Sezione 2
Tiroide
Tavola 2.1
Apparato endocrino
AnAtomiA
dellA ghiAndolA
tiroideA e delle ghiAndole
pArAtiroidi
Situata tra la laringe e la trachea medialmente e la guaina carotica
e i muscoli sternomastoidei lateralmente, la ghiandola tiroidea pesa
circa 15-25 g. I lobi tiroidei hanno una lunghezza di 3-4 cm e una
larghezza di 1,5-2 cm; l’istmo è lungo 1,2-2 cm e largo 2 cm e
attraversa la trachea tra gli anelli I e II. Nella Tavola 2.1 (disegno in
alto), la cute, il tessuto adiposo sottocutaneo e il muscolo platisma
sono stati asportati, lasciando esposta, sulla metà destra del collo,
la fascia cervicale anteriore o superficiale, che avvolge le vene
giugulari esterna e anteriore, e i nervi cervicali trasversi. Il tessuto
adiposo sottocutaneo e il muscolo platisma sono riccamente vascolarizzati: ciò consente di ottenere ampie esposizioni chirurgiche
senza sacrificare la cute, sollevando lembi di cute, di tessuto adiposo
sottocutaneo e di platisma. Le vene e i nervi così esposti vengono
inizialmente lasciati in situ per essere rimossi successivamente
insieme ai muscoli sottostanti.
Sul lato sinistro del collo (Tavola 2.1, disegno in alto) sono stati
asportati la fascia cervicale superficiale, la vena giugulare esterna,
i nervi trasversi e il muscolo sternocleidomastoideo, mostrando il
muscolo omoioideo, l’ansa del nervo ipoglosso, l’importante inserzione limitativa del muscolo pretracheale interno più corto, il muscolo sternotiroideo e l’intero decorso del muscolo tiroioideo lungo.
La stessa fascia è stata incisa lungo la linea mediana, mettendo
in evidenza i margini mediali del muscolo sternoioideo. Questi
muscoli, che normalmente si congiungono sulla linea mediana,
sono stati parzialmente dislocati per mostrare la cartilagine tiroidea
e cricoidea, l’istmo della tiroide e, al di sotto, la parte superiore
della trachea.
Le vene giugulari anteriori insieme alla vena giugulare esterna
drenano il sangue della faringe e della parte superiore del collo.
Inoltre esse ricevono vasi collaterali per tutta la loro lunghezza: in
primo luogo dal platisma, disposto superficialmente rispetto alle
vene giugulari anteriori; poi dai muscoli pretracheali (sternoioideo,
sternotiroideo e omoioideo), che si trovano in profondità rispetto a
esse; e infine a livello della laringe, in particolare nell’incisura,
vicino alla linea mediana, da numerosi piccoli vasi che provengono
dalla parte superiore della laringe. Nell’esporre la ghiandola
tiroidea, le paratiroidi e la trachea, è importante preservare il
maggior numero possibile di questi vasi spostandoli, piuttosto che
sezionandoli, per evitare un edema residuo della parte superiore
del collo e della laringe. Qualora tumori della tiroide o delle strutture
del collo esercitino una pressione su una delle vene giugulari
interne, le vene giugulari anteriori possono andare incontro a
dilatazione.
I nervi cervicali trasversi sensoriali se recisi sono in grado di
rigenerarsi. Ciò non avviene se vengono recisi i due rami inferiori
del nervo faciale: la sezione del ramo mandibolare marginale è
seguita dall’abbassamento del labbro inferiore del lato omolaterale
la lesione. L’ansa del nervo ipoglosso, che si trova lungo la faccia
antero-mediale della guaina carotica, deve essere preservata, perché la lesione di questo nervo causa problemi di deglutizione nel
postoperatorio. Nell’esporre il nervo è utile ricordare che, di fronte
a esso, scende un piccolo ramo dell’arteria tiroidea superiore che
invia diramazioni sia al margine posteriore del muscolo, sia al nervo
stesso.
I vasi linfatici della fascia superficiale, anteriori ai muscoli pretiroidei, non sono prominenti. I linfonodi sono rari; il primo linfonodo
che si incontra si trova subito di fronte all’istmo della tiroide sulla
linea mediana tra i muscoli pretracheali, in profondità rispetto alla
fascia anteriore e in superficie rispetto alla seconda fascia cervicale,
o fascia cervicale media, detta anche falsa capsula della tiroide.
Questo linfonodo drena la faringe o la laringe, ma non la ghiandola
tiroidea e i tessuti profondi sottostanti. Pertanto esso risulta ingrossato nei pazienti affetti da faringite e laringite acute, ma non in
quelli che soffrono di tiroidite o tracheite.
36
L’esposizione della ghiandola tiroidea, delle ghiandole paratiroidi
e del timo si ottiene facendo arretrare i muscoli pretracheali o
pretiroidei. L’esposizione massima si ottiene tagliando i muscoli
trasversalmente e spostando le estremità verso l’alto e verso il
basso. Una buona veduta del polo superiore della tiroide spesso
comporta la sezione trasversale del muscolo più interno.
La posizione dell’esofago, visibile leggermente a destra della linea
mediana (Tavola 2.1, disegno in basso), è adiacente al lobo destro
della tiroide, di solito più grande del controlaterale.
La Tavola 2.2 (disegno in alto) ritrae gli organi del collo e il
mediastino antero-superiore dopo la rimozione dei muscoli ante-
riori del collo e delle ossa della parte superiore del torace. Quando
la ghiandola tiroidea, le ghiandole paratiroidi e il timo sono esposti,
le loro superfici anteriore, laterale e posteriore sono avvolte da una
fascia non ben definita di tessuto areolare lasso (anche chiamata
falsa capsula della tiroide), che consente alle ghiandole, alla laringe
e alla trachea di sollevarsi e abbassarsi durante la deglutizione.
Infatti, quando al paziente viene chiesto di deglutire, è possibile
palpare quasi tutta la superficie anteriore di entrambi i lobi
tiroidei.
La ghiandola tiroidea normale è quasi sempre asimmetrica, con
il lobo destro che può essere anche il doppio del sinistro. Il polo
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.2
Tiroide
AnAtomiA
dellA ghiAndolA
tiroideA e delle ghiAndole
pArAtiroidi (Seguito)
superiore destro si estende più in alto nel collo e quello inferiore si
estende più in basso. Nel paziente con destrocardia la grandezza
dei lobi è invertita.
È opportuno evidenziare quattro anomalie dello sviluppo. Un
lobo piramidale persiste almeno nel 15% della popolazione e
diventa più grande se la tiroide aumenta di dimensioni a causa
di un processo diffuso; spesso è la sede di origine di una neoplasia tiroidea. La seconda anomalia, presente almeno nel 5%
degli individui, è la persistenza di tessuto tiroideo ectopico sulla
parte posteriore della tiroide. La natura non contigua può essere
apprezzabile durante l’esame obiettivo e indurre a sospettare
un tumore. La terza e la quarta anomalia sono la mancata fusione dell’istmo sulla linea mediana e l’assenza di una parte
consistente del lobo laterale, in particolare della metà inferiore
del lobo sinistro. Si tratta di anomalie rare, che si verificano in
meno dell’1% della popolazione. Quando l’istmo non si fonde,
le facce mediali dei lobi possono sembrare tumori alla palpazione; tuttavia, la percezione degli anelli tracheali dove dovrebbe
trovarsi l’istmo chiarirà la situazione. Analogamente, l’assenza
della metà inferiore di un lobo può dare l’errata impressione che
la metà superiore sia un nodulo tiroideo.
Il disegno in basso nella Tavola 2.2 è una veduta laterale degli
organi del lato destro del collo, dopo l’asportazione di muscoli del
collo, della clavicola destra e dello sterno. La posizione e le dimensioni delle paratiroidi normali sono variabili. Di norma le ghiandole sono quattro, due superiori e due inferiori. Raramente ne
esiste una quinta, che il chirurgo può dover ricercare qualora sia
sede di un adenoma che causi un’ipersecrezione di paratormone
oppure sia interessata da un’iperplasia (ad es. nelle neoplasie endocrine multiple di tipo 1). Le ghiandole superiori paratiroidi hanno
una posizione più costante e circoscritta rispetto a quelle inferiori;
spesso sono molto più grandi e quindi più facili da individuare. Sono
situate su un piano posteriore alla tiroide, dal polo superiore della
tiroide ai rami inferiori dell’arteria tiroidea inferiore. Se sede di iperplasia, possono spostarsi verso il basso nel mediastino posteriore.
Le ghiandole paratiroidi inferiori derivano da un solco branchiale più
alto rispetto alle ghiandole superiori e sono associate al timo nella
loro discesa embrionale; si trovano su un’area molto più estesa,
sopra o dietro la tiroide e in basso nel mediastino anteriore, fin dove
sia presente il tessuto timico.
I vasi linfatici e i linfonodi, nel disegno in alto della Tavola 2.2,
seguono uno schema costante. I più facili da palpare e i primi che
si incontrano sono quelli anteriori sulla linea mediana. Il pacchetto
linfonodale superiore, appena sopra l’istmo della tiroide, di fronte
alla cartilagine cricoidea e medialmente rispetto al lobo piramidale,
se presente, è costantemente formato da 1-5 linfonodi ed è denominato linfonodo delfico. Se è interessato da un carcinoma della
tiroide o da tiroidite di Hashimoto, può essere palpabile in fase
preoperatoria. I linfonodi pretracheali sotto l’istmo della tiroide sono
più difficili da identificare, poiché sono avvolti da tessuto adiposo e
hanno una posizione variabile rispetto a quella del linfonodo delfico.
Gli altri gruppi linfonodali, in ordine di importanza operatoria, sono
quelli sulla superficie laterale della tiroide lungo la vena tiroidea
laterale, i linfonodi lungo il tratto superiore del nervo laringeo ricorrente dietro il lobo tiroideo, quelli sull’angolo della mandibola, quelli
lungo la guaina carotica (catena giugulare) e i linfonodi più laterali
nella fossa sopraclavicolare. I linfonodi sentinella di Virchow sono
quelli posti inferiormente nella catena giugulare all’estremità superiore del condotto toracico. Questi linfonodi possono essere interesATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
sati da un carcinoma della tiroide o delle paratiroidi, nonché da
metastasi dovute a carcinomi localizzati in organi diversi dal collo.
I nervi motori laringei sono ben rappresentati in entrambi i disegni
della Tavola 2.2. Il nervo superiore porta il ramo motore al muscolo
cricotiroideo, il quale tende la corda vocale abbassando la parte
anteriore della cartilagine tiroidea sulla cartilagine cricoidea. La
sezione del nervo provoca alterazione della voce, specialmente se
la lesione è bilaterale.
Le diverse origini dei due nervi laringei ricorrenti o inferiori
determinano un decorso differente del nervo sui due lati.
Il nervo destro decorre diagonalmente in senso latero-mediale
verso l’alto, mentre il nervo sinistro è spinto dall’arco aortico, all’inizio, contro la trachea e l’esofago e sale diritto lungo il solco tracheoesofageo.
Questo decorso costante lo rende più facilmente reperibile dell’altro in corso di interventi chirurgici della regione anteriore del collo.
37
Tavola 2.3
Apparato endocrino
Sviluppo
dellA ghiAndolA
tiroideA e delle ghiAndole
pArAtiroidi
Faringe
All’inizio del 2° mese dello sviluppo embrionale, la porzione cefalica
dell’intestino entodermico, tubulare in origine e caudale alla membrana bucco-faringea (orale), si differenzia nella faringe. In questo
periodo la faringe è relativamente ampia, compressa in senso dorsoventrale e ha una serie di estroflessioni laterali, quattro su ciascun
lato: le tasche faringee (Tavola 2.3 A e B). Ogni tasca è in stretto
rapporto con l’arco aortico e si trova di fronte a un solco branchiale
(Tavola 2.3 A).
In alcune specie acquatiche, il tessuto nelle profondità dei solchi
branchiali e alle estremità delle tasche faringee si disgrega, creando
così comunicazioni (le fessure branchiali) tra la cavità faringea e la
superficie del corpo. Nell’essere umano si possono riscontrare
fessure branchiali persistenti: l’anomalia può consistere in un tratto
sottile rivestito da epitelio (fistola branchiale o cervicale) che si
estende dalla cavità faringea fino a un’apertura in prossimità del
padiglione auricolare (I tasca) o sul collo (II e III tasca) (Tavola 2.4).
Quando l’anomalia è meno estesa, vi è la presenza di un diverticolo
cervicale o di una cisti cervicale rivestita da epitelio. Un diverticolo
a fondo cieco può estendersi dalla faringe verso l’esterno, per una
lunghezza variabile, o dal collo verso l’interno. Una cisti può trovarsi
in varie sedi nei tessuti profondi del collo e non causare alcun
disturbo, a meno che non si infetti o si riempia di liquido nella vita
postnatale.
Il lume centrale della faringe embrionale dà origine alla faringe
definitiva (Tavola 2.4). Il I (o più cefalico) paio di tasche faringee
determina le tube uditive (di Eustachio), le cavità timpaniche (orecchio medio) e la membrana mucosa che riveste la superficie interna
di ciascun timpano. I primi solchi branchiali, posti di fronte alle I
tasche faringee, danno luogo ai meati acustici (uditivi) esterni e al
rivestimento epiteliale esterno di ciascuna membrana timpanica.
Le II tasche faringee generano l’epitelio che riveste le tonsille
palatine. Le ultime tasche faringee sono in gran parte assorbite
nella parete faringea e permangono solo come estroflessioni
faringee, contribuendo a formare le fossette sopratonsillari
(Tavola 2.4).
ghiandola tiroidea
Sulla linea mediana della superficie ventrale della faringe, tra la I e
la II tasca faringea, si forma un diverticolo ectodermico a forma di
sacco (il sacco tiroideo). Da esso origina il parenchima della ghiandola tiroidea (Tavola 2.3 A) ed è il primo derivato ghiandolare della
faringe. Il sacco tiroideo appare verso la fine della 4a settimana di
gestazione e si divide quasi immediatamente in due lobi, connessi
da uno stretto canale cavo; questo canale è chiamato condotto
tireoglosso, poiché la sua attaccatura faringea si trova nel punto in
cui il pavimento ventrale della faringe contribuisce alla formazione
della lingua. Il condotto diventa un peduncolo solido e inizia ad
atrofizzarsi dalla 6a settimana di gestazione; tuttavia la sua connessione con la faringe produce una cavità permanente, il foro
cieco, all’apice del solco terminale a forma di V sul dorso della
lingua (Tavola 2.3 C e 2.4).
Al momento della scomparsa del peduncolo tireoglosso, il sacco
tiroideo si è trasformato in una massa cellulare solida. Entro la fine
della 7a settimana, la tiroide in via di sviluppo ha assunto una forma
a mezzaluna e si è spostata a livello della trachea che si sta formando (Tavola 2.3 C). Tale spostamento è dovuto al fatto che la tiroide rimane arretrata mentre la faringe cresce in avanti. In questo
periodo i due lobi tiroidei, uno su ciascun lato della trachea, sono
collegati sulla linea mediana da un istmo molto stretto di tessuto
tiroideo in via di sviluppo (Tavola 2.3 C).
La formazione dei follicoli tiroidei ha inizio durante l’8a settimana
di sviluppo fetale. Entro il 3° mese essi si riempiono di colloide e,
alla fine del 4° mese, i nuovi follicoli nascono solo per gemmazione
38
e suddivisione di quelli già esistenti. Il mesenchima che circonda la
tiroide primitiva si differenzia nello stroma della ghiandola e nella
sua sottile capsula propria fibro-elastica.
Il condotto tireoglosso può persistere come tratto epiteliale,
aperto a partire dal foro cieco della lingua fino al livello della laringe,
o come una serie di tasche a fondo cieco (cisti del condotto tireoglosso) (Tavole 2.4 e 2.5).
Porzioni persistenti del condotto, o peduncolo, possono dare
origine a tiroidi accessorie o a una fistola mediana che ha la propria
apertura sul collo. Quando una porzione del condotto tireoglosso
persiste a livello dell’osso ioide, essa attraversa il corpo dell’osso
stesso (Tavola 2.4).
Il “lobo piramidale della tiroide”, presente in modo variabile,
deriva dalla persistenza e dalla crescita dell’estremità inferiore del
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.4
Tiroide
Sviluppo
dellA ghiAndolA
tiroideA e delle ghiAndole
pArAtiroidi (Seguito)
peduncolo. Un legamento o una striscia di muscolo, solitamente
localizzato a sinistra della linea mediana, può collegare il lobo piramidale alla cartilagine tiroidea o all’osso ioide. Il lobo piramidale
gradualmente va incontro ad atrofia, pertanto si riscontra più spesso
nei bambini che negli adulti.
La ghiandola tiroidea può presentare altre anomalie. Ad esempio,
l’istmo può essere voluminoso, rudimentale o assente. I lobi laterali
possono avere dimensioni differenti, o possono essere entrambi
assenti, con la sola presenza della porzione dell’istmo. La forma
della ghiandola può essere più simile alla lettera “H” che a un “ferro
di cavallo”. Raramente essa può trovarsi alla base della lingua
(tiroide linguale) o in profondità vicino allo sterno. L’assenza completa della ghiandola o un suo mancato funzionamento raramente
si notano prima che siano trascorse alcune settimane dalla nascita,
poiché i feti ricevono, attraverso la placenta, quantità sufficienti di
ormone tiroideo materno che consentono uno sviluppo normale. Se
dopo la nascita non viene instaurata una terapia ormonale sostitutiva, la conseguenza è l’ipotiroidismo congenito.
ghiandole paratiroidi e timo
Durante la 5a e la 6a settimana di sviluppo, l’epitelio ectodermico
delle porzioni dorsali delle estremità distali della III e della IV tasca
faringea si differenzia negli abbozzi delle ghiandole paratiroidi.
Contemporaneamente le porzioni ventrali delle estremità distali delle
III tasche differenziano negli abbozzi del timo (Tavola 2.3 C). Le
porzioni ventrali delle estremità distali delle IV tasche possono dare
luogo ad abbozzi timici, che andranno in atrofia senza concorrere
alla formazione del timo definitivo.
Normalmente si formano due paia di ghiandole paratiroidi; alla
fine della 6a settimana di gestazione, gli abbozzi delle paratiroidi e
del timo perdono il loro collegamento con le tasche faringee. In
questo periodo il lume della III e della IV tasca si chiude. Il tessuto
paratiroideo derivante dalla III tasca e gli abbozzi timici migrano,
durante la 7a settimana, in direzione infero-mediale. Nell’8a settimana le estremità inferiori degli abbozzi del timo aumentano di
volume e si uniscono superficialmente lungo la linea mediana.
Questa estremità inferiore bilobata continua ad abbassarsi e si
posiziona nel mediastino superiore, posteriormente al manubrio. Nel
corso di questa discesa, le estremità superiori degli abbozzi del timo
formano estensioni simili a code, che di solito scompaiono; talvolta
esse persistono come frammenti inglobati nella ghiandola tiroidea
o come nidi o cordoni timici isolati.
Il tessuto paratiroideo proveniente dalla III tasca migra insieme
agli abbozzi del timo e generalmente si ferma a livello caudale della
ghiandola tiroidea per formare le ghiandole paratiroidi inferiori
dell’adulto. Queste ghiandole, ciascuna con una capsula propria,
sono situate all’interno della guaina tiroidea derivata dalla fascia
cervicale, attaccate alla parte dorsale della capsula propria di ciascun lobo tiroideo. A volte il tessuto paratiroideo scende, insieme
agli abbozzi timici, a un livello inferiore e si localizza nel torace, vicino
al timo.
Le paratiroidi derivanti dalla IV tasca faringea non cambiano
posizione in modo rilevante, quindi le paratiroidi provenienti dalla III
tasca le oltrepassano nella loro migrazione verso il basso. Quindi,
le paratiroidi che originano dalla IV tasca diventano nell’adulto le
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
ghiandole paratiroidi superiori, situate nella guaina peritiroidea e
connesse alla parte dorsale della capsula propria di ciascun lobo
tiroideo a livello del margine inferiore della cartilagine cricoidea.
Comuni sono le variazioni di numero, dimensione e posizione delle
paratiroidi. Le paratiroidi regolari o accessorie possono trovarsi
anche a distanza dalla tiroide. Le paratiroidi producono il paratormone, che regola l’omeostasi del calcio e del fosforo.
Il timo è un organo di dimensioni notevoli nei bambini: all’età di
circa 2 anni raggiunge le sue massime dimensioni continuando a
crescere fino alla pubertà. Dopo questo periodo subisce una graduale involuzione in cui il tessuto timico è sostituito da tessuto
adiposo. Quindi nell’adulto il timo ha più o meno le stesse dimensioni
e la stessa forma che ha nei primi anni di vita, ma è costituito
principalmente da tessuto adiposo.
39
Tavola 2.5
Apparato endocrino
AnomAlie
congenite
dellA ghiAndolA tiroideA
Le localizzazioni aberranti, o atipiche del tessuto tiroideo possono
essere spiegate sulla base di una migrazione embrionale anomala
della tiroide e della sua stretta connessione con gli abbozzi tiroidei
laterali. Anomalie di posizione del tessuto tiroideo possono essere
meglio comprese se si considera l’embriologia della ghiandola tiroidea, che, nell’essere umano, deriva dal tubo digerente comparendo intorno al 17° giorno di gestazione. La parte mediana della
tiroide si forma dall’evaginazione ventrale del pavimento della faringe a livello della I e della II tasca faringea. Dall’area della IV tasca,
l’abbozzo tiroideo laterale viene incorporato nell’abbozzo tiroideo
mediano e contribuisce in piccola parte alla formazione del parenchima tiroideo definitivo. L’abbozzo tiroideo si allunga e si allarga
lateralmente, mentre la regione faringea si contrae e diventa uno
stretto peduncolo, il tratto o condotto tireoglosso, che successivamente si atrofizza, lasciando nel suo punto di origine sulla lingua
una depressione nota come foro cieco. Di norma, la tiroide continua
a crescere e nel contempo migra verso il basso.
Le sedi anatomiche, in cui si localizza il tessuto tiroideo formatosi
in modo anomalo, spaziano dalla parte posteriore della lingua fino
alla regione cardiaca, all’interno del mediastino. La persistenza di
tessuto tiroideo sulla parte posteriore della lingua è un’anomalia
piuttosto rara, conosciuta come tiroide linguale. Essa può costituire
l’unica fonte di tessuto tiroideo nell’individuo e spesso viene diagnosticata mediante scintigrafia con iodio radioattivo, che rivela la
presenza dello iodio radioattivo solo all’interno della tiroide linguale,
senza mostrare la presenza di ulteriore tessuto tiroideo nel collo.
Sono stati descritti residui intralinguali e sottolinguali di tessuto
tiroideo, ma sono piuttosto rari. Il tessuto del tireoglosso che persiste
di solito si atrofizza completamente; tuttavia questo può non accadere e può residuare come una massa cistica lungo la linea mediana
del collo, tra la base della lingua e l’osso ioide. Pertanto si deve
prendere in considerazione la presenza di una cisti del tireoglosso
nei soggetti che presentano una massa cistica in crescita immediatamente al di sotto del mento, lungo la linea mediana. Talvolta
queste cisti possono essere associate a tessuto tiroideo in grado di
concentrare lo iodio radioattivo.
Un tessuto tiroideo aberrante retrosternale mediastinico è di rado
la conseguenza di uno sviluppo anomalo, ma rappresenta piuttosto
un residuo ghiandolare rimasto dal periodo della migrazione verso
il basso della tiroide. Molto spesso, però, la presenza di tessuto tiroideo retrosternale è il risultato della crescita verso il basso di un
40
gozzo nodulare. Può essere presente un parenchima tiroideo prelaringeo, connesso a un lobo piramidale molto lungo o a una cisti
del tireoglosso. Raramente, sono stati segnalati anche residui tiroidei
intratracheali. La “tiroide aberrante laterale” può rappresentare un
tessuto branchiale che non si è fuso con la tiroide mediana. Tuttavia,
la dimostrazione di un microcarcinoma tiroideo in pazienti che
presentano il cosiddetto “tessuto tiroideo aberrante laterale” fa
pensare che, in molti casi, possa trattarsi in realtà di metastasi di
un carcinoma papillare della tiroide ben differenziato, a basso grado
di malignità.
La rilevanza medica del tessuto tiroideo aberrante è piuttosto
limitata. In alcuni casi, un’alterazione di tipo infiammatorio o, raramente, l’aumento di volume e la conseguente tireotossicità renderanno necessario un intervento chirurgico o la radioterapia. L’esatta
interpretazione di queste lesioni richiede la conoscenza della loro
derivazione embrionale.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.6
Tiroide
effetti
dell’ormone
tireotropo SullA ghiAndolA
tiroideA
L’unità ipotalamo-ipofisi svolge un ruolo indispensabile nella regolazione della funzione tiroidea. Una disfunzione ipotalamica o
un’insufficienza adenoipofisaria causano la diminuzione del volume
tiroideo e della produzione e secrezione degli ormoni tiroidei. L’ormone ipofisario avente come bersaglio la ghiandola tiroidea è
l’ormone tireotropo (TSH), una glicoproteina secreta dalle cellule
tireotrope ipofisarie. Il TSH è il regolatore principale della struttura
e della funzione della ghiandola tiroidea. Esso è composto da una
subunità a e da una subunità b: la subunità a è costituita da
92 aminoacidi ed è identica alla subunità a dell’ormone luteinizzante, dell’ormone follicolo-stimolante e della gonadotropina corionica umana. La specificità degli ormoni glicoproteici è data dalla
subunità b. La subunità b, sintetizzata all’interno delle cellule tireotrope, è una proteina costituita da 112 aminoacidi. L’ormone ipotalamico di rilascio dell’ormone tireotropo (TRH) è un tripeptide modificato (piroglutamil-istidil-prolinamide) che incrementa la trascrizione di entrambe le subunità; gli ormoni tiroidei (tiroxina [T4]
e tri-iodotironina [T3]), invece, ne sopprimono la trascrizione. Nell’individuo sano, la concentrazione sierica di TSH è compresa tra 0,3 e
5,0 mIU/L. I livelli di TSH aumentano nell’ipotiroidismo primario e
nell’ipertiroidismo secondario (ad es. tumore ipofisario TSH-secernente), mentre diminuiscono nell’ipertiroidismo primario. Le concentrazioni
ematiche di TSH variano sia in modo pulsatile, sia secondo un ritmo
circadiano: un incremento notturno precede l’inizio del sonno.
Entrambi gli ormoni T4 e T3 esercitano un feedback sulla secrezione di TRH e di TSH. Esiste una relazione lineare inversa tra la
concentrazione di T4 libera (FT4) nel siero e la concentrazione del
TSH; quindi la concentrazione sierica di TSH è un indicatore molto
sensibile della funzione tiroidea in pazienti con normale funzione
ipotalamo-ipofisaria.
Il recettore del TSH è espresso sulle cellule tiroidee. Il recettore del
TSH è un membro della famiglia dei recettori accoppiati a proteine
G: la proteina G genera un segnale mediante la fosfolipasi C e i canali
intracellulari del calcio che regolano l’efflusso di ioduro, la produzione
di H2O2 e la iodinazione della tireoglobulina. Il segnale della proteinchinasi A, mediata dall’adenosina monofosfato ciclico (AMPc), regola
la captazione di iodio e la trascrizione di tireoglobulina, della tireoperossidasi e degli mRNA del cotrasportatore sodio-ioduro, determinando la produzione di ormone tiroideo. Oltre al TSH, il recettore del TSH
lega anche l’anticorpo tireostimolante (presente in quantità elevata
nella malattia di Graves) e gli anticorpi bloccanti la tiroide (presenti in
quantità elevata nella tiroidite di Hashimoto). A concentrazioni elevate,
gli ormoni glicoproteici strettamente correlati – ormone luteinizzante
e gonadotropina corionica – si legano anch’essi al recettore del TSH
e ne attivano il segnale, provocando talvolta l’ipertiroidismo fisiologico
nella fase iniziale della gravidanza.
L’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide è intatto quando il volume della
ghiandola tiroidea è normale, le cellule follicolari della tiroide hanno
una forma cubica, le concentrazioni di TSH e degli ormoni tiroidei
rientrano nell’intervallo di riferimento, e la captazione dello iodio
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
radioattivo è normale. Nel quadro di una disfunzione ipofisaria o
ipotalamica, l’ipotiroidismo secondario si manifesta con la riduzione
del volume della tiroide (che può non essere palpabile all’esame
obiettivo), con cellule follicolari tiroidee dalla forma piatta, bassa
concentrazione di TSH (o impropriamente bassa visti i bassi livelli
di ormoni tiroidei), concentrazioni di FT4 e di FT3 ( T3 totale) inferiori
all’intervallo di riferimento e una bassa captazione di iodio radioattivo.
In un paziente affetto da tumore ipofisario TSH-secernente, tuttavia,
la ghiandola tiroidea è ingrossata e di solito è rilevabile all’esame
obiettivo come un gozzo compatto, le cellule follicolari tiroidee hanno
una forma cilindrica e la colloide è ridotta, la concentrazione di TSH
è all’interno o appena al di sopra dell’intervallo di riferimento, mentre
le concentrazioni di FT4 e di FT3 sono superiori all’intervallo di riferimento con elevata captazione di iodio radioattivo.
41
Tavola 2.7
Apparato endocrino
fiSiologiA
degli ormoni tiroidei
Il ruolo della ghiandola tiroidea nell’economia dell’intero organismo
comprende la sintesi, la raccolta e la secrezione degli ormoni tiroidei,
necessari per la crescita, lo sviluppo e il normale metabolismo
corporeo. Queste funzioni della tiroide possono essere considerate
quasi sinonimi del metabolismo dello iodio. La iodinazione della
molecola di tirosina porta alla sintesi di tiroxina (tetra-iodotironina
[T4]) e di tri-iodotironina (T3).
Lo iodio inorganico (I−) è rapidamente assorbito dal tratto gastrointestinale (GI) e circola come ioduro, finché non viene captato dalla
ghiandola tiroidea o dalle ghiandole salivari o escreto attraverso le
vie urinarie. La tiroide estrae lo iodio dal plasma, contro un gradiente
di concentrazione di 25 volte, grazie al cotrasportatore sodio-ioduro
(NIS). Per funzionare, il NIS necessita di un gradiente di sodio attraverso la membrana basolaterale: il trasporto di 2 ioni di Na
consente il trasporto di 1 atomo di ioduro. Il NIS trasporta anche
TcO4−, che viene usato in clinica per la scintigrafia tiroidea, e il
perclorato di potassio (KClO4−), in grado di bloccare la captazione
di ioduro da parte della tiroide. La trascrizione del gene e l’emivita
della proteina NIS sono promosse dall’ormone tireotropo (TSH). Lo
ioduro cellulare intrafollicolare è generato inoltre dall’azione della
iodotirosina dealogenasi isoenzima 1 (Dhal-1) che deiodina la monoiodotirosina (MIT) e la di-iodotirosina (DIT).
La pendrina è una glicoproteina espressa sul margine apicale
della cellula follicolare tiroidea, dove essa facilita il trasferimento
dello ioduro nella colloide follicolare. Dopo il suo trasferimento nella
colloide, facilitato dalla pendrina, lo ioduro è ossidato dalla perossidasi tiroidea (TPO) per favorire la iodinazione della tirosina a MIT
e DIT. I farmaci antitiroidei (ad es. propiltiouracile, metimazolo,
carbimazolo) inibiscono la funzione della TPO. La TPO necessita
dell’H2O2 generato dall’ossidasi tiroidea 2 (THOX2), passaggio che
viene inibito dall’eccesso di ioduro. I composti organici dello iodio
sono immagazzinati nella tiroide come parte della tireoglobulina
(Tg; peso molecolare 660 kDa). La TPO serve anche a catalizzare
l’accoppiamento di 2 molecole di DIT per formare la T4 e di 1 molecola di MIT e 1 molecola di DIT per formare la T3. T4 e T3 sono
immagazzinate nella colloide come parte della molecola di Tg: in
ciascuna molecola di Tg ci sono 3-4 molecole di T4. Il TSH stimola
il recupero di Tg dalla colloide mediante micropinocitosi per formare
i fagolisosomi, dove le proteasi liberano T4, T3, DIT e MIT all’interno
del fagolisosoma. T4 e T3 vengono quindi trasportate fuori dal fagolisosoma attraverso la membrana cellulare basolaterale e immesse
nella circolazione. Questa azione è inibita da grandi quantità di iodio,
un elemento che può essere usato per fini terapeutici nel trattamento di pazienti con ipertiroidismo dovuto alla malattia di Graves.
DIT e MIT vengono deiodinati dal Dhal-1 e lo ioduro ritorna nel lume
follicolare.
Il rapporto tra T4 e T3 nella Tg è all’incirca di 15 a 1; quando sono
rilasciati dalla cellula follicolare, il loro rapporto è circa di
10 a 1 (la differenza riflette l’azione di una 59-deiodinazione). La
fase di deiodinazione può essere inibita dal propiltiouracile. La T4 è
prodotta solo nella ghiandola tiroidea. Nonostante la T3 sia rilasciata
dalla tiroide, il 75% della T3 presente nell’organismo deriva dalla
59-deiodinazione di uno degli atomi di iodio sull’anello esterno
della T4. T4 e T3 possono essere inattivate dall’anello interno (5-deiodinazione) per formare rispettivamente T3 inversa e di-iodotironina
(T2). La presenza di queste deiodinasi in vari tipi di cellule determina
la regolazione locale dell’effetto degli ormoni tiroidei.
T4 e T3 sono poco idrosolubili e circolano legate a proteine plasmatiche: globulina legante la tiroxina (TBG), prealbumina legante
la T4 (transtiretina) e albumina. Ciascuna molecola di TBG ha un sito
42
di legame per la iodotironina. L’affinità del TBG per T3 è 20 volte
inferiore a quella per T4.
Veicolate dalle proteine di trasporto, T4 e T3 entrano nelle cellule
dell’organismo, dove esplicano le loro azioni metaboliche, principalmente calorigene (innalzando il metabolismo basale). Gli ormoni
tiroidei agiscono legandosi al recettore degli ormoni tiroidei che, a
sua volta, si lega al DNA. La T3 ha un’affinità di legame 15 volte
maggiore rispetto alla T4 per il recettore degli ormoni tiroidei.
T4 e T3 sono entrambe metabolizzate dal tessuto epatico e dal
tessuto renale nei loro derivati acido piruvico e acido acetico e,
infine, a ioduro. Questi metaboliti sono concentrati e coniugati con
acido glucuronico nel fegato, dove sono escreti con la bile e infine
idrolizzati nell’intestino tenue e riassorbiti.
La ghiandola tiroidea è unica per quanto concerne la quantità di
ormone immagazzinato: vi sono circa 250 mg di T4 per ogni grammo di
ghiandola tiroidea, ossia circa 5 mg di T4 in una tiroide del peso di 20 g.
Pertanto non sorprende la frequenza di tireotossicosi qualora la ghiandola tiroidea sia danneggiata da un’infiammazione acuta (ad es. tiroidite
subacuta). In corso di tiroidite autoimmune di Hashimoto può presentarsi
un quadro di tireotossicosi prima di esitare in ipotiroidismo.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.8
mAlAttiA
Tiroide
di
grAveS
L’eponimo “malattia di Graves” descrive una sindrome autoimmune
della tiroide caratterizzata da ipertiroidismo, gozzo, oftalmopatia e,
in alcuni casi, dermopatia infiltrativa (mixedema pretibiale o localizzato). Malattia di Graves e ipertiroidismo non sono sinonimi, poiché
alcuni pazienti affetti da malattia di Graves presentano l’oftalmopatia
ma non l’ipertiroidismo; inoltre l’ipertiroidismo riconosce diverse
altre cause oltre alla malattia di Graves. In questa malattia, l’ipertiroidismo è causato da autoanticorpi contro il recettore dell’ormone
tireotropo (TSH) che lo attivano e stimolano la sintesi e la secrezione
di ormoni tiroidei (tiroxina [T4] e tri-iodotironina [T3]), nonché la
crescita della ghiandola tiroidea.
La malattia di Graves si manifesta più comunemente nella donna
che nell’uomo (8:1) e con maggiore frequenza durante l’età fertile,
benché possa insorgere sia durante l’infanzia, sia in età molto
avanzata. Sebbene i segni principali di questa patologia siano l’ingrossamento della tiroide e gli occhi sporgenti, uniti a sintomi cardiovascolari, di fatto essa interessa l’intero organismo; si tratta
pertanto di una malattia sistemica. La tiroide è diffusamente ingrandita (gozzo) ed è, in ogni suo punto, da due a diverse volte più
grande della sua normale dimensione. Si può osservare una certa
asimmetria, essendo il lobo destro più grande del sinistro; anche il
lobo piramidale è di solito ingrossato. Di rado accade che, in un
paziente con malattia di Graves, non vi sia un ingrossamento palpabile della ghiandola tiroidea. La ghiandola presenta un aumento della
vascolarizzazione, evidenziato da un soffio udibile con uno stetoscopio e talvolta da un fremito percepibile alla palpazione, apprezzabili sui poli superiori della ghiandola. Dal punto di vista istologico,
si riscontra un’iperplasia follicolare con una marcata riduzione della
colloide nei follicoli e la presenza di alte cellule acinose cilindriche
che possono mostrare introflessioni papillari nei follicoli stessi. In
una fase avanzata della malattia, può verificarsi un’infiltrazione linfocitaria multifocale (principalmente cellule T) in tutta la ghiandola
tiroidea e, in alcuni casi, è possibile osservare persino follicoli linfatici
(principalmente cellule B) all’interno del parenchima tiroideo.
La tiroide iperplastica funziona a un ritmo marcatamente accelerato, documentato dall’aumento della captazione e del ricambio
di iodio radioattivo e da un incremento dei livelli di T4 e T3, che
aumentano la velocità del consumo dell’ossigeno o il metabolismo
basale. Inoltre provocano la riduzione delle concentrazioni sieriche
di colesterolo totale e di colesterolo legato alle lipoproteine ad alta
densità. I livelli elevati di T4 e T3 danno origine a una serie di manifestazioni fisiche e psicologiche. I pazienti affetti da questa patologia
presentano abitualmente nervosismo, agitazione, irrequietezza,
insonnia, cambiamenti di personalità e instabilità emotiva. I reperti
comportamentali includono difficoltà di concentrazione, confusione
e scarsa memoria immediata.
All’esame obiettivo, i pazienti con malattia di Graves presentano
un tremore lieve, che può non essere evidente ma che è obiettivabile
ponendo un foglio di carta sulle dita estese. L’aumento dei livelli di
T4 e T3 e del consumo di ossigeno, con concomitante vasodilatazione
generalizzata, determina l’aumento della gittata cardiaca, che si
manifesta con cardiopalmo e tachicardia sinusale. L’ulteriore stimolazione dell’attività cardiaca può indurre fibrillazione atriale e
insufficienza cardiaca.
La cute dei pazienti affetti da questa malattia è calda e vellutata
(a causa dell’assottigliamento dello strato cheratinico); inoltre può
essere arrossata ed è spesso associata a marcata sudorazione per
l’aumento della calorigenesi. In alcuni casi si osserva vitiligine,
un’altra manifestazione autoimmune. L’onicolisi (nota come “unghia
di Plummer”) – caratterizzata dall’ammorbidimento delle unghie e
dal loro distacco dal letto ungueale – si verifica in un numero esiguo
di pazienti affetti da malattia di Graves. La dermopatia infiltrativa
(mixedema pretibiale) è un’alterazione cutanea che talvolta interessa
gli arti inferiori o gli avambracci dei pazienti con oftalmopatia progressiva grave. Essa è associata a un forte ispessimento cutaneo
senza fovea presentandosi come un edema gommoso, senza fovea,
dei tessuti cutanei e sottocutanei, con colorazione violacea della
cute nel terzo inferiore della gamba. Di solito è predominante nella
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
metà esterna della gamba. I noduli (di 1 cm di diametro) sopra la
tibia, che si estendono fino all’altezza del ginocchio, possono essere
associati al classico mixedema pretibiale localizzato. Questa lesione
può colpire anche gli avambracci e sono stati segnalati casi di
coinvolgimento dei piedi e persino delle dita dei piedi. Una caratteristica di questi siti colpiti da mixedema è l’assenza di peli, ma la
presenza occasionale di follicoli piliferi, che producono peluria in
questi siti, non esclude la diagnosi. Il mixedema localizzato si verifica
quasi sempre in pazienti affetti da oftalmopatia grave e progressiva.
La malattia di Graves è inoltre associata a ippocratismo delle dita
delle mani e dei piedi (acropachia tiroidea) (Tavola 2.9).
L’iperattività del sistema simpatico determina fissità dello sguardo
e la retrazione delle palpebre nella maggior parte dei pazienti con
ipertiroidismo. La retrazione delle palpebre viene dimostrata chiedendo al paziente di seguire con gli occhi il dito dell’esaminatore
mentre traccia un arco verticale: di solito è possibile vedere la sclera
sopra l’iride quando il paziente guarda verso il basso. Caratteristica
peculiare della malattia di Graves è l’oftalmopatia (Tavola 2.10).
L’aumento del tasso metabolico e della calorigenesi in questi
pazienti determina una perdita di peso nonostante un aumento
dell’appetito, nonché il deperimento di alcuni muscoli, associato a
debolezza muscolare. L’ipertiroidismo ha vari effetti sul metabolismo
43
Tavola 2.9
mAlAttiA
Apparato endocrino
di
grAveS
(Seguito)
del glucosio, ma di norma i pazienti presentano un’iperglicemia a
digiuno. L’ipertiroidismo grave può essere associato a diarrea e
malassorbimento.
Nella donna vi è un aumento delle concentrazioni di estradiolo a
causa dell’aumento dei livelli sierici di globulina legante gli ormoni
sessuali (SHBG). Tuttavia, le concentrazioni di estradiolo libero sono
basse e quelle dell’ormone luteinizzante nel siero sono elevate; ciò
provoca oligomenorrea o addirittura amenorrea, con ripristino dei
cicli mestruali al ristabilirsi dello stato di eutiroidismo. L’aumento
delle concentrazioni sieriche di globulina legante gli ormoni sessuali
si osserva anche negli uomini affetti da ipertiroidismo e si riflette in
concentrazioni elevate di testosterone totale nel siero, basse concentrazioni di testosterone libero e un lieve aumento dei livelli di
ormone luteinizzante. L’aromatizzazione del testosterone in estradiolo aumenta e, spesso, questo provoca ginecomastia, diminuzione
della libido e disfunzione sessuale.
I pazienti affetti da malattia di Graves manifestano i sintomi e i
segni di alterazioni muscolari note come miopatia tiroidea, caratterizzata dall’atrofia dei muscoli temporali, dei muscoli dei cingoli
scapolari e di quelli degli arti inferiori, in particolare il gruppo del
quadricipite femorale. Questi pazienti presentano debolezza muscolare e spesso non sono in grado di salire le scale o di alzarsi da
una sedia. La debolezza muscolare può inoltre favorire la dispnea.
Caratteristica la presenza di tremore: quando viene chiesto loro
di stendere una gamba, essi manifestano un tremore marcato e di
solito non riescono a tenere la gamba in posizione distesa per più
di un minuto.
L’eccesso di T4 e T3 stimola il riassorbimento osseo, che riduce
il volume osseo trabecolare e aumenta la porosità dell’osso corticale;
l’effetto sulla densità ossea corticale è solitamente maggiore di
quello sulla densità ossea trabecolare. Lo stato di elevato turnover
osseo può essere confermato dall’aumento delle concentrazioni
ematiche di osteocalcina e fosfatasi alcalina osso-specifica. In alcuni
pazienti, l’aumento del riassorbimento osseo determina ipercalcemia, la quale inibisce la secrezione di paratormone e la genesi di
1,25-diidrossivitamina D, alterando l’assorbimento del calcio e
aumentandone l’escrezione urinaria. Per questo motivo, i pazienti
con ipertiroidismo di lunga data sono esposti a un rischio maggiore
di fratture ossee e osteoporosi.
Le prime descrizioni della malattia di Graves riguardavano pazienti affetti da gozzo e da insufficienza cardiaca di grado variabile.
È caratteristico per i pazienti con ipertiroidismo segnalare una serie
di sintomi e segni cardiaci. Di solito si manifesta un aumento della
frequenza cardiaca.
Anche la gittata cardiaca è aumentata e coloro che sviluppano
insufficienza cardiaca presentano le manifestazioni dell’insufficienza
ad alta gittata, caratterizzata da un tempo di circolo più breve del
normale nonostante una pressione venosa elevata. È frequente
l’ipertensione sistolica. L’ingrandimento del cuore è raro, tranne nel
44
caso di insufficienza cardiaca conclamata o di un paziente con
cardiopatia pregressa. Il cuore non evidenzia alcuna caratteristica
modificazione anatomica o microscopica che possa essere attribuita
all’ipertiroidismo. Lo stimolo alla gittata cardiaca è stato collegato al
metabolismo basale elevato e all’aumento della richiesta di ossigeno
da parte dell’organismo.
I normali effetti cardiaci delle catecolamine sono accentuati dagli
ormoni tiroidei e, nell’ipertiroidismo, tutta l’attività del sistema sim-
patico risulta amplificata. La fibrillazione atriale si verifica nel 15%
circa dei pazienti ed è più comune in quelli di età superiore a 60 anni.
Nella maggior parte dei casi, essa torna spontaneamente al ritmo
sinusale normale quando viene ristabilito l’eutiroidismo; pertanto, un
antagonista b-adrenergico periferico sarà in grado di controllare
gran parte delle manifestazioni circolatorie, ridurre la sudorazione
e diminuire la retrazione delle palpebre, indipendentemente da
qualsiasi effetto sui livelli di T4 e T3 in circolo.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.10
oftAlmopAtiA
Tiroide
di
grAveS
L’oftalmopatia di Graves è una malattia autoimmune che interessa
i tessuti retro-orbitali; i segni oculari più comuni sono la proptosi e
l’edema periorbitale, i quali possono essere di grado variabile, da
lievi a estremamente gravi e progressivi.
La maggior parte dei pazienti con ipertiroidismo (a prescindere
dalla causa) presenta retrazione delle palpebre (causata dalla
contrazione dei muscoli elevatori delle palpebre), che determina un
allargamento della rima palpebrale e fissità dello sguardo. Benché
lo sguardo fisso possa sembrare una proptosi, quest’ultima deve
essere confermata mediante un esoftalmometro (si veda oltre). Di
frequente può essere dimostrata una rarità dell’ammiccamento,
causata dall’incapacità della palpebra superiore di mantenere la
propria posizione rispetto al bulbo oculare nello sguardo verso
il basso. Può esservi anche un rallentamento del bulbo oculare: la
palpebra superiore si solleva più rapidamente del bulbo quando il
paziente guarda verso l’alto. La retrazione delle palpebre e la rarità
dell’ammiccamento regrediscono in seguito alla correzione
dell’ipertiroidismo.
L’oftalmopatia di Graves comprende altri reperti di grado variabile,
quali proptosi vera, iniezione congiuntivale, edema congiuntivale
(chemosi), edema periorbitale, deficit di convergenza e paralisi di
uno o più muscoli extraoculari. I pazienti spesso lamentano un
aumento della lacrimazione (aggravato da luce intensa, vento o aria
fredda), una sensazione di sabbia negli occhi e un fastidioso senso
di gonfiore delle orbite. Quando si chiede al paziente di guardare in
una direzione o in un’altra, è possibile notare una debolezza significativa di uno o più muscoli extraoculari. Il paziente può lamentare una visione offuscata o anche diplopia quando guarda verso
l’alto o verso un lato.
Se la distanza, misurata con un esoftalmometro, dall’angolo
palpebrale alla parte anteriore della cornea supera i 20 mm nei
pazienti di razza bianca e i 22 mm in quelli di razza nera, è presente
una proptosi. Quest’ultima può essere asimmetrica ed essere mascherata dall’edema periorbitale. È inoltre utile una verifica della
resistenza alla pressione dell’occhio e dei contenuti orbitari, che si
esegue applicando le dita sui bulbi oculari sopra le palpebre chiuse
e cercando di spingerli all’indietro. Normalmente ciò avviene con
facilità e senza resistenza; nei pazienti con oftalmopatia grave, invece, è evidente una diminuzione significativa dell’elasticità e in
alcuni di essi è del tutto impossibile spingere indietro i bulbi oculari,
segno prognostico infausto di oftalmopatia progressiva. La progressione può essere così rapida e grave che le palpebre non riescono più a chiudersi, provocando ulcere della cornea che si possono infettare e possono portare anche alla perdita dell’occhio.
Raramente il nervo ottico può essere interessato da edema papillare,
papillite o neurite retrobulbare, che possono provocare cecità.
La patogenesi dell’oftalmopatia di Graves è collegata a un aumento di volume delle strutture dello spazio retro-orbitale (i muscoli
extraoculari e il tessuto adiposo e il connettivo retro-orbitale) a causa
di un’infiammazione e dell’accumulo di glicosaminoglicani (GAG)
idrofili (ad es. acido ialuronico). Man mano che i GAG si accumulano
in questi tessuti, si verifica un cambiamento nella pressione osmotica con l’aumento del contenuto di liquidi che spostano i bulbi
oculari in avanti e compromettono la funzione dei muscoli extraoculari, i quali presentano tumefazione e infiltrazione di linfociti T;
questi ultimi, inoltre, svolgono probabilmente un ruolo decisivo nella
patogenesi di questa malattia. Sembra che i linfociti T siano attivati
dall’antigene che si lega al recettore dell’ormone tireotropo (TSH).
Esiste una diretta correlazione tra la gravità dell’oftalmopatia e le
concentrazioni sieriche di anticorpi antirecettore del TSH.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Oltre a un titolo elevato di anticorpi antirecettore del TSH, sono
stati individuati diversi altri fattori di rischio per lo sviluppo dell’oftalmopatia nei pazienti colpiti dalla malattia di Graves. La malattia
oculare di Graves è più comune nella donna, così come l’ipertiroidismo; tuttavia, se presente, nell’uomo l’oftalmopatia sembra essere
più grave che nella donna. È stato dimostrato con chiarezza che il
fumo di sigaretta aumenta sia il rischio sia la gravità dell’oftalmopatia: sembra che esso incrementi la produzione di GAG e l’adipogenesi. Inoltre la terapia con iodio radioattivo sembra scatenare o
peggiorare l’oftalmopatia più della tiroidectomia subtotale o della
terapia farmacologica antitiroidea. Benché il trattamento dell’ipertiroidismo diminuisca la retrazione palpebrale, esso non determina
un miglioramento dell’oftalmopatia di Graves. Infine, esiste una
relazione temporale tra la malattia oculare di Graves e l’insorgenza
dell’ipertiroidismo. L’oftalmopatia compare prima dell’esordio dell’ipertiroidismo nel 20% dei pazienti, contemporaneamente nel 40%,
quando l’ipertiroidismo viene trattato nel 20% e nel corso dei 6 mesi
successivi alla diagnosi nel 20%.
La maggior parte dei pazienti ottiene buoni risultati alzando la
testa dal letto durante il sonno notturno, usando spesso gocce
oculari di soluzione salina nell’arco della giornata e indossando
occhiali da sole quando è all’aperto. Nei pazienti con sintomi più
gravi (ad es. chemosi, diplopia) deve essere presa in considerazione la terapia con i glucocorticoidi. L’intervento chirurgico di
decompressione orbitaria deve essere considerato se l’oftalmopatia progredisce nonostante la terapia con i glucocorticoidi, se la
vista è minacciata o per motivi estetici nei pazienti con grave
proptosi.
45
Tavola 2.11
Apparato endocrino
AnAtomiA
pAtologicA
dellA tiroide nellA mAlAttiA
di grAveS
Nei pazienti affetti da malattia di Graves, le alterazioni anatomiche
più marcate interessano la ghiandola tiroidea, sebbene si verifichino
anche modificazioni caratteristiche in altri organi. La tiroide, che
nell’adulto sano pesa 15-20 g, in questi pazienti è di solito duequattro volte le sue normali dimensioni. In casi estremi può arrivare
a essere 10 volte la sua grandezza normale. Raramente, questi
pazienti non presentano un ingrandimento significativo della ghiandola tiroidea. L’ingrossamento e la congestione diffusa della tiroide
avvengono in modo più o meno simmetrico. Queste caratteristiche
possono essere evidenziate molto bene mediante una scintigrafia
tiroidea, previa somministrazione di una dose test di iodio radioattivo.
Come mostra la figura, la tiroide di questi pazienti concentra lo iodio
radioattivo in maniera diffusa e uniformemente. Nonostante la generalizzazione del processo e l’apparente simmetria della tiroide,
alcuni chirurghi hanno richiamato l’attenzione sul fatto che un lobo
possa essere più grande, anche se di poco, rispetto all’altro. Caratteristicamente, il lobo piramidale, che si estende sopra l’istmo
sull’uno o sull’altro lato della trachea, è abbastanza ingrandito da
essere facilmente palpabile. La ghiandola tiroidea ingrossata è
compatta, liscia e gommosa alla palpazione; di solito è molto vascolarizzata, come evidenziato da un soffio udibile (che può essere
percepito solitamente sopra i poli superiori dell’uno o dell’altro lobo)
e, in alcuni casi, da un fremito palpabile sopra i lobi. La ghiandola
tiroidea non trattata in questa patologia, essendo vascolarizzata e
fragile, può essere origine di un grave sanguinamento durante
l’intervento chirurgico.
L’esame istologico della tiroide non trattata rivela un’immagine
microscopica molto caratteristica di iperplasia diffusa. Di solito il
follicolo è completamente privo di colloide; quella che eventualmente
rimane è di colore pallido e mostra margini frastagliati e vacuolizzazione. Le cellule tiroidee sono ipertrofiche e iperplastiche: le cellule
acinose, che normalmente sono cubiche basse, diventano cubiche
alte o cilindriche alte e, se misurate, possono essere alte più del
doppio di quelle presenti nella ghiandola tiroidea normale. In alcuni
casi l’iperplasia delle cellule acinose è così massiccia da dare luogo
a introflessioni papillari intra-acinose.
Insieme all’iperplasia marcata, vi è un aumento notevole dell’avidità per lo iodio radioattivo: mentre la captazione di iodio normale
è del 3-16% dopo 6 ore e dell’8-25% dopo 24 ore, nei pazienti con
malattia di Graves essa supera quasi sempre il 50% e può anche
arrivare all’80 o 90%.
In un piccolo numero di pazienti con malattia di Graves di lunga
data, l’iperplasia è accompagnata da infiltrazione linfocitaria (in gran
parte linfociti T) significativa o estesa del parenchima tiroideo, talvolta con presenza di grandi follicoli linfatici. Il grado di infiltrazione
linfocitaria può essere ridotto dalla terapia farmacologica antitiroidea. La dimensione delle cellule epiteliali follicolari è correlata all’intensità dell’infiltrazione linfocitaria locale, che implica la stimolazione delle cellule tiroidee locali da parte degli anticorpi antirecettore dell’ormone tireotropo (TSH).
46
Le altre modificazioni anatomiche e funzionali sono quelle che
riguardano gli occhi, la cute, i muscoli scheletrici, il sistema nervoso,
il cuore, il fegato, il timo e i tessuti linfatici. Gli occhi presentano di
frequente una proptosi, con muscoli extraoculari ingranditi ed
edematosi, con aumento del liquido e del tessuto adiposo nello
spazio retro-orbitale (Tavola 2.10). Questi muscoli, così come i
muscoli scheletrici, mostrano edema, infiltrazione di cellule tondeggianti, ialinizzazione, frammentazione e distruzione. L’ipertiroidismo
può interessare il sistema nervoso centrale e periferico, modulando
effetti diretti o indiretti della tireotossicosi. Gli altri effetti sul sistema
nervoso sono legati alla natura autoimmune della malattia di Graves
(ad es. miastenia grave). Il cuore può essere alquanto ingrossato,
ma non presenta alcuna alterazione patologica caratteristica o tipica.
Tipicamente, il timo e i tessuti linfatici sono ingranditi, evidenziando
un’ipertrofia semplice. In corso di ipertiroidismo possono comparire,
inoltre, alterazioni psichiche come ansia e agitazione.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.12
Tiroide
mAnifeStAzioni cliniche
dell’AdenomA toSSico
e del gozzo multinodulAre
L’ipertiroidismo associato agli adenomi tossici e ai gozzi multinodulari tossici è causato da adenoma/i iperfunzionante/i, che rappresenta la causa più comune di ipertiroidismo dopo la malattia di
Graves. L’adenoma iperfunzionante è dovuto a un’iperplasia nodulare delle cellule follicolari della tiroide che non dipende dalla
regolazione dell’ormone tireotropo (TSH). Il quadro clinico di
questo tipo di ipertiroidismo presenta importanti differenze rispetto
a quello che si osserva nei pazienti affetti da malattia di Graves. I
pazienti con gozzo adenomatoso e ipertiroidismo hanno di solito
un’età superiore a 40 anni; spesso dalla loro anamnesi risulta una
tireopatia multinodulare o uninodulare di lunga data. Di regola i
pazienti presentano sintomi cardiovascolari e spesso sono stati
indirizzati dal cardiologo prima che dall’endocrinologo. Questi pazienti descrivono un’importante dispnea e tachicardia, con frequente fibrillazione atriale. Se hanno un’insufficienza cardiaca, essi
manifestano tutti i segni e i sintomi di questa malattia tranne per
il fatto che, solitamente, non presentano un aumento del tempo di
circolo, come avviene nella malattia di Graves. Una caratteristica
di questi pazienti è che non sono affetti da oftalmopatia; raramente
si può osservare una retrazione palpebrale minima o anche una
rarità trascurabile dell’ammiccamento. Non vi sono segni di acropachia tiroidea, né di mixedema pretibiale. La debolezza muscolare,
caratteristica della malattia di Graves, è presente in misura minore
nei pazienti con questo tipo di ipertiroidismo. Il metabolismo basale
non è così marcatamente elevato come nella malattia di Graves
e i soggetti non sono particolarmente nervosi o eccitabili. Tipicamente non si ha una notevole perdita di peso o deperimento muscolare, come invece avviene nella malattia di Graves. Poiché
un’alta percentuale delle pazienti colpite si trova nel periodo postmenopausale, non sono presenti le alterazioni del ciclo mestruale
spesso riscontrate nella malattia di Graves.
La patogenesi di un adenoma tossico e di un gozzo multinodulare
tossico è frequentemente associata a mutazioni somatiche attivanti
del gene che codifica per il recettore del TSH. Il gozzo multinodulare
tossico tende a essere più comune nelle aree geografiche dove
l’assunzione di iodio è relativamente bassa, ma l’incidenza di
adenomi solitari tossici della tiroide non sembra essere influenzata
dall’assunzione di iodio.
I pazienti con questa malattia hanno un moderato innalzamento
dei livelli sierici di tiroxina (FT4) e di tri-iodotironina (FT3). Si verifica
un leggero abbassamento delle concentrazioni sieriche di colesterolo totale e di colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità
(HDL).
Le indagini con iodio radioattivo sono estremamente utili per
studiare questi pazienti, specialmente se il sito di concentrazione
dello iodio radioattivo è localizzato. Benché la captazione di iodio
radioattivo possa non essere così elevata come quella osservata
nella malattia di Graves classica, in questa patologia lo iodio radioattivo è di solito concentrato primariamente nell’adenoma iperfunzionante, senza che ve ne sia praticamente alcuna traccia nel resto
della ghiandola tiroidea. Tuttavia, nei pazienti con gozzo multinodulare tossico, è tipico riscontrare una o più aree focali che presentano
una maggiore captazione di radioiodio; in alcuni di questi pazienti
sono inoltre evidenti noduli non funzionanti (o “freddi”).
Il trattamento efficace dell’ipertiroidismo ha come obiettivo sia
la regressione dei sintomi, sia la diminuzione della produzione eccessiva di ormone tiroideo. Gli antagonisti b-adrenergici controllano
molti dei sintomi di tipo ipermetabolico dell’ipertiroidismo. Le opzioni
terapeutiche per normalizzare l’eccesso di T4 e T3 comprendono
la somministrazione di tionamide, di radioiodio o l’intervento
chirurgico.
Le tionamidi (metimazolo e propiltiouracile) sono usate frequentemente come trattamento iniziale di elezione nei pazienti anziani
con malattia cardiovascolare pre-esistente. Tuttavia, a differenza
dell’ipertiroidismo di Graves, che può andare incontro a una reATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
missione a lungo termine dopo la sospensione della tionamide,
l’ipertiroidismo associato a noduli tossici e a gozzo multinodulare
tossico si ripresenta quando la terapia con tionamide viene sospesa. Lo scopo di tale terapia è quello di stabilire uno stato
eutiroideo prima della terapia definitiva (ad es. radioiodio o intervento chirurgico). I pazienti giovani e sani di solito non necessitano
del trattamento con tionamide prima della terapia definitiva. Una
cura definitiva si ottiene con il radioiodio; esso causa un esteso
danno tissutale e distrugge l’adenoma o i focolai autonomi entro
2-4 mesi dopo il trattamento, ma poiché il radioiodio è assorbito
principalmente dai noduli iperfunzionanti e il tessuto tiroideo
normale tra di essi è quiescente, la maggior parte dei pazienti è
eutiroidea dopo la terapia con radioiodio. Il tasso di guarigione di
questa terapia diminuisce nel caso di gozzi multinodulari tossici
molto grandi; per questo sottogruppo di pazienti, il trattamento di
elezione è l’intervento chirurgico.
47
Tavola 2.13
Apparato endocrino
fiSiopAtologiA
dell’AdenomA
toSSico e del gozzo
multinodulAre toSSico
L’ipertiroidismo provocato da adenoma/i iperfunzionante/i della tiroide è la seconda causa più comune di ipertiroidismo. Questa
sindrome di solito si verifica in pazienti che hanno avuto in precedenza gozzi nodulari non tossici. Nel quadro più classico ed evidente,
il paziente, di solito una donna di mezza età, presenta sintomi
cardiovascolari che variano da palpitazione e dispnea fino a un
quadro di fibrillazione atriale cronica e insufficienza cardiaca conclamata. L’insufficienza cardiaca dovuta a ipertiroidismo presenta
alcuni aspetti caratteristici che devono indirizzare il medico verso
un’indagine della tiroide. Questi pazienti hanno un’insufficienza ad
alta gittata con un tempo di circolo ridotto malgrado una pressione
venosa elevata. È raro che vi sia un’altra patologia extratiroidea in
pazienti con ipertiroidismo derivante da adenomi iperfunzionanti
della tiroide. Essi non sviluppano i segni oculari, l’acropachia tiroidea
o il mixedema pretibiale tipici della malattia di Graves, né lamentano
la debolezza muscolare caratteristica di questa malattia.
Dal punto di vista anatomopatologico, la caratteristica più classica
di questa malattia si riscontra nel paziente con un raro adenoma
“singolo” iperfunzionante della tiroide, che può essere notevolmente
ingrandito, mentre la parte rimanente della ghiandola tiroidea non
viene coinvolta. Nel resto della ghiandola non è presente alcun
nodulo palpabile ed essa può essere di fatto più piccola del normale.
Nel caso in cui sia presente un nodulo unico, l’esaminatore può
essere colpito dalle piccole dimensioni o dalla non palpabilità del
lobo indenne rispetto al grande nodulo singolo nel lobo controlaterale. È estremamente raro udire un soffio o individuare un fremito
su un adenoma iperfunzionante della tiroide. Se si somministra una
dose test di iodio radioattivo al paziente e si effettua una scintigrafia
del collo dopo 24 ore, lo iodio radioattivo risulterà tutto concentrato
nel nodulo e sarà assente nel resto della ghiandola.
Macroscopicamente, il nodulo può essere di colore rosso, mentre
il resto della ghiandola ha un colore pallido.
L’esame istologico dell’adenoma iperfunzionante mostra un’ipertrofia e un’iperplasia uniforme delle cellule acinose. Possono essere
presenti alcune introflessioni papillari, benché ciò avvenga molto
meno comunemente che nella ghiandola diffusamente iperplastica
della malattia di Graves. Non vi è infiltrazione linfocitaria in questo
tipo di lesione tiroidea iperplastica. Il resto della ghiandola mostra
un’involuzione: se si misurano le cellule acinose, la loro altezza risulterà uniformemente più elevata, in media sui 12-14 mm, mentre
l’altezza delle cellule del tessuto non interessato può essere inferiore
a quella del tessuto tiroideo normale, in media sui 5-6 mm.
L’adenoma tossico è un vero adenoma follicolare che presenta
una delle diverse mutazioni puntiformi somatiche del gene che
codifica per il recettore dell’ormone tireotropo (TSH), che provoca
l’attivazione costitutiva del recettore del TSH in assenza di TSH.
Il tipo più comune di gozzo adenomatoso iperfunzionante, quello
“multinodulare”, si riscontra in pazienti che avevano un gozzo
multinodulare di lunga data prima di sviluppare l’ipertiroidismo, con
un certo numero di adenomi all’interno della ghiandola. Alcuni di
questi noduli possono essere adenomi altamente indifferenziati e,
48
raramente, si può trovare anche una lesione cancerosa all’interno
di uno di essi. Se si potessero esaminare tutte le tiroidi multinodulari,
è possibile che in molte di esse si potrebbe osservare la struttura
degli adenomi indifferenziati; altre mostrerebbero gradi variabili di
differenziazione e alcune la struttura di un adenoma funzionante
ben differenziato.
Le mutazioni somatiche del gene del recettore del TSH riscontrate
nei noduli solitari tossici possono essere osservate anche in alcuni
casi di gozzo multinodulare tossico, ma possono variare da un
nodulo all’altro. Le scintigrafie con radioiodio mostrano la localizzazione dell’isotopo in più di un nodulo; la captazione di iodio nel resto
della ghiandola è solitamente soppressa. L’esame istopatologico
mostra che le aree funzionanti somigliano ad adenomi e sono distinte dal tessuto circostante. Queste ghiandole tiroidee multinodulari contengono molteplici adenomi solitari iperfunzionanti e ipofunzionanti in mezzo a tessuto tiroideo normale soppresso.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.14
Tiroide
mAnifeStAzioni cliniche
dell’ipotiroidiSmo
nell’Adulto
Sintomi e Segni
L’ipotiroidismo primario, benché non sia stato descritto fino al 1874,
è un disturbo endocrino comune che si verifica più frequentemente
nella donna rispetto all’uomo secondo una proporzione di 7/8:1. La
presentazione clinica dell’ipotiroidismo dipende dal grado del deficit
di ormoni tiroidei e dalla rapidità della dismissione in circolo di questi
ormoni, la tiroxina (T4) e la tri-iodotironina (T3). Nei pazienti in cui
l’ipotiroidismo ha un’insorgenza graduale, la diagnosi può tardare
di molti anni: spesso i pazienti attribuiscono i segni e i sintomi
all’invecchiamento. Inoltre, la presentazione clinica dell’ipotiroidismo
può essere influenzata da morbilità coesistenti: ad esempio, nei
pazienti con ipotiroidismo causato da malattia ipotalamica o ipofisaria, il quadro clinico viene caratterizzato prevalentemente dai segni
e sintomi dell’insufficienza surrenalica secondaria, dell’ipogonadismo o del diabete insipido.
Alla base della fisiopatologia dell’ipotiroidismo è presente un
“rallentamento” della maggior parte dei processi metabolici. I pazienti
possono presentare letargia con bradipsichismo, bradilalia, intolleranza al freddo, stitichezza e bradicardia. È tipico di questi pazienti
avere capelli secchi e fragili; se ricci, essi perdono la loro ondulazione.
I soggetti con ipotiroidismo grave possono presentare molte manifestazioni psicotiche, denominate “follia da mixedema”. L’edema del
volto e delle palpebre (edema periorbitale) è associato all’accumulo
sottocutaneo di glicosaminoglicani. La lingua è ispessita e la voce è
profonda e rauca, con una relativa mancanza di inflessione.
La cute è fredda e secca, a causa della sudorazione ridotta, e può
essere ruvida. Spesso si verifica un’ipercheratosi follicolare sulle
superfici estensorie delle braccia e dei gomiti, di frequente sulla
parete toracica laterale, sui margini laterali delle cosce e talvolta
sulle spalle. La cute delle mani o del viso spesso acquista una colorazione giallastra, indicativa di carotenemia. Le unghie possono
essere fragili e scheggiarsi facilmente; di frequente si osserva la
perdita di peli nel terzo laterale delle sopracciglia. Nei pazienti con
sindrome polighiandolare autoimmune possono essere presenti
vitiligine e alopecia.
I pazienti con ipotiroidismo presentano generalmente un polso lento
e ipertensione diastolica; quest’ultima è associata all’aumento della
resistenza vascolare periferica. La gittata cardiaca è ridotta e i pazienti
possono riferire dispnea da sforzo. Una caratteristica tipica dei pazienti
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
con ipotiroidismo primario marcato e di lunga data è un ingrandimento
cardiaco diffuso dovuto a liquido mixedematoso nel miocardio e a
versamento pericardico, entrambi possono anche essere associati a
versamento pleurico e ad ascite. I toni cardiaci sono deboli. Il metabolismo del colesterolo è rallentato e ciò provoca ipercolesterolemia.
La debolezza dei muscoli respiratori può contribuire alla dispnea da
sforzo e alcuni di questi pazienti possono presentare ipossia e ipercapnia. La macroglossia può contribuire all’apnea ostruttiva del sonno.
Le donne giovani possono presentare menorragie gravi, tali da
richiedere il raschiamento chirurgico. In una fase avanzata della
malattia può insorgere un’amenorrea secondaria reversibile. Si può
osservare iperprolattinemia nelle donne con ipotiroidismo primario,
in cui l’aumento della secrezione dell’ormone ipotalamico di rilascio
dell’ormone tireotropo (TRH) può stimolare la produzione di prolattina
da parte delle cellule lattotrope ipofisarie. L’iperprolattinemia può
inoltre indurre galattorrea.
49
Tavola 2.15
Apparato endocrino
mAnifeStAzioni cliniche
dell’ipotiroidiSmo
nell’Adulto (Seguito)
I reperti neurologici includono una riduzione del riflesso achilleo
e debolezza generalizzata. La sindrome del tunnel carpale è piuttosto
comune in questi pazienti. Il coma da mixedema, una rara complicanza, deve essere tenuto in considerazione nei pazienti che
manifestano iponatriemia, ipercapnia e ipotermia; nei pazienti con
ipotiroidismo grave, esso può essere provocato dalla somministrazione di oppiacei, da un’infezione o da un trauma.
L’anemia ipocromica, se presente, può essere di qualsiasi tipo,
microcitica o normocitica. Talvolta si riscontra un’anemia macrocitica
normocromica. Se il paziente ha una sindrome polighiandolare, può
essere presente un’anemia perniciosa. La menorragia osservata
nelle donne ipotiroidee in premenopausa può causare un’anemia
da carenza di ferro (anemia sideropenica). La riduzione della clearance dell’acqua libera può determinare iponatriemia.
L’ipotiroidismo primario (dovuto a una patologia della ghiandola
tiroidea) deve essere distinto dall’ipotiroidismo centrale (dovuto a
una patologia dell’ipofisi o dell’ipotalamo). Alcuni segni e sintomi
possono fornire degli indizi circa la causa dell’ipotiroidismo. L’anamnesi delle pazienti con ipotiroidismo centrale spesso include
un’emorragia post partum seguita da assenza di lattazione e mancata
ricomparsa del ciclo mestruale dopo il recupero dal puerperio. Di
solito il quadro di mixedema non si sviluppa fino a qualche tempo
dopo il primo segno di insufficienza ipofisaria (ad es. amenorrea
senza vampate di calore). Questi soggetti normalmente lamentano
marcata astenia, sonnolenza, intolleranza al freddo, disturbi della
memoria e bradipsichismo. All’esame obiettivo essi differiscono dai
pazienti con ipotiroidismo primario se hanno un deficit di altri ormoni
ipofisari; pertanto, i pazienti con ipotiroidismo centrale possono avere
anche capelli più sottili e soffici, perdita dei peli pubici e ascellari,
cuore di dimensioni ridotte (al contrario dei pazienti con mixedema
primario che presentano un ingrossamento del cuore), un certo
grado di ipotensione e una cute meno secca e non squamosa.
Benché l’anamnesi e l’esame obiettivo forniscano al medico indizi
in merito al tipo di ipotiroidismo (primario o centrale), gli esami
diagnostici di laboratorio sono rappresentati dalla misurazione delle
concentrazioni sieriche di TSH e FT4. Nell’ipotiroidismo primario, la
concentrazione di TSH nel siero è più elevata rispetto ai valori di
riferimento e il livello ematico di FT4 è abitualmente al di sotto del
limite inferiore dell’intervallo di riferimento. Nell’ipotiroidismo centrale causato da disfunzione ipotalamica o ipofisaria, la concen-
50
trazione di TSH nel siero è troppo bassa per il basso livello di FT4.
La captazione di iodio radioattivo è bassa in entrambi i tipi di
ipotiroidismo.
eziologia
L’ipotiroidismo primario, caratterizzato da secrezione insufficiente
degli ormoni tiroidei T4 e T3, è la causa più comune di ipotiroidismo.
Esso può derivare dalla distruzione o asportazione della ghiandola
tiroidea o da atrofia della ghiandola con conseguente fibrosi. L’ipotiroidismo primario può, inoltre, anche svilupparsi in gozzi in cui la
sintesi degli ormoni tiroidei è impedita in seguito all’assunzione di
sostanze esogene che inibiscono l’organificazione dello iodio oppure,
quando presente, a un deficit degli enzimi necessari per l’ormonosintesi. Può anche essere la conseguenza di una tiroidite cronica
autoimmune, come la tiroidite di Hashimoto. L’ipotiroidismo centrale
è causato da un processo che inibisce la liberazione dell’ormone di
rilascio del TSH dall’ipotalamo o del TSH dall’ipofisi.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.16
Tiroide
mAnifeStAzioni cliniche
dell’ipotiroidiSmo
nell’Adulto (Seguito)
La causa più comune di ipotiroidismo primario è la tiroidite di
Hashimoto, mentre la seconda causa più comune è iatrogena. La
maggior parte dei pazienti sottoposti a tiroidectomia nel trattamento
del gozzo non tossico o della malattia di Graves sviluppa ipotiroidismo primario. La terapia più comune della malattia di Graves è lo
iodio radioattivo, che ha come obiettivo la completa distruzione della
ghiandola tiroidea e quindi l’ipotiroidismo primario.
La tiroidite di Hashimoto è la causa più comune di ipotiroidismo
primario. In seguito a tiroidite acuta o subacuta, può insorgere un
ipotiroidismo primario transitorio (Tavola 2.22). Un’elevata concentrazione sierica di anticorpi antiperossidasi tiroidea è compatibile
con la tiroidite di Hashimoto.
L’ipotiroidismo centrale è il risultato di una serie di processi che
interessano l’adenoipofisi e provocano un deficit della secrezione
di TSH. Il deficit di TSH può presentarsi in modo isolato (ad es. nel
caso dell’ipofisite linfocitaria) o, più comunemente, nel quadro
dell’insufficienza adenoipofisaria completa (Tavola 1.16). Quest’ultima può avere diverse origini: infiammazione, infarto (ad es.
apoplessia post partum), neoplasie primarie, malattia metastatica,
malattie infiltrative (ad es. sarcoidosi, istiocitosi a cellule di Langerhans, emocromatosi), intervento chirurgico, trauma cranico o
radioterapia (Tavole 1.12-18). La risonanza magnetica dell’ipofisi è
l’esame indicato in questi pazienti per distinguere tra queste molteplici cause.
trattamento
Il trattamento dell’ipotiroidismo, sia esso a eziologia primaria o
secondaria, consiste nella somministrazione giornaliera di levotiroxina per via orale. Nei pazienti con ipotiroidismo primario viene
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
misurata la concentrazione di TSH nel siero per ottenere indicazioni
sull’aggiustamento del dosaggio della levotiroxina; l’obiettivo è
portare il livello di TSH a metà dell’intervallo di riferimento. Nei
pazienti con ipotiroidismo centrale la misurazione del TSH è superflua: il dosaggio di levotiroxina viene aggiustato per ottenere una
concentrazione di T4 libera che sia a metà dell’intervallo di riferi-
mento. Tuttavia, prima di iniziare la terapia con levotiroxina in pazienti
con ipotiroidismo centrale, è essenziale un esame dell’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandola surrenale. La levotiroxina, che può accelerare
il metabolismo del cortisolo, se somministrata a un paziente affetto
da insufficienza surrenalica concomitante non in terapia sostitutiva,
può provocare una crisi surrenalica.
51
Tavola 2.17
ipotiroidiSmo
Apparato endocrino
congenito
L’ipotiroidismo congenito è la più comune causa di ritardo mentale
che si possa prevenire e trattare. Il quoziente intellettivo negli anni
successivi è inversamente proporzionale all’età al momento della
diagnosi; pertanto, è essenziale identificare questa patologia prima
possibile dopo la nascita. La causa più frequente è una disgenesia
tiroidea, che comprende l’assenza congenita (agenesia) della
ghiandola tiroidea, l’ipoplasia tiroidea e l’ectopia della ghiandola
tiroidea. Più raramente, l’ipotiroidismo congenito è associato a gozzi
non funzionanti o a gozzi che presentano difetti congeniti di biosintesi degli ormoni tiroidei (ipotiroidismo gozzigeno). I difetti di sintesi
sono solitamente ereditati con modalità autosomica recessiva e
comprendono deficit dell’attività della perossidasi tiroidea, anomalie
nel trasporto di ioduro, deficit di iodotironina deiodinasi e anomalie
delle molecole di tireoglobulina. Questa patologia si verifica con
maggiore frequenza nelle regioni in cui è presente il gozzo endemico, sebbene l’ipotiroidismo congenito gozzigeno sia stato riscontrato
in aree dove i gozzi sono alquanto rari.
L’ipotiroidismo centrale (ipotalamico o ipofisario) è una causa
molto meno comune di ipotiroidismo congenito (1 neonato su
100.000) e può essere identificato solo misurando la concentrazione
di tiroxina (T4) nel siero. Se presente, esso può verificarsi nel contesto di altre malattie dello sviluppo che interessano la linea mediana
(ad es. labio- e palatoschisi, displasia setto-ottica) ed essere associato a carenze di altri ormoni adenoipofisari.
I segni fisici dell’ipotiroidismo congenito possono essere lievi o
assenti al momento della nascita, poiché una certa quantità di T4
materna attraversa la placenta. La patologia è sporadica in oltre
l’85% dei casi e pertanto non viene sospettata. Alla metà degli anni
Settanta, negli Stati Uniti vennero elaborati programmi di screening
neonatale a livello dei singoli Stati; questi programmi misurano
l’ormone tireotropo (TSH), la T4, o entrambi, in un campione di
sangue prelevato dal tallone del neonato e raccolto su un cartoncino
di carta assorbente 24-48 ore dopo il parto. Sulla base di questi
dati, l’incidenza di livelli elevati di TSH varia da 1 su 2.000 a 1 su
32.000 neonati; la variabilità dipende dall’area geografica e dall’appartenenza etnica. La frequenza dell’ipotiroidismo congenito è
circa due volte maggiore nei neonati di sesso femminile. Il rapido
instaurarsi di una terapia sostitutiva a base di ormoni tiroidei può
prevenire disabilità irreversibili successive.
Se non trattato, l’ipotiroidismo congenito nel neonato presenta
caratteristiche simili a quelle osservate nell’adulto con ipotiroidismo,
benché vi siano alcune importanti differenze. L’accrescimento e la
maturazione dello scheletro sono carenti e si riscontra un marcato
ritardo e deficit intellettivo. Lo sviluppo dei centri di ossificazione è
sensibilmente ritardato e le epifisi mostrano una punteggiatura caratteristica. Si osserva un ritardo dell’ossificazione, della saldatura
delle epifisi e della dentizione. La base del cranio è generalmente
corta; può esservi la persistenza delle giunzioni cartilaginee tra l’osso
presfenoide e l’osso postsfenoide, che normalmente si ossificano
nell’8° mese di vita fetale. Inoltre, a causa di un ritardo nell’ossificazione delle ossa membranose, la sutura frontale è solitamente
ampia e le fontanelle anteriori sono eccezionalmente grandi.
Il viso di un bambino con ipotiroidismo congenito non trattato è
tondo, con un’espressione poco intelligente e un colorito giallastro.
Le palpebre sono gonfie e le rime palpebrali sono in genere ristrette
ma orizzontali. Il naso è spesso piatto e voluminoso, le labbra sono
52
grosse, la bocca rimane socchiusa e la lingua, grande e spessa,
protrude. La voce è piatta e aspra; il collo è solitamente corto e
grosso; la cute è secca e fresca e presenta un quadro di edema
senza fovea. Di solito vi è un’ipercheratosi marcata sulla cute della
parete addominale anteriore. I capelli sono sottili, spenti, secchi e
spesso alquanto radi. I pazienti in età giovanile con ipotiroidismo
congenito non trattato possono anche presentare una marcata
crescita di peluria fine e corta, simile a lanugine, su spalle, parte
superiore delle braccia e viso.
Le caratteristiche fisiche dei bambini con ipotiroidismo congenito
possono essere confuse con quelle che si osservano nella trisomia 21.
I soggetti con trisomia 21 hanno tratti somatici più fini, la cute non
è ruvida, gli occhi sono a mandorla, hanno un unico solco palmare
e un’eccessiva flessibilità estensoria dell’arco delle dita. Gli esami
di laboratorio mostrano che i neonati con trisomia 21 hanno concentrazioni ematiche normali di TSH e T4.
Importante rimane quindi lo screening neonatale per diagnosticare
e fare diagnosi differenziale nei casi dubbi.
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Tavola 2.18
gozzo
Tiroide
eutiroideo
I gozzi eutiroidei (non tossici) si riscontrano in tutto il mondo, benché
siano più comuni nelle aree dove il contenuto di iodio nell’acqua e
nel terreno è scarso. Nei gozzi da deficit di iodio vi è un aumento
caratteristico delle dimensioni della ghiandola tiroidea con un gozzo
diffuso, non tossico, di dimensioni moderate, che si sviluppa sia nei
maschi sia nelle femmine all’incirca nel periodo della pubertà. Questi
gozzi sono diffusi nella fase iniziale; successivamente possono diventare nodulari e risultare duri al tatto in un’area o cistici in un’altra.
I gozzi nodulari possono essere simmetrici o asimmetrici. Se non si
interviene, il gozzo può aumentare di dimensioni fino a scendere
posteriormente allo sterno dando così origine al quadro clinico di
un gozzo intratoracico. Con l’aumentare delle dimensioni del gozzo,
in particolare se parte di esso è alloggiata dietro lo sterno, possono
manifestarsi sintomi compressivi dovuti alla deviazione della trachea,
dell’esofago, dei nervi o delle vene giugulari. Ciò si verifica perché
l’apertura toracica è un’area piccola (∼5 × 10 cm) delimitata da
ossa: le prime coste lateralmente, il primo corpo vertebrale toracico
posteriormente e le ossa del manubrio e dello sterno anteriormente.
Tipica di questi gozzi multinodulari è una crescita molto lenta, per
cui lo sviluppo dei primi sintomi ostruttivi può essere alquanto
subdolo. La dispnea da sforzo può essere il primo sintomo legato a
un gozzo retrosternale. Con l’avanzamento della compressione
tracheale, può manifestarsi uno stridore. Gli altri sintomi di compressione dell’apertura toracica comprendono disfagia, paralisi delle
corde vocali da compressione del nervo laringeo ricorrente e sindrome di Horner da compressione della catena simpatica cervicale.
All’esame obiettivo può essere praticata la manovra di Pemberton
per individuare l’ostruzione dell’apertura toracica. Al paziente viene
chiesto di tenere le braccia alzate in posizione verticale per 1 minuto;
se egli sviluppa pletora faciale marcata, cianosi o stridore, l’esito
è considerato positivo per un’ostruzione dell’apertura toracica.
Talvolta un gozzo nodulare può ingrandirsi in un’unica area in
modo molto improvviso, provocando un dolore che può essere riferito all’orecchio, alle strutture del collo o alla spalla. Questo fenomeno può essere causato da un’emorragia in un follicolo o all’interno
di un adenoma o di una grossa cisti nella tiroide.
Nei gozzi multinodulari si possono osservare vari tipi di adenomi,
che possono presentare diverse strutture istologiche. Alcuni sono
in grado di funzionare e possono sviluppare un iperfunzionamento,
determinando il quadro clinico di ipertiroidismo in un gozzo adenomatoso, un cosiddetto “nodulo caldo” (Tavole 2.12 e 2.13). Il cancro
è molto meno comune in questi gozzi multinodulari rispetto a tiroidi
con un singolo nodulo; tuttavia, il fatto che il gozzo sia multinodulare
non esclude la possibilità che al suo interno si sviluppi o sia riscontrato un carcinoma.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
L’ipertiroidismo deve essere escluso misurando la concentrazione
di ormone tireotropo nel siero. L’ecografia della tiroide è utile per
valutare la struttura della componente soprasternale di un gozzo
multinodulare. Se necessario, l’estensione dei gozzi retrosternali
può essere determinata con la tomografia computerizzata o con la
risonanza magnetica. Se sono presenti noduli prominenti, può essere
effettuata una caratterizzazione citologica con un prelievo tramite
agoaspirato ecoguidato.
Le indicazioni alla rimozione chirurgica di un gozzo possono
essere di tre tipologie differenti: (1) estetiche; (2) ingrandimento
improvviso della ghiandola, specialmente se la sede della crescita
rapida è dura alla palpazione, come segno di possibile alterazione
neoplastica; (3), aspetto più importante, correzione di ogni sintomo
ostruttivo prodotto dalla pressione di una massa così grande sulla
trachea o sull’esofago, in modo da prevenire l’insorgenza di disfagia
o dispnea.
53
Tavola 2.19
Apparato endocrino
AnAtomiA
pAtologicA
mAcroScopicA del gozzo
Il termine “gozzo” si riferisce a un ingrossamento della ghiandola
tiroidea. In generale, la prevalenza del gozzo dipende dall’assunzione
di iodio con l’alimentazione: pertanto i gozzi possono essere endemici nelle aree geografiche che presentano scarsità di iodio. Nella
fase precoce dello sviluppo di un gozzo non tossico, la ghiandola è
abitualmente ingrandita in modo diffuso e uniforme, con un aumento
delle dimensioni del lobo piramidale. Questo quadro è conosciuto
come gozzo non tossico diffuso, o colloide. I gozzi non tossici sono
più comuni nella donna con una proporzione di 8:1 e spesso diventano evidenti nell’adolescenza o durante una gravidanza. Queste
ghiandole tiroidee possono essere due-tre volte più grandi rispetto
alla norma o anche di più. Il paziente può accorgersi della condizione
perché altri commentano il gonfiore del collo, perché i colletti delle
camicie sono troppo stretti o perché ha difficoltà a deglutire. I gozzi
grandi possono comprimere la trachea e determinare uno stridore.
Può verificarsi una congestione venosa dovuta al restringimento
dell’apertura toracica. I gozzi semplici e multinodulari sono in gran
parte associati a uno stato eutiroideo.
All’esame obiettivo, la ghiandola appare compatta ma non dura.
Con il progredire del processo e l’avanzare dell’età del paziente la
tiroide può diventare asimmetrica e multinodulare, condizione evidente all’esame macroscopico della ghiandola. Si manifestano
cambiamenti significativi nelle dimensioni e nella struttura dei noduli.
Nel caso di gozzi nodulari di lunghissima durata, è probabile osservare emorragie in vari punti della ghiandola, formazione di cisti, fibrosi e anche calcificazione. Nelle radiografie del torace, i gozzi
asimmetrici causano tipicamente lo spostamento laterale della
trachea; inoltre qualsiasi estensione retrosternale di un gozzo di
questo tipo può, se calcificata, simulare inizialmente calcificazioni
intrapolmonari.
La sezione istologica di un gozzo colloide mostra un’uniforme
colorazione ambrata dall’aspetto traslucido. Il peso dei gozzi colloidi
può variare da 40 a 1.000 g o più. La ghiandola tiroidea ha una
forma distorta e nodulare; alcuni noduli sono parzialmente o completamente separati dalla ghiandola. L’anatomia patologica macroscopica della sezione mostra tipicamente aree di nodularità, fibrosi,
emorragia e calcificazione. Alcuni noduli possono presentare alterazioni cistiche, altri possono avere una capsula di tessuto connettivo
fibroso ispessito e avere l’aspetto complessivo di una neoplasia
follicolare.
L’esame citologico mediante agoaspirato dei noduli colloidi evidenzia di norma la presenza di colloide e popolazioni cellulari miste,
con una quantità relativamente esigua di cellule nel materiale
aspirato. I tipi di cellule abitualmente riscontrati all’esame citologico
sono cellule follicolari con nuclei uniformi, cellule infiammatorie e
cellule di Hürthle. Focolai ipercellulati all’interno di un gozzo multinodulare possono simulare una neoplasia follicolare.
54
L’esame microscopico del gozzo nodulare colloide può rivelare
ogni possibile tipo di adenoma benigno, compreso un pattern trabecolare altamente indifferenziato o lo stadio più precoce di differenziazione di struttura tubulare, la struttura dei microfollicoli, o il
quadro di un adenoma iperplastico. I follicoli, solitamente rivestiti
da epitelio appiattito con modificazioni involutive, possono avere
dimensioni variabili e raggiungere i 2 mm di diametro. Grandi follicoli
dilatati possono fondersi e creare aree cistiche.
Raramente si possono osservare, all’interno di questi noduli, vari
tipi di formazioni cancerose, come i carcinomi tiroidei differenziati
(papillari e follicolari). Tuttavia le alterazioni cancerose in queste
tiroidi sono molto meno comuni di quelle nei pazienti che presentano
un nodulo singolo della tiroide. I sintomi di ostruzione dell’apertura
toracica rappresentano l’indicazione più importante per un intervento
terapeutico, ma la rara evenienza di una piccola neoplasia maligna
deve sempre essere tenuta in considerazione.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.20
Tiroide
eziologiA
del gozzo non toSSico
Lo sviluppo di un gozzo non tossico – ingrandimento della tiroide
(diffuso o nodulare) – non è associato a ipertiroidismo o ipotiroidismo
conclamati, o essere secondario a neoplasia o infiammazione
ma può essere attribuito solitamente a fattori genetici o ambientali
che determinano un deficit della secrezione di ormoni tiroidei, a cui
l’ipofisi risponde aumentando la produzione dell’ormone tireotropo
(TSH). Ad esempio, il deficit di iodio può far sì che la ghiandola
tiroidea produca una quantità minore di tiroxina (T4) e tri-iodotironina
(T3), provocando un aumento della secrezione di TSH che a sua volta
stimola la crescita della ghiandola tiroidea. Il deficit di iodio è di
solito caratteristico di aree geografiche dove questo elemento
scarseggia nel terreno e nell’acqua, in particolare nelle regioni
montuose e in passato ricoperte da ghiacciai. Circa un miliardo di
persone vive in regioni del mondo carenti di iodio ed è esposto al
rischio di gozzo endemico. Lo ioduro plasmatico è in parte reintegrato
mediante lo ioduro liberato attraverso la deiodinazione delle iodotironine
nei tessuti periferici. In definitiva, però, è la dieta la fonte più importante
di iodio. La tiroide richiede 75 mg di iodio al giorno; nell’America
Settentrionale l’assunzione quotidiana di iodio con l’alimentazione varia
da 150 a 300 mg. L’impiego di sale da tavola iodato ha ridotto notevolmente, in quest’area, l’incidenza del gozzo da carenza di iodio.
Pertanto, un’interferenza o un danno alla sintesi degli ormoni tiroidei
è la causa più comune di gozzo negli Stati Uniti.
Viene riconosciuto un numero crescente di entità cliniche in cui
deficit congeniti di un passaggio necessario per il metabolismo
intratiroideo dello iodio, o per la sintesi degli ormoni tiroidei, spiegano l’ipotiroidismo congenito e lo sviluppo dei gozzi non tossici.
Ad esempio, sono state ora identificate alcune famiglie affette da
gozzo con ipotiroidismo congenito nelle quali sono evidenti varie
mutazioni del gene del cotrasportatore sodio-ioduro (NIS), nonché
un difetto di trasporto dello ioduro.
Qualsiasi mutazione dei geni responsabili della sintesi di tireoglobulina (Tg), perossidasi tiroidea (TPO) e del recettore del TSH può
causare il gozzo non tossico. Ciononostante, nella maggior parte dei
pazienti con questa patologia non si riscontrano mutazioni geniche
predisponenti.
La sindrome di Pendred è l’associazione della sintesi alterata di
ormone tiroideo e sordità neurosensoriale. La pendrina, una proteina
essenziale per il trasporto dello ioduro nel lume della cellula follicolare tiroidea, è necessaria anche per il trasporto di ioni e liquidi
nell’apparato cocleare.
Difetti congeniti dell’organificazione dell’ormone tiroideo causano
il gozzo; ad esempio, l’assenza congenita di TPO, o la produzione
insufficiente di perossido di idrogeno da parte dell’ossidasi tiroidea
2 (THOX2), è gozzigena.
I pazienti con sensibilità ridotta agli ormoni tiroidei possono avere
mutazioni del gene che codifica per il recettore di questi ormoni
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
(resistenza agli ormoni tiroidei, che generalmente è causata da
mutazioni del dominio di legame a T3 del gene del recettore b tiroideo), o difetti dei trasportatori transmembrana di ormoni tiroidei o
delle deiodinasi responsabili dell’attivazione intracellulare di T4 a T3.
I pazienti con resistenza agli ormoni tiroidei presentano normalmente
un gozzo non tossico, sono eutiroidei dal punto di vista clinico e
hanno concentrazioni sieriche di T4 e T3 che superano l’intervallo di
riferimento.
Dopo un periodo prolungato di iperplasia tiroidea, si formano,
all’interno della tiroide iperplastica, noduli non completamente
capsulati di vario tipo. Infine, dopo un periodo di iperplasia marcata
si verifica l’esaurimento o l’involuzione. L’epitelio si appiattisce, i
follicoli si riempiono di colloide viscosa e, alla fine, possono formarsi
cisti emorragiche, alcune delle quali diventano fibrose o calcificate.
Raramente si può formare un carcinoma all’interno di una ghiandola
iperplastica.
55
Tavola 2.21
Apparato endocrino
tiroidite
linfocitAriA
cronicA e tiroidite fibroSA
tiroidite linfocitAriA cronicA
(di hAShimoto)
Nelle regioni del mondo con abbondanza di iodio, la tiroidite di
Hashimoto è la causa più comune di ipotiroidismo primario. Si tratta
di una tiroidite autoimmune cronica caratterizzata dalla presenza
nella circolazione sanguigna di anticorpi contro gli antigeni tiroidei
(perossidasi tiroidea e tireoglobulina) e da un’infiltrazione linfocitaria
diffusa della ghiandola tiroidea. Come per altre malattie endocrine
autoimmuni, essa è più comune nella donna (8:1 il rapporto donnauomo) e presenta una predisposizione genetica. Benché la riserva
tiroidea consenta di avere livelli normali di ormoni tiroidei per molti
anni, si verifica una graduale perdita di funzione della tiroide e infine
i pazienti evolvono dall’ipotiroidismo subclinico a quello conclamato.
La tiroidite di Hashimoto diventa evidente dal punto di vista clinico
nel periodo tra i 20 e i 40 anni di età. All’esame patologico, queste
ghiandole tiroidee mostrano una marcata infiltrazione linfocitaria
(sia cellule T, sia cellule B), distruzione dei follicoli tiroidei e dei centri
germinativi linfatici.
All’esame obiettivo, la maggior parte dei pazienti colpiti evidenzia un gozzo simmetrico, compatto e asintomatico; i margini sono
frastagliati per la presenza di pseudopodi e la superficie è
bitorzoluta.
Una volta formulata la diagnosi di tiroidite di Hashimoto, basata
su livelli sierici elevati di anticorpi antitireoglobulina e antiperossidasi
tiroidea, e di ipotiroidismo primario, basata sulla concentrazione
elevata dell’ormone tireotropo (TSH) nel siero, i pazienti con tiroidite
di Hashimoto sono sottoposti semplicemente alla terapia sostitutiva
con levotiroxina. Di solito non è necessaria una biopsia della tiroide
a conferma della diagnosi di questa patologia. L’intervento chirurgico
raramente si rende necessario, tranne, ad esempio, nei pazienti con
grandi gozzi sintomatici.
tiroidite fibroSA (di riedel)
La tiroidite di Riedel, o tiroidite fibrosa, è una malattia rara che colpisce soprattutto i soggetti di sesso maschile. Si tratta di un processo
cronico, proliferativo, invasivo e fibrotico che coinvolge la ghiandola
tiroidea. Esso può estendersi fino a spostare e/o comprimere la
trachea e l’esofago insieme alle fasce e ai muscoli sovrastanti.
Benché non si conoscano le cause della tiroidite di Riedel, essa è
principalmente una malattia fibrotica e alcuni pazienti possono
anche presentare fibrosi retroperitoneale e mediastinica.
All’esame microscopico questa patologia è caratterizzata da fibrosi diffusa e significativa, con infiltrazione della ghiandola tiroidea
da parte di macrofagi ed eosinofili. È caratteristica una consistenza
dura e legnosa della ghiandola.
Le porzioni della ghiandola non interessate rivelano una quantità
variabile di acini persistenti, che appaiono compressi dal denso
stroma fibroso che li circonda.
56
All’esame obiettivo, la tiroidite di Riedel è caratterizzata da una
ghiandola tiroidea ingrandita e dura come un sasso, che aderisce
saldamente alle strutture adiacenti ma non alla cute. Spesso la
ghiandola è asimmetrica, più ingrandita su un lato che sull’altro.
A livello sintomatologico, i pazienti con tiroidite di Riedel possono
lamentare pressione e rigidità al collo, disfagia e raucedine. Come
per la tiroidite di Hashimoto, può esservi un aumento degli anticorpi
antiperossidasi tiroidea e antitireoglobulina. Tuttavia, di solito questi
pazienti sono clinicamente eutiroidei e la concentrazione di TSH nel
siero è nella norma. Quando all’esame obiettivo si sospetta una
tiroidite di Riedel, per confermare la diagnosi si esegue la biopsia
della tiroide.
La terapia con glucocorticoidi o tamoxifene può arrestare l’avanzamento del processo fibrotico in atto o contribuire a risolverlo. Può
essere necessario l’intervento chirurgico in caso di peggioramento
dei sintomi da compressione tracheale.
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Tavola 2.22
tiroidite
Tiroide
SubAcutA
La tiroidite subacuta – conosciuta anche come tiroidite granulomatosa subacuta, tiroidite non suppurativa acuta o tiroidite di de
Quervain – è caratterizzata dall’insorgenza improvvisa di sintomi
associati all’ipertiroidismo: febbre, spossatezza, mialgie e un ingrandimento molto dolente della ghiandola tiroidea. Si tratta di una
malattia non comune e ha una frequenza cinque volte maggiore
nella donna rispetto all’uomo. La ghiandola tiroidea si ingrossa in
modo solitamente asimmetrico e la sua dimensione può essere
1,5-2 volte quella normale. Il dolore causato dalla ghiandola può
essere riferito alle articolazioni della mandibola o alle orecchie. È
evidente una marcata dolenzia della tiroide, nonché dei linfonodi
nelle vicinanze, e il paziente può riferire disfagia.
La causa di questa malattia sembra essere legata a infezioni
virali; molti pazienti in anamnesi riferiscono episodi recenti di infezione alle vie aeree superiori. L’insulto provoca l’infiammazione della
tiroide, un danno follicolare e la liberazione della tiroxina (T4) e della
tri-iodotironina (T3) immagazzinate, causando ipertiroidismo sintomatico seguito da una fase ipotiroidea. L’ipertiroidismo prosegue
fino a quando non si esauriscono le scorte della ghiandola tiroidea;
la durata tipica è 2-8 settimane. Una volta risolta l’infiammazione
ghiandolare, i follicoli tiroidei si rigenerano e il normale funzionamento della tiroide viene infine ripristinato.
All’esame obiettivo, la ghiandola tiroidea è simmetricamente
ingrandita e acutamente dolente alla palpazione, al punto che alcuni
pazienti rifiutano la palpazione del collo.
Se si esegue la biopsia della tiroide, si osserva una reazione
infiammatoria con infiltrazione di linfociti e neutrofili. In varie parti
del campione si osserva la necrosi delle cellule follicolari e la distruzione dei follicoli tiroidei.
Alcuni studi di laboratorio dimostrano l’aumento delle concentrazioni sieriche di FT4, FT3 e tireoglobulina, insieme a bassi livelli
dell’ormone tireotropo (TSH). La velocità di eritrosedimentazione
(VES) è di solito superiore a 50 mm/h e può anche essere presente
una leucocitosi. Se si esegue una scintigrafia con iodio radioattivo
(131I), la ghiandola tiroidea infiammata non concentra quantità significative di iodio: la captazione nelle 24 ore è solo dell’1-2%.
L’insieme dei seguenti fattori è indicativo di una tiroidite subacuta:
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
bassa captazione di 131I, concentrazioni ematiche normali o elevate
di FT4 e FT3, aumento del livello ematico di tireoglobulina, soppressione del TSH e aumento della VES. Risultati simili si trovano
nella tiroidite silente e post partum ma non sono presenti il dolore
al collo e l’aumento della VES.
La terapia deve concentrarsi sul controllo del dolore e sul trattamento della sintomatologia ipertiroidea. Normalmente la terapia
prevede un ciclo di 2-8 settimane con farmaci antinfiammatori non
steroidei o glucocorticoidi. I sintomi dell’ipertiroidismo (ad es. tremore, ansia, palpitazioni) possono essere trattati con un antagonista
b-adrenergico.
Quando la fase ipertiroidea è risolta, la fase ipotiroidea può essere
subclinica, oppure i pazienti possono presentare i sintomi dell’ipotiroidismo. Per i pazienti sintomatici può essere prescritta la terapia
con levotiroxina per 6-8 settimane. Alla fine la funzione tiroidea torna
alla normalità.
57
Tavola 2.23
Apparato endocrino
cArcinomA
pApillAre
dellA tiroide
Il carcinoma papillare della tiroide (PTC) è uno dei tre carcinomi
della tiroide di derivazione epiteliale (gli altri due sono il carcinoma
follicolare e il carcinoma anaplastico della tiroide). Il PTC è il tumore
maligno più comune della ghiandola tiroidea, responsabile all’incirca
del 75% dei casi di tumore. L’incidenza del PTC è massima nella
quarta e quinta decade di vita ed è 2,5 volte più comune nella donna
che nell’uomo. I PTC possono essere molto piccoli oppure possono
essere facilmente palpabili. La presentazione più frequente è quella
di un nodulo solitario della tiroide; tuttavia, con l’avvento dell’uso
generalizzato della tomografia computerizzata (TC) e dell’ecografia,
questo tumore può anche presentarsi come nodulo tiroideo scoperto
incidentalmente.
Spesso i PTC hanno focolai multipli all’interno della ghiandola
tiroidea: è comune trovare due o più lesioni nella ghiandola tiroidea
di un paziente che presenta un linfonodo nel collo che all’agoaspirato si rivela essere una lesione papillare di origine tiroidea.
Benché alcuni di questi siti rappresentino metastasi intraghiandolari,
almeno la metà ha origini clonali differenti.
Dal punto di vista istologico, il PTC di solito è non capsulato ed
è costituito da cordoni papillari, con tessuto connettivo finemente
vascolarizzato che è rivestito da uno a molti strati di cellule cubiche
e cilindriche. Nel PTC puro, la colloide e i follicoli tiroidei sono assenti. I nuclei sono alquanto caratteristici per le loro grandi dimensioni e la forma ovale con cromatina ipodensa; essi mostrano
“pseudoinclusioni” citoplasmatiche (membrana nucleare sovrabbondante). Nel 50% circa dei PTC si riscontrano resti calcificati e
cicatrizzati di papille tumorali (corpi arenacei). Circa il 10% di tutti
i PTC appartiene alla variante follicolare, caratterizzata dalla presenza di follicoli in aggiunta ai reperti microscopici caratteristici del
PTC. La prognosi complessiva è uguale a quella del PTC comune,
anche se la variante follicolare ha di solito un diametro inferiore al
momento della diagnosi. Tuttavia, la variante a cellule alte del PTC
(l’1% del totale) è un tumore più aggressivo: questi carcinomi sono
più grandi al momento della diagnosi ed è più probabile che siano
invasivi rispetto al tipo comune. Altre varianti meno comuni di PTC,
associate a una maggiore aggressività del tumore, sono le varianti
a cellule chiare, insulare, a cellule cilindriche, trabecolare, a cellule
ossifile e sclerosante diffusa.
Il PTC spesso metastatizza ai linfonodi cervicali e del mediastino
superiore. Al momento della diagnosi iniziale, il PTC viene riscontrato
oltre i limiti del collo solo nel 2% dei pazienti, di norma nei polmoni
e meno comunemente nelle ossa (altre sedi meno comuni di
metastasi sono l’encefalo, il fegato, i reni e le ghiandole surrenali).
Nel quadro della malattia metastatica ai polmoni, la radiografia o la
TC toracica mostra tipicamente noduli miliari che si aprono a
ventaglio a partire dall’ilo. Le metastasi scheletriche si verificano di
rado e un coinvolgimento osseo si ha di solito nei pazienti più
anziani.
Il PTC è uno dei tumori meno aggressivi e maligni che si formano nel corpo umano; la maggioranza dei pazienti affetti da PTC
non muore a causa di questo tumore. Tuttavia esso può portare
alla morte. I tre fattori maggiormente associati a un aumento del
rischio di recidiva del PTC e della mortalità a esso correlata sono:
paziente di età superiore a 45 anni al momento della diagnosi,
tumori più grandi (>7 cm di diametro) e invasione dei tessuti molli
(ad es. trachea, esofago). Fattori addizionali che aumentano il rischio di recidiva sono l’appartenenza al sesso maschile, PTC
multifocale, numero elevato di metastasi linfonodali (>10) ed età
inferiore a 7 anni.
Il trattamento di elezione per PTC con un diametro superiore
a 1 cm o per PTC con metastasi linfonodali note è la tiroidectomia
totale con linfadenectomia del compartimento centrale. Un intervento chirurgico più esteso è indicato nei pazienti che presentano
58
l’invasione di altri tessuti del collo (ad es. trachea, esofago), ma
si può prendere in considerazione una chirurgia meno aggressiva
(ad es. lobectomia e istmectomia) nei pazienti con PTC solitari di
diametro inferiore a 1 cm. La terapia con iodio radioattivo 131
(131I) funge da terapia adiuvante per il PTC, viene somministrata
non a tutti e personalizzata. La radioterapia a fasci esterni può
essere presa in considerazione nei pazienti che hanno una
malattia metastatica non resecabile e refrattaria alla terapia con 131I.
La chemioterapia sistemica può produrre benefici nei pazienti
con PTC aggressivo e sintomatico che è refrattario a ogni altra
opzione terapeutica. Sono attualmente in fase di studio alcuni
farmaci inibitori delle vie molecolari (ad es. inibitori della tirosinchinasi) per i pazienti con malattia refrattaria. Tutti i pazienti
devono essere sottoposti a terapia con levotiroxina dopo l’intervento chirurgico per impedire che la secrezione ipofisaria di
ormone tireotropo stimoli la crescita del PTC.
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Tavola 2.24
Tiroide
cArcinomA
follicolAre
dellA tiroide
Il carcinoma follicolare della tiroide (FTC) è uno dei tre carcinomi
della tiroide di derivazione epiteliale (gli altri due sono il carcinoma
papillare [PTC] e il carcinoma anaplastico della tiroide). Dopo il PTC,
l’FTC è il secondo tipo più comune di cancro della tiroide, responsabile del 10% dei casi. Rispetto al PTC, l’FTC è più comune in
un’età più avanzata; il picco di incidenza è tra i 40 e i 60 anni ed è
tre volte più comune nella donna rispetto all’uomo. L’FTC è più
frequente nelle regioni del mondo con carenza di iodio.
Esso può manifestarsi come un piccolo nodulo o una grande
massa all’interno della tiroide. Diversamente dal PTC, esso ha in
genere un focolaio intratiroideo solitario. L’esame citologico di un
campione ottenuto tramite agoaspirato non può essere usato per
distinguere un FTC da un adenoma follicolare benigno. L’FTC può
essere diagnosticato solo sulla base di tessuto tiroideo rimosso
in blocco durante un intervento chirurgico e di documentazione
comprovante l’estensione del tumore alla capsula o l’invasione
vascolare.
Dal punto di vista istologico, l’FTC mostra un pattern follicolare
abbastanza ben organizzato, con follicoli piccoli ma spesso irregolari,
rivestiti da epitelio a cellule cubiche alte. I follicoli con una disposizione più ordinata contengono abitualmente colloide. Non sono
presenti reperti compatibili con un PTC (ad es. corpi arenacei).
Benché nei pazienti con FTC si riscontri di norma l’estensione del
tumore alla capsula o l’invasione vascolare, esiste un sottotipo di
FTC minimamente invasivo che è capsulato ed è associato a una
prognosi favorevole. L’FTC altamente invasivo, invece, si estende
nei vasi sanguigni e nel tessuto tiroideo adiacente ed è associato a
una prognosi infausta.
Gli FTC sembrano essere per la maggior parte monoclonali e
circa il 40% è legato a mutazioni puntiformi somatiche degli oncogeni RAS, reperto associato a una forma più aggressiva di
tumore.
Spesso l’FTC metastatizza in fase precoce mediante disseminazione ematogena; sono evidenti metastasi a distanza al momento
della scoperta del tumore primario nel 15% dei pazienti con FTC.
Le sedi più comuni della malattia metastatica sono le ossa e i
polmoni (quelle meno comuni sono il fegato, l’encefalo, la vescica
urinaria e la cute). Nell’FTC l’interessamento dei linfonodi del collo
è molto meno comune che nel PTC. All’esame bioptico, le metastasi
scheletriche possono essere simili al tessuto tiroideo normale.
L’FTC tende ad avere un decorso clinico più aggressivo rispetto
al PTC; la prognosi peggiore è associata alle dimensioni del tumore,
alla presenza di metastasi a distanza e di invasione vascolare. Il
carcinoma insulare è una forma scarsamente differenziata di FTC
e ha una prognosi infausta. Il carcinoma a cellule di Hürthle è una
variante oncocitica dell’FTC (Tavola 2.26).
La terapia per i pazienti con FTC è simile a quella per il PTC.
Il trattamento di elezione è la tiroidectomia totale con linfectomia
del comparto centrale. Per la riuscita dell’operazione è essenziale
la pianificazione della stessa mediante ecografia preoperatoria
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
del collo con mappatura dei linfonodi. Le cellule dell’FTC sono in
grado di trattenere iodio radioattivo 131 (131I), ma non bene come
le cellule follicolari normali della tiroide. Lo iodio 131 può essere
somministrato dopo l’intervento chirurgico per distruggere il
tessuto tiroideo residuo nel letto tiroideo e la malattia metastatica
microscopica. Dopo questo trattamento viene iniziata la terapia
sostitutiva con levotiroxina per sopprimere l’ormone tireotropo
ipofisario, allo scopo di impedire la crescita di eventuali cellule
residue di FTC indotta dall’ormone tireotropo. La radioterapia a
fasci esterni può essere usata quando non è possibile rimuovere
la malattia primaria o quella metastatica.
Può rendersi necessaria la chemioterapia sistemica per il
piccolo sottogruppo di pazienti la cui malattia è refrattaria a ogni
altra opzione terapeutica. Inoltre, nei pazienti con malattia
refrattaria, possono essere utili i farmaci inibitori delle vie
molecolari (ad es. inibitori della tirosin-chinasi).
59
Tavola 2.25
Apparato endocrino
cArcinomA
midollAre
dellA tiroide
Il carcinoma midollare della tiroide (MTC) è una neoplasia delle
cellule parafollicolari tiroidee, o “cellule C”. Circa il 3% di tutti i tumori maligni della tiroide si rivela essere un MTC. Le cellule C sono
localizzate nella porzione superiore di ciascun lobo tiroideo e hanno
origine dalla cresta neurale embrionale; pertanto, dal punto di vista
clinico e istologico, l’MTC è più un tumore neuroendocrino che una
neoplasia tiroidea.
Nell’80% circa dei pazienti, l’MTC è sporadico, ma può essere
familiare come parte della sindrome da neoplasie endocrine multiple di tipo 2 (MEN 2) o come MTC familiare (FMTC). L’MTC sporadico si manifesta tipicamente come un nodulo tiroideo solitario
tra i 40 e i 60 anni di età, con una lieve preponderanza nella donna.
È facilmente diagnosticato mediante agoaspirato di un nodulo tiroideo. Al momento della diagnosi, oltre la metà dei pazienti con MTC
sporadico presenta malattia metastatica, che di solito interessa i
linfonodi regionali.
L’MTC secerne l’ormone calcitonina: i pazienti con MTC possono
avere livelli molto elevati di calcitonina, che possono determinare
una grave diarrea. A causa della sua origine embrionale neuroendocrina, inoltre, l’MTC ha la capacità di secernere altri ormoni che
possono generare una sintomatologia clinica aggiuntiva. Ad esempio, l’MTC può secernere un eccesso di corticotropina e causare la
sindrome di Cushing.
All’esame istologico, l’MTC mostra un pattern trabecolare omogeneo con cellule fittamente ammassate, che presentano notevoli
differenze di ipercromatismo e di dimensione dei nuclei. Le cellule
di solito sono positive all’immunocolorazione per calcitonina, galectina-3 e antigene carcino-embrionario.
L’MTC ereditario è associato a mutazioni del proto-oncogene RET
e si presenta come MEN 2A, MEN 2B o FMTC. La penetranza dell’MTC nei pazienti con MEN 2 è pari al 100%. La frequenza nell’uomo è uguale a quella nella donna. I pazienti con MEN 2B hanno una
forma più aggressiva di MTC e devono essere sottoposti a tiroidectomia profilattica nel primo anno di vita. I pazienti con MTC ereditario
che non viene riconosciuto nei primi anni di vita manifestano la
malattia in genere tra i 20 e i 30 anni di età. Tuttavia, quando è noto
il rischio di MTC familiare, il tumore può essere diagnosticato prima
che sia palpabile o clinicamente evidente. Dopo che la mutazione
specifica del proto-oncogene RET è stata identificata nel probando,
i familiari a rischio possono essere sottoposti a test genetico per la
ricerca della mutazione specifica al fine di stabilire il loro rischio di
contrarre l’MTC.
Anche i pazienti con MTC apparentemente sporadico devono
essere sottoposti al test per la ricerca di mutazioni del proto-oncogene
RET, poiché circa il 7% presenta una mutazione. Questo dato può
incoraggiare il test genetico dei familiari a rischio per individuare i
soggetti con MTC e sottoporli a intervento chirurgico prima che si
sviluppino le metastasi.
Su tutti i pazienti con MTC devono essere condotte analisi biochimiche per escludere l’iperparatiroidismo primitivo e il feocromocitoma (componenti di MEN 2). Inoltre in questi pazienti deve essere
misurata la concentrazione sierica di calcitonina in fase preoperatoria. Più la concentrazione di calcitonina sierica è elevata, maggiore
60
è la possibilità che il paziente sia affetto da malattia metastatica e
che la tiroidectomia non sarà la cura definitiva.
Il trattamento di elezione è la tiroidectomia totale. La prognosi
dipende in parte dall’età al momento della diagnosi (la prognosi
peggiora con l’aumentare dell’età del paziente). Nei pazienti con
familiarità, la prognosi è determinata dall’età alla quale viene eseguita
la tiroidectomia; i tassi di guarigione sono più elevati quando la tiroi-
dectomia è effettuata in età giovanile. La concentrazione sierica di
calcitonina deve essere misurata in fase postoperatoria per stabilire
se si è ottenuta una guarigione chirurgica. La malattia metastatica
può coinvolgere il collo, il mediastino, i polmoni, il fegato, le ossa e i
reni. La malattia metastatica persistente, che non può essere rimossa
chirurgicamente, può essere trattata con i farmaci inibitori delle vie
molecolari (ad es. inibitori della tirosin-chinasi).
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.26
Tiroide
cArcinomA A cellule
di hürthle dellA tiroide
Il carcinoma a cellule di Hürthle (HCC) è una variante del carcinoma
follicolare della tiroide e rappresenta il 3-4% di tutte le neoplasie
maligne della tiroide. L’HCC è anche definito una “variante oncocitica
del carcinoma follicolare della tiroide”. Esso si distingue mediante
una popolazione cellulare di oncociti che costituisce almeno il 75%
della neoplasia. Le cellule ossifile eosinofile si riconoscono per il
loro abbondante citoplasma, per i nuclei ovali con nucleoli prominenti e per i mitocondri fittamente ammassati. Rispetto al carcinoma
follicolare della tiroide di tipo comune, l’HCC è associato a una
diagnosi più infausta e ha una maggiore frequenza di recidiva a
livello dei linfonodi locali. L’intervallo di età in cui la diagnosi è più
frequente va dai 40 ai 70 anni (età mediana: 61 anni). L’HCC è due
volte più comune nella donna che nell’uomo.
Esso si manifesta generalmente come un singolo nodulo non
dolente; può essere quasi impercettibile oppure essere così grande
da interessare un intero lobo della tiroide.
L’esame macroscopico evidenzia solitamente un tumore color
mogano. Dal punto di vista istologico, l’HCC è caratterizzato dalla
comparsa di cellule chiare, opache, eosinofile e granulari, che variano dalla forma cubica alta a quella cilindrica bassa e che possono
avere una disposizione trabecolare ordinata, in cui ogni cilindro è
separato da una ricca rete di capillari a pareti sottili, oppure possono
essere disposte a strati in gruppi plessiformi, anch’essi separati dai
capillari della ricca rete vascolare. La colloide è scarsa o assente. I
nuclei sono ipercromatici e pleomorfi con nucleoli eosinofili prominenti. A livello ultrastrutturale, le cellule dell’HCC sono ricche
di mitocondri. La diagnosi di carcinoma si fonda sulla dimostrazione di invasione capsulare, invasione vascolare o diffusione
metastatica.
Circa il 5% dei pazienti con HCC ha metastasi a distanza localizzate ai polmoni o alle ossa al momento della diagnosi. Sono
evidenti metastasi ai linfonodi regionali nel 25% circa dei casi. Meno
del 10% degli HCC assorbe radioiodio.
La prognosi per i pazienti con HCC può essere formulata sulla
base della presenza di metastasi a distanza al momento della
diagnosi, dell’età del paziente, della dimensione del tumore primario,
del sesso del paziente e dell’invasione extratiroidea a livello locale.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
In generale, l’HCC è più aggressivo rispetto ai carcinomi papillari e
follicolari della tiroide e il suo tasso di recidiva dopo l’intervento
chirurgico è circa del 35%. La presenza di metastasi a distanza è
il dato predittivo più importante di un esito infausto. Inoltre l’HCC è
più aggressivo nell’uomo che nella donna.
La terapia per i pazienti con HCC è identica a quella per i pazienti
con carcinoma follicolare della tiroide. La tiroidectomia totale con
dissezione linfonodale centrale del collo omolaterale è l’approccio
terapeutico più comune, mentre la terapia con radioiodio non sembra migliorare la prognosi dei pazienti con HCC. La radioterapia a
fasci esterni può essere presa in considerazione nei pazienti con
HCC non resecabile. Inoltre possono essere utili i farmaci inibitori
delle vie molecolari (ad es. inibitori della tirosin-chinasi) in alcuni
pazienti con malattia refrattaria.
61
Tavola 2.27
Apparato endocrino
cArcinomA
AnAplAStico
dellA tiroide
Il carcinoma anaplastico della tiroide (ATC) è uno dei tre carcinomi
della tiroide di derivazione epiteliale (gli altri due sono il carcinoma
papillare [PTC] e il carcinoma follicolare [FTC] della tiroide). Mentre
il PTC e l’FTC sono considerati carcinomi tiroidei differenziati, l’ATC
è un cancro indifferenziato della tiroide. È uno dei carcinomi più
maligni e mortali che si possano sviluppare nell’essere umano ed
è responsabile all’incirca del 2% di tutti i casi di cancro della tiroide.
Solitamente si manifesta dopo i 50 anni (età media: 65 anni) e circa
i due terzi degli ATC si verificano nella donna.
L’ATC si sviluppa come un tumore del collo dolente e in rapida
crescita, che non mostra mai alcun segno di attività ormonale.
Spesso il paziente può fornire la data esatta dell’esordio (di solito
una data molto recente) e ne descrive la crescita rapida che causa
sintomi da compressione, dispnea, disfagia, raucedine, tosse e
anche dolenzia più o meno acuta della massa. Inoltre possono
essere presenti sintomi sistemici quali perdita di peso, anoressia,
spossatezza e febbre. L’esame del nodulo rivela una massa grande
(spesso di diametro superiore a 5 cm), dura, che può essere fissa.
Normalmente è dolente; la cute sopra il nodulo può essere calda e
anche arrossata. Di frequente si riscontra un’adenopatia cervicale.
Possono verificarsi la deviazione della trachea e la paralisi delle
corde vocali. Inoltre può evidenziarsi una sindrome della vena cava
superiore nei pazienti in cui il tumore occupa gran parte dell’apertura
toracica.
Circa il 20% dei pazienti con ATC in anamnesi riferisce un
carcinoma tiroideo differenziato (PTC o FTC) e circa il 50% episodi
pregressi di gozzo. Pertanto, l’impressione è che l’ATC derivi da
neoplasie tiroidee differenziate, probabilmente a causa di una fase
di sdifferenziazione (ad es. la perdita di una proteina oncosoppressiva o una mutazione attivante acquisita).
La diagnosi di ATC può essere confermata mediante agoaspirato
o biopsia chirurgica. Dal punto di vista istologico, questo tumore è
una neoformazione solida e notevolmente anaplastica, con una
preponderanza di cellule fusate, ma con la presenza di molte cellule
giganti in tutto il tumore.
Questo cancro, di natura così maligna, difficilmente forma metastasi
diffuse. La sua rapida crescita avviene localmente, invadendo le
strutture del collo circostanti (ad es. muscoli, linfonodi, laringe, trachea,
esofago e grandi vasi del collo) e causando di solito la morte mediante
l’invasione diretta della trachea, che determina compressione e
asfissia. I polmoni sono la sede più frequente di diffusione a distanza,
ma l’ATC può dare metastasi anche alle ossa, alla cute sopra la parete
toracica, al fegato, al cuore, ai reni e alle ghiandole surrenali.
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La tomografia computerizzata del collo e del torace è utile per
pianificare la terapia e monitorare la risposta agli interventi terapeutici. La durata della sopravvivenza è maggiore nel caso di ATC
di diametro inferiore a 6 cm che sono confinati alla ghiandola
tiroidea.
L’ATC non è quasi mai curabile chirurgicamente; se la malattia
appare localizzata alla ghiandola tiroidea, si deve tentare la resezione
completa. Tuttavia l’ATC di solito si ripresenta entro alcuni mesi dalla
rimozione chirurgica anche se la lesione sembrava essere stata
completamente estirpata con l’operazione. Dopo l’intervento, può
essere presa in considerazione la radioterapia a fasci esterni. Nel
caso dell’ATC metastatico non esiste alcuna terapia risolutiva. La
chemioterapia con farmaci quali il paclitaxel può dare risultati
temporanei. La sopravvivenza a oltre 12 mesi dalla diagnosi è estremamente infrequente. Il tasso di mortalità di questa patologia è
fondamentalmente del 100%.
ATlAnTe di AnATomiA, FisiopATologiA e CliniCA
Tavola 2.28
Tiroide
tumori
che metAStAtizzAno
AllA tiroide
La malattia metastatica alla tiroide è comune, probabilmente a
causa del ricco apporto ematico di circa 560 mL/100 g di tessuto/
min (un flusso per grammo di tessuto che è secondo solo a quello
delle ghiandole surrenali). La prevalenza di metastasi alla ghiandola
tiroidea nelle serie autoptiche varia dall’1,25% negli studi autoptici
non selezionati al 24% nei decessi causati da neoplasie maligne
ampiamente diffuse. Quando si esegue l’agoaspirato (FNA) in fase
preoperatoria, la frequenza delle metastasi clinicamente importanti
che interessano la ghiandola tiroidea è circa del 5%. In un paziente
con un nodulo alla tiroide e un’anamnesi positiva per neoplasia, il
primo pensiero deve essere la malattia metastatica.
Benché i pazienti con malattia metastatica della tiroide possano
presentare sintomi da effetto massa (ad es. raucedine, disfagia,
stridore o massa nel collo), la maggior parte ha una malattia asintomatica e il nodulo tiroideo viene scoperto all’esame obiettivo o
incidentalmente in occasione di un esame radiologico (ad es. tomografia a emissione di positroni) eseguito per la stadiazione del tumore. La procedura diagnostica di elezione per questi pazienti è
l’FNA della tiroide, altamente sensibile e specifica.
Gli organi che più comunemente sono la sede della neoplasia
maligna primaria (in ordine di frequenza) sono i reni (cellule chiare),
i polmoni, le mammelle, la testa e il collo, l’apparato gastrointestinale (colon, esofago, stomaco) e la cute (melanoma). Altre sedi
organiche e tipi cellulari noti per produrre metastasi alla tiroide sono
l’utero, le ovaie, la prostata, il pancreas, le paratiroidi e i sarcomi.
Gran parte delle metastasi alla tiroide si manifesta entro 3 anni dalla
rimozione del tumore primario, sebbene siano stati segnalati intervalli fino a 26 anni (in un paziente con carcinoma a cellule renali).
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La metastasi alla tiroide può essere l’unica sede evidente di
diffusione metastatica. Benché non vi sia un’opinione condivisa sul
ruolo della chirurgia in questi pazienti, molti endocrinologi ed endocrinochirurghi consigliano la lobectomia tiroidea. Se la metastasi è
grande o coinvolge entrambi i lobi, può essere necessaria una
emitiroidectomia. Benché sia solitamente una procedura palliativa,
la terapia chirurgica aggressiva delle metastasi tiroidee nei pazienti
con carcinoma a cellule renali isolato metastatico si è rivelata curativa. Si può ricorrere alla radioterapia per il trattamento delle
metastasi che non possono essere rimosse completamente. La
chemioterapia sistemica può essere indicata quando vi siano ulteriori molteplici siti di malattia metastatica.
In presenza di una neoplasia che potrebbe metastatizzare alla
tiroide bisognerebbe effettuare un’ecografia di controllo.
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