ICRAM Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare STUDIO PER L’IMPATTO AMBIENTALE CONNESSO ALLO SFRUTTAMENTO DI DEPOSITI SABBIOSI SOMMERSI AI FINI DI RIPASCIMENTO LUNGO LA PIATTAFORMA CONTINENTALE LAZIALE Fase A – Caratterizzazione della piattaforma continentale laziale (Sintesi dei dati di letteratura scientifica e tecnica) Regione Lazio 2002 ICRAM Responsabile Scientifico: Massimo Gabellini Coordinamento: Luisa Nicoletti Hanno collaborato per l’ICRAM: • • • • • • Paola La Valle Maria Celia Magno Emanuela Fanelli Ornella Nonnis Daniela Paganelli Marina Pulcini ICRAM INDICE PREMESSA 3 INTRODUZIONE 5 PARTE I - Analisi Critica della Letteratura 1. MORFOLOGIA E SEDIMENTOLOGIA 1.1 L’entroterra 8 1.2 La fascia costiera 11 1.3 La piattaforma continentale 14 Bibliografia 2. GEOCHIMICA Introduzione 42 2.1 Geochimica dei sedimenti della piattaforma 44 Bibliografia 3. POPOLAMENTO BENTONICO Introduzione 53 3.1 Distribuzione delle biocenosi bentoniche 56 3.2 Posidonia oceanica e altre fanerogame marine 62 Bibliografia 4. POPOLAMENTO ITTICO Introduzione 73 4.1 Popolamento ittico demersale 73 4.2 Aree di nursery e rendimenti delle specie demersali di maggior interesse commerciale 80 4.3 Attività di pesca 85 4.4 Impianti di acquacoltura e mitilicoltura 98 4.5 Popolamento ittico delle barriere artificiali 99 Bibliografia 5. CARATTERISTICHE IDROLOGICHE E DINAMICHE DELLE MASSE D’ACQUA Introduzione 105 1 ICRAM 5.1 Masse d’acqua 105 5.2 Circolazione 107 Bibliografia 6. VINCOLI E USI DEL MARE Introduzione 112 6.1 Aree marine protette, parchi nazionali e oasi blu 114 6.2 Barriere artificiali 116 6.3 Terminali off-shore 117 6.4 Cavi, condotte di scarico e oleodotti 118 6.5 Aree di sversamento dei materiali portuali 121 6.6 Poligoni militari 123 Bibliografia 7. CONCLUSIONI 126 PARTE II - Analisi Cartografica: Banca Dati ed Elaborazioni 1. GEOGRAPHICAL INFORMATION SYSTEM (G.I.S.) 128 2. COSTRUZIONE DELLA BANCA DATI CARTOGRAFICA 129 3. LETTURA INTEGRATA DEI DATI (Overlay mapping) 132 4. CONCLUSIONI 136 Allegati: - Carta della Distribuzione dei Sedimenti Superficiali e dei Principali Lineamenti Morfologici - Carta della Distribuzione delle Biocenosi Bentoniche - Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (primavera) - Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (estate) - Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (autunno) - Carta dei Vincoli e degli Usi del Mare 2 ICRAM PREMESSA E’ noto da tempo come il litorale nazionale sia soggetto a rilevanti fenomeni erosivi e di arretramento della linea di costa, soprattutto a causa dell’antropizzazione “incontrollata” delle coste con conseguente immobilizzazione delle dune, della presenza di derivazione e sbarramenti sui corsi d’acqua e del prelievo di inerti. Con il procedere del degrado dell’ambiente costiero diventa, quindi, sempre più importante la ricerca di materiale idoneo da utilizzare per la ricarica delle spiagge al fine di proteggere tratti di litorale interessati da significativi fenomeni di erosione. Da segnalare come negli ultimi anni sia stata posta particolare attenzione alla possibilità di utilizzare giacimenti di sabbie sommerse presenti lungo la piattaforma continentale. In particolare, la Regione Lazio ha avviato una serie di studi (in collaborazione con università e istituti di ricerca) finalizzati sia all’identificazione di possibili giacimenti di sabbie sommerse da utilizzare ai fini di ripascimento, sia all’impatto ambientale generato dal loro eventuale sfruttamento. E’ stata quindi avvertita l’esigenza di disporre di un bagaglio completo di informazioni, derivanti da studi interdisciplinari, capaci di offrire una lettura rapida e integrata delle diverse tematiche ambientali che possono interagire con le attività di movimentazione dei fondali. Questo lavoro si inserisce all’interno di un più vasto programma di pianificazione a scala regionale inerente lo studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi lungo la piattaforma continentale laziale. In particolare, la Regione Lazio ha messo a punto insieme all’ICRAM un programma di indagini articolato in tre Fasi principali: Fase A, che costituisce l’oggetto specifico di questa relazione, Fase B e Fase C. Nella Fase A, di raccolta e analisi dei dati disponibili in letteratura, vengono definiti i principali caratteri della piattaforma continentale laziale in merito a: morfologia, sedimentologia e geochimica dei fondali, popolamento bentonico ed ittico, caratteristiche idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare. Sulla base dei risultati ottenuti nella Fase A, si procederà nelle aree potenzialmente interessate dall’estrazione di sabbie alla caratterizzazione sia dei fondali che della colonna d’acqua (Fase B). Nella Fase B verranno, quindi, effettuati campionamenti specifici riguardanti i principali parametri 3 ICRAM fisici, chimici e biologici, al fine di fornire un quadro di dettaglio e di colmare le lacune emerse dall’analisi dei dati bibliografici. Verranno, quindi, condotte indagini di maggior dettaglio per ogni sito individuato come potenzialmente sfruttabile (Fase C). La Fase C sarà articolata in una Fase C1, prima dell’inizio dei lavori e necessaria per l’autorizzazione, una Fase C2, durante i lavori, e una Fase C3 di monitoraggio, al termine delle attività di dragaggio. Questo studio ha, quindi, lo scopo di fornire un quadro il più completo possibile delle conoscenze attualmente disponibili per le varie discipline afferenti il dominio marino della piattaforma continentale del Lazio. La necessità di disporre di un quadro dettagliato, aggiornato e aggiornabile, nasce dalla consapevolezza che la corretta gestione dei fondali marini, soprattutto in rapporto al loro eventuale sfruttamento (coltivazione di depositi sabbiosi sommersi), necessita di supporti scientifici rilevanti e autorevoli, basati sullo studio e sulla comprensione del “sistema piattaforma”, in tutta la sua complessità (Bartolini et al., 1986)1. Poiché il tema dei ripascimenti è un argomento sempre attuale, con programmi spesso a lungo termine, è nata l’esigenza di creare dei data base aggiornabili da utilizzare anche in futuro. Per lo svolgimento di tale attività, essenzialmente basata sull’integrazione e sul confronto di dati non omogenei e afferenti a diverse discipline, è stato utilizzato un sistema multidisciplinare di pianificazione, mediante l’utilizzo di un G.I.S. (Geographical Information System). La disponibilità di tecnologie informatiche relative alla gestione e alla rappresentazione dei dati semplificano, infatti, la redazione di cartografie anche complesse. Per questo motivo i dati raccolti in letteratura sono stati utilizzati per la realizzazione di un S.I.T. (Sistema Informativo Territoriale) che nell’immediato ha permesso sia la visualizzazione dei dati raccolti nelle diverse discipline in una serie di carte tematiche scelte sia, mediante processi di overlay, la visualizzazione in alcune precise zone delle aree di attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie. 1 Bartolini C., Bernabini M., Burragato F., Maino A. (1986) - Rilievi per Placers sulla piattaforma continentale del Tirreno centro-settentrionale. In P.F. CNR “Oceanografia e Fondi marini” Sottoprogetto “Risorse minerarie” Rapp. Tec. Fin.: 97-117. 4 ICRAM INTRODUZIONE La piattaforma continentale è definita come quella porzione sommersa di continente caratterizzata da bassi fondali e deboli pendenze del fondo marino (tra 0.1° e 1°) ed è associata, alle medie latitudini, a una sedimentazione limoso-argillosa (Selli, 1970)2. Essa è delimitata verso largo da un bordo esterno o ciglio (shelf break), ubicato a una profondità media di 130-140m e identificato da un brusco aumento della pendenza del fondo; si distinguono una piattaforma interna, estesa fino a una profondità di 40-50m e una piattaforma esterna, da 40-50m fino al ciglio (Ricci Lucchi, 1980)3. La piattaforma, così come la scarpata che ne determina il ciglio esterno, è un elemento strutturale, legato cioè all’evoluzione tettonica dei continenti (Ricci Lucchi, 1980). Al motivo strutturale si sono poi sovrimposti gli effetti prodotti dalle oscillazioni glacioeustatiche del livello marino, responsabili di importanti modificazioni sui margini continentali. Nella maggior parte dei casi la sedimentazione attuale che interessa la piattaforma è per lo più di natura terrigena, essendo alimentata dal carico solido trasportato dai corsi d’acqua; al contrario, nel caso di piattaforme isolate, che bordano per esempio piccole isole, la sedimentazione è fortemente controllata dall’attività biologica (sedimenti biogenici), come nel caso dei sedimenti calcarei delle piattaforme tipo Bahamas e Golfo Persico, per i quali sono stati riconosciuti evidenti fenomeni di biomineralizzazione (Fabricius, 1977)4. La distribuzione dei sedimenti superficiali lungo le piattaforme continentali è, generalmente, controllata dall’azione del moto ondoso che opera una separazione abbastanza netta tra carico di fondo (sabbia) e carico sospeso (fango). Il primo viene concentrato sottocosta, nelle spiagge, nelle barriere, ecc., e va ad alimentare il prisma costiero; il secondo è disperso più al largo dall’inerzia della stessa corrente fluviale (pennacchi torbidi), da onde di tempesta, correnti di marea e correnti costiere, e forma la cosiddetta lente o coltre di fango. Lungo la piattaforma è però possibile trovare anche sedimenti grossolani deposti in condizioni diverse da quelle attuali (sabbie relitte). Essi sono interpretati come depositi continentali e litorali pleistocenici non in equilibrio con le condizioni attuali e ricoprono ben il 70% delle piattaforme continentali. (Emery, 1968)5. Nell’area in studio la piattaforma continentale è caratterizzata dall’essere più stretta e acclive rispetto alla media delle piattaforme italiane (Savelli e Wezel, 1980)6, sebbene essa sia una delle 2 Selli R. (1970) – Cenni morfologici generali sul mar Tirreno. Giornali di Geologia, 37: 5-24. Ricci Lucchi F. (1980) – Sedimentologia, parte III: Ambienti sedimentari e facies. CLUEB Ed., Bologna: 545 pp. 4 Fabricius F. (1977) – Origin of marine ooids and grapstones. Contribution to sedimentology, 7, Scweizerbart, Stuttgart: 113pp. 5 Emery K.O. (1968) – Relict sediments on continental shelves of the world. Bull. Amer. Ass. Petrol. Geol., 52: 445-464. 6 Savelli D., Wezel F.C. (1980) - Morphologic map of the Tyrrhenian Sea, scale 1:1.250.000. P. F. CNR Oceanografia e Fondi Marini – Bacini sedimentari. Lit. Art. Cart., Firenze. 3 5 ICRAM piattaforme maggiormente sviluppate dell’intero margine tirrenico (Marani et al., 1986)7. La sua ampiezza è variabile: è più limitata nel settore centrale, tra Capo Linaro e Capo Circeo (20Km), mentre è maggiormente estesa nei settori settentrionale (tra l’Argentario e Capo Linaro) e meridionale (tra Capo Circeo e Gaeta) (30-40km). La sua pendenza media è di poco inferiore a 0.5° mentre il margine verso mare, in corrispondenza del quale ha inizio la scarpata continentale, è ben definito e si trova ad una profondità variabile tra i 120m e i 150m (Chiocci e La Monica, 1996)8. L’area oggetto di questo studio comprende parte della piattaforma continentale del Lazio fino alla profondità di circa 100m; quest’area è, infatti, quella più direttamente interessata da eventuali attività di estrazione delle sabbie. La relazione in oggetto è stata articolata in due parti. Nella parte I si analizza criticamente la letteratura esistente, riportando nei capitoli specifici gli elementi considerati: la morfologia, la sedimentologia e la geochimica dei fondali, le principali caratteristiche del popolamento bentonico e del popolamento ittico demersale, le caratteristiche idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, i vincoli e gli usi legittimi del mare. I risultati relativi a qualità e quantità dei dati raccolti provenienti sia dalla letteratura scientifica che tecnica sono riportati nel capitolo 7. Nella parte II viene presentata la banca dati cartografica realizzata, alla scala 1:250.000, sulla base dei risultati emersi nella parte precedente, mediante l’utilizzo di un apposito sistema G.I.S., dalla quale sono state estratte le carte relative a: -distribuzione dei sedimenti e dei principali lineamenti morfologici; -distribuzione delle biocenosi bentoniche; -distribuzione delle aree di nursery delle principali specie di interesse commerciale (primavera, estate e autunno); -vincoli e usi legittimi del mare. Il G.I.S. è stato, inoltre, utilizzato per effettuare una lettura integrata dei dati disponibili, mediante operazioni di analisi spaziale (overlay mapping), nelle due aree di Montalto di Castro (VT) e del golfo di Gaeta (LT), sulla base delle indicazioni fornite dalla Regione Lazio. Nonostante sia nota la presenza di depositi sabbiosi lungo gran parte della piattaforma laziale, queste aree sono state considerate prioritarie per la messa in sicurezza di alcuni tratti di litorale laziale. 7 8 Marani M., Taviani M., Trincardi F., Argnani A., Borsetti A. M., Zitellini N. (1986) - Pleistocene progradation and post-glacial events of the NE Tyrrhenian continental shelf between the Tiber River delta and Capo Circeo. Mem. Soc. Geol. It., 36, 67-89. Chiocci F.L., La Monica G.B. (1996) - Analisi sismostratigrafica della piattaforma continentale. In: Il Mare del Lazio – Elementi di oceanografia fisica e chimica, biologia e geologia marina, clima meteomarino, dinamica dei sedimenti ed apporti continentale. Regione Lazio. Tip. Borgia. Roma: 40-61. 6 ICRAM Si ritiene importante, infine, sottolineare che i prodotti cartografici presentati in questo lavoro hanno una valenza puramente indicativa e pertanto non possono essere utilizzati come carte operative per la programmazione delle attività di dragaggio, essendo stati realizzati con dati bibliografici spesso relativi a lavori datati e/o condotti ad una scala non adeguata. 7 ICRAM PARTE I: Analisi Critica della Letteratura 1. MORFOLOGIA E SEDIMENTOLOGIA 1.1 L’entroterra Cenni di geologia e geomorfologia La principale fonte di sedimenti terrigeni presenti sulla piattaforma continetale è costituita dai rilievi emersi continuamente sottoposti ai processi di weathering (fisico, chimico e biologico) e che ne determinano l’alterazione e la frammentazione; la natura della roccia originaria e le condizioni climatiche prevalenti determinano l’intensità con cui si verificano tali processi. Ne consegue che nello studio degli ambienti marini è importante conoscere, almeno nelle linee più generali, le caratteristiche geologiche salienti dei bacini versanti. L’assetto geologico della regione laziale ha origine da quegli eventi che, durante la fase miopliocenica dell’orogenesi alpina, hanno corrugato i sedimenti mesozoici prevalentemente carbonatici e gran parte dei depositi terrigeni cenozoici, deposti nel mare della Tetide. Nel Pliocene-Pleistocene la catena, già emersa, è stata interessata da una fase tettonica prevalentemente distensiva che ha dato origine a vaste depressioni colmate da estesi bacini lacustri e da un vasto braccio di mare esteso nella valle del Tevere. Nelle depressioni interne si sono accumulati sedimenti eterogenei fluvio-lacustri, mentre nella depressione del Tevere si sono deposti sedimenti marini prevalentemente argilloso-sabbiosi, successivamente ricoperti da sedimenti continentali. Contemporaneamente ha avuto inizio un’intensa attività vulcanica che ha dato origine all’allineamento di vulcani, esteso dal Monte Amiata fino a Roccamonfina. L’area considerata risulta attualmente costituita da tre principali ambienti morfo-strutturali: • la dorsale appenninica, dove corre lo spartiacque che divide i bacini idrografici con foce nell’Adriatico e nel Tirreno e che occupa il settore sud-orientale della regione. Essa è costituita da rilievi prevalentemente carbonatici che, nel settore più meridionale, si spingono fino al mare con la catena dei Volsci; • il Graben del Tevere e le sue diramazioni che hanno dato origine a una vasta e articolata depressione posta al centro della regione e di cui la Valle Latina costituisce la propaggine più meridionale; 8 ICRAM • gli apparati vulcanici del monte Amiata, dei monti Vulsini, Cimini, Sabatini e Albani e, all’estremo settore meridionale, l’apparato di Roccamonfina, che occupano gran parte del settore occidentale della regione. La fascia peritirrenica è bordata, da nord a sud, dai grandi distretti vulcanici: gran parte di essi presenta conche lacustri più o meno ampie riconducibili o a centri di emissione, come nel caso dei laghi di Vico, di Martignano, di Castel Gandolfo e di Nemi, o a depressioni vulcano-tettoniche, generate da episodi di collasso seguiti allo svuotamento delle camere magmatiche sottostanti, come nel caso dei bacini lacustri di Bolsena e di Bracciano. Più a sud, oltre la foce del Tevere, che scorre all’interno del graben omonimo, è presente la Pianura Pontina che costituisce, in termini morfologico-strutturali, il settore più depresso dell'intero Lazio e che, per questo motivo, è stata invasa a più riprese dal mare durante il Pliocene e il Quaternario, tanto che il rilievo isolato del Monte Circeo, che da essa si erge verso ovest, è passato più volte da isola a promontorio. A oriente della Pianura Pontina si individuano le dorsali calcaree fra loro parallele e allungate in direzione NO-SE dei Monti Lepini-Ausoni-Aurunci e dei Monti Simbruini-Ernici, separate tra loro dalla Valle Latina. Queste dorsali calcaree, che rappresentano ciò che rimane dell'antica piattaforma carbonatica laziale-abruzzese, sono limitate spesso verso ovest da brusche scarpate di faglia e sono caratterizzate da valli che tagliano longitudinalmente e trasversalmente i lineamenti geologici principali dell’Appennino. Quando queste dorsali sono venute a trovarsi in posizione arretrata rispetto alla linea di costa, si sono potute instaurare condizioni favorevoli alla formazione di pianure costiere più o meno estese. E’ questo il caso dei monti Aurunci, al cui arretramento si deve lo sviluppo della piana costiera del fiume Garigliano, mentre al maggior arretramento dei monti di Caserta è imputabile l’esistenza della più ampia piana costiera del fiume Volturno, che, come la precedente, è stata sede, nel Quaternario, di un’intensa sedimentazione (Brancaccio et al., 1991; Pennetta et al., 1998). In definitiva è possibile rilevare che mentre il litorale centro-settentrionale è caratterizzato da un entroterra costituito prevalentemente da formazioni vulcaniche, cui si deve un apporto detritico importante (Ferretti et al., 1989b), quello meridionale è caratterizzato da importanti pianure litoranee (Agro Pontino e Piana di Fondi) e da rilievi prevalentemente carbonatici (Promontorio di Monte Circeo, Monti Ausoni e Aurunci). La presenza di questi rilievi che spesso si spingono fino al mare, ha determinato l’instaurarsi di un’idrografia superficiale poco sviluppata cui fa però riscontro una circolazione sotterranea rilevante e a cui si deve la presenza di numerose emergenze puntuali, anche sottomarine. 9 ICRAM Cenni di idrologia e idrogeologia Le acque continentali sono in grado di esercitare una significativa influenza sugli ambienti marini adiacenti, sia per effetto del trasporto di sedimenti che possono alimentare la spiaggia e la piattaforma continentale interna, sia per effetto del trasporto in mare dei contaminanti. I fiumi che versano le loro acque nel mare antistante la costa laziale sono diversi, i più importanti sono il Tevere, il Garigliano e il Volturno9. Per tutti è stata stimata una portata media complessiva pari a 526 m3/s, così ripartita: 7.9 m3/s il Fiora, 2.3 m3/s l’Arrone, 7.3 m3/s il Marta, 4.4 m3/s il Mignone, 224.8 m3/s il Tevere, 21.8 m3/s l’Amaseno, 141.8 m3/s il Garigliano e 84 m3/s il Volturno, cui si somma il contributo di bacini minori e di sorgenti sottomarine (31.7 m3/s) (Boni et al., 1996). Si può osservare come il Tevere, pur avendo una portata specifica dimezzata rispetto a quella del Garigliano (rispettivamente 12.6 l/s/Km e 27 l/s/Km), contribuisca con oltre il 40% al deflusso totale, il Garigliano con il 27% e il Volturno con il 17%, mentre i corsi d’acqua minori forniscono portate assai più limitate (Boni et al., 1996). Nel bacino del Tevere si distingue un settore settentrionale che, pur essendo privo di risorse idriche importanti, è caratterizzato da elevati valori di ruscellamento e contribuisce in modo significativo al suo carico solido. Il settore sud-orientale, in cui dominano le grandi dorsali carbonatiche, costituisce invece un ingente serbatoio di acque sotterranee ed alimenta il flusso di base del Nera-Velino e dell’Aniene; infine, il settore sud-occidentale drena i domini vulcanici del Lazio settentrionale ed è caratterizzato da ruscellamento limitato e flusso di base sostenuto, per la presenza di importanti acquiferi nei domini vulcanici. 9 In realtà il Volturno ha la propria foce nella regione Campania, ma poiché sfocia all’interno del golfo di Gaeta, si ritiene importante considerare anche il suo apporto. 10 ICRAM 1.2 La fascia costiera Aspetti geomorfologici Il litorale laziale, articolato su un totale di circa 297km, è formato in gran parte da spiagge sabbiose (78 %) caratterizzate da ampie falcature. Alle coste basse si alternano tratti di costa rocciosa (22 %) che possono costituire veri promontori, come nel caso di Capo Linaro, Capo d’Anzio e Monte Circeo, oppure generare limitati aggetti costieri all’interno di insenature più o meno ampie, come per Terracina e Sperlonga o, infine, dare luogo a ripe rocciose poco elevate come quelle presenti tra il fiume Mignone e Civitavecchia e tra Capo d’Anzio e Torre Astura, con piccole baie e pocket beaches (La Monica e Raffi, 1996). L’area più settentrionale che si estende dal promontorio dell’Argentario alla foce del fiume Mignone, presenta un andamento ad arco con apertura a SO, in cui sfociano i fiumi Fiora e Marta e altri corsi d’acqua di minore importanza. Essa è caratterizzata da una costa prevalentemente bassa, sabbiosa e orlata di dune, che passa a costa rocciosa nel tratto più meridionale, in corrispondenza di estesi affioramenti di arenarie conglomeratiche del Pliocene superiore. Sono presenti, lungo questo tratto di litorale sabbioso, il lago costiero di Burano, paludi costiere e lingue di eluviale recente, talora torboso, raccoltosi entro laghi o stagni costieri per prevalente azione eolica. Dalla foce del fiume Marta fino a Ladispoli si avvicendano tratti di costa bassa in erosione, talora privi di sabbia, con affiorante un substrato argilloso fluvio-lacustre, tratti di costa alta e piccole pocket beach sabbiose. Da Ladispoli ad Anzio si estende, invece, la grande unità fisiografica del fiume Tevere. La morfologia costiera, in questo tratto, è caratterizzata da una successione di cordoni sabbiosi che marcano gli stadi di costruzione del delta tiberino in epoca storica. Alle sue spalle sono presenti tre aree palustri bonificate e una piana costiera estesa da Castel Porziano al Monte Circeo. Il Tevere drena un bacino di 17.156km2 e prima di giungere al mare, percorre la propria piana deltizia per circa 15Km. In prossimità della costa si divide in due canali distributori di cui il principale dà origine alla foce di Fiumara Grande, e a cui si deve l’esistenza della cuspide deltizia, mentre il secondo, artificiale e di epoca romana, raggiunge il mare poco più a nord con una foce armata (canale artificiale di Fiumicino). La parte emersa del delta, sviluppatasi soprattutto nel corso degli ultimi 4-5.000 anni (Bellotti et al., 1989), è costituita da una piana deltizia superiore, morfologicamente piatta e a dominio fluviale, e da una piana deltizia inferiore, a dominio marino ed eolico. Quest'ultima presenta una serie di cordoni litorali di accrescimento (beach ridges), che segnano le fasi della recente progradazione iniziata a una distanza di circa 4km dall’odierna linea di riva (3.500-2.500 anni fa). 11 ICRAM Sebbene siano stati riconosciuti momenti di arresto, di ripresa e di accelerazione (alto medioevo), l’accrescimento è stato pressoché continuo fino a circa 40 anni fa, quando si è instaurata una forte tendenza erosiva, tuttora in corso. L'erosione, che ha agito e agisce principalmente sulla parte centrale dell'apparato, i cui materiali ridistribuiti a nord e a sud delle foci sono andati ad ampliare i litorali delle ali deltizie (Caputo et al., 1987), viene essenzialmente attribuita alla drastica riduzione degli apporti solidi fluviali (Bellotti e De Luca, 1979), registrata soprattutto negli anni '50 e dovuta alla realizzazione di alcuni invasi artificiali lungo il medio e basso corso del Tevere (Corbara, Nazzano e Castel Giubileo). L'area deltizia, bonificata delle sue zone palustri ad inizio secolo, è stata, infine, oggetto di un’intensa antropizzazione che ha portato alla realizzazione e/o all’ampliamento di diversi centri abitati come Focene, Fiumicino e Ostia, nonché alla realizzazione dell'aeroporto Internazionale di Fiumicino. Immediatamente a sud della foce del Tevere, fra Capo d’Anzio e il Circeo, la continuità del litorale è interrotta dal piccolo promontorio di Torre Astura. A nord, fra Anzio e Torre Astura, si sviluppa la piccola unità fisiografica di Anzio, lungo la quale affiorano le unità del Plio-Pleistocene cui si deve l’esistenza del promontorio omonimo; al piede degli affioramenti è presente un’esile spiaggia. L’intensa antropizzazione del litorale, in corrispondenza soprattutto dei centri di Anzio e di Nettuno, ne ha profondamente modificato l’aspetto, impedendone il naturale sviluppo e limitando, di fatto, l’estensione dell’unità fisiografica al tratto compreso fra Nettuno e Torre Astura. Il settore meridionale, esteso tra Torre Astura e il Circeo, è invece caratterizzato dalla presenza di cordoni dunari che si frappongono fra il mare e i laghi costieri, estesi praticamente lungo tutto il litorale (lago di Fogliano, lago dei Monaci, lago di Caprolace e lago di Sabaudia). Fra Monte Circeo e Gaeta il litorale, arcuato e leggermente asimmetrico, presenta caratteristiche morfologiche peculiari rispetto al resto della regione, prevalgono infatti, le coste alte e frastagliate e con falesie e frequenti pocket beaches. A sud di Gaeta il litorale è caratterizzato, invece, da una costa alluvionale bassa che si estende fino alla foce del Garigliano. Segue, infine, la grande unità fisiografica dei fiumi Volturno e Garigliano, che si estende fino al Monte di Procida. Aspetti sedimentologici della spiaggia emersa e sommersa Nell’area antistante la costa laziale, i fondali compresi tra la battigia e l’isobata dei 10m presentano un andamento e un’ampiezza che riflettono i principali lineamenti della morfologia costiera: fondali poco acclivi, associati a un’ampia fascia costiera, sono localizzati nel Lazio settentrionale, mentre 12 ICRAM un’acclività maggiore determina il restringimento della stessa lungo le coste meridionali del Lazio (La Monica e Raffi, 1996). In corrispondenza dei litorali bassi e sabbiosi sono presenti più ordini di barre, rettilinee e più continue quelle esterne e discontinue e con frequente festonatura quelle interne (La Monica e Raffi, 1996). Indagini di dettaglio condotte nella fascia compresa tra 0 e 10 m lungo tutto il litorale laziale (La Monica e Raffi, 1996) hanno evidenziato come i sedimenti ivi presenti siano costituiti quasi esclusivamente da sabbie medie e fini, con differenze abbastanza evidenti a nord e a sud del Tevere. Nei settori settentrionali sono presenti sedimenti che vanno dalle sabbie molto grossolane alle sabbie finissime (diametro medio compreso tra -1.2 e +4 phi10), mentre a sud prevalgono rispettivamente sabbie fini e medie (diametro medio rispettivamente di +3.5 e +0.8 phi). Sabbie molto grossolane bioclastiche sono associate a fondali profondi e acclivi (dal Fiora al Mignone), mentre sabbie grossolane si rinvengono su fondali a debole acclività, come nel caso del tratto compreso tra Capo Linaro e Palo e tra Torre Astura e Torre di Foce Verde. Al contrario, la costa rocciosa e le forti pendenze del fondo che caratterizzano la costa fra Monte Circeo e Scauri non sembrano influenzare la granulometria dei sedimenti di spiaggia soggiacenti (sabbie fini). Le indagini condotte circa l’influenza degli apporti solidi fluviali sulle caratteristiche delle spiagge laziali indicano che solo i fiumi Tevere e Garigliano influenzano la fascia batimentrica compresa tra 0 e 10m, mentre i corsi d’acqua minori incidono al più sulla composizione mineralogica (La Monica e Raffi, 1996). La composizione mineralogica delle sabbie delle spiagge del litorale laziale è stata, in particolare, associata al disfacimento dei vulcani quaternari ed è caratterizzata, ad eccezione delle aree più prossime alla foce del Tevere, da vistose concentrazioni di minerali pesanti (Brondi et al., 1971). Per quanto attiene alla deriva litorale, questa verrà trattata nel paragrafo successivo, in riferimento alle singole aree in cui, per semplicità di rappresentazione, è stata suddivisa la piattaforma continentale del Lazio. Se non diversamente indicato, le informazioni discusse sono quelle tratte da Milli (1993). 10 Il phi è un’unità di misura del diametro delle particelle ed è, in particolare, uguale al logaritmo in base 2 del rapporto fra il diametro della particella, espresso in mm, e il diametro unitario. 13 ICRAM 1.3 La piattaforma continentale laziale Da un punto di vista morfologico, la piattaforma laziale si presenta più stretta ed acclive rispetto alla media delle piattaforme italiane (Savelli e Wezel, 1980), sebbene essa sia una delle piattaforme maggiormente sviluppate dell’intero margine tirrenico (Marani et al., 1986). L’ampiezza è variabile: è più limitata nel settore centrale, tra Capo Linaro e Capo Circeo (20km), ed è più estesa (30-40km) nei settori settentrionale (tra l’Argentario e Capo Linaro) e meridionale (tra Capo Circeo e Gaeta). La sua pendenza media è di poco inferiore a 0.5° mentre il margine, ove inizia la scarpata continentale, è ben definito e si trova ad una profondità variabile tra i 120m e i 150m (Chiocci e La Monica, 1996; 1999). Questo tratto di piattaforma viene oggi definita come un margine continentale passivo molto giovane, essenzialmente di età pliocenica e quaternaria (ultimi 5 milioni di anni), dominato da una sedimentazione detritica e caratterizzata da una modesta escursione di marea (Bartole, 1990; Chiocci, 1989; Chiocci e La Monica, 1999). Essa è ubicata immediatamente a nord del limite tra il dominio del Tirreno settentrionale (con caratteristiche tipiche di un margine continentale) e quello del Tirreno meridionale (interpretato come bacino in via di oceanizzazione), entrambi legati alla generale distensione post-orogenica che ha interessato tutto il margine occidentale della penisola italiana (Chiocci e La Monica, 1996, Trincardi e Zitellini, 1987; Zitellini et al. 1986). Indagini sismiche condotte nel tratto di piattaforma compreso tra Civitavecchia e Capo Circeo hanno evidenziato come le strutture tettoniche ivi presenti siano riconducibili a due episodi differenti, legati da un lato all’apertura del bacino tirrenico (alto Miocene-basso Pliocene) e dall’altro a movimenti transpressivi di età pleistocenica (Marani e Zitellini, 1986). Per la costruzione del margine continentale sono state riconosciute condizioni eustatiche diverse dall’attuale, come è testimoniato dalle differenze riscontrate tra le unità sismiche che costituiscono il margine e i depositi olocenici (Marani et al., 1986; Chiocci et al., 1997) e dai lineamenti morfosedimentari (incisioni sulla piattaforma; spiagge e costruzioni carbonatiche nella piattaforma media ed esterna; incisioni lungo la scarpata superiore) non compatibili con l’attuale posizione del mare. Le attuali caratteristiche dei fondali marini (almeno fino all’isobata dei 120m) sono, infatti, il risultato dell’azione di due fattori diversi: l’apporto di sedimenti della terraferma e le variazioni glacioeustatiche pleistoceniche (ultimi 2.000.000 anni), in particolare quelle relative all’ultima risalita del livello del mare (20.000-8000 anni fa) (La Monica e Raffi, 1996). I depositi del Pleistocene medio-superiore che costituiscono il margine laziale si sono formati 14 ICRAM durante un periodo di abbassamento del livello del mare o lowstand (Marani et al., 1986; Chiocci et al., 1997). La sedimentazione olocenica di alto stazionamento (highstand) è, invece, principalmente collegata a sorgenti di materiale detritico che hanno favorito la progradazione dei settori costieri antistanti, i quali hanno ricevuto un consistente apporto di sedimenti. La sedimentazione è sempre ristretta alle spiagge o alla porzione di piattaforma interna o media antistante la sorgente di materiale detritico (Chiocci et al., 1997). Le indagini sismiche condotte lungo il margine tirrenico laziale (Chiocci, 1991; Chiocci e La Monica, 1996; 1999) hanno permesso di riconoscere come la piattaforma sia costituita, dal basso verso l’alto, da un basamento acustico su cui poggia una potente serie clinostratificata troncata al tetto da una superficie d’erosione subaerea; la successione termina con la sequenza deposizionale post-glaciale. Il basamento acustico11 è stato correlato da Bartole (1984; 1990) alle unità geologiche dell’Appennino e, in particolare, procedendo da nord a sud: • ai depositi di Falda Toscana di età triassico-cretacica, che affiorano all’Isola di Giannutri e ad Ansedonia; • ai depositi flyschiodi liguridi di età cretacico-paleocenica (probabilmente Pietraforte) che costituiscono il Promontorio di Capo Linaro; • al substrato carbonatico di età meso-cenozoica, presente in affioramento tra Sperlonga e Gaeta. Nel tratto che va dal Fiume Tevere a Capo Circeo l’unità più profonda è stata attribuita da Marani et al. (1986) a una formazione sedimentaria stratificata e tettonizzata di età mio-pliocenica. La serie clinostratificata di età pleistocenica (da 2.000.000 a 20.000 anni fa) presenta una stratificazione che evidenzia l’assetto progradante e la pendenza del fondo marino sui cui si depositavano i sedimenti. L’inclinazione degli strati, maggiore verso largo, indica una deposizione in ambiente di scarpata continentale (Marani et al., 1986). All’interno della serie clinostratificata sono presenti superfici di discordanza angolare e terrazzi deposizionali, che testimoniano l’emersione della piattaforma nel Pleistocene durante le fasi di basso stazionamento eustatico. La serie termina con una superficie d’erosione generata dall’emersione della piattaforma avvenuta durante la glaciazione würmiana (20.000-18.000 anni fa), quando il livello del mare era di circa 120m più basso dell’attuale in seguito all’immobilizzazione di grandi masse d’acqua nelle calotte polari e nei ghiacciai continentali (Chappel e Shakleton, 1986; Williams, 1988). 11 unità ben riconoscibile sui profili sismici perché completamente sorda alla prospezione. 15 ICRAM La superficie d’erosione, caratterizzata sismicamente da un forte coefficiente di riflessione e da una netta discordanza angolare con i depositi sottostanti, è localmente interessata dalla presenza di paleoalvei associati o meno alla presenza di corsi d’acqua tuttora attivi (tratto AnsedoniaCivitavecchia) o attivi solo nel passato (tratto Capo Circeo-Gaeta) (Chiocci e La Monica, 1996; 1999). La trasgressione versiliana, che corrisponde all’innalzamento del livello del mare che ha avuto luogo a partire da circa 18.000 anni fa, pur essendo stata prevalentemente di tipo non deposizionale, ha lasciato, in alcune aree, depositi trasgressivi che sono ciò che rimane dei sedimenti costieri che si andavano formando durante la risalita del mare. Tali depositi sono caratterizzati da una base piatta e un tetto ondulato, causato dalla rielaborazione subita in seguito al passaggio della linea di riva. Circa 8.000-6.000 anni fa ha, infine, avuto inizio la stabilizzazione del livello del mare su quote prossime all’attuale; sulla piattaforma continentale è iniziata così la deposizione dei sedimenti olocenici, che in piattaforma esterna sono costituiti prevalentemente da peliti drappeggianti le morfologie sottostanti. Da segnalare, infine, la presenza, al largo della costa meridionale del Lazio (golfo di Gaeta), dell’arcipelago pontino. Esso è costituito dalle isole di Ponza, Palmarola e Zannone a ovest e da quelle di Ventotene e Santo Stefano a est e dà luogo a una catena allungata per circa 30km in direzione NO-SE. L’evoluzione dell’arcipelago è connesso sia con i processi tettonici distensivi post-orogenici che all’ispessimento crostale associato all’apertura del Mar Tirreno (Bartole, 1984). Ad eccezione delle unità sedimentarie del Mesozoico e Cenozoico e delle metamorfiti affioranti in limitati settori dell’isola di Zannone, tutte le isole sono interamente vulcaniche e principalmente di età pleistocenica (Report TI.VOL.I. CRUISE, 1998). Poiché l’area di interesse è, ai fini del programma in oggetto, quella relativa alla sola piattaforma continentale interna e, dato che i principali lineamenti morfologici e le caratteristiche dei sedimenti superficiali non sono omogenei e costanti lungo tutta la piattaforma, si è ritenuto opportuno suddividere l’area in oggetto in sei zone, al fine di fornire una descrizione dettagliata e rappresentativa: • Monte Argentario - Capo Linaro 16 ICRAM • Capo Linaro - Fiumicino • Foce del Tevere • Fiumicino - Monte Circeo • Monte Circeo - foce del Garigliano • Isole Pontine MONTE ARGENTARIO – CAPO LINARO Deriva litorale L’area in esame è interessata prevalentemente dai mari provenienti da sud (Mezzogiorno), sudovest (Libeccio) e ovest (Ponente) (Milli, 1993). In particolare per i mari da sud la deriva litorale è diretta sempre verso NO, i mari da SO generano due correnti di deriva che si muovono verso SE nel settore settentrionale del litorale e verso nord-ovest in quello meridionale; mentre i mari da ovest influenzano solo l’area tra Punta delle Morelle e Civitavecchia determinando una corrente diretta verso SE (Milli, 1993). L’azione combinata di queste correnti determina una risultante negli spostamenti dei materiali lungo riva, tale da permettere la distinzione di due settori: • Settore compreso tra Ansedonia e Punta delle Morelle: è caratterizzato da una prevalente deriva litorale verso SE nel tratto compreso tra il Lago di Burano e la località di Sughereto, e da una corrente lungo riva verso NO nel tratto compreso tra la località di Sughereto e Punta delle Morelle; la località Sughereto, ubicata in posizione centrale rispetto ai due tratti costieri, costituisce così una zona di accumulo di sedimenti (Milli, 1993). • Settore compreso tra Punta delle Mourelle e Torre Sant’Agostino: la corrente di deriva è diretta verso SE nel tratto compreso tra Punta delle Morelle e la foce del torrente del Gesso e verso NO nel tratto compreso tra Torre S. Agostino e la foce del torrente del Gesso (Milli, 1993). Studi di carattere composizionale hanno individuato in questo litorale un generale trasporto lungo costa dei sedimenti verso NO (Anselmi et al., 1976), avvalorato dall’andamento del tratto terminale delle aste dei fiumi Marta e Mignone e dei loro modesti apparati deltizi che risultano appunto spostati verso NO. Batimetria e morfologia dei fondali Nel tratto considerato, la piattaforma continentale è ampia (30-40km) e poco articolata verso largo, 17 ICRAM mentre in prossimità della costa si presenta movimentata per la presenza di alti morfologici rocciosi riferibili ai complessi geologici affioranti in superficie (Chiocci e La Monica, 1996). Sulla base dell’assetto batimetrico questo tratto di piattaforma può essere suddiviso in due settori principali, ubicati rispettivamente a nord e a sud di Punta delle Morelle. Nel tratto settentrionale le isobate presentano un andamento abbastanza regolare e sub-parallelo alla linea di costa, mentre il fondale presenta una pendenza media di circa 0.4°; l’unica irregolarità è data dall’affioramento roccioso della Formica di Burano, ubicato al largo del lago omonimo. Nel settore meridionale, esteso tra Punta delle Morelle e Torre Sant’Agostino, la presenza di affioramenti rocciosi determina una certa irregolarità del fondale, che presenta dislivelli anche di alcuni metri. Proseguendo verso sud, si assiste ad un aumento della pendenza media del fondo, maggiormente accentuata nel tratto compreso tra Torre Sant’Agostino e Capo Linaro, cui corrisponde la presenza di una costa alta e rocciosa con l’isobata dei 10m distante soli 500m dalla linea di riva. Un elemento caratteristico è dato, in quest’area, dalla presenza di alti morfologici paralleli alle isobate, sub-affioranti sul fondo marino e ricoperti dai sedimenti più recenti, interpretati come paleocordoni litorali. Essi sono geometricamente caratterizzati da una base piatta (coincidente con la superficie d’erosione würmiana) e da un tetto ondulato (coincidente con la superficie di ingressione). I paleocordoni hanno uno spessore massimo di 20-25m ed una larghezza di 6001000m; il principale di questi corpi si osserva tra i 55 e i 65m di profondità, altri sono stati osservati tra i 25 e 35m (Chiocci e La Monica, 1996, 1999). Altre forme positive sono presenti tra i 95 e i 110 m di profondità e corrispondono a testate di strato affioranti o parzialmente sepolte. Questo tratto di piattaforma è, inoltre, caratterizzato dalla presenza dei depositi e delle forme associati ai paleoalvei ubicati in prosecuzione delle attuali aste fluviali (fossi Chiarone e Tafone, fiume Fiora, torrente Arrone e fiume Marta), circa parallele tra loro ed ortogonali alla linea di costa (Chiocci e La Monica, 1999). Nella fascia di fondale compresa tra i 15 e 25m di profondità è da segnalare la presenza pressoché continua di praterie di Posidonia oceanica, interrotte solo nelle aree antistanti le foci fluviali. Origine e distribuzione dei sedimenti Nel tratto di costa in esame si possono distinguere due unità fisiografiche, quella del Tombolo di Feniglia (Bartolini et al., 1977; Evangelista et al., 1977; La Monica et al., 1984) e quella che va dallo sperone roccioso di Ansedonia a Torre Sant'Agostino (Caputo et al., 1981). Le due unità, i cui 18 ICRAM sedimenti provengono soprattutto dai complessi vulcanici dell'entroterra e presentano un trasporto prevalente lungo costa diretto verso NO (Anselmi et al., 1976), costituiscono un unico compartimento litorale, chiuso agli apporti sedimentari esterni a nord dal Monte Argentario e a sud dai fondali rocciosi di Torre Sant'Agostino. L’area sottocosta viene rifornita dal punto di vista sedimentario principalmente dagli apporti solidi dei fiumi Fiora, Marta e Mignone, e subordinatamente da quelli di alcuni corsi d'acqua minori, che solo localmente e durante le fasi di forte alluvionamento influenzano la sedimentazione marina (Angelucci et al., 1979; Carboni et al., 1980; Tortora et al., 1986; Tortora, 1989a; 1989b). I sedimenti portati al mare dai corsi d’acqua sono esclusivamente sabbioso-argillosi (Evangelista et al., 1996), ma sembra che solo i tre fiumi principali e l'Arrone siano in grado di fornire un apporto significativo alla sedimentazione sabbiosa litorale (AA.VV., 1985). La presenza delle numerose foci fluviali, unitamente alla morfologia dei fondali caratterizzati dalla presenza di posidonieti e/o biocostruzioni, può favorire l’intrappolamento dei sedimenti o costituire uno sbarramento per il loro transito, e di conseguenza condizionare fortemente la sedimentazione locale (La Monica e Raffi, 1996). L’azione del moto ondoso distribuisce i sedimenti in funzione delle loro caratteristiche tessiturali, permettendo la gradazione dei depositi superficiali in relazione alla crescente intensità dei processi idrodinamici verso il largo. La fascia costiera risulta, quindi, caratterizzata da sedimenti sabbiosi e sabbioso-pelitici con aumento della frazione limoso-argillosa verso largo (Tortora, 1989b). A maggiori profondità la sedimentazione, non più direttamente correlabile con la batimetria, è influenzata, soprattutto nel settore di piattaforma centrale e meridionale, dai processi di dispersione dei limi fluviali. In generale, la sedimentazione attuale si svolge con apporti sia extra bacinali di origini fluviale, nei fondali antistanti le foci dei principali corsi d’acqua, sia con apporti intrabacinali, le cui sorgenti sedimentarie principali sono costituite dai sedimenti dell'unità trasgressiva (sabbie relitte), mentre quelle secondarie provengono dalle costruzioni organogene, presenti sui fondali rocciosi e dalle aree caratterizzate dalla presenza di Posidonia oceanica, fornitrici di materiale bioclastico. In particolare, i depositi olocenici relativi alla piattaforma interna sono costituiti da un’unità trasgressiva sabbiosa basale a cui si sovrappone una unità pelitica di sedimentazione recente. La prima è subaffiorante nei fondali che si estendono tra Ansedonia e Marina di Pescia Romana, caratterizzati da una scarsa deposizione di limi attuali. La seconda, nelle zone antistanti il Tombolo di Feniglia e le foci dei fiumi Fiora, Marta e Mignone, dà luogo a depositi dalla geometria cuneiforme, che dalla costa si protendono verso il largo fino ai 30-50m di profondità. Tali depositi 19 ICRAM sono particolarmente potenti soprattutto nelle zone antistanti le foci fluviali principali e il loro sviluppo, guidato dalle incisioni dei paleoalvei, è avvenuto soprattutto verso il largo. Nelle aree prossime alla presenza di posidonia il sedimento è spesso di natura bioclastica e increspato da ripple mark. In particolare, tra i fiumi Fiora e Mignone, nella fascia batimetrica compresa tra 5 e 10m, sono presenti sabbie molto grossolane spesso di natura bioclastica. Invece, al traverso del fiume Mignone si rinvengono sedimenti più fini già intorno ai 20m di profondità (La Monica e Raffi, 1996). Altri studi condotti nell’area sono quelli di Borelli et al. (1986), Cipollone (1990), Fiorini (1992) e Tortora (1996) relativi alle caratteristiche sedimentologiche e stratigrafiche della coltre sedimentaria, quelli di Aiello et al. (1978), Bartolini et al. (1979), Bartolini et al. (1986) mirati alla ricerca di sabbie metallifere (placers), quelli di Tortora (1992; 1994) per la ricerca di depositi sabbiosi da utilizzare per il ripascimento dei litorali in erosione e quelli di ENEL (1993; 1994) e ISMES (1991) finalizzati a indagini di supporto per la costruzione della centrale ENEL di Montalto di Castro, ai quali si rimanda per ogni ulteriore approfondimento. CAPO LINARO – FIUMICINO Deriva litoranea Il settore in esame è direttamente interessato dalle ondazioni provocate dai venti foranei provenienti dal II, III e IV quadrante, che innescano per i mari provenienti da sud una corrente di deriva litorale diretta costantemente verso NO; l’ondazione da SO, soprattutto in corrispondenza dell’aggetto apicale del delta del Tevere, determina condizioni di deriva litorale in opposte direzioni (NO e SE), mentre per i mari provenienti da ovest la corrente di deriva è sempre diretta verso SE (Milli, 1993). Batimetria e morfologia dei fondali Il tratto di piattaforma interna compreso tra Capo Linaro e Fiumicino può essere suddiviso in due settori per il diverso andamento dei fondali, condizionati anche dell’articolazione della fascia costiera. A nord (da Capo Linaro a Palo), infatti, è presente una successione di promontori ed insenature caratterizzate da piccole spiagge ciottolose, alimentate dai modesti corsi d’acqua che drenano i versanti meridionali dei Monti della Tolfa e che non forniscono significativi apporti di materiali terrigeni. A sud (da Palo sino alla foce del Tevere) si passa ad una costa bassa e sabbiosa, con andamento debolmente ondulato, per la presenza di piccole cuspidi generate dagli aggetti 20 ICRAM costieri di natura calcarenitica di Macchiatonda, Torre Flavia e Palo. Il tratto più meridionale (da Ladispoli alla foce del Tevere) è caratterizzato quasi esclusivamente dagli apporti del fiume Tevere e coincide, di fatto, con l’ala destra del suo delta (La Monica e Raffi, 1996). La spiaggia sommersa risente dell’assetto morfologico del tratto emerso ed è caratterizzata, a nord, dalla presenza di numerose secche (Secche di Macchiatonda, Torre Flavia e Palo), che giungono fino alla profondità di 20m e sulle quali si rinviene Posidonia oceanica. Oltre i 20m, la morfologia dei fondali diventa omogenea ed è caratterizzata da un progressivo incremento delle pendenze. Il tratto meridionale, coincidente con la conoide sommersa del delta del Tevere (Chiocci e La Monica, 1996), presenta, invece, fondali omogenei. In questo tratto la spiaggia sottomarina che raggiunge la massima ampiezza in corrispondenza di Fiumicino, è interessata dalla presenza, fino alla profondità di 10m, di più ordini di barre (La Monica e Raffi, 1996). Da punto di vista sismico il tratto di piattaforma in esame sembra sia costituito da un’unica unità, acusticamente trasparente (indice di litologie omogenee), poggiante direttamente sulla superficie d’erosione würmiana e riferibile all’attuale sedimentazione di piattaforma di origine tiberina. La distribuzione degli spessori attuali non è omogenea, ma sono stati individuati nel settore in esame due grossi deponenti: il primo al traverso di Civitavecchia-S. Marinella, il secondo coincidente con la conoide sommersa del fiume Tevere. In tutta l’area solo al traverso di Capo Linaro è stato rinvenuto un deposito trasgressivo caratterizzato probabilmente da sedimenti grossolani (Chiocci e La Monica, 1999). Tra Capo Linaro e Ladispoli, è da segnalare, a profondità comprese fra i 50 e i 90m, la presenza di alcuni alti morfologici costituiti da testate di strato riferibili a depositi pleistocenici; analoghi affioramenti del substrato litoide sono presenti anche al largo di S. Severa e a sud di Palo (Chiocci e La Monica, 1999). Procedendo verso sud si incontrano, invece, i depositi del delta del Tevere, la cui intensa sedimentazione post-glaciale ha mantellato la morfologia preesistente, obliterandola e rendendo la morfologia del fondo assai regolare. Origine e distribuzione dei sedimenti Il tratto di piattaforma in esame è in gran parte sotto l’influenza degli apporti solidi del Fiume Tevere. Nel settore settentrionale sino a Ladispoli il fondale è caratterizzato dalla prevalenza di peliti sabbiose, il cui limite verso terra è legato alla distribuzione delle biocostruzioni: ove queste sono maggiormente diffuse, tale limite si posiziona su fondali più profondi (ad es. in prossimità dei promontori), mentre in corrispondenza delle insenature il limite verso terra delle peliti sabbiose risulta posizionato su fondali meno profondi. 21 ICRAM In questo tratto di piattaforma, la mancanza di sedimenti a prevalente componente sabbiosa indica, oltre alla mancanza di apporti dall’interno, l’azione di blocco che le biocostruzioni operano sui sedimenti in deriva litoranea da SE. I sedimenti ad elevata componente sabbiosa si rinvengono a SE di Ladispoli (Palo) quando, scomparsi i posidonieti e le biocostruzioni, inizia a farsi sentire in modo evidente l’influenza degli apporti di origine fluviale. In questo settore si rinvengono, variamente distribuite, diverse facies sedimentarie. Sabbie e sabbie pelitiche si rinvengono sul fronte del delta fino a circa 20m di profondità, mentre le peliti molto sabbiose si trovano tra i 20 e i 30m. Su quest’ala del delta il passaggio tra questi sedimenti e quelli più pelitici si ha tra i 60 e i 75m. Tale distribuzione dei sedimenti è tuttavia caratterizzata dalla presenza di alcune “irregolarità” da mettere in relazione ai fenomeni di flocculazione che si verificano all’incontro fra le acque dolci di origine continentale e le acque marine; è stata, infatti, riscontrata la deposizione di sedimenti più fini di quello che consentirebbero le sole condizioni idrodinamiche (Bellotti e Tortora, 1985). Altri studi condotti nell’area sono quelli di Chiocci (1989) e Tufoni (1992), relativi a indagini di carattere sismostratigrafico e ai quali si rimanda per ogni ulteriore approfondimento. FOCE DEL TEVERE Deriva litorale Il settore in esame è direttamente interessato dalle ondazioni provocate dai venti foranei provenienti dal II, III e IV quadrante; in particolare l’ondazione da SO, determina in corrispondenza dell’aggetto apicale del delta condizioni di deriva litorale in opposte direzioni (NO e SE) (Milli, 1993). Gli studi condotti sulla ripartizione dei sedimenti di origine tiberina hanno confermato come i sedimenti apportati dal Tevere si distribuiscono verso NO lungo l’ala destra del delta sino a Palo e verso SE lungo l’ala sinistra sino all’altezza di Tor Paterno. L’area della foce deltizia rappresenta la zona dove si concentra maggiormente l’energia del moto ondoso a causa dei processi di rifrazione, si ha quindi anche la massima erosione (come testimoniato dal forte arretramento della line di riva da entrambi i lati) e le più elevate variazioni granulometriche (Bellotti et al., 1993). Batimetria e morfologia dei fondali Il tratto di piattaforma che si estende da Capo Linaro a Capo d’Anzio è dominato dalla cuspide 22 ICRAM deltizia del Tevere che, con la sua forma arcuata, costituisce l’elemento morfologico dominante di tutta l’area. Il raccordo al litorale avviene a nord nei pressi di Ladispoli (Palo) e a sud in prossimità di Lavinio. Il delta, di forma arcuata, è caratterizzato da un regime microtidale a dominio ondoso ed è percorso da due canali distributori: il Canale di Fiumicino e Fiumara Grande, che costituisce il ramo principale (Bellotti e Tortora, 1985). La presenza del delta del Tevere influenza in modo evidente sia la spiaggia che la piattaforma continentale interna, mentre il tratto più esterno della piattaforma, che si estende fino a 150m di profondità, non è interessato dalla sedimentazione deltizia (Bellotti et al., 1993). I depositi distali si sviluppano anche parallelamente alla costa, verso nord ovest, arrivando fino al traverso di Civitavecchia (Bellotti e Tortora, 1985). L'apparato sottomarino del delta è costituito da terra fino all’isobata di 25m da un fronte deltizio caratterizzato da un fondale a debolissima pendenza (0,2°–0,3°), il cui limite esterno dista 4-6km dalla costa (Bortoluzzi et al.,1982). Tale settore è fortemente influenzato dalla rifrazione del moto ondoso che, per la forma arcuata del delta, induce una forte concentrazione di energia all’apice dell’apparato e flussi di corrente lungo riva che guidano il trasporto delle sabbie verso le ali (Caputo et al., 1987). Il fondale è piatto e privo di morfologie erosive o deposizionali di rilievo, ad eccezione delle barre localizzate in prossimità delle foci fluviali (a 3-4m di profondità). Verso largo, il delta prosegue con la scarpata di prodelta, caratterizzata da un’acclività più elevata (0,6°–0,9°); in essa si riconoscono una parte superiore che si spinge fino ai 75m di profondità e una inferiore, di raccordo con la piattaforma, che si estende fino a 115m. Lungo la scarpata, in una fascia estesa fra i 50 e i 110m di profondità, sono stati segnalati alcuni fenomeni di instabilità gravitativa (lenti movimenti franosi superficiali) (Chiocci et al., 1991) che deformano il fondo marino creando una serie di gradini alti in media 3-5 m (Chiocci e La Monica, 1996). L’assetto stratigrafico del delta è notevolmente complesso e legato agli eventi di tre fasi principali. La più antica è quella relativa all’ultimo periodo glaciale di stazionamento basso del mare (circa 20.000 anni), quando la piattaforma continentale era in gran parte emersa e si andava a formare una superficie di erosione. La risalita del livello del mare determinò sul margine la completa erosione del paleo-delta di basso stazionamento e, successivamente più verso terra, indusse una forte sedimentazione all’interno della valle glaciale incisa dal F. Tevere. Tale valle ospitava un complesso barriera-laguna in continua retrogradazione a causa dell’eustatismo positivo. 23 ICRAM In seguito, la stabilizzazione del mare (5-6000 anni fa) portò a una forte colmata dell’antica laguna e, in seguito a ciò, le foci fluviali raggiunsero finalmente la barriera litorale e gli apporti solidi poterono riversarsi direttamente in mare. Da quel momento inizia la storia recente del delta, altamente dominata dai processi di progradazione. Ad essi si deve l’attuale configurazione arcuata dell’apparato emerso, derivante dalla saldatura dei cordoni di accrescimento, e l’esteso deposito prismatico regressivo del delta sommerso (Bellotti e Tortora, 1996). Origine e distribuzione dei sedimenti Il tratto di piattaforma antistante la foce del Tevere è caratterizzato da una notevole variabilità areale dei processi ondosi e fluviali, tali da determinare sul prodelta e sul fronte deltizio la presenza di più tipi di sedimento. Sui fondali più profondi e lungo la fascia litorale si osserva una maggiore uniformità di prodotti sedimentari (Bellotti e Tortora, 1996). Il sedimento superficiale segue una zonazione secondo fasce parallele alla costa, grossomodo coincidenti con i principali settori morfodinamici dell’apparato sottomarino del delta (Tortora, 1995; Bellotti e Tortora, 1996). Si distinguono: 1. la spiaggia emersa e sommersa (fronte deltizio superiore), caratterizzate da sabbie e sabbie limose; 2. il fronte deltizio inferiore con limi molto sabbiosi ed altre tipologie subordinate; 3. il prodelta superiore nel quale dominano il limo sabbioso ed il fango sabbioso, a cui si associano sedimenti più fini oppure più grossolani; 4. il prodelta inferiore e la piattaforma continentale esterna (dove è assente il deposito deltizio) dove prevalgono i fanghi, soprattutto quelli a dominante argillosa. Sebbene la metà settentrionale del delta sia quella caratterizzata da più alti tassi di deposizione, non è stata riscontrata una sedimentazione asimmetrica rispetto alle foci (Bellotti et al., 1987a; 1993). La differenza nei tassi di deposizione è imputabile ad una persistente corrente costiera (Lechi e Todisco, 1980) e alla maggiore ricorrenza dei mari da sud, ambedue agenti nel deflettere verso NO il flusso ipopicnale di acqua dolce con il suo carico solido in sospensione. Al contatto tra le acque dolci e quelle del cuneo salino, che risale il corso dei due distributori (Fiumara Grande e canale artificiale di Fiumicino) durante le fasi di alta marea, avvengono i primi processi di flocculazione del sedimento fine di origine fluviale. Tali processi avvengono in aree spostate verso terra o verso mare rispettivamente durante i periodi di magra o di piena del fiume, anche se avvengono generalmente in modo più intenso in mare, poco più a largo delle aree di 24 ICRAM abbandono del carico grossolano che origina le barre di foce (Bellotti et al., 1993). Il moto ondoso è il principale fattore che controlla la dispersione del carico fluviale (Bellotti e Tortora, 1985). Provvede sia alla ridistribuzione del sedimento sabbioso sul fronte deltizio sia all’orientamento e all’estensione verso il largo del pennacchio torbido. La variabilità del moto ondoso e dei deflussi liquidi e torbidi fluviali, la modesta escursione di marea e l’assenza di un bacino accettore morfologicamente articolato sembrano essere i fattori principali che condizionano la dinamica deltizia attuale. Il fronte del delta, a causa dell'azione del moto ondoso e dell'interazione tra questo e gli apporti fluviali, è caratterizzato da variazioni granulometriche nel tempo, tali da far ipotizzare che i materiali ivi presenti siano soggetti ad una notevole dinamica, con frequenti fenomeni di deposizione, erosione e smistamento (Bortoluzzi et al., 1982; Bellotti et al., 1993). Tali variazioni sembrano, inoltre, essere la causa di ricorrenti modificazioni batimetriche sulla fascia compresa tra la costa e i 20m di profondità (Bortoluzzi et al., 1982). Il fronte del delta viene, inoltre, interpretato come una zona di raccolta momentanea del sedimento fluviale, che qui viene smistato dal moto ondoso in ragione della sua granulometria e avviato verso la costa o verso il largo. Al tempo stesso è anche un'area di by passing di parte del materiale finissimo fluviale che, in sospensione sulla lama ipopicnale di acqua dolce, viene portato a notevole distanza dalla foce fino a decantare sulla scarpata di prodelta. Il sedimento presente sulla scarpata di prodelta rappresenta, pertanto, il prodotto finale della selezione granulometrica agente durante il trasporto e che non sembra risentire delle variazioni stagionali, come attesta la stabilità granulometrica riscontrata. Le caratteristiche granulometriche del sedimento deposto (argille e limi) sono indice di condizioni di bassa energia, non compatibili quindi né con la rimozione del sedimento né con il suo eventuale trasporto nella zona costiera di più elevata dinamica (Bellotti et al., 1993). La gradazione laterale del sedimento, tipica di molti apparati deltizi sottomarini, indica una sedimentazione alloctona, con chiara provenienza del sedimento dal Fiume Tevere; sono invece assenti sorgenti marine locali di sedimento, quali potrebbero essere eventuali antichi corpi relitti del delta. Altri studi che hanno interessato sia il settore emerso e che quello sommerso del delta sono quelli di Almonti et al. (1990), Bagnari et al. (1984), Belfiore et al. (1987), Bellotti et al. (1984; 1986a, b, c; 1987b; 1989a, b, c; 1994a, b; 1995), Bellotti e De Luca (1979), Bortoluzzi et al. (1983), Chiocci (1989), Chiocci e Normark (1992), Chiocci e La Monica (1999), Chiocci e Milli (1992; 1994; 25 ICRAM 1995), Chiocci e Tommasi (1996), Ciolli (1995), Fabbri et al. (1984), Falese (1992), Frignani et al. (1985), Ghirlanda e Ronda (1981), La Monica e Raffi (1996), Mikhailova et al. (1998), Trincardi e Normark (1988), Tufoni (1992) e ai quali si rimanda per ogni ulteriore approfondimento. FIUMICINO – MONTE CIRCEO Deriva litorale Il settore in esame è direttamente interessato dalle ondazioni provocate dai venti foranei provenienti da ovest, SO e sud. Nel settore compreso tra il delta del Tevere ed Anzio l’ondazione da SO, determina, in seguito alla presenza dell’aggetto apicale del delta, una corrente di deriva litorale diretta verso SE (Milli, 1993). Nel tratto compreso tra Anzio e Monte Circeo i mari provenienti da sud innescano correnti di deriva dirette costantemente verso NO. Per i mari di provenienza occidentale, i più importanti ai fini del trasporto lungo costa, la deriva è diretta invece verso SE (AA.VV., 1985; Milli, 1993). Batimetria e morfologia dei fondali La piattaforma continentale raggiunge, nel tratto compreso tra il delta del Tevere e il promontorio del Circeo, una delle massime estensioni osservate sul margine continentale tirrenico (una media di circa 20Km). Il ciglio della piattaforma è ubicato ad una profondità media di circa 160m, anche se nel settore settentrionale si eleva raggiungendo i 120-140m di profondità (Marani et al., 1986). Il tratto di piattaforma compreso tra Fiumicino ed Anzio, caratterizzato da un andamento delle isobate grossomodo regolare e parallelo alla linea di costa, è dominato dalla presenza dell’ala sinistra del Tevere. I fondali sono abbastanza omogenei e presentano alcune significative irregolarità, come al traverso di Torvaianica (Secca di Tor Paterno) dove si osserva la risalita di una formazione geologica tettonizzata (Chiocci e La Monica, 1996; 1999). In questo tratto di piattaforma è stata rilevata un’ampia zona subpianeggiante, delimitata da due rotture di pendio. Quella più sottocosta, localizzata ad una profondità di 15-20m e corrispondente al limite della spiaggia attuale, si segue da Torvaianica a Tor Caldara, quella più al largo si sviluppa sino ad Anzio, ad una profondità costante di circa 20-30m, e corrisponde nella zona del delta del Tevere al limite tra il fronte deltizio e la scarpata di prodelta. Il fatto che questo allineamento tipicamente deltizio, corrispondente al limite di efficacia del moto ondoso nella ridistribuzione dei sedimenti, si estenda ben oltre i limiti fisiografici del delta tiberino emerso indica che i processi deposizionali di tipo deltizio sono attivi sui fondali del tratto di 26 ICRAM piattaforma compreso tra Fiumicino ed Anzio (Chiocci e La Monica, 1996; 1999). I fondali tra Capo d’Anzio ed il promontorio di Monte Circeo, terminati gli effetti degli apporti sedimentari dall’entroterra (fiume Tevere), perdono parte della loro omogeneità divenendo fortemente articolati (Torre Astura - Torre di Foce Verde). Tale settore maggiormente articolato è caratterizzato, tra i 10-20m e tra i 30-40m di profondità, da forme positive di notevoli dimensioni, alcune delle quali corrispondono a culminazioni del substrato (Chiocci e La Monica, 1996; 1999). Origine e distribuzione dei sedimenti La distribuzione dei sedimenti coincide praticamente con quella dell’ala destra del Tevere, anche se in questo settore il limite fra sedimenti limoso-sabbiosi e sedimenti pelitici, è localizzato intorno ai 70-90m di profondità (Bellotti e Tortora, 1985). Tra Torvaianica e Tor Caldara, il diametro medio dei sedimenti tende a diminuire, mentre aumenta nei pressi di Capo d’Anzio a causa delle condizioni di maggiore energia e della presenza di fondali rocciosi. Tra Capo d’Anzio e Capo Circeo l’elemento caratterizzante è costituito dalla presenza di sabbie sino alla batimetrica dei 20-30m. In particolare, tra Capo d’Anzio e Torre Astura la fascia di materiale più grossolano, più estesa lungo il litorale di Anzio e Nettuno, tende a restringersi procedendo verso sud; la distribuzione dei sedimenti più sottili presenta un andamento abbastanza regolare e subparallelo a quello dei sedimenti più grossolani. Tra Torre Astura e il Lago di Caprolace, la presenza di Posidonia oceanica condiziona probabilmente la sedimentazione, alterando la regolare distribuzione riscontrata più a nord. Tra il Lago di Caprolace e il Circeo, infine, la distribuzione dei sedimenti superficiali presenta limiti più irregolari e fasce ad ampiezza variabile. In particolare, al largo del Lago di Caprolace, i sedimenti sabbiosi interessano il fondale fino alla profondità di 30m, mentre raggiungono i 50-60m nei fondali adiacenti il promontorio del Circeo (Taliana, 1992). Altri contributi forniti alla conoscenza dell’area sono quelli di Falese (1992), Marani e Zitellini (1986), Zitellini et al. (1984), relativi all’assetto sismostratigrafico, quelli di Anselmi et al. (1980) e La Monica e Raffi (1996) sulla sedimentologia e, infine, quelli di ICRAM (2000a; 2000b; 2000c; 2001a; 2001b) e Nonnis et al. (2001), inerenti l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento dei depositi sabbiosi sommersi per il ripascimento delle spiagge in erosione. A tali studi si rimanda per ogni ulteriore approfondimento. 27 ICRAM MONTE CIRCEO – FIUME GARIGLIANO Deriva litorale Il tratto di costa che si estende tra il Monte Circeo e il Golfo di Gaeta, per la sua particolare conformazione, risulta esposto ai venti e ai mari provenienti dal II e dal III quadrante. In particolare, l’ondazione proveniente da SO genera una corrente di deriva litorale diretta costantemente da ovest verso est; quella proveniente da SE, viceversa, determina una corrente che si muove da est verso ovest. I venti provenienti da sud danno luogo ad una corrente di deriva diretta verso est, nel tratto di litorale compreso tra San Felice Circeo e Terracina, mentre la deriva nel tratto tra Terracina e Sperlonga che essi innescano è diretta verso occidente. A causa della convergenza delle due correnti si ha una parziale zona d’accumulo dei sedimenti in corrispondenza del promontorio di Terracina. La corrente litorale prevalente, ed il conseguente trasporto solido, risulta comunque diretta verso oriente (Evangelista et al., 1983; D’Alessandro et al., 1986; Milli, 1993). All’interno del Golfo di Gaeta, i mari da sud e da SO sono poco influenti e limitano la loro azione soprattutto al tratto tra Scauri e il Lago di Patria; la corrente di deriva litorale che innescano è diretta prevalentemente verso NO. L’ondazione proveniente da ovest risulta la più importante e determina un prevalente trasporto solido lungocosta diretto verso SE; tale movimento è stato evidenziato dalle analisi petrografiche sui campioni di sabbia litorale (Gandolfi e Paganelli, 1984) e dalle indagini condotte utilizzando sabbie fluorescenti che sono state immesse lungo il litorale domizio (Cocco et al., 1988). Batimetria e morfologia dei fondali Il tratto di piattaforma compreso tra Monte Circeo e Gaeta (Punta Stendardo) presenta una caratteristica forma a falce, con la parte più ampia e meno acclive a NO, mentre a sud di Sperlonga la piattaforma presenta un’ampiezza di solo 900m e una pendenza media maggiore. I fondali presentano un andamento omogeneo, ad esclusione della zona tra Tor Canneto e Lago Lungo, nella fascia compresa tra i 15 e 20m, dove si osservano numerose forme positive allungate e subparellele alla costa, legate alla presenza di “matte” di Posidonia oceanica. In corrispondenza dei tratti di costa alta, i fondali sono, invece, maggiormente acclivi e irregolari a causa degli affioramenti delle testate di strato (promontorio del Monte Circeo). In particolare, il litorale adiacente la costa compresa tra il Monte Circeo e la foce del Fiume Sisto è caratterizzato dalla presenza di un alto morfologico strutturale sulla cui sommità, subpianeggiante, si è impostata una prateria di Fanerogame (Cristofalo, 1992). Nel tratto più meridionale dell’area in esame, tra Gaeta e la foce del Fiume Garigliano, la 28 ICRAM piattaforma è notevolmente estesa, raggiungendo al largo della foce del Garigliano un’ampiezza di 20km (Pennetta et al., 1998). I fondali sono omogenei e non sembrano risentire dell’articolazione della fascia costiera. Inoltre, in questo tratto è stata riscontrata la mancanza di posidonieti a testimonianza della persistenza degli apporti fluviali torbidi provenienti dal Volturno e dal Garigliano (La Monica e Raffi, 1996). Uno degli elementi più caratteristici della piattaforma in studio, in particolare nel tratto compreso tra Monte Circeo e Gaeta, è la presenza di paleoalvei sepolti che interessano i fondali fino alla batimetrica dei 50m e talvolta degli 80m. Al limite meridionale dell’area è stata, inoltre, riconosciuta una morfologia di grandi dimensioni corrispondente all’alveo di basso stazionamento del fiume Garigliano (Chiocci e La Monica, 1999). I paleolvei e i depositi sedimentari ad essi associati interrompono la continuità dei depositi postglaciali localizzati sottocosta e caratterizzati da piccoli depocentri ben pronunciati e ubicati in prossimità di fonti sedimentarie attuali e subattuali (Chiocci e La Monica, 1996; 1999). Origine e distribuzione dei sedimenti La presenza dell’alto morfologico che collega il Promontorio del Circeo all’arcipelago delle Isole Pontine condiziona in modo significativo la distribuzione locale dei sedimenti ed è tale da permettere ai sedimenti sabbiosi profondità prossime ai 60m. Tra S. Felice Circeo e Terracina la distribuzione dei sedimenti è irregolare: le sabbie si rinvengono lungo una fascia parallela alla costa, la cui continuità viene però interrotta nei pressi della foce del Fiume Portatore e, nonostante la frazione argillosa aumenti con la profondità, i limiti non sono mai regolari. Tra Terracina e il Lago Lungo, invece, le popolazioni granulometriche sono ben gradate verso il largo secondo le fasce batimetriche: la zona tra il Lago Lungo e Punta Stendardo è, infatti, quella caratterizzata da sedimenti superficiali con caratteristiche omogenee e con limiti quasi paralleli alle isobate (Cristofalo, 1992). Nel tratto tra Capo Circeo e Punta Stendardo mancano, quindi, le peliti pure ed anche le peliti sabbiose; questo fatto, oltre ad indicare la quasi totale mancanza di apporti dall’entroterra, caratterizza i sedimenti sabbiosi ivi presenti come relitti (La Monica e Raffi, 1996). L’area tra Punta Stendardo e la foce del Fiume Garigliano risente fortemente dell’azione del Fiume Garigliano; infatti, sono estremamente diffuse le peliti sabbiose e le peliti anche su fondali con profondità poco superiori ai 30m, mentre sono praticamente assenti sedimenti a prevalente componente sabbiosa (La Monica e Raffi, 1996). L’andamento dei limiti fra le aree interessate da 29 ICRAM sedimentazione prevalentemente sabbiosa e pelitica è circa parallelo alle isobate (Cristofalo, 1992). Infine, le indagini condotte nel Golfo di Gaeta hanno evidenziato come la sedimentazione sia generalmente più omogenea, raggiungendo spessori molto maggiori di quelli osservati nelle altre zone del Lazio meridionale (Chiocci e La Monica, 1996). Altri studi di carattere sedimentologico, stratigrafico e ambientale hanno, infine, interessato soprattutto il Golfo di Gaeta (Aiello et al., 1996; Amore et al., 1996; Anselmi et al., 1981; Antonioli, 1991; Astraldi et al., 1983; Bartole et al., 1990; Borsetti e Capotondi, 1990; Brondi et al., 1983a; Brondi et al., 1983b; Brondi et al., 1983c; Brondi et al., 1984; Cocco et al., 1986; 1987; Coppa et al., 1996; Damiani et al., 1983; Ferretti et al., 1989a, 1989b; Frattini, 1992; Pennetta e Valente, 1996) e a questi si rimanda per ogni ulteriore approfondimento. ISOLE PONTINE Il tratto di piattaforma continentale sul quale si elevano le isole dell’Arcipelago Pontino, per quanto poco conosciuto, è stato oggetto prevalentemente di indagini di carattere tettonico e geofisico (Barberi, 1967; Bartole, 1984; Bosman, 2000; Report TI.VOL.I. CRUISE, 1998; Zitellini et al., 1984) ed in maniera subordinata da indagini sedimentologiche (La Monica e Raffi, 1996). Le Isole Pontine sono localizzate sulla piattaforma continentale che borda le coste del Tirreno orientale, al largo del Golfo di Gaeta. L’arcipelago, costituito da tre isole a ovest (Ponza, Palmarola and Zannone) e da altre due isole verso est (Ventotene e Santo Stefano), forma nel suo insieme una catena lungo circa 30km, che corre parallela al Lazio, tra Roma e Napoli. L’evoluzione delle Pontine è connessa con i processi tettonici distensivi post orogenici ed all’ispessimento crostale dovuto all’apertura del Mar Tirreno (Bartole, 1984). Ad eccezione delle unità sedimentarie del Mesozoico e Cenozoico e delle metamorfiti affioranti in limitati settori dell’isola di Zannone, tutte le isole sono interamente vulcaniche e principalmente di età pleistocenica (Report TI.VOL.I. CRUISE, 1998). Batimetria e morfologia dei fondali Del tutto peculiari sono le caratteristiche morfologiche e di distribuzione dei sedimenti rilevabili sulla piattaforma continentale delle isole Pontine che non ha alcun collegamento con quella del litorale peninsulare (La Monica e Raffi, 1996). L’origine vulcanica delle isole e la mancanza di apporti sedimentari locali fanno si che i fondali tra 10 e 50m di profondità siano per lo più costituiti da roccia in posto, con andamenti anche molto 30 ICRAM articolati, associati a brusche variazioni di pendenza e di quota. Queste sono anche accentuate per la presenza, lungo tutto l’arcipelago, di Posidonia oceanica, anche su fondali relativamente profondi (La Monica e Raffi, 1996). La presenza di corpi sedimentari poco sviluppati fa sì che l’unico lineamento (sismostratigrafico) di un certo rilievo sia costituito da un deposito cuneiforme presente a profondità variabile tra 100 e 140m e dello spessore minimo di alcune decine di metri (Chiocci e La Monica, 1996). Esso si sarebbe formato, al di sotto del livello di base delle onde, durante il periodo di basso stazionamento marino conseguente la glaciazione würmiana, mentre la differenza di quota sarebbe imputabile a fenomeni di neotettonica (ovvero a movimenti tettonici avvenuti negli ultimi 20.000 anni) (Chiocci e La Monica, 1996). Origine e distribuzione dei sedimenti Riguardo alla distribuzione dei sedimenti, le isole di Ponza, Palmarola e Zannone presentano caratteristiche simili, con una spiccata prevalenza di sedimenti francamente sabbiosi anche a profondità elevate (superiori a 50m) lungo il versante NO, caratteristiche rilevate anche sul versante NO dell’isola di Ventotene12, mentre sui fondali di SE le sabbie passano presto a sabbie pelitiche e peliti molto sabbiose (La Monica e Raffi, 1996). La composizione prevalentemente bioclastica delle sabbie e la mancanza di sedimenti francamente pelitici comprova, in definitiva, la mancanza di apporti terrigeni significativi dalle isole e testimoniano come, in questo caso, non solo gli elementi morfologici minori, ma anche la sedimentologia, sia fortemente controllata dall’attività biologica (La Monica e Raffi, 1996). 12 Sul lato SE dell’isola, non campionato a causa dei divieti, la carta n. 126 dell’IIM segnala la presenza di “sabbie e alghe” fino a una profondità di 100 m (La Monica e Raffi, 1996). 31 ICRAM Bibliografia AA.VV. (1985) – Atlante delle spiagge italiane. F. 132, 135. P.F. Conservazione del suolo, Sottoprogetto Dinamica dei litorali, C.N.R. Aiello E., Bartolini C., Gabbani G., Rossi S., Valeri P., Certini L., Clerici C., Lenaz R. (1978) Studio della piattaforma continentale medio tirrenica per la ricerca di sabbie metallifere: I) da Capo Linaro a Monte Argentario. Boll. Soc. Geol. It., 97, 495-525. 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Prima campagna monitoraggio - ICRAM (2000), per conto della Regione Lazio: 74 pp ICRAM (2001a) - Studio pilota per l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento: il caso Anzio (Roma). Fase III Seconda campagna monitoraggio - ICRAM (2001), per conto della Regione Lazio: 90 pp ICRAM (2001b) - Studio pilota per l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento: il caso Anzio (Roma). Fase III Terza campagna monitoraggio - ICRAM (2001), per conto della Regione Lazio: 146 pp ISMES (1991) - Centrale termoelettrica policombustibile di Montalto di Castro. Opere Civili Marittime del Terminale GNL. Indagini geofisiche a mare – Rapporto conclusivo. ENEL-DCO Rapporto interno. La Monica G. B., Raffi R. (1996) - Morfologia e sedimentologia della spiaggia e della piattaforma continentale interna. In: Il Mare del Lazio. 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Lo studio della composizione chimica dei sedimenti marini è di estrema utilità negli studi di carattere ambientale, in quanto permette di fare importanti valutazioni circa l’origine e il grado di contaminazione del sedimento stesso. I bacini di sedimentazione sono i recettori naturali di tutto ciò che viene portato in carico dai fiumi sotto forma di trasporto solido. In particolare, la distribuzione delle abbondanze elementari nei sedimenti di fondo, ottenuta studiando la ripartizione degli elementi nelle singole fasi13, permette di comprenderne: • l’origine; • i processi post-deposizionali che possono anche aver modificato la composizione della coltre sedimentaria; • l’ambiente di sedimentazione; • eventuali fenomeni di inquinamento. Limitare la caratterizzazione geochimica alle sole abbondanze totali14, fornirebbe, infatti, una rappresentazione statica e complessiva della geochimica dei sedimenti con scarse indicazioni sulla loro genesi ed evoluzione. La fase più interessante dal punto di vista geochimico è quella relativa ai minerali primari stabili, identificabili con la frazione residuale o “frazione di sedimento refrattaria alla lisciviazione sequenziale” (Branca et al., 1996). Poiché non esiste un procedimento di lisciviazione sequenziale a selettività assoluta, alcune fasi particolarmente resistenti alla dissoluzione, come per es. ossidi idrati di ferro e/o manganese, possano in realtà contribuire, anche se minimamente, al risultato della 13 ovvero nei prodotti dei diversi tipi di attacco chimico cui vengono sottoposti i campioni da esaminare e che permettono di definire, in senso più operativo che fisico, le fasi stesse e che rappresentano la somma dei vari contributi, sia quelli relativi ai minerali primari stabili, sia quelli associati ai metalli fissati dalle diverse fasi. 14 abbondanze misurate sulle soluzioni risultanti da attacco chimico totale del sedimento. 42 ICRAM frazione residuale; questo fenomeno dipende dal fatto che la definizione di frazione residuale è più operativa che fisica. Lo studio della frazione elementare adsorbita, generalmente espressa come percentuale della frazione totale, prende in esame quegli elementi che non sono contenuti stabilmente in una o più fasi, ma che sono debolmente trattenuti sulle superfici attive dei costituenti minerali ed organici dei sedimenti. Essa ha una connotazione spiccatamente ambientale in quanto l’adsorbimento si è sicuramente verificato in un momento successivo alla deposizione (alterazione di una condizione naturale); inoltre, poiché nei fenomeni di adsorbimento sono coinvolti legami deboli, al variare delle condizioni chimico-fisiche esterne, i metalli adsorbiti possono essere rilasciati più o meno facilmente, generando anomalie positive di concentrazione nelle acque, con conseguente peggioramento delle condizioni ambientali. L’indagine bibliografica ha evidenziato come la produzione scientifica specialistica, con particolare riferimento allo studio delle singole fasi, sia piuttosto carente, ad eccezione dello studio condotto da Branca et al. (1996) sulla geochimica dei sedimenti marini della piattaforma laziale (148 campioni corrispondenti a più di 4000 determinazioni analitiche). Le altre ricerche condotte, esigue per numero, sono generalmente riferite a specifiche aree di interesse, quali il settore prospiciente le foci del Marta e del Fiora, indagato in quanto coincidente con l’area più meridionale della provincia mercurifera toscana (Barghigiani et al., 1996), il golfo di Gaeta (Damiani et al., 1983; 1985; Boniforti et al., 1986; Ferretti et al., 1989) e il mare antistante il promontorio di Anzio, studiato perché interessato da lavori di movimentazione dei sedimenti di fondo (ICRAM, 2000), rimanendo escluso, almeno da studi di dettaglio, tutto il resto del territorio. I risultati presentati nei vari lavori, inoltre, fanno spesso riferimento a dati tra loro eterogenei, sia per i protocolli analitici, sia per le differenti scale di indagine adottate, con la conseguenza di dati non sempre facilmente confrontabili, pur rimanendo generalmente valido il confronto a livello dei trends. Da segnalare, infine, come, spesso, le ricerche condotte siano limitate al confronto fra frazione totale e frazione adsorbita, rimanendo difficoltosa l’interpretazione in senso geologico dei dati ottenuti. 43 ICRAM 2.1 Geochimica dei sedimenti della piattaforma E’ noto che le caratteristiche dei sedimenti di fondo della piattaforma laziale sono notevolmente influenzati dall’apporto solido dei fiumi che vi versano le loro acque e che drenano bacini idrografici con caratteristiche geopetrografiche assai diverse. Ad aree di alimentazioni diverse, anche in termini di fondo geochimico, viene, infatti, imputata, piuttosto che a fenomeni di inquinamento, la particolare distribuzione osservata per certi elementi (ad es. piombo) e a cui si deve la variabilità composizionale del sedimento stesso (Branca et al., 1996). Gli autori evidenziano per i sedimenti esaminati una condizione apparentemente non influenzata da fenomeni di inquinamento, verificata a scala sia regionale15 (Branca et al., 1996) sia locale (Ferretti et al., 1989; ICRAM, 2000). Nell’area in oggetto, lo studio delle condizioni chimico-fisiche che regolano l’accumulo dei sedimenti con la conseguente distinzione tra origine naturale e antropica degli apporti, è stato affrontato con risultati soddisfacenti, evidenziando la distribuzione di alcuni elementi (ferro, manganese, cromo, nichel, cobalto, piombo, rame e zinco) nelle varie fasi, con particolare riferimento allo studio della frazione contenuta nei minerali primari stabili, direttamente associata alle caratteristiche geologiche dell’area sorgente (Branca et al., 1996). Sulla base dei risultati emersi, vengono ipotizzate, in particolare, come primitive, cioè non imputabili a fenomeni verificatisi in tempi successivi ai processi di deposizione, le abbondanze sia del piombo sia degli elementi del gruppo del ferro. Questi elementi sarebbero associati alla presenza (nei sedimenti) di alcuni minerali residuali, notoriamente provenienti dalle aree dell’Italia centrale tirrenica in cui affiorano le rocce vulcaniche della serie K-alcalina, caratterizzate da elevati tenori in piombo, ovvero termini litologici meno differenziati e più ricchi in metalli del gruppo del ferro. E’ altresì noto che tali elementi sono portati in carico dai corsi d’acqua che drenano tali bacini e che sono recapitati in mare ad opera delle relative plume (Calderoni et al., 1981; Branca et al., 1996). I siti di maggior accumulo (relativamente ai due elementi considerati) corrispondono rispettivamente ai settori centrali e meridionali dell’area in studio (Branca et al., 1996). L’esistenza per il piombo di due popolazioni di campioni, evidenziata dalla distribuzione bimodale rilevata sugli istogrammi di frequenza (relativi alle fasi considerate), potrebbe in definitiva corrispondere a significative anomalie positive in diretta dipendenza litogenetica e non dovute ad arricchimenti successivi, come confermato dalla bassa incidenza della frazione adsorbita rispetto a 15 L’unico lavoro a scala regionale è quello di Branca et al. (1996) che però non prende in esame il mercurio, relativamente al quale sono invece note, per il settore più settentrionale, concentrazioni anomale significative. 44 ICRAM quella totale (Branca et al., 1996) (tabella 2.1), condizione confermata da altri studi (ICRAM, 2000). Tabella 2.1 - Abbondanze medie (ppm) nella frazione totale e in quella adsorbita (Branca et al., 1996) Elemento Totale Adsorbiti Piombo 79.5±21.7 4.4±3.1 Rame 31.6±20.4 2.6±1.5 Zinco 86.2±30.6 4.9±2.2 Manganese 714.9±206.3 30.0±27.0 Ferro 2.7±1.0 (%) 134.5±117.3 Nichel 64.7±16.0 0.7±0.5 Cromo 46.7±23.6 0.7±0.4 Cobalto 32.1±7.6 0.51±0.06 Per i tre metalli base (rame, piombo e zinco) viene ipotizzata una derivazione da minerali residuali arricchiti in ferro e, solo subordinatamente, in fasi manganesifere (Branca et al., 1996). I dati relativi ai coefficienti di correlazione per le abbondanze totali indicano, infatti, valori significativi tra zinco e piombo (0.46), tra zinco e rame (0.63) e, minore, tra piombo e rame (0.19), e tutti e tre mantengono una correlazione significativa con il ferro, ma non apprezzabile con il manganese. Le abbondanze totali degli elementi esaminati indicherebbero pertanto che, mentre manganese, ferro, nichel e cobalto (la distribuzione del cromo è risultata complessa e di difficile interpretazione) deriverebbero da un unico modello genetico, per i rimanenti bisogna ipotizzare apporti diversificati dal continente. Nonostante sia nota in letteratura l’associazione del piombo alle mineralizzazioni a solfuri dei metalli base presenti a nord di Roma (Calderoni et al., 1981; Branca et al., 1996), dati più recenti, relativi in particolare alla distribuzione degli elementi nella frazione residuale (Branca et al., 1996), non hanno confermato l’interdipendenza del piombo con il rame e lo zinco (essendo stati trovati per i coefficienti di correlazione valori di 0.06 tra piombo e rame e 0.04 tra piombo e zinco). Inoltre, la distribuzione (ubiquitaria) del manganese nella frazione residuale è risultata abbastanza complessa e non facilmente definibile su base mineralogica, anche per il probabile intervento di fenomeni complessi e dipendenti da situazioni locali (Branca et al., 1996). Altre caratteristiche, quali la giacitura (superficiale) e la vicinanza al continente, oltre all’origine dei sedimenti, sembrano governare la distribuzione degli elementi nei sedimenti tirrenici. In accordo con gli studi condotti (Branca et al., 1996) che hanno, infatti, evidenziato apporti continentali scarsamente alterati, proprio per effetto della giacitura superficiale (dei sedimenti campionati) e 45 ICRAM della vicinanza al continente, il modello di ripartizione (degli elementi) proposto da Branca et al. (1996) è confrontabile con i modelli relativi ad altri sedimenti epicontinentali (Eaton, 1979; Branca et al., 1996) piuttosto che con quello tipico dei sedimenti pelagici (Forstner e Stoffers, 1981; Branca et al., 1996). La differenza che si osserva nella distribuzione elementare per i sedimenti tirrenici ed epicontinentali da una parte e quelli pelagici dall’altra (tabella 2.2), è spiegabile ammettendo che per questi ultimi siano intervenuti significativi processi di alterazione dovuti al più lungo trasporto (che non si è verificato nel caso dei sedimenti tirrenici) e alla diagenesi. Tabella 2.2 - Dati di letteratura relativi alle abbondanze elementari nella frazione totale (ppm) nei sedimenti di vari ambienti Elemento Sedimenti pelagici Sedimenti epicontinentali Sedimenti Mar Tirreno (Branca et al., 1996) (Eaton, 1979) (Wedwpohol, 1974) Intervallo valori medi Piombo 10-140 - 35-128 79.5±21.7 Rame 70-300 55 5-127 31.6±20.4 Zinco 90-180 95 21-141 86.2±30.6 Manganese 0.04-4.0 (%) 470 333-1866 714.9206.3 Ferro 0.5-5.0 (%) 3.8 (%) 0.34-5.17 (%) 2.7±1.0 (%) Nichel 40-320 73 25-107 64.7±16.0 Cromo 80 - 10-112 46.7±23.6 Cobalto 20-160 21 10-54 32.1±7.6 I dati relativi alle abbondanze totali, evidenziando come i sedimenti tirrenici siano meno arricchiti negli elementi considerati rispetto a quelli pelagici, portano ad escludere che siano intervenute modifiche rilevanti in tempi successivi alla deposizione per cause naturali e/o antropiche (Branca et al., 1996). Il confronto con i dati di letteratura relativi a campioni analizzati con tecniche analoghe ha permesso agli Autori (Branca et al., 1996) di rilevare come il tratto laziale del mare Tirreno sia caratterizzato dalla presenza di sedimenti in condizioni accettabili di “naturalità”: in particolare il confronto è stato effettuato relativamente alla frazione adsorbita presente nei sedimenti della baia di S. Francisco (Eaton, 1979; Branca et al., 1996), evidenziando abbondanze significativamente più elevate per i sedimenti californiani, in cui rame, zinco, manganese, cobalto e ferro sono presenti rispettivamente a livelli di 15, 16, 88, 43 e 1538 ppm (Branca et al., 1996) (tabella 2.3). 46 ICRAM Tabella 2.3 - Abbondanze media (ppm) per gli elementi labilmente adsorbiti Elemento Mar Tirreno (Branca et al., 1996) Baia S.Francisco (Eaton, 1979) Piombo 4.4±3.1 - Rame 2.6±1.5 15 Zinco 4.9±2.2 16 Manganese 30.0±27.0 88 Ferro 134.5±117.3 1538 Nichel 0.7±0.5 - Cromo 0.7±0.4 - Cobalto 0.51±0.06 43 In particolare, la bassa incidenza del cromo, nelle fasi debolmente adsorbite, è in accordo con la sua non partecipazione ad equilibri di adsorbimento (Nowlan, 1976; Branca et al., 1996). Gli studi di dettaglio condotti al largo della costa laziale (ICRAM, 2000) hanno confermato, per gli elementi analizzati (cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, rame e zinco), concentrazioni basse, prossime a quelle misurate da diversi autori sulla piattaforma continentale tirrenica (Baldi e Bargagli 1984; Cosma et al., 1994; Frignani et al., 1985; Giordani et al., 1991; ICRAM, 1997; 2000; Leoni et al., 1991; 1993; Niccolai, 1991; Niccolai et al., 1993; Pisani et al., 1991) e interpretabili come background (ICRAM, 2000), con bassa incidenza della frazione adsorbita rispetto a quella totale. Tale condizione è stata riscontrata anche da altri autori sia nel golfo di Gaeta (Damiani et al., 1983; Ferretti et al., 1989) in cui gli studi condotti hanno evidenziato livelli di concentrazione tali da escludere evidenti fenomeni di inquinamento, sia al largo della foce del Tevere in cui, anche nel caso del cadmio e del mercurio, per cui sono state trovate le maggiori deviazioni dai valori naturali, si rimane sempre al di sotto dei limiti di rischio per la vita acquatica (La Noce et al., 1984). Gli studi condotti nel golfo di Gaeta (Damiani et al., 1983; 1985; Boniforti et al., 1986) hanno evidenziato fenomeni di contaminazione limitati e localizzati nei sedimenti dei delta dei fiumi Volturno e Garigliano, in cui sono state rilevate concentrazioni anomale di Hg e di Cd. Da segnalare infine come la parte più settentrionale dell’area sia stata, spesso, oggetto di studi specifici (mercurio), in relazione alle indagini condotte sulla provincia mercurifera toscana, poiché è noto che alla presenza di una provincia mercurifera corrisponde un contenuto di mercurio decisamente anomalo (Anselmi et al., 1979) nel golfo di Trieste e nell’Alto Adriatico, in rapporto a una provincia mercurifera localizzata nelle Alpi orientali. 47 ICRAM Nell’area centro-tirrenica sono stati evidenziati fenomeni di contaminazione, almeno in parte, correlati all’attività mineraria del monte Amiata, come è stato dimostrato dallo studio dei gradienti verticali di contaminazione (Barghigiani et al., 1996). I dati relativi ai carotaggi indicano, infatti, che i valori di concentrazione sono più elevati nei livelli superficiali e più bassi in quelli più profondi, in particolare i subcampioni corrispondenti alle profondità di 50 e di 80cm sono quelli con i livelli di contaminazione più bassi, sia nella frazione inferiore ai 20µm sia in quella totale. Le variazioni di concentrazione in senso verticale rifletterebbero, quindi, la variabilità della produzione di mercurio nel tempo: i livelli di concentrazione più elevata corrisponderebbero alla maggior produzione di mercurio che si è avuta nella seconda metà del 1900 (Barghigiani et al., 1996). Alle anomalie positive di mercurio osservate nei sedimenti del Tirreno centro-settentrionale sarebbero inoltre da imputare i più elevati valori di concentrazione rilevati in alcuni organismi marini bentonici (Barghigiani et al., 1996; Barghigiani e Ristori, 1995a; 1995 b). I dati raccolti indicano per il mercurio presente nei sedimenti marini gradienti di concentrazione caratterizzati da significativi decrementi procedendo dalla costa verso il mare aperto (Barghigiani et al., 1996; La Noce et al., 1984; ICRAM, 2000), mentre le concentrazioni più elevate sono associate in particolare alla frazione sottile (inferiore ai 20 µm in Barghigiani et al., 1996 e ai 63 µm in ICRAM, 2000) Il mercurio presente nei sedimenti del Tirreno centrale è sicuramente associato al trasporto dei fiumi del versante tirrenico che drenano le aree caratterizzate da significativi arricchimenti in mercurio, quali il bacino del M.te Amiata (Ombrone, Albegna e Fiora) e del lago di Bolsena (Marta) (Barghigiani et al., 1996). Nei metalli presenti nei sedimenti del Tirreno, oltre alla generale associazione di questi alla frazione sottile, non rilevata per il cadmio (la cui distribuzione sembra essere condizionata principalmente dalla composizione, ICRAM 2000) è stato osservato un caratteristico arricchimento nei campioni relativi alle batimetriche dei 20-30 m per le abbondanze totali di piombo, zinco e nichel, mentre per gli altri metalli non è stato possibile rilevare l’esistenza di un evidente gradiente batimetrico. Gli effetti che l’intensa antropizzazione dell’area, produce sui sedimenti marini sono stati infine evidenziati dallo studio del carbonio organico e dell’azoto totale, che ha rivelato un regime di sedimentazione caratterizzato da un significativo apporto di sostanza organica, sicuramente condizionato dal contributo continentale. Associati ad essa, in particolari condizioni meteorologiche possono verificarsi locali fenomeni di anossia all’interfaccia acqua-sedimento (Branca et al., 1996). In definitiva i sedimenti della piattaforma laziale sembrano essere principalmente condizionati dalle caratteristiche geolitologiche delle aree sorgente piuttosto che da fenomeni di inquinamento. Sono 48 ICRAM ben evidenti in particolare i contributi delle aree mineralizzate a solfuri e quelli delle vulcaniti della serie k-alcalina che determinano per il piombo e per gli elementi del gruppo del ferro concentrazioni anomale rispettivamente nel settore centrale e in quello meridionale dell’area in studio. Il confronto fra i dati relativi alle abbondanze elementari nei sedimenti tirrenici rispetto a quelle relative a campioni analizzati con metodologie analoghe e relativi a siti di cui sono ben note le condizioni di inquinamento, ha evidenziato valori di concentrazione significativamente più bassi per i sedimenti tirrenici. Fenomeni di contaminazione da mercurio sono invece evidenti nel settore più settentrionale in cui trovano recapito alcuni dei corsi d’acqua che drenano la provincia mercurifera toscana; i sedimenti presentano in questo settore elevate concentrazioni in mercurio legate sia al fondo geochimico formazionale che all’incidenza dell’attività mineraria. 49 ICRAM Bibliografia Anselmi B., Brondi A., Benvegnu’ F., Ferretti O. (1979) – Studio dei parametri geologici rilevanti ai fini della contaminazione ambientale del territorio nazionale. CNEN RT/prot (79) 14. Baldi F., Bargagli R. (1984) – Mercury pollution in marine sediments near a chlor-alkali plant: distribution and availability of the metal. The Sci. of the Tot. Environ., 39: 5-26 Barghigiani C., Ristori T. (1995a) – The distribution of mercury in a Mediterranean area. In: C.J. Watras e J.W. Huckabee (Eds.) - Mercury Pollution: Integration and Synthesis. Lewis Publisher, Boca Raton: 41 pp. Barghigiani C., Ristori T. (1995b) – Preliminary results of the role of rivers in total Hg concentrations in marine sediments and benthic organisms of a coastal area of Italy, Water Air Soil Pollut., 80: 1017-1020. Barghigiani C., Ristori T., Lopez Arenas J. (1996) – Mercury in marine sediment from a contaminated area of the northern Tyrrhenian Sea: < 20 µm grain-size fraction and total sample analysis. The Science of the Total Environment, 192: 63-73. Boniforti R., Damiani V., Madaro M., Moauro A., Zurlini G. (1986) – Determination of trace elements in marine sediments collected between the Volturno River and Circeo Cape (Tyrrhenian Sea). Chem. Ecol., 5 (2): 113-124. Branca M.E., Calderoni G., Petrone V. (1996) – Geochimica dei sedimenti. In: “Il mare del Lazio”, 331 pp, Università degli Studi di Roma - Regione Lazio assessorato opere e reti di servizi e mobilità. Calderoni G., Riannetti B., Masi U. 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ICRAM (1997) – Studio ambientale per la caratterizzazione di un’area marina da utilizzare come sito di scarico dei sedimenti provenienti dal dragaggio del Porto Canale di Fiumicino. Min. Trasp. e Navig. Ispettorato Tecnico Nucleo Operativo Fiumicino. ICRAM (2000) - Studio pilota per l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento: il caso Anzio (Roma). Fase I. ICRAM (2000), per conto della Regione Lazio: 78 pp La Noce T., Pagnotta R., Pettine M, Puddu A. (1984) – Inquinamento costiero alla foce del fiume Tevere: risultati di un’indagine interdisciplinare. Atti 6° congresso A.I.O.L., 147-156. Leoni L., Sartori F., Damiani V. Ferretti O., Viel D. (1991) – Trace element distributions in superficial sediments of the Northern Tyrrhenian Sea: contribution to heavy-metal pollution assessment. Environ. Geol. Water Sci., 17: 103-116. Leoni L., Sartori F., Niccolai I (1993) – Metalli pesanti nei sedimenti attuali della piattaforma costiera toscana, Atti Soc. Tosc. Sci. Nat., CII: 23-60. Niccolai I. (1991) – Metalli in tracci estraibili con HCl nei sedimenti dell’area. Rapporto Finale per la caratterizzazione del sito di discarica dei fanghi di escavo del porto di Livorno, ENEA S.Teresa: 65-70. Niccolai I., Ferretti O., Manfredi Frattarelli F.M. (1993) – Distribuzione degli elementi in traccia nei sedimenti superficiali tra l’Isola d’Elba e l’Argentario e l’Arcipelago Toscano. In: Studio Oceanografico, sedimentologico, geochimica e biologico. Enea Area Energia Ambiente e Salute, S. Teresa (La Spezia): 185-195. Nowlan G.A. (1976) – Concretionary manganese-iron oxides in streams and their usefuness as a sample medium for geochemical prospecting. Journal of Geochemical Exploration, 6: 193-210. 51 ICRAM Pisani B., Righini F., Gambicorti D. (1991) – Ricerca del contenuto in metalli pesanti nei sedimenti marini. Rapporto Finale per la caratterizzazione del sito di discarica dei fanghi di escavo del porto di Livorno, ENEA S. Teresa: 57-64. Wedwpohol K.H. (1974) – Handbook of Geochemistry, vol. II/3. Capp. 29 e 30, Springer, Berlin. 52 ICRAM 3. POPOLAMENTI BENTONICO Introduzione Nell’ambito del programma di ricerca “Studio di impatto ambientale per lo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi lungo la piattaforma continentale laziale ai fini di ripascimento” sono state reperite ed esaminate le informazioni presenti in letteratura (sia bianca che grigia) per fornire un quadro informativo completo della distribuzione e localizzazione delle biocenosi bentoniche lungo la piattaforma continentale del Lazio. Negli studi d’impatto ambientale in ambiente marino si sono rivelate particolarmente utili le analisi dei popolamenti animali e vegetali, con particolare riferimento agli organismi bentonici. Le comunità bentoniche, costituite dall’insieme degli organismi che popolano il fondo e che sono ad esso strettamente legati, grazie alla loro scarsa vagilità, agli stretti rapporti che hanno con il fondo e ai cicli vitali relativamente lunghi, forniscono informazioni complete e più a lungo termine circa le condizioni globali del sistema (Pearson e Rosenberg, 1978). Nell’ambiente marino il dominio bentonico comprende tutti i fondali che si estendono dalla riva fino alle massime profondità oceaniche. Gli organismi bentonici sono distribuiti su tali fondali in diverse associazioni a seconda del tipo di substrato, della profondità e dei fattori ad essa legati (luce, salinità, gas disciolti, nutrienti, idrodinamismo e granulometria del substrato). I numerosi fattori abiotici e l’elevato numero di specie creano una diversificazione in tale ambiente, spesso difficile da schematizzare. Per questo è emersa l’esigenza da parte degli studiosi di creare un modello di zonazione delle comunità - o biocenosi bentoniche - come utile strumento operativo al fine di possedere un quadro di riferimento per poter identificare i principali elementi che caratterizzano l’ambiente in esame. Il modello attualmente più utilizzato, tra i vari proposti per il Mar Mediterraneo, è quello di Pérès e Picard (1964) che individua sia per il sistema fitale (presenza di luce) che per quello afitale (senza luce) le diverse biocenosi presenti sui fondali mobili e duri. Secondo tale modello all’interno di ciascun sistema si possono individuare dei “piani” che si susseguono verticalmente e si estendono tra due livelli “critici” entro i quali le condizioni ambientali si mantengono più o meno costanti. All’interno di ogni piano si trovano le biocenosi tipiche dello stesso, che sono costituite da specie caratteristiche, accompagnatrici e accidentali. Le specie caratteristiche sono dette esclusive nel caso in cui siano legate ad un determinato biotopo e si trovino solo eccezionalmente altrove; sono dette preferenziali se sono nettamente più abbondanti in un determinato biotopo, ma, allo stesso 53 ICRAM tempo possono essere accompagnatrici in un altro. Le specie accompagnatrici possono essere ugualmente abbondanti in diversi biotopi, in quanto sono specie distribuite nell’intero piano, oppure indicatrici di un certo fattore edafico, o ancora a larga ripartizione ecologica. Infine le specie accidentali sono quelle caratteristiche di un’altra biocenosi, che, vengono trovate eccezionalmente nel biotopo in esame. Il sistema litorale o fitale (così chiamato in quanto in esso è possibile la vita autotrofa) comprende 4 “piani”: - Piano Sopralitorale: si estende sopra il livello dell’alta marea per tutta la fascia raggiunta dagli spruzzi del mare (non viene praticamente mai sommerso). Sui fondi duri si trova la biocenosi della Roccia Sopralitorale mentre su quelli mobili si osservano le biocenosi delle Sabbie Sopralitorali ad essiccazione Rapida e delle Sabbie Sopralitorali ad essiccazione Lenta; - Piano Mesolitorale: corrisponde alla fascia di marea, in cui sono presenti organismi in grado di sopportare l’alternanza di periodi di emersione ed immersione. Sui fondi duri sono presenti le biocenosi della Roccia Mesolitorale Superiore ed Inferiore e delle Grotte Mesolitorali, mentre su quelli mobili si trovano le biocenosi del Detritico Mesolitorale, della Sabbia di Moda Battuta e di Moda Calma; - Piano Infralitorale: si estende dalla superficie fino alla profondità alla quale possono vivere le Fanerogame marine o le alghe fotofile. Sui fondi duri si riconoscono il complesso delle biocenosi delle Alghe Fotofile e delle Alghe Sciafile, mentre sui fondi mobili si trovano le biocenosi delle praterie di Posidonia oceanica, delle Ghiaie Infralitorali, delle sabbie (Sabbie Fini degli Alti Livelli e Sabbie Fini Ben Calibrate) e delle sabbie fangose (Sabbie Fangose di Moda Calma); - Piano Circalitorale: si estende dal limite inferiore delle fanerogame marine fino al margine della piattaforma continentale. Sui substrati duri si insediano la biocenosi del Coralligeno, quella delle Grotte Semi-Oscure e ad Oscurità Totale e la biocenosi della Roccia del Largo. Sono numerose le biocenosi presenti sui fondi mobili sia dei sedimenti grossolani (Detritico Costiero, Detritico Infangato e Detritico del Largo) che dei sedimenti fini (Fanghi Terrigeni Costieri). Alcune biocenosi, indipendenti dal piano, si possono inoltre trovare sia nell’Infralitorale che nel Circalitorale (Sabbie Grossolane e Ghiaie Fini influenzate dalle Correnti di fondo, Sabbie Fini ad Anfiosso e la biocenosi dei Fondi Mobili Instabili). ******* Nei capitoli successivi viene riportata una sintesi dei dati presenti in letteratura riguardanti la 54 ICRAM distribuzione dei popolamenti fitozoobentonici lungo la piattaforma continentale del Lazio. La distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica lungo il litorale laziale, considerata l’importanza che esse rivestono nell’ambiente marino costiero, viene riportata separatamente. Infatti, esistono, sia a livello nazionale che internazionale, leggi che hanno come obiettivo quello di prevenire ogni tipo di opera che comporti il degrado o la distruzione della Posidonia oceanica (Direttiva “Habitat” 92/43 CEE del 21maggio 1992, Decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell’ 8 settembre 1997 e successive modificazioni, UNEP Mediterranean Action Plan del 19 marzo 2001), al fine di salvaguardare la qualità dell’ambiente marino, di prevenire l’estinzione delle risorse biologiche minacciate dei fondali ed assicurare la conservazione dei biotopi litorali. 55 ICRAM 3.1 Distribuzione delle biocenosi bentoniche FOSSO DEL CHIARONE - CIVITAVECCHIA SUD Esistono diversi studi riguardanti la distribuzione delle principali biocenosi bentoniche lungo il tratto di costa, che si estende dal confine settentrionale del Lazio (Fosso del Chiarone) fino a Civitavecchia. Tra i principali, ricordiamo gli studi effettuati da Taramelli e Chimenz (1985) relativi al tratto di mare prospiciente le centrali termoelettriche di Civitavecchia, da ICRAM (1995) riguardanti l’area tra Montalto di Castro e Torre Valdaliga nord, nell’ambito del progetto dei lavori di posa e di messa in opera di un oleodotto sottomarino, dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio lungo le coste laziali (Chimenz Gusso et al., 1996) e dall’ENEL (1997, 2000, 2002) nella zona costiera antistante la centrale di Montalto di Castro. Ricerche più puntiformi e specialistiche sui popolamenti bentonici sia di substrato mobile che duro di questa zona sono state realizzate da Cognetti Varriale e Zunarelli Vandini (1979), Chimenz e Contessini (1986), Chimenz et al. (1989), Contessini et al. (1989), Taramelli e Chimenz (1990), Taramelli e Venanzangeli (1990), Argenti et al. (1992), Bracale et al. (1992), Chimenz (1993), Scipione e Lattanzi (1995), Scipione et al. (1995), Tomassetti e Chimenz Gusso (1998), Franceschini et al. (1996), Nicoletti et al. (2000). Per una completa rassegna bibliografica, nel periodo antecedente al 1995, si rimanda alla bibliografia contenuta ne “Il mare del Lazio” (Chimenz Gusso et al., 1996). Dall’insieme delle indagini sopra citate, la fascia a profondità compresa tra 8 e 15m, nell’area tra Montalto di Castro e Civitavecchia, risulta caratterizzata dalla presenza della biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC), là dove sono assenti praterie di Posidonia oceanica. In corrispondenza delle foci dei fiumi Marta e Mignone si rinvengono popolamenti bentonici caratterizzati da specie tipicamente sabulicole, come il polichete Nephtys hombergi e il bivalve Tellina pulchella, e da organismi limicoli, come il polichete Glycera unicornis e il bivalve Abra alba. I popolamenti delle sabbie si estendono fino ai 20m di profondità dove iniziano a essere presenti specie sabulicole tolleranti e tendenzialmente limicole, indice di un progressivo infangamento del fondale. Tra i 20 e i 30m di profondità, nella zona compresa tra la foce del fiume Marta e quella del Mignone, è presente una fascia ecotonale con caratteristiche intermedie tra la biocenosi SFBC e quella dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC), situata più in profondità. Questa zona è caratterizzata dalla presenza di un popolamento zoobentonico misto: specie frequenti nei sedimenti sabbiosi (come i policheti Nephtys cirrhosa, Nephtys hombergii e il bivalve Tellina nitida) si accompagnano 56 ICRAM a specie tipiche del VTC e di sedimenti misti (come i bivalvi Corbula gibba e Nucula nitidosa). Nella porzione di fondale compresa tra 30 e 50m sono presenti popolamenti zoobentonici tipici della biocenosi del Detritico Infangato (DE), caratterizzati dalla presenza del bivalve Tellina serrata e dei policheti Glycera lapydum e Aponuphis brementi. Oltre i 50m, si trova un popolamento tipico del VTC, caratterizzato dalla presenza dei policheti Sternaspis scutata, Laonice cirrata, del gasteropode Turritella communis, del decapode Goneplax rhomboides, e del bivalve Corbula gibba, specie indicatrice di instabilità sedimentaria. Recenti indagini (Ardizzone, com. pers.) a profondità comprese tra 100 e 150m, in corrispondenza del margine della piattaforma continentale, hanno individuato vaste aree di fondale colonizzate dal crinoide Leptometra phalangium, caratteristico di substrati detritici (biocenosi dei fondi Detritici del Largo: Facies a Leptometra). Per quanto riguarda i popolamenti bentonici di substrato duro nel tratto di costa compreso tra S. Agostino e Punta Mattonara si osserva, dalla superficie del mare fino a 4m di profondità, un substrato roccioso ricoperto da alghe fotofile, quali Corallina elongata, Padina pavonica, Dictyota dicotoma e Ulva rigida. Specie dominanti del popolamento animale sono i policheti Theostoma oerstedi, Syllis prolifera, il tanaidaceo Pseudoleptochelia anomala, gli anfipodi Elasmopus pocillimanus, Amphithoe helleri, i gasteropodi Pisinna glabrata, Bittium reticulatum, Barleeia rubra, Mytilaster minimus, Irus irus e l’echinoderma Amphipholis squamata. Oltre tale profondità è presente una prateria di Posidonia oceanica, che si insedia prevalentemente su un substrato roccioso. CIVITAVECCHIA SUD - TORVAIANICA Anche per questa zona un importante e ampio contributo sulla distribuzione delle biocenosi bentoniche proviene dagli studi effettuati dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio (Chimenz Gusso et al.,1996). Sono presenti, inoltre, diversi lavori a carattere più locale e specialistico riguardanti i popolamenti bentonici della zona: Argenti et al. (1992), Bracale et al. (1992), Chimenz e Nicoletti. (1994), Gravina et al. (1995), Scipione e Lattanzi (1995), Scipione et al. (1995), Nicoletti e Chimenz (1995), Tomassetti e Chimenz Gusso (1998), Franceschini et al. (1996). Per quanto riguarda la distribuzione delle biocenosi bentoniche su substrato mobile, le informazioni raccolte riportano la presenza tra Fregene e Fiumicino, tra 0 e 7m di profondità, della biocenosi delle Sabbie Fini degli Alti Livelli (SFHN). La biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC) è 57 ICRAM segnalata tra 8 e 15m, da Ladispoli a Torvaianica. Il fondale a profondità compresa tra 15 e 30m, da Santa Severa a Torvaianica, è caratterizzato da fondi misti fango-sabbiosi. Più in profondità, tra 30 e 50m, sono presenti popolamenti bentonici ascrivibili alla biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC). La zona prospiciente la foce del Tevere è stata studiata in particolare da Della Seta et al. (1977), Focardi et al. (1982), Falciai et al. (1983), Falciai e Spadini (1985). In base ai dati raccolti, in tale area vengono evidenziati gli stessi popolamenti descritti nelle aree più settentrionali, la cui distribuzione batimetrica appare però modificata. La biocenosi SFHN, localizzata nella parte superiore del piano infralitorale, si estende fino ad una profondità di 5m ed è caratterizzata dalla presenza di specie caratteristiche esclusive quali Lentidium mediterraneum, Donax semistriatus e Chamelea gallina, strettamente associata a fondi psammitici. La biocenosi SFBC, costituita da specie caratteristiche esclusive e preferenziali, quali il bivalve Spisula subtruncata, il polichete Owenia fusiformis, il decapode Diogenes pugilator e l’echinoderma Ophiura ophiura, si ritrova ad una profondità compresa tra 5 e 15m. Oltre i 20m di profondità è presente un popolamento tipico della biocenosi del VTC, caratterizzato dalla presenza di specie legate ai fondi pelitici quali il bivalve Phaxas adriaticus, i policheti Sternaspis scutata e Nephtys hystrycis, il decapode Alpheus glaber. Tra le biocenosi SFBC e VTC è stata evidenziata una quarta zona definita “mista” caratterizzata dalla presenza di organismi misticoli: la presenza di tale zona, molto più estesa nell’area a nord della foce, è probabilmente una conseguenza diretta del continuo e massiccio apporto di materiale fine da parte del fiume. Il margine della piattaforma continentale, nell’area tra Santa Severa e Fiumicino tra 100 e 150m, è caratterizzato dalla presenza della biocenosi dei fondi Detritici del Largo - facies a Leptometra phalangium, (DL-Lept) (Ardizzone, com. pers.). I fondali rocciosi presenti nella zona di Capo Linaro, tra Civitavecchia e Santa Severa, sono caratterizzati dalla biocenosi della Roccia Infralitorale di Moda Battuta (RIPB), nella fascia più superficiale, dalle biocenosi della Roccia Infralitorale Fotofila di Moda Calma (RIPC) e delle Rodoficee Calcaree Incrostanti e Ricci (RCEO), nei livelli inferiori. Nella fascia superiore si rinviene una fascia a Mytilidae rappresentata dal bivalve Mytilaster minimus che in genere si adatta a condizioni di ridotto idrodinamismo. Ad una profondità compresa tra 1 e 6m è presente una facies caratterizzata dalla feoficea Cladostephus spongiosus e da altre specie (Halopteris scoparia, Padina pavonica e Codium vermilara) che tipicamente si insediano su fondi rocciosi dove si possono accumulare notevoli quantità di sedimento che rimane intrappolato tra i loro talli. I massi di maggiori dimensioni sono spesso ricoperti da corallinacee incrostanti e da ricci. Anche il 58 ICRAM popolamento zoobentonico è formato dalle specie tipiche dei substrati rocciosi fotofili di moda semi-esposta, soggetti a debole idrodinamismo. Alla profondità di 10m, accanto a specie fotofile se ne aggiungono altre tipicamente sciafile, frequenti nelle formazioni coralligene del circalitorale. Alla profondità compresa tra di 30 e 50m, in corrispondenza del limite inferiore della prateria di Posidonia, sono presenti popolamenti di fondo mobile appartenenti alla biocenosi del Detritico Infangato (DE). TORVAIANICA – CIRCEO Tra Torvaianica ed Anzio non sono stati trovati lavori relativi ai popolamenti bentonici, tranne alcuni riguardanti le biocostruzioni a Sabellaria presenti a Tor Caldara (Lavinio) (Taramelli, 1961; Nicoletti et al., 2000). Per la zona compresa tra Anzio e il promontorio del Circeo sono, invece, disponibili numerose informazioni sui popolamenti che caratterizzano tali fondali: Argenti et al. (1992), Chimenz Gusso et al. (1996), Gravina et al. (1995), Scipione e Lattanzi (1995), Scipione et al. (1995), Tomassetti e Chimenz Gusso (1998), Franceschini et al. (1996). Tra Anzio e il lago di Sabaudia, ad una profondità tra 5 e 10m, si trova la biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC), caratterizzata dal gasteropode Nassarius mutabilis, dai crostacei Bathyporeia guilliamsoniana e Liocarcinus zariquiey e dal polichete Glycera tridactyla. In prossimità di Anzio e Sabaudia sono segnalate facies a Spisula subtruncata. Il fondale compreso tra 20 e 40m, situato tra Capo d’Anzio e la foce del fiume Astura, è caratterizzato da popolamenti tipici di fondi misti. Invece, tra la foce del fiume Astura ed il lago di Caprolace, dai 20 ai 50m, è presente un popolamento bentonico tipico della biocenosi del Detritico Infangato (DE), rappresentato dai molluschi Plagiocardium papillosum, Tellina balaustina, Pitar rudis e Dentalium inaequicostatum. A maggiori profondità di 50m, tutta la zona è caratterizzata da popolamenti bentonici ascrivibili alla biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC). Una serie di indagini sono state effettuate da ICRAM a largo di Anzio, nell’ambito di un progetto per lo studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento (ICRAM, 2000a; b; c; ICRAM 2001a; b). Il fondale investigato è caratterizzato dalla presenza di un affioramento roccioso (secca di Costacurti) dove sono presenti popolamenti fitozoobentonici ascrivibili alle biocenosi del Precoralligeno (PC) e Coralligeno (C). Ad una profondità di 30-35m sul margine settentrionale della secca si osservano macchie di P. oceanica su roccia. Verso costa, a profondità tra 40 e 48m, si individuano le biocenosi del Detritico Costiero 59 ICRAM (DC) - facies a Mäerl - e del VTC (Nicoletti et al., in stampa). Tra 100 e 150m, sul bordo della scarpata, è presente la facies a Leptometra phalangium del detritico del largo (DL- Lept) (Ardizzone, com. pers.) CIRCEO - GAETA Numerosi sono gli studi relativi alla distribuzione delle comunità bentoniche nell’area antistante il promontorio del Circeo (Argenti et al., 1992; Bracale et al., 1992; Chimenz e Nicoletti, 1994; Gravina et al., 1995; Nicoletti e Chimenz, 1995; Scipione e Lattanzi, 1995; Scipione et al. 1995; Chimenz Gusso et al., 1996; Franceschini et al., 1996; Tomassetti e Chimenz Gusso, 1998) e il golfo di Gaeta (Zurlini e Bedulli, 1983; ECOMAR, 1983; Ferretti et al.,1989). Le informazioni sui popolamenti macrozoobentonici dei fondi mobili evidenziano, in prossimità di Terracina, la presenza della biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC) ad una profondità di circa 5m, caratterizzata dagli anfipodi Ampelisca brevicornis, Bathyporeia megalops e B. guilliamsoniana. In questa zona è presente una vasta prateria di Posidonia oceanica su sabbia, intervallata da ampie aree di “matte” morta. Oltre i 30m, in corrispondenza del limite inferiore della prateria di Posidonia, nella porzione di fondale che si estende a sud del Circeo fino a Sperlonga, si trova la biocenosi del Detritico Infangato (DE). Nel golfo di Gaeta, tra Torre Viola ed il fiume Garigliano, tra 15 e 20m, sono presenti popolamenti ascrivibili alla biocenosi SFBC con specie tipiche come i policheti Owenia fusiformis, Pectinaria koreni e Nephtys hombergii ed i molluschi Tellina pulchella, Spisula subtruncata. A maggiori profondità, tra 35-50m, sono presenti specie indicatrici di instabilità sedimentaria come Ditrupa arietina e Corbula gibba. Tra i 44 e 98m di profondità si rinvengono specie caratteristiche della biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri (VTC), quali i policheti Laonice cirrata, Chaetozone setosa e Nephthys histricis (Zurlini e Bedulli, 1983; ECOMAR, 1983). I dati forniti da Ferretti et al. (1989) sulle comunità bentoniche del golfo di Gaeta mostrano alcune contraddizioni rispetto agli studi precedenti. Tra 5 e 20m di profondità è presente la biocenosi SFBC, cui segue una sottile fascia, a circa 20m, caratterizzata dalla presenza di popolamenti bentonici tipici del Detritico Costiero (DC). Oltre tale profondità sono presenti popolamenti ascrivibili alla biocenosi del VTC. Alla profondità di 100m si rinvengono organismi bentonici tipici della biocenosi del DE. Per quanto riguarda i popolamenti bentonici di substrato duro sono stati esaminate in particolare due 60 ICRAM aree, una localizzata a Capo Circeo, nelle vicinanze di Torre Paola, e l’altra a Gaeta, a sud della montagna Spaccata. Le osservazioni relative ai fondi duri del Circeo individuano una parete verticale (esposta ad ovest) che termina a circa 6m di profondità su un fondo sabbioso. In superficie si rinvengono associazioni fitozoobentoniche appartenenti alle biocenosi della Roccia Infralitorale Fotofila di Moda Battuta (RIPB), caratterizzata dall’alga Cystoseira amentacea var. stricta, alla quale sono associati sia anfipodi tipici di un ambiente a forte idrodinamismo come Jassa marmorata, il decapode Pilumnus hirtellus e il bivalve Mytilus galloprovincialis. Nella fascia batimetrica successiva, tra 1 e 5m, è presente la biocenosi delle Alghe Fotofile di Moda Calma (APIC). Si osserva una facies a Cystoseiretum crinitae costituita dalle alghe Halopteris scoparia e Colpomenia sinuosa. Alla profondità di 5m è presente una biocostruzione formata dai tubi di policheti del genere Sabellaria che escludono quasi completamente il popolamento vegetale (Gravina et al., 1995; Nicoletti et al., 2000). In prossimità di Gaeta, su una parete rocciosa subverticale esposta a sud che scende oltre i 15m di profondità, si segnala la presenza di un popolamento algale infralitorale (tra 1-6m) che risente della torbidità dell’acqua; in superficie manca, infatti, il popolamento a Cystoseira amentacea var. stricta che viene sostituito da una facies a Corallina elongata, Pterosiphonia pennata e da specie algali che tollerano la presenza di sedimento fine, come Halopteris scoparia e Padina pavonia. Per quanto riguarda la fauna bentonica, in superficie le specie predominanti sono i molluschi Mytilus galloprovincialis e Mytilaster minimus; inoltre, si rinvengono sia specie legate al popolamento algale fotofilo, come i policheti Syllis prolifera, Perinereis cultrifera e l’anfipode Caprella acanthifera, sia specie di substrato roccioso del circalitorale (i policheti Lumbrineris coccinea e Chrysopetalum debile) sia di substrato mobile (i policheti Kefersteinia cirrata e Ophiodromus pallidus). A profondità tra 12 e 15m predomina una copertura algale composta di varie specie del genere Peyssonnelia (rodoficea sciafila) e, tra la fauna, sono presenti specie sciafile come i gorgonacei Eunicella cavolinii, E. stricta e Paramunicea clavata. 61 ICRAM 3.2 Posidonia oceanica e altre Fanerogame marine FOSSO DEL CHIARONE - CIVITAVECCHIA SUD Una serie di indagini sono state svolte negli anni ’90 per approfondire la distribuzione delle fanerogame marine, in particolare della Posidonia oceanica, lungo la piattaforma continentale laziale. Nel tratto di costa che si estende dal limite settentrionale del Lazio fino alla località di Civitavecchia sono da segnalare gli studi condotti da SNAM Progetti (1991), ICRAM (1995), Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio (1996), ENEL (1997, 2000, 2001), Diviacco et al. (1999a), Virno et al. (2001), Diviacco et al. (2001), Spada et al. (2001). Le informazioni raccolte descrivono, nel tratto di mare compreso tra la località di Graticciara ad ovest e la foce del fiume Fiora ad est, una prateria di Posidonia oceanica estremamente degradata. Fin dal limite superiore, intorno ai 15m di profondità, la prateria si presenta, infatti, intervallata da ampie zone di “matte” morta; questa situazione è presente fino alla profondità di 20m dove fasci sparsi o piccole macchie si rinvengono insieme a “matte” morta e ampi catini di sedimento fine. Oltre i 20m si trova soprattutto “matte” morta, spesso infangata e poco visibile. In tutta questa zona non si può parlare di prateria di Posidonia oceanica bensì di fasci isolati o “semi-prateria” (Ardizzone e Belluscio, 1996). Le indagini condotte da Virno et al. (2001) segnalano la presenza di tre piccoli prati di un’altra fanerogama marina, Cymodocea nodosa, tra la costa ed il limite superiore della prateria di Posidonia. Il primo prato è localizzato in prossimità di Graticciara, a profondità comprese tra 5 e 10m; il secondo ben definito è situato ad est di Graticciara, mentre il terzo prato è disposto a circa 1,5 km ad est della centrale ENEL di Montalto di Castro. La prateria di Posidonia sopra citata è interrotta in prossimità della foce del fiume Fiora; a sud di tale foce (Punta Morelle) il fondale è caratterizzato da substrato duro di natura organogena che si estende fino a circa 25m, intervallato da zone di sabbia. In questa zona, la Posidonia è presente a macchie intervallata ad ampie zone di “matte” morta. La Posidonia oceanica, interrotta nei pressi della foce dell’Arrone, riprende più a sud con caratteristiche simili fino alla foce del Marta. In questa zona, dagli 11-13m di profondità fino ai 18m, sono evidenti sempre più ampie zone di “matte” morta, intervallate a rocce sparse. Oltre tale profondità si osservano ampie zone sabbiose e “matte” morta, con radi fasci di Posidonia. Un’altra prateria di Posidonia si rinviene nella zona antistante il litorale di Marina di Tarquinia, delimitata a ponente dal fiume Marta e a levante dal fiume Mignone; questa si insedia, a partire dai 62 ICRAM 7m di profondità, sia su sabbia che su “matte”. Oltre i 10-12m il fondale presenta ampie zone rocciose con articolate formazioni organogene e Posidonia. Alla profondità di 18-20m il fondale è caratterizzato prevalentemente da “matte” morta e vari affioramenti rocciosi; sono presenti rade macchie e fasci isolati di Posidonia. Nel tratto di litorale che si estende tra il fiume Mignone e Civitavecchia, il fondale è di natura prevalentemente rocciosa con sacche di sabbia. La Posidonia oceanica è sempre presente con macchie più o meno grandi, sia nei catini di sabbia che sulla roccia (Ardizzone e Belluscio, 1996). In particolare, nella zona delimitata a nord dalla località Bagni di Sant’Agostino e a sud da Torre Valdaliga, la fanerogama è presente con maggiori densità su sabbia rispetto a quella insediata su roccia. In prossimità dell’approdo di Torre Valdaliga, la Posidonia oceanica è insediata su un substrato roccioso. Il limite superiore è situato attorno ai 2m di profondità e risulta fortemente influenzato dalla natura rocciosa del substrato; il limite inferiore si presenta anch’esso molto irregolare ed è compreso tra 12 e 14m di profondità (ICRAM, 1995). CIVITAVECCHIA SUD – TORVAIANICA I dati sulla distribuzione delle fanerogame marine nel tratto di costa compreso tra Civitavecchia e Fiumicino sono forniti principalmente da SNAM Progetti (1991), dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio (Ardizzone e Belluscio, 1996), da Diviacco et al. (1999a), da Virno et al. (2001), da Diviacco et al. (2001). Nel tratto di costa a sud di Civitavecchia fino Capo Linaro il fondale si presenta roccioso, con ampi canali di sabbia. Macchie di Posidonia, più o meno grandi, sono evidenti sia nei catini di sabbia che sulla roccia. La prateria che si estende dal molo di levante del porto di Civitavecchia a Torre del Marangone si presenta in macchie sia su sabbia che su roccia. Il limite superiore coincide con la linea di costa, mentre quello inferiore raggiunge i 20m. Un’altra prateria, che si estende tra 10 e 20m nella zona delle secche dinanzi Capo Linaro, è impiantata su roccia con l’eccezione di piccole macchie su fondi mobili confinanti. Nella zona tra Santa Marinella e Santa Severa si osserva Posidonia su sabbia, prevalentemente in fasci isolati, “matte” morta e ampi cantini di sabbia. Nei pressi della località dei Grottini (S. Severa), il fondale è prevalentemente roccioso con alternanza di ampi canali e catini di sabbia. Fino a 7-8m di profondità sono presenti radi fasci di Posidonia su roccia e chiazze di “matte” morta. Più a largo diviene predominante la “matte” morta, 63 ICRAM con ampi catini di sabbia. Sono presenti piccole macchie sparse di Posidonia e basse formazioni rocciose. La fanerogama diventa sempre più rada con l’aumentare della profondità. Proseguendo verso sud si trovano le secche di Macchia Tonda, formazioni rocciose di origine organogena che si sviluppano dai primi metri di profondità fino a raggiungere i 20m. Ad una profondità di 7-8m, sia sulla roccia che nei canali di sabbia, è presente Posidonia rada. Oltre i 10m si rinvengono, assieme alla roccia, ampi tratti di “matte” morta con radi fasci di Posidonia. La “matte" morta risulta dominante alla profondità di circa 14m ed i fasci di Posidonia diventano sempre più radi con l’aumentare della profondità. A nord di Ladispoli, macchie di Posidonia si trovano sulle secche di Torre Flavia. Queste formazioni appaiono articolate, con roccia bassa di origine organogena e canali di sabbia. Macchie di Posidonia, piccole e rade, sono presenti nei catini di sabbia che si intervallano alle formazioni rocciose. Nei fondali più meridionali la fanerogama risulta assente. TORVAIANICA – CIRCEO Informazioni relative alla distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica e in questo tratto di litorale si reperiscono dettagliatamente nei lavori di SNAM Progetti (1991), Ardizzone e Belluscio (1996), Spada et al. (2001), Diviacco et al. (2001). L’unica area in tutto il Lazio centrale dove è presente Posidonia è in prossimità delle secche di Tor Paterno. Tali secche, situate davanti la località di Torvaianica, sono costituite da alcune formazioni rocciose che si estendono fino a 4 miglia dalla costa. Sulle formazioni rocciose più costiere, ad una profondità di circa 10m, non si rinviene Posidonia, mentre su quelle più esterne, ad una profondità compresa tra 18 e 40m, si trovano alcune zone ricoperte dalla fanerogama. Le indagini condotte dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto del Ministero della Marina Mercantile (1993) sui fondali della secca evidenziano nella parte più superficiale, fino alla profondità di 30m, la presenza di macchie di Posidonia intervallate a formazioni rocciose più o meno articolate e a chiazze di “matte” morta. E’ una prateria che appare quasi ovunque in regressione. Uno studio recente (Bataloni, 2000) eseguito sulla secca di Tor Paterno conferma la presenza di un mosaico di Posidonia oceanica su fondo duro e mobile e su “matte”, di fondi rocciosi con coralligeno, spesso infangato, e della biocenosi del coralligeno - facies a Paramunicea clavata. Nel tratto di costa compreso tra Torre Astura ed i laghi pontini è presente una prateria di Posidonia 64 ICRAM divisa in due parti da un’ampia radura sabbiosa situata davanti la località di Lido di Foce Verde. Tra Torre Astura e Capo Portiere, la prateria di Posidonia su “matte” si presenta piuttosto compatta alla profondità di 15m, meno compatta per la presenza di ampie zone di erosione intorno ai 20m, e a chiazze fino a 32m di profondità. Da Capo Portiere fino al lago di Caprolace fino ai 16-18m di profondità, si trova una prateria di P. oceanica a macchie sparse e con maggiori densità fino a circa 30m. La fanerogama è assente tra la foce del lago Caprolace ed il promontorio del Circeo, dove invece è presente Cymodocea nodosa. Ardizzone e Belluscio (1996), Spada et al. (2001) e Diviacco et al. (2001) segnalano tra le Grottacce e Torre Astura piccole chiazze di Cymodocea nodosa, la cui presenza diviene più importante nella radura che separa i due tratti di prateria di Posidonia e davanti i laghi costieri, ad una profondità compresa tra 10 e 20m. Un altro prato di Cymodocea nodosa, caratterizzato da un notevole numero di radure sabbiose al suo interno, si estende dal lago di Caprolace fino al Circeo tra 7 e 14m di profondità. La definizione di “prato” in questo caso può essere impropria dato che si tratta in realtà di una serie di cespugli di Cymodocea. CIRCEO – GAETA Una serie di indagini sulla distribuzione delle fanerogame marine presenti nell’area compresa tra il promontorio del Circeo e Gaeta sono state condotte da SNAM Progetti (1991), dall’Università “La Sapienza” di Roma (Ardizzone e Belluscio, 1996), da Diviacco et al. (1999b), da Diviacco et al. (2001), da Spada (1996) e da Spada et al. (2001). Nel tratto di litorale che va dal promontorio del Circeo fino a Terracina si insedia una estesa prateria di Posidonia oceanica su sabbia o in fasci isolati e “matte” morta, il cui margine inferiore è situato a circa 22-24m di profondità. La prateria mostra un’area di maggior densità (più di 150 fasci/mq) nelle acque prospicienti il promontorio del Circeo, la foce del fiume Sisto e tra Terracina e Torre Canneto. Queste tre aree sono circondate da zone di Posidonia che presentano modesti valori di densità, equivalenti ad una condizione di “semi-prateria”. La maggior parte dell’area è occupata da una prateria molto rarefatta e con ampie zone di “matte” morta. Tra Terracina e la foce del lago Lungo è presente una prateria, prevalentemente su “matte”, caratterizzata da una zona centrale piuttosto estesa. Due propaggini più degradate si estendono sia verso ponente che levante, riducendosi in prossimità del lago Lungo (densità inferiori ai 50 fasci mq). In questa zona si osservano ampie zone di “matte” morta ed è netta la regressione verso terra del margine inferiore che si trova tra i 20 e 10m. Più a sud di lago Lungo la Posidonia oceanica risulta assente. 65 ICRAM Nel golfo di Gaeta non è presente Posidonia oceanica (Zurlini e Bedulli, 1983). Per quanto riguarda la fanerogama marina Cymodocea nodosa, Ardizzone e Belluscio (1996) e Diviacco et al. (2001) segnalano, tra Rio Torto e Torre Olevola, un prato insediato su una conca sabbiosa che in passato doveva ospitare un tratto di prateria di Posidonia. Tale zona, dai margini irregolari, possiede un limite superiore frammentato su sabbia, con chiazze sparse. Prati di C. nodosa sono presenti ad una profondità compresa tra 5 e 20m nel tratto di costa compreso tra Terracina e Sperlonga, tra Sperlonga e Gaeta e davanti alla località di Scauri. Il prato di Cymodocea rilevato a Foce Sisto si distribuisce lungo il limite superiore della prateria di Posidonia, presentando un limite superiore composto di ciuffi sparsi che aumentano verso riva. Tra Porto Badino e Terracina sono presenti due piccoli prati di Cymodocea che presentano limiti molto regolari. Nel tratto di costa compreso tra il porto di Terracina e Torre Truglia (Sperlonga) è presente un prato di Cymodocea di maggior ampiezza, che segue nel suo limite inferiore la sottostante prateria di Posidonia. Un altro prato di Cymodocea, che ha inizio subito dopo Sperlonga, mostra numerose strozzature e due interruzioni, una a ridosso di Torre Sant’Agostino e l’altra poco prima di Torre Scissura. Esso presenta molte radure sabbiose ed il ricoprimento, inizialmente alto, tende a diminuire con l’aumentare della sabbia. In prossimità della località di Scauri si trova una ridotta area a Cymodocea situata lungo la batimetria dei 10m, costituita da radure sabbiose e con limiti irregolari. Numerose altre chiazze di questa fanerogama si rinvengono fino al fiume Garigliano; in particolare quella situata tra Torre Giano e Torre del Fico, più grande delle altre, che inizia ad una profondità di 12 m e che un tempo doveva far parte dell’adiacente area di prateria. ISOLE PONTINE Tra gli studi sulla distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica attorno alle Isole Ponziane segnaliamo quelli condotte dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto della Regione Lazio (Ardizzone e Belluscio, 1996). L’isola di Ponza presenta una prateria di Posidonia che la circonda completamente, tranne la zona antistante Cala Chiaia di Luna. I fondali dell’isola nei versanti orientale, occidentale e nord occidentale, si presentano piuttosto ripidi, con profondità elevate a breve distanza dalla costa: questo giustifica l’estensione limitata delle praterie. Lungo il margine inferiore delle praterie, situato a circa 38-40m di profondità, si rinviene una fascia di “matte” morta. Ampie aree di “matte” morta si osservano nei pressi della località “il Frontone”. La Posidonia si insedia su roccia intorno 66 ICRAM agli scogli delle Formiche, intorno a Punta della Madonna, Punta bianca e anche lungo il versante nord occidentale dell’isola. Nelle altre aree la fanerogama è presente su sabbia o “matte”. Anche l’isola di Palmarola presenta una prateria che la circonda quasi totalmente. Le praterie più estese si rinvengono lungo il versante meridionale fino alla profondità di 32m. Altre zone ampie con Posidonia si osservano nei pressi di Monte tramontana e Punta Grottelle. Praterie su roccia si sviluppano lungo il versante sud occidentale (secca di Mezzogiorno) e nord occidentale dell’isola (Punta Tramontana). Inoltre, sono presenti piccole praterie sia su sabbia o “matte” che su roccia lungo i fondali del versante orientale. L’Isola di Zannone è quasi completamente circondata da una fascia di Posidonia; il suo limite inferiore è collocato intorno ai 37-38 m di profondità e “matte “morta si rinviene fino a circa 40m. Entrambe le isole di Ventotene e S. Stefano hanno praterie di Posidonia di estensione ridotta, a causa dei fondali estremamente ripidi. A Ventotene, Posidonia è presente lungo tutto il versante sud occidentale insediata su roccia fino a circa 16m di profondità e su sabbia o “matte”fino a 36-37m. I fondali del versante settentrionale dell’isola mostrano una ampia zona con Posidonia sia su sabbia o “matte” che su roccia. Posidonia prevalentemente su roccia si osserva lungo il versante meridionale. L’isola di S. Stefano presenta praterie su roccia di ridotte estensioni. I margini inferiori delle praterie descritte in ambedue le isole possono raggiungere i 40-41m di profondità. 67 ICRAM Bibliografia Ardizzone G.D., Belluscio A. (1996) - Le praterie di Posidonia oceanica delle coste laziali. In: Il mare del Lazio, Università la sapienza di Roma, Regione Lazio Assessorato opere e reti di servizi e mobilità: 194-217. Argenti L., Tomassetti P., Chimenz C. (1992) - Contributo alla conoscenza dei Crostacei Decapodi del Tirreno centrale (Lazio). Biologia Marina, suppl. al Notiziario S.I.B.M., 1: 299-300. Bataloni S. (2000) - Il benthos della Riserva marina “Secche di Tor Paterno”: Molluschi. Tesi di Laurea, Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, A.A. 1999/2000: 323 pp. Bracale G., Russo G.F., Chimenz C. (1992) - Malacofauna di substrato duro delle coste laziali. Biologia Marina, suppl. al Notiziario S.I.B.M., 1: 297-298. Chimenz C. 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Prima campagna monitoraggio - ICRAM (2000), per conto della Regione Lazio: 74 pp ICRAM (2001a) - Studio pilota per l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento: il caso Anzio (Roma). Fase III Seconda campagna monitoraggio - ICRAM (2001), per conto della Regione Lazio: 90 pp ICRAM (2001b) - Studio pilota per l’impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento: il caso Anzio (Roma). Fase III Terza campagna monitoraggio - ICRAM (2001), per conto della Regione Lazio: 146 pp Ministero Marina Mercantile (1993) - Caratteristiche ambientali e risorse da pesca della secca di Tor Paterno. Universita’ “La Sapienza”: 103 pp. Nicoletti L., Chimenz C. (1995) - Bryozoan assemblages and relation with environmental factors: an example from the Latium coast (Italy). Oebalia, 21: 93-102. Nicoletti L., Tomassetti P., Lattanzi L., La Valle P., Gambi M.C., La Porta B., Tucci P. 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I dati relativi alla fauna ittica pelagica sono stati pertanto tralasciati dal presente studio. 4.1 Popolamento ittico demersale Le principali informazioni sul popolamento demersale della piattaforma continentale laziale, tra 0 e 150 m di profondità, provengono essenzialmente dai dati raccolti durante campagne sperimentali di pesca a strascico, realizzate dal Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università di Roma “La Sapienza”. Tali campagne sono state svolte nell’ambito di due progetti di ricerca, uno nazionale e l’altro internazionale, denominati rispettivamente Gru.N.D. (Gruppo Nazionale Demersali) e MedITSIT (Mediterranean International Trawl Survey). Il primo, avviato nel 1985 prevede campagne di pesca sperimentali nella stagione autunnale, il secondo iniziato nel 1994 si svolge nella stagione primaverile. Nella tabella 4.1.1 vengono elencate le specie demersali caratteristiche della piattaforma laziale rinvenute nelle campagne Gru.N.D. e MedITSIT; i dati si riferiscono al triennio 1996-1998. Sono state censite in tutto 13 specie di pesci cartilaginei, 89 di pesci ossei, 18 cefalopodi e 18 crostacei, per un totale di 138 specie. 73 ICRAM Tabella 4.1.1 – Elenco delle specie rinvenute sulla piattaforma continentale laziale durante le campagne di pesca a strascico sperimentali (progetto GRUND e MEDITSIT), con indicazione dell’intervallo batimetrico (metri) in cui sono presenti. I dati si riferiscono al triennio 1996-98. MEDITS GRUND prof. min. prof.max prof. min. prof.max 16 >150 15 >150 36 >150 52 >150 31 105 35 >150 22 >150 39 >150 95 >150 98 >150 16 128 15 >150 47 47 16 147 15 >150 22 >150 52 >150 102 >150 46 >150 75 >150 30 >150 45 >150 24 41 105 >150 93 >150 31 >150 65 >150 49 49 49 49 104 104 140 >150 22 >150 53 >150 MEDITS GRUND prof. min. prof.max prof. min. prof.max 30 95 98 >150 95 >150 115 >150 16 105 142 >150 16 16 16 >150 51 >150 95 >150 139 >150 105 106 16 105 18 >150 81 >150 38 38 79 >150 59 >150 30 82 119 >150 15 15 22 65 36 65 95 >150 95 >150 73 >150 16 104 15 >150 MEDITS GRUND prof.min prof.max prof.min prof.max 30 95 31 38 16 16 15 106 89 105 68 >150 80 >150 81 >150 16 >150 39 39 Cefalopodi Alloteuthis media (Linnaeus, 1758) Eledone cirrhosa (Lamarck, 1798) Eledone moschata (Lamarck, 1798) Illex coindetii (Verany, 1839) Loligo forbesi Steenstrup, 1856 Loligo vulgaris Lamarck, 1798 Octopus macropus Risso, 1826 Octopus vulgaris Cuvier, 1797 Rondeletiola minor Naef, 1912 Rossia macrosoma (Delle Chiaje, 1830) Scaeurgus unicirrhus (Orbigny, 1840) Sepia elegans Blainville, 1827 Sepia officinalis Linnaeus, 1758 Sepia orbignyana Ferussac, 1826 Sepietta oweniana (Pfeffer, 1908) Sepiola robusta Naef, 1912 Sepiola rondeleti Steenstrup, 1856 Todaropsis eblanae (Ball, 1841) Crostacei Alpheus glaber (Olivi, 1792) Chlorotochus crassicornis (Costa, 1871) Goneplax rhomboides (Linnaeus, 1758) Liocarcinus vernalis (Risso, 1827) Macropipus depurator (Linnaeus, 1758) Macropipus tuberculatus (Roux, 1830) Maja squinado (Herbst, 1788) Medorippe lanata (Linnaeus, 1767) Monodaeus couchii (Couch, 1851) Pagurus prideaux Leach, 1815 Parapenaeus longirostris (Lucas, 1846) Partenope macrocheles (Herbst, 1790) Penaeus kerathurus (Forsskål, 1775) Pontocaris cataphractus (Olivi,1792) Pontocaris lacazei (Gourret,1887) Processa mediterranea (Parisi, 1915) Solenocera membranacea (Risso, 1816) Squilla mantis (Linnaeus, 1758) Teleostei Alosa fallax (Lacepède, 1803) Aphia minuta mediterranea (De Buen, 1931) Antonogadus megalokynodon (Kolombatovic, 1894) Argentina sphyraena Linnaeus, 1758 Arnoglossus laterna (Walbaum, 1792) 74 ICRAM MEDITS prof.min prof.max 105 >150 38 45 90 >150 38 85 90 120 22 90 82 >150 80 >150 16 31 95 >150 22 120 30 131 30 >150 16 >150 16 95 16 79 30 31 34 150 16 >150 105 >150 117 120 22 45 128 131 94 94 80 >150 79 >150 147 >150 16 >150 125 >150 45 >150 31 85 15 15 117 128 80 108 105 >150 22 >150 65 65 22 105 22 >150 16 >150 - Teleostei Arnoglossus rueppeli (Cocco, 1844) Arnoglossus thori Kyle, 1913 Aspitrigla cuculus (Linnaeus, 1758) Aspitrigla obscura (Linnaeus, 1764) Blennius ocellaris (Linnaeus, 1758) Boops boops (Linnaeus, 1758) Bothus podas podas (Delaroche, 1809) Callanthias ruber (Rafinesque, 1810) Callionymus maculatus Rafinesque Schmaltz, 1809 Callionymus phaeton (Gunter, 1861) Callionymus risso Lesuer, 1814 Capros aper Linnaeus, 1758 Centracanthus cirrus Rafinesque, 1810 Cepola macrophthalma (Linnaeus, 1758) Citharus linguatula (Linnaeus, 1758) Conger conger (Linnaeus, 1758) Deltentosteus quadrimaculatus (Valenciennes, 1837) Dentex dentex (Linnaeus, 1758) Dicentrarchus labrax (Linnaeus, 1758) Diplodus annularis (Linnaeus, 1758) Diplodus puntazzo (Cetti, 1777) Diplodus vulgaris (E. Geoffrey St.-Hilaire, 1817) Echelus myrus (Linnaeus, 1758) Engraulis encrasicolus (Linnaeus, 1758) Eutrigla gurnardus (Linnaeus, 1758) Glossanodon leioglossus (Valenciennes, 1848) Gnathophis mystax (Delaroche, 1809) Gobius niger jozo Linnaeus, 1758 Helicolenus dactylopterus (Delaroche, 1809) Hippocampus hippocampus (Linnaeus, 1758) Lepidopus caudatus (Euphrasen, 1788) Lepidorhombus boscii (Risso, 1810) Lepidorhombus whiffiagonis (Walbaum, 1792) Lepidotrigla cavillone (Lacepède, 1801) Lepidotrigla dieuzeidei Audouin in Blanc & Hureau, 1973 Lesueurigobius friesii (Malm, 1874) Lesueurigobius suerii (Risso, 1810) Lichia amia (Linnaeus, 1758) Lithognathus mormyrus (Linnaeus, 1758) Liza aurata (Risso, 1810) Lophius budegassa Spinola, 1807 Lophius piscatorius Linnaeus, 1758 Macroramphosus scolopax (Linnaeus, 1758) Merluccius merluccius (Linnaeus, 1758) Microchirus ocellatus (Linnaeus, 1758) Microchirus variegatus (Donovan, 1808) Mola mola (Linnaeus, 1758) Monochirus hispidus Rafinesque, 1814 Mullus barbatus Linnaeus, 1758 Mullus surmuletus Linnaeus, 1758 Notolepis rissoi (Bonaparte, 1840) 75 GRUND prof.min prof.max 33 >150 71 >150 31 >150 32 122 93 118 19 >150 21 21 142 142 75 >150 112 114 120 >150 50 120 35 >150 35 >150 21 >150 68 111 20 31 40 40 15 56 29 34 16 16 27 97 25 132 137 155 134 >150 107 137 29 >150 137 >150 94 94 94 >150 117 >150 164 >150 33 >150 131 >150 47 >150 65 65 15 15 15 17 20 203 107 >150 133 >150 112 >150 28 >150 38 >150 18 >150 39 40 15 >150 27 >150 15 15 ICRAM Pagellus acarne (Risso, 1826) Pagellus bogaraveo (Brunnich, 1768) Pagellus erythrinus (Linnaeus, 1758) Phycis blennoides (Brunnich, 1768) Sardina pilchardus (Walbaum, 1792) Sardinella aurita Valenciennes, 1847 Sarpa salpa (Linnaeus, 1758) Scomber scombrus Linnaeus, 1758 Scophthalmus rhombus (Linnaeus, 1758) Scorpaena elongata Cadenat, 1943 Scorpaena notata Rafinesque, 1810 Scorpaena scrofa Linnaeus, 1758 Seriola dumerilii (Risso, 1810) Serranus cabrilla (Linnaeus, 1758) Serranus hepatus (Linnaeus, 1766) Solea vulgaris Quensel, 1806 Sphyraena sphyraena (Linnaeus, 1758) Spicara flexuosa Rafinesque, 1810 Spicara maena (Linnaeus, 1758) Spicara smaris (Linnaeus, 1758) Symphurus nigrescens Rafinesque, 1810 Synodus saurus (Linnaeus, 1758) Trachinus draco Linnaeus, 1758 Trachurus mediterraneus (Steindachner, 1863) Trachurus picturatus (Bowdich, 1825) Trachurus trachurus (Linnaeus, 1758) Trigla lucerna Linnaeus, 1758 Trigla lyra Linnaeus, 1758 Trigloporus lastoviza (Bonnaterre, 1788) Trisopterus minutus capelanus (Lacepède, 1800) Umbrina cirrhosa (Linnaeus, 1758) Uranoscopus scaber Linnaeus, 1758 Zeus faber Linnaeus, 1758 Selaci 16 >150 119 >150 16 >150 95 >150 16 >150 16 79 30 31 16 128 30 36 120 120 22 65 89 94 30 131 16 131 34 36 16 144 104 104 16 >150 36 131 34 82 22 83 16 >150 16 >150 16 45 151 >150 22 79 45 >150 38 95 16 >150 MEDITS prof.min prof.max 45 46 80 82 16 105 150 >150 38 38 150 150 Dasyatis violacea Bonaparte, 1832 Mobula mobular (Bonnaterre, 1788) Mustelus mustelus (Linnaeus, 1758) Myliobatis aquila (Linnaeus, 1758) Oxynotus centrina (Linnaeus, 1758) Raja asterias Delaroche, 1809 Raja clavata Linnaeus, 1758 Raja miraletus Linnaeus, 1758 Raja montagui Fowler, 1910 Scyliorhinus canicula (Linnaeus, 1758) Scyliorhinus stellaris (Linnaeus, 1758) Torpedo nobiliana Bonaparte, 1835 Torpedo torpedo (Linnaeus, 1758) 28 109 87 >150 15 143 93 >150 24 115 25 36 28 >150 27 40 40 >150 89 94 26 38 55 128 50 >150 23 71 25 68 16 113 27 59 40 143 95 106 30 106 16 >150 99 >150 30 >150 17 >150 116 >150 55 133 60 >150 15 15 36 100 53 >150 GRUND prof.min prof.max 14 14 15 15 18 >150 43 >150 95 >150 142 142 108 >150 128 >150 84 >150 47 >150 15 15 Dai dati a disposizione sul popolamento demersale della piattaforma laziale, il nasello (Merluccius merluccius) risulta la specie commerciale più abbondante a partire dai 50m di profondità, mentre la 76 ICRAM triglia di fango (Mullus barbatus) e il polpo (Octopus vulgaris) mostrano rendimenti maggiori tra i 10 e i 50m. La cattura del nasello, ed ancor più della triglia di fango, è concentrata sui giovanili ed è fortemente condizionata dall’intensità del reclutamento16. Tra le altre specie maggiormente catturate vi è il fragolino (Pagellus erythtrinus) (rendimento massimo 2.8 kg/h), il potassolo (Micromesistius potassou), la musdea (Phycis blennoides), il moscardino bianco (Eledone cirrhosa) e il gambero rosa (Parapenaeus longirostris) (Ardizzone et al., 1998c). I rendimenti orari medi (kg/h) dei primi tre “strati batimetrici”, relativi alla piattaforma, sono riportati nella tabella 4.1.2 (Ardizzone et al., 1998c). Tabella 4.1.2 - Rendimenti orari medi (kg/h) relativi a tre fasce batimetriche (Ardizzone et al., 1998) Strato batimetrico Anno 0-50 51-100 101-200 1985 20.8±8.5 13.7±1.9 24.9±18.7 1986 31.7±17.2 14.6±4.3 45.4±40.2 1987 15.1±6.6 10.3±1.8 32.1±17.2 1990 16.28±14.0 13.2±3.7 1991 37.1±18.1 16.1±6.0 1992 28.3±7.4 43.2±30.1 1993 9.9±3.3 16.5±7.8 1994 15.3±9.3 35.9±47.2 34.9±16.3 1995 25.0±20.1 32.7±16.7 21.6±7.5 1996 49.5±32.3 32.5±7.2 38.5±17.7 1997 56.8±54.6 38.3±18.9 29.7±22.1 In un recente lavoro di Colloca et al. (2001; 2002) viene analizzata in dettaglio la struttura e la distribuzione nello spazio dei popolamenti demersali del Lazio. L’analisi dei dati, relativi al 19971998, evidenzia la presenza sulla piattaforma laziale, di tre gruppi faunistici con caratteristiche distinte: il primo localizzato nella fascia compresa tra 0 e 50m di profondità, il secondo caratteristico del tratto di piattaforma compreso i 50 e 120m circa e il terzo localizzato oltre i 120m 16 Il reclutamento è generalmente definito come l’ingresso di una nuova generazione nella popolazione oggetto di pesca. 77 ICRAM di profondità, costituito dalle specie che vivono al confine tra la piattaforma continentale e la scarpata. Il popolamento presente nella fascia più prossima alla costa è caratterizzato da concentrazioni elevate di giovanili di pesci tipici della piattaforma, in particolare la triglia di fango (M. barbatus) e il pagello (Pagellus acarne). La triglia di fango è la specie maggiormente caratterizzante la porzione interna della piattaforma e costituisce circa il 60% dell’abbondanza totale. Altre specie caratteristiche di questo popolamento sono il fragolino Pagellus erythrinus, il sugherello bianco Trachurus mediterraneus, il nasello M. merluccius, la gallinella Trigla lucerna, la menola Spicara flexuosa, lo sparaglione Diplodus annularis e il calamaro Loligo vulgaris. Si tratta di specie che vivono su fondali sabbiosi misti a fango e detrito caratterizzati dalla presenza delle biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC), dei fondi misti sabbioso-fangosi (SFBC e Fanghi Terrigeni Costieri - VTC) e del detritico costiero (DC) (Pérès e Picard, 1964). Il secondo gruppo, localizzato nel tratto di mare che va dai 50 ai 120m di profondità, è costituito da specie che prediligono fondi fangosi caratterizzati dalle biocenosi del VTC e del Detritico Infangato (DE); la specie più abbondante è il nasello insieme alla menola e al gambero rosa (Parapenaeus longirostris). Anche il cavillone Lepidotrigla cavillone e la seppia elegante Sepia elegans sono costituenti importanti di questo gruppo. Altre specie che contribuiscono in modo significativo in termini di abbondanza sono la suacia Arnoglossus laterna e il serrano bruno Serranus hepatus. Il terzo gruppo, infine, è costituito da specie che raggiungono concentrazioni significative sul margine della piattaforma, caratterizzato da sedimenti detritici infangati, colonizzati dal crinoide Leptometra phalangium (biocenosi del Detritico del Largo - facies a Leptometra phalangium), il cosiddetto “feniccio”. Questa specie è distribuita tra 120 e 180m di profondità, dove raggiunge elevati valori in termini di biomassa e abbondanza numerica. E’ stato osservato che in corrispondenza della facies a Leptometra phalangium vivono ben 82 specie demersali. Le specie tipiche di questo raggruppamento sono il nasello M. merluccius, il merluzzetto Trisopterus minutus capelanus, il pesce trombetta Macroramphosus scolopax e l’argentina Argenthina sphyraena tra i pesci, Illex coindetii e P. longirostris rispettivamente tra i cefalopodi e i crostacei. In generale i valori più bassi di biodiversità sono stati osservati, sulla piattaforma, nel popolamento più costiero: ciò è dovuto alla presenza di ampie aree di nursery di M. barbatus e P. acarne, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. La diversità biologica tende ad aumentare con l’incremento della profondità: infatti, nella porzione più profonda della piattaforma è presente un raggruppamento maggiormente diversificato e composto sia da specie tipiche della piattaforma sia da specie euribate (ad esempio P. longirostris, Macropipus depurator, L. cavillone, etc.), che si 78 ICRAM estendono sino alla parte superiore della scarpata. Tale lavoro completa e conferma uno studio comparato sugli assemblaggi di tre aree del Tirreno centro-settentrionale (dalla foce del fiume Magra, in Liguria, fino alla foce del fiume Garigliano nel Lazio) di Biagi et al. (1998). Diversi studi, tra Capo Circeo e Terracina (Ardizzone, 1982; Ardizzone e Pelusi, 1983; ECOMAR, 1981), sono stati condotti sulla pesca a strascico entro le tre miglia dalla costa, zona in cui è vietata (legge 963 del 14.7.65, art. 111), per caratterizzare il popolamento demersale presente e valutare i danni ad esso arrecati da questa attività illegale. La pesca a strascico entro le tre miglia risulta particolarmente dannosa poiché viene condotta a livelli di sovrasfruttamento degli stocks costieri, colpisce gli stadi giovanili di molte specie (Ardizzone, 1982), e altera, spesso irreversibilmente, biocenosi bentoniche, quali la prateria di Posidonia, di notevolissima importanza nell’equilibrio biologico della fascia costiera (Ardizzone e Migliuolo, 1982). L’area considerata, ad 1 miglio dalla costa, tra 8m e 12m di profondità, risulta caratterizzata dalla presenza di specie variabili stagionalmente in funzione di migrazioni genetiche; la triglia di fango è presente allo stadio giovanile (spesso per il 100%) nel periodo estivo-autunnale; cefalopodi quali il calamaro (L. vulgaris), la seppia (S. officinalis) e il polpo (O. vulgaris) sono presenti principalmente dalla fine dell’inverno alla tarda primavera; il rombo Bothus podas è invece presente tutto l’anno. A due miglia dalla costa, all’interno della prateria di Posidonia oceanica tra 12 e 25m di profondità, la composizione delle catture è usualmente monotona e dominata dal polpo (fino a 12.5 Kg/ora). L’interesse dei pescatori in quest’area è comunque legato alla possibilità di cattura di specie pregiate quali la marmora, l’orata, il pagro, diverse specie di saraghi (Diplodus sargus, D. vulgaris, D. puntazzo), l’aragosta (Palinurus elephas) e altre specie un tempo assai abbondanti ed ormai occasionali a causa dell’intenso sfruttamento e delle modificazioni delle biocenosi di fondo. A tre miglia, su un fondale di 50 m, le catture risultano più eterogenee: le specie regolarmente presenti sono la triglia di fango, la razza (Raja asterias), il fragolino (P. erythrynus), il moscardino rosso e il moscardino bianco (Eledone moscata e E. cirrhosa), il calamaro (L vulgaris) e il nasello (M. merluccius). La frazione giovanile è considerevole per gran parte delle specie. 79 ICRAM 4.2 Aree di nursery e rendimenti delle specie demersali di maggior interesse commerciale In questo paragrafo vengono riportati i dati relativi alle aree di nursery (aree dove si concentrano i giovanili) e ai rendimenti delle specie demersali di maggior interesse commerciale. Queste informazioni risultano particolarmente utili nel momento in cui si deve valutare l’eventuale disturbo dovuto a movimentazione del fondale in una determinata area. I dati sono stati tratti da Ardizzone e Corsi (1997), Ardizzone et al. (1999) e Relini et al. (1998). Al fine di rendere le informazioni più agevolmente utilizzabili e consultabili si è suddivisa l’intera area in quattro sub-aree. FOSSO DEL CHIARONE – CIVITAVECCHIA SUD Nursery: Nasello (Merluccius merluccius) E’ presente un’area di nursery primaverile (Merluccius merluccius) localizzata tra i 100m e i 400m di profondità. In autunno l’area di nursery risulta essere maggiormente estesa sia verso profondità inferiori (< 100m), sia verso profondità maggiori. Triglia di fango (Mullus barbatus) E’ stata rilevata un’area di nursery autunnale che comprende il tratto costiero che va da Graticciara a Riva dei Tarquini e che si estende fino a circa 100m di profondità. Musdea (Phycis blennoides) Presenta un’area di nursery primaverile che va dal largo dell’Argentario fino a Tarquinia ed è estesa fino ai 180m di profondità. Moscardino (Eledone cirrhosa) In estate si osservano due aree di nursery: la prima nelle acque antistanti Riva dei Tarquini tra gli 80 e i 180m di profondità circa; la seconda tra le Saline di Tarquinia e Torre Marangone (a sud di Civitavecchia) tra 50 e 200m di profondità. Una nursery autunnale è presente al largo di Graticciata, tra 50 e 120m circa di profondità. Polpo (Octopus vulgaris) E’ stata osservata una nursery estiva che comprende il tratto di mare che va dall’Argentario fino al confine laziale. Rendimenti: Nasello (Merluccius merluccius) 80 ICRAM All’interno di tale area si osserva un graduale incremento nei rendimenti che presentano un valore massimo (>410 kg/Km2) nella zona centrale, tra i 100 e i 400m di profondità. In estate elevati rendimenti si riscontrano nelle acque antistanti Civitavecchia. Triglia di fango (Mullus barbatus) Rendimenti elevati (>45 kg/h) si osservano lungo tutta la costa compresa tra l’Argentario e Tarquinia. Gambero bianco (Parapenaeus longirostris) Si riscontrano discreti rendimenti (36-56 kg/Km2) nel mare al largo di Tarquinia, tra i 100 e i 200m di profondità. Moscardino (Eledone cirrhosa) Si rilevano elevati rendimenti primaverili (5.50-7.20 kg/h) nella fascia batimetrica compresa tra i 50 e i 200m di profondità. Polpo (Octopus vulgaris) Per questa specie si sono rilevati discreti rendimenti lungo tutta la costa fino a 50m di profondità sia in estate che in autunno. CIVITAVECCHIA SUD – FIUMICINO Nursery: Nasello (Merluccius merluccius) In autunno è presente una nursery tra i 130 e i 200m di profondità al largo di Ladispoli. Triglia di fango (Mullus barbatus) Da S. Marinella a Palidoro, estesa fino alla batimetrica dei 50m, è presente un’area di nursery autunnale. Musdea (Phycis blennoides) Una nursery primaverile è localizzata al largo di S. Severa e si estende da 120 a oltre 200m di profondità. Moscardino (Eledone cirrhosa) In autunno si osserva un’area di nursery da Fregene a Fiumicino tra 50m e 200m di profondità. Polpo (Octopus vulgaris) Si osservano due aree di nursery estive: una da S. Marinella a Fregene, dalla costa fino a circa 70m di profondità; la seconda tra Fregene e Focene tra i 20 e 60m di profondità circa. 81 ICRAM Rendimenti: Nasello (Merluccius merluccius) Elevati rendimenti si osservano in estate. Triglia di fango (Mullus barbatus) In tutta l’area questa specie presenta elevati rendimenti (>45 kg/Km2) in estate ed autunno. Moscardino (Eledone cirrhosa) Discreti rendimenti (4.10-5.50 kg/h) si riscontrano in primavera tra Civitavecchia e Fregene. FIUMICINO – CIRCEO Nursery: Nasello (Merluccius merluccius) Sono presenti due aree di nursery primaverili: la prima nel tratto di mare antistante Torvaianica e Lido dei Pini, estesa tra 70 e più di 200m di profondità, la seconda di fronte ad Anzio tra i 150 e i 250m di profondità. Due vaste nursery autunnali sono inoltre presenti in questa zona: la prima tra Lido di Ostia e Torvaianica tra i 50m (in prossimità del Lido di Ostia) e i 400m (al largo di Torvaianica) di profondità, la seconda tra Lido dei Pini e Nettuno tra 170 e 500m. Musdea (Phycis blennoides) Questa specie si riproduce oltre il limite della piattaforma. Si osservano in quest’area due nursery primaverili: la prima oltre la batimetrica dei 200m, nelle acque antistanti il litorale tra Torvaianica e Torre Astura, la seconda nel tratto di mare al largo delle coste del Lido di Latina. Rendimenti: Nasello (Merluccius merluccius) Rendimenti elevati si osservano in estate al largo di Torvaianica a profondità che vanno da 150m e a più di 300m. In tutta l’area e in particolare nella porzione centrale delle aree di nursery si riscontrano alti rendimenti stagionali. Potassolo (Micromesistius potassou) Elevati rendimenti si osservano nel tratto di mare antistante Lido di Ostia intorno ai 300m di profondità. Musdea (Phycis blennoides) Discreti rendimenti si osservano solo a profondità che superano i 200m. Gambero bianco (Parapenaeus longirostris) 82 ICRAM Alti rendimenti sono stati osservati al largo del promontorio del Circeo, oltre i 300m di profondità. Moscardino (Eledone cirrhosa) Presenta elevati rendimenti in primavera nel tratto di mare al largo di Torvaianica, tra i 100 e i 200m di profondità, e al largo del Circeo, tra 80 e 120m di profondità Le rese autunnali sono meno consistenti, anche se i valori maggiori si osservano sempre nelle medesime aree. Polpo (Octopus vulgaris) Il polpo presenta discreti rendimenti lungo tutta la costa da Fiumicino al Circeo, sia in primavera che in autunno. CIRCEO – GAETA Nursery: Nasello (Merluccius merluccius) Sono state rilevate diverse aree di nursery: in primavera al largo del promontorio del Circeo tra le batimetriche dei 100m e 200m circa; in estate un’ampissima nursery si estende da Sabaudia a Terracina, nella fascia che si estende a partire dai 60m fino oltre i 500m di profondità, mentre in autunno ne sono state osservate una tra 130 e 360m tra il Circeo e Porto Badino e una tra 30 e 90m, al largo del Lido di Fondi. Musdea (Phycis blennoides) Si osservano due aree di nursery primaverili localizzate rispettivamente tra 90 e 500m al largo di Terracina e tra 100 e più di 800m nel tratto di mare esteso da Terracina fino ad oltre il confine con la Campania. Gambero bianco (Parapenaeus longirostris) Si riscontra una piccola nursery primaverile intorno ai 100m di profondità al largo di Gaeta, e un’altra area di riproduzione si osserva in estate al largo del Circeo, tra 130 e 360m circa di profondità. Triglia di fango (Mullus barbatus) Una piccola zona di riproduzione della triglia di fango si osserva tra Lido di Fondi e Sperlonga, all’incirca tra i 10m e 40m di profondità. Moscardino (Eledone cirrhosa) Sono presenti in quest’area alcune nursery, una osservata in primavera tra i 100 e i 140m di profondità all’altezza di Terracina e un’altra in estate a profondità maggiori, tra i 130 e i 320m circa. Infine si osserva un’ampia nursery che si estende dal confine tra il campano-laziale fino all’isola di Ischia ed è compresa tra le batimetriche dei 50 e dei 500m. 83 ICRAM Polpo (Octopus vulgaris) Due ampie aree di nursery ed elevati rendimenti (>20 kg/h) si rilevano in estate, tra il Promontorio del Circeo e il Lido di Fondi e tra Gaeta e Mondragone, estese dalla costa fino alla profondità di circa 100m. Rendimenti: Polpo (Octopus vulgaris) I dati relativi all’area in oggetto evidenziano zone ad elevato rendimento solo per il polpo (Octopus vulgaris). Esse sono localizzate tra il Promontorio del Circeo e il Lido di Fondi e tra Gaeta e Mondragone e sono estese dalla costa fino alla profondità di circa 100m. I rendiment sono stati stimati essere superiori ai 20 kg/h. 84 ICRAM 4.3 Attività di pesca Nelle acque laziali vengono praticate numerose attività di pesca: strascico, reti da posta, ciancioli per il pesce azzurro, rastrelli e turbosoffianti per i bivalvi. Lo sfruttamento delle risorse è quindi molto diversificato e complesso (Ardizzone et al., 1998c). Tra tutte le attività sopracitate la pesca a strascico riveste un ruolo di particolare importanza. Lungo le coste laziali, i fondali da pesca sono generalmente posti entro le 20 miglia dalla costa (con esclusione dei fondali circostanti le isole pontine): la pesca a strascico è quindi prevalentemente di tipo costiero e le uscite sono per lo più giornaliere (Ardizzone, 1985). Nel Lazio vi sono importanti marinerie dedite alla pesca a strascico (Civitavecchia, Anzio, Terracina, Gaeta e Formia), con un totale di circa 154 motopesca pari a 5.400 tsl. L’attività di pesca lungo la costa laziale risulta essere quindi molto intensa, con uno Sforzo di pesca tra i più elevati nel Tirreno (Ardizzone, 1985; 1994). Nel Lazio vi sono tre compartimenti marittimi: Civitavecchia, che comprende gli uffici marittimi di Ladispoli, S. Marinella e la delegazione di spiaggia di Montalto di Castro; Roma-Fiumicino, con gli uffici marittimi di Fregene, Torvaianica ed Anzio; Gaeta, con gli uffici marittimi di S. Felice Circeo, Terracina, Sperlonga, Formia, Gaeta, Ventotene e Ponza e la delegazione di spiaggia di Scauri. Il numero di unità da pesca per attrezzo, relativamente ai mezzi che operano nei diversi compartimenti marittimi viene riassunto nelle tabelle 4.3.1, 4.3.2 e 4.3.3 (dati forniti dalle Capitanerie di Porto di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta). Di seguito vengono invece riportati i dati relativi al numero di imbarcazioni censite, alla tipologia di attività e di attrezzi impiegati suddivisi per compartimento ed ufficio marittimo; i dati sulla flotta sono aggiornati al 1996 (UNIMAR, 2001a). Tabella 4.3.1 - N° di imbarcazioni per attrezzo da pesca nel compartimento marittimo di Civitavecchia (uffici marittimi di Ladispoli, S. Marinella e delegazione di spiaggia di Montalto di Castro) (dati aggiornati al 31.08.2000) Attrezzo da pesca Strascico Reti a circuizione e ferrettara Rete a circuizione e da posta Rete da posta e palangari 85 N° di imbarcazioni 21 1 1 79 Tot. 102 ICRAM Tabella 4.3.2 - N° di imbarcazioni per attrezzo da pesca nel compartimento marittimo di Roma – Fiumicino (uffici marittimi di Fregene, Torvaianica ed Anzio) (dati aggiornati al 31.05.2000) Attrezzo da pesca Strascico Reti da circuizione Draga idraulica Rastrelli da natante Attrezzi da posta N° di imbarcazioni 69 61 21 69 221 Tot. 441 Tabella 4.3.3 - N° di imbarcazioni per attrezzo da pesca nel compartimento marittimo di Gaeta (dati aggiornati al 31.12.2000) Uffici marittimi e delegazioni di spiaggia Gaeta Formia Scauri Terracina Sperlonga S. Felice Circeo Ponza Ventotene Attrezzo da pesca Strascico Attrezzi da posta e palangari Altri Strascico Attrezzi da posta e palangari Circuizione Altri Attrezzi da posta e palangari Altri Strascico Attrezzi da posta e palangari Circuizione Altri Attrezzi da posta e palangari Altri Attrezzi da posta e palangari Strascico Circuizione Attrezzi da posta e palangari Derivanti Attrezzi da posta e palangari 86 N° di imbarcazioni 21 34 5 7 36 2 6 22 3 36 24 8 10 7 1 24 2 4 32 8 5 Tot. 297 ICRAM Compartimento: CIVITAVECCHIA Numero imbarcazioni censite: 100 - Civitavecchia Numero imbarcazioni censite: 49 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 48 1 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 6 27 26 27 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 1 1 Volante 0 4 Strascico 22 0 Draga 1 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 259 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 5,40, informazione n.d. in 1caso (2,04%) - Ladispoli Numero imbarcazioni censite: 21 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 21 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 8 17 17 18 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 1 Strascico 0 0 Draga 5 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 157 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 8,26, informazione n.d. in 2 casi (9,52%) 87 ICRAM - Montalto di castro Numero imbarcazioni censite: 17 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 16 1 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 16 16 17 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 1 Strascico 0 0 Draga 1 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 136 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 8,00, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) - S. Marinella Numero imbarcazioni censite: 13 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 13 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 2 13 13 13 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 2 Strascico 0 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 1 0 Numero totale attrezzi in licenza: 110 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 8,46, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) 88 ICRAM Compartimento: ROMA Numero imbarcazioni censite: 304 - Anzio Numero imbarcazioni censite: 98 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 97 1 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 7 43 43 69 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 1 Sciabica 0 2 Volante 7 20 Strascico 34 0 Draga 7 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 4 1 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 519 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 5,35, informazione n.d. in 1 casi (1,02%) - Fiumicino Numero imbarcazioni censite: 76 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 75 1 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 1 14 14 36 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 1 0 Volante 0 9 Strascico 35 0 Draga 10 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 6 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 307 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 4,09, informazione n.d. in 1 casi (1,32%) 89 ICRAM - Fregene Numero imbarcazioni censite: 9 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 9 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 2 2 9 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 1 Strascico 0 2 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 5 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 65 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 7,22, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) - Nettuno Numero imbarcazioni censite: 30 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 29 1 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 6 21 21 26 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 7 Strascico 2 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 2 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 192 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 6,62, informazione n.d. in 1 casi (3,33%) 90 0 ICRAM - Ostia Lido Numero imbarcazioni censite: 39 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 39 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 2 11 11 38 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 3 Strascico 2 0 Draga 6 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 17 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 282 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 7,23, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) - Torvaianica Numero imbarcazioni censite: 52 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 50 2 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 6 21 21 49 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 1 0 Volante 0 0 Strascico 0 0 Draga 12 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 32 1 1 0 Numero totale attrezzi in licenza: 385 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 7,70, informazione n.d. in 2 casi (3,85%) 91 ICRAM Compartimento: GAETA Numero imbarcazioni censite: 300 - Formia Numero imbarcazioni censite: 31 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 31 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 0 0 22 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 1 Sciabica 0 0 Volante 0 0 Strascico 9 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 57 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 1,84, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) - Gaeta Numero imbarcazioni censite: 67 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 62 5 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 0 8 44 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 2 Sciabica 2 0 Volante 0 0 Strascico 22 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 122 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 1,91, informazione n.d. in 3 casi (4,48%) 92 ICRAM - Ponza Numero imbarcazioni censite: 70 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 68 2 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 0 56 64 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 12 Sciabica 1 0 Volante 1 5 Strascico 3 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 20 Numero totale attrezzi in licenza: 247 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 3,58, informazione n.d. in 1caso (1,43%) - S. Felice Circeo Numero imbarcazioni censite: 25 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 25 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 0 14 25 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 0 Strascico 0 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 0 0 0 2 Numero totale attrezzi in licenza: 96 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 3,84, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) 93 ICRAM - Sperlonga Numero imbarcazioni censite: 13 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 12 1 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 1 2 12 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 2 0 Volante 0 2 Strascico 0 0 Draga 0 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 2 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 35 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 2,69, informazione n.d. in 0 casi (0,00%) - Terracina Numero imbarcazioni censite: 94 Tipologia dell'attività Tipo di pesca Costiera locale Ravvicinata 94 0 Tipologia degli attrezzi in licenza Lenze Palangari derivanti Palangari fissi Posta 0 1 25 67 Posta derivante Ferrettara Circuizione Tonnara 0 Sciabica 0 0 Volante 0 3 Strascico 33 0 Draga 1 Rastrello da natante Traino per molluschi Arpione/Fiocina Altri attrezzi 1 0 0 0 Numero totale attrezzi in licenza: 228 Numero medio di attrezzi in licenza per imbarcazione: 2,48, informazione n.d. in 2 casi (2,13%) 94 ICRAM Piccola pesca artigianale Nel primo paragrafo si è parlato ampiamente del popolamento ittico demersale e della pesca a strascico; di seguito vengono riportati alcuni dati provenienti da altri tipi di pesca che vengono esercitati nel Lazio. Pesca con rastrelli e turbosoffianti Tra le diverse attività di pesca del Lazio, quella con turbosoffianti è praticata nel Lazio centrale e meridionale. In particolare, nella zona di Rio Martino (LT) viene abitualmente praticata la pesca al cannolicchio (Ensis siliqua minor) dove sono presenti grandi banchi, sfruttati da molti anni (A.GE.I., 1995). E’ stato stimato che, in questo tratto di mare, il rendimento medio di questa specie è di 15.3 kg/cala (A.GE.I., 1995). Una discreta risorsa è, inoltre, rappresentata da alcune specie della fauna associata, ovvero di quegli organismi catturati accidentalmente durante la pesca del cannolicchio. Tra questi, di particolare pregio, sono la mazzancolla (Penaeus kerathurus), la canocchia (Squilla mantis), la vongola (Chamalea gallina), due specie di telline (Donax trunculus e D. semistriatus), il tartufo di mare (Venus verrucosa) e altre specie di crostacei decapodi quali l’erifia pelosa Eriphia verrucosa e Liocarcinus vernalis, il tipico granchio di sabbia. Nel compartimento marittimo di Roma (tra Torre Paola e Torre di Foce Verde) è stato stimato che la densità media del cannolicchio è di 0.97 ind./m2. Nel compartimento marittimo di Gaeta (tra Torre Paola e la foce del fiume Garigliano, comprese le isole Pontine) la densità media è invece di 1,43 ind./m2 (Mariani, 1999). Uno studio sulle telline (D. trunculus e D. semistriatus), sui cannolicchi (E. siliqua minor) e sulle vongole (C. gallina) è stato condotto dall’Istituto di Idrobiologia e Acquacoltura “G. Brunelli”, tra il 1985 e il 1987. In particolare tale ricerca ha evidenziato, in alcune aree del Lazio meridionale e più a sud, tra il Garigliano e il Volturno, la presenza di banchi di telline, ovvero aree in cui una barca può pescare in una giornata un quantitativo di telline sufficiente a giustificare economicamente la pesca. Tale quantitativo è stimabile, per una barca dotata di rastrello a mano, in circa 50-60 kg/giorno e, considerando che nell’arco di una giornata l’area esplorata può raggiungere l’estensione di circa 5.000 m2, la densità minima di telline che ne giustifica lo sfruttamento equivale a 10 g/m2 (Costa et al., 1989). Assumendo pertanto in 9 telline/m2 il numero minino di telline necessario per la presenza di un banco si ha che nella zona di mare dalla foce del fiume Volturno a quella del Garigliano, esistono le condizioni per la presenza di banchi di telline. Osservazioni dirette hanno fatto ipotizzare, inoltre, una ripresa produttiva per la zona di Torvaianica (RM) e per la zona di Mondragone (LT), mentre per l’area intorno alla foce del Rio Martino (LT) è stata confermata 95 ICRAM una scarsa produttività unitamente ad un’elevata taglia delle telline pescate. Banchi di cannolicchi caratterizzano invece la zona che va da Torre S. Severa a Capo Fusaro. Tra Torre S. Severa e Tor Caldara, tra Anzio e Capo Circeo, tra Scauri e Capo Fusaro e da Torre Flavia a Gaeta operano circa 40 turbosoffianti e si ha uno sfruttamento equilibrato della risorsa, come evidenziato dalla prevalente presenza di individui di taglia 2 (taglia media). Considerando che, nonostante le possibili oscillazioni, una densità di cannolicchi di circa 10.000 kg/Km2 può giustificarne lo sfruttamento per la pesca, si evince che nelle aree sopra citate circa 21 Km2 sono realmente sfruttabili per la pesca dei cannolicchi (Costa et al., 1989). Attualmente il limite di prelievo del cannolicchio è la taglia degli 8 cm, che risulta in grado di garantire la salvaguardia dei banchi, inoltre il periodo di fermo, aprile e maggio per il mar Tirreno, è tale da garantire l’intervallo di tempo necessario all’insediamento dei giovani molluschi. La realtà descritta in questi studi si riferisce a più di 10 anni fa e appare attualmente modificata da quanto riferiscono gli addetti alla pesca; non risultano pubblicati dati più recenti. Pesca con le nasse Riguardo la pesca con le nasse è stata condotta, tra febbraio 1987 e gennaio 1988, una ricerca (Belluscio e Ardizzone, 1990) nella zona tra Sabaudia e Sperlonga. Nello studio risulta che le imbarcazioni (9-10) impiegate nella zona utilizzano ciascuna circa 600-1000 nasse, lasciate in pesca l’intera giornata. La specie maggiormente catturata è il polpo (O. vulgaris) con rendimenti giornalieri, per barca e riferiti a 100 nasse, variabili tra 1.3kg nel mese di luglio e 8.5kg in inverno – primavera. Tra le altre specie catturate vengono citate la polpessa (Octopus macropus), con rese di circa 4 kg/giorno in ottobre - dicembre, la murena (Muraena helena), il gronco (Conger conger), gli scorfani (Scorpaena scrofa e S. porcus), i serranidi (Serranus spp.) e i labridi (con prevalenza di donzelle, Coris julis). Stagionalmente compaiono nelle catture le seppie Sepia elegans e S. officinalis (<1% del pescato in estate e autunno), giovanili di sparidi (in particolare Diplodus annularis) e mullidi. Saltuarie le catture di aragoste (Palinurus elephas) e di astici (Homarus gammarus). Nelle catture effettuate nella zona del Circeo, ove sono presenti substrati duri, si ritrovano anche specie più pregiate, quali triglie di scoglio (Mullus surmuletus), occhiate (Oblada melanura) e saraghi (Diplodus spp.). Piccola pesca costiera Uno studio di ECOMAR (1980) riporta dati sulla la pesca artigianale, nella zona tra Torre Astura e Caprolace, effettuata principalmente con tramagli (con lunghezze variabili fino a 2-300m). Le 96 ICRAM catture sono costituite soprattutto da marmore, aragoste, saraghi, gronchi, scorfani, tordi, ma anche salpe, orate, spigole, triglie, sogliole, seppie, cefali, occhiate ecc. Tra Terracina e Torre Viola la pesca artigianale viene effettuata con tramagli, barracuda, palangari, turbosoffianti, piccoli ciancioli e sciabiche (ECOMAR, 1982). Nell’area tra Torre Viola e il Garigliano (ECOMAR, 1983) la pesca artigianale (palangari, tramagli, reti monofilamento per merluzzi ecc.), è concentrata su specie tipiche di substrati rocciosi [saraghi, corvine (Sciaena umbra), blennidi, gobidi, scorfani (Scorpaena porcus), labridi (Crenilabrus tinca), occhiate (Oblada melanura), salpe (Boops salpa) ecc.] o di fondali sabbiosi [rombo (B. podas), sogliole (Solea spp.), triglie (M. barbatus) ecc.]. Stagionalmente la pesca si concentra su alcune specie: in autunno–primavera tra 8 e 12m di profondità l’attività di pesca con tramagli è concentrata su seppie, sogliole e canocchie (S. mantis); in inverno–tarda primavera sui 60m di profondità, si catturano naselli con reti monofilamento; in estate con i tramagli tra 6 e 15m si pesca la mazzancolla (Penaeus kerathurus) e più al largo il nasello; nella tarda estate la pesca si concentra sugli stadi giovanili della triglia di fango (con tramagli); in autunno la pesca si incentra nuovamente sulla seppia. Nei mesi invernali–primaverili vengono inoltre catturati rombi (fino ad 8Kg/giorno per barca), mugilidi (da 1 a 5Kg/giorno per barca). In estate si pescano rombi (Scophtalmus rombus, Psetta maxima, Bothus podas), pagelli e sparaglioni; in autunno nelle catture sono presenti mormore (2-4kg/giorno) e mugilidi (2-4kg/giorno) (ECOMAR, 1983). A Fregene (Ardizzone e Bombace, 1982) la piccola pesca costiera ha un andamento periodico: da gennaio ad aprile la pesca predominante è quella di Sepia officinalis su fondali di 8-10m; da aprile – maggio inizia la pesca della mazzancolla (P. kerathurus) su fondali dai 2 ai 13m e si protrae fino ai primi di agosto, allorchè viene iniziata la pesca alle sogliole (principalmente Solea vulgaris e S. impar) su fondali di 8-9m; insieme alle sogliole vengono frequentemente catturati caponi (in particolare Trigla lucerna e Trigloporus lastoviza) e razze (principalmente Raja asterias); occasionalmente viene catturato qualche rombo (Scophtalmus rhombus e Psetta maxima). La pesca dei bivalvi è praticata tutto l’anno ed è caratterizzata principalmente dalla cattura di Donax trunculus, su fondali da 1 a 3m. 97 ICRAM 4.4 Impianti di acquacoltura e mitilicoltura Nel Golfo di Gaeta viene svolta da alcune ditte locali una rilevante attività di mitilicoltura con 12 ditte appaltatrici e 317.487m2 di specchi d’acqua dati in concessione. Viene anche svolta attività di maricoltura con 202.357m2 di specchi d’acqua dati in concessione ad otto ditte (dati C.P. Gaeta aggiornati al 8.05.02). Gli impianti di mitilicoltura presenti afferiscono a due tipologie: una di tipo fisso a filari e una di tipo flottante a monoventia. I vivai di tipo fisso a palafitta, sono situati più a terra, su fondali di 710m di profondità (ECOMAR, 1983). Un recente censimento delle attività di mitilicoltura su territorio nazionale è stato svolto da UNIMAR (2001b). Da questa indagine risultano 5 impianti di mitilicoltura attivi, tutti nel golfo di Gaeta, la superficie in dotazione è di 326.170m2. La tipologia di allevamento in questi impianti è la long-line o monoventia e la produzione dichiarata per l’allevamento della cozza Mytilus galloprovincialis è di 14.600 quintali. Per quel che concerne la piscicoltura nel Lazio risultano attivi 8 impianti in acque salmastre e marine, ma solo un impianto di tipo intensivo con gabbie a mare con volume complessivo di 57.500m3 (UNIMAR, 2001c). 98 ICRAM 4.5 Popolamento ittico delle barriere artificiali Studi particolari sono stati condotti sul popolamento ittico delle barriere artificiali di Fregene e Ponza. La barriera artificiale di Fregene, rappresenta il primo esperimento di “barriera a fini multipli” nel Mar Tirreno, realizzata con scopi di protezione dalla pesca a strascico illegalmente svolta sottocosta, di ripopolamento e di maricoltura (mitilicoltura sommersa in particolare). È situata 8km a nord della foce del fiume Tevere, a poco meno di 2km dalla costa, di fronte l’abitato di Fregene in acque eutrofiche. La barriera è costituita da 280 blocchi, assemblati a gruppi di 4-5 a formare delle piramidi, poste su un fondale tra 12 e 14m. Il popolamento ittico di queste strutture ha subito un’importante evoluzione durante i 15 anni di studi seguiti alla sua installazione: nel 1997 esso era composto di circa dieci specie “residenti”, ovvero legate in maniera permanente alla barriera artificiale. Tra queste un gruppo è costituito da specie bentoniche, strettamente associate al substrato roccioso su cui si appoggiano e nascondono (Scorpaena notata, Parablennius rouxi, P. gattoruggine, Apogon imberbis, C. conger, G. mediterraneus, Serranus cabrilla, O. vulgaris, S. arctus e P.elephas). Un secondo gruppo è costituito da specie che si ritrovano in prossimità dei substrati duri, ma che non sono direttamente legate ad essi (D. annularis e S. umbra). Un terzo gruppo infine è costituito da specie più tipicamente pelagiche osservate tra i massi (D. labrax, Chelon labrosus, Spicara spp., Trachurus spp., S. dumerilii). Infine pescate effettuate con attrezzi da pesca hanno permesso di catturare specie non censite in immersione, quali la triglia di scoglio, il merluzzo, l’ombrina (Ombrina cirrosa) e il sarago maggiore (Diplodus sargus) (Ardizzone et al., 1998a). Le strutture artificiali di Ponza sono di disegno originale e appositamente progettate a fini di ripopolamento; sono formate da elementi modulari in calcestruzzo assemblati a formare 10 strutture. Tali strutture sono state installate nel 1991 in tre differenti località dell’isola di Ponza, con profondità e caratteristiche del fondale diverse: 1) Cala Inferno, 38-39m di profondità, oltre il limite inferiore di una prateria di Posidonia oceanica, 2) Chiaia di Luna, 27m, su fondale sabbioso, con presenza di Cymodocea nodosa, 3) Secca dei Mattoni, 30m, su “matte” morta. Differentemente dalle acque di Fregene, quelle di Ponza sono oligotrofiche e sempre molto trasparenti. Sulle tre strutture sono state censite circa 30 specie, suddivise in base al grado di “permanenza” presso le strutture, ovvero si passa da specie che svolgono l’intero ciclo vitale sulle strutture, come il re di triglie Apogon imberbis, a specie come la menola S. flexuosa, il latterino Atherina sp., la boga Boops boops e la tanuta Spondyliosoma cantharus che vengono attratte dalle strutture per semplice effetto tigmotropico. Tra questi due estremi vi sono specie i cui adulti vivono sulle strutture ma che 99 ICRAM disperdono larve e giovani all’esterno (S. cabrilla, Chromis chromis, Anthias anthias, S. notata, Parablennius spp., Trypterigion spp., Gobius spp.), specie che trovano rifugio sulle strutture soprattutto da adulti (M. helena, C. conger, S. scriba, D. sargus) e specie che si alimentano e/o si rifugiano nelle strutture solo per periodi limitati (Coris julis, M. barbatus, M. surmuletus, Symphodus spp., Labrus viridis, Thalassoma pavo) (Belluscio et al., 1998). ***** Riguardo il popolamento ittico demersale della piattaforma continentale laziale ci sono numerosi studi relativi ai diversi aspetti della biologia e dell’ecologia di alcune specie di interesse commerciale (Agnesi et al., 1998; Ardizzone,1998; Ardizzone e Cau, 1990; Ardizzone et al., 1990; Ardizzone et al., 1993a; 1993b; Cardinale et al., 1997a; 1997b; Carpentieri et al., 2000; Colloca et al., 1994; 1997; 2000; Passariello et al.,1994; Schintu et al., 1994). Alcuni aspetti legati alla pesca a strascico e allo stato delle risorse ittiche del Tirreno centrale sono stati analizzati da Ardizzone (1981, 1982) e Ardizzone et al. (1994a); ulteriori studi specifici sulle barriere artificiali presenti nel Lazio sono stati effettuati da Ardizzone et al. (1994b) e da Ardizzone et al. (1996a, 1996b); studi sul popolamento ittico delle Secche di Tor Paterno sono stati effettuati da Ardizzone et al. (1998b). 100 ICRAM Bibliografia A.GE.I. S.c.r.l. (1995) – Studio sulla biologia, dinamica di popolazione e distribuzione del cannolicchio (Ensis minor) lungo la fascia costiera tra Torre Astura e Torre Paola nei comuni di Sabaudia e Latina. Relazione finale. Agnesi S., Belluscio A., Ardizzone G.D. (1998) – Biologia e dinamica di popolazione di Eledone cirrhosa (Cephalopoda, Octopoda) nel Tirreno centrale. Biol. Mar. Medit., 5 (2): 336-348. Ardizzone G.D. (1981) - L’ecosistema marino tra Capo Circeo e Terracina: analisi dei problemi della pesca costiera. 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CARATTERISTICHE IDROLOGICHE E DINAMICHE DELLE MASSE D’ACQUA Introduzione Nella letteratura oceanografica il mar Tirreno viene generalmente associato a scarsa dinamica, velocità non elevate, bassi gradienti di temperatura e pressione e a una circolazione essenzialmente ciclonica (Hopkins, 1988; Bignami et al., 1996). Il suo bacino presenta una forma tipicamente triangolare con vertice rivolto ad ovest ed è diviso in due settori principali dalla congiungente Argentario-Trapani: un settore SO, caratterizzato da temperature superficiali più elevate e da una dinamica caotica e poco intensa, e un settore NO, il più interessante dal punto di vista dinamico (Bignami et al., 1996). Gli scambi con i mari adiacenti, che sono principalmente governati dalle caratteristiche geografiche del bacino stesso, interessano sia il canale presente tra Sicilia e Sardegna che il canale di Corsica. Il primo canale permette l’ingresso di acqua superficiale Atlantica e di acqua di fondo, mentre quello di Corsica è interessato da un flusso diretto verso il mar Ligure, attraverso cui viene bilanciato l’eccesso di acqua superficiale e intermedia. L’acqua persa per evaporazione costituisce, infine, solo una piccola aliquota del bilancio idrologico (Bignami et al., 1996). Lungo la piattaforma continentale laziale l'apporto più significativo, sia in termini di portata liquida che di portata solida, è quello fornito dal fiume Tevere che ha un portata media annua di 236m3/a, con massimi in marzo e in aprile ed è in grado di determinare notevoli effetti sulla circolazione locale (IRSA, 1983). 5.1 Masse d’acqua Le caratteristiche fisico-chimiche delle masse d’acqua tirreniche sono oggi abbastanza note. Secondo Bignami et al. (1996), le acque tirreniche sono costituite dalla sovrapposizione di tre strati: uno strato di origine “Atlantica”, caratterizzato da una bassa salinità, uno strato intermedio di origine Levantina, che presenta un massimo di salinità ed, infine, uno strato di fondo, con acque più dense, contemporaneamente più fredde e più salate. Serravall e Cristofalo (1999) propongono per il Tirreno la sovrapposizione di quattro strati di acqua: • uno strato superficiale (Modified Atlantic Water o MAW) che interessa i primi 200m di profondità (temperatura 13.5-13.9°C e salinità 38.0-38.5 psu); 105 ICRAM • uno strato sottostante (Levantine Intermediate Water o LIW) generalmente presente in Mediterraneo a profondità comprese tra 250 e 700m (temperatura 13.5-13.9°C, salinità 38.45-38.75 psu); • uno strato più denso e meno salato (Western Mediterranean Deep Water o WMDW) che è localizzato tra i 700 e i 3000m (temperatura 12.90-13.50°C, salinità 38.4-38.6 psu); • uno strato di fondo che raggiunge profondità superiori ai 4200m e si origina nel Mediterraneo NO. La struttura verticale delle masse d’acqua tirreniche proposta da Hopkins et al. (1992) per la piattaforma continentale laziale è articolata in quattro strati: Tyrrhenian Intermediate Water (TIW), Tyrrhenian Surface Water (TSW), Tyrrhenian Atlantic Water (TAW), Levantine Intermediate Water (LIW), è riportata nella tabella 5.1.1. Tabella 5.1.1 - Struttura verticale delle masse d’acqua tirreniche (Hopkins et al., 1992) Acqua Temperatura (°C) Salinità (psu) TSW 25.0 38.30 TAW 15.5 38.02 TIW 14.2 38.15 LIW 13.8 38.64 La temperatura delle acque tirreniche presenta variazioni stagionali nello strato superficiale, mentre rimane abbastanza costante negli strati intermedio e di fondo (rispettivamente 14°C e 12°.75). Studi condotti, in particolare, sulle caratteristiche idrologiche delle acque della piattaforma continentale hanno evidenziato, nella zona costiera e per lo strato superficiale, temperature più basse di 1-4°C rispetto a quelle osservate per lo strato (superficiale) del largo, mentre la zona relativamente più fredda, caratterizzata da temperature superficiali inferiori ai 21°C, è risultata essere localizzata al largo di Ostia (Hopkins et al., 1992). Da considerare, infine, come gli effetti della circolazione possano però determinare delle variazioni nelle caratteristiche delle masse d’acqua: nelle acque intermedie la salinità diminuisce da sud verso nord, al contrario di quanto avviene per le acque superficiali e di fondo (Bignami et al., 1996). Indagini condotte durante la stagione estiva sulla struttura chimico-fisica delle acque costiere tirreniche (profili verticali di temperatura e salinità, analisi dei contenuti di acqua dolce e di Acqua 106 ICRAM Intermedia Levantina negli strati superficiali) hanno, inoltre, evidenziato la presenza di due differenti strutture nelle masse d’acque a nord e a sud del Tevere. A nord, tra Fiumicino e Civitavecchia, è stata rilevata l’intrusione verso costa di acque più calde (T>25°C) e più salate (S>38.25 psu) provenienti da largo. Questa intrusione è risultata essere sufficientemente profonda da determinare una convergenza sulla piattaforma continentale che ha provocato una risalita (upwelling) della LIW. L’altra zona di risalita di acque intermedie (upwelling) è localizzatata più a sud, al di sotto della plume fluviale e viene interpretata come un caso (tipico) di dinamica estuariale; il richiamo di acque più dense nello strato sottostante la plume, dovuto al ripristino del bilancio idrostatico, impartisce alla stessa una considerevole stabilità (Hopkins et al., 1992). Per ciò che concerne più specificatamente l’area meridionale della piattaforma continentale laziale, studi recenti condotti nel golfo di Gaeta (Budillon et al., 1999) e relativi alle condizioni tipiche del periodo autunnale, hanno evidenziato la presenza di uno strato superficiale dello spessore di 2070m caratterizzato da temperature di 17.8-18.0°C e salinità di 37.80psu. Nell’area tra il promontorio del Circeo e Gaeta, l’intrusione di una lingua di acque più dense modifica la graduale variazione di densità che accompagna il passaggio dalle acque costiere (σt<27.5) alle acque Tirreniche (σt>27.5). 5.2 Circolazione La generale circolazione ciclonica che caratterizza l’area tirrenica, come ricostruito sulla base di misure a grande scala, è caratterizzata da una forte interazione con il vento e viene rafforzata, soprattutto in inverno, per effetto dei venti prevalenti provenienti da SO (libeccio) e da NO (maestrale) (Ovchinnikov, 1966; Budillon et al., 1999). Uno degli elementi più interessanti è per il mar Tirreno la presenza di un vortice freddo localizzato ad est delle Bocche di Bonifacio e che controlla, fino a bloccarli del tutto, i flussi di provenienza meridionale. Il vortice sarebbe generato dai venti che soffiano verso est attraverso le Bocche e dalla presenza di un fronte termico localizzato lungo il 41° parallelo (Hopkins et al., 1992; Della Croce, 2000). Secondo Della Croce (2000), però, il vento non spiega, da solo, tutte le caratteristiche del vortice, considerando che mentre il vento influenza la colonna d’acqua per l’intera sua estensione sia nella tarda estate che in inverno, il vortice, seppure presente tutto l’anno (Hopkins et al., 1992), cambia di forma e dimensione. Modelli numerici e dati sperimentali farebbero risalire queste variazioni alla variabilità stagionale della corrente litorale diretta a nord (Della Croce, 2000). 107 ICRAM Nel tratto di mare prospiciente la costa la circolazione generale è caratterizzata da un flusso parallelo alla linea di costa diretto verso NO, che generalmente presenta una buona correlazione con il vento. In caso di stratificazione della colonna d’acqua, fenomeno tipico della stagione estiva, la corrente può invece diventare normale alla linea di costa (Bignami et al., 1996). Le correnti costiere sono interessate dal vortice, dovuto all’intrusione della cella ciclonica del Tirreno settentrionale, localizzato in inverno tra Fiumicino e Civitavecchia (secondo le elaborazioni di immagini termiche) o tra Civitavecchia e l’Argentario (come emerge invece dalle indagini in situ) e in autunno tra Civitavecchia e l’Argentario; in estate il vortice si sposta infine tra Fiumicino e l’isola d’Elba. Esso viene interpretato come un fenomeno ad elevata energia e di grande importanza dinamica (Bignami et al., 1996). Da segnalare che l’intrusione della cella ciclonica del Tirreno settentrionale non solo influenza la circolazione nella zona settentrionale, ma indirettamente anche quella del settore meridionale. Infatti, mentre la cella ciclonica determina un flusso verso nord, nella zona perimetrale stessa si evidenzia una zona di alte altezze steriche (una vera e propria cresta), determinano un flusso diretto verso meridione, che blocca e orienta la plume verso sud (Hopkins et al., 1992). Relativamente alle due zone di upwelling riconosciute sulla piattaforma continentale laziale, la combinazione dei dati emersi dai rilevamenti idrologici con i dati provenienti dall’elaborazione delle immagini satellitari ha inoltre evidenziato come l’upwelling settentrionale sia subordinato alla presenza di una corrente parallela alla costa e diretta verso SE, mentre nella zona costiera a sud del Tevere, sono state osservate direzioni opposte per il flusso superficiale e per quello prossimo al fondo, diretti rispettivamente verso sud e verso nord. In definitiva le due zone di upwelling sono imputabili a: • condizioni stagionali legate all’intrusione della cella ciclonica del Tirreno settentrionale sulla piattaforma e alla contemporanea assenza di venti da sud, che hanno spinto la plume verso sud e verso largo, con la conseguente risalita, a nord della plume, di acque intermedie, più fredde; • all’esistenza di una complessa struttura verticale (caratterizzata dalla presenza di una corrente geostrofica superficiale diretta a sud e di una corrente geostrofica prossima al fondo diretta a nord), cui si deve il sollevamento verso la superficie del termoclino posto alla base dello strato superficiale. 108 ICRAM E’ noto che diversi fattori quali la presenza di fiumi, le forzanti locali, la differenza di riscaldamento solare e l’isolamento provocato da fronti termici marini, possono influenzare profondamente i fenomeni dinamici costieri (Bignami et al., 1996; Hopkins et al., 1992). Anche in presenza di una circolazione generale si possono osservare controcorrenti lungo la fascia costiera. In particolare, i fenomeni fisici che governano la fascia compresa tra 0 e 20m possono essere diversi da quelli che governano le correnti sulla piattaforma continentale, oltre i 20m di profondità. Rilevamenti di salinità e temperatura condotti nelle acque costiere della piattaforma continentale laziale (Bignami et al., 1996) hanno messo in evidenza, dal punto di vista della dinamica costiera, l’esistenza di due zone dalle caratteristiche significativamente differenti: quella meridionale e costiera con salinità relativamente basse e temperature relativamente alte e quella settentrionale con caratteristiche opposte. Tutto ciò viene associato a un flusso costiero proveniente da SE, compresso verso costa all’altezza di Anzio. Lungo la piattaforma continentale laziale non sono presenti grossi corsi d’acqua. L'apporto più significativo è quello del Tevere (portata media 263m3/a) (IRSA, 1983). Le acque fluviali si immettono in mare e si mescolano con le acque costiere secondo le forzanti del vento e della circolazione generale: si stratificano e scivolano sulle più dense acque marine, generando plume più o meno estese cui si deve la dispersione del materiale più sottile (Bellotti et al., 1993). All'aumentare della distanza dalla foce le acque si mescolano e vengono deviate verso NO dalla corrente costiera (Hopkins et al., 1992; Bellotti et al., 1993), caratterizzata da una velocità media di 0.1- 0.25m/s (Bellotti et al., 1993). Studi condotti lungo la piattaforma laziale hanno, infatti, evidenziato come la plume si disponga generalmente entro la fascia costiera a nord della foce (Hopkins et al., 1992; Bignami et al., 1996). I venti da sud rafforzano tale tendenza, restringendo maggiormente la plume lungo la fascia costiera, mentre condizioni meteo particolari (forti venti da settentrione, in particolare da NE) ne forzerebbero la direzione verso sud e verso il largo. All’interno della plume sono stati inoltre segnalati nuclei secondari di circolazione anticiclonica interpretati come “pulsazioni” della portata del fiume, riconducibile a variazioni cicliche del livello del mare, non necessariamente corrispondenti al ciclo semidiurno delle maree (Hopkins et al., 1992). La dispersione del carico fluviale è operata principalmente per effetto del moto ondoso; ad esso si deve sia l’orientamento e l’estensione verso largo della plume (sviluppata a nord della foce su un'area di circa 400Km2) e che in casi particolari può raggiungere la costa tra Focene e Fregene, sia la ridistribuzione del sedimento sabbioso sul fronte del delta (IRSA, 1983). 109 ICRAM Altri studi recenti (Budillon et al., 1999), condotti nel settore meridionale della piattaforma continentale laziale hanno evidenziato, in particolare tra le isole di Ischia e Ventotene, un trasporto diretto verso il promontorio del Circeo, caratterizzato da una componente barotropica predominante su quella baroclina e che appare essere principalmente determinato dal forzamento topografico e dei boundaries. Il flusso si interrompe in corrispondenza della soglia tra Ponza e Gaeta, deviando verso costa in senso orario. 110 ICRAM Bibliografia Bellotti V., Chiocci F.L., Milli S., Tortora P. (1993) – Variabilità nel tempo della distribuzione granulometrica sui fondali del delta del Tevere. Boll. Soc. Geol. It., 112: 143-153. Bignami F., Manzella G.M.R., Salusti E., Sparnocchia S. (1996) – Circolazione delle acque. In: Il Mare del Lazio Università degli Studi di Roma "La Sapienza" – Regione Lazio. Ass. Opere e reti di servizi e mobilità: 331 pp. Budillon G., Pierini S., Sansone E., Spezie G. (1999) – Caratteristiche idrodinamiche lungo la fascia costiera campano-laziale. Annali della Facoltà di Scienze Nautiche, LXIV: 7-18. Della Croce N. (2000) – Il Mare Tirreno. Atti Associazione Italiana Oceanologia Limnologia, 13 (2): 363-378. Hopkins T.S. (1988) – Recent observations on the intermediate and deep water circulation in the Southern Tyrrenian Sea.. Oceanologica Acta, No. SP, 41-50. Hopkins T.S., Battilotti M., De Lauro M., Monassi M., Ribera D’Alcalà, Saggiomo V., Tramontano M.A., Zagaglia A. (1992) – Lazio shelf experiment (crociera Hopi, agosto, 1991): distribuzione delle masse d’acqua e cenni sulla circolazione. Atti del 10° congresso A.I.O.L., Alassio, 4-6 novembre 1992: 375-387. IRSA (1983) – L'esperimento Tevere. Influenza di un fiume sull'ecosistema marino prospiciente la sua foce. Quad.. Ist. Ric. Acque, 66: 27-46. Ovchinnikov I.M. (1966) – Circulation in the surface and intermediate layers of the Mediterranean. Oceanology, 6: 48-59. Serravall R., Cristofalo G.C. (1999) – On the presence of a coastal current of Levantine intermediate water in the central Tyrrhenian Sea. Oceanologica Acta, 22 (3): 281-290. 111 ICRAM 6. VINCOLI E USI DEL MARE Introduzione Nell’ambito del progetto “Studio di impatto ambientale per lo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi lungo la piattaforma continentale laziale ai fini di ripascimento” è apparso di fondamentale importanza evidenziare gli usi legittimi del mare (aree marine protette, parchi nazionali, oasi blu, barriere artificiali, terminali off-shore, cavi, condotte di scarico, oleodotti, aree di sversamento dei materiali portuali, poligoni militari) con particolare riferimento alle aree “sensibili” dal punto di vista naturalistico, al fine di programmare correttamente le attività di dragaggio e prevedere, eventualmente, misure adeguate per la mitigazione degli effetti (Pellegrini et al., 2002). L’indagine condotta ha evidenziato la presenza, nel settore meridionale della piattaforma continentale laziale, di aree a significativa valenza ambientale: area marina protetta “Secche di Tor Paterno” e le oasi blu di Gianola, Monte Orlando e di Scauri. Nell’area sono state segnalate attività con una diretta ricaduta economica sulla popolazione residente quali la pratica della pesca e dell’acqualcoltura. A tutto ciò si aggiunge la presenza sia di strutture quali terminali off-shore (torri, piattaforme e oleodotti), cavi, condotte di scarico e poligoni militari (Istituto Idrografico della Marina, 1991a; 1991b), sia di zone destinate allo sversamento dei materiali portuali. In particolare, la presenza e la distribuzione delle aree di scarico dei materiali portuali è stata ricostruita sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Ambiente. I dati relativi alle altre voci (terminali off-shore, cavi, condotte di scarico e poligoni militari) sono invece stati ottenuti dai portolani, consultati presso le locali Capitanerie di Porto e aggiornati a dicembre 2001 (Istituto Idrografico della Marina, 2001a; 2001b), e dalle carte nautiche (Istituto idrografico della Marina, 1986; 1987; 1988; 1993). Le informazioni ottenute dalle carte nautiche e dai portolani, nonché quelle reperite direttamente presso uffici pubblici e ministeri (capitanerie di porto, ministero dell’ambiente, ecc.) e di seguito descritte sono state quindi utilizzate per la realizzazione della Carta dei Vincoli e degli Usi del Mare che riporta: la fascia compresa entro il limite delle tre miglia, le aree marine protette, i parchi nazionali, le oasi blu del WWF, i porti principali, cavi e condotte, i terminali off-shore, le zone di divieto di ancoraggio e pesca, le aree di sversamento dei materiali portuali e i poligoni militari. Di seguito vengono riportati pertanto i dati raccolti relativi a: - aree marine protette, parchi nazionali e oasi blu; - barriere artificiali; 112 ICRAM - terminali off-shore; - cavi, condotte di scarico e oleodotti; - aree di sversamento dei materiali portuali; - poligoni militari. 113 ICRAM 6.1 Aree marine protette, Parchi Nazionali e Oasi Blu Nell’area in studio sono presenti due aree marine protette (Secche di Tor Paterno e Isola di Ventotene e Santo Stefano), l’area marina di competenza del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (Isola di Giannutri) e tre oasi blu (WWF). L’area naturale marina protetta “Secche di Tor Paterno” è stata istituita con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 29 novembre 2000 (G.U. n.16 del 20/01/01). La sua gestione è attualmente affidata a “Roma Natura” (Ente Regionale per la Gestione del Sistema delle Aree Naturali Protette nel Comune di Roma). Data la peculiarità ecologica dell’area, essa comprende un’unica zona di riserva generale, delimitata dai seguenti punti: a) 41°37’.30N - 12°20’.50E b) 41°36’.00N - 12°21’.90E c) 41°34’.50N - 12°19’.50E d) 41°35’.80N - 12°18’.00E L’area naturale marina protetta “Isole di Ventotene e Santo Stefano” è stata istituita con Decreto Ministeriale del 12 dicembre 1997 (G.U. n.47 del 20/02/1998), mentre con decreto ministeriale dell’11 maggio 1999 è stata istituita l’omonima riserva terrestre. La riserva presenta una triplice zonazione, con un’area di riserva integrale (zona A), un’area di riserva orientata (zona B) e un’area di riserva generale (zona C). Essa è delimitata dai seguenti punti: a) 40°49’.13N - 13°23’.13E b) 40°49’.47N - 13°25’.95E c) 40°48’.33N - 13°27’.87E d) 40°47’.58N - 13°28’.00E e) 40°46’.80N - 13°28’.80E f) 40°46’.27N - 13°25’.33E g) 40°46’.77N - 13°22’.90E h) 40°48’.45N - 13°24’.78E Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, d’interesse ai fini della ricerca in oggetto per la presenza di aree marine di particolare interesse quale l’isola di Giannutri, ha avuto, in particolare, un iter legislativo e istituzionale abbastanza lungo e la sua perimetrazione definitiva risale al D.P.R. 114 ICRAM 22 luglio 1996 Istituzione dell’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (G.U. n. 290 del 11/12/1996). Le tre oasi blu (WWF) presenti nell’area sono, infine, l’oasi di Villa di Tiberio (C.D. 19/05/1995), di M.te Orlando (C.D. 04/02/1993) e di Gianola (C.D. 14/07/1992). Oasi blu di Villa di Tiberio: essa è situata nei pressi di Sperlonga (LT), costituisce il settore a mare dell’oasi Villa di Tiberio e si estende dal litorale per circa 11 ettari su fondi sabbiosi e rocciosi. Oasi blu di Monte Orlando: la zona di mare antistante il parco urbano di Monte Orlando costituisce l’oasi blu di Monte Orlando. Essa si estende a mare per circa 295.000 m2 ed è delimitata da 3 boe di colore giallo, con miraglio ad X, sprovviste della segnalazione luminosa notturna, nelle seguenti posizioni: a) 41°12’.12N - 13°24’.12E b) 41°12’.10N - 13°34’.56E c) 41°12’.26N - 13°35’.20E All’interno dell’oasi sono vietate, salvo alcune eccezioni, la pesca e la navigazione a distanze inferiori ai 100m dalla costa; la sosta alle imbarcazioni è invece consentita nei due corridoi posti rispettivamente all’estremità ovest ed est dell’oasi, per l’osservazione marina in apnea o subacquea, previo accordo con l’associazione concessionaria (WWF). L’accesso e la sosta, nell’intera area, sono consentite esclusivamente alle imbarcazioni del WWF. Oasi blu di Monte Gianola: l’oasi si estende nell’insenatura antistante il parco regionale suburbano di Gianola e Monti di Scauri; essa raggiunge i 4.5m di profondità massima, la costa è a scogliera con spiaggette a ciottoli e con fondali sabbiosi. 115 ICRAM 6.2 Barriere artificiali Le barriere artificiali sottomarine sono uno strumento di protezione e di conoscenza dell’ambiente costiero, una “tecnologia morbida” per il recupero e la protezione dei fondi marini (Riggio, 1995). Si tratta di strutture sommerse di diverse forme (cubi, piramidi ecc.), dimensioni e materiali (calcestruzzo, cemento, metallo, plastica ecc.), generalmente localizzate in alcune aree costiere particolarmente sensibili, con molteplici finalità: • riciclare dell’energia dei sistemi trofici costieri • offrire un rifugio-supporto a varie specie demersali • proteggere i fondali dalla pesca a strascico • aumentare la produttività dell’ambiente (Giannì, 1995) Nell’area in studio, al largo di Fregene è presente una barriera artificiale sottomarina coperta da 9.5m di acqua e destinata al ripopolamento ittico; nella zona delimitata dalle congiungenti i punti sottoelencati sono vietati la pesca e l’ancoraggio: a) 41°51’05’’N - 12°09’02’’E b) 41°52’31’’N - 12°09’05’’E c) 41°50’30’’N - 12°10’05’’E d) 41°50’01’’N - 12°10’00’’E Al largo di Ponza sono presenti tre barriere sottomarine, una a Chiaia di Luna (27m), una a Secca Mattoni (30m) e una a Cala Inferno (39m). 116 ICRAM 6.3 Terminali off-shore Nell’area investigata sono presenti due piattaforme di carico e scarico e una torre petrolifera. La torre è localizzata a NO di Torre Valdaliga, nel punto di coordinate 42°07’27’’N e 11°43’38’’E ed è segnalata da un fanale a luce bianca e da un autofono. Nella zona di mare delimitata da un raggio di 0.5 miglia avente centro nella torre petrolifera, sono vietati il transito, la pesca, la sosta, la balneazione e l’ancoraggio. Le due piattaforme mono-ormeggio (R1 e R2) sono situate al largo di Fiumicino e sono collegate a terra da sea-lines. R2 si trova circa 5400m per 237°.5 dal fanale bianco sulla Banchina Petroli del porto di Fiumicino (in 41°44,6’N e 12°10,1’E), mentre R1 è situata a circa 1450m per 308°.5 da R2, in 41°45,1’N e 12°09,3’E. Entrambe si elevano di circa 10m s.l.m. e sono munite di cavi di ormeggio e di manichette galleggianti segnalate da fanali. Nella zona di mare interessata dalle due piattaforme sono vietati l’ancoraggio, la pesca e i recuperi marittimi. E’ vietato il transito attorno ai terminali per un raggio di 300m ed è vietato, entro un raggio di 1000m da R1 e R2, avvicinarsi, sostare, esercitare la pesca o qualsiasi altra attività subacquea. E’ infine vietato a tutte le navi non addette ai servizi di assistenza o antinquinamento, avvicinarsi o sostare a meno di 550m dalle navi cisterna impegnate nelle attività alle piattaforme. 117 ICRAM 6.4 Cavi, condotte di scarico e oleodotti La presenza di cavi sottomarini, condotte di scarico e oleodotti comporta generalmente nelle zone interessate l’interdizione alle attività di ancoraggio e di pesca, ovvero di tutte quelle attività che agiscono meccanicamente sui fondali. In taluni casi è anche interdetta la navigazione. Cavi sottomarini Nei pressi di punta di S. Agostino (Tarquinia) è presente un cavo telefonico sottomarino che si allaccia con la Sardegna. Il percorso del cavo si svolge, all’interno delle acque territoriali, nella zona delimitata dalle seguenti coordinate: a) 42°10’54’’N - 11°43’42’’E b) 42°07’42’’N - 11°37’00’’E c) 42°09’30’’N - 11°36’15’’E d) 42°09’00’’N - 11°44’25’’E La zona suddetta è vietata all’ancoraggio e alla pesca. Verso largo il cavo si snoda lungo il tratto compreso tra i seguenti punti: a) 42°09’18’’N - 11°41’06’’E b) 42°00’30’’N - 10°57’24’’E Sempre per la presenza di cavi sottomarini, la zona di mare antistante il tratto di costa a Sud di Torre Valdaliga, estesa per circa 1 miglio lungo costa e per 12 miglia verso largo, è interdetta all’ancoraggio e alla pesca. La presenza di un cavo telegrafico sottomarino comporta il divieto di navigazione e di pesca nella zona di mare delimitata dalle coordinate di seguito riportate: a) 41°55’ 05’’N - 12°06’01’’E b) 41°54’ 05’’N - 12°08’05’’E c) 41°50’ 05’’N - 12°02’00’’E d) 41°49’ 05’’N - 12°04’04’’E La presenza di cavi sottomarini, nella zona di mare definita dalle seguenti coordinate, determina il divieto di ancoraggio e delle attività di pesca che necessitano di attrezzature agenti meccanicamente sul fondale marino: a) 41°39’48’’N - 12°24’15’’E 118 ICRAM b) 41°38’17’’N - 12°16’24’’E c) 41°35’13’’N - 12°26’46’’E d) 41°31’26’’N - 12°26’46’’E e) 41°38’08’’N - 12°26’40’’E La zona, riportata sulle carte nautiche, è segnalata a terra con tre palloni dipinti di giallo e di nero in basso, recanti la lettera “T” in bianco e sistemati su pali situati sul litorale. Detti segnali, posti a triangolo, determinano i due allineamenti che indicano l’area protetta. Nei pressi di Torre del Fico per la presenza di cavi telegrafici sottomarini è presente una zona di divieto di ancoraggio e pesca. La zona di mare di 300m di raggio, centrata in 41°13’46’’N e 13°06’44’’E, è interdetta all’ancoraggio alla pesca e all’attività subacquee. Nella Rada di Gaeta, per la presenza di cavi sottomarini, esistono zone vietate all’ancoraggio e alla pesca. Condotte sottomarine Circa a 1000m da Villa Campello, alla foce del Fosso di Pratica, ha origine una condotta sottomarina di scarico che si estende per 1600m in direzione 230°. Il terminale a mare è segnalato da una boa luminosa speciale di colore giallo. Due condotte sottomarine di scarico hanno origine sul litorale rispettivamente circa 4.5 miglia e 1.2 miglia a NO dal faro di Capo d’Anzio (rispettivamente località Cavallo Morto e Colonia Bottaccio). I terminali a mare sono segnalate da due boe luminose cilindriche, di color giallo, munite di riflettore radar. Una condotta di scarico sottomarina è presente nella zona antistante Torre Olevola, lungo la congiungente i punti: a) 41°14’38’’N – 13°06’50’’E b) 41°14’00’’N – 13°08’36’’E A Torre Vittoria, nel punto di coordinate 41°14’.20N e 13°06’.02E, è presente una conduttura sottomarina che si estende per 450m verso est, fino a raggiungere fondali di circa 3 metri. E’ fissata 119 ICRAM sul fondo per mezzo di pali le cui testate si trovano ad un metro sotto il livello del mare ed è segnalata alle estremità da un palo emergente. Oleodotti Ad una certa distanza dalla costa, tra Montalto di Castro e Torre Valdaliga, è presente un oleodotto; esso parte dal punto sulla costa in 42°21’09’’N – 11°31’15’’E e approda, sempre sulla costa, nel punto di coordinate 42°07’57’’N - 11°44’57’’E. In entrambi gli approdi l’oleodotto è interrato a una profondità di circa 1.5m (l’interramento si estende fino alla batimetrica dei 10m). Un oleodotto collega a terra, nel punto di coordinate 42°07’56’’N - 12°44’56’’E, la torre petrolifera presente a NO di Torre Valdaliga; nella fascia di mare ampia 0.5 miglia, su ciascun lato dell’oleodotto, sono vietati l’ormeggio e la pesca. A partire dalla costa, immediatamente antistante il fanale bianco alla radice del molo S di Fiumicino, hanno origine due oleodotti sottomarini che si protendono in direzione SO e convergono in un unico terminale, costituito dalla piattaforma R2. Circa a 300m a nord della Diga Foranea del Nuovo Porto Commerciale di Gaeta, precisamente sulla costa a 41°14’07’’N - 13°34’16’’E, ha origine un lungo oleodotto diretto all’incirca verso E-SE, il cui terminale si trova in rada nel punto di coordinate 41°13’27’’N - 13°36’23’’E. Nella zona di mare circolare, raggio 0,5 miglia, centrata nel predetto terminale sono vietati l’ancoraggio e la pesca, per la presenza sul fondo di ostacoli rimasti dopo l’asportazione delle boe da ormeggio già posizionate presso il terminale stesso. 120 ICRAM 6.5 Aree di sversamento dei materiali portuali Nell’area investigata sono state censite 18 aree di sversamento dei materiali portuali (carta dei vincoli e degli usi del mare) di cui 4 fanno capo alla Capitaneria di Porto di Civitavecchia, 4 a quella di Gaeta e 10 a quella di Roma-Fiumicino (dai dati del Ministero dell’Ambiente); i dati riepilogativi vengono presentati nella tabella 6.5.1. Tabella 6.5.1 - Dati riassuntivi relativi alle aree di sversamento dei materiali portuali presenti lungo la piattaforma laziale CAPITANERIA PORTO COORDINATE AREA RAGGIO QUANTITATIVO AUTORIZZATO DATA AUTORIZZAZIONE - 150.000 20 feb 87 - 32.000 20 mag 91 - 37.000 29 lug 91 0.5 0.054 37.000 100.000 35.000 15.340 54.000 21.000 1997 2 nov 89 8 lug 88 2 set 88 24 dic 97 4 mag 90 150.000 150.000 17 mag 88 11 lug 88 - 40.000 60.000 90.000 7 set 94 6 giu 95 25 mar 96 1 93.000 25 lug 88 - 70.000 12 giu 89 Dati Inc. 0.5 50.000 1.500 20.000 29 mag 91 5 apr 88 24 lug 90 Dati Inc. (m3) Civitavecchia Civitavecchia Civitavecchia Civitavecchia Civitavecchia Civitavecchia Civitavecchia Civitavecchia Gaeta Gaeta Gaeta Porto Badino e Canale Sisto S.Felice Circeo Ponza Gaeta Gaeta RomaFiumicino RomaFiumicino RomaFiumicino RomaFiumicino RomaFiumicino RomaFiumicino Anzio Anzio Anzio Anzio Anzio Fiumicino 42°05’39’’ N-11°46’15’’ E 42°05’33’’ N-11°46’03’’ E 42°05’09’’ N-11°46’18’’ E 42°05’18’’ N-11°46’36’’ E 42°05’18’’ N-11°46’34’’ E 42°05’09’’ N-11°46’18’’ E 42°05’33’’ N-11°46’03’’ E 42°05’39’’ N-11°46’15’’ E 42°05’39’’ N-11°46’15’’ E 42°05’33’’ N-11°46’03’’ E 42°05’09’’ N-11°46’18’’ E 42°05’18’’ N-11°46’36’’ E 42°03’.500 N-11°42’.400 E 42°03’.800 N-11°43’.000 E 42°03’.050 N-11°43’.800 E 42°02’.700 N-11°43’.300 E 41°12’12’’ N-13°35’30’’ E 41°13’00’’ N-13°12’00’’ E 41°12’48’’ N-13°12’06’’ E 40°50’48’’ N-13°02’00’’ E 41°23’75’’ N-12°35’50’’ E 41°25’30’’ N-12°33’80’’ E 41°24’15’’ N-12°35’50’’ E 41°24’15’’ N-12°36’20’’ E 41°25’30’’ N-12°36’20’’ E 41°25’30’’ N-12°35’50’’ E 1°25’30’’ N-12°33’00’’ E 41°23’42’’ N-12°35’50’’ E 41°25’30’’ N-12°33’48’’ E 41°23’75’’ N-12°35’50’’ E 41°25’30’’ N-12°35’80’’ E 41°47’00’’ N-12°10’00’’ E 121 0.5 0.5 - NOTE Dati Inc. ICRAM RomaFiumicino RomaFiumicino RomaFiumicino RomaFiumicino 10.000 7.000 5.000 6.000 10.000 10.000 2 nov 93 26 apr 94 28 giu 94 29 mar 95 28 ago 95 24 dic 96 41°45’.400 N-12°05’.700 E 41°45’.850 N-12°06’.880 E 41°44’.100 N-12°06’.700 E 41°44’.520 N-12°07’.980 E - 150.000 11 set 97 Ostia 41°38’08’’ N-12°11’09’’ E - 2.500 21 dic 99 Rio Martino 41°18’00’’ N-12°35’00’’ E 0.054 16.000 7 ott 88 Terracina 41°14’10’’ N-13°15’00’’ E - 57.000 25 nov 87 Fiumicino 122 Dati Inc. Dati Inc. ICRAM 6.6 Poligoni militari Lungo la costa laziale sono presenti cinque poligoni militari (dai dati delle Capitanerie di porto di Civitavecchia e dall’Ufficio Circondariale Marittimo di Anzio, Roma). A causa delle attività di tiro che ivi si svolgono, le zone di mare adiacenti sono interdette al traffico, alla sosta, alla pesca e alla navigazione. I poligoni vengono elencati di seguito; per ognuno di essi vengono riportati: il nome, la Capitaneria di Porto competente e le coordinate del poligono relativo al tratto di mare interdetto. Poligono di Pian di Spille Capitaneria di Porto di Civitaveccchia (Rm). Zona di interdizione: a) 42°16’30’’N - 11°39’40’’E b) 42°17’16’’N - 11°33’29’’E c) 42°12’38’’N - 11°33’24’’E d) 42°10’05’’N - 11°40’15’’E e) 42°15’05’’N - 11°40’48’’E Poligono di Santa Severa (E312) Capitaneria di Porto di Civitaveccchia (Rm) Zona di interdizione: la zona di mare interdetta è compresa tra i rilevamenti 175°/280° dal punto mg 4.5 per NO da Torre Flavia profondo mg 6. E’ segnalata, inoltre, la pericolosità della zona circostante. Poligono di Furbara Capitaneria di Porto di Civitaveccchia (Rm) Zone di interdizione: a) 41°59’30’’N -12°00’10’’E b) 41°57’20’’N -11°59’48’’E c) 41°57’36’’N -11°58’38’’E d) 41°58’57’’N -11°57’00’’E e) 41°59’38’’N -11°59’30’’E a) 41°59’30’’N -12°00’48’’E b) 41°55’54’’N -11°58’18’’E c) 41°57’30’’N -11°56’24’’E 123 ICRAM Poligono militare di Nettuno (E 332) Ufficio Circondariale Marittimo di Anzio (Roma) Zona di interdizione: a) 41°27’16’’N - 12°40’55’’E b) 41°22’00’’N - 12°36’00’’E c) 41°16’00’’N - 12°55’00’’E d) 41°21’50’’N - 12°56’56’’E Poligono militare di Sabaudia (E 334) Ufficio Circondariale Marittimo di Anzio (Roma) Zona di interdizione: a) 41°18’16’’N - 13°00’18’’E b) 41°17’30’’N - 12°56’15’’E c) 41°20’30’’N - 12°56’00’’E d) 41°19’40’’N - 12°59’08’’E 124 ICRAM Bibliografia Decreto Ministeriale 12 dicembre 1997 – Istituzione dell’area naturale marina protetta denominata “Isole di Ventotene e Santo Stefano”. (G.U. della Republica italiana n. 47 del 20 febbraio 1998). Decreto Ministeriale 29 novenbre 2000 – Istituzione dell’area marina protetta denominata “Secche di Tor Paterno”. (G.U. della Republica italiana n. 16 del 20 gennaio 2001). Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1996 – Iostituzione dell’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (G.U. 11/12/1996). Giannì A. (1995) - Greenpeace, il Mediterraneo e le barriere artificiali. Biol. Mar. Medit. 2(1): 179180. Istituto Idrografico della Marina (1986) - Carta nautica n.6 “Dal promontorio Argentario a Capo Linaro”, scala 1: 100.000, Genova dicembre 1986. Istituto Idrografico della Marina (1987) - Carta nautica n.7 “Da capo Linaro ad Anzio”, scala 1: 100.000, Genova febbraio 1987. Istituto Idrografico della Marina (1988) - Carta nautica n.8 “Da Anzio a capo Circeo e isole Pontine”, scala 1: 100.000, Genova maggio 1988. Istituto Idrografico della Marina (1993) - Carta nautica n.9 “Da capo Circeo a Ischia e isole Pontine, scala 1: 100.000, Genova aprile 1993. Istituto Idrografico della Marina (2001a) - Portolano del Mediterraneo, 1/A, dicembre 2001. Istituto Idrografico della Marina (2001b) - Portolano del Mediterraneo, 1/B, dicembre 2001. Pellegrini D., Onorati F., Virno Lamberti C., Merico G., Gabellini M., Ausili A. (2002) – Aspetti tecnico-scientifici per la salvaguardia ambientale nelle attività di movimentazione dei fondali marini: Dragaggi portuali. Quaderno ICRAM, 1: 201 pp. Riggio S. (1995) – Le barriere artificiali e l’uso conservativo della fascia costiera: risultati dei reefs nella Sicilia N/O. Biol. Mar. Medit. 2(1): 129-164. 125 ICRAM 7. CONCLUSIONI L’analisi critica condotta relativamente a tutti gli elementi d’interesse (morfologia, sedimentologia e geochimica dei fondali, caratteristiche del popolamento bentonico e del popolamento ittico demersale, caratteristiche idrologiche e dinamiche della colonna d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare) ha mostrato una generale frammentarietà dei dati. In generale, è stata evidenziata la presenza di: • diverse aree mai investigate; • aree interessate solo da studi a scala regionale; • dati privi di riferimenti geografici certi; • dati non recenti. Di seguito vengono riportate delle considerazioni, di tipo qualitativo e quantitativo, scaturite dalla disamina della letteratura, relativamente ai diversi argomenti trattati. La ricerca bibliografica condotta per la definizione dei caratteri sedimentologici e stratigrafici della piattaforma continentale laziale ha evidenziato come, a scala regionale, siano oggi ben identificati i principali lineamenti geologico-strutturali della piattaforma e i loro rapporti con le strutture geologiche dell’Appennino settentrionale e centrale. Sono risultate, inoltre, sufficientemente conosciute le caratteristiche morfologiche e stratigrafiche dei depositi più superficiali. L’indagine bibliografica ha altresì evidenziato come ad aree per le quali esiste una produzione scientifica rilevante, per qualità e quantità (delta del Tevere, settore compreso tra l’Argentario e Civitavecchia, golfo di Gaeta), si contrappongono aree caratterizzate dalla carenza di dati sedimentologici e stratigrafici, come nel caso del settore compreso tra Capo Linaro e il Circeo. Per quanto attiene alle caratteristiche geochimiche dei sedimenti di fondo, l’indagine svolta ha messo in evidenza che importanti studi a carattere regionale, pur essendo particolarmente accurati dal punto di vista metodologico, non possono essere utilizzati per studi di dettaglio, in quanto spesso privi di riferimenti geografici certi. Sono stati altresì segnalati diversi studi specifici condotti sia in rapporto ad elementi associati a province geochimiche, come nel caso degli studi di contaminazione a mercurio della provincia mercurifera toscana, sia in rapporto ad aree geografiche di particolare interesse, come il golfo di Gaeta e il delta del Tevere. Da sottolineare che diversi studi sono però da considerarsi “datati”, in quanto riferiscono delle condizioni di contaminazione 126 ICRAM osservate anche 20 anni fa, condizioni che potrebbero essere cambiate nel tempo per l’incidenza di fattori esterni (impatto antropico). L’analisi delle informazioni bibliografiche relative alle principali biocenosi bentoniche ha evidenziato una certa frammentarietà dei dati, sia perché diverse aree della piattaforma continentale laziale non sono mai state investigate, sia perché le indagini si basavano su maglie di campionamento a grande scala, sia perché i dati spesso non sono recenti. Le indagini datate possono essere, infatti, importanti per mettere in evidenza eventuali variazioni temporali, ma, proprio perché le biocenosi sono sensibili a fattori sia naturali che indotti, si necessita di un continuo aggiornamento dei dati raccolti. E’ questo, in particolare, il caso della fanerogama marina Posidonia oceanica, assai sensibile ai cambiamenti e alle alterazioni dell’ambiente, e per questo soggetta a continui mutamenti. Il popolamento ittico demersale e la distribuzione delle aree di nursery delle principali specie di interesse commerciale sono stati sufficientemente studiati nel Lazio, anche se sono pochi i dati specifici relativi alla piattaforma continentale. In particolare, la distribuzione delle nursery è stata ottenuta da dati raccolti soprattutto in ambiente di scarpata (campagne di pesca GRUND e MEDITS), vista anche la maggiore estensione della scarpata rispetto alla piattaforma. Sono, infine, risultati abbastanza carenti e datati i lavori relativi al popolamento demersale entro le tre miglia dalla costa. E’ importante segnalare che nell’ambito degli studi condotti sul popolamento ittico, è necessario disporre in primo luogo di dati stagionali, essendo nota l’incidenza delle stagioni sulla distribuzione e sulle caratteristiche in genere dei popolamenti, nonché di dati recenti perché la distribuzione dei popolamenti e conseguentemente delle nursery può essere soggetta a variazioni nel tempo anche significative. Relativamente alle condizioni generali di circolazione, l’indagine condotta ha messo in evidenza come siano oggi abbastanza note sia le condizioni generali della circolazione tirrenica che le caratteristiche fisico-chimiche della colonna d’acqua. Studi di dettaglio sono stati, inoltre, segnalati per alcune aree di interesse quali la foce del Tevere e il golfo di Gaeta, spesso riferiti a singole stagioni. 127 ICRAM PARTE II: Analisi cartografica: banca dati ed elaborazioni 1. GEOGRAPHICAL INFORMATION SYSTEM (G.I.S.) Il G.I.S. (Geographical Information System) è il sistema di software, apparati, metodi e dati in grado di analizzare, progettare e gestire l'ambiente e il territorio; può rappresentare, inoltre, l'insieme delle relazioni spaziali delle informazioni relative alle caratteristiche fisiche del territorio e delle attività umane che su di esso si svolgono. I dati di diversa natura possono essere considerati come strati di informazioni spaziali e come tali registrati in un unico database, che può essere integrato con nuovi dati. Un G.I.S. consente di gestire questi strati, di combinarli visivamente (cartografia) e di utilizzarli per correlazioni spaziali, analisi ed elaborazioni, permettendo sia una più facile comprensione dei fenomeni complessi sia la valutazione dei possibili scenari futuri (previsione). Tale strumento, infatti, si presta, da un lato, alla georeferenziazione dei dati territoriali organizzati in maniera logica, “storica” e strutturata e, dall’altro, consente di mettere a punto metodologie di analisi per la pianificazione e la gestione degli interventi, come la sovrapposizione degli strati informativi relativi ai diversi tematismi. Il sistema G.I.S. presentato in questo lavoro utilizza i softwares ARC-INFO 7.1 e ARC-VIEW 3.2 della ESRI. 128 ICRAM 2. COSTRUZIONE DELLA BANCA DATI CARTOGRAFICA Per la creazione della banca dati cartografica, inserita in un sistema G.I.S., sono stati utilizzati, relativamente ai diversi tematismi trattati (morfologia, sedimentologia e geochimica del fondale, popolamento bentonico, aree di nursery delle principali specie ittiche commerciali, caratterisitiche idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare), tutti i dati reperiti in bibliografia e discussi nella parte I. La creazione della topologia e l'organizzazione della banca dati è stata garantita in termini qualiquantitativi dalle sorgenti informative e dalle funzioni di gestione; dalla cartografia ufficiale sono state estratte, digitalizzate e georeferenziate una serie di informazioni dalle più elementari alle più complesse, organizzate in livelli informativi distinti. Sulla base dei dati emersi dall’analisi dei dati bibliografici sono stati definiti, per ogni singolo livello informativo, una serie di attributi specifici, per i quali sono stati identificati campi chiave ai quali sarà possibile collegare database esterni. I tematismi trattati, i livelli informativi, la topologia e gli attributi sono riportati nella tabella 2.1. Tabella 2.1 – Tematismi trattati e relativi attributi Tematismi Geomorfologia e sedimentologia Biocenosi bentoniche Aree di nursery Vincoli e usi legittimi del mare Livelli informativi Elemento topologico Geomorfologia linea Sedimenti poligono Biocenosi bentoniche poligono Aree di nursery poligono Aree di sversamento dei poligono materiali portuali Aree marine protette e poligono parchi nazionali Cavi e condotte linea Oasi blu (WWF) punto Poligoni militari poligono Terminali off-shore punto Attributo tipologia, bibliografia. classificazione, bibliografia, note. tipologia, bibliografia, note. specie, stagione, bibliografia. coordinate dell’ area, decreto di autorizzazione, quantità materiale sversato, note. nome, decreto di istituzione, estensione, note. tipologia, riferimenti autorizzativi. nome, decreto di istituzione, estensione, note. capitaneria competente, coordinate poligono, orario di attività, note. coordinate, identificativo, note. La carta topologica di base relativa alla batimetria è stata derivata dalle carte nautiche n. 6, 7, 8, e 9 alla scala 1: 100.000 dell’Istituto Idrografico della Marina. In rapporto a tutti gli elementi ritenuti di interesse (morfologia, sedimentologia e geochimica dei 129 ICRAM fondali, caratteristiche del popolamento ittico e del popolamento bentonico, caratteristiche idrologiche e dinamiche delle masse d’acqua, vincoli e usi legittimi del mare), è stata quindi condotta un’analisi critica mirata sia alla qualità in senso generale dei dati e delle informazioni raccolte, sia alla possibilità di georeferenziare gli stessi. L’indagine ha evidenziato diverse zone che necessitano di ulteriori approfondimenti (dati scarsi, non recenti, scala non adeguata, impossibilità di georeferenziare i dati). Una discreta parte dei dati e delle informazioni rinvenute in bibliografia è risultata, inoltre, essere inutilizzabile per la redazione della banca dati cartografica, con la conseguenza che la bibliografia utilizzata per la redazione delle carte non necessariamente coincide con quella riportata nei singoli capitoli. Da segnalare poi che per alcuni specifici tematismi (geochimica dei sedimenti e circolazione delle acque) è emersa l’impossibilità di trasferire le informazioni raccolte su una base geografica significativa. I dati analizzati hanno pertanto permesso la costruzione di sei carte tematiche, alla scala 1: 250.000: • Carta della Distribuzione delle Biocenosi Bentoniche; • Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (primavera); • Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (estate); • Carta della Distribuzione delle Aree di Nursery delle Principali Specie Demersali (autunno); • Carta della Distribuzione dei Sedimenti Superficiali e dei Principali Lineamenti Morfologici; • Carta dei Vincoli e degli Usi del Mare. In particolare, le carte tematiche relative alla distribuzione delle aree di nursery delle principali specie del popolamento demersale (autunno, primavera ed estate) sono state realizzate utilizzando i dati di Ardizzone e Corsi (1997)17 e di Ardizzone et al. (1999)18, che riportavano entrambi elaborazioni alla scala 1:500.000. La carta relativa alla distribuzione autunnale è stata realizzata con i dati relativi al triennio 19941996 (Ardizzone et al.,1999), quella relativa alla distribuzione estiva con i dati relativi al triennio 1985-1987 (Ardizzone e Corsi, 1997), mentre quella relativa alla distribuzione primaverile 17 18 Ardizzone G.D., Corsi F. (Editors) (1997) – Atlante delle risorse ittiche demersali dei mari italiani. Atlas of Italian Demersal Fishery resources. Trawl surveys 1985-1987. Erredi grafica. Genova Ardizzone G.D., Corsi F., Agnesi S. (Editors) (1999) - Atlante delle Risorse Ittiche Demersali Italiane triennio 1994-1996. Ministero per le Politiche Agricole. Roma 1999. 130 ICRAM utilizzando entrambi i set di dati (dati 1985-1987 in Ardizzone e Corsi, 1997 e dati 1994-1996 in Ardizzone et al.,1999). In quest’ultima carta, in particolare, è stato deciso di mantenere separati i due set di dati, in quanto le diverse metodologie utilizzate per la loro realizzazione non hanno reso possibile unificare, né mediare gli stessi in un unico risultato. Nella tabella 2.2 vengono riportate gli elementi contenuti nelle carte tematiche. Tabella 2.2 – Carte tematiche Titolo della carta Elementi considerati Carta della Distribuzione dei Principali lineamenti morfologici: Costa sabbiosa; Costa alta e/o Sedimenti Superficiali e dei rocciosa; Fronte deltizio; Limite tra scarpata di prodelta e piattaforma Principali Lineamenti Morfologici continentale esterna; Creep; Paleoalvei. Classificazione dei sedimenti superficiali: Sabbia (frazione sabbiosa > 95%); Sabbia pelitica (frazione sabbiosa compresa tra 95 e 70%); Pelite molto sabbiosa (frazione sabbiosa compresa tra 70 e 30%); Pelite sabbiosa (frazione sabbiosa compresa tra 30 e 5%); Pelite (frazione sabbiosa < 95%); Substrato litoide affiorante. Carta della Distribuzione delle Posidonia oceanica prevalentemente su sabbia o “matte”; P. oceanica Biocenosi Bentoniche: prevalentemente su fondi duri; P. oceanica a fasci isolati e "matte” morta; Sabbie fini degli alti livelli; Associazione a Cymodocea nodosa su sabbie fini ben calibrate; Sabbie fini ben calibrate/fanghi terrigeni costieri; Fanghi terrigeni costieri; Detritico infangato; Detritico costiero; Detritico del largo – Facies a Leptometra phalangium. Carte della distribuzione delle aree Eledone cirrhosa, autunno; Merluccius merluccius, autunno; Mullus di nursery delle principali specie barbatus, autunno; Octopus vulgaris, autunno; Parapenaeus demersali (autunno,): longirostris, autunno; Phycis blennoides, autunno; Carte della distribuzione delle aree Eledone cirrhosa, primavera; Merluccius merluccius, primavera; di nursery delle principali specie Mullus barbatus, primavera; Octopus vulgaris, primavera; demersali (primavera,): Parapenaeus longirostris, primavera; Phycis blennoides, primavera; Carte della distribuzione delle aree Eledone cirrhosa, estate; Merluccius merluccius, estate; Mullus di nursery delle principali specie barbatus, estate; Octopus vulgaris, estate; Parapenaeus longirostris, demersali (estate,): estate; Phycis blennoides, estate. Carta dei Vincoli e degli Usi del Fascia compresa entro il limite delle tre miglia; Aree Marine Protette e Mare: Parchi Nazionali; Oasi blu (WWF); Porti principali; Cavi e condotte; Terminali off-shore; Zone di divieto di ancoraggio e pesca; Aree di sversamento dei materiali portuali; Poligoni militari. 131 ICRAM 3. LETTURA INTEGRATA DEI DATI (Overlay mapping) Le aree di Montalto di Castro e del Golfo di Gaeta sono state indicate, dalla Regione Lazio, come prioritarie per un eventuale sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento. Da qui la necessità d’avere indicazioni dettagliate e complete su tali aree, utili al fine di valutare la compatibilità ambientale con l’estrazione delle sabbie. A tal fine è stato utilizzato il G.I.S. con il data base creato. Attraverso l’analisi mediante la sovrapposizione degli strati informativi relativi ai diversi tematismi delle due aree sopracitate, vengono messe così in evidenza le zone in cui le informazioni esistenti in letteratura suggeriscono una particolare attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento. Per prima cosa sono stati individuati, nell’ambito dei dati utilizzabili, gli elementi che limitano o condizionano significativamente le attività di movimentazione dei fondali, così come sotto riportati: • aree marine protette, parchi nazionali, oasi blu (WWF); • aree sensibili per la presenza di Posidonia oceanica; • aree sensibili per la presenza di nursery delle principali specie di interesse commerciale del popolamento demersale; • usi legittimi del mare non compatibili con la movimentazione dei fondali (aree di sversamento dei materiali portuali, cavi e condotte, terminali off-shore, zone di divieto di ancoraggio e pesca, poligoni militari); • fascia delle 3 miglia dalla costa. Alcuni di questi elementi - quali aree marine protette, parchi nazionali, oasi blu, aree di sversamento dei materiali portuali, cavi e condotte, terminali off-shore, zone di divieto di ancoraggio e pesca, fascia delle 3 miglia dalla costa, praterie di Posidonia oceanica - costituiscono dei vincoli “rigidi”. Infatti, dove questi sono presenti non sono possibili attività di movimentazione del fondale. In particolare, laddove è presente Posidonia oceanica bisogna prevedere, oltre alle aree di vincolo “rigido”, delle aree limitrofe di “rispetto” in cui le attività di movimentazione, per effetto della circolazione locale, potrebbero compromettere lo stato di salute della pianta. Le aree di nursery di specie ittiche d’importanza commerciale sono considerate importanti poiché rappresentano le zone di concentrazione dei giovanili: perturbare queste aree può significare compromettere il rendimento delle attività di pesca. Inoltre, in una valutazione di compatibilità 132 ICRAM ambientale, bisogna considerare che sia l’estensione sia la localizzazione possono variare nello spazio e nel tempo. Bisogna, inoltre, valutare la loro l’estensione rispetto a quella dell’area prevista per le attività di estrazione, generalmente di dimensioni ridotte. Invece, i poligoni militari non costituiscono un vincolo “rigido” per la possibilità di ottenere dalle Autorità competenti l’autorizzazione a poter effettuare le attività previste, a seguito della sospensione delle operazioni militari nelle suddette aree. Gli elementi sopra elencati sono stati utilizzati per la realizzazione di cartografie mirate ad evidenziare eventuali aree di attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento. Sono state realizzate: -Carte di sovrapposizione annuale; -Carte di sovrapposizione stagionale; -Carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio. Carte di sovrapposizione annuale Le carte presentate nelle figure 3.1 e 3.2 riportano (in giallo), rispettivamente per l’area di Montalto di Castro e per il golfo di Gaeta, la distribuzione delle aree di attenzione ai fini delle attività di movimentazione dei fondali per ripascimento (indicate di seguito come “aree di attenzione”). Si tratta di carte generali, che non distinguono né la natura dei vincoli considerati, né come alcuni di loro possano variare temporalmente. Il confronto fra le due carte mostra una discreta differenza. L’area settentrionale (Montalto di Castro) non sembra generalmente offrire, sulla base dei dati bibliografici disponibili, possibilità concrete per un’estrazione delle sabbie ambientalmente compatibile (figura 3.1). Condizioni meno restrittive sembrano invece presenti nell’area meridionale (golfo di Gaeta) (figura 3.2). Carte di sovrapposizione stagionale Il passaggio successivo è stato quello di fornire, per le due zone, una rappresentazione stagionale delle aree di attenzione ai fini della movimentazione dei fondali per ripascimento, data la presenza di elementi soggetti naturalmente a variazioni stagionali. Sono state quindi realizzate le carte di sovrapposizione nelle tre stagioni esaminate (primavera, estate, autunno), rispettivamente per Montalto di Castro (figure 3.3a, 3.3b e 3.3c) e per il golfo di Gaeta (figure 3.4a, 3.4b e 3.4c). 133 ICRAM Il confronto fra le tre carte relative all’area di Montalto di Castro (figure 3.3a, 3.3b e 3.3c) evidenzia una significativa differenza nella distribuzione delle aree di attenzione. Nella carta di sovrapposizione stagionale primaverile (figura 3.3a), le aree di attenzione sono localizzate lungo una fascia parallela alla costa e tra Orbetello e Montalto di Castro verso il largo. Nella carta di sovrapposizione stagionale estiva (figura 3.3b), la distribuzione delle aree di attenzione si modifica rispetto a quanto osservato nella stagione primaverile. L’area principale appare maggiormente estesa nel tratto di mare a nord del lago di Burano e nel tratto compreso tra il fiume Mignone e Capo Linaro. La carta di sovrapposizione stagionale autunnale (figura 3.3c) presenta ancora ulteriori differenze. Le aree di attenzione si estendono senza soluzione di continuità da Orbetello fino a Capo Linaro. Fanno eccezione due piccole aree, una (più settentrionale e più estesa) localizzata a largo del lago di Burano e l’altra (più meridionale e dai contorni alquanto irregolari) situata a largo di Civitavecchia. Anche le carte di sovrapposizione stagionale, relative al golfo di Gaeta, presentano differenze significative nelle tre stagioni considerate (figure 3.4a, 3.4b, 3.4c). La carta di sovrapposizione stagionale primaverile (figura 3.4a) evidenzia una area di attenzione che si sviluppa parallelamente alla costa e un’area più ampia, estesa dal margine della piattaforma verso largo, che interessa la gran parte della zona esaminata. La carta di sovrapposizione stagionale estiva (figura 3.4b) presenta, per contro, condizioni abbastanza differenti, soprattutto in relazione a quanto osservato nelle zone più al largo in cui aree di attenzione sono presenti solamente a sud della foce del Garigliano. La carta di sovrapposizione stagionale autunnale (figura 3.4c), infine, evidenzia una minore incidenza delle aree di attenzione. Si riconosce, infatti, un’unica fascia caratterizzata da contorni abbastanza regolari. Per capire quale fosse l’incidenza dei singoli elementi nella definizione stagionale delle aree di attenzione, sono state quindi realizzate le carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio. Carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio Le carte di sovrapposizione stagionale di dettaglio, realizzate per entrambe le aree considerate (rispettivamente figure 3.5a, 3.5b e 3.5c; figure 3.6a, 3.6b e 3.6c), riportano tutti gli elementi considerati e già discussi nella parte I. Esse, pur non apportando ulteriori informazioni dal punto di vista della distribuzione delle aree di attenzione, permettono di riconoscere nelle “nursery” 134 ICRAM l’elemento discriminante fra le diverse condizioni stagionali; esse costituiscono, inoltre, anche l’elemento maggiormente rappresentato in termini di estensione areale. 135 ICRAM 4. CONCLUSIONI Si riporta, di seguito, un commento sintetico sullo studio di compatibilità ambientale relativo allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi ai fini di ripascimento delle aree di Montalto di Castro e del golfo di Gaeta. Montalto di Castro Dall’analisi delle carte ottenute mediante overlay mapping emerge in generale che le aree di attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento risultano in gran parte costituite da aree di nursery. L’esame di dettaglio ha però evidenziato come la loro distribuzione areale vari con le stagioni. In primavera, nella fascia di piattaforma estesa dalla costa fino ai 100m di profondità non sono presenti aree di nursery. In estate sono presenti aree di nursery di Eledone cirrhosa (moscardino) tra il promontorio dell’Argentario e Capo Linaro a profondità comprese tra 50 e 200m e una nursery di Octopus vulgaris (polpo), situata a nord tra Graticciara e l’Argentario, estesa dalla zona costiera fino ad oltre i 100m. In autunno, la situazione appare più complessa a causa della presenza di diverse nursery. Una nursery di Mullus barbatus (triglia) è presente sottocosta fino a circa 100m tra Montalto di Castro e Graticciara; nella stessa zona, dai 50m fino ad oltre i 100m si rinviene una nursery di Eledone cirrhosa (moscardino). Infine, una vasta nursery di Merluccius merluccius (merluzzo) si estende dai 100m verso profondità maggiori in tutta l’area considerata. Nell’area di Montalto di Castro è anche importante segnalare la presenza sottocosta di praterie di Posidonia oceanica, che potrebbero costituire un “vincolo” per lo svolgimento di eventuali attività di movimentazione dei fondali. Infatti, oltre a non poter operare nelle aree interessate da questa fanerogama, bisogna anche assicurarsi che eventuali lavori di movimentazione condotti in aree limitrofe non ne compromettano lo stato di salute. E’ nota, infatti, la funzione della Posidonia per la stabilizzazione del sedimento e quindi per il ruolo che essa riveste nel mantenimento dell’equilibrio delle coste; essa costituisce, inoltre, l’area di nursery di numerose specie ittiche (Ardizzone, 198219; Ardizzone e Pelusi, 198320). Da qui l’esigenza di conoscere dettagliatamente, nelle aree indagate, l’intensità e la direzione delle correnti (dati attualmente non disponibili), al fine di prevedere le zone di deposito del materiale fine, eventualmente messo in sospensione dalle attività di estrazione. 19 20 Ardizzone G.D. (1982) – Osservazioni sulla pesca a strascico entro le tre miglia dalla costa tra capo Circeo e Terracina (Medio Tirreno). Naturalista siciliano, Suppl., 2, VI: 395-401. Ardizzone G.D., Pelusi P. (1983) – Fish populations exposed to coastal bottom trawling along the middle Tyrrhenian sea. Rapp. Comm. Int. Mer Medit., 28 , 5: 107-110. 136 ICRAM E’ necessario, inoltre, considerare che nell’area sono presenti altri elementi di “vincolo” per lo svolgimento delle suddette attività, quali cavi e condotte, zone di divieto di ancoraggio e pesca e poligoni militari. Riguardo la distribuzione delle aree di nursery è necessario, infine, ricordare che i dati utilizzati sono tratti da lavori a grande scala (1:500.000) effettuati alcuni anni fa. Pertanto, tali dati non possono essere utilizzati per un’analisi di dettaglio al fine di valutare la compatibilità ambientale di un’eventuale dragaggio ai fini di ripascimento, ma è necessario disporre di dati più aggiornati e a scala adeguata. Golfo di Gaeta Anche nel golfo di Gaeta le analisi condotte hanno evidenziato che le aree di attenzione ai fini dell’estrazione delle sabbie per ripascimento risultano in gran parte costituite da nursery. In primavera, sono presenti aree di nursery di Parapeneus longirostris, Merluccius merluccius e Phycis blennoides a profondità superiori ai 70m, particolarmente concentrate davanti la foce del Volturno. In estate la situazione appare diversa: nursery di Octopus vulgaris sono presenti sottocosta fino a circa 80m, mentre quelle di Eledone cirrhosa e di Parapeneus longirostris si trovano più al largo. In autunno, invece, non sembrano essere presenti aree di nursery. Nel golfo di Gaeta sono, inoltre, presenti impianti di acquacultura e mitilicoltura che potrebbero costituire un “vincolo” per le attività di movimentazione dei fondali, qualora l’area venisse interessata dal materiale fine messo in sospensione durante le suddette attività. Anche in questo caso nasce quindi l’esigenza di conoscere dettagliatamente l’intensità e la direzione delle correnti (dati attualmente non disponibili), al fine di prevedere le zone di deposito del materiale fine. E’ necessario, inoltre, considerare che nell’area sono presenti altri elementi di “vincolo”, quali cavi e condotte, zone di divieto di ancoraggio e pesca e poligoni militari. Si ritiene importante sottolineare, infine, che il quadro descritto, relativamente alla distribuzione delle aree di nursery, ha una valenza puramente generale, in quanto i dati utilizzati sono tratti da lavori a grande scala (1:500.000) effettuati alcuni anni fa; valgono pertanto le analoghe considerazioni fatte per l’area di Montalto di Castro. ***** 137 ICRAM Sulla base di quanto detto, relativamente alle aree di Montalto di Castro e del golfo di Gaeta, è opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale, con particolare riferimento alla natura degli elementi utilizzati per definire l’eventuale “non compatibilità ambientale” delle aree indagate. Alcuni di questi elementi, infatti, come le aree marine protette, i parchi nazionali, le oasi blu, le aree di sversamento dei materiali portuali, i cavi e le condotte, i terminali off-shore, le zone di divieto di ancoraggio e pesca, la fascia delle 3 miglia dalla costa e le praterie di Posidonia oceanica costituiscono dei vincoli “rigidi”. Infatti, dove questi sono presenti non sono possibili attività di movimentazione del fondale. Non costituiscono, invece, un vincolo “rigido” i poligoni militari poiché è possibile ottenere dalle Autorità competenti l’autorizzazione a poter effettuare le attività previste, a seguito della sospensione delle operazioni militari nelle suddette aree. Dall’analisi di dettaglio delle due aree di Montalto di Castro e del golfo di Gaeta sono emersi alcuni aspetti importanti, quali: • Necessità di condurre indagini a scala temporale stagionale Indagini condotte esclusivamente su base annuale porterebbero ad escludere la possibilità di compiere attività di movimentazione dei fondali per la presenza di estese zone di non compatibilità ambientale (figure 3.1 e 3.2). Invece, indagini riferite alle diverse condizioni stagionali hanno permesso di identificare delle “finestre temporali”, ovvero aree che risultano compatibili con le attività di estrazione delle sabbie solo in determinate stagioni. Infatti, alcuni degli elementi utilizzati per la valutazione di compatibilità ambientale sono risultati, come nel caso delle aree di nursery, soggetti a significativi cambiamenti stagionali. • Necessità di disporre di dati aggiornati Si ritiene importante segnalare la necessità di disporre di dati aggiornati, soprattutto quando si studiano risorse importanti come quelle demersali che, oltre a presentare diversità stagionali (nursery), sono soggette a variazioni anche considerevoli di anno in anno. Anche per quanto riguarda la Posidonia oceanica è, infine, necessario disporre di dati aggiornati, essendo questa molto sensibile alle variazioni di apporto sedimentario e soggetta a cambiamenti significativi nel breve tempo. • Necessità di disporre di scale di rilevamento adeguate 138 ICRAM Le analisi condotte, relativamente, ad esempio, al popolamento ittico e le aree di nursery, sono risultate basate su una distribuzione non uniforme e spesso carente per quello che riguarda l’ambiente di piattaforma. Quando si affronta tale tipo di problematiche (compatibilità ambientale delle attività di movimentazione dei fondali) si dovrebbe, al contrario, disporre di indagini mirate (ambiente di piattaforma) e condotte a una scala adeguata. • Necessità di ovviare a dati carenti o assenti Nelle analisi condotte per l’identificazione delle aree di attenzione, alcuni dati, come quelli relativi alla correntometria, non sono stati considerati per la mancanza di informazioni e/o per l’impossibilità di georeferenziare quelle disponibili. Questo tipo di informazioni, per l’importanza che la circolazione riveste soprattutto nella veicolazione del materiale fine, non possono assolutamente essere trascurate nelle successive fasi di approfondimento. La conoscenza della direzione e dell’intensità delle correnti potrebbe, infatti, essere di estrema rilevanza in presenza di ambienti sensibili, quali le praterie di Posidonia oceanica. Infatti, durante le attività di estrazione delle sabbie potrebbero verificarsi fenomeni di risospensione di materiale fine, in grado di incidere negativamente sulle comunità bentoniche presenti. In definitiva, la variazione delle caratteristiche della circolazione nelle diverse stagioni può influire in modo significativo sulla scelta del periodo, durante il quale le attività di movimentazione possono essere svolte senza produrre importanti alterazioni sull’ambiente. In conclusione, emerge la necessità di eseguire ulteriori indagini dettagliate e mirate per lo studio di compatibilità ambientale con attività di movimentazione dei fondali ai fini di ripascimento. In particolare, lo scenario prospettato in questo lavoro, basato esclusivamente sui dati bibliografici, potrebbe cambiare qualora integrato con i risultati di nuove indagini specifiche. Pertanto, sulla base dei dati disponibili non è possibile fornire indicazioni valide circa la compatibilità ambientale in specifiche zone né, tantomeno, indicare probabili “finestre temporali” in cui l’impatto sull’ambiente potrebbe essere contenuto. Il lavoro presentato in questa relazione si inserisce all’interno di un più vasto programma di pianificazione a scala regionale inerente lo studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento di depositi sabbiosi sommersi lungo la piattaforma continentale ai fini di ripascimento. La Regione Lazio insieme all’ICRAM ha, infatti, messo a punto un programma di indagine articolato in tre fasi principali (Caratterizzazione della piattaforma continentale laziale attraverso dati di letteratura o 139 ICRAM Fase A, Caratterizzazione dell’area vasta o Fase B, Caratterizzazione del sito prima, durante e dopo i lavori di dragaggio o Fase C). Sulla base dei risultati ottenuti in questa fase (Fase A) si procederà, quindi, nelle aree potenzialmente interessate dall’estrazione di sabbie, alla caratterizzazione sia dei fondali sia della colonna d’acqua (Fase B). Nella Fase B saranno effettuati campionamenti specifici riguardanti i principali parametri fisici, chimici e biologici al fine di fornire un quadro di dettaglio e di colmare le lacune emerse dall’analisi dei dati bibliografici. Il data base organizzato in questo lavoro risulta, in ogni caso, importante come punto di partenza ma non sufficiente al fine di una corretta gestione ambientale. Integrando e aggiornando i dati con i risultati ottenuti da indagini specifiche, esso potrà costituire un importante e utile strumento al fine di valutare la compatibilità ambientale delle attività di movimentazione ai fini di ripascimento. È importante, comunque, sottolineare che il valore dello strumento proposto, pur nei limiti precedentemente descritti, risiede nella possibilità di fornire, per una determinata area, quali siano gli elementi discriminanti nella definizione della compatibilità ambientale in relazione alle attività in oggetto. Nell’ambito di una pianificazione a livello regionale, la metodologia proposta consentirà, quindi, una visione complessiva dell’ambiente piattaforma permettendone una gestione rapida e semplificata, con ottimizzazione di tempi e costi. Il Responsabile del Programma Massimo Gabellini 140