GENTE VENETA | Primo Piano
Mercoledi, 31 Maggio 2006
Un'ape al giorno toglie il medico di torno
Un giorno Giorgio Michieletto, 71 anni, di Trivignano, incontra il suo medico di base, che gli
domanda: «Da chi vai, tu, a farti curare?». E Michieletto risponde: «Come, dove vado? Da te,
sono iscritto da te. Solo che non non ne ho mai avuto bisogno». Non c'è prova migliore di
questa per dire dello stato di ottima salute di questo signore di Trivignano e, soprattutto, della
probabile causa del suo benessere: il veleno delle api. Una passione instillata dallo zio. Nel
senso che Michieletto è un cultore dell'apiterapia, oltre ad essere un grande appassionato di api
e della cultura che le riguarda, nonché un allevatore di questi preziosi insetti. «Tutto ha origine
con mio zio», ricorda Michieletto, pensionato, una vita lavorativa come impiegato tecnico alla
Montedison di Marghera. «Andavo da lui da bambino, a Scorzè. E mi piaceva osservarlo mentre
accudiva i suoi alveari. E? da mio zio che ho cominciato a imparare tutti i benefici delle api».
Oggi la casa di Giorgo Michieletto, nella frazione mestrina, è un piccolo paradiso. Ci si arriva
percorrendo tutta una strada secondaria - quanto basta per allontanarsi da rumori e smog - e ci
si trova avvolti dal verde del giardino e dell'orto. Un pezzo del giardino, cintato, è proprio la "città
delle api". Vi si trovano una ventina di alveari, il che significa più o meno un milione e mezzo di
piccoli volatili che qui hanno posto la loro dimora. Una metropoli al lavoro. Aprendo una di
queste casette c'è l'affollamento di una city all'ora di punta. Tutte al lavoro, tra cera, miele che
cola, nursery affollata, una regina che sembra passeggiare indifferente fra le sue operaie e fuchi
che più pacifici di loro non ce n'è. Meno pacifiche sono le migliaia di femmine: loro pungono. Ma
è una puntura che fa bene, ribadisce Michieletto. Per la moglie un?ape al giorno. E fa bene al
punto che un'ape al giorno toglie il medico di torno: un detto un po' aggiornato che la moglie
dell'apicoltore sperimenta sulla sua pelle. Ogni mattina, infatti, il marito le "applica" un'ape. E
anche con la signora Michieletto gli effetti benefici sono numerosi e persistenti. L'apiterapia, in
effetti, ha una sua lunga storia. La si conosceva e praticava già più di un secolo fa e ancora
oggi è in voga presso molti appassionati cultori, in giro per il mondo. Consiste nello sfruttare le
proprietà terapeutiche del veleno di questi insetti. Perché, dopo la puntura, l?ape muore.
Veleno che arriva attraverso la microscopica e affilatissima cannula posta all'estremità dell'ape
e collegata alla sacca velenifera del suo ventre. La cannula è dotata di micro-uncini che
penetrano nella pelle e ancorano il pungiglione. E' per questo che, dopo aver iniettato il veleno,
l'ape - che cerca di staccarsi e volar via - non ce la fa. E nella foga del suo tentativo, strappa il
pungiglione, lasciando con esso - conficcata nella pelle - una parte dell'intestino. Perciò l'ape,
poco dopo aver punto, muore. Il veleno iniettato - un decimillesimo di grammo (cioè servono
diecimila api per un grammo) - stimola le ghiandole surrenali e, con esse, il sistema
immunitario. I benefici del veleno. Insomma: il veleno ha un'azione antivirale e, si dice, anche
anticancerogena. Inoltre la dilatazione dei vasi capillari fa abbassare la pressione arteriosa. E
infine blocca la trasmissione di impulsi nervosi da una cellula all'altra del sistema
neuro-vegetativo. Tradotto nei suoi effetti: il veleno funziona benissimo contro reumatismi, artriti,
ipertensione, asma bronchiale, psoriasi, eczema, verruche e numerose altre sgradevoli
affezioni. Lo garantisce Giorgio Michieletto e, oltre alla sua espereinza, una significativa
letteratura. Certo, un consulto con il proprio medico e una prova di puntura (per verificare che
non ci sia una comunque rara reazione allergica) sono consigliati. «Le api? felici di pungere».
Michieletto ricorda un suo conoscente, barbiere, guarito da numerose verruche alle mani
proprio grazie alle punture d'ape. Ma potrebbe citare tanti altri casi di patologie e malanni che
hanno trovato una soluzione. Si limita a citare la sua personale esperienza di settantenne in
buona forma, che fatica a ricordarsi di che cosa voglia dire la parola raffreddore. Sul suo tavolo,
in una scatoletta, una decina di api zampettano: attendono, inconsapevoli, che giunga il
momento di pungere la pelle di un umano. «Ma sono sicuramente felici di farlo», sorride
Michieletto.
Giorgio Malavasi
Tratto da GENTE VENETA, n.21/2006
Articolo pubblicato su Gente Veneta
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