Immota harmonìa Collana di Musicologia e Storia della musica Direttore Sergio P Comitato scientifico Guido B Conservatorio di Musica di Trapani “Antonio Scontrino” Società aquilana dei concerti “B. Barattelli” Ente musicale Dario D P Conservatorio di Musica di L’Aquila “Alfredo Casella” Alessandro C Conservatorio di Musica di Roma “Santa Cecilia” Stefano R Università per stranieri di Perugia Conservatorio di Musica di Perugia “Francesco Morlacchi” Immota harmonìa Collana di Musicologia e Storia della musica La collana Immota harmonìa accoglie e prevede nelle sue linee programmatiche e nei suoi intendimenti le tre diramazioni e direttive della ricerca musicologica: monografie e biografie, trattatistica e analisi musicale. L’argomentazione biografica e monografica spazia naturalmente in tutto l’ambito della millenaria storia della musica, mentre la trattatistica s’indirizza verso le teorizzazioni tipicizzanti e fondamentali (teorie generali, acustica, organologia, armonia, contrappunto, studio ed evoluzione delle forme); l’analisi, infine, comprende riletture e tematiche specifiche secondo intendimenti e campi di indagine molteplici, caratterizzanti e soggettivi. Eleonora Cosci Musica e pittura nel Novecento “Corrispondenze” sensoriali fra due arti sorelle Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: aprile Indice Introduzione Capitolo I L’astrattismo di W. Kandinsky .. Il suono dei colori e il colore della musica, – .. Un’estetica pittorico–musicale, . Capitolo II L’espressionismo di A. Schönberg .. La nota “stonata” del Novecento, – .. Pittura e teatro come grido originario, . Capitolo III Stravinskij, Picasso, Diaghilev. Il rinnovamento artistico di musica, pittura e danza .. Stravinskij e il mondo dei Balletti Russi, – .. Picasso e Satie: l’arte del frammento e la musica “oggetto” di Parade, . Appendice. La “polifonia figurativa” di Klee e Webern Bibliografia Introduzione Ogni arte appartiene al proprio tempo: è necessario partire da questo presupposto per capire ciò che stava accadendo nei primi anni del Novecento. Quando etica, religione, morale e scienza «vengono scosse e [. . . ] i pilastri esterni minacciano di crollare, l’uomo distoglie lo sguardo dalle cose e lo rivolge a se stesso» : la musica, l’arte e la cultura in generale sono i terreni più fragili nei quali questo cambiamento spirituale prende forma in maniera concreta, poiché riflettono la terribile oscurità del loro presente rifugiandosi non più nelle cose materiali, ma nel profondo dell’animo umano. L’Ottocento era stato un periodo in cui il concetto di ordine era considerato il principio indiscutibile, ma già nei passati cromatismi ridondanti di Wagner e nelle impalpabili linee melodiche di Debussy si prefigurava un nuovo ethos, una rinnovata spiritualità interiore. All’inizio del Novecento si cominciò quindi ad avvertire un «brontolio sotterraneo» e si capì che si stava avvicinando un’epoca di sovvertimento di tutte quelle regole seguite fino ad allora. Le certezze furono annientate, la vita venne lacerata; il Novecento, in contrapposizione all’ordine del secolo scorso, non poteva che essere definito con una sola parola: caos. Nelle avanguardie, la rottura con il passato avvenne a causa della crisi della razionalità, una crisi che sfociava nella destrutturazione di linguaggi musicali e pittorici ritenuti consunti e inattuabili: a partire da queste “macerie”, gli artisti cercarono di ricostruire, ognuno a suo modo, un rinnovato modo di espressione, la cui principale qualità artistica era senz’altro l’indefinitezza. All’inizio del XX secolo, il fine di ogni arte divenne la ricerca spirituale: dato che ora non era più possibile basarsi sulle certezze concrete ormai distrutte, all’uomo non restava che rifugiarsi in se stesso e dar sfogo alla propria disperazione. Infatti, la rivoluzione culturale che . W. K, Scritti intorno alla musica, Fiesole, Edizioni Discanto, , p. . . Ivi, p. . Introduzione si impose in quegli anni, rovesciando i presupposti tradizionali dell’estetica sia musicale sia pittorica, prese vita nella rivendicazione di un’espressione artistica incentrata su tratti esistenziali più profondi e inconsci. Correnti d’avanguardia come l’Espressionismo e il Cubismo, hanno svolto un ruolo fondamentale nel panorama sia artistico sia musicale, proprio perché hanno portato alla creazione di nuovi canoni estetici: nell’arte figurativa, ciò che veniva ricercato era una pittura astratta, cioè non figurativa, dove le forme non avessero attinenza con alcunché di reale; in campo musicale, allo stesso modo, si cercava di semplificare la grammatica compositiva dagli elementi più esteriori e naturalistici, facendo ricorso a tecniche espressive basate sull’astrazione e sulla purezza formale. In quegli anni, notevole è stata l’attenzione che le avanguardie pittoriche hanno rivolto alle nuove ideologie che si stavano affermando in campo musicale: il materiale compositivo, infatti, già dagli ultimi decenni dell’Ottocento aveva iniziato ad allontanarsi dagli schemi musicali convenzionali. Il linguaggio delle arti visive era dunque interessato alle moderne possibilità formali che la musica del Novecento stava scoprendo, proprio per ottenere una rinnovata concezione pittorica rispetto alla tradizione naturalistica. Dopo secoli di continui cambiamenti, il materiale musicale riesce ora ad approdare al superamento dei proprio principi formali: già per ovviare ai limiti dell’espressività musicale romantica, si era ricorsi al cromatismo, ovvero all’utilizzo di intervalli al di fuori della scala diatonica in modo da avere un’armonia più flessibile per ogni composizione; infine, come coronamento di questa naturale evoluzione, nel Novecento si assiste alla rottura definitiva del cosiddetto “sistema tonale” a opera di Schönberg. Le opere del musicista tedesco non mettevano più in primo piano la perfezione dell’unità formale, bensì tendevano a far risaltare una “legge” ben più importante, quella dell’universo inconscio di ciascuno: la coerenza esterna veniva quindi sostituita da una coerenza interna espressivamente più potente, quella appunto della necessità interiore di ogni uomo. Alle regole classiche si sostituiva quindi una legge “invisibile”, che rendeva le opere «simbolicamente allusive di una realtà non più com- Introduzione patta, armoniosa e rassicurante, bensì [inquietantemente] ambigua, irrisolta, drammatica» . Ciò che ne scaturiva era un rinnovato modello estetico, e il tradizionale concetto di sublime lasciava il posto a una bellezza sconosciuta, inquietante e talvolta «terribile, ma forse [proprio per questo] più reale» . Queste opere non erano più il mero risultato di mirabili capacità tecniche, ma diventavano lo specchio dell’animo dell’artista che le aveva create: era per questo che, senza inibizioni o paure, la realtà più cruda ci veniva sbattuta in faccia senza passare al vaglio della purezza; la Verità immediata, quella emotiva, era lo scopo principale che, in questo caso, veniva perseguito. Altra stupefacente personalità del panorama musicale del Novecento fu senza dubbio Stravinskij che, a differenza di Schönberg, aveva intrapreso un’altra strada pur sempre innovativa: il musicista russo si batteva infatti proprio contro l’ Empfindung, ovvero l’emozione più profonda dell’inconscio che, a parer suo, non aveva niente a che vedere con la musica, la quale doveva ispirarsi solo alla pura unità formale (pur sempre rivisitata con una poliritmia aspra e irregolare). Ancora un altro caso è quello di Satie il quale, come afferma la Corazzol, è stato forse l’unico musicista di quella generazione a non avere un passato alle spalle, né da distruggere (come Schönberg) né da cui attingere (come Stravinskij): Satie non voleva esternare nessun tipo di angoscia tipicamente “espressionista”, ma semplicemente voleva dare al mondo una musica fatta non solo per se stesso, ma che tutti avessero potuto udire e che avesse espresso la realtà quotidiana di ciascuno; la musica aveva veramente compiuto la discesa dal suo “Parnaso”, divenendo una musica “oggetto”, concreta e privi di qualunque emozione o dolore. Anche se con principi “strutturali” talvolta molto diversi, questi artisti hanno contribuito al totale rinnovamento del linguaggio artistico del Novecento: così come Schönberg è stato il capostipite delle nuove tecniche musicali pantonali e più tardi dodecafoniche, figure come Kandinsky, Picasso, Klee e altri, hanno reso possibile questo cambiamento nel campo della pittura: ciò che li accomunava era la volontà di applicare alcuni principi musicali alla concezione dello spazio e ai contenuti . E. L P, Il suono incrinato. Musica e filosofia nel primo Novecento, Torino, Einaudi, , p. . . Ibidem. Musica e pittura nel Novecento della pittura; infatti, proprio come i musicisti dell’epoca, volevano ricercare un linguaggio libero dalle regole della rappresentazione figurativa, approdando così alla trascendenza del reale. È così che, nel Novecento, la capacità sinestetica di accomunare i suoni ai colori e viceversa divenne il caposaldo di tutte le manifestazioni artistiche, poiché solo nella comunione delle arti era possibile trovare i veri valori spirituali, proprio quelli che la realtà dell’epoca si era portata via: proprio per questa stessa prospettiva ontologica rinnovata musica e pittura si davano la mano e andavano di pari passo; musicisti e pittori d’avanguardia ci obbligano quindi ad assumere sia un udito sia uno sguardo diversi che, unendosi insieme in un unico medium espressivo, ci mostrano «una mappa di “luoghi” dai quali risuona una medesima verità», quella dell’animo dell’artista (a questo proposito, vedremo come Kandinsky e Picasso avevano frequenti rapporti sia artistici sia umani, rispettivamente con Schönberg e Stravinskij, tanto che le loro “unioni” ideologiche hanno dato vita ad una sorta di manifesto culturale che ha influenzato le scelte stilistiche di molte generazioni successive). La realtà si presentava così come «una polifonia di riflessi» in cui ciò che diveniva importante era il valore di ogni singolo essere, di ogni uomo in quanto tale, che faceva di ciascuno di essi «il riflesso, uno “specchio” dell’intero universo». Non c’era più tempo per le aride prove di bravura, né per le “bugie” edulcorate: l’urgenza di sperimentare nuove tematiche spronava gli artisti a spingersi verso l’ignoto, attraverso percorsi inesplorati per sentirsi, al di fuori della vecchia “gabbia dorata”, finalmente liberi e vivi. L’arte «è libertà. Quando si salta può anche capitare di atterrare dalla parte sbagliata della corda, ma se uno non corre il rischio di rompersi la testa, che fa? Allora non salta affatto»; le parole di Picasso rappresentavano l’espressione più profonda di un’intera generazione di artisti, che aprirono i loro occhi verso il più grande mistero del mondo: quello della loro stessa anima. Questi sono i protagonisti delle avanguardie; questa è la meraviglia del Novecento. . . . . Ivi, p. . Ibidem. Ivi, p. . I. F. W, Picasso, Köln, Taschen, , p. . Capitolo I L’astrattismo di W. Kandinsky .. Il suono dei colori e il colore della musica La realtà quotidiana dei primi anni del secolo è la cruda realtà della guerra, fatta di contraddizioni politiche, di perdita di valori profondi con conseguenti inasprimenti di lotte di classe: anche in Germania stava accadendo tutto questo e gli artisti non potevano non ritrovarsi sopraffatti da una società così lacerata. Proprio per ciò che stava succedendo, l’Espressionismo tedesco vuole togliere al mondo ogni sua oggettività concreta, per trasportarla nella sfera emotiva personale: le tematiche di questo movimento artistico sono quindi profondamente radicate nella società contemporanea, dove ciò che prevale sono la trasfigurazione drammatica e la distruzione. Nel si era formata a Monaco di Baviera la Neue Kunstlervereinigung München (Nuova Associazione degli artisti di Monaco) a opera di alcuni artisti: i russi Vasilij Kandinsky e Alexej Von Javlenskij, l’austriaco Alfred Kubin, la tedesca Gabriele Münter e, in seguito, il bavarese Franz Marc. Fu proprio quest’ultimo che nel definì il gruppo, utilizzando un termine francese, come i Fauves tedeschi, facendo così rientrare l’associazione di artisti nella corrente dell’Espressionismo tedesco. Nel il gruppo si era già diviso e Kandinsky, Marc, Münter e Kubin dettero vita a una nuova formazione che prese il nome di Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro). Il nome era il titolo di un libro, per la precisione un annuario, a cui Kandinsky e Marc stavano lavorando proprio in quel periodo e che, per le ideologie che promulgava, poteva ben indicare anche quegli artisti che in esse si riconoscevano. Proprio il titolo del libro, invece, fu assolutamente casuale; nel fu Kandinsky a spiegare che «il nome, Der Blaue Reiter, lo trovammo, Marc e io, davanti ad una tazza di caffè sotto il pergolato di Sindelsdorf: Musica e pittura nel Novecento a entrambi piaceva il blu. E a Marc piacevano i cavalli, a me i cavalieri. E così il nome venne fuori da solo» . Purtroppo il gruppo ebbe vita breve, poiché l’ultima mostra venne organizzata nel e appena nel Franz Marc moriva sul fronte francese. Oltre a essere contro la società contemporanea materialista e non spirituale, gli artisti del Blaue Reiter non si riconoscevano neppure nei principi dell’Impressionismo, dato che questo si ispirava alla realtà oggettiva che si imprimeva nell’anima dell’artista: gli espressionisti, contrariamente, desideravano distruggere e non riprodurre la natura, perché credevano che fosse l’anima a dare una connotazione all’esterno. Praticamente, ciò che per loro bisognava dipingere era la forma ideale ed essenziale delle cose, dettata dalle sensazioni interiori. Wasilij Kandisky nasce a Mosca il dicembre e lì compie gli studi universitari in Giurisprudenza, laureandosi nel : gli viene offerta subito una cattedra all’Università, che però rifiuta per dedicarsi interamente alla pittura. Dopo aver soggiornato a Monaco dal al , decide di rientrare in patria allo scoppio della prima guerra mondiale. Una volta tornato in Russia, ormai famoso per essere stato uno dei fondatori del Blaue Reiter, prende parte al rinnovamento culturale della società del suo Paese: riorganizza i musei di provincia, fonda l’Istituto per la Cultura Pittorica () e istituisce l’Accademia di Scienze Artistiche (); nello stesso periodo è anche nominato professore all’Università di Mosca. Grazie al ruolo di prestigio che ricopriva nella sua città, nel ottiene il permesso di soggiornare in Germania per sei mesi: da quel momento non avrebbe più fatto ritorno in patria. Proprio in Germania, nel diventa professore al Bauhaus di Weimar, libera scuola d’arte e mestieri, dove dirige il laboratorio di pittura parietale. Nel il Bauhaus viene però chiuso dal regime nazista e l’anno seguente, per motivi politici, Kandinsky lascia la Germania per recarsi in Francia. A Parigi vive gli ultimi dieci anni della sua vita, morendo nella residenza di Neuilly–Sur–Seine il dicembre . . G. C, F. D T, Itinerario nell’arte: dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, III, Bologna, Zanichelli Editore S.p.A., , p. . . L’astrattismo di W. Kandinsky «Un uomo capace di rovesciare le montagne» : proprio con queste parole Franz Marc descrive il collega nonché amico Kandinsky, che con il suo rinnovato linguaggio pittorico rivoluzionò l’arte del Novecento. Infatti, per questo motivo Kandinsky è considerato il fondatore della pittura astratta, poiché liberò l’arte dal suo tradizionale scopo di riprodurre la realtà concreta. «Se la disgregazione dell’oggetto e l’autonomia espressiva dei colori e delle forme erano già state tentate da diversi artisti all’inizio del XX secolo» , Kandinsky affinò ulteriormente i mezzi di espressione astratti. Rendere possibile il passaggio dalla pittura concreta all’astrattismo fu infatti il massimo obiettivo della sua vita e la sua produzione artistica fu sempre accompagnata da riflessioni e studi teorici. A questo proposito, una delle sue opere più significative fu Über das Geistige in der Kunst (Sullo spirituale dell’arte), pubblicato nel dopo non poche vicissitudini editoriali: ciononostante, questo scritto costituisce, insieme all’almanacco Der Blaue Reiter, uno dei testi più importanti per l’arte del XX secolo. Il libro fu davvero un grande successo, se si pensa che fra il dicembre e l’ottobre aveva già avuto tre ristampe. L’argomento principale che è alla base dell’opera è la riflessione, cara a Kandinsky, sui rapporti tra pittura e musica: secondo le sue osservazioni, la pittura doveva essere sempre più simile alla musica, facendo sì che i colori potessero assimilarsi ai suoni. Kandinsky, infatti, considerava la musica come un’arte «libera da ogni vincolo di resa della realtà, di cui egli invidiò sempre l’indipendenza e la libertà del mezzo espressivo» . La musica era pura espressione di sentimenti interiori e non imitava assolutamente la natura: era quindi astratta, proprio come il risultato che Kandinsky ricercava per la sua pittura. Se ci soffermiamo un attimo sul termine “astratto”, vediamo che deriva dal verbo latino abstràhere, composto da ab (via da) e tràhere (trarre), cioè “trarre via da qualcosa”: nel caso di Kandinsky, «prescindere . U. B–M, Kandinsky, Köln, Taschen, , p. . . Ibidem. . Ivi, p. . Musica e pittura nel Novecento dal mondo sensibile, concreto, dalla realtà conosciuta e conoscibile» . Come la musica era il risultato di un fluire di sensazioni intime, anche la pittura doveva, per Kandinsky, manifestarsi per «necessità interiore propria» : per lui, infatti, la creazione di un quadro non era più strettamente collegata all’immagine naturale, ma alla spiritualità interiore dell’artista. A questo proposito riportiamo un estratto dal quarto capitolo dell’opera sopracitata Sullo spirituale dell’arte per capire come, in analogia con la musica, Kandinsky tentò di trovare anche per la pittura una «sorta di canone armonico, una legge interna che i colori e le forme dovevano seguire» . L’insegnamento più importante veniva proprio «dalla musica. Salvo poche eccezioni, la musica è già da alcuni secoli l’arte che non usa i suoi mezzi per imitare i fenomeni naturali, ma per esprimere la vita psichica dell’artista e creare la vita dei suoni. Un artista che [. . . ] voglia e debba esprimere il suo mondo interiore, vede che queste mete sono state raggiunte [. . . ] dall’arte oggi più immateriale, la musica. È comprensibile che si volga ad essa e tenti di ritrovare le stesse potenzialità nella propria arte. Nasce di qui l’attuale ricerca di un ritmo pittorico, [. . . ] della tonalità cromatica, del dinamismo dei colori. . . » . Gli esseri umani erano, per Kandinsky, ancora troppo legati all’arido materialismo: per non cadere in qualcosa di “grossolano”, diceva il pittore, era necessario ascoltare la sorgente che era nell’anima di ognuno; solo così l’opera d’arte, rispecchiando le emozioni più profonde, risultava veramente pura e non grettamente materiale. In molte delle sue realizzazioni, Kandinsky cerca di accostarsi ai concetti strettamente musicali dell’epoca e di rispecchiarli in qualche modo, proprio per confermare quell’interscambio che per lui esisteva fra le diverse arti. Vediamo per esempio quello che Kandinsky era riuscito a ottenere con il suo primo acquarello astratto eseguito nel : a prima vista ciò che è ritratto nel quadro può sembrare un semplice schizzo preparatorio; in realtà, quest’opera ha in germe già quella tematica . . . . G. C, F. D T, Itinerario nell’arte, cit., p. . U. B–M, Kandinsky, cit., p. . Ivi, p. . G. C, F. D T, Itinerario nell’arte, cit., p. . . L’astrattismo di W. Kandinsky pittorico–musicale che Kandinsky svilupperà sempre di più nelle prove successive. Infatti, quelle chiazze colorate fatte da matita, acquerello e china sono accostate secondo uno scopo preciso: come nelle partiture musicali, anche qui esistono dei «toni dominanti e ricorrenti» : per esempio, il grigio con l’azzurro e il giallo con l’arancione creano una sorta di tema musicale, che varia «col mutare delle gradazioni di colore» . Sempre più frequenti saranno anche le denominazioni di ambito musicale che Kandinsky darà come titoli ai suoi dipinti, come composizione — improvvisazione — fuga, considerandoli delle vere e proprie partiture. A tale proposito possiamo prendere in considerazione l’opera Composizione VI, un olio su tela del . Nella tela si possono rintracciare due centri principali: sulla sinistra, un «nucleo dolce, rosaceo» , con poche linee al centro; sulla destra, un nucleo rosso e azzurro, fortemente dissonante, delimitato da linee più precise. Fra questi due poli abbiamo un terzo nucleo, il centro principale, nel quale sostanzialmente si incontrano cromaticamente gli altri due: tutto sembra aleggiare in questa assenza di superficie; citando le parole del pittore, questo «centro principale determina il suono interiore dell’intero quadro» . Ecco dunque spiegata la poetica pittorica di Kandinsky: perfino per descrivere le sue stesse tele, il pittore russo fa ricorso a termini e paragoni strettamente musicali; secondo le proprie concezioni, infatti, «un’arte deve imparare dalle altre il modo di utilizzare i loro media, [. . . ] per poter poi trattare il proprio medium, vale a dire [. . . ] quello che le è proprio» . Così facendo, si possono scoprire le forze di ogni singola arte e, riunendole insieme, si può raggiungere la vera e propria “arte monumentale”. Nel suo trattato Sullo spirituale dell’arte, Kandinsky si occupa di ogni possibilità espressiva del medium pittorico, focalizzando l’attenzione soprattutto sull’efficacia del colore; proprio riguardo a quest’ultima, il pittore distingue due tipi di “efficacia”: quella puramente fisica che resta solo in superficie, e quella psichica, «che richiama una vibrazione . . . . . Ivi, p. . Ibidem. U. B–M, Kandinsky, cit., p. . Ibidem. Ivi, p. . Musica e pittura nel Novecento dell’anima» . Da ciò si ricava che per Kandinsky il colore non solo ha presa sull’organo visivo, ma ha un’influenza su tutto il corpo, soprattutto sulla parte “spirituale” di esso. Proprio perché ciascun colore richiama determinate sensazioni interiori, è considerato come un mezzo che riesce ad influenzare direttamente l’anima. Per esempio, il giallo è un colore inquietante, con un conseguente suono “aspro”; l’azzurro, contrariamente, solleva l’uomo verso l’infinito grazie alla sua purezza e, musicalmente, ha un suono profondo come quello dell’organo. Il verde e il grigio sono i due tipici colori dissonanti, poiché derivano dalla mescolanza di tonalità contrastanti, quali il giallo–azzurro e il nero–bianco. Il rosso, invece, è un colore prettamente vivo, colmo di forza, con importanti effetti psichici e musicalmente, può rimandare ai toni alti del violino. Significativo a proposito è un paragone, a mio avviso davvero esplicativo, che Kandinsky instaura con la musica, quando afferma che «il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è il pianoforte dalle molte corde» Tabella .. COLORE SUONO SENSAZIONE Nero colore molto povero di suono Grigio Marrone Verde Viola Blu – Blu scuro Nessuno Nessuno suono di violino su registro medio suono di corno inglese e oboe suono profondo di violoncello, contrabbasso e organo Suono di flauto suoni centrali e profondi del cello suono di tuba e tamburo suoni forti degli ottoni infinito silenzio, quasi il silenzio della morte Immobilità, rigidezza Inibizione pace e calma, effetto rilassante sensualità / tristezza solennità della pace celeste Azzurro Rosso scuro Vermiglio Rosso chiaro Arancione Giallo Bianco campane di chiesa / suono forte di viola ottoni / note acute di una tromba silenzio non portatore di morte, ma infinito nelle possibilità carattere indefinito forza energica, selvaggia passione che scorre continua eccitazione che può giungere al punto di dolore emozione sana, entusiasmante Inquietudine silenzio che può essere compreso, come le pause in musica L’artista, che sia pittore o musicista, non è che la mano che, a . Ivi, p. . . Ibidem. . L’astrattismo di W. Kandinsky seconda dei tasti suonati, fa vibrare l’animo umano: il linguaggio musicale, dunque, può essere paragonato al linguaggio cromatico. C’è da aggiungere anche che, per Kandinsky, ogni colore possiede in sé un suono a seconda della forma che lo delimita, poiché è la forma stessa, anche nel caso sia astratta, che ha un primitivo suono interiore. Oltre allo studio sui colori in rapporto con i suoni, Kandinsky aveva analizzato anche altri due elementi geometrici in relazione alla forma musicale: il punto e la linea. Il punto geometrico era considerato un’entità invisibile, ma secondo il pittore era «l’unico legame fra silenzio e parola» : quindi apparteneva comunque al linguaggio anche se significava silenzio, poiché quello non era un silenzio inudibile; per Kandinsky, anche il silenzio aveva un suo suono interiore e, a seconda della grandezza e della forma, il suono fondamentale del punto poteva variare. In musica, il punto era assimilabile a brevi colpi di timpano o di triangolo, anche se si poteva produrre punti con strumenti a percussione e col pianoforte, che creava per lo più composizioni chiuse, «costruite esclusivamente con combinazioni e successioni di punti sonori» : a tal proposito, si vedano gli esempi grafici che Kandinsky aveva realizzato sulla Quinta Sinfonia di Beethoven. Il punto, quale elemento basilare della pittura, dava origine ad altri elementi geometrici, come la linea. Secondo lo studio del pittore russo, la linea cresceva organicamente dai punti e, come questi, veniva usata non solo nella pittura ma anche in altre arti: infatti, oltre alla linea geometrica veniva ora a delinearsi anche la linea musicale. Per Kandinsky, «l’altezza del suono dei diversi strumenti corrisponde alla larghezza della linea» : una linea molto sottile era generata dal violino, dal flauto e dell’ottavino, mentre una linea leggermente più spessa, dalla viola e dal clarinetto; infine, si giungeva a linee sempre più larghe con i suoni profondi del contrabbasso e della tuba. Kandinsky spiegava come anche il timbro (colore) della linea venisse originato dal timbro dei vari strumenti: per esempio, le intensità variabili dal pianissimo al fortissimo trovavano la loro realizzazione nella «maggiore o minore nitidezza della linea, oppure nel suo grado . W. K, Punto, linea e superficie, Milano, Adelphi, , p. . . Ivi, p. . . W. K, Scritti intorno alla musica, cit., p. . Musica e pittura nel Novecento di luminosità» ; infatti, ogni forma lineare aveva una sua controparte cromatica: Forma grafica Forma cromatica 1. linea orizzontale 2. linea verticale 3. diagonale 4. retta libera nero bianco rosso–grigio–verde giallo-azzurro Secondo la concezione di Kandinsky, quindi, «la grafia musicale [. . . ] — la scrittura con note — non è altro che una diversa combinazione di punto e linea» . Kandinsky si era dedicato molto anche allo studio di varie forme geometriche, alle quali cercava poi di abbinare il “giusto” colore: nel creare determinate corrispondenze fra colori e forme, vediamo come «i colori acuti (per esempio il giallo) hanno la caratteristica innata di risuonare maggiormente in una forma acuta (come il triangolo). Quelli maggiormente inclini alla profondità acquistano [. . . ] efficacia attraverso forme rotonde (come il blu nel cerchio)» . Ne deriva quindi che il giallo in un triangolo dà un suono acuto e l’azzurro in una forma arrotondata dà un maggiore senso di riposo. Ovviamente questa rigida suddivisione poteva non essere rispettata: Kandinsky stesso ci spiega che se il giallo venisse utilizzato in un cerchio, probabilmente si creerebbe qualcosa di “disarmonico”. In realtà, la convivenza di armonia e dissonanza era proprio il risultato cercato dal pittore, ed era fra l’altro il medesimo procedimento che stava accadendo in campo musicale: in particolare con Schönberg, si stava assistendo al progressivo abbandono del sistema tonale tradizionale, con la conseguente predilezione per la pantonalità e la dodecafonia. Con il metodo di composizione dodecafonico, Schönberg aveva creato una sua nuova armonia, basata non più sulla tradizionale consonanza, ma sulla dissonanza. È quindi lo stesso processo di rinnovamento che applica Kandinsky con i colori: apparentemente ci dà degli schemi fissi nell’applicazione colore–forma (che in musica sarebbero le regole tonali), anche se . Ivi, p. . . Ibidem. . Ivi, p. .