Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia Budapest FRA NCIA LIECHTENSTEIN Tirolo SVIZZERA I M P E RO AUST RO - U N G A R I CO Carinzia Tre n tin o Trento Savoia Re d ’U n g her i a Venezia Mantova Croazia DUCATO DI PARMA Ferrara E PIACENZA DUCATO DI MODENA E REGGIO Genova Ravenna DUCATO DI MASSA DUCATO Firenze DI LUCCA I M P E RO REP. DI SAN MARINO O G N R E Corsica (Fr.) lm Ancona GRANDUCATO STATO DI TOSCANA Perugia DE LL A D I PRINC. DI MONACO eto OT TO M A N O a Nizza Lo m bar d o - n Ve D RE G NO Torino CONTEA DI NIZZA Milano S A R D E G N A DI Pi em on t e gno Reg n o az ia Pescara Mare Adriatico CH I E S A Roma Pontecorvo Benevento Napoli S a r d e g na Salerno R E G NO Mare Tirreno D E LLE D UE Cagliari Sardegna S IC I LI E Mar Palermo Ionio Sicilia Mare Catania Mediterraneo Gli Stati italiani prima dell’unificazione Giuseppe Mazzini esule ritratto insieme ad alcuni bambini. 8.1 Le nuove idee sul «Risorgimento» dell’Italia La situazione dopo il fallimento delle prime rivolte liberali In Italia, i tentativi di ribellione all’ordine stabilito dal Congresso di Vienna furono un fallimento sia nel 1820-1821 che nel 1830. I patrioti italiani, sia liberali sia democratici, si interrogarono sul motivo di quelle sconfitte. Era accaduto, purtroppo, che l’attività delle società segrete aveva coinvolto solo una piccola minoranza della popolazione italiana (borghesi e intellettuali). La gran parte del popolo, invece, era troppo impegnata ad affrontare i problemi quotidiani legati alla semplice sopravvivenza. L’Italia era un paese di contadini e di pochi operai, impiegati nelle prime fabbriche, diffuse soprattutto al Nord: gli uni e gli altri, di solito, erano poveri e analfabeti e incapaci di interessarsi alle nuove idee politiche. La stessa borghesia era numericamente troppo esigua per fare massa sufficiente in opposizione agli interessi dei ceti più conservatori. Tutto ciò si innestava su una situazione politica generale per niente favorevole alle novità. Tra anni Trenta e Quaranta, infatti, gli Stati italiani seguirono una politica di continuità con i principi della Restaurazione. Solo in Toscana e in Piemonte emersero timidi segnali di tolleranza liberale. L’immobilismo era quasi totale anche nella cultura, mentre in economia i progressi erano appena accennati. Solo nel Lombardo-Veneto e in Piemonte l’agricoltura adottò nuovi metodi di conduzione della terra, e in queste stesse regioni, più in Toscana, trovarono impulso le costruzioni ferroviarie, il commercio e il settore bancario. Ovunque, l’industria era gravemente carente di macchinari moderni e la mancanza di un mercato nazionale rappresentava un grosso ostacolo allo sviluppo produttivo della penisola. Appariva evidente che una rinascita dell’Italia sarebbe stata avviata solo con idee e mezzi nuovi e più efficaci: che avrebbero garantito un rinnovato sviluppo politico, economico e sociale; che avrebbero riportato il paese ai fasti del tempo passato, quando la penisola era libera dalla dominazione straniera; che avrebbero dato agli italiani il giusto senso della loro identità nazionale, della comunanza di lingua, di religione e tradizioni; che avrebbero saputo coniugare le istanze politiche più propriamente liberali e democratiche con quelle nazionali. Si cominciò così a parlare di «Risorgimento» d’Italia. L’Italia, si diceva, poteva e doveva «risorgere» a nuova e gloriosa esistenza, lasciandosi alle spalle il decadimento che la colpiva almeno dal Seicento. Il progetto repubblicano di Giuseppe Mazzini Uno dei più importanti pensatori che cercarono di fondare su basi nuove il movimento per la liberazione dell’Italia dai regimi assolutistici e dal dominio straniero e la sua trasformazione in uno Stato moderno fu Giuseppe Mazzini . Nato a Genova nel 1805 da una famiglia borghese, egli aveva aderito alla Carboneria nel 1827 e appena tre anni dopo era stato arrestato, processato ed esiliato dal Piemonte. A Marsiglia era entrato in contatto con l’emigrazione politica italiana e le principali correnti di pensiero europee dell’epoca; successivamente, a Ginevra e Londra Mazzini aveva elaborato compiutamente le proprie teorie. Il pensiero mazziniano aveva solide radici democratiche, unite alla consapevolezza che l’Italia andava liberata dall’ingerenza austriaca. Egli intendeva diffondere gli ideali di amore per la patria e la libertà, ma aveva anche compreso che le rivolte guidate da società segrete, composte da un numero ristretto di aderenti e senza scopi chiari a tutti, erano destinate al fallimento: innanzitutto per la debolezza militare e strategica di fronte alle forze della Santa Alleanza, ma anche perché non erano adeguatamente sostenute dal popolo. A Giuseppe Mazzini. Fortissimo era inoltre in Mazzini il senso religioso del suo compito. Il rivoluzionario e il popolo che egli guidava agivano entrambi perché investiti di una missione divina e quindi in ottemperanza al disegno di Dio sugli uomini. L’uomo stesso, la famiglia di cui faceva parte, la nazione di cui era membro e l’umanità tutta avevano il dovere di operare assieme per il bene comune. Quanto alle esigenze dei ceti più bisognosi, Mazzini rifiutava la lotta di classe e affermava che i lavoratori avrebbero migliorato le loro condizioni di vita attraverso la cooperazione e il mutuo soccorso. Mazzini sognava di costruire un’Italia «una, libera, indipendente e repubblicana». Un’Italia dalla forte identità nazionale, che a sua volta si sarebbe messa alla testa della lotta di tutte le nazioni oppresse. Per realizzare il suo scopo, Mazzini nel 1831 fondò una società e una rivista, alle quali diede lo stesso nome: La Giovine Italia. Essa si rivolgeva a tutti i cittadini e rendeva noto apertamente agli iscritti il proprio obiettivo: l’insurrezione popolare, di tutto il popolo, senza distinzioni di classe e senza l’appoggio dei sovrani, contro i regimi assolutistici e contro Vienna. L’Italia finalmente liberata sarebbe diventata una repubblica unita in un solo Stato (Mazzini rifiutava il federalismo). [Testimonianze documento 5, p. 222] La teoria mazziniana dovette però fare presto i conti con la realtà. La Giovine Ita- © Loescher Editore – Torino 194 1760 Risorgimento: termine con cui si cominciò ad indicare il processo di liberazione dell’Italia dal dominio straniero e il raggiungimento della sua unità politica. Si trattava, infatti, di far «risorgere» il nostro paese dopo secoli di divisioni e di dominazioni straniere. Album p. 212 Tweet Storia p. 358 © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 195 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia Il federalismo dei moderati: Cattaneo, Gioberti e Balbo Il primo incontro fra Garibaldi e Mazzini nel 1833. Carlo Cattaneo durante le cinque giornate di Milano. lia si affermò e diffuse nell’intera penisola, ma soprattutto nelle città del Centro-nord, e raccolse i suoi aderenti tra tutti i ceti urbani, dalla borghesia agli operai. Ne rimasero però esclusi i contadini. Inoltre, i numerosi tentativi insurrezionali organizzati in Piemonte negli anni Trenta fallirono miseramente. Altrettanto accadde ai moti organizzati al principio degli anni Quaranta nello Stato pontificio. La conferma della debolezza e dell’isolamento dei democratici mazziniani giunse nell’estate 1844, in Calabria. I due fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera, animati dal sogno di sollevare i poveri contadini di quelle terre e fondare una repubblica, sbarcarono presso Crotone con soli 19 compagni. Contrariamente a quanto sperato, i contadini aiutarono i soldati a catturare i rivoltosi, probabilmente scambiandoli per briganti: furono tutti condannati a morte. Giuseppe Garibaldi: un uomo d’azione Altro grande protagonista degli eventi di quest’epoca fu Giuseppe Garibaldi. A differenza dei borghesi che si radunavano nelle società segrete e progettavano ribellioni contro il dominio austriaco e le monarchie assolute italiane, Garibaldi non era un intellettuale, ma un uomo d’azione, abituato a combattere. Nato nel 1807 a Nizza (all’epoca città appartenente all’impero francese, ma poi dal 1815 passata sotto l’amministrazione dei Savoia), animato da idee repubblicane e amico di Mazzini, dovette fuggire in America Latina nel 1834 dopo un’insurrezione fallita a Genova, alla quale aveva partecipato come marinaio arruolato sulle navi del Regno di Sardegna. Negli anni successivi combatté a fianco dei democratici in Brasile e Uruguay e si fece notare per il coraggio e la capacità di guidare alla vittoria reparti armati formati da volontari. Nel 1843 organizzò una «Legione italiana» formata da molti esuli italiani, che adottarono come divisa una camicia rossa. Con questo reparto praticò con successo la guerriglia, cioè la guerra combattuta con azioni rapide, agguati, piccole vittorie e veloci ritirate. Nel 1848, alla notizia delle rivoluzioni che sconvolgevano l’Europa, Garibaldi rientrò dal Sudamerica accompagnato da una vasta fama, ormai pronto a diventare una delle figure decisive nella lotta dell’Italia per il raggiungimento dell’indipendenza. Mentre Mazzini e Garibaldi si misuravano con il fallimento delle azioni insurrezionali di stampo democratico, prendeva piede una corrente di pensiero più moderata, che ebbe i suoi principali esponenti in Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti e Cesare Balbo. Lo studioso ed economista milanese Carlo Cattaneo, creatore della rivista «Il Politecnico», era sfavorevole all’unificazione della penisola in un solo Stato. Riteneva infatti che le divisioni del nostro paese fossero durate troppo a lungo e avessero lasciato un segno troppo profondo sulla vita e sulla cultura delle diverse regioni d’Italia. Egli confidava in graduali riforme politiche dei governi locali e nel progresso economico della penisola, che avrebbero facilitato la creazione di una federazione tra Stati – sul modello degli Stati Uniti d’America – in forma di repubblica. Vincenzo Gioberti, un sacerdote piemontese, pubblicò nel 1843 l’opera Del primato morale e civile degli italiani, in cui illustrava la superiorità italiana nel consesso delle nazioni, dovuta alla coesione data dalla fede cattolica e dalla presenza del papato. Anche Gioberti era favorevole alla nascita di una federazione tra gli Stati italiani, ma proponeva che a capo di essa fosse posto proprio il papa. Egli pensava infatti che, grazie al legame creato dal cattolicesimo tra le popolazioni italiane, il magistero della Chiesa avrebbe potuto imporsi con naturale autorevolezza a tutta la penisola. Il progetto di Gioberti ebbe grande successo tra i borghesi cattolici liberali che, con palese riferimento al Medioevo, vennero chiamati «neoguelfi» . [Testimonianze documento 6, p. 222] Per Cesare Balbo, anch’egli piemontese e autore nel 1844 de Le speranze d’Italia, l’Italia federale doveva essere guidata dai Savo- Vincenzo Gioberti. Cesare Balbo. ia e dal Piemonte, che avrebbero promosso l’unione doganale e militare con tutti gli Stati della penisola e spinto Vienna a spostare i suoi interessi egemonici verso i Balcani e le regioni centro-orientali dell’Europa. Questi tre pensatori avevano in comune la convinzione che la libertà dell’Italia non doveva essere raggiunta con la rivolta popolare o con la guerra all’Austria, ma attraverso accordi tra Stati, cioè per via diplomatica. Inoltre, non cercavano per l’Italia l’unità a tutti i costi, ma si accontentavano di una federazione, che a molti abitanti della penisola appariva in effetti una soluzione realistica e raggiungibile. Solo Cattaneo, infine, propugnava il «pericoloso» ideale repubblicano: Gioberti e Balbo, più rassicuranti per l’opinione pubblica liberale, rimanevano ancorati al principio monarchico. Nel complesso, per tutti questi motivi, possiamo considerare i tre pensatori appena menzionati dei moderati. Le proposte dei patrioti italiani Mazzini Cattaneo Gioberti Balbo Repubblica unitaria Confederazione di Stati con forma repubblicana Confederazione di Stati presieduta dal papa Confederazione di Stati presieduta dal Piemonte © Loescher Editore – Torino 196 1760 neoguelfi: i seguaci della linea di pensiero e azione politica che si riallaccia idealmente al guelfismo medievale, il quale attribuisce al papato un’importante funzione politico-sociale per il trionfo della causa nazionale italiana. © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 197 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione 8.2 Le rivolte del 1848 e la Prima guerra d’indipendenza 1846-1848: due anni di riforme in Italia p. 60 amnistia: provvedimento legislativo con cui lo Stato rinuncia ad applicare una pena nei confronti di persone che si siano macchiate di particolari categorie di reati. Nel 1848, mentre a Parigi, Berlino, Vienna, Praga, Budapest le popolazioni in rivolta contro l’ordine della Restaurazione, contro le monarchie assolute e contro le dominazioni straniere facevano sentire la propria voce, anche in Italia si accesero i fuochi della ribellione. In realtà, tra 1846 e 1848 in alcuni Stati della penisola erano state concesse importanti riforme. Nel 1846 il nuovo papa Pio IX, aveva introdotto nello Stato pontificio una certa libertà di stampa, amnistiato alcuni prigionieri politici, ridotto i controlli di polizia e affidato ai laici alcune funzioni amministrative. Queste iniziative avevano fatto pensare, erroneamente, che il nuovo pontefice fosse favorevole ai liberali e ai patrioti, e avevano suscitato un grande entusiasmo nell’intera opinione pubblica nazionale. In particolare, guardavano al papa i «neoguelfi» di ispirazione giobertiana. Nel 1847, la Toscana aveva istituito una Consulta di Stato formata da rappresentanti dei territori scelti dalle autorità, mentre il Piemonte aveva concesso una moderata libertà di stampa e la formazione di consigli comunali elettivi. In novembre, lo Stato della Chiesa, il granducato di Toscana e il Regno di Sardegna avevano eliminato le imposte doganali che pesavano alle loro frontiere sulla libera circolazione delle merci. Era un provvedimento favorevole agli interessi della borghesia imprenditoriale, che mal sopportava che i commerci fossero gravati da dazi interni al territorio italiano. Al principio del 1848, poi, gli eventi subirono una decisa accelerazione. A metà gennaio, nel Regno delle Due Sicilie scoppiò una rivolta a larga partecipazione popolare che costrinse il re Ferdinando II a concedere una Costituzione ispirata a quella francese del 1830. In febbraio, sulla spinta di quanto accaduto nel Meridione e sotto la pressione di manifestazioni popolari e opinione pubblica moderata, anche il re di Sardegna Carlo Alberto, il granduca di Toscana Leopoldo II e infine il papa concessero delle Costituzioni, accettando di istituire dei parlamenti elettivi e di limitare così i propri poteri. Quando però a metà marzo scoppiarono le rivoluzioni in tutta Europa, fu chiaro che queste pur notevoli riforme non erano sufficienti; infatti proprio questi progressi suscitarono la speranza di potersi liberare presto dal dominio degli austriaci e di formare un’Italia libera e unita. Daniele Manin proclama la Repubblica di Venezia, 23 marzo 1848, Venezia, Museo del Risorgimento. Josef Radetzky Venezia e Milano si ribellano agli Asburgo Alle popolazioni dell’Italia settentrionale sottomesse al controllo austriaco non bastava assistere ai progressi delle idee liberali nel resto dell’impero. La rivolta di cechi e magiari rappresentava per gli abitanti del Lombardo-Veneto uno stimolo potentissimo alla ribellione. Il 17 marzo 1848 insorse Venezia e gli austriaci furono costretti a liberare i prigionieri politici. All’insurrezione si unirono gli operai dei cantieri navali e i reparti italiani della marina asburgica; nel giro di pochi giorni, di fronte alla crescente ostilità popolare, i soldati di Vienna abbandonarono la città. Dal 18 al 22 marzo, in cinque giornate di furiosi combattimenti iniziate con l’assalto al palazzo del governo, Milano cacciò le truppe del generale Josef Radetzky, che decise di rifugiarsi nel cosiddetto «Quadrilatero», formato dalle fortezze di Mantova, Verona, Legnago e Peschiera. Fondamentale, durante gli scontri con le truppe austriache per le vie di Milano, fu l’apporto di tutti i ceti popolari. D5 Borghesi, artigiani, operai, uomini e donne, adulti e ragazzi si batterono fianco a fianco sulle barricate, senza più distinzioni di classe. La rivolta si estese anche a Parma e Modena, dove i sovrani imposti dagli stranieri furono cacciati. Nelle città liberate, si formarono governi provvisori guidati da patrioti e repubblicani. A Milano il governo provvisorio nacque il Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia B. Verazzi, Combattimenti a palazzo Litta, Milano, Museo del Risorgimento. 22 marzo: era guidato dal liberale moderato Gabrio Casati, filo-piemontese favorevole all’annessione al Regno di Sardegna. Forte però, soprattutto nel consiglio di guerra che aveva condotto la rivolta, era la presenza di democratici repubblicani come Carlo Cattaneo, federalista e contrario all’unione alla dinastia dei Savoia. A Venezia il governo provvisorio sorse il 23 marzo e fu guidato dai democratici repubblicani Daniele Manin e Niccolò Tommaseo. Il successo delle rivolte aveva riempito di entusiasmo migliaia di italiani, ma le città liberate non potevano sperare di resistere a lungo alla forza militare dell’impero austriaco: tutti invocavano l’intervento del re di Sardegna e del suo esercito. La Prima guerra d’indipendenza Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria, spinto principalmente dalla speranza di espandere il proprio regno. Tra i motivi che lo indussero all’azione vi erano però anche la pressione a corte dei liberali piemontesi e il desiderio di impedire che l’agitazione repubblicana si allargasse senza controllo a partire dal LombardoVeneto. La stessa preoccupazione per le sorti dei regimi monarchici e il fermento delle rispettive opinioni pubbliche liberali spinsero ad unirsi alla lotta antiaustriaca anche Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e © Loescher Editore – Torino 198 1760 Dossier 5 p. 336 © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 199 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione Genova DI PARMA DUCATOv DI MODENA REPUBBLICA DI SAN MARINO Firenze 1848 Livorno 1849 G R A N D U C ATO DI TOSC A N A STATO o c Ligure ti 1760 Ravenna Mar Ancona DELLA CHIESA REGNO DELLE fr a Insurrezioni e governi provvisori Austriaci n ce s i Mar Tirreno DUE SICILIE nici b o rb o Roma 1849 Velletri Piemontesi te di durissimi combattimenti. La sconfitta toccò anche i territori pontifici insorti, da Bologna a Ferrara, dalla Romagna alle Marche. I patrioti vennero ovunque arrestati o fuggirono in esilio, mentre le Costituzioni e le riforme concesse dai sovrani negli ultimi tre anni furono ritirate. In breve, alla fine dell’estate 1849 l’Italia era tornata alla situazione precedente al 1846. Solo in Piemonte la Costituzione, detta Statuto Albertino e ispirata alla Carta francese del 1830, rimase in vigore e lo Stato divenne, a tutti gli effetti, una monarchia costituzionale, anche se ancora di stampo piuttosto moderato. Lo Statuto, infatti, prevedeva la creazione di una Camera dei Deputati eletta su base censitaria molto ristretta e di un Senato di nomina regia, composto soprattutto da aristocratici, membri del clero e personalità eminenti del regno. In più affermava la stretta dipendenza del governo dal sovrano, che sceglieva i ministri. Con tutto ciò, lo Statuto Albertino, destinato poi a diventare la Carta costituzionale dell’Ita- © Loescher Editore – Torino 200 Venezia Repubblica, marzo 1848agosto 1849 a Dopo la definitiva sconfitta piemontese a Novara, nel marzo 1849, Venezia e Firenze furono attaccate dagli austriaci: la Repubblica toscana si arrese in luglio, mentre la città lagunare cadde alla fine di agosto, dopo ben cinque mesi d’assedio. Brescia si era sollevata in coincidenza con la ripresa delle operazioni da parte di Carlo Alberto, e la sua rivolta era stata guidata dai democratici: si arrese agli Asburgo dopo dieci giorna- R E G NO DI SARDEGNA Verona Peschiera Custoza Goito Legnago Mantova QUADRILATERO Curtatone Montanara DUCATO ri Lo Statuto Albertino: un’eccezione al ritorno della conservazione Torino Vicenza 1848 d La sconfitta di Custoza aveva deluso profondamente i liberali italiani, che speravano in una rapida annessione dei loro regni al Piemonte e nella cacciata dei sovrani legati all’Austria. Il fallimento sabaudo ridiede anzi fiato alla componente democratica del movimento patriottico e tra 1848 e 1849 a Venezia, Firenze e Roma ancora in rivolta fu proclamata la repubblica. A Roma, nell’estate del 1848, dopo l’armistizio tra piemontesi e austriaci, Pio IX aveva cercato di ritirare le concessioni fatte negli ultimi anni e fu invece costretto a rifugiarsi a Gaeta, presso la corte di Ferdinando II. Nella capitale dello Stato pontificio accorsero Mazzini e Garibaldi, che nel gennaio 1849 divennero membri della nuova Assemblea costituente, eletta a suffragio universale maschile. Il 9 febbraio fu dichiarato decaduto il potere temporale dei pontefici e nacque la Repubblica Romana, Boffalora Milano Brescia Pastrengo 1848 1849 Novara A Tweet Storia p. 358 La breve parabola della Repubblica Romana IMPERO AUSTRO-UNGARICO r Vittorio Emanuele II. tentarono di mettersi alla guida dei moti rivoluzionari che ancora infiammavano la penisola. Tuttavia, furono sconfitti a Novara il 22-23 marzo 1849. Di conseguenza, lo stesso re Carlo Alberto rinunciò al trono in favore del figlio Vittorio Emanuele II, che firmò un nuovo armistizio. La Prima guerra d’indipendenza era perduta e gli austriaci ripresero il controllo dell’Italia. SVIZZERA a pp. 146, 218, 316 Pio IX. La guerra sabauda divenne così inaspettatamente la Prima guerra d’indipendenza d’Italia: una svolta ben simboleggiata dall’uso in battaglia del tricolore bianco, rosso e verde, con al centro lo stemma di casa Savoia. Le truppe piemontesi, sostenute dalle forze regolari dei regni italiani alleati e da volontari provenienti da ogni parte della penisola, sconfissero il nemico a Pastrengo e Goito, mentre nel mese di maggio cadeva anche l’importante fortezza di Peschiera. Ma le esitazioni di Carlo Alberto diedero agli austriaci il tempo di riorganizzarsi, mentre con un improvviso voltafaccia i sovrani di Napoli, Firenze e Roma ritirarono le loro truppe. Accusavano infatti il Piemonte di perseguire una strategia apertamente annessionista e di mettere così in pericolo gli equilibri politici della penisola. Oltre a ciò, il papa si trovava in grande imbarazzo nel combattere contro una potenza cattolica come l’Austria. Ricevuti rinforzi, gli Asburgo sconfissero tra il 23 e il 25 luglio i piemontesi a Custoza, presso Verona, e li costrinsero alla ritirata. Milano fu rioccupata e il 9 agosto Carlo Alberto firmò l’armistizio con l’Austria, sospendendo la guerra e rientrando nei confini tra Piemonte e Lombardia, segnati dal fiume Ticino. Pochi mesi più tardi i sabaudi attaccarono di nuovo. Insoddisfatti delle dure condizioni di pace che Vienna voleva imporre loro, La Prima guerra d’indipendenza (1848-1849) M G. Fattori, La battaglia di Custoza, 1876-1880, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. retta da un triumvirato di cui faceva parte lo stesso Mazzini. Ma la città fu attaccata in giugno da truppe francesi, inviate in soccorso del papa da Napoleone III, e da truppe borboniche, provenienti dal Sud. Mentre Roma era sotto assedio, i patrioti che animavano la Repubblica annunciarono che avrebbero praticato la «democrazia pura», incamerarono i beni ecclesiastici utilizzandoli per il sostegno ai ceti più deboli e progettarono una profonda riforma agraria. Soprattutto, approvarono una Costituzione basata su principi democratici molto avanzati che rappresentava un importante precedente, incarnando un’alternativa alle Costituzioni di stampo liberale elargite dai sovrani dell’epoca. In essa si affermava che tutti i cittadini avevano diritto di voto e che la Repubblica veniva fondata sulle idee di sovranità del popolo, di uguaglianza, libertà e fraternità. Altri principi fondamentali: «La Repubblica con le leggi e con le istituzioni promuove il miglioramento della condizioni morali e materiali di tutti i cittadini» (terzo principio); «la Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli; rispetta ogni nazionalità; propugna l’italiana» (quarto principio). Nel settimo principio, infine, si affermava il diritto alla libertà religiosa: «Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici». Così, nella Roma guidata da Giuseppe Mazzini, si procedette alla laicizzazione dello Stato. Si assicuravano inoltre le libertà di pensiero, espressione e riunione. La Costituzione della Repubblica Romana fu varata il 3 luglio 1849, nello stesso giorno in cui la città, dopo una valorosa e sanguinosa resistenza, si sottometteva alle assai superiori forze di Napoleone III. Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia pp. 60, 314 Tweet Storia p. 358 © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 201 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione 8.3 La politica di Cavour e l’ascesa del Regno di Sardegna La situazione politica dell’Italia all’indomani del 1848 Frontespizio dello Statuto Albertino, promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848. lia unita, rappresentava una novità radicale per le vicende politiche della penisola. Basti ricordare che il cattolicesimo vi era proclamato «religione di Stato», ma che venivano tollerate anche le altre religioni. Le sconfitte del 1848-1849 riportarono il pensiero dei patrioti italiani ai fallimenti del 1820 e 1830. Ma anche se nel 1849 tutta l’Italia sembrò tornare al passato, un fatto nuovo e importante era avvenuto: per la prima volta, infatti, le sollevazioni avevano coinvolto le popolazioni. L’Italia unita e governata da un potere non dispotico non era più l’ideale di pochi intellettuali, ma cominciava a diventare, almeno nel Settentrione e nel Centro della penisola, un’aspirazione di popolo. Si trattava, tuttavia, di quella parte di popolo che abitava le città; e, nel complesso, l’apporto più schiettamente popolare, sommato a quello borghese, non era ancora sufficiente a ribaltare i rapporti di forza a favore di chi combatteva austriaci e monarchi assoluti. Affinché ciò avvenisse era necessario l’aiuto delle masse contadine, componenti la stragrande maggioranza degli abitanti della penisola e ancora lontane dagli ideali risorgimentali. Dopo le sconfitte del 1848-1849, i patrioti italiani potevano sperare solo nella protezione del Regno di Sardegna guidato da Vittorio Emanuele II. Esso era infatti l’unico Stato in cui veniva concessa una certa libertà di pensiero e di espressione, e i rifugiati politici in Piemonte provenienti dal resto della penisola furono non meno di 20.000. Nella parte rimanente d’Italia fu imposta una forte repressione di ogni forma di pensiero e di azione politica, e furono in particolare dure le reazioni del potere negli Stati in cui si tornò all’assolutismo più retrivo. Nel Regno delle Due Sicilie si verificarono arresti, condanne a morte, esili per molti patrioti e vennero schiacciati i conati autonomistici siciliani. Nello Stato pontificio, Pio IX revocò ogni riforma e chiuse il dialogo con i ceti liberali del paese. Nel Lombardo-Veneto, l’Austria tornò a esercitare un controllo pieno, reprimendo il dissenso politico e gravando di misure fiscali sempre più pesanti la parte più produttiva della popolazione. Ovunque – anche in Toscana, che in passato si era mostrata tollerante – le autorità chiusero le porte all’opposizione politica e il distacco tra regimi al potere e classe borghese liberale o democratica si ampliò. Cavour al potere: primo ministro del Regno di Sardegna Nonostante la sconfitta patita nella Prima guerra d’indipendenza, il Piemonte rimaneva l’unica forza realisticamente in grado di guidare il movimento di liberazione e unificazione d’Italia. Ma gli stessi eventi bellici avevano dimostrato che, per sostenere validamente le sue pretese, il piccolo regno governato da Vittorio Emanuele II doveva molto rafforzarsi, non solo militarmente. Il compito fu assunto prima dal moderato Massimo d’Azeglio, alla guida di un esecutivo che procedette alla modernizzazione dello Stato in campo economico e sociale, per esempio con le famose «leggi Siccardi», (dal nome del ministro che le propose) che limitavano o abolivano i tradizionali privilegi della Chiesa, dai tribunali separati alle esenzioni fiscali. A Massimo d’Azeglio subentrò Camillo Benso conte di Cavour, proprietario terriero ma anche uomo d’affari. Formatosi nel corso di lunghi viaggi per l’Europa e pieno di interessi per le innovazioni tecniche, divenne primo ministro del regno nel novembre 1852 e lo guidò fino al 1861, anno della sua morte. Cavour era un convinto liberale e sosteneva la necessità di porre l’Italia sotto la guida di una monarchia costituzionale e parlamentare sul modello inglese. Essa avrebbe garantito i diritti civili e politici fondamentali e la libertà economica di avviare nuove imprese e commerciare senza barriere doganali tra regione e regione. Lo sviluppo produttivo avrebbe assicurato più benessere a tutti, mentre i governi liberali sarebbero venuti incontro con graduali riforme ai bisogni degli strati più deboli della popolazione. A parere di Cavour, era questo l’unico modo per evitare tensioni sociali rivoluzionarie. Proprio a tale fine promosse, nell’ambito del Parlamento piemontese, una politica d’intesa tra i liberali più aperti e i democratici più moderati. Era la cosiddetta «politica del connubio», che permise a Cavour di contare su un’ampia maggioranza alle Camere e di fare proprie le istanze sociali più ragionevoli, isolando così le ali estreme tanto del fronte conservatore quanto del fronte progressista. In questo quadro politico-istituzionale, particolare importanza ebbero nell’azione di governo cavouriana l’economia e i rapporti internazionali. Secondo Cavour, solo un Piemonte ricco e un’attenta scelta delle alleanze avrebbero infatti permesso ai Savoia di mettersi alla guida del Risorgimento d’Italia, anche a costo di giungere a un nuovo scontro con l’Austria. La politica economica di Cavour e i rapporti tra la Chiesa e lo Stato Cavour si dedicò anzitutto al rafforzamento dell’economia. Sostenne con leggi efficaci e con accordi internazionali il libero commercio con diversi paesi europei – Francia, Inghilterra, Austria e Belgio – e ridusse o cancellò i dazi che pesavano sulla circola- Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia M. Gordigiani, Il conte Camillo Benso di Cavour, ritratto ufficiale del 1860. zione di merci e persone con l’estero, integrando l’economia piemontese con quella continentale. Di conseguenza, in pochi anni le attività commerciali del regno triplicarono. L’abolizione del dazio sul grano ebbe poi anche importanti effetti sociali, perché portò a un abbassamento del prezzo del pane, genere di prima necessità per i ceti sociali meno abbienti. Cavour sviluppò anche l’agricoltura grazie all’adozione di tecniche innovative, macchinari agricoli e tramite lo scavo di canali di irrigazione. Le vie di comunicazione furono potenziate con la messa in opera di strade e soprattutto delle ferrovie: fu sotto il suo governo che nel giugno 1857 iniziarono i lavori per il traforo ferroviario del Frejus, tra Francia e Italia. D12 Queste misure facilitarono e potenziarono i commerci interni e con l’estero, oltre a dare un deciso impulso alle industrie siderurgica e meccanica, sollecitate alla produzione di locomotive, carrozze e materiale rotabile. Il governo di Cavour stimolò inoltre l’apertura di nuove banche, in grado di sostenere con i loro prestiti chi volesse creare nuove imprese: tra esse, la Banca Nazionale degli Stati sardi svolgeva il ruolo di banca centrale di Stato. Il risultato complessivo dell’azione cavouriana fu sostenere lo sviluppo della bor- © Loescher Editore – Torino 202 1760 Dossier 12 p. 350 © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 203 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione possibilità di successo, sbarcò a Sapri, tra Campania e Basilicata, con circa trecento compagni. Ma i contadini non compresero le sue intenzioni e aiutarono le truppe borboniche a sconfiggerlo. Pisacane si uccise per non cadere prigioniero. Nello stesso mese di giugno, analoghi tentativi insurrezionali fallirono a Genova e a Livorno. Cavour e la politica delle alleanze G. Induno, La battaglia della Cernaia, 1857, Milano, Fondazione Cariplo. ghesia imprenditoriale piemontese, portare l’economia sabauda all’avanguardia in Italia e a ridurre la distanza che ancora la separava dalle avanzate economie dei più importanti paesi d’Europa. Un altro aspetto del rinnovamento messo in atto da Cavour riguardò i rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Il primo ministro si ispirò al principio «libera Chiesa in libero Stato», coniato dal cattolicesimo liberale francese, e volle che nel regno di Sardegna fossero garantiti alla Chiesa i suoi diritti come testimone del Vangelo e promotrice di carità. La Chiesa, però, non doveva interferire nelle questioni politiche, lasciando questo compito alle autorità civili. Allo Stato, a sua volta, Cavour impose la non ingerenza nelle questioni religiose. A tale linea fu ispirata anche la successiva politica del Regno d’Italia. I risultati interni ottenuti da Cavour negli anni del suo governo furono la migliore dimostrazione che un regno costituzionale e liberale poteva fare molto per il benessere dei suoi sudditi. Fu allora che il Piemonte conquistò definitivamente le simpatie dei patrioti italiani, appuntando su di sé le speranze di quanti lottavano per liberare la penisola dal dominio straniero e unirla in un solo Stato. La ripresa e il fallimento dei moti democratici mazziniani Tweet Storia p. 358 Mentre il Regno di Sardegna si rafforzava, il Nord dell’Italia subiva il controllo diretto o indiretto dell’Austria e nel Centro-sud permanevano i regimi conservatori. In quegli anni fallirono anche gli ultimi tentativi insurrezionali ispirati dai seguaci di Mazzini, il quale si trovava in esilio a Londra e rimaneva fedele alla convinzione che solo un potente fremito rivoluzionario avrebbe potuto cambiare le sorti dell’Italia. Il 7 dicembre 1852, cinque patrioti mazziniani furono impiccati a Belfiore, vicino a Mantova, mentre nel Lombardo-Veneto vennero arrestati e condannati alla prigionia molti altri membri della sua organizzazione, che ne fu gravemente compromessa. Nel febbraio 1853, un tentativo insurrezionale scoppiato a Milano fu facilmente represso dagli austriaci. Convinto di doversi dare un’organizzazione più capillare, Mazzini in quello stesso anno fondò a Ginevra il Partito d’Azione. Contemporaneamente, cercò di allargare la base dei suoi simpatizzanti agli operai: creò quindi nel Regno di Sardegna, dove vigeva la libertà d’associazione, numerose società di cooperazione e mutuo aiuto tra i salariati. A causa dei continui insuccessi, la leadership di Mazzini veniva però messa in discussione all’interno dello stesso movimento democratico, da parte di chi voleva allearsi con le forze liberali o di chi, al contrario, premeva per una più forte apertura alle istanze socialiste. Il fallimento definitivo del movimento mazziniano si ebbe nel 1857. Nel giugno di quell’anno, il napoletano Carlo Pisacane , convinto assertore della necessità di sollevare i contadini per dare alla rivoluzione una L’unica soluzione restava dunque un Risorgimento d’Italia guidato dal Regno di Sardegna. Ma secondo Cavour il Regno sabaudo avrebbe potuto agire solo con l’appoggio delle potenze europee meno legate all’Austria: l’Inghilterra e soprattutto la Francia di Napoleone III, che voleva conquistare una posizione egemone in Europa e che, per raggiungere tale obiettivo, doveva prima ridimensionare la potenza asburgica. Per stringere un legame con questi paesi, Cavour compì una mossa coraggiosa. Nel 1853 scoppiò la guerra di Crimea, che contrapponeva alla Russia un’alleanza composta da Francia, Inghilterra e Turchia. Nel 1855, il regno di Sardegna entrò in guerra al fianco di Londra, Parigi e Istanbul e inviò sul teatro dei combattimenti un corpo di spedizione di 18.000 soldati: comandati dal generale Alfonso La Marmora, essi si comportarono valorosamente nella battaglia sul fiume Cernaia e diedero un importante contributo alla vittoria della coalizione. Nel 1856 la guerra finì e al congresso di pace di Parigi il ruolo del Regno di Sardegna fu riconosciuto apertamente. Cavour ottenne in questo modo di portare il Piemonte al rango di media potenza europea e poté illustrare al consesso internazionale, con il favore di Francia e Inghilterra, il problema del dominio straniero sulla penisola. Nei due paesi europei cominciarono a diffondersi idee favorevoli all’unità d’Italia. Cavour poté inoltre contare sul grande timore che le continue iniziative mazziniane suscitavano nelle cancellerie europee. Il Piemonte, sosteneva il primo ministro, era un elemento d’equilibrio, mentre l’arretratezza dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie costituiva un profondo fattore d’instabilità, che avrebbe potuto generare moti rivoluzionari pericolosi per tutto il continente. Questa opinione apparve tanto Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia più verosimile quando, nel gennaio 1858, il repubblicano Felice Orsini attentò senza successo alla vita di Napoleone III. Il gesto terroristico, dettato dalla volontà di vendicare l’appoggio francese a Pio IX nel soffocare la Repubblica Romana, indusse il sovrano a un’azione più decisa sul fronte italiano. Si giunse così, nel luglio 1858 e dopo intense trattative, all’accordo segreto di Plombières tra Napoleone III e Cavour. Tale accordo prevedeva alcune condizioni fondamentali: • la Francia sarebbe intervenuta a sostegno del Regno di Sardegna nel caso in cui questo fosse stato attaccato dall’Austria; • la Francia avrebbe riconosciuto al Regno di Sardegna il diritto di fondare un Regno dell’Alta Italia, libero dal controllo dell’Austria e comprendente il Lombardo-Veneto e l’Emilia-Romagna; • sarebbero invece stati rispettati i confini del Regno delle Due Sicilie, che però sarebbe stato sottratto ai Borboni. Lo Stato Pontificio si sarebbe ridotto al Lazio, mentre Toscana, Umbria e Marche si sarebbero unite in un Regno dell’Italia Centrale affidato a un Bonaparte (su tutti questi territori la Francia sperava di esercitare il suo controllo, sostituendosi in tale ruolo all’Austria); • al papa sarebbe stata offerta la presidenza della confederazione italiana; • infine, in cambio del suo aiuto, il Regno di Sardegna avrebbe ceduto alla Francia Nizza e la Savoia. Con gli accordi di Plombières tutto era pronto per riprendere la guerra contro l’Austria e rimettere in moto il processo risorgimentale italiano. © Loescher Editore – Torino 204 1760 L. Huard, Grande carica delle Guardie Reali sulle alture dell’Alma durante la guerra di Crimea, 1854, Londra, National Army Museum. © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 205 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia G. Fattori, Carica di cavalleria a Montebello, 1862 circa, Firenze, Galleria d’Arte Moderna a Palazzo Pitti. E. Meissonier, Napoleone III e il suo Stato maggiore a Solferino (1859), 1863, Parigi, Musée d’Orsay. d’indipendenza e l’unità d’Italia 1859: l’inizio della Seconda guerra d’indipendenza Il ripensamento di Napoleone III e i plebisciti nel Centro-nord A questo punto Napoleone III si accorse che la guerra, anche se vittoriosa, stava costando alla Francia molte vittime e che i suoi esiti non erano esattamente quelli previsti negli accordi di Plombières. Infatti la Toscana, l’Emilia e i ducati di Parma e di Modena avevano cacciato i loro sovrani e chiedevano di unirsi al Regno di Sardegna: questa situazione non era stata prevista da Napoleone III, che desiderava mettere sui troni dell’Italia centrale sovrani a lui fedeli. Intanto il papa si sentiva minacciato dalle mire espansionistiche dei Savoia, alleati della Francia: i cattolici di Francia, di conse- guenza, entrarono in disaccordo con la politica del loro imperatore, preoccupati per la sorte dello Stato pontificio. Inoltre, Prussia e Russia minacciarono di intervenire a favore dell’Austria, temendo un eccessivo rafforzamento della Francia. Così Napoleone III decise, senza consultare l’alleato italiano, di porre fine alla guerra e di accordarsi – violando il patto di Plombières – con l’Austria, con la quale firmò un armistizio a Villafranca, presso Verona, l’11 luglio 1859. L’accordo di Villafranca stabiliva il passaggio della Lombardia dall’Austria alla Francia, che l’avrebbe poi ceduta al Piemonte, e il mantenimento della situazione precedente la guerra sugli altri territori italiani. La notizia dell’armistizio indignò i patrioti e lo stesso Cavour, che rassegnò le dimissioni. Ma gli eventi avevano intanto preso una piega che sfuggiva alla stessa volontà dei diplomatici. Infatti tra aprile e giugno la Toscana, i ducati di Parma e di Modena e i territori pontifici di Bologna e Romagna avevano cacciato i loro governanti e chiesto di unirsi al Regno di Sardegna. Ciò accadde nel marzo 1860, quando le popolazioni si espressero favorevolmente con plebisciti. Dalla Seconda guerra d’indipendenza nacque dunque un regno diverso da quello dell’Alta Italia programmato a Plombières: non vi era compreso il Veneto e ne facevano parte invece Toscana ed Emilia-Romagna. Soprattutto, i sabaudi avevano decisamente rafforzato le loro posizioni, in vista di ulteriori conflitti e di una nuova espansione territoriale. L’ipotesi di confederazione tra Stati italiani svaniva definitivamente e tanto più tramontava l’idea che a guidarla fosse il papa. L’unica ipotesi verosimile era adesso che l’unità d’Italia si facesse sotto la guida dei Savoia. Cavour tornò al governo e Napoleone III non poté che accettare la situazione di fatto. La Seconda guerra d’indipendenza (1859-1860) “Cacciatori delle Alpi” di Garibaldi Esercito piemontese Esercito francese Esercito austriaco Battaglie principali Lago Maggiore Como Varese Vercelli Casale R E G NO DI SA R DE G N A Lecco Bergamo Milano Vaprio Magenta Mortara Alessandria Lombardo - Veneto San Fermo Palestro AUSTRO-UNGARICO Lago di Como Laveno Novara Torino IMPERO SVIZZERA o Ticin Nella primavera del 1859, per provocare la reazione austriaca i piemontesi schierarono le proprie truppe, rafforzate da corpi di volontari, lungo il confine con il LombardoVeneto. Il 23 aprile gli austriaci mandarono a Vittorio Emanuele II un ultimatum, chiedendo il ritiro dell’esercito. Il re rifiutò di cedere alle minacce austriache e dichiarò più volte la sua intenzione di aiutare le popolazioni dell’Italia, che ormai non sopportavano più la dominazione straniera. Così, il 29 aprile 1859, gli austriaci attaccarono dando inizio alla Seconda guerra d’indipendenza. Poiché era stata l’Austria a mostrarsi ostile al Piemonte, Napoleone III rispettò gli accordi di Plombières e guidò le proprie truppe, insieme a quelle piemontesi, contro il nemico comune. Gli austriaci furono sconfitti a Palestro il 31 maggio e a Magenta il 4 giugno, e l’8 giugno gli alleati entrarono a Milano, riportando in seguito nuove vittorie. La più importante fu ottenuta a Solferino e a San Martino il 24 giugno, in una delle più cruente battaglie dai tempi delle campagne napoleoniche all’inizio dell’Ottocento: oltre 100.000 soldati per schieramento si affrontarono senza tregua e alla fine le perdite furono di circa 23.000 tra le truppe asburgiche e 17.000 tra i franco-piemontesi. Nel frattempo Garibaldi, a capo di un corpo di volontari detti «Cacciatori delle Alpi», respingeva gli austriaci dalla Lombardia, costringendoli a indietreggiare da Varese a Como, e poi fino a Bergamo e Brescia. Po 8.4 La Seconda guerra F. Faruffini, La battaglia di Varese, 1862, Pavia, Musei Civici. Melegnano Pavia Brescia Treponti Treviglio Crema Lodi Po 1760 Solferino Montebello Piacenza Voghera San Martino Peschiera Verona Villafranca Mantova Cremona Legnano Po DUCATO DI PARMA © Loescher Editore – Torino 206 Lago di Garda DUCATO DI MODENA STATO DELLA CHIESA © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 207 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione La precaria situazione del Regno delle Due Sicilie All’inizio del 1860, mentre lo Stato della Chiesa godeva di una forte protezione internazionale, il Regno delle Due Sicilie era isolato e debole. Qui, di fronte ai successi della Seconda guerra d’indipendenza, molti patrioti attendevano un aiuto per sollevare una rivolta e unire così il Regno borbonico al nuovo Stato che si stava formando. L’Inghilterra era favorevole alla nascita di un forte Stato italiano, che avrebbe bilanciato sul continente la potenza francese e quella austriaca e ampliato la zona di liberi scambi commerciali. Napoleone III avrebbe reagito a un tentativo sabaudo di conquistare con le armi l’Italia meridionale (eventualità esplicitamente esclusa dagli accordi di Plombières), ma non avrebbe potuto opporsi se la stessa popolazione di quelle regioni si fosse chiaramente espressa a favore dell’unione con il Regno di Sardegna, come già avvenuto per la Toscana e l’Emilia-Romagna. In questa situazione si mosse Garibaldi, già protagonista della Seconda guerra d’indipendenza, che aveva abbandonato l’originaria intransigenza repubblicana e si era convinto ormai che solo i Savoia avessero realisticamente la possibilità di unificare l’Italia. Garibaldi era inoltre l’uomo d’azione più in vista e prestigioso di cui disponessero i patrioti e l’unico capace di unire le diver- Tweet Storia p. 358 se componenti, liberali e democratiche, del movimento indipendentista. Egli era il solo comandante che potesse tentare l’impresa con qualche possibilità di successo. Decise così di forzare gli instabili equilibri politici della penisola e avviare con un’impresa militare compiuta da volontari la conquista del Regno delle Due Sicilie, governato dal maggio 1859 dal nuovo re Francesco II. La spedizione dei Mille guidati da Garibaldi Garibaldi si mosse senza alcun aiuto diretto del governo piemontese e contro il parere di Cavour: l’uomo politico temeva una ripresa dei moti mazziniani e un possibile intervento avverso di Austria e Francia. Il capo delle «camicie rosse» aveva in compenso il consenso tacito di Vittorio Emanuele II. Il sovrano riteneva che in caso di successo l’azione garibaldina avrebbe spianato la strada alla politica annessionistica sabauda, mentre in caso di fallimento sarebbe stato facile per Torino declinare ogni responsabilità. Così, nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, oltre mille volontari partirono con due navi dal porto di Quarto, presso Genova. Male armati e male equipaggiati, venivano in grande maggioranza dalle regioni settentrionali ed erano di estrazione sociale per metà borghese e per metà operaia e artigiana. Tra essi, mancavano del tutto i contadini. F. Palizzi, Garibaldini il giorno innanzi la battaglia del Volturno, 1860, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Dopo essere sbarcati a Marsala, i Mille ottennero un primo successo contro le truppe borboniche il 15 maggio a Calatafimi e da quel momento furono sostenuti dalla popolazione locale: sia dai contadini, cui vennero promesse una riforma agraria e la divisione del demanio pubblico, sia dall’esigua borghesia meridionale, che aveva compreso come il corso degli eventi fosse ormai favorevole alla nascita dello Stato italiano unitario. La spedizione proseguì rapida e con crescente successo. Dopo aver preso il 6 giugno Palermo e il 20 luglio Milazzo, i Mille sbarcarono in Calabria il 20 agosto. Ad essi si erano ormai uniti molti volontari siciliani e un imponente nuovo corpo di spedizione partito dall’Italia settentrionale con 15.000 uomini. Garibaldi entrò a Napoli, senza combattere, il 7 settembre 1860. Il 1° ottobre l’esercito borbonico fu sconfitto definitivamente nella battaglia sul fiume Volturno. 1861: sotto la dinastia dei Savoia nasce il Regno d’Italia Appena sbarcato in Sicilia, Garibaldi si era proclamato dittatore dell’isola in nome di Vittorio Emanuele II e, impossessatosi di Palermo, aveva dichiarato decaduta la monarchia borbonica. Nessun conato di rivolta era stato da lui tollerato nel corso dell’avanzata: tanto che, nonostante le promesse fatte soprattutto ai più poveri, si pose nei fatti a difesa dei proprietari terrieri, ordinando la fucilazione dei contadini che avevano tentato di appropriarsi delle terre dei grandi latifondi. Garibaldi si era insomma reso garante dell’ordine sociale vigente, in vista del raggiungimento del suo obiettivo politico-militare. Caduta anche Napoli, dove subito accorsero Mazzini e Cattaneo, Cavour ebbe però il timore che i garibaldini potessero proclamare la repubblica nel Meridione d’Italia e che la Francia intervenisse a difesa dello Stato pontificio. Convinse così Vittorio Emanuele II a scendere con l’esercito a sud per fermare l’avanzata delle «camicie rosse». Alla testa di un corpo di spedizione, Vittorio Emanuele II entrò in Umbria e nelle Marche, sconfisse le truppe pontificie a Castelfidardo il 18 settembre e penetrò nel territorio napoletano. Il re e Garibaldi si incontrarono Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia a Teano, in Campania, il 25 ottobre 1860, e qui il comandante cedette ufficialmente l’Italia meridionale al suo nuovo sovrano. In tal modo, sfumava il pericolo di una svolta repubblicana nel Sud della penisola. Pochi giorni prima, il 21 ottobre, il popolo napoletano e siciliano si era pronunciato con un plebiscito a favore dell’annessione al Piemonte. Due settimane dopo vennero annesse anche Marche e Umbria, sempre con plebisciti. La partecipazione al voto, aperto a tutti i maschi maggiorenni, fu massiccia, così come la percentuale di favorevoli alle annessioni: era la prima volta che la sovranità popolare si esprimeva in Italia in tale imponente misura. Garibaldi si ritirò nell’isola sarda di Caprera, mentre Mazzini partì per un nuovo esilio. In conclusione, l’indipendenza e l’unità d’Italia erano state fatte da piemontesi e garibaldini, con l’appoggio delle potenze straniere più favorevoli – Francia e Inghilterra – ed in tempi e modi che nessuno aveva saputo prevedere. Alla realizzazione di questi obiettivi concorsero in eguale misura le ambizioni della dinastia sabauda, SV I ZZ E RA Savoia IMPERO AUSTRO-UNGARICO Milano Torino Trieste Venezia R E G NO D I S A R DE G N A Genova Quarto Nizza Bologna IMPERO OTTOMANO Firenze Ancona Castelfidardo Perugia Talamone Corsica Mare Adriatico STATO PONTIFICIO Sulmona Roma REGNO 1760 Volturno Teano Salerno Napoli DELLE Sardegna Sapri Mar Tirreno DUE SICILIE Cosenza Mar Principali battaglie Itinerario dei Mille Palermo Piemontesi Regno di Sardegna nel 1860 Marsala Calatafimi Territori ceduti alla Francia Regno d’Italia nel 1861 M a re © Loescher Editore – Torino 208 Giuseppe Garibaldi. Le tappe della spedizione dei Mille FRANCIA 3 Ion i o Messina Milazzo Reggio Calabria Sicilia Medit erran eo © Loescher Editore – Torino 1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore 1800 Volta costruisce la pila elettrica 1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio 1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria 1861 209 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione La proclamazione del Regno d’Italia. le capacità politiche e diplomatiche di Cavour, la volontà dell’opinione pubblica e in specie della sua componente più desiderosa di novità politica: la borghesia. Si può dunque ragionevolmente parlare di un processo unitario compiutosi per azione tanto dall’alto quanto dal basso. [ I NODI DELLA STORIA p. 210] Il 17 marzo 1861 il primo parlamento italiano proclamò Vittorio Emanuele II «re d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione». Con l’applicazione a tutto il territorio dello Statuto Albertino, il nuovo Stato era una monarchia costituzionale, guidata dai Savoia. L’Italia non comprendeva il Veneto, in mano all’Austria, e il Lazio, ultimo possedimento della Chiesa, e aveva come capitale Torino. L’unità di tutto il popolo italiano si doveva quindi ancora compiere. 1831 Mazzini fonda La Giovine Italia 1843 Gioberti propone una federazione italiana con a capo il papa 1844 Balbo propone una federazione italiana con a capo i Savoia 1846-1848 I Borboni, i Lorena, i Savoia e Pio IX concedono riforme liberali e costituzioni moderate 1848 Rivolte popolari scacciano gli austriaci da Milano e Venezia 1848-1849 Prima guerra d’indipendenza I NODI DELLA STORIA Qual è la differenza tra democratici e moderati nel Risorgimento italiano? Il Risorgimento nazionale italiano fu caratterizzato da uno scontro ideologico e politico tra «moderati» e «democratici» che terminò, dopo la proclamazione dell’Unità nazionale, con la chiara vittoria dei primi. In un primo tempo, come si è visto, il movimento nazionale italiano era formato dagli eredi della vecchia tradizione carbonara e giacobina formatasi nei primi anni della Restaurazione. Il caldo patriottismo dei suoi protagonisti, ideologicamente supportato dagli effetti della cultura romantica, era però caratterizzato da uno scarso realismo politico e dai limiti intrinseci della natura elitaria e minoritaria del movimento. Grazie all’azione politica e teorica di Mazzini, i patrioti si diedero obiettivi più chiari e una più compiuta identità politica. I mazziniani divennero l’embrione di un partito d’azione democratica fieramente repubblicano, indipendentista e diffuso in tutte le classi sociali. Tuttavia il suo limite restava, oltre che nei numeri, ancora limitati rispetto alla maggior parte della popolazione, nella sostanziale mancanza di forza militare, nel suo essere ancora troppo legato a un modello insurrezionale facilmente destinato alla sconfitta. Il fronte dei moderati era formato fondamentalmente dai quei liberali convinti che solo l’azione del più dinamico degli Stati italiani dell’epoca, il Piemonte sabaudo, potesse provare realmente a unificare la nazione. Favorevoli alla monarchia, i moderati trovarono in Cavour il loro interprete più abile e coerente. 210 © Loescher Editore – Torino Convinto che solo la modernizzazione del Piemonte avrebbe potuto preparare l’unità nazionale, il ministro di Vittorio Emanuele II giocò abilmente le sue carte, non senza un certo gusto per la tattica spregiudicata. Ascrivibili al fronte moderato erano, poi, i cattolici unitaristi come Gioberti. Fautori di un protagonismo cattolico su posizioni moderatamente liberali, questi cosiddetti «neoguelfi», come furono subito ribattezzati, sembrarono per un momento incarnare una buona mediazione tra le diverse e inquiete anime del movimento patriottico italiano. In realtà il loro programma si scontrò violentemente con l’indisponibilità del nuovo papa Mastai Ferretti, chiamato al soglio pontificio con il nome di Pio IX, che pure, da cardinale, era sembrato essere uno dei loro ispiratori. In seguito, specie dopo il 1861 e, soprattutto, dopo la proclamazione di Roma capitale, la rottura tra il nuovo Stato italiano e la Chiesa fu totale e destinata a durare per molti anni. Il generoso velleitarismo dei democratici e le mutate condizioni politiche nei rapporti con il mondo cattolico, lasciarono quasi come unici protagonisti della vita politica parlamentare i liberali moderati filo monarchici. Anche molti esponenti di quella che sarà chiamata Sinistra storica cambieranno posizione. Fu il caso di Depretis e, in misura ancora maggiore, di Crispi, il vecchio rivoluzionario garibaldino destinato a trasformarsi in un fautore della politica d’ordine sul finire del secolo. 1849 Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi 1852-1861 Cavour primo ministro del Regno di Sardegna 1858 Accordo di Plombières fra il Piemonte e la Francia di Napoleone III 1859-1860 Seconda guerra d’indipendenza 1860 Garibaldi guida la spedizione dei Mille 1861 Proclamazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia 1 Il fallimento dei moti del 1820 e del 1830 evidenzia la necessità di avviare il «Risorgimento» italiano su basi nuove: le idee di Mazzini, Garibaldi, Cattaneo, Gioberti e Balbo. Dopo il fallimento dei moti liberali del 1820 e 1830, i patrioti italiani si convinsero della necessità di fondare il «Risorgimento» dell’Italia su idee e metodi nuovi. Giuseppe Mazzini sosteneva la creazione di un’Italia repubblicana e unita tramite una sollevazione popolare e Giuseppe Garibaldi, uomo d’azione, fu il suo principale sostenitore e alleato. Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti e Cesare Balbo, moderati, propendevano invece per una federazione tra gli Stati della penisola, da realizzarsi pacificamente attraverso accordi diplomatici. Gioberti, in particolare, pensava al papa come capo naturale della futura confederazione d’Italia. 2 Nel 1948-1849 la Prima guerra d’indipendenza si risolve in un insuccesso per i piemontesi. Tra 1846 e 1848, in molti regni italiani i sovrani concessero alcune riforme ed emanarono Costituzioni liberali moderate. Queste novità stimolarono la rivolta delle popolazioni del Nord Italia sottomesse agli austriaci. Nei primi mesi del 1848 Venezia, Milano, Parma e Modena si ribellano e proclamarono governi provvisori, invocando l’aiuto del re di Sardegna Carlo Alberto. Tra 1848 e 1849 si combatté dunque la Prima guerra d’indipendenza. Dopo alcuni successi iniziali, Carlo Alberto fu però sconfitto dall’Austria a Custoza nel 1848 e a Novara nel 1849, e rinunciò al trono. Il figlio Vittorio Emanuele II confermò la Costituzione (lo «Statuto Albertino») già concessa dal padre. Una dopo l’altra, tutte le città italiane ribelli vennero schiacciate e ricondotte ai regimi legittimi, compresa Repubblica Romana, che era animata da Garibaldi e Mazzini. 3 Il nuovo primo ministro piemontese Cavour inserisce abilmente il Regno di Sardegna nell’ambito della diplomazia europea e stringe un importante accordo con Francia. Il fallimento dei moti liberali e democratici chiarì ai patrioti italiani che solo sotto la guida dei Savoia sarebbe stato possibile liberare e unificare la penisola. Anche per questo motivo Cavour, il nuovo primo ministro piemontese, si dedicò al rafforzamento del proprio Stato dal punto di vista sia economico che politico. Grazie a Cavour il Piemonte partecipò con vantaggio alla guerra di Crimea e strinse un’alleanza con la Francia di Napoleone III in funzione antiaustriaca: a suggellarla fu l’accordo segreto di Plombières nel luglio 1858. 4 Nel 1859 la Seconda guerra d’indipendenza termina con l’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna. In seguito anche Toscana ed Emilia-Romagna si uniscono al Piemonte. Nel 1859 il regno di Sardegna e la Francia dichiararono guerra all’Austria: iniziava la Seconda guerra d’indipendenza. Gli austriaci vennero sconfitti in numerose battaglie, ma dopo quella di Solferino e San Martino, particolarmente sanguinosa, Napoleone III violò il patto di Plombières, accordandosi con Vienna e firmando l’armistizio di Villafranca. La guerra si interruppe dunque senza che gli obiettivi piemontesi venissero pienamente raggiunti. La Lombardia fu egualmente annessa al Regno di Sardegna, così come, attraverso un plebiscito, Toscana ed Emilia-Romagna. 5 Con la spedizione dei «Mille» e la conquista di Umbria e Marche si compie quasi completamente l’unificazione della penisola italiana sotto i Savoia. Nel maggio del 1860 i «Mille», un corpo di volontari guidato da Giuseppe Garibaldi, partirono per la Sicilia. In pochi mesi il Regno delle Due Sicilie venne liberato dai Borboni e la popolazione accettò tramite plebiscito l’unione al regno dei Savoia. Nel frattempo, le truppe di Vittorio Emanuele II strapparono allo Stato pontificio anche l’Umbria e le Marche. Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento italiano proclamava Vittorio Emanuele II «re d’Italia». Con l’applicazione a tutto il territorio dello Statuto Albertino, il nuovo Stato divenne una monarchia costituzionale guidata dai Savoia. Il processo di liberazione e unificazione dell’Italia era in gran parte compiuto. © Loescher Editore – Torino 211 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione La patria del Risorgimento nell’iconografia La storiografia sul Risorgimento si è a lungo soffermata nella narrazione delle battaglie militari e degli accordi diplomatici, ha ricostruito i profili biografici e politici di Cavour e Garibaldi, ha analizzato e discusso le teorie politiche di Mazzini e Gioberti. Di recente, ha spostato la sua attenzione sulle immagini e sui linguaggi della nazione e del patriottismo. In particolare, la pittura e i pittori svolsero un ruolo decisivo nel processo di costruzione dello Stato unitario e dell’identità nazionale. Questo ruolo fu decisivo soprattutto perché offriva la possibilità di dare una dimensione emotiva e culturale ai diversi progetti politici nazional-patriottici. Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia La nuova arte nazionale Alla rappresentazione pittorica del Risorgimento contribuirono gli esponenti della scuola lombarda (quali Francesco Hayez), dell’avanguardia macchiaiola toscana (come Giovanni Fattori) e della scuola napoletana (come Michele Cammarano). Furono le nuove istituzioni unitarie a creare, fin dal 1861, le condizioni per una nuova arte nazionale. In quella fase allora prevalse la raffigurazione di soggetti legati alle battaglie risorgimentali e celebrati sotto il segno dell’eroismo guerriero e della dedizione alla bandiera nazionale. Era una forma di ricompensa simbolica per i combattenti delle guerre risorgimentali e una forma di pedagogia per le nuove generazioni di italiani. Secondo questa prospettiva nazional-patriottica, ogni buon cittadino doveva essere pronto a sacrificarsi per l’Italia. Allegorie della patria La pittura consentiva di rappresentare allegorie della patria, immagini simboliche o personificazioni della nazione. Fu il pittore veneziano Francisco Hayez a disegnare l’Italia come una donna colpita da una struggente tristezza: la sconfitta delle rivoluzioni del 1848 avevano condannato la patria a soggiacere ancora sotto l’occupazione straniera. Questo tipo di dipinti era in grado di mobilitare una forza emotiva, prima ancora che politica, a favore del linguaggio nazionalpatriottico. M. Cammarano, Carica dei bersaglieri a Porta Pia,1871, Napoli, Museo di Capodimonte. La storia dipinta Per legittimare le aspirazioni a un glorioso futuro della nazione, spesso i pittori patriottici cercavano di riscriverne e ridisegnarne il passato. Furono così scelti soggetti che rappresentassero momenti fondamentali delle vicende storiche della penisola e furono adattati alle successive esigenze del movimento nazionale. Capitava quindi che battaglie militari, incontri politici o figure storiche del Medioevo o dell’Età moderna fossero descritte con la simbologia tipica del nazionalismo ottocentesco. L’anacronismo di molti quadri, cioè la deliberata proiezione di elementi appartenenti a una diversa epoca, appariva evidente solo ad occhi esperti; in generale, però, suggeriva l’idea che la patria risalisse a un tempo molto lontano. F. Hayez, La meditazione, 1851, Verona, Civica Galleria d’Arte Moderna. G. Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta,1862, Firenze, Galleria d’Arte Moderna. F. Hayez, I Vespri siciliani,1821-1822, Milano, collezione privata. 212 © Loescher Editore – Torino G. Induno, L’imbarco dei Mille a Quarto, 1870, Milano, Museo del Risorgimento. © Loescher Editore – Torino 213 3 8 L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 2 Osserva la cartina a p. 209 e ricostruisci (eventualmente aiutandoti anche con il testo del capitolo) la cronologia della nascita del Regno d’Italia. ATTIVITÀ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Nel Mazzini fonda La Giovine Italia Nel fallisce la spedizione di Sapri, guidata dal mazziniano Carlo Pisacane Nel il regno di Sardegna entra nella guerra di Crimea accanto a Francia, Inghilterra e Turchia Il 23 marzo Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria: ha inizio la prima guerra d’indipendenza Il 5 e 6 maggio Garibaldi e oltre mille volontari salpano alla volta della Sicilia Nel marzo un plebiscito popolare vota a maggioranza l’annessione di Emilia, Romagna e Toscana al Regno di Sardegna Il 17 marzo il primo parlamento italiano proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia: nasce una monarchia costituzionale guidata dai Savoia Il 25 ottobre il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi si incontrano a Teano Nel luglio Cavour e Napoleone III si incontrano segretamente a Plombières e stipulano un’alleanza militare contro l’Austria Il 9 agosto Carlo Alberto firma l’armistizio con l’Austria e rinuncia al trono in favore del figlio Vittorio Emanuele II L’11 luglio Napoleone III, violando gli accordi di Plombières, firma con l’Austria un armistizio a Villafranca Dal al Cavour è primo ministro del regno di Sardegna Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo del Risorgimento. 1 2 3 4 5 6 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento. 5 Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia Uomo d’azione Consesso Magistero Strategia annessionista Connubio Demanio pubblico Prova a riflettere sul significato dello «Statuto Albertino»: sapresti spiegare le differenze principali con la Costituzione repubblicana? Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa al Risorgimento italiano. Poi rispondi alle domande. Le correnti politiche del Risorgimento italiano Esplora il macrotema 3 Completa il testo. Negli anni del Risorgimento, la rinascita del sentimento nazionale e dello spirito patriottico stimolati dalla cultura romantica e dai moti (1) portano alla formazione del Regno d’Italia. Protagonista del processo di unificazione è il Regno di (2) , che dopo il fallimento delle rivole del 1848 è riuscito a mantenere in vigore la Costituzione, detta «Statuto (3) », e si prefigura come l’unica forza realisticamente in grado di guidare il movimento di liberazione e unificazione d’Italia. Un ruolo importante è giocato dal primo ministro Camillo Benso conte di Cavour. Egli, convinto sostenitore dei valori (4) , si fa promotore di una profoda opera riformatrice in campo sia economico che politico: infatti solo un Piemonte ricco e un’attenta scelta delle alleanze avrebbero permesso ai Savoia di mettersi alla guida del Risorgimento d’Italia. Il pretesto per l’inserimento del Piemonte in un contesto di alleanze internazionali è offerto dalla guerra di (5) : l’intervento del Regno di Sardegna accanto a Francia e Inghilterra gli permette di stringere un’alleanza militare con Parigi (i cosiddetti accordi di Plombières) contro il nemico (6) , che porterà alla vittoria della Seconda guerra di indipendenza. Nonostante l’improvviso ripensamento di Napoleone III, gli avvenimenti prendono una piega che sfugge alla stessa volontà dei diplomatici: infatti, le popolazioni di Emilia, Romagna e Toscana chiedono l’(7) al Regno di Sardegna. Intanto Garibaldi organizza la spedizione dei Mille per liberare il Mezzogiorno dal dominio borbonico: grazie al sostegno dei (8) e della borghesia locali, l’iniziativa consegue uno straordinario successo che porta all’annessione del regno delle Due Sicilie. Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento italiano proclama Vittorio Emanuele II «re d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione»; lo Statuto Albertino viene applicato a tutto il territorio e lo Stato diviene una monarchia (9) , guidata dai Savoia. 1 Quali figure del Risorgimento sono favorevoli alla Repubblica? 2 La corrente democratica e quella moderata adottano diversi metodi per il conseguimento dei propri obiettivi: quali? 3 Per quale motivo Mazzini non approva le società segrete? Mostra quello che sai 7 214 © Loescher Editore – Torino Osserva le immagini alle a pp. 195 e 197 e descrivi atteggiamento ed espressione dei personaggi. Per quale motivo sono stati scelti il primo piano e il mezzo busto per questi ritratti? © Loescher Editore – Torino 215 Documenti Le Costituzioni francesi Il percorso costituzionale della Francia, la cui rivoluzione del 1789 fu un modello per grande parte dell’Europa, è stato assai accidentato, tanto che da allora a oggi il paese ha conosciuto molteplici regimi e una pluralità di Costituzioni. Con la Rivoluzione, alla monarchia succedette nel 1792 la Repubblica, che evolse prima nel Direttorio nel 1795, poi nel Consolato nel 1799 in conseguenza del colpo di Stato del 18 brumaio di Napoleone Bonaparte, divenuto nel 1804 imperatore dei francesi. Al Primo impero, dopo la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna, succedette la restaurazione della monarchia borbonica, che nel 1830 venne abbattuta. Il rivolgimento partorì la monarchia costituzionale retta dal re Luigi Filippo, a sua volta crollata con la Rivoluzione del febbraio nel 1848. Ne conseguì una nuova proclamazione della Repubblica (la Seconda Repubblica), della quale fu presidente eletto Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del primo imperatore. Ripercorrendo il percorso dello zio e con il ricorso ai plebisciti, Luigi Napoleone provocò il passaggio dalla repubblica al Secondo impero. Assunse il nome di Napoleone III (stabilendo così una successione dinastica con lo zio). La sconfitta francese a Sedan a opera della Prussia di Bismarck condusse al crollo del Secondo impero. Dopo l’esperienza della Comune di Parigi venne proclamata la Repubblica (Terza Repubblica), alle origini fortemente condizionata dalla forza delle componenti monarchiche, incapaci di prevalere ma sufficientemente forti per indirizzare i contenuti della nuova Costituzione. La Terza Repubblica si frantumò nella «strana disfatta» del 1940: parte della Francia venne occupata dai tedeschi e parte affidata ai collaborazionisti dei nazisti guidati dal maresciallo Pétain, che formarono la Repubblica il cui governo aveva sede a Vichy. A conclusione della Seconda guerra mondiale, si svolse un nuovo processo costituente: la prima Costituzione venne bocciata da un referendum. Venne elaborata una seconda Costituzione, che fondò la Repubblica parlamentare della Quarta Repubblica, la cui vita incerta, avendo all’opposizione gollisti e comunisti, fu breve. Infatti, nel 1958, la gravissima crisi innescata dalla guerra d’Algeria condusse al potere il generale Charles De Gaulle, già capo della Resistenza antinazista, che pose le basi costituzionali della Quinta Repubblica. La repubblica parlamentare veniva sostituita da un sistema semipresidenziale, che fino al 1969 fu contrassegnato dalla figura carismatica del generale. Si realizzarono in Francia le condizioni di una democrazia dell’alternanza che ha assunto talvolta la forma della coabitazione, verificatisi più volte tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, tra un presidente eletto direttamente e un’assemblea legislativa, anch’essa elettiva, espressione di un governo di opposto orientamento. La Costituzione del 1958 è stata più volte sottoposta a revisione, l’ultima delle quali è stata adottata nel luglio 2008. La Quinta Repubblica riafferma la continuità nella cultura, nei riti, nei simboli con la Rivoluzione del 1789. Convocati gli Stati Generali nel 1788, il Terzo Stato, che comprendeva i rappresentanti della borghesia, si autoproclamò nel maggio 1789 Assemblea nazionale e il 9 luglio Assemblea costituente. Nei due anni di esistenza essa stese una Costituzione che si apriva con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, recepiti nella Costituzione vigente la quale, nel preambolo, afferma: «Il popolo francese proclama solennemente il suo attaccamento ai Diritti dell’Uomo e ai principi della sovranità nazionale quali sono stati definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermati e completati dal preambolo della Costituzione del 1946, così come dai diritti e doveri definiti nella Carta dell’ambiente del 2004». Il preambolo della Costituzione approvata il 4 settembre 1791 dall’Assemblea nazionale definiva l’Ancien régime come l’insieme delle «istituzioni che ferivano la libertà e l’uguaglianza dei diritti»: tali erano i titoli nobiliari, i diritti feudali, i privilegi giudiziari e fiscali, le corporazioni di arti e mestieri e ogni altro vincolo contrario ai diritti naturali. Di tutte queste cose, che erano il risultato di secoli di storia, la Rivoluzione fece piazza pulita in pochi mesi. 1 Cosa limita l’efficacia delle dichiarazioni universali rispetto all’effettiva salvaguardia dei diritti umani in tutti i paesi del mondo? 2 Nella tua quotidianità ti è capitato di assistere (o di aver subìto) ad episodi di negazione di diritti? Nel caso come ti comporteresti? 216 © Loescher Editore – Torino 1.Costituzione e Rivoluzione Che cosa è una Costituzione, che significato assume nel contesto europeo di fine Settecento, quali obiettivi si prefigge, che legame esiste tra essa e la Rivoluzione? Sono alcuni degli interrogativi su cui riflette lo storico statunitense Keith Michael Baker, celebre studioso della Rivoluzione francese. Tra rivoluzione e costituzione all’inizio c’era un legame fondamentale. L’Assemblea nazionale s’impegnò con il giuramento della Pallacorda a restare riunita «fino a quando la costituzione del regno fosse stabilita e poggiata su solide basi». Dopo aver osato così sfidare l’autorità regia, condensando in modo drammatico parecchi decenni di proteste contro un governo arbitrario e contro ministri dispotici, l’Assemblea definì scopo essenziale della sua azione rivoluzionaria l’instaurazione di un ordine costituzionale stabile. Tuttavia, l’opera consistente nello «stabilire» la costituzione francese si sarebbe rivelata estremamente problematica. A differenza della rivoluzione americana nella quale la creazione di un ordine costituzionale stabile fu l’effettivo risultato dell’affermazione della volontà rivoluzionaria, la rivoluzione francese si è caratterizzata per l’esistenza di un crescente fossato tra rivoluzione e costituzione. […] Che cosa significava «stabilire» la costituzione del regno? Se vi è una costituzione del regno, essa per definizione è stabilita; se non è stabilita, ne risulta necessariamente che non è una costituzione. Con quel termine s’intendeva affermare che esisteva una costituzione che bisognava preservare e difendere, o al contrario che non vi era costituzione e che bisognava crearla? […] Quale era dunque la definizione di una costituzione? Durante tutto il XVIII secolo i dizionari avevano oscillato tra due significati generali. Il primo metteva l’accento sull’attività di istituzione e di fondazione, in accordo con l’uso originale della parola nel diritto romano e nel diritto canonico. Il secondo significato insisteva sulla sistemazione, il modo di esistere o la disposizione di un’entità qualsiasi (costituzione del mondo o costituzione del corpo umano). K.M. Baker, Costituzione, in Dizionario critico della rivoluzione francese, a cura di F. Furet e M. Ozouf, Milano, Bompiani, 1988 2.La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Il testo approvato dopo lunghe discussioni il 26 agosto 1789 sanciva il riconoscimento dei diritti fondamentali, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la separazione dei poteri ed enunciava l’idea della sovranità popolare. Diede quindi inizio a un nuovo modo di pensare la società come insieme di individui liberi ed eguali. I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri. […] In conseguenza l’Assembla Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino: Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti natu- rali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano ad altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge. […] Art. 6. La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa dev’essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. […] Art. 10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge. © Loescher Editore – Torino 217 Documenti Suffragio La parola «suffragio» deriva dal latino suffragium e rimanda ai pezzi di coccio con i quali si esprimeva il voto nei comitia nell’antica Roma. Fatta eccezione per il peculiare sviluppo dell’Inghilterra, fu soprattutto con la riflessione dei filosofi illuministi e con la Rivoluzione francese che il suffragio, inteso come espressione della volontà popolare e con l’idea della rappresentanza politica, ritornò a occupare un ruolo centrale. Se si eccettua una breve fase della Rivoluzione francese che affermò il suffragio universale maschile e femminile, i paesi organizzati secondo lo Stato di diritto hanno innanzitutto ammesso una rappresentanza fondata sul censo e sul genere. L’assunto generale era che la capacità di scegliere i propri rappresentanti richiedesse requisiti che consentissero al rappresentato un interesse effettivo verso la cosa pubblica. Sicché, anche negli Stati Uniti, ove pure per primo si affermò il suffragio universale dei maschi bianchi, il diritto di voto era appannaggio soltanto dei possidenti uomini. Soltanto con il Voting Rights Act promosso dal presidente Lyndon Johnson nel 1965 fu data effettiva attuazione al XV emendamento del 1870, che stabilisce: «Il diritto dei cittadini degli Stati Uniti di votare non potrà essere negato o discriminato né dagli Stati Uniti né dai singoli Stati in considerazione della razza, del colore della pelle o di precedenti condizioni di servitù». Con la Restaurazione conseguente le guerre napoleoniche, il suffragio sopravvisse soltanto nel Regno Unito e nella Costituzione francese concessa dai restaurati Borbone. Nel Regno Unito, il paese ove la Rivoluzione industriale mutava profondamente la geografia interna, la riforma elettorale del 1832 non solo allargò il numero degli elettori, ma riorganizzò anche i collegi elettorali in modo che fossero maggiormente corrispondenti alla nuova distribuzione delle popolazioni. A questa prima riforma elettorale ne seguirono altre nel corso del secolo che allargarono progressivamente la base elettorale, mentre incominciava a svilupparsi un movimento che reclamava il voto alle donne. Il primo paese che lo concesse fu nel 1893 il dominion inglese della Nuova Zelanda, ove quello maschile era stato introdotto nel 1889. La Gran Bretagna dovette attendere la conclusione della Grande guerra per estendere il diritto di voto alle donne che avessero compiuto i trent’anni e il 1928 per equiparare compiutamente voto maschile e voto femminile. In Italia, con l’unificazione nazionale, il diritto di voto fu limitato all’1% della popolazione. Fu ampliato nel 1882 dai governi della Sinistra storica e nel 1912 dal governo di Giovanni Giolitti, che introdusse il suffragio universale maschile. Negli anni della dittatura fascista le cariche elettive furono abolite e si ricorse solo a plebisciti di conferma di modifiche della rappresentanza stabilite dal regime. Nel 1946, per la prima volta, donne e uomini che avessero compiuto i 21 anni parteciparono sia al referendum istituzionale che vide prevalere la Repubblica, sia all’elezione dell’Assemblea costituente. Anche la Francia, al pari dell’Italia, estese il suffragio alle donne soltanto nel 1946. Nel 1975, al pari di quanto era stato stabilito nelle più avanzate democrazie, durante il governo di Aldo Moro la maggiore età fu estesa ai diciottenni e, conseguentemente, sulla base dell’articolo 48 della Costituzione, anche il diritto di voto attivo che, sempre secondo la stessa norma, è «personale ed eguale, libero e segreto». Nell’età moderna il principio di suffragio universale riapparve nelle teorie del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau. Nella pratica politica venne introdotto per la prima volta durante le rivoluzioni americana e francese. Negli Stati Uniti quello maschile nel 1776 e in Francia, maschile e femminile, nel 1792 (salvo essere in parte revocato durante la Restaurazione). In Italia nel 1860 la riforma elettorale estese il diritto di voto agli uomini con più di 25 anni che pagassero un censo di imposte dirette non inferiori a 40 lire. Si trattava di 418.696 cittadini, pari all’1,89% della popolazione del regno. Le donne poterono votare per la prima volta durante la guerra nelle cosiddette «repubbliche partigiane», ovvero nei territori che la Resistenza aveva liberato da nazisti e fascisti. Per legge il suffragio universale entrò in vigore a guerra finita, nel 1946. 1 Il suffragio universale in Italia è una conquista recente: ripercorri le fasi storiche dell’allargamento del suffragio, dal 1848 al 1946. 2 Il suffragio universale è stato ottenuto in età moderna con rivoluzioni e sofferenze e salutato come una grande conquista. Oggi spesso sono l’astensionismo e il disinteresse a farla da padroni: credi che esista un rischio di deresponsabilizzazione da parte dei cittadini? Perché? 218 © Loescher Editore – Torino 1.La «Charte Octroyée» di Luigi XVIII Dopo la fine del periodo napoleonico, la carta costituzionale di Luigi XVIII, emanata il 4 giugno 1814, confermò alcuni dei diritti acquisiti dal popolo francese nel corso dei decenni precedenti, ma ne sancì al tempo stesso la natura di concessione ( octroyée, cioè appunto «concessa»), ponendo un forte accento sul rapporto diretto tra sovrano e sudditi. In Italia l’esempio più celebre di carta costituzionale octroyée fu lo Statuto Albertino emanato da Carlo Alberto di Savoia l’8 febbraio 1848. Con la Carta del 1814 i francesi ebbero confermato il diritto di voto. La Divina Provvidenza, col richiamarci nei nostri Stati dopo una lunga assenza, ci ha imposto dei grandi obblighi. La pace era il primo bisogno dei nostri sudditi; ce ne siamo occupati senza indugio. E questa pace tanto necessaria alla Francia come al resto dell’Europa è firmata. Una carta costituzionale era richiesta dall’attuale stato del regno; noi l’abbiamo promessa e la pubblichiamo. […] Noi abbiamo dovuto, sull’esempio dei Re nostri predecessori, apprezzare gli effetti dei progressi sempre crescenti dei Lumi, i nuovi rapporti che questi progressi hanno introdotto nella società, la direzione impressa agli spiriti da un mezzo secolo e le gravi alterazioni che ne sono risultate: abbiamo riconosciuto che il voto dei nostri sudditi per una carta costituzionale era l’espressione di un bisogno reale; ma cedendo a questo voto abbiamo preso tutte le precauzioni perché questa carta fosse degna di noi e del popolo che siamo fieri di comandare. […] Art. 35. La Camera dei Deputati sarà composta dai deputati eletti dai collegi elettorali la cui organizzazione sarà determinata dalle leggi. Art. 36. Ogni dipartimento avrà lo stesso numero di deputati che ha avuto sino ad oggi. Art. 37. I deputati sono eletti per cinque anni, in modo tale che la Camera sia rinnovata ogni anno per un quinto. Art. 38. Nessun deputato può esser ammesso alla Camera se non ha l’età di quarant’anni e non paga un contributo diretto di mille Franchi. […] Art. 40. Gli elettori che concorrono alla nomina dei deputati non possono avere diritto di voto se non pagano un contributo diretto di trecento Franchi, e se hanno meno di trenta anni. Art. 41. I presidenti dei collegi elettorali saranno nominati dal Re e di diritto membri del collegio. Art. 42. La metà almeno dei deputati sarà scelta tra gli eleggibili che hanno il loro domicilio nel dipartimento. A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Milano, Giuffré, 1975 2.Le proposte di Luigi Sturzo per un nuovo sistema politico basato sul suffragio universale Primo segretario del Partito popolare italiano (PPI), nel 1919, don Luigi Sturzo si segnalò negli anni Venti per l’opposizione al regime fascista. Fu costretto ad abbandonare la guida del partito e durante la Seconda guerra mondiale andò in esilio prima a Parigi, poi a Londra e a New York, dove entrò in contatto con altri antifascisti fuoriusciti dall’Italia. Tornato in patria nel 1946 partecipò al dibattito per la creazione dell’Assemblea costituente e la preparazione della Costituzione. Faccio un breve cenno della riforma dello Stato da noi propugnata: la rappresentanza politica, amministrativa e sindacale, su base proporzionale, deve tendere a dare a tutto il popolo la maggiore partecipazione possibile alla vita organica del paese; e mentre il sistema maggioritario rappresentativo liberale era a base di suffragio limitato, come espressione della classe borghese dominatrice nelle alterne vicende dei conservatori e dei progressisti, nella pura espressione individualista, il sistema della proporzionale corregge il suffragio universale conquistato dalla democrazia e fa il primo passo verso l’organicità parlamentare. Il suffragio femminile ne dovrà essere legittima conseguenza. Però riconosciamo che tale rappresentanza popolare dovrà essere corretta da un’altra camera, il senato, che non sia, com’è oggi, attraverso il potere regio, un’emanazione arbitraria del potere esecutivo, ma una legittima e diretta rappresentanza organica dei corpi accademici, degli organismi statali (magistratura, università, consiglio di stato e corpi diplomatico e militare), dei corpi amministrativi (regioni, provincie, comuni), dei corpi sindacali (datori di lavoro ed operai); con elezione di secondo grado e sopra liste limitate ed eleggibili. Ma ciò non basta: le camere oggi danno (o debbono dare) le direttive legislative e politiche, e debbono costituire il controllo permanente del potere esecutivo; ma non possono essere l’unico organo legislativo, che discuta e approvi tutta la congerie esasperante di leggi e leggine […]. Occorrono consigli superiori che presiedano l’amministrazione civile, la sanità e la beneficienza, l’istruzione, l’economia, i lavori pubblici, il lavoro e la finanza. L. Sturzo, Crisi e rinnovamento dello Stato, in Opere scelte, vol. V., Roma-Bari, Laterza, 1992 © Loescher Editore – Torino 219 Testimonianze Documento 1 Testimonianze Adam Smith dimostra l’utilità della divisione del lavoro (capitolo 6) In questa pagina, tratta dal libro La ricchezza delle nazioni (1776), Adam Smith sostiene il grande vantaggio che deriva all’economia dalla divisione del lavoro in piccole fasi, ciascuna svolta da un diverso operaio che non sa fare altro. Egli parla della fabbricazione degli spilli: un oggetto molto semplice per il quale, tuttavia, sono necessari molti diversi passaggi. Si nota l’insistenza dell’autore sulla quantità di prodotto per ogni giorno di lavoro. Dato il modo in cui viene svolto oggi questo compito, non soltanto tale lavoro [lo spillettaio, colui che fabbrica spilli] nel suo complesso è diventato un mestiere particolare, ma è diviso in un certo numero di specialità, la maggior parte delle quali sono anch’esse mestieri particolari. Un uomo trafila il metallo, un altro raddrizza il filo, un terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia all’estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività distinta, pulire gli spilli è un’altra e perfino metterli nella carta è un’altra occupazione a sé stante; cosicché l’importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa in tal modo in circa diciotto distinte operazioni che, in alcune manifatture, sono tutte compiute da mani diverse. Ho visto una piccola manifattura di questo tipo dov’erano impiegati soltanto dieci uomini e dove alcu- ni di loro, di conseguenza, compivano due o tre operazioni distinte. Ma sebbene fossero molto poveri e perciò solo mediocremente dotati delle macchine necessarie, erano in grado, quando ci si mettevano, di fabbricare, tra tutti, circa dodici libbre [sei chili] di spilli al giorno. In una libbra vi sono più di quattromila spilli di formato medio. Quelle dieci persone, dunque, riuscivano a fabbricare più di quarantottomila spilli al giorno. A. Smith, La ricchezza delle nazioni. Abbozzo, Torino, Boringhieri, 1959 Documento 2 Lo scontento degli operai: la voce di uno di loro (capitolo 6) Questo documento riproduce il testo di una lettera che il 30 settembre 1818 un operaio inviò a un giornale inglese. L’autore si firmava soltanto «un filatore di cotone a giornata» e spiegava con grande chiarezza a quali umilianti condizioni di vita e di lavoro era costretto il salariato delle industrie tessili. Che cosa possono aspettarsi gli operai dai padroni? Si dice che, per legge, tutti sono liberi, che nessuno, in Inghilterra, è schiavo, che un operaio può lasciare il padrone se il salario non gli aggrada. Vero, lo può; ma dove andrà? Be’ da un altro! Ci va, infatti, e si sente chiedere dove lavorava prima: «Ti hanno licenziato?». «No, non ci siamo messi d’accordo sul salario». «Allora non assumo né te, né chiunque lasci il padrone in questo modo». […] Esiste tra i padroni un patto, sottoscritto nel 1802 a Stockport: nessun padrone deve assumere un operaio se il precedente padrone lo ha licenziato. Che cosa farà, dunque, l’infelice? […] Egli è costretto a sottomettersi al padrone. […] Gli operai, in genere, sono inoffensivi e umili. Sono docili e trattabili, dall’età di 6 anni sono allenati a lavorare dalle 5 del mattino alle 8 di sera. Andate al mattino, un po’ prima delle 5, alle porte di una fabbrica, e osservate lo squallido aspetto dei fanciulli e dei loro padri o madri, tirati giù dal letto a ora così mattutina con ogni sorta di tempo; esaminate la razione miserabile di cibo, quasi sempre composta di zuppa di farina con pezzi di focaccia d’avena dentro, un pizzico di sale, a volte uno spruzzo di latte, qualche patata, e un po’ di lardo o pancetta, a mezzogiorno. Se tardano di un minuto, gli detraggono dal salario un quarto di giornata. Stanno tappati fino a sera in locali più afosi del giorno più caldo che si sia avuto in questi mesi estivi, senza un attimo di riposo salvo i tre quarti d’ora del pasto di mezzodì; qualunque altra cosa mangino in un altro momento, dev’essere consumata sul lavoro. […] Imprigionato in fabbriche alte 8 piani, non ha pace prima che la macchina poderosa si arresti; allora torna a casa per rinfrescarsi in vista dell’indomani; per stare con la famiglia non c’è tempo; sono tutti, allo stesso grado, stanchi ed esausti. in E.P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Milano, Il Saggiatore, 1969 Documento 3 Il Patto della Santa Alleanza tra Austria, Russia e Prussia (capitolo 7) Il 26 settembre 1815 venne firmato il Patto della Santa Alleanza: a siglarlo furono Francesco I d’Austria, Federico Guglielmo III di Prussia e Alessandro I di Russia. Questo documento è il manifesto ideologico della Restaurazione. I tre sovrani europei si richiamavano alla radice divina del potere monarchico, da cui facevano derivare per sé la prerogativa del potere assoluto e per il popolo il dovere dell’obbedienza cieca. E si dichiaravano «cristianamente» fratelli nella fede in Gesù, rendendo la religione uno strumento di governo: un ribaltamento completo delle idee e pratiche politiche affermatesi in epoca illuminista e rivoluzionaria. In nome della santissima e indivisibile Trinità. Le Loro Maestà l’Imperatore d’Austria, il Re di Prussia e l’Imperatore di tutte le Russie […] dichiarano solennemente che il presente atto ha per solo oggetto di manifestare al cospetto dell’universo la loro ferma determinazione di prendere per norma della loro condotta, sia nell’amministrazione dei loro rispettivi Stati, sia nelle loro relazioni politiche con qualche altro governo, i precetti di quella santa religione, precetti di giustizia, di carità e di pace, i quali, lungi dall’essere unicamente applicabili alla vita privata, devono al contrario influire direttamente sulle risoluzioni dei principi, e guidare tutti i loro Documento 4 passi, essendo questo il solo mezzo di consolidare le umane istituzioni e di rimediare alle loro imperfezioni. Di conseguenza le Loro Maestà hanno convenuto gli articoli seguenti: Art. 1. Conformemente alle parole delle Sante Scritture, le quali comandano a tutti gli uomini di riguardarsi come fratelli, i tre monarchi contraenti rimarranno uniti con legami di vera ed indissolubile fratellanza, e considerandosi come compatrioti, in qualunque occasione ed in qualunque luogo si presteranno assistenza, aiuto e soccorso; e considerandosi verso i loro sudditi ed eserciti come padri di famiglia, li guideranno nello stesso spirito di fratellanza da cui sono animati per proteggere la religione, la pace e la giustizia. Art. 2. […] La nazione cristiana di cui Essi e i loro popoli fanno parte non ha realmente altro sovrano se non quello a cui solo appartiene in proprietà il potere, perché in lui solo si trovano tutti i tesori dell’amore, della scienza e della saggezza infinita, cioè a dire Dio, il nostro Divino Salvatore Gesù Cristo, il Verbo dell’Altissimo, la parola di vita. Le Loro Maestà raccomandano in conseguenza con la più tenera sollecitudine ai loro popoli, come unico mezzo di godere di quella pace che nasce dalla buona coscienza, […] di fortificarsi ogni giorno di più nei principi e nell’esercizio dei doveri che il Divino Salvatore ha insegnato agli uomini. Pierre-Joseph Proudhon: la «proprietà è un furto» (capitolo 7) Proudhon era già lontano dai progetti astratti e irrealizzabili dei «socialisti utopisti», ma non ancora immerso nell’analisi razionale della realtà che caratterizzerà il «socialismo scientifico» di Marx. La sua affermazione più famosa, «la proprietà è un furto», appariva più un grido di dolore per le terribili condizioni di vita del proletariato che una tesi adeguatamente argomentata. Eppure, quel grido divenne una parola d’ordine efficace e diffusissima per le battaglie del nascente movimento dei lavoratori. Il possesso individuale è la condizione della vita sociale. Cinquemila anni di proprietà lo dimostrano: la proprietà è il suicidio della società. Il possesso è nel diritto; la proprietà è contro il diritto. Sopprimete la proprietà conservando il possesso; e, con questa sola modifica nel principio, cambierete tutto nelle leggi, nel governo, nell’economia, nelle istituzioni: caccerete il male dalla terra. […] Ogni lavoro umano essendo necessariamente il prodotto d’una forza collettiva, ogni proprietà diventa per la stessa ragione collettiva e indivisibile; più precisamente, il lavoro distrugge la proprietà. Ogni capacità lavorativa essendo, come ogni strumento di lavoro, un capitale accumulato, una proprietà collettiva, l’ineguaglianza di trattamento e di fortuna, col pretesto dell’ineguaglianza di capacità, è un’ingiustizia e un furto. Il commercio ha per condizioni necessarie la libertà dei contraenti e l’equivalenza dei prodotti scambiati: ora, poiché il valore è espresso dalla somma di tempo e denaro che rappresenta il costo di ogni prodotto, e poiché la libertà è inviolabile, i salari dei lavoratori devono essere necessa- riamente eguali, come lo sono i loro diritti e doveri. I prodotti si acquistano solo con altri prodotti; ora, poiché la condizione d’ogni scambio è l’equivalenza dei prodotti, il profitto è impossibile e ingiusto. Osservate questo principio della più elementare economia, e il pauperismo, il lusso, l’oppressione, il vizio, il crimine e la fame, scompariranno tra noi. La libera associazione, la libertà, che si limita a mantenere l’eguaglianza nei mezzi di produzione e l’equivalenza negli scambi, è la sola forma di società possibile, la sola giusta, la sola autentica. P.-J. Proudhon, Che cos’è la proprietà?, Bari, Laterza, 1967 220 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 221 Interpretazioni Testimonianze Documento 5 La Giovine Italia repubblicana di Giuseppe Mazzini (capitolo 8) Giuseppe Mazzini tra i maggiori protagonisti del Risorgimento, fondò nel 1831 la Giovine Italia, organizzazione segreta cui affidò il compito di propagandare le proprie idee e combattere per l’indipendenza della penisola. Mazzini era un ardente repubblicano, come si evince dal testo sottostante: un’«Istruzione Generale» diffusa ai suoi seguaci per spiegare loro le cause e gli obiettivi della lotta. Alla base del repubblicanesimo mazziniano stavano il bisogno di eguaglianza tra gli uomini e la necessità di buon governo dello Stato. Oltre alla mancanza, in Italia, di una dinastia reale che meritasse davvero di farsi incoronare guida del paese. La Giovine Italia è la fratellanza degli Italiani credenti in una legge di progresso e di dovere; i quali, convinti che l’Italia è chiamata ad essere nazione, che può con forze proprie crearsi tale, che il mal esito dei tentativi passati spetta non alla debolezza, ma alla pessima direzione degli elementi rivoluzionari, che il segreto della potenza è nella costanza e nell’unità degli sforzi, consacrano, uniti in associazione, il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’Italia in nazione di liberi ed eguali una, indipendente, sovrana. […] La Giovine Italia è repubblicana […]. Repubblicana: perché, teoricamente, tutti gli uomini d’una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità, ad esser liberi, eguali e fratelli; e l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire. Perché la sovranità risiede essenzialmente nella nazione, sola interprete progressiva e continua della legge morale suprema. Perché, dovunque il privilegio è costituito a sommo dell’edificio sociale, vizia l’eguaglianza dei cittadini, tende a diramarsi per le membra e minaccia la libertà del paese […]. Perché […] è provato che la monarchia elettiva tende a generar l’anarchia, la monarchia ereditaria a generare il dispotismo. Perché, dove la monarchia non s’appoggia, come nel medioevo, sulla credenza, oggi distrutta, del diritto divino, riesce vincolo mal fermo d’unità e d’autorità nello Stato […]. Perché […] l’Italia non ha elementi di monarchia: non aristocrazia venerata e potente che possa piantarsi fra il trono e la nazione: non dinastia di principi italiani che comandi, per lunghe glorie e importanti servizi resi allo sviluppo della nazione, gli affetti o le simpatie di tutti gli Stati che la compongono. I contadini e la recinzione delle terre in Inghilterra (capitolo 6) La Rivoluzione industriale prese avvio dalla profonda trasformazione delle campagne inglesi. Fu infatti il processo di recinzione delle terre a permettere lo sviluppo agricolo che a sua volta fornì il surplus di produzione necessario a sfamare la popolazione in crescita e il surplus di capitali necessari agli investimenti nell’industria. Le enclosures ebbero però anche un impatto disastroso sulle tradizionali comunità di villaggio, che si sfasciarono e liberarono l’abbondante manodopera di cui proprio le fabbriche avevano bisogno. Si trattò di un processo inarrestabile, sanzionato dal Parlamento, e al quale i contadini non poterono in alcun modo opporsi. Gli atti di recinzione non trovavano praticamente valida resistenza. […] Talvolta, i contadini si scagliavano contro il principio stesso dell’enclosure, […] oppure denunciavano i metodi con cui veniva applicata […]. A volte la collera contenuta delle campagne esplose con violenza improvvisa. In certe parrocchie, l’annuncio della recinzione provocò sollevamenti. Gli avvisi legali non potevano essere affissi alla porta delle chiese, «a causa dell’ostruzione fatta, a diverse riprese, dalla folla tumultuante, che impedisce l’affissione a viva forza». […] Questa decisa resistenza, in forte con- Vincenzo Gioberti: solo il papa può unire e salvare l’Italia (capitolo 8) Il sacerdote torinese Vincenzo Gioberti ebbe profonda influenza sulle vicende intellettuali del Risorgimento. Pubblicò infatti nel 1843 Del primato morale e civile degli italiani, in cui prospettava una penisola federata nei suoi diversi Stati e guidata dal pontefice. Date le radici cattoliche dell’Italia, a Gioberti sembrava che nessun altro personaggio e nessun’altra idea politica potessero meglio soddisfare le esigenze di unità degli abitanti della penisola. Ecco la pagina in cui illustra ai lettori la sua tesi. Errano coloro che vogliono fare del Papa un movitore e un artefice di risse, di tumulti, di violente rivoluzioni; quasi che un tale uso disordinato di potenza fosse possibile o desiderabile nel capo supremo del sacerdozio. […] L’azione civile del Papa non deve ripugnare al suo carattere spirituale e pacifico, come supremo pastore della Chiesa; e vi ripugnerebbe, se il padre comune dei Cristiani suscitasse i popoli contro i principi […]. Anche quando la barbarie dei tempi, la fierezza dei costumi, i modi rotti e scomposti dei dominatori richiedevano un freno più duro ed espedienti più efficaci, il Papa non fu mai violatore del- le sovranità nazionali, né esercitò sui regnanti alcun imperio, che non fosse da quelle consentito e approvato. […] Non è dunque col suscitare i sudditi contro i sovrani, che il Pontefice può salvare l’Italia; ma sì bene, recando a pace e a concordia durevole i principi ed i popoli della penisola, e rendendo indissolubili i loro nodi, mediante una lega dei vari stati italici, della quale egli è destinato dalla Provvidenza ad esser duce e moderatore. Che il Papa sia naturalmente e debba essere effettivamente il capo civile d’Italia, è una verità provata dalla natura delle cose, confermata dalla storia di molti secoli, riconosciuta altre volte dai popoli e dai principi nostri, e solo messa in dubbio, da che gli uni e gli altri bevvero ad estere fonti e ne derivarono il veleno nella loro patria. Né per effettuare questa confederazione, è d’uopo che il Papa riceva o pigli un potere nuovo, ma solo che rimetta in vigore un diritto antico, interrotto bensì, ma non annullato, inalienabile di sua natura, ed esercitato più volte solennemente. Il qual diritto variò nel modo del suo esercizio e nei mezzi eletti per esercitarlo, secondo i luoghi e i tempi; ma venne sempre indirizzato ad un fine, cioè a comporre ed unificare gli stati italiani. V. Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani, Torino, UTET, 1920 222 © Loescher Editore – Torino vunque un impiego consentisse loro di sottrarsi alla servitù della legge sui poveri, che legava l’assistito alla parrocchia. […] Prima del 1760, si constatava già «una continua emigrazione dalle parrocchie rurali verso i centri commerciali e, da questi, verso la capitale; infine, una folla di gente nata in campagna si stabilisce nelle piccole e grandi città e particolarmente nei maggiori centri industriali». L’industria era, di fatto, l’unico sbocco possibile per queste migliaia di lavoratori che avevano perduto del tutto o in parte le loro risorse tradizionali. P. Mantoux, La rivoluzione industriale, Roma, Editori Riuniti, 1971 in F. Della Peruta, Scrittori politici dell’Ottocento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969 Documento 6 trasto con l’abituale timidezza dei contadini, potrebbe anche apparire il semplice frutto del timore istintivo del cambiamento, se tutta una serie di documenti non dimostrasse che ad alimentarla erano ragioni più serie. Una precisa coscienza, ad esempio, che le recinzioni avevano come risultato l’acquisto del suolo da parte dei più ricchi, cui venivano attribuiti tutti i mali dell’epoca: l’alto prezzo dei beni di prima necessità, la demoralizzazione delle classi inferiori e l’aggravarsi della miseria. […] Si formava in tal modo una classe di uomini senza fissa dimora, pronti ad andare do- Le innovazioni tecnologiche «leva» dello sviluppo produttivo industriale (capitolo 6) Prima della Rivoluzione industriale, qualsiasi periodo di prosperità economica ha registrato un inizio, un culmine e una fine. Le innovazioni tecnologiche alla base dello sviluppo produttivo di fine Settecento inaugurarono invece una fase di incremento della ricchezza che ha conosciuto brevi soste o marce indietro, ma mai un arresto definitivo. La crescita incominciata allora continua tutt’oggi, è cumulativa ed auto propulsiva. Questo sostiene l’autore del brano, attribuendo il merito di tale fenomeno proprio ai ritrovati di scienza e tecnologia. Tra tutti i diversi aspetti del progresso tecnologico l’elemento comune è l’unità del movimento stesso: i cambiamenti generarono cambiamenti […]. La macchina a vapore è un esempio classico di questa interconnessione; fu impossibile produrre un efficiente motore a condensazione sino a quando migliori metodi di lavorazione dei metalli non permisero di costruire cilindri accuratamente calibrati. […] La domanda di carbone fece scendere gli scavi delle miniere sempre più in basso, finché non divenne grave il pericolo delle infiltrazioni d’acqua; la risposta fu la creazione di una pompa più efficiente, la macchina a vapore atmosferica […]. L’invenzione e la diffusione delle macchine […] crearono un nuovo fabbisogno di energia, quindi di carbone e di motori a vapore; e tanto questi motori quanto le macchine avevano un vorace appetito di ferro, ciò che richiedeva altro carbone ed altra energia. Il vapore poi rese possibile la città-fabbrica, che assorbiva inaudite quantità di ferro (quindi di carbone) nei suoi stabilimenti a più piani e nei suoi sistemi di approvvigionamento idrico e di scarico dei rifiuti. La lavorazione del flusso crescente dei manufatti richiese grandi quantità di sostanze chimiche: alcali, acidi e coloranti, la cui produzione consumava montagne di combustibile. Tutti questi prodotti – siderurgici, tessili, chimici – dipendevano dal trasporto delle merci su larga scala, per via di mare e di terra, dalle fonti della materia prima alle fabbriche e nuovamente da queste ai mercati vicini e lontani. L’opportunità che venne così ad aprirsi […] diede origine alla ferrovia e al battello a vapore, i quali naturalmente incrementarono la domanda di ferro e di combustibili allargando nel contempo gli sbocchi di mercato per i prodotti delle fabbriche. E così via, in cerchi sempre più ampi. D.S. Landes, Prometeo liberato, Torino, Einaudi, 1978 © Loescher Editore – Torino 223 Interpretazioni Interpretazioni Le ragioni dell’insuccesso socialista nella Rivoluzione francese del 1848 (capitolo 7) La «nazione italiana» nel Risorgimento (capitolo 8) Con la nascita della Seconda Repubblica, i ceti popolari francesi assunsero inaspettatamente una parte notevole nell’azione di governo. Ma le misure di legge che venivano incontro ai bisogni del proletariato causarono insopportabili tensioni nel tessuto sociale ed economico del paese. Troppi altri interessi consolidati venivano minacciati, a partire da quelli della borghesia. Ecco perché, dopo le grandi novità iniziali, il Quarantotto francese imboccò una strada moderata e, con Napoleone III, addirittura conservatrice. Lo studio storico del Risorgimento in passato si è concentrato per lo più sui suoi aspetti politici, diplomatici e militari. Da diversi anni, però, gli studiosi indagano anche il concetto di «nazione italiana». Alcuni sono convinti che la «nazione italiana» invocata dal Risorgimento fosse solo una costruzione retorica e propagandistica, altri sostengono che esisteva davvero. Certo è, come rileva Alberto Mario Banti, che a metà dell’Ottocento la «nazione italiana» era in gran voga, nonostante le molte differenze, in ogni campo, tra i pensatori e principali autori del Risorgimento. Fu proclamata la repubblica e, prima ancora che fosse eletta l’Assemblea costituente, fu introdotto il suffragio universale maschile, che portò immediatamente il numero degli elettori da 250.000 a 9 milioni, fu abolita la pena di morte per i reati politici, fu soppressa la schiavitù nelle colonie e fu fissata la giornata di 10 ore lavorative a Parigi e di 11 nelle province. […] Il governo provvisorio si impegnò «[…] a garantire il lavoro a tutti i cittadini» e riconobbe agli operai il diritto di «associarsi tra loro per godere del beneficio del loro lavoro». […] Si decise inoltre di creare degli ateliers nationaux […] con lo scopo di eliminare la disoccupazione. […] I provvedimenti presi per alleviare la disoccupazione […] finirono col suscitare larghe reazioni negative contro i socialisti, ai quali si attribuì il disegno e la responsabilità di voler sovvenzionare operai improduttivi […] a spese delle altre classi della nazione. L’impopolarità di queste misure divenne grandissima, allorché il governo decise di risolvere le difficoltà finanziarie aumentando di 45 centesimi per franco le imposte dirette, alle quali era soggetta la grande massa dei contadini proprietari. […] Il colpo decisivo alle illusioni del proletariato parigino sulla «organizzazione del lavoro» fu dato dalle elezioni, che si tennero il 23 aprile e mandarono all’Assemblea costituente una schiacciante maggioranza di moderati. Da quel momento, tutti i tentativi del proletariato parigino di riaffermare pacificamente o violentemente le proprie esigenze furono presi a pretesto per sollecitare la liquidazione di tutto ciò che restava della repubblica «sociale» […]. La repubblica si era posta su una china che avrebbe portato in breve alla soppressione delle libertà conquistate. R. Villari, Mille anni di storia. Dalla città medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2001 La storiografia che si è occupata della letteratura e della saggistica risorgimentale ha – di norma – posto in evidenza le profonde diversità delle convinzioni ideologiche, delle sensibilità filosofiche, delle aspirazioni politiche, che animarono intellettuali, letterati e leader politici risorgimentali. Laici contro neoguelfi, democratici contro moderati, repubblicani contro monarchici, unitari contro federalisti: queste sono le contrapposizioni, moltiplicabili a piacere, per il numero di incroci e sovrapposizioni che con esse si possono costruire. E sono, è bene sottolinearlo con forza, un’assoluta realtà. Non può es- serci alcun dubbio sulla differenza di intenzioni, obiettivi e programmi politico-costituzionali che separavano Mazzini da Manzoni, Mameli da Pellico, Guerrazzi da Giusti, d’Azeglio da Giannone, e così via. Ma se lasciamo sullo sfondo le loro preferenze politiche, e li ascoltiamo solo ed esclusivamente mentre parlano della nazione italiana, mentre cercano di descrivere che cos’è questo soggetto, com’è fatto, che storia ha avuto alle spalle, ebbene, ecco che le differenze cadono: una lettura ravvicinata dei lavori del «canone risorgimentale» mostra la ricorrenza piuttosto sistematica di una serie di A.M. Banti, La nazione del Risorgimento, Torino, Einaudi, 2000 I liberali tedeschi dalla democrazia al nazionalismo (capitolo 7) Con la sconfitta del 1848, la borghesia tedesca dimostrò di non essere abbastanza forte da conquistare l’egemonia politica e portare la Germania sulla strada del liberalismo. Fu la monarchia prussiana a svolgere questo ruolo, dando maggiore spazio alla borghesia e ottenendone in cambio l’appoggio alle sue mire di potenza e alla conservazione di rapporti sociali di stampo ancora feudale. La Germania perse allora un’occasione storica, con ripercussioni che sarebbero apparse evidenti nei successivi decenni di guerre, combattute da Berlino tra Ottocento e Novecento per la supremazia continentale. La disperazione generale che fa seguito alla sconfitta contribuisce alla capitolazione ideologica che sta per compiersi. […] Già nel corso della rivoluzione, ma soprattutto dopo la sua sconfitta, il principio dell’unità trionfò nel loro animo su quello della libertà; cioè aumentò sempre più il numero di coloro che volevano una Germania unitaria e potente, e che diventavano sempre più indifferenti alla questione su fino a che punto questa unità si appoggiasse a un riassetto interno nel senso della libertà. […] Solo ora comincia la trasformazione della Prussia […] in una «monar- chia bonapartistica». […] Solo ora si mostra in tutto il suo splendore la «missione nazionale» della Prussia e comincia la vera prussificazione della Germania. Muta inoltre la funzione sociale della monarchia, in quanto il suo potere, praticamente assoluto, non istituisce più l’equilibrio tra aristocrazia e borghesia, bensì tra «classi elevate», aristocratiche e borghesi, da una parte, e «classi inferiori» del basso popolo, dall’altra. Certo, anche in Francia, dalle tempeste della rivoluzione del 1848 nasce il dominio del bonapartismo. Ma in primo luogo il popolo francese ha spazzato via i residui feudali già mezzo secolo prima, temi e di figure, tra loro connessi, che delineano una sorta di narrazione coerente della nazione italiana, qualcosa che potremmo chiamare la morfologia elementare del discorso nazionale. Certo, ciascuno di questi testi si concentra su un tema piuttosto che su un altro; su un’immagine piuttosto che su un’altra; su una fase della storia della nazione piuttosto che su un’altra: eppure, posti l’uno a fianco all’altro, temi e figure elaborate contribuiscono alla definizione di un discorso ricco di rimandi e di coerenze, una sorta di pensiero unico della nazione. mentre la «monarchia bonapartistica» assunse in Germania il compito o di conservarli […] adattandoli al capitalismo, o di farli trapassare in rapporti borghesi moderni in modo indolore […]. In secondo luogo, il bonapartismo costituiva, nell’evoluzione francese, un evidente regresso, dopo il quale, qualche decennio più tardi, al crollo della reazione napoleonica nel 1870, fu ripresa la linea repubblicana, mentre è sintomatico per il disgraziato cammino della Germania che Friedrich Engels abbia potuto designare come progresso il trapasso del vecchio assolutismo prussiano nella «monarchia bonapartistica». G. Lukács, Breve storia della letteratura tedesca, Torino, Einaudi, 1971 I Savoia protagonisti dell’unità d’Italia (capitolo 8) Nell’estate del 1860, Cavour spinse Vittorio Emanuele II a discendere la penisola con l’esercito per scongiurare il rischio della creazione di una repubblica democratica nel Meridione d’Italia. In realtà, lo sguardo retrospettivo dello storico mostra che, se doveva farsi, l’unità poteva essere guidata solo dai Savoia. Tutto concorreva a tale risultato: la debolezza dei regimi assolutisti, il favore di Francia e Inghilterra, la capacità della dinastia sabauda di sfruttare il momento storico e, appunto, il fallimento dell’azione democraticorepubblicana. Fu per questo che il Regno d’Italia nacque nel nome dei monarchi piemontesi. La configurazione dell’Italia come Stato monarchico-unitario […] era il logico sbocco delle scelte coraggiose di Casa Savoia. Il ruolo assunto dal Piemonte nel movimento nazionale a partire dal Congresso di Parigi aveva mutato i termini della lotta politica nella penisola. La fedeltà allo Statuto aveva mostrato la possibilità di conciliare l’ordine con la libertà […]. Assurto a simbolo della libertà e dell’Unità, Vittorio Emanuele nel 1859-60, in quell’autentica rivoluzione che sconvolse il secolare assetto territoriale della penisola, rappresentò la garanzia dell’ordine di fronte alla diploma- zia europea e di fronte alle classi dirigenti degli Stati che scomparivano. Si dimostrò fondata la convinzione di Mazzini che il crollo dell’Austria in Lombardia avrebbe messo in crisi tutti i governi assoluti. […] L’unione della Lombardia al regno sardo discendeva dagli accordi di Plombières. Le annessioni nell’Italia centrale furono determinate dall’eterogeneità dei territori ribellatisi ai governi legittimi e dalla imprevista forza del sentimento nazional-liberale, che escluse il ritorno dei vecchi sovrani […]. Si venne così a creare uno Stato esteso, che diventò polo di attrazione nei confronti delle Due Sicilie nel ’60. […] La soluzione «sabauda» fu, quindi, favorita dalla scansione dei tempi in cui si realizzò l’Unità. Quando l’epica impresa dei Mille meravigliò il mondo, i democratici erano già stati sconfitti sul terreno ideologico […] e sul terreno politico […]. Mazzini era stato il profeta dell’unità nazionale […]: ma i moderati avevano avuto un progetto politico in grado di sfruttare gli spazi di manovra permessi dagli avvenimenti internazionali ed il regno sabaudo in quanto «Stato» ne aveva reso possibile la realizzazione. Per queste ragioni l’Italia unita ebbe direzione moderata. A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 1990 224 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 225 Unità 3 • L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione Verso la Prima prova: tema di argomento storico 1 Ora che hai studiato le rivoluzioni del 1848 in Europa, completa la tabella in modo sintetico; poi, dopo aver raccolto le informazioni richieste, scrivi un breve testo, più analitico, che le metta in relazione. Argomento: Le rivoluzioni del 1848 in Europa (capitolo 7) 5In quale anno Cavour divenne primo ministro del Regno di Sardegna? a 1848. b1852. c 1857. d1861. 6Quale aspetto della politica economica di Cavour ebbe un effetto positivo diretto sui ceti sociali meno abbienti? a L’abolizione del dazio sul grano. bLo scavo di canali di irrigazione. c Il libero commercio. dL’apertura di nuove banche. Qual è l’ambito tematico di riferimento del fenomeno: politicoistituzionale, economico-sociale, filosofico-culturale, scientifico o religioso? Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta Quali sono i paesi protagonisti? 3 Costruisci una mappa concettuale sulle caratteristiche fondamentali della Restaurazione (capitolo 7). Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale Quali sono le classi sociali protagoniste in ciascun paese? 4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla Rivoluzione industriale inglese (capitolo 6), che potrai poi esporre oralmente. Condizioni politiche Per quanto tempo sono durate le rivoluzioni? Gloriosa rivoluzione à Monarchia parlamentare à Nobili, ricchi proprietari terrieri e borghesia partecipano alla politica fiscale à Innovazioni tecnologiche: • Agricoltura à Meccanizzazione à Seminatrice, aratro in ferro •M anifatture à Nuove macchine per meccanizzare lavorazioni tessili à Riduzione dei tempi di produzione Quali sono le cause che le hanno innescate? Quali sono, invece, le conseguenze? Condizioni economiche Supremazia sui mari à Sviluppo commerci Verso la Terza prova: quesiti a risposta multipla 2 Segna con una crocetta la risposta corretta. 226 1 Quale di queste affermazioni è corretta? a Mazzini fondò la Carboneria. bMazzini sosteneva la lotta di classe. c Mazzini fondò La Giovine Italia. dMazzini aspirava a un’Italia federale. 3 Chi dichiarò guerra all’Austria il 23 marzo 1848? a Carlo Alberto. bFerdinando II. c Leopoldo II. dPio IX. 2In quale anno e in quale città Mazzini fondò il Partito d’Azione? a Nel 1852 a Belfiore. bNel 1852 a Ginevra. c Nel 1853 a Milano. dNel 1853 a Ginevra. 4In quale territorio la libertà di pensiero e di espressione dei patrioti italiani non veniva repressa? a Nello Stato pontificio. bNel Regno di Sardegna. c Nel Regno delle Due Sicilie. dNel Lombardo-Veneto. © Loescher Editore – Torino Rivoluzione agricola à Enclosures, rotazioni quadriennali e innovazioni tecnologiche à Massimo sfruttamento delle terre à Aumento delle pecore (lana) Trasformazione del lavoro à Lavoro manuale à Macchine à Quantità maggiori e costi minori à Crisi del lavoro artigianale e a domicilio Aumento della produzione à Mercanti e proprietari fondiari dispongono di capitali à Capitalista imprenditore Artigianato e lavoro a domicilio à Industria Materie prime e fonti energetiche (ferro e carbone) lavorate e utilizzate nelle industrie à Macchina a vapore à Forza motrice per industria e trasporti à Sviluppo del sistema dei trasporti Impero coloniale à Materie prime (cotone grezzo) e domanda esterna Condizioni sociali Miglioramento delle condizioni di vita, pace interna, aumento della produzione agricola à Riduzione del tasso di mortalità à Incremento demografico Disponibilità di manodopera e aumento della domanda interna © Loescher Editore – Torino 227