INDICE 1. INTRODUZIONE ..........................................................................................................................................................2 2. MOTIVAZIONI: LA NUOVA GENERAZIONE DI TELESCOPI SPAZIALI PER RADIAZIONE X E .......3 3. L’ASTROFISICA IN ALTA ATMOSFERA...............................................................................................................7 4. LE CARATTERISTICHE DEL VOLO STRATOSFERICO .................................................................................11 5. IL PROGETTO HIPEG ..............................................................................................................................................13 6. HIPEG – IL SISTEMA DI BORDO...........................................................................................................................16 7. I SENSORI STELLARI...............................................................................................................................................19 8. LO STAR SENSOR DI HIPEG ...................................................................................................................................24 9. CONCLUSIONI ...........................................................................................................................................................28 10. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI..........................................................................................................................29 1 1. INTRODUZIONE Questo lavoro descrive l’ambito dell’attività da me svolta presso l’IPCF-CNR di Pisa nel contesto di un progetto denominato HiPeG (High Performance Gondola) attualmente in corso di realizzazione in la collaborazione con l’Istituto IASF-CNR (Sez. Bologna). Il Progetto, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, prevede la realizzazione di un sistema di guida e puntamento per telescopi X e γ da impiegarsi in esperimenti effettuabili con l’utilizzo di palloni stratosferici. Come si puntualizzerà in seguito i requisiti sperimentali osservativi dell’astronomia X/γ, uniti alle condizioni “ambientali” riscontrabili a bordo di palloni stratosferici, richiedono sistemi con caratteristiche tecniche ad hoc, ottenibili cioè unicamente con dispositivi progettati e realizzati su misura per specifici esperimenti. In questa tesi verrà presentata la filosofia presente alla base dello sviluppo e della realizzazione dell’hardware e del software di un sensore stellare (star sensor), strumento fondamentale per l’orientamento dei telescopi e per la ricostruzione postfacto della loro “traiettoria” di puntamento con elevata precisione (pochi secondi d’arco). La partecipazione a questo progetto mi ha permesso di familiarizzare con le problematiche dell’astrofisica sperimentale delle alte energie, ed in particolare con l’attività legata alle missioni a bordo di palloni stratosferici, una fase fondamentale per la “validazione” di esperimenti di nuova concezione e preliminare alla realizzazione di future missioni satellitari. 2 2. MOTIVAZIONI: LA NUOVA GENERAZIONE DI TELESCOPI SPAZIALI PER RADIAZIONE X E L’astrofisica delle alte energie è oggi una delle più fertili e promettenti branche del sapere scientifico. Il notevole progresso tecnologico ed il conseguente affinamento delle capacità di analisi nell’elaborazione dei dati ottenuti durante le più recenti missioni di satelliti scientifici offrono numerosi e nuovi elementi per la verifica dei modelli cosmologici attualmente allo studio. Nell’astronomia X e γ condotta fuori dall’atmosfera terrestre, unico ambiente dove gli strumenti di misura possono accedere all’intero spettro della radiazione elettromagnetica, la futura generazione di rivelatori e telescopi dovrà operare con livelli di sensibilità e dinamica (rapporto segnale/rumore) sempre maggiori, e raggiungere precisioni sempre più alte nella risoluzione angolare, temporale e spettrale delle misure. Nell’ambito dell’astrofisica γ, in particolare, le tecniche di risoluzione angolare basate sull’uso di maschere ad ombreggiatura codificata (coded mask), basate cioè sul principio dell’oscuramento controllato della sorgente, o le metodologie di tracciamento delle cinematiche quantistiche (per es. Compton scattering) hanno sinora consentito la ricostruzione angolare della radiazione proveniente dallo spazio con una precisione non inferiore a qualche minuto d’arco (arcmin). Con queste tecniche di imaging cosiddette passive l’affinamento della risoluzione angolare è limitata dall’aumento del rumore termico/elettronico conseguente all’accrescimento dell’apertura dei telescopi e del volume di raccolta dei rivelatori (detectors) ad essi associati. Una possibile alternativa per aggirare questa impasse consiste nel guidare i flussi di radiazione X e γ provenienti dallo spazio a interagire con una struttura in grado di agire come un’ottica convergente [1] focalizzando la radiazione incidente in un unico spot di dimensioni ridotte ove collocare un rivelatore adeguatamente dimensionato. In questo modo è possibile ottenere un notevole miglioramento della risoluzione angolare congiuntamente a rapporti segnale/rumore elevati. La Figura 1 mostra le geometrie d’impiego e le caratteristiche del segnale d’uscita dei rivelatori utilizzati nei telescopi tradizionali in modo da disporre un confronto diretto con quelle ottenibili dall’uso delle nuove ottiche convergenti; nel caso particolare rappresentato in figura è presa in considerazione una ottica diffrattiva per radiazione γ (si veda oltre). 3 Figura 1 - Il confronto grafico permette di illustrare il miglioramento del rapporto S/N unitamente alle proprietà focalizzanti dei nuovi telescopi per le alte energie rispetto ai metodi tradizionali. Acol e Vdet rappresentano rispettivamente l’area superficiale di raccolta della radiazione ed il volume dei detectors [1]. In generale le ottiche per radiazione X/γ si basano su principi fisici diversi a seconda della regione spettrale della radiazione in esame. Nel caso di basse energie (componente molle della radiazione X, con energie dei fotoni <10keV) lo scopo può essere raggiunto sfruttando il principio di riflessione per incidenza radente, ovvero facendo incidere la radiazione su superfici di materiali ad alto Z (per es. Oro o Nichel) ad angoli molto stretti . La Figura 2 illustra l’andamento della riflettività dell’oro in funzione dell’energia della radiazione incidente mostrando come per angoli inferiori al grado e fino ad energie dell’ordine di qualche keV questa si discosti poco dall’unità. Figura 2 - Andamento del coefficiente di riflettività dell’oro in funzione dell’energia della radiazione incidente per angoli compresi tra 0.5 e 20 gradi [2]. 4 Al fine di aumentare la superficie efficace di raccolta della radiazione, contenere la lunghezza focale e ridurre le distorsioni sulle immagini fuori asse ottico, il telescopio può essere costituito, ad esempio, da due blocchi formati da set di più specchi concentrici a sagomatura rispettivamente parabolica e iperbolica. In Figura 3 è mostrato lo schema di uno degli specchi del satellite CHANDRA, utilizzante questo tipo di soluzione. Figura 3 - La disposizione delle sezioni paraboliche ed iperboliche degli specchi per incidenza radente è concentrica al fine di incrementare la sezione d’urto efficace del telescopio. Per energie crescenti, e dunque per la componente X dura e γ la tecnica è diversa e consiste nello sfruttare l’interazione coerente di flussi di radiazione diffratti da un reticolo cristallino (tipicamente Germanio o Silicio): in dipendenza con l’energia incidente si otterrà un fuoco nei massimi di diffrazione in geometria di Bragg (riflessione sui reticoli del cristallo) o equivalentemente in geometria di Laue (trasmissione attraverso l’intero volume del cristallo). La Figura 4 mostra il funzionamento del telescopio diffrattivo a geometria di Laue alla base dell’esperimento CLAIRE [3], dove d e θ sono, rispettivamente, la distanza tra i piani reticolari del cristallo e l’angolo di incidenza della radiazione su di essi. Come nel caso dell’ottica del satellite CHANDRA, è possibile anche qui notare la presenza di più settori circolari concentrici di materiale cristallino al fine di aumentare la sezione d’urto complessiva della radiazione incidente sul telescopio. 5 Figura 4 - Geometria della diffrazione tra i piani reticolari di un cristallo di Germanio in un telescopio LAUE (progetto CLAIRE) e successiva focalizzazione sul rivelatore[3]. Ovviamente la relazione di Bragg coinvolta nel fenomeno diffrattivo, ovvero 2d sinθ =nλ, essendo n l’ordine di diffrazione, garantisce unicamente la focalizzazione di un flusso di radiazione monocromatico la cui lunghezza d’onda λ è funzione del materiale utilizzato. Quanto descritto sin qui costituisce solo un esempio delle molte tecniche attualmente in uso o allo studio per la realizzazione di telescopi atti ad osservazioni nella regione X/γ dello spettro elettromagnetico e pronti ad essere impiegati dapprima a bordo di piattaforme su palloni stratosferici e successivamente su satelliti in orbita intorno alla Terra. 6 3. L’ASTROFISICA IN ALTA ATMOSFERA Lo studio e la messa a punto delle nuove ottiche per radiazione X e γ richiede altresì una flessibilità ed una rapidità di accesso al successivo stadio di perfezionamento ed up-grading da essere difficilmente compatibile con i costi elevati ed i lunghi tempi di sviluppo che la messa in orbita di un satellite dedicato comporterebbe. L’impiego però di una metodologia di trasporto già comunemente impiegata in diversi settori della ricerca non solo astronomica può evitare questo inconveniente. Da molti anni infatti numerose missioni specialistiche sono state realizzate con l’impiego di strutture metalliche compatte e resistenti denominate “gondole” in grado di trasportare e mantenere pesanti apparecchiature scientifiche ad alta quota. Tali piattaforme, tipicamente costruite utilizzando alluminio o leghe leggere a base di fibre di carbonio, possono avere un peso contenuto entro le poche centinaia di chilogrammi. Il compito del trasporto e del mantenimento in quota è affidato a grossi palloni (ballons) di materiale plastico riempiti con gas (tipicamente alcune migliaia di litri di elio a pressione atmosferica) in quantità tale da poter galleggiare ai margini superiori della stratosfera terrestre (circa 40 km) per intervalli di tempo considerevoli che vanno da alcune ore fino ad alcune settimane o mesi. Compatibilmente alle condizioni metereologiche ed al movimento delle masse d’aria nell’atmosfera questa tecnica consente, oltre alla possibilità di ottenere i risultati osservativi richiesti, anche un semplice e veloce recupero dell’attrezzatura utilizzata. Figure 5 e 6 - Due momenti del lancio di una missione su pallone: a sinistra è possibile vedere la fase di riempimento del pallone tramite un apposito condotto di alimentazione del gas; a destra lo stesso pallone, raggiunta la sufficiente quantità di elio, viene sganciato dall’ancoraggio per consentirne il sollevamento verso il cielo; in basso è visibile la gondola ancora al suolo [4]. 7 Le quote raggiungibili con questi mezzi consentono misure tipicamente nel range di energia superiore ai 30 keV (componente dura dei raggi X e raggi γ ): per queste energie negli alti strati dell’atmosfera la presenza di gas residui influisce nell’assorbimento della radiazione come costituisse circa lo 0.3% dell’atmosfera terrestre totale [4]. Come si può infatti osservare dalla Figura 7, l’atmosfera terrestre ammette una finestra di trasparenza molto stretta per le radiazioni elettromagnetiche provenienti dallo spazio: solo le frequenze che cadono nel visibile arrivano al livello del mare. Per effettuare osservazioni in un più ampio spettro occorre dunque raggiungere un’altitudine adeguata ad evitare l’assorbimento completo delle frequenze di interesse. Figura 7. Curva di “trasparenza” dell’atmosfera terrestre alla radiazione elettromagnetica; è evidente come solo per le frequenze del visibile esista una sottile finestra di trasparenza che giunga sino al livello del mare. Il parametro tipico dell’opacità atmosferica, la lunghezza di assorbimento, è caratterizzato da un andamento che è possibile valutare in Figura 8 in funzione dell’energia (log E) della radiazione incidente e della quota. Da tale figura emerge come entro i 40 Km. di quota sia realizzabile un ampio margine di “visibilità” in energia di radiazione in corrispondenza dell’altitudine normalmente raggiungibile con l’impiego di palloni aereostatici. 8 Figura 8 - Andamento medio della lunghezza di assorbimento della radiazione extraterrestre in funzione di energia e altitudine. Fissato in ascissa un valore di energia, il corrispondente punto sulla scala delle altitudini indica la quota alla quale l’intensità della radiazione incidente risulta ridotta di un fattore 1/e. Occorre osservare che, con le dimensioni impiegate in figura, la lunghezza di assorbimento è espressa come grandezza misurabile in unità indipendenti dalla densità dell’aria in quanto quest’ultima è anch’essa una variabile funzione della quota [5]. Per ottenerne il valore corrispondente in unità di lunghezza (centimetri), sarà quindi sufficiente dividere il valore rappresentato con il valore della densità appena specificata e ricavabile dai dati disponibili sull’atmosfera standard e riassunti nella Figura 9. 9 Figura 9 – Andamento della densità dell’aria con l’altitudine nell’atmosfera standard. I dati che compongono il modello in figura sono disponibili nel riferimento presente in bibliografia [6]. I risultati delle missioni specificamente studiate per essere supportate da piattaforme stratosferiche hanno contribuito in un recente passato ad ottenere, con l’impiego di telescopi tradizionali, le prime mappe del cielo indicanti sorgenti di radiazione tra i 30 e 1000 keV e nuovi oggetti emittenti interpretabili come possibili buchi neri al centro della nostra galassia oltre alle tracce della cosidetta radiazione “fossile” a 4 Kelvin diffusa nell’universo. In questo modo sono state anche osservate tracce del decadimento γ di Cobalto in residui di supernova così come sono stati ottenuti approfondimenti spettroscopici su altre sorgenti più deboli già note [4]. 10 4. LE CARATTERISTICHE DEL VOLO STRATOSFERICO La realizzazione di sistemi di guida per telescopi in uso su palloni stratosferici deve tener conto delle caratteristiche “ambientali” presenti nelle condizioni operative. Queste caratteristiche sono riassunte nelle figure seguenti dove vengono mostrati, come esempio, i dati forniti dalla telemetria eseguita in tempo reale durante lo svolgimento della missione LAPEX (si veda oltre, paragrafo 5) e comprendenti, oltre al monitoraggio della posizione della gondola rispetto alla Terra, anche l’andamento della quota come rivelata da un sensore GPS (Global Positioning System), la pressione dell’aria e la temperatura esterna [7]. Tutte le grandezze sono state valutate esprimendo nell’ora universale del meridiano di Greenwich il tempo trascorso dal momento del lancio al successivo recupero. Figura 10, 11, 12, 13 - Andamento della traiettoria, dell’altitudine, della pressione e della temperatura tipiche di un volo eseguito con l’impiego di un pallone stratosferico. In questo caso i dati si riferiscono all’esperimento LAPEX (1995). È possibile notare, in particolare, come la quota di galleggiamento sia stata raggiunta dopo circa 3 ore dal momento del lancio [7]. 11 La durata complessiva di un volo su gondola è naturalmente variabile e dipendente dagli scopi precipui della missione: con il miglioramento delle capacità di performance nell’allestimento dei palloni, essa può attualmente variare da poche ore nell’arco di una giornata a qualche mese (per es. alcuni voli circumpolari). La scelta di effettuare una missione nell’intervallo di più giorni, come si capirà successivamente alla lettura del paragrafo 7, influirà direttamente sulla sensibilità specifica da programmare alla strumentazione di bordo dedicata al controllo dell’assetto della gondola, cioè alla completa conoscenza dell’orientazione della stessa nello spazio. Infatti un’apparecchiatura che raggiunga questo scopo basandosi, ad esempio, sulla radiazione visibile emessa dalle stelle, verrà così a trovarsi nelle condizioni di essere influenzata, durante il rilevamento diurno, dalla pur scarsa presenza del fondo luminoso diffuso dai sottili strati di atmosfera comunque residui alla quota operativa [8]. 12 5. IL PROGETTO HiPeG Le grosse dimensioni dei telescopi attualmente candidabili al trasporto in alta quota, tipicamente dotati di lunghezze focali comprese tra i 5 e 10 metri e risoluzioni angolari contenute in qualche decina di arcosecondi di precisione (si veda per alcuni esempi la Tabella 1), comportano un impegno maggiore nella progettazione di una piattaforma capace di un’alta stabilità di assetto e di una grande accuratezza di puntamento: quando questo si realizzi è infatti il risultato di una complessa interazione tra componenti meccaniche e software accuratamente testate allo scopo. X-RAY OPTICS: EXPECTED PERFORMANCES Energy range (keV) Focal length (m) Field of view (arcmin) Effective area (cm2) Angular resolu. (arcsec) Grazing Incidence (HEXIT) Bragg diffraction (HAXTEL) Laue diffraction (CLAIRE) 30-70 6 10 18/unit (@40keV) 30 60-150 5 80 100 (@80keV) 60 170 2.76 1.3 94 (@170keV) 15 Tabella 1. Le principali caratteristiche dei nuovi telescopi X e ; in particolare l’ottica ad incidenza radente HEXIT, candidata ad essere in futuro supportata dal sistema HiPeG, garantisce una risoluzione angolare fino a 30 arcosecondi. La missione CLAIRE, già operativa, è attualmente in fase di up-grading [9,10]. Attualmente è in fase di realizzazione, presso l’istituto IASF del CNR di Bologna e l’istituto IPCF del CNR di Pisa, il progetto di una gondola denominata HiPeG (High Performance Gondola). Il progetto, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), parte dall’esperienza acquisita con le precedenti missioni (esperimento LAPEX) ed ha come obiettivo la realizzazione di un sistema di puntamento dotato di caratteristiche uniche e adatte alle future missioni di telescopi X [9,10]. È già previsto infatti l’impiego della gondola HiPeG per l’esperimento HEXIT, recentemente anch’esso approvato e finanziato dall’ASI. 13 Figure 14 e 15. Due immagini della gondola utilizzata nella missione LAPEX; a sinistra è possibile vedere il trasporto della piattaforma (completa di telescopio) sull’area di lancio della base NASA di Fort Sumner, New Mexico (USA), nell’ottobre 1995; a destra, invece, il disegno raffigura la struttura base della stessa gondola. Le dimensioni sono: lunghezza 3m, larghezza 2m, altezza 2.3m, peso 350 Kg circa Il sistema a comando elettronico per la stabilizzazione meccanica dell’assetto della gondola utilizzata nell’esperienza LAPEX [7] si era infatti rivelato come ideale punto di partenza per missioni che potessero supportare telescopi controllabili in mobilità azimutale-zenitale rispetto al piano della piattaforma. Le finalità espresse nel nuovo progetto richedono la messa a punto di un sistema completamente autonomo di calcolo e di verifica dell’assetto tali da consentire, senza intervento di un operatore da terra, i seguenti margini di errore nel puntamento [9,10]: GONDOLA REQUIREMENTS Pointing stability (arcsec) Pointing accuracy (arcsec) Pointing knowledge (arcsec) goal 60 20 10 Tabella 2. Requisiti di puntamento del progetto HiPeG. Il raggiungimento di questi requisiti consentirà di orientare telescopi X ad alta risoluzione angolare; il significato dei termini impiegati è illustrato nel testo. Le tre grandezze riportate in tabella sono rispettivamente la stabiltà di puntamento dinamico (pointing stability), la stabilità di puntamento statico (pointing accuracy) e la precisione con cui è nota l’acquisizione di puntamento della gondola (pointing knowledge). Le prime due grandezze esprimono la precisione ottenibile nella fase di “inseguimento” del puntamento: il sistema dovrà infatti essere in grado di 14 raggiungere e stabilizzare l’assetto della gondola eseguendo lo spostamento di parti mobili della stuttura, con modalità che saranno illustrate nel seguito, al fine di mantenere il più possibile costante nel tempo la direzione di puntamento del telescopio su una determinata sorgente astronomica in esame. È perciò opportuno specificare i margini di precisione che la meccanica e l’elettronica di bordo saranno in grado di garantire, rispettivamente, nella sola fase di raggiungimento di una determinata direzione di puntamento non ancora acquisita (puntamento statico) e nella successiva operazione che prevede la stabilizzazione ed il mantenimento di tale direzione (puntamento dinamico). La precisione ottenibile in puntamento dinamico è peggiore a causa delle frequenti correzioni da apportare nel tempo al puntamento del telescopio. La precisione nell’acquisizione di puntamento è invece il fattore decisivo per la ricostruzione post-facto del volo e, quindi, per l’analisi dei dati provenienti dal telescopio: tale precisione, infatti, consentirà di conoscere l’effettiva direzione di puntamento di quest’ultimo con una precisione assoluta dell’ordine, o migliore, della risoluzione stessa del telescopio consentendo di attribuire il segnale misurato all’effettiva direzione di puntamento. La determinazione dell’assetto della piattaforma sarà assolto, come prevede il progetto, da due sistemi distinti: 1) il primo, costituito da un sensore GPS a quattro antenne disposte ciascuna agli angoli di un quadrato di diagonale 2 metri (si veda la Figura 16) e complanari alla superficie di base della gondola, sarà in grado di elaborare l’informazione proveniente da 12 satelliti GPS in rotazione attorno alla Terra per determinare l’assetto del sistema di antenne e, quindi, della gondola stessa, con una accuratezza di circa 0.5 milliradianti (circa 1.8 arcmin); Figura 16 - Disposizione nel piano dell’array di quattro antenne costituenti il sistema di rilevamento GPS. Tale configurazione permette il monitoraggio nel tempo degli spostamenti attorno ai tre assi della struttura raffigurata con la precisione di 0.5 milliradianti [9,10]. l’informazione contenuta in un determinato campo visivo di stelle per ricavarne le proprie coordinate di 2) il secondo sistema è costituito da un sensore stellare, in grado di elaborare 15 puntamento e, quindi, l’assetto della gondola e del telescopio al quale è solidale con una precisione maggiore di quella ottenibile dal sistema descritto al punto 1 (GPS) ed equivalente alla massima specificata in Tabella 2. Alla descrizione specifica di questo dispositivo, alle sue caratteristiche e alla sua evoluzione è dedicato il paragrafo 7. Figura 17 - La foto mostra la parte sensibile dello star sensor di HiPeG: come un comune apparecchio fotografico digitale esso è formato da un obiettivo integrato ad un dispositivo per la formazione delle immagini. In questo caso un dispositivo ad accoppiamento di carica (CCD). Poiché i due dispositivi saranno in grado di fornire contemporaneamente i risultati delle loro misure, si prevede che questi possano essere disposti a costituire un loop per l’acquisizione ed il confronto dei dati (si veda il paragrafo successivo). Inoltre in tal modo l’informazione sull’assetto potrà essere disponibile con continuità anche qualora uno dei due dispositivi risultasse momentaneamente non operativo (segnale proveniente dai satelliti non disponibile o fallimento dell’algoritmo di riconoscimento stellare, si veda in proposito il paragrafo 7). 6. HiPeG – IL SISTEMA DI BORDO 16 In questo paragrafo viene brevemente illustrata la logica di funzionamento del sistema di puntamento del progetto HiPeG e vengono mostrati i risultati dei primi test realizzati su un sistema prototipo già operativo. Le operazioni fondamentali necessarie al controllo del volo durante la missione saranno svolte da un sistema hardware e software installato a bordo della gondola e che nel suo complesso può essere riassunto nello schema successivo e nella breve descrizione che ne segue [9,10]. Figura 18 - Schema a blocchi del funzionamento del sistema di bordo della gondola HiPeG. I componenti che costituiscono l’insieme sono descritti nel testo. Durante il volo il processore del computer di bordo (Processor Control) confronterà il valore contenuto in memoria e relativo al puntamento previsto dal piano di volo con quello fornito dal GPS e dal sensore stellare, ciascuno dei quali caratterizzato, come già visto, dalla propria specifica imprecisione. In questo modo si disporrà di informazioni per una correzione veloce (spostamenti per angoli grandi, fino a quelli compatibili con la precisione ottenibile dal GPS) e successivamente più lenta e accurata dell’assetto (spostamenti per angoli più piccoli e compatibili con la precisione ottenibile dal sensore stellare). Un segnale di reazione proporzionale alla differenza dei valori ricevuti da entrambi i rivelatori e riferiti al piano della gondola verrà infatti dapprima inviato ad un motore elettrico in grado di correggere l’orientazione azimutale della piattaforma spostandola grazie ad un giunto di disaccoppiamento (Pivot) situato tra il cavo di trazione del pallone ed il carico sospeso. 17 Successivamente uno o più motori saranno in grado di mettere in rotazione altrettante ruote (ruote di reazione, Reaction Wheels) agenti come compensatori di momento angolare allo scopo di una regolazione più fine dell’assetto azimutale della gondola. Un ultimo giunto motorizzato infine guiderà il raggiungimento del corretto allineamento zenitale del telescopio rispetto al piano della gondola. Un collegamento radio garantirà lo scambio a terra delle informazioni necessarie al monitoraggio del comportamento del sistema in tempo reale (Decoder-Encoder). Naturalmente le correzioni di assetto sin qui esaminate, a causa dell’inerzia delle masse in gioco e della reazione in loop generata dall’acquisizione di informazione contemporanea del GPS e dello star sensor, genereranno delle oscillazioni che devono essere smorzate dal sistema stesso per evitare l’innescarsi di risonanze: le seguenti figure illustrano i risultati di tre test effettuati impiegando un prototipo di sistema di guida al fine di evidenziare la concreta riuscita di tale capacità di controllo nel sistema sviluppato al CNR [9,10]. In particolare la Figura 19 illustra la reazione a carattere oscillatorio smorzato nel tempo del sistema nel caso di spostamento della struttura di un ampio angolo (90 gradi) tale da permettere il raggiungimento della direzione di puntamento desiderata (direzione di puntamento nominale 0). Figura 19 – Andamento nel tempo della correzione di un angolo di off-set di 90 gradi. Il sistema raggiunge un equilibrio stabile attorno alla posizione di puntamento 0 in circa 4 minuti. Le successive Figure 20 e 21 mostrano rispettivamente l’andamento della stabilizzazione nel caso di mantenimento del puntamento attorno alla direzione nominale 0 (puntamento dinamico) e nel caso dell’inseguimento di un assetto target in lento spostamento uniforme (il centro di oscillazione si sposta lungo una retta debolmente inclinata). 18 Figura 20 (sinistra) – Andamento nel tempo della stabilità di puntamento attorno alla posizione 0. L’oscillazione, centrata su questa posizione, non supera 1.5 arcominuti di deviazione massima. Questa operazione, eseguita successivamente ed assieme a quella illustrata in Figura 19, è quella che nel testo viene descritta come fase di inseguimento o tracking. Figura 21(destra) – Andamento nel tempo delle oscillazioni del sistema attorno ad una direzione di puntamento nominale in lento spostamento uniforme. L’inseguimento è la fase operativa durante la quale il sistema aggiorna il rilevamento della direzione di puntamento e coordina i successivi spostamenti da effettuare al fine di correggere l’assetto e mantenerne la stabilità. Ovviamente perché sia assicurato un effettivo “aggancio” con la corretta traiettoria di puntamento verso la sorgente di radiazione in esame, è necessario che l’acquisizione di informazione da parte dei due dispositivi on board venga effettuata ad intervalli di tempo tali da essere contenuti entro il valore del tempo caratteristico del sistema, ovvero il tempo necessario al sistema stesso per completare operativamente la sequenza delle operazioni di acquisizione e spostamento ora descritte; in questo modo si potrà contenere al minimo la deviazione dalla posizione ideale di puntamento dell’eventuale oggetto astronomico presente nel campo di vista del telescopio (e dunque anche del sensore stellare a questo allineato). Considerati i parametri di funzionamento del modello di GPS a disposizione per la realizzazione del progetto, valutabile in una frequenza di campionamento di circa 1 Hz, ed il tempo caratteristico espresso dal prototipo del sistema, si è considerato di uniformare a tale valore anche la frequenza di ripetizione della misura da parte del sensore stellare. 7.I SENSORI STELLARI 19 In questo paragrafo vengono descritti i principi generali di funzionamento di un sensore stellare con particolare riferimento alla logica di elaborazione dell’informazione contenuta in un campo stellare per la determinazione dell’asse ottico del sistema. Una volta determinate le specifiche del volo (notturno e/o diurno) e la precisione di acquisizione di puntamento richiesta (10 arcsec nel caso di HiPeG) lo studio si concentra sulle caratteristiche che il sensore stellare deve possedere per soddisfare questo scopo. Fino alla metà degli anni ’70 la determinazione dell’assetto di apparecchiature in volo era affidata a fototubi “vidicon” ed a fotomoltiplicatori ad alta tensione racchiusi in montaggi in vetro estremamente esposti a facili rotture durante i comuni stress meccanici subiti al momento del lancio. In più tali dispositivi possedevano scarse risoluzioni spaziali (imprevedibilità del comportamento del pennello elettronico in presenza di campi magnetici, in presenza di variazioni di temperatura etc., unita alla non ripetibilità dell’individualizzazione dei pixels costituenti lo schermo tra una scansione e la successiva) e nessuna risoluzione in energia. Durante gli ultimi vent’anni di sviluppi nelle tecniche astronautiche nuove apparecchiature digitali hanno conosciuto un rapido progresso grazie all’avvento dei dispositivi elettronici ad accoppiamento di carica (CCD) e alla sempre più spinta miniaturizzazione dei circuiti integrati. Come si dimostrò in seguito i nuovi rivelatori di luce a stato solido avevano straordinari vantaggi: dimensioni ridottissime, insensibilità ai campi magnetici, bassi voltaggi di esercizio, precisione geometrica assicurata dalla struttura fisica del chip reso discreto dalle dimensioni ben definite dei pixels costituenti e, soprattutto, alta linearità fotometrica, alto rapporto segnale/rumore, capacità di integrare il segnale (risoluzione energetica), alta efficienza quantica (segnale utile generato in uscita in funzione del segnale luminoso in ingresso) ed alta dinamica (rapporto tra minimo e massimo segnale rivelabile). Queste caratteristiche hanno permesso il raggiungimento delle accuratezze di puntamento attuali: in passato l’impiego di una tale apparecchiatura era limitato al solo monitoraggio dell’assetto di una piattaforma rispetto alla sfera celeste praticando esclusivamente il tracking (inseguimento di puntamento) di un' unica stella prescelta nel campo di vista d’interesse e particolarmente luminosa (stelle di magnitudine elevata) [11,12] la cui posizione era segnalata da terra. Tuttavia, per ottenere un sistema di puntamento autonomo e preciso questa sola operazione non è di per sè sufficiente a garantire questo obiettivo ed occorre, per evitare l’intervento diretto da terra, dotare il sistema della capacità di “riconoscere” le stelle presenti nel campo di vista identificando un certo numero di caratteristiche efficaci a questo scopo. La magnitudine non è infatti un discriminante sufficiente ad identificare univocamente una singola stella: solo un ampio campo di vista contenente un certo 20 numero di stelle che possiedano tra loro parametri misurabili e raramente ripetibili identicamente, come ad esempio le distanze angolari reciproche, fornisce il modo più efficace di ottenere un sistema di puntamento preciso e completamente autonomo. In più, come è facile comprendere, questo ha immediate conseguenze nel raggiungimento di un’alta precisione anche nella stessa procedura di inseguimento: inseguire la posizione di più stelle è intrinsecamente molto più accurato dell’inseguire la posizione di una singola stella; questa infatti può causare errori di puntamento più consistenti di quelli riscontrabili nel calcolo di una media ottenuta su più immagini disponibili nell’intera area del campo di vista (come si vedrà in seguito). La ricercata autonomia del sistema impone, contemporaneamente, lo sviluppo di algoritmi in grado di “leggere” la superficie impressionata del rivelatore di radiazione luminosa e selezionarvi le immagini delle stelle raccolte e dei loro equivalenti puntiformi (centroidi, si veda la Figura 22), per poi ricavarne le reali coordinate nel riferimento della volta celeste e calcolare rispetto ad esse le coordinate della piattaforma. A questo scopo è necessario utilizzare un sistema logico di lettura delle immagini e di calcolo che attualmente è possibile realizzare con grande facilità grazie alle caratteristiche di digitalizzazione intrinseche alla forma del segnale d’uscita dei moderni dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD). Figura 22. Esempio di visualizzazione sulla superficie della CCD dell’immagine di una stella e del relativo centroide (punto al centro). La struttura discreta dei pixels permette di mostrare unicamente l’integrale dell’energia incidente su ciascuno di essi. Il centroide è il “baricentro” dell’insieme di questi valori e rispetto ad esso si calcola la reale posizione della stella. I sensori stellari hanno quindi ormai raggiunto col tempo una configurazione sostanzialmente standard: una video camera con sensore CCD ed uscita digitalizzata, un computer ed un software ivi installato per processare le immagini e fornire la logica necessaria al calcolo dell’assetto misurato. A loro volta lo sviluppo di tali algoritmi, che attualmente sembrano il più specifico campo di ricerca verso il quale indirizzare la realizzazione di possibili ulteriori miglioramenti, ha raggiunto una compilazione tipo [11,13,14]: 21 1) in tutte le alternative proponibili esiste alla base uno stesso modello di logica a soglia per limitare il numero delle possibili stelle visualizzabili su un fondo di segnale a fluttuazione statistica persistente; 2) viene eseguita la ricerca e la memorizzazione delle caratteristiche qualificanti l’identificazione degli oggetti nell’immagine; 3) queste saranno poi confrontate con le corrispondenti caratterisiche delle stelle reali ottenibili consultando i cataloghi stellari comunemente disponibili in librerie di formato digitale e tali da consentirne una veloce fruibilità (tipicamente set memorizzati di triangoli formati da stelle vicine e contenenti come informazioni essenziali le lunghezze dei lati, almeno un angolo fra essi compreso e le magnitudini delle stelle ai vertici); 4) al termine della selezione delle migliori stelle candidate al riconoscimento, la computazione della terna delle coordinate del sistema fornirà il risultato richiesto. Successivamente il computer ricalcola l’assetto a fissati intervalli di tempo (tracking tipicamente ogni secondo, come già illustrato) monitorando la direzione di puntamento in funzione delle sole stelle identificate nel passaggio precedente. Qualora, per qualsiasi circostanza non precedentemente programmata, l’infomazione dovesse essere discontinua o non disponibile, viene comandata la ripetizione del modo di inizializzazione appena descritto per ricalcolare autonomamente l’assetto di partenza. Con le potenze di calcolo e la memorie oggi disponibili si processa normalmente un numero di stelle adeguate ad ottenere una precisione complessiva descritta da una stima d’andamento tipo [11]: Errore sull' asse ottico dell' assetto ∪ (Errore singola stella ) Numero stelle A questo scopo, intervenendo operativamente in base a questa relazione, si possono definire le caratteristiche ottiche della telecamera: per ottenere un basso numero di stelle visualizzate sull’immagine si sceglierà un campo di vista stretto adottando focali lunghe. Congiuntamente un’ampia apertura dell’obiettivo assicurerà una grande raccolta di luce rivelando in tal modo un più ampio range di magnitudini stellari così da conservare, pur in uno stretto campo di vista, un numero di stelle tuttavia sufficiente a garantirne il riconoscimento; in questa circostanza l’errore di puntamento sulla singola stella sarà comunque piccolo in considerazione dell’alta risoluzione angolare dovuta all’uso di una focale lunga. 22 Nella circostanza opposta, l’uso di una camera equipaggiata con un maggior numero di pixels accoppiata ad un’ottica di lunghezza focale minore garantirà una visuale più ampia; il numero di stelle rilevabili verrà così selezionato disponendo un obiettivo con apertura di diametro minore e adatto a raccogliere flussi luminosi provenienti da quelle sole stelle che siano comprese in un determinato intervallo di intensità scelto opportunamente in funzione del numero di queste ultime necessario a compensare il maggiore errore di puntamento presente, in questo caso, sulla singola stella. Naturalmente, in entrambi i casi, riveste grande importanza un ulteriore parametro critico rappresentato dal tempo di esposizione da impostare alla camera stessa: tempi di esposizione brevi permetteranno immagini ben definite per le stelle più intense e limiteranno quelle di magnitudine minore, mentre tempi di esposizione successivamente più lunghi garantiranno una sempre migliore precisione di definizione anche per queste ultime, ponendo però al contempo due importanti controindicazioni: 1) la prima consegue dal fatto che una eccessiva raccolta di luce dalle stelle molto luminose conduce i singoli pixels del dispositivo CCD nella condizione di saturazione, dove, raggiunto il numero massimo di elettroni ivi contenibili e generati dall’effetto fotoelettrico nel semiconduttore, viene perduta ogni informazione ottenibile sulla risoluzione in energia; 2) la seconda si realizza in un probabile effetto di smearing (trascinamento) dell’immagine stellare ottenuta se il tempo di esposizione della camera è lungo rispetto al tempo caratteristico del sistema: in questo modo l’immagine “mossa” della stella è conseguenza dello spostamento della piattaforma stessa durante la fase di correzione del puntamento. 23 8. LO STAR SENSOR DI HiPeG Il sensore stellare sviluppato presso il CNR di Pisa si compone dunque di una parte hardware ed una software, entrambe interagenti nel determinare il grado di precisione ed affidabilità finali. La parte hardware comprende un contenitore di acciaio inox a tenuta stagna contenente al suo interno una struttura di alluminio supportante l’unità computerizzata e lo chassis del rivelatore a stato solido (CCD) impiegato, dotato di un otturatore per la regolazione del tempo di esposizione e di un’ottica da obbiettivo fotografico standard f/4 di focale di 105 mm.. In condizioni operative il contenitore sarà riempito di gas inerte (azoto) in grado di assicurare scambio termico ed evitare fenomeni di condensazione interna del vapore acqueo dovuti alle basse temperature presenti all’esterno dell’involucro alla quota di galleggiamento della gondola. Figura 23 – Lo star sensor prima dell’assemblaggio finale: è visibile la camera digitale fornita di obiettivo montata su di un supporto in alluminio ospitante il computer e la scheda video per la lettura delle immagini; a destra è visibile l’alloggiamento in acciaio inox dotato di finestra ottica. Il computer prescelto è di produzione industriale e dotato di processore Pentium III (900 MHz) soddisfacente la velocità di calcolo richiesta mentre il dispositivo di captazione dell’immagine, comprendente la telecamera digitale, è un SenSys 0400, reperibile anch’esso sul mercato della strumentazione scientifica, ed equipaggiato con una CCD Kodak-KAF 0400 raffreddata grazie all’impiego di una cella di Peltier onde minimizzarne il rumore elettronico. 24 A scopo di precauzione saranno comunque valutati gli andamenti della temperatura all’interno dell’involucro dovuti al riscaldamento resistivo dell’hardware ed è prevista una schermatura che impedisca l’irraggiamento diretto della radiazione solare nell’eventualità di un funzionamento diurno dell’apparecchiatura. La parte principale dello studio condotto presso il CNR di Pisa ha inoltre riguardato lo sviluppo ed il perfezionamento della parte software (nello specifico un programma con codice sorgente compilato in C++) atta al riconoscimento delle sorgenti di luce stellare raccolta sulla superficie della CCD ad alla determinazione dell’assetto della camera stessa (e quindi della gondola) con la precisione richiesta [15]. Il programma si basa essenzialmente su tre distinti algoritmi posti in successione ed in esecuzione sequenziale assieme ad una quarta eventualità, ricalcando lo standard precedentemente descritto: 1) il primo algoritmo è dedicato alla localizzazione delle sorgenti luminose interpretabili come stelle all’interno dell’immagine acquisita; 2) il secondo effettua il riconoscimento delle stesse confrontando pattern triangolari multipli di distanze angolari relative tracciabili tra stelle vicine nell’immagine e le corrispondenti stelle vicine contenute in un opportuno catalogo digitale memorizzato on board (catalogo Hipparcos, selezionabile in diverse librerie di magnitudini stellari, disponibile su pagina web a cura dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) all’indirizzo: http://astro.estec.esa.nl/SA-general/Projects/Hipparcos/hipparcos.html); 3) il terzo, una volta completato il passo precedente con l’attribuzione alle stelle nell’immagine delle reali coordinate possedute rispetto ad il sistema di coordinate equatoriali, attua un inseguimento del puntamento, ossia rileva lo spostamento del campo di vista basando l’analisi di ogni nuova immagine soltanto su quella immediatamente precedente, garantendo così una grande rapidità di calcolo; 4) qualora però non dovesse essere constatata una effettiva “sovrapposizione” delle due suddette immagini, il programma prevede un ritorno al secondo punto per effettuare così nuovamente un riconoscimento da zero (lost in space condition). È stato possibile effettuare un test iniziale dell’algoritmo rilevando immagini acquisite con l’apparecchiatura completa e fissa al suolo impiegando diverse coordinate di puntamento, impostando diversi tempi di esposizione e selezionando cataloghi stellari di magnitudine variabile, potendo in questo modo anche ottenere una curva di calibrazione per le magnitudini strumentali equivalenti che fosse attendibile. A titolo esemplificativo vengono successivamente mostrate due immagini relative a questa modalità di funzionamento del sensore stellare. 25 La Figura 24 mostra la visuale completa di un campo stellare intorno alla stella Vega come si presenta sulla superficie della camera CCD: sono visibili le possibili stelle candidate al riconoscimento prima della selezione dei centroidi identificabili e si può apprezzare la buona risoluzione angolare ottenuta nel caso di due stelle vicine ivi contenute. La didascalia di entrambe le figure riporta i parametri utilizzati per l’ottenimento di tali immagini. Figura 24 – Immagine ottenuta dalla CCD di un campo di vista localizzato nell’intorno della stella Vega. La focale impiegata dall’obiettivo è di 105 mm, il rapporto focale 4. Il tempo di esposizione è di 10 sec. La Figura 25 mostra l’esito della procedura di riconoscimento: sullo sfondo formato dai centroidi rivelati sono stati sovrapposti i numeri formanti il codice identificativo Hipparcos per quelle stelle che sono state riconosciute con successo dall’algoritmo. 26 Figura 25 – L’ immagine di Figura 24 dopo l’esecuzione dell’algoritmo di riconoscimento con l’impiego del catalogo Hipparcos impostato sino a contenere stelle di magnitudine 8: sono visibili le sigle di identificazione delle stelle riconosciute così come i centroidi rimasti senza nome. A completamento della fase pre-operativa dell’assemblaggio dello star sensor potranno essere ottenute le stime d’andamento per gli errori introdotti, ad esempio, durante il calcolo del centroide di un singolo segnale rivelato sulla superficie della camera. Tali incertezze si generano inevitabilmente a causa, in primo luogo, della natura discreta della struttura dei pixels costituenti la CCD, del metodo di calcolo implementato nell’algoritmo e, con origine fisica, per la presenza contemporanea, sul segnale, della componente non sistematica del rumore dovuto alla fluttuazione statistica del numero di elettroni nelle bande del semiconduttore costituente la superficie sensibile della camera. La genuinità di questi andamenti potrà essere verificata con opportune simulazioni numeriche (test Montecarlo) ripetute in funzione dei parametri che caratterizzano le immagini ottenibili per ciascuna stella, quali le dimensioni di questa espresse in numero di pixels illuminati ed il valore dell’intensità luminosa complessivamente misurata in corrispondenza di un fissato livello di rumore. In questo modo, effettuando il calcolo della posizione del centroide su una serie di immagini contenenti stelle simulate in maniera opportuna (shape gaussiano), sarà possibile valutare il grado complessivo di errore propagato sul puntamento e generato dall’interazione software-hardware; si otterrà così un metodo rapido ed efficace per l’ottimizzazione ed il perfezionamento del programma di calcolo dell’assetto. Una serie di test completi eseguito su immagini campione reali, infine, comprendenti tutte le fasi costituenti il vero e proprio riconoscimento stellare ed il calcolo finale dell’assetto di puntamento, permetterà la scelta migliore dei parametri ottici (lunghezza focale, messa a fuoco ed eventualmente variabilità della stessa per compensare gli effetti della presenza di filtri infrarossi durante la misura diurna, apertura dell’obiettivo fotografico) ed energetici (range di magnitudini stellari rivelabili e peso in memoria del corrispondente catalogo di confronto da installare nel computer di bordo, guadagno dell’amplificatore della camera digitale, settaggio del tempo di esposizione e delle soglie poste come parametri esterni all’algoritmo) compatibili al raggiungimento della maggiore precisione esprimibile dall’intero sistema. Il primo test del sistema HiPeG completo, in condizioni operative in atmosfera e su di una rotta trans-mediterranea, è fissato per l’estate 2003 dalla base ASI di Milo (Trapani) ed il recupero è previsto, dopo circa 12 ore di svolgimento della missione, in territorio spagnolo. 27 9. CONCLUSIONI Gli strumenti di osservazione dell’astronomia X e γ nel prossimo futuro si baseranno principalmente su telescopi che sfruttino principi quali la riflessione per incidenza radente o la diffrazione Bragg e Laue per realizzare misure spettrali di sorgenti galattiche ed extragalattiche con elevata risoluzione angolare. In vista di future missioni satellitari per osservazioni nel range X/γ basate su queste metodologie, è in corso un’intensa attività di studio e validazione di prototipi di telescopi tramite palloni stratosferici. HEXIT e CLAIRE sono due esempi di questi sistemi attualmente in fase di sviluppo e perfezionamento per i quali sono richieste specifiche caratteristiche di stabilità del puntamento. In questo ambito si inserisce il progetto ASI denominato HiPeG per la realizzazione di una piattaforma per telescopi ad alta risoluzione angolare per palloni stratosferici. Elementi caratterizzanti di HiPeG sono l’uso del GPS, per la determinazione assoluta dell’assetto, e un sensore stellare di elevata dinamica ed alta frequenza di lavoro per disporre di un ulteriore informazione ad alta precisione sul puntamento del telescopio. Gli studi realizzati presso l’IPCF-CNR per la progettazione del sensore stellare nell’ambito di questo progetto mostrano che è possibile raggiungere le prestazioni di puntamento richieste. Il progetto di sensore stellare presentato in questa relazione è attualmente in fase avanzata di realizzazione. I primi test, sia hardware che software, mostrano che il sistema è in grado di assicurare una precisione di pochi secondi d’arco nella identificazione dei campi stellari. Questa precisione è necessaria per una corretta analisi dei dati del telescopio X denominato HEXIT, attualmente in fase di realizzazione presso l’ osservatorio astronomico di Merate (Milano), e del telescopio γ CLAIRE, attualmente in fase di up-grading per un prossimo nuovo volo su pallone. 28 10. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] http://www.cesr.fr/%7Epvb/MAX/L-imp.html, Les instruments del’astrophysique nuclèaire, Centre d’Etude Spatial des Rayonnements, Toulouse, France (2001). [2] - E. M. Gullikson, Specular reflectivities for grazing-incidence mirrors, X-Ray Data Booklet – Center for X-Ray Optics And Advanced Light Source, Lawrence Berkeley National Laboratory, University of California, Berkeley, California, USA (2001). [3] - P. Laporte, N. Abrosimov, P. Bastie, B. Cordier, G. Di Cocco, J. Evrard, L. A. Gizzi, B. 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