoli rimasti dopo l’asportazione delle boe
da ormeggio già posizionate presso il terminale stesso.
120
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6.5 Aree di sversamento dei materiali portuali
Nell’area investigata sono state censite 18 aree di sversamento dei materiali portuali (carta dei
vincoli e degli usi del mare) di cui 4 fanno capo alla Capitaneria di Porto di Civitavecchia, 4 a
quella di Gaeta e 10 a quella di Roma-Fiumicino (dai dati del Ministero dell’Ambiente); i dati
riepilogativi vengono presentati nella tabella 6.5.1.
Tabella 6.5.1 - Dati riassuntivi relativi alle aree di sversamento dei materiali portuali presenti lungo
la piattaforma laziale
CAPITANERIA
PORTO
COORDINATE AREA
RAGGIO
QUANTITATIVO
AUTORIZZATO
DATA
AUTORIZZAZIONE
-
150.000
20 feb 87
-
32.000
20 mag 91
-
37.000
29 lug 91
0.5
0.054
37.000
100.000
35.000
15.340
54.000
21.000
1997
2 nov 89
8 lug 88
2 set 88
24 dic 97
4 mag 90
150.000
150.000
17 mag 88
11 lug 88
-
40.000
60.000
90.000
7 set 94
6 giu 95
25 mar 96
1
93.000
25 lug 88
-
70.000
12 giu 89
Dati Inc.
0.5
50.000
1.500
20.000
29 mag 91
5 apr 88
24 lug 90
Dati Inc.
(m3)
Civitavecchia
Civitavecchia
Civitavecchia
Civitavecchia
Civitavecchia
Civitavecchia
Civitavecchia
Civitavecchia
Gaeta
Gaeta
Gaeta
Porto Badino e
Canale Sisto
S.Felice Circeo
Ponza
Gaeta
Gaeta
RomaFiumicino
RomaFiumicino
RomaFiumicino
RomaFiumicino
RomaFiumicino
RomaFiumicino
Anzio
Anzio
Anzio
Anzio
Anzio
Fiumicino
42°05’39’’ N-11°46’15’’ E
42°05’33’’ N-11°46’03’’ E
42°05’09’’ N-11°46’18’’ E
42°05’18’’ N-11°46’36’’ E
42°05’18’’ N-11°46’34’’ E
42°05’09’’ N-11°46’18’’ E
42°05’33’’ N-11°46’03’’ E
42°05’39’’ N-11°46’15’’ E
42°05’39’’ N-11°46’15’’ E
42°05’33’’ N-11°46’03’’ E
42°05’09’’ N-11°46’18’’ E
42°05’18’’ N-11°46’36’’ E
42°03’.500 N-11°42’.400 E
42°03’.800 N-11°43’.000 E
42°03’.050 N-11°43’.800 E
42°02’.700 N-11°43’.300 E
41°12’12’’ N-13°35’30’’ E
41°13’00’’ N-13°12’00’’ E
41°12’48’’ N-13°12’06’’ E
40°50’48’’ N-13°02’00’’ E
41°23’75’’ N-12°35’50’’ E
41°25’30’’ N-12°33’80’’ E
41°24’15’’ N-12°35’50’’ E
41°24’15’’ N-12°36’20’’ E
41°25’30’’ N-12°36’20’’ E
41°25’30’’ N-12°35’50’’ E
1°25’30’’ N-12°33’00’’ E
41°23’42’’ N-12°35’50’’ E
41°25’30’’ N-12°33’48’’ E
41°23’75’’ N-12°35’50’’ E
41°25’30’’ N-12°35’80’’ E
41°47’00’’ N-12°10’00’’ E
121
0.5
0.5
-
NOTE
Dati Inc.
ICRAM
RomaFiumicino
RomaFiumicino
RomaFiumicino
RomaFiumicino
10.000
7.000
5.000
6.000
10.000
10.000
2 nov 93
26 apr 94
28 giu 94
29 mar 95
28 ago 95
24 dic 96
41°45’.400 N-12°05’.700 E
41°45’.850 N-12°06’.880 E
41°44’.100 N-12°06’.700 E
41°44’.520 N-12°07’.980 E
-
150.000
11 set 97
Ostia
41°38’08’’ N-12°11’09’’ E
-
2.500
21 dic 99
Rio Martino
41°18’00’’ N-12°35’00’’ E
0.054
16.000
7 ott 88
Terracina
41°14’10’’ N-13°15’00’’ E
-
57.000
25 nov 87
Fiumicino
122
Dati Inc.
Dati Inc.
ICRAM
6.6 Poligoni militari
Lungo la costa laziale sono presenti cinque poligoni militari (dai dati delle Capitanerie di porto di
Civitavecchia e dall’Ufficio Circondariale Marittimo di Anzio, Roma).
A causa delle attività di tiro che ivi si svolgono, le zone di mare adiacenti sono interdette al traffico,
alla sosta, alla pesca e alla navigazione.
I poligoni vengono elencati di seguito; per ognuno di essi vengono riportati: il nome, la Capitaneria
di Porto competente e le coordinate del poligono relativo al tratto di mare interdetto.
Poligono di Pian di Spille
Capitaneria di Porto di Civitaveccchia (Rm).
Zona di interdizione:
a)
42°16’30’’N - 11°39’40’’E
b)
42°17’16’’N - 11°33’29’’E
c)
42°12’38’’N - 11°33’24’’E
d)
42°10’05’’N - 11°40’15’’E
e)
42°15’05’’N - 11°40’48’’E
Poligono di Santa Severa (E312)
Capitaneria di Porto di Civitaveccchia (Rm)
Zona di interdizione: la zona di mare interdetta è compresa tra i rilevamenti 175°/280° dal
punto mg 4.5 per NO da Torre Flavia profondo mg 6. E’ segnalata, inoltre, la pericolosità
della zona circostante.
Poligono di Furbara
Capitaneria di Porto di Civitaveccchia (Rm)
Zone di interdizione:
a)
41°59’30’’N -12°00’10’’E
b)
41°57’20’’N -11°59’48’’E
c)
41°57’36’’N -11°58’38’’E
d)
41°58’57’’N -11°57’00’’E
e)
41°59’38’’N -11°59’30’’E
a)
41°59’30’’N -12°00’48’’E
b)
41°55’54’’N -11°58’18’’E
c)
41°57’30’’N -11°56’24’’E
123
ICRAM
Poligono militare di Nettuno (E 332)
Ufficio Circondariale Marittimo di Anzio (Roma)
Zona di interdizione:
a)
41°27’16’’N - 12°40’55’’E
b)
41°22’00’’N - 12°36’00’’E
c)
41°16’00’’N - 12°55’00’’E
d)
41°21’50’’N - 12°56’56’’E
Poligono militare di Sabaudia (E 334)
Ufficio Circondariale Marittimo di Anzio (Roma)
Zona di interdizione:
a)
41°18’16’’N - 13°00’18’’E
b)
41°17’30’’N - 12°56’15’’E
c)
41°20’30’’N - 12°56’00’’E
d)
41°19’40’’N - 12°59’08’’E
124
ICRAM
Bibliografia
Decreto Ministeriale 12 dicembre 1997 – Istituzione dell’area naturale marina protetta denominata
“Isole di Ventotene e Santo Stefano”. (G.U. della Republica italiana n. 47 del 20 febbraio 1998).
Decreto Ministeriale 29 novenbre 2000 – Istituzione dell’area marina protetta denominata “Secche
di Tor Paterno”. (G.U. della Republica italiana n. 16 del 20 gennaio 2001).
Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1996 – Iostituzione dell’Ente Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano (G.U. 11/12/1996).
Giannì A. (1995) - Greenpeace, il Mediterraneo e le barriere artificiali. Biol. Mar. Medit. 2(1): 179180.
Istituto Idrografico della Marina (1986) - Carta nautica n.6 “Dal promontorio Argentario a Capo
Linaro”, scala 1: 100.000, Genova dicembre 1986.
Istituto Idrografico della Marina (1987) - Carta nautica n.7 “Da capo Linaro ad Anzio”, scala 1:
100.000, Genova febbraio 1987.
Istituto Idrografico della Marina (1988) - Carta nautica n.8 “Da Anzio a capo Circeo e isole
Pontine”, scala 1: 100.000, Genova maggio 1988.
Istituto Idrografico della Marina (1993) - Carta nautica n.9 “Da capo Circeo a Ischia e isole Pontine,
scala 1: 100.000, Genova aprile 1993.
Istituto Idrografico della Marina (2001a) - Portolano del Mediterraneo, 1/A, dicembre 2001.
Istituto Idrografico della Marina (2001b) - Portolano del Mediterraneo, 1/B, dicembre 2001.
Pellegrini D., Onorati F., Virno Lamberti C., Merico G., Gabellini M., Ausili A. (2002) – Aspetti
tecnico-scientifici per la salvaguardia ambientale nelle attività di movimentazione dei fondali
marini: Dragaggi portuali. Quaderno ICRAM, 1: 201 pp.
Riggio S. (1995) – Le barriere artificiali e l’uso conservativo della fascia costiera: risultati dei reefs
nella Sicilia N/O. Biol. Mar. Medit. 2(1): 129-164.
125
ICRAM
7. CONCLUSIONI
L’analisi critica condotta relativamente a tutti gli elementi d’interesse (morfologia, sedimentologia
e geochimica dei fondali, caratteristiche del popolamento bentonico e del popolamento ittico
demersale, caratteristiche idrologiche e dinamiche della colonna d’acqua, vincoli e usi legittimi del
mare) ha mostrato una generale frammentarietà dei dati.
In generale, è stata evidenziata la presenza di:
•
diverse aree mai investigate;
•
aree interessate solo da studi a scala regionale;
•
dati privi di riferimenti geografici certi;
•
dati non recenti.
Di seguito vengono riportate delle considerazioni, di tipo qualitativo e quantitativo, scaturite dalla
disamina della letteratura, relativamente ai diversi argomenti trattati.
La ricerca bibliografica condotta per la definizione dei caratteri sedimentologici e stratigrafici della
piattaforma continentale laziale ha evidenziato come, a scala regionale, siano oggi ben identificati i
principali lineamenti geologico-strutturali della piattaforma e i loro rapporti con le strutture
geologiche dell’Appennino settentrionale e centrale. Sono risultate, inoltre, sufficientemente
conosciute le caratteristiche morfologiche e stratigrafiche dei depositi più superficiali. L’indagine
bibliografica ha altresì evidenziato come ad aree per le quali esiste una produzione scientifica
rilevante, per qualità e quantità (delta del Tevere, settore compreso tra l’Argentario e Civitavecchia,
golfo di Gaeta), si contrappongono aree caratterizzate dalla carenza di dati sedimentologici e
stratigrafici, come nel caso del settore compreso tra Capo Linaro e il Circeo.
Per quanto attiene alle caratteristiche geochimiche dei sedimenti di fondo, l’indagine svolta ha
messo in evidenza che importanti studi a carattere regionale, pur essendo particolarmente accurati
dal punto di vista metodologico, non possono essere utilizzati per studi di dettaglio, in quanto
spesso privi di riferimenti geografici certi. Sono stati altresì segnalati diversi studi specifici condotti
sia in rapporto ad elementi associati a province geochimiche, come nel caso degli studi di
contaminazione a mercurio della provincia mercurifera toscana, sia in rapporto ad aree geografiche
di particolare interesse, come il golfo di Gaeta e il delta del Tevere. Da sottolineare che diversi studi
sono però da considerarsi “datati”, in quanto riferiscono delle condizioni di contaminazione
126
ICRAM
osservate anche 20 anni fa, condizioni che potrebbero essere cambiate nel tempo per l’incidenza di
fattori esterni (impatto antropico).
L’analisi delle informazioni bibliografiche relative alle principali biocenosi bentoniche ha
evidenziato una certa frammentarietà dei dati, sia perché diverse aree della piattaforma continentale
laziale non sono mai state investigate, sia perché le indagini si basavano su maglie di
campionamento a grande scala, sia perché i dati spesso non sono recenti. Le indagini datate possono
essere, infatti, importanti per mettere in evidenza eventuali variazioni temporali, ma, proprio perché
le biocenosi sono sensibili a fattori sia naturali che indotti, si necessita di un continuo
aggiornamento dei dati raccolti. E’ questo, in particolare, il caso della fanerogama marina Posidonia
oceanica, assai sensibile ai cambiamenti e alle alterazioni dell’ambiente, e per questo soggetta a
continui mutamenti.
Il popolamento ittico demersale e la distribuzione delle aree di nursery delle principali specie di
interesse commerciale sono stati sufficientemente studiati nel Lazio, anche se sono pochi i dati
specifici relativi alla piattaforma continentale. In particolare, la distribuzione delle nursery è stata
ottenuta da dati raccolti soprattutto in ambiente di scarpata (campagne di pesca GRUND e
MEDITS), vista anche la maggiore estensione della scarpata rispetto alla piattaforma. Sono, infine,
risultati abbastanza carenti e datati i lavori relativi al popolamento demersale entro le tre miglia
dalla costa. E’ importante segnalare che nell’ambito degli studi condotti sul popolamento ittico, è
necessario disporre in primo luogo di dati stagionali, essendo nota l’incidenza delle stagioni sulla
distribuzione e sulle caratteristiche in genere dei popolamenti, nonché di dati recenti perché la
distribuzione dei popolamenti e conseguentemente delle nursery può essere soggetta a variazioni nel
tempo anche significative.
Relativamente alle condizioni generali di circolazione, l’indagine condotta ha messo in evidenza
come siano oggi abbastanza note sia le condizioni generali della circolazione tirrenica che le
caratteristiche fisico-chimiche della colonna d’acqua. Studi di dettaglio sono stati, inoltre, segnalati
per alcune aree di interesse quali la foce del Tevere e il golfo di Gaeta, spesso riferiti a singole
stagioni.
127
ICRAM
PARTE II: Analisi cartografica: banca dati ed elaborazioni
1. GEOGRAPHICAL INFORMATION SYSTEM (G.I.S.)
Il G.I.S. (Geographical Information System) è il sistema di software, apparati, metodi e dati in
grado di analizzare, progettare e gestire l'ambiente e il territorio; può rappresentare, inoltre,
l'insieme delle relazioni spaziali delle informazioni relative alle caratteristiche fisiche del territorio e
delle attività umane che su di esso si svolgono.
I dati di diversa natura possono essere considerati come strati di informazioni spaziali e come tali
registrati in un unico database, che può essere integrato con nuovi dati. Un G.I.S. consente di gestire
questi strati, di combinarli visivamente (cartografia) e di utilizzarli per correlazioni spaziali, analisi
ed elaborazioni, permettendo sia una più facile comprensione dei fenomeni complessi sia la
valutazione dei possibili scenari futuri (previsione).
Tale strumento, infatti, si presta, da un lato, alla georeferenziazione dei dati territoriali organizzati
in maniera logica, “storica” e strutturata e, dall’altro, consente di mettere a punto metodologie di
analisi per la pianificazione e la gestione degli interventi, come la sovrapposizione degli strati
informativi relativi ai diversi tematismi.
Il sistema G.I.S. presentato in questo lavoro utilizza i softwares ARC-INFO 7.1 e ARC-VIEW 3.2
della ESRI.
128
ICRAM
2. COSTRUZIONE DELLA BANCA DATI CARTOGRAFICA
Per la creazione della banca dati cartografica, inserita in un sistema G.I.S., sono stati utilizzati,
relativamente ai diversi tematismi trattati (morfologia, sedimentologia e geochimica del fondale,
popolamento bentonico, aree di nursery delle principali specie ittiche commerciali, caratterisitiche
idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare), tutti i dati reperiti in
bibliografia e discussi nella parte I.
La creazione della topologia e l'organizzazione della banca dati è stata garantita in termini qualiquantitativi dalle sorgenti informative e dalle funzioni di gestione; dalla cartografia ufficiale sono
state estratte, digitalizzate e georeferenziate una serie di informazioni dalle più elementari alle più
complesse, organizzate in livelli informativi distinti.
Sulla base dei dati emersi dall’analisi dei dati bibliografici sono stati definiti, per ogni singolo
livello informativo, una serie di attributi specifici, per i quali sono stati identificati campi chiave ai
quali sarà possibile collegare database esterni.
I tematismi trattati, i livelli informativi, la topologia e gli attributi sono riportati nella tabella 2.1.
Tabella 2.1 – Tematismi trattati e relativi attributi
Tematismi
Geomorfologia e sedimentologia
Biocenosi bentoniche
Aree di nursery
Vincoli e usi legittimi del mare
Livelli informativi
Elemento
topologico
Geomorfologia
linea
Sedimenti
poligono
Biocenosi bentoniche
poligono
Aree di nursery
poligono
Aree di sversamento dei poligono
materiali portuali
Aree marine protette e poligono
parchi nazionali
Cavi e condotte
linea
Oasi blu (WWF)
punto
Poligoni militari
poligono
Terminali off-shore
punto
Attributo
tipologia, bibliografia.
classificazione, bibliografia, note.
tipologia, bibliografia, note.
specie, stagione, bibliografia.
coordinate dell’ area, decreto di
autorizzazione,
quantità
materiale
sversato, note.
nome, decreto di istituzione, estensione,
note.
tipologia, riferimenti autorizzativi.
nome, decreto di istituzione, estensione,
note.
capitaneria
competente,
coordinate
poligono, orario di attività, note.
coordinate, identificativo, note.
La carta topologica di base relativa alla batimetria è stata derivata dalle carte nautiche n. 6, 7, 8, e 9
alla scala 1: 100.000 dell’Istituto Idrografico della Marina.
In rapporto a tutti gli elementi ritenuti di interesse (morfologia, sedimentologia e geochimica dei
129
ICRAM
fondali, caratteristiche del popolamento ittico e del popolamento bentonico, caratteristiche
idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare), è stata quindi
condotta un’analisi critica mirata sia alla qualità in senso generale dei dati e delle informazioni
raccolte, sia alla possibilità di georeferenziare gli stessi.
L’indagine ha evidenziato diverse zone che necessitano di ulteriori approfondimenti (dati scarsi,
non recenti, scala non adeguata, impossibilità di georeferenziare i dati).
Una discreta parte dei dati e delle informazioni rinvenute in bibliografia è risultata, inoltre,
essere inutilizzabile per la redazione della banca dati cartografica, con la conseguenza che la
bibliografia utilizzata per la redazione delle carte non necessariamente coincide con quella
riportata nei singoli capitoli.
Da segnalare poi che per alcuni specifici tematismi (geochimica dei sedimenti e circolazione delle
acque) è emersa l’impossibilità di trasferire le informazioni raccolte su una base geografica
significativa.
I dati analizzati hanno pertanto permesso la costruzione di sei carte tematiche, alla scala 1: 250.000:
•
Carta della Distribuzione delle Biocenosi Bentoniche;
•
Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali
(primavera);
•
Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (estate);
•
Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (autunno);
•
Carta della Distribuzione dei Sedimenti Superficiali e dei Principali Lineamenti
Morfologici;
•
Carta dei Vincoli e degli Usi del Mare.
In particolare, le carte tematiche relative alla distribuzione delle aree di nursery delle principali
specie del popolamento demersale (autunno, primavera ed estate) sono state realizzate utilizzando i
dati di Ardizzone e Corsi (1997)17 e di Ardizzone et al. (1999)18, che riportavano entrambi
elaborazioni alla scala 1:500.000.
La carta relativa alla distribuzione autunnale è stata realizzata con i dati relativi al triennio 19941996 (Ardizzone et al.,1999), quella relativa alla distribuzione estiva con i dati relativi al triennio
1985-1987 (Ardizzone e Corsi, 1997), mentre quella relativa alla distribuzione primaverile
17
18
Ardizzone G.D., Corsi F. (Editors) (1997) – Atlante delle risorse ittiche demersali dei mari italiani. Atlas of Italian Demersal Fishery resources.
Trawl surveys 1985-1987. Erredi grafica. Genova
Ardizzone G.D., Corsi F., Agnesi S. (Editors) (1999) - Atlante delle Risorse Ittiche Demersali Italiane triennio 1994-1996. Ministero per le
Politiche Agricole. Roma 1999.
130
ICRAM
utilizzando entrambi i set di dati (dati 1985-1987 in Ardizzone e Corsi, 1997 e dati 1994-1996 in
Ardizzone et al.,1999). In quest’ultima carta, in particolare, è stato deciso di mantenere separati i
due set di dati, in quanto le diverse metodologie utilizzate per la loro realizzazione non hanno reso
possibile unificare, né mediare gli stessi in un unico risultato.
Nella tabella 2.2 vengono riportate gli elementi contenuti nelle carte tematiche.
Tabella 2.2 – Carte tematiche
Titolo della carta
Elementi considerati
Carta della Distribuzione dei Principali lineamenti morfologici: Costa sabbiosa; Costa alta e/o
Sedimenti Superficiali e dei rocciosa; Fronte deltizio; Limite tra scarpata di prodelta e piattaforma
Principali Lineamenti Morfologici
continentale esterna; Creep; Paleoalvei.
Classificazione dei sedimenti superficiali: Sabbia (frazione sabbiosa >
95%); Sabbia pelitica (frazione sabbiosa compresa tra 95 e 70%);
Pelite molto sabbiosa (frazione sabbiosa compresa tra 70 e 30%);
Pelite sabbiosa (frazione sabbiosa compresa tra 30 e 5%); Pelite
(frazione sabbiosa < 95%); Substrato litoide affiorante.
Carta della Distribuzione delle Posidonia oceanica prevalentemente su sabbia o “matte”; P. oceanica
Biocenosi Bentoniche:
prevalentemente su fondi duri; P. oceanica a fasci isolati e "matte”
morta; Sabbie fini degli alti livelli; Associazione a Cymodocea nodosa
su sabbie fini ben calibrate; Sabbie fini ben calibrate/fanghi terrigeni
costieri; Fanghi terrigeni costieri; Detritico infangato; Detritico
costiero; Detritico del largo – Facies a Leptometra phalangium.
Carte della distribuzione delle aree Eledone cirrhosa, autunno; Merluccius merluccius, autunno; Mullus
di nursery delle principali specie barbatus, autunno; Octopus vulgaris, autunno; Parapenaeus
demersali (autunno,):
longirostris, autunno; Phycis blennoides, autunno;
Carte della distribuzione delle aree Eledone cirrhosa, primavera; Merluccius merluccius, primavera;
di nursery delle principali specie Mullus barbatus, primavera; Octopus vulgaris, primavera;
demersali (primavera,):
Parapenaeus longirostris, primavera; Phycis blennoides, primavera;
Carte della distribuzione delle aree Eledone cirrhosa, estate; Merluccius merluccius, estate; Mullus
di nursery delle principali specie barbatus, estate; Octopus vulgaris, estate; Parapenaeus longirostris,
demersali (estate,):
estate; Phycis blennoides, estate.
Carta dei Vincoli e degli Usi del Fascia compresa entro il limite delle tre miglia; Aree Marine Protette e
Mare:
Parchi Nazionali; Oasi blu (WWF); Porti principali; Cavi e condotte;
Terminali off-shore; Zone di divieto di ancoraggio e pesca; Aree di
sversamento dei materiali portuali; Poligoni militari.
131
ICRAM
3. LETTURA INTEGRATA DEI DATI (Overlay mapping)
Le aree di Montalto di Castro e del Golfo di Gaeta sono state indicate, dalla Regione Lazio, come
prioritarie per un eventuale sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento. Da
qui la necessità d’avere indicazioni dettagliate e complete su tali aree, utili al fine di valutare la
compatibilità ambientale con l’estrazione delle sabbie.
A tal fine è stato utilizzato il G.I.S. con il data base creato. Attraverso l’analisi mediante la
sovrapposizione degli strati informativi relativi ai diversi tematismi delle due aree sopracitate,
vengono messe così in evidenza le zone in cui le informazioni esistenti in letteratura suggeriscono
una particolare attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento.
Per prima cosa sono stati individuati, nell’ambito dei dati utilizzabili, gli elementi che limitano o
condizionano significativamente le attività di movimentazione dei fondali, così come sotto riportati:
•
aree marine protette, parchi nazionali, oasi blu (WWF);
•
aree sensibili per la presenza di Posidonia oceanica;
•
aree sensibili per la presenza di nursery delle principali specie di interesse commerciale del
popolamento demersale;
•
usi legittimi del mare non compatibili con la movimentazione dei fondali (aree di
sversamento dei materiali portuali, cavi e condotte, terminali off-shore, zone di divieto di
ancoraggio e pesca, poligoni militari);
•
fascia delle 3 miglia dalla costa.
Alcuni di questi elementi - quali aree marine protette, parchi nazionali, oasi blu, aree di
sversamento dei materiali portuali, cavi e condotte, terminali off-shore, zone di divieto di
ancoraggio e pesca, fascia delle 3 miglia dalla costa, praterie di Posidonia oceanica - costituiscono
dei vincoli “rigidi”. Infatti, dove questi sono presenti non sono possibili attività di movimentazione
del fondale.
In particolare, laddove è presente Posidonia oceanica bisogna prevedere, oltre alle aree di vincolo
“rigido”, delle aree limitrofe di “rispetto” in cui le attività di movimentazione, per effetto della
circolazione locale, potrebbero compromettere lo stato di salute della pianta.
Le aree di nursery di specie ittiche d’importanza commerciale sono considerate importanti poiché
rappresentano le zone di concentrazione dei giovanili: perturbare queste aree può significare
compromettere il rendimento delle attività di pesca. Inoltre, in una valutazione di compatibilità
132
ICRAM
ambientale, bisogna considerare che sia l’estensione sia la localizzazione possono variare nello
spazio e nel tempo. Bisogna, inoltre, valutare la loro l’estensione rispetto a quella dell’area prevista
per le attività di estrazione, generalmente di dimensioni ridotte.
Invece, i poligoni militari non costituiscono un vincolo “rigido” per la possibilità di ottenere dalle
Autorità competenti l’autorizzazione a poter effettuare le attività previste, a seguito della
sospensione delle operazioni militari nelle suddette aree.
Gli elementi sopra elencati sono stati utilizzati per la realizzazione di cartografie mirate ad
evidenziare eventuali aree di attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento.
Sono state realizzate:
-Carte di sovrapposizione annuale;
-Carte di sovrapposizione stagionale;
-Carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio.
Carte di sovrapposizione annuale
Le carte presentate nelle figure 3.1 e 3.2 riportano (in giallo), rispettivamente per l’area di Montalto
di Castro e per il golfo di Gaeta, la distribuzione delle aree di attenzione ai fini delle attività di
movimentazione dei fondali per ripascimento (indicate di seguito come “aree di attenzione”). Si
tratta di carte generali, che non distinguono né la natura dei vincoli considerati, né come alcuni di
loro possano variare temporalmente.
Il confronto fra le due carte mostra una discreta differenza. L’area settentrionale (Montalto di
Castro) non sembra generalmente offrire, sulla base dei dati bibliografici disponibili, possibilità
concrete per un’estrazione delle sabbie ambientalmente compatibile (figura 3.1). Condizioni meno
restrittive sembrano invece presenti nell’area meridionale (golfo di Gaeta) (figura 3.2).
Carte di sovrapposizione stagionale
Il passaggio successivo è stato quello di fornire, per le due zone, una rappresentazione stagionale
delle aree di attenzione ai fini della movimentazione dei fondali per ripascimento, data la presenza
di elementi soggetti naturalmente a variazioni stagionali.
Sono state quindi realizzate le carte di sovrapposizione nelle tre stagioni esaminate (primavera,
estate, autunno), rispettivamente per Montalto di Castro (figure 3.3a, 3.3b e 3.3c) e per il golfo di
Gaeta (figure 3.4a, 3.4b e 3.4c).
133
ICRAM
Il confronto fra le tre carte relative all’area di Montalto di Castro (figure 3.3a, 3.3b e 3.3c) evidenzia
una significativa differenza nella distribuzione delle aree di attenzione. Nella carta di
sovrapposizione stagionale primaverile (figura 3.3a), le aree di attenzione sono localizzate lungo
una fascia parallela alla costa e tra Orbetello e Montalto di Castro verso il largo.
Nella carta di sovrapposizione stagionale estiva (figura 3.3b), la distribuzione delle aree di
attenzione si modifica rispetto a quanto osservato nella stagione primaverile. L’area principale
appare maggiormente estesa nel tratto di mare a nord del lago di Burano e nel tratto compreso tra il
fiume Mignone e Capo Linaro.
La carta di sovrapposizione stagionale autunnale (figura 3.3c) presenta ancora ulteriori differenze.
Le aree di attenzione si estendono senza soluzione di continuità da Orbetello fino a Capo Linaro.
Fanno eccezione due piccole aree, una (più settentrionale e più estesa) localizzata a largo del lago di
Burano e l’altra (più meridionale e dai contorni alquanto irregolari) situata a largo di Civitavecchia.
Anche le carte di sovrapposizione stagionale, relative al golfo di Gaeta, presentano differenze
significative nelle tre stagioni considerate (figure 3.4a, 3.4b, 3.4c).
La carta di sovrapposizione stagionale primaverile (figura 3.4a) evidenzia una area di attenzione
che si sviluppa parallelamente alla costa e un’area più ampia, estesa dal margine della piattaforma
verso largo, che interessa la gran parte della zona esaminata.
La carta di sovrapposizione stagionale estiva (figura 3.4b) presenta, per contro, condizioni
abbastanza differenti, soprattutto in relazione a quanto osservato nelle zone più al largo in cui aree
di attenzione sono presenti solamente a sud della foce del Garigliano.
La carta di sovrapposizione stagionale autunnale (figura 3.4c), infine, evidenzia una minore
incidenza delle aree di attenzione. Si riconosce, infatti, un’unica fascia caratterizzata da contorni
abbastanza regolari.
Per capire quale fosse l’incidenza dei singoli elementi nella definizione stagionale delle aree di
attenzione, sono state quindi realizzate le carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio.
Carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio
Le carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio, realizzate per entrambe le aree considerate
(rispettivamente figure 3.5a, 3.5b e 3.5c; figure 3.6a, 3.6b e 3.6c), riportano tutti gli elementi
considerati e già discussi nella parte I. Esse, pur non apportando ulteriori informazioni dal punto di
vista della distribuzione delle aree di attenzione, permettono di riconoscere nelle “nursery”
134
ICRAM
l’elemento discriminante fra le diverse condizioni stagionali; esse costituiscono, inoltre, anche
l’elemento maggiormente rappresentato in termini di estensione areale.
135
ICRAM
4. CONCLUSIONI
Si riporta, di seguito, un commento sintetico sullo studio di compatibilità ambientale relativo allo
sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento delle aree di Montalto di Castro e
del golfo di Gaeta.
Montalto di Castro
Dall’analisi delle carte ottenute mediante overlay mapping emerge in generale che le aree di
attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento risultano in gran parte costituite da
aree di nursery.
L’esame di dettaglio ha però evidenziato come la loro distribuzione areale vari con le stagioni. In
primavera, nella fascia di piattaforma estesa dalla costa fino ai 100m di profondità non sono
presenti aree di nursery. In estate sono presenti aree di nursery di Eledone cirrhosa (moscardino) tra
il promontorio dell’Argentario e Capo Linaro a profondità comprese tra 50 e 200m e una nursery di
Octopus vulgaris (polpo), situata a nord tra Graticciara e l’Argentario, estesa dalla zona costiera
fino ad oltre i 100m. In autunno, la situazione appare più complessa a causa della presenza di
diverse nursery. Una nursery di Mullus barbatus (triglia) è presente sottocosta fino a circa 100m tra
Montalto di Castro e Graticciara; nella stessa zona, dai 50m fino ad oltre i 100m si rinviene una
nursery di Eledone cirrhosa (moscardino). Infine, una vasta nursery di Merluccius merluccius
(merluzzo) si estende dai 100m verso profondità maggiori in tutta l’area considerata.
Nell’area di Montalto di Castro è anche importante segnalare la presenza sottocosta di praterie di
Posidonia oceanica, che potrebbero costituire un “vincolo” per lo svolgimento di eventuali attività
di movimentazione dei fondali. Infatti, oltre a non poter operare nelle aree interessate da questa
fanerogama, bisogna anche assicurarsi che eventuali lavori di movimentazione condotti in aree
limitrofe non ne compromettano lo stato di salute. E’ nota, infatti, la funzione della Posidonia per la
stabilizzazione del sedimento e quindi per il ruolo che essa riveste nel mantenimento dell’equilibrio
delle coste; essa costituisce, inoltre, l’area di nursery di numerose specie ittiche (Ardizzone, 198219;
Ardizzone e Pelusi, 198320). Da qui l’esigenza di conoscere dettagliatamente, nelle aree indagate,
l’intensità e la direzione delle correnti (dati attualmente non disponibili), al fine di prevedere le zone
di deposito del materiale fine, eventualmente messo in sospensione dalle attività di estrazione.
19
20
Ardizzone G.D. (1982) – Osservazioni sulla pesca a strascico entro le tre miglia dalla costa tra capo Circeo e Terracina (Medio Tirreno).
Naturalista siciliano, Suppl., 2, VI: 395-401.
Ardizzone G.D., Pelusi P. (1983) – Fish populations exposed to coastal bottom trawling along the middle Tyrrhenian sea. Rapp. Comm. Int. Mer
Medit., 28 , 5: 107-110.
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E’ necessario, inoltre, considerare che nell’area sono presenti altri elementi di “vincolo” per lo
svolgimento delle suddette attività, quali cavi e condotte, zone di divieto di ancoraggio e pesca e
poligoni militari.
Riguardo la distribuzione delle aree di nursery è necessario, infine, ricordare che i dati utilizzati
sono tratti da lavori a grande scala (1:500.000) effettuati alcuni anni fa. Pertanto, tali dati non
possono essere utilizzati per un’analisi di dettaglio al fine di valutare la compatibilità ambientale di
un’eventuale dragaggio ai fini di ripascimento, ma è necessario disporre di dati più aggiornati e a
scala adeguata.
Golfo di Gaeta
Anche nel golfo di Gaeta le analisi condotte hanno evidenziato che le aree di attenzione ai fini
dell’estrazione delle sabbie per ripascimento risultano in gran parte costituite da nursery. In
primavera, sono presenti aree di nursery di Parapeneus longirostris, Merluccius merluccius e
Phycis blennoides a profondità superiori ai 70m, particolarmente concentrate davanti la foce del
Volturno. In estate la situazione appare diversa: nursery di Octopus vulgaris sono presenti
sottocosta fino a circa 80m, mentre quelle di Eledone cirrhosa e di Parapeneus longirostris si
trovano più al largo. In autunno, invece, non sembrano essere presenti aree di nursery.
Nel golfo di Gaeta sono, inoltre, presenti impianti di acquacultura e mitilicoltura che potrebbero
costituire un “vincolo” per le attività di movimentazione dei fondali, qualora l’area venisse
interessata dal materiale fine messo in sospensione durante le suddette attività. Anche in questo
caso nasce quindi l’esigenza di conoscere dettagliatamente l’intensità e la direzione delle correnti
(dati attualmente non disponibili), al fine di prevedere le zone di deposito del materiale fine.
E’ necessario, inoltre, considerare che nell’area sono presenti altri elementi di “vincolo”, quali cavi
e condotte, zone di divieto di ancoraggio e pesca e poligoni militari.
Si ritiene importante sottolineare, infine, che il quadro descritto, relativamente alla distribuzione
delle aree di nursery, ha una valenza puramente generale, in quanto i dati utilizzati sono tratti da
lavori a grande scala (1:500.000) effettuati alcuni anni fa; valgono pertanto le analoghe
considerazioni fatte per l’area di Montalto di Castro.
*****
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Sulla base di quanto detto, relativamente alle aree di Montalto di Castro e del golfo di Gaeta, è
opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale, con particolare riferimento alla natura
degli elementi utilizzati per definire l’eventuale “non compatibilità ambientale” delle aree indagate.
Alcuni di questi elementi, infatti, come le aree marine protette, i parchi nazionali, le oasi blu, le aree
di sversamento dei materiali portuali, i cavi e le condotte, i terminali off-shore, le zone di divieto di
ancoraggio e pesca, la fascia delle 3 miglia dalla costa e le praterie di Posidonia oceanica
costituiscono dei vincoli “rigidi”. Infatti, dove questi sono presenti non sono possibili attività di
movimentazione del fondale.
Non costituiscono, invece, un vincolo “rigido” i poligoni militari poiché è possibile ottenere dalle
Autorità competenti l’autorizzazione a poter effettuare le attività previste, a seguito della
sospensione delle operazioni militari nelle suddette aree.
Dall’analisi di dettaglio delle due aree di Montalto di Castro e del golfo di Gaeta sono emersi alcuni
aspetti importanti, quali:
•
Necessità di condurre indagini a scala temporale stagionale
Indagini condotte esclusivamente su base annuale porterebbero ad escludere la possibilità di
compiere attività di movimentazione dei fondali per la presenza di estese zone di non compatibilità
ambientale (figure 3.1 e 3.2). Invece, indagini riferite alle diverse condizioni stagionali hanno
permesso di identificare delle “finestre temporali”, ovvero aree che risultano compatibili con le
attività di estrazione delle sabbie solo in determinate stagioni.
Infatti, alcuni degli elementi utilizzati per la valutazione di compatibilità ambientale sono risultati,
come nel caso delle aree di nursery, soggetti a significativi cambiamenti stagionali.
•
Necessità di disporre di dati aggiornati
Si ritiene importante segnalare la necessità di disporre di dati aggiornati, soprattutto quando si
studiano risorse importanti come quelle demersali che, oltre a presentare diversità stagionali
(nursery), sono soggette a variazioni anche considerevoli di anno in anno.
Anche per quanto riguarda la Posidonia oceanica è, infine, necessario disporre di dati aggiornati,
essendo questa molto sensibile alle variazioni di apporto sedimentario e soggetta a cambiamenti
significativi nel breve tempo.
•
Necessità di disporre di scale di rilevamento adeguate
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Le analisi condotte, relativamente, ad esempio, al popolamento ittico e le aree di nursery, sono
risultate basate su una distribuzione non uniforme e spesso carente per quello che riguarda
l’ambiente di piattaforma. Quando si affronta tale tipo di problematiche (compatibilità ambientale
delle attività di movimentazione dei fondali) si dovrebbe, al contrario, disporre di indagini mirate
(ambiente di piattaforma) e condotte a una scala adeguata.
•
Necessità di ovviare a dati carenti o assenti
Nelle analisi condotte per l’identificazione delle aree di attenzione, alcuni dati, come quelli relativi
alla correntometria, non sono stati considerati per la mancanza di informazioni e/o per
l’impossibilità di georeferenziare quelle disponibili. Questo tipo di informazioni, per l’importanza
che la circolazione riveste soprattutto nella veicolazione del materiale fine, non possono
assolutamente essere trascurate nelle successive fasi di approfondimento.
La conoscenza della direzione e dell’intensità delle correnti potrebbe, infatti, essere di estrema
rilevanza in presenza di ambienti sensibili, quali le praterie di Posidonia oceanica. Infatti, durante
le attività di estrazione delle sabbie potrebbero verificarsi fenomeni di risospensione di materiale
fine, in grado di incidere negativamente sulle comunità bentoniche presenti.
In definitiva, la variazione delle caratteristiche della circolazione nelle diverse stagioni può influire
in modo significativo sulla scelta del periodo, durante il quale le attività di movimentazione
possono essere svolte senza produrre importanti alterazioni sull’ambiente.
In conclusione, emerge la necessità di eseguire ulteriori indagini dettagliate e mirate per lo studio di
compatibilità ambientale con attività di movimentazione dei fondali ai fini di ripascimento. In
particolare, lo scenario prospettato in questo lavoro, basato esclusivamente sui dati bibliografici,
potrebbe cambiare qualora integrato con i risultati di nuove indagini specifiche. Pertanto, sulla base
dei dati disponibili non è possibile fornire indicazioni valide circa la compatibilità ambientale in
specifiche zone né, tantomeno, indicare probabili “finestre temporali” in cui l’impatto sull’ambiente
potrebbe essere contenuto.
Il lavoro presentato in questa relazione si inserisce all’interno di un più vasto programma di
pianificazione a scala regionale inerente lo studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento
di depositi sabbiosi sommersi lungo la piattaforma continentale ai fini di ripascimento. La Regione
Lazio insieme all’ICRAM ha, infatti, messo a punto un programma di indagine articolato in tre fasi
principali (Caratterizzazione della piattaforma continentale laziale attraverso dati di letteratura o
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Fase A, Caratterizzazione dell’area vasta o Fase B, Caratterizzazione del sito prima, durante e dopo
i lavori di dragaggio o Fase C). Sulla base dei risultati ottenuti in questa fase (Fase A) si procederà,
quindi, nelle aree potenzialmente interessate dall’estrazione di sabbie, alla caratterizzazione sia dei
fondali sia della colonna d’acqua (Fase B). Nella Fase B saranno effettuati campionamenti specifici
riguardanti i principali parametri fisici, chimici e biologici al fine di fornire un quadro di dettaglio e
di colmare le lacune emerse dall’analisi dei dati bibliografici.
Il data base organizzato in questo lavoro risulta, in ogni caso, importante come punto di partenza
ma non sufficiente al fine di una corretta gestione ambientale. Integrando e aggiornando i dati con i
risultati ottenuti da indagini specifiche, esso potrà costituire un importante e utile strumento al fine
di valutare la compatibilità ambientale delle attività di movimentazione ai fini di ripascimento.
È importante, comunque, sottolineare che il valore dello strumento proposto, pur nei limiti
precedentemente descritti, risiede nella possibilità di fornire, per una determinata area, quali siano
gli elementi discriminanti nella definizione della compatibilità ambientale in relazione alle attività
in oggetto.
Nell’ambito di una pianificazione a livello regionale, la metodologia proposta consentirà, quindi,
una visione complessiva dell’ambiente piattaforma permettendone una gestione rapida e
semplificata, con ottimizzazione di tempi e costi.
Il Responsabile del Programma
Massimo Gabellini
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