Il Risorgimento e la nascita del Regno d`Italia

Il Risorgimento e la nascita
del Regno d’Italia
Budapest
FRA NCIA
LIECHTENSTEIN
Tirolo
SVIZZERA
I M P E RO AUST RO - U N G A R I CO
Carinzia
Tre n tin o
Trento
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Venezia
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Palermo
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Sicilia
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Catania
Mediterraneo
Gli Stati italiani prima dell’unificazione
Giuseppe Mazzini esule ritratto insieme ad alcuni bambini.
8.1 Le nuove idee sul
«Risorgimento» dell’Italia
La situazione dopo
il fallimento delle prime
rivolte liberali
In Italia, i tentativi di ribellione all’ordine
stabilito dal Congresso di Vienna furono un
fallimento sia nel 1820-1821 che nel 1830.
I patrioti italiani, sia liberali sia democratici, si interrogarono sul motivo di quelle
sconfitte. Era accaduto, purtroppo, che l’attività delle società segrete aveva coinvolto
solo una piccola minoranza della popolazione italiana (borghesi e intellettuali). La
gran parte del popolo, invece, era troppo
impegnata ad affrontare i problemi quotidiani legati alla semplice sopravvivenza.
L’Italia era un paese di contadini e di pochi
operai, impiegati nelle prime fabbriche, diffuse soprattutto al Nord: gli uni e gli altri, di
solito, erano poveri e analfabeti e incapaci
di interessarsi alle nuove idee politiche. La
stessa borghesia era numericamente troppo esigua per fare massa sufficiente in opposizione agli interessi dei ceti più conservatori.
Tutto ciò si innestava su una situazione
politica generale per niente favorevole alle
novità. Tra anni Trenta e Quaranta, infatti,
gli Stati italiani seguirono una politica di
continuità con i principi della Restaurazione. Solo in Toscana e in Piemonte emersero
timidi segnali di tolleranza liberale. L’immobilismo era quasi totale anche nella cultura,
mentre in economia i progressi erano appena accennati. Solo nel Lombardo-Veneto e in
Piemonte l’agricoltura adottò nuovi metodi
di conduzione della terra, e in queste stesse
regioni, più in Toscana, trovarono impulso
le costruzioni ferroviarie, il commercio e il
settore bancario. Ovunque, l’industria era
gravemente carente di macchinari moderni e la mancanza di un mercato nazionale
rappresentava un grosso ostacolo allo sviluppo produttivo della penisola.
Appariva evidente che una rinascita
dell’Italia sarebbe stata avviata solo con idee
e mezzi nuovi e più efficaci: che avrebbero
garantito un rinnovato sviluppo politico,
economico e sociale; che avrebbero riportato il paese ai fasti del tempo passato, quando la penisola era libera dalla dominazione
straniera; che avrebbero dato agli italiani il
giusto senso della loro identità nazionale,
della comunanza di lingua, di religione e
tradizioni; che avrebbero saputo coniugare
le istanze politiche più propriamente liberali e democratiche con quelle nazionali.
Si cominciò così a parlare di «Risorgimento» d’Italia. L’Italia, si diceva, poteva
e doveva «risorgere» a nuova e gloriosa esistenza, lasciandosi alle spalle il decadimento che la colpiva almeno dal Seicento.
Il progetto repubblicano
di Giuseppe Mazzini
Uno dei più importanti pensatori che cercarono di fondare su basi nuove il movimento
per la liberazione dell’Italia dai regimi assolutistici e dal dominio straniero e la sua
trasformazione in uno Stato moderno fu
Giuseppe Mazzini  .
Nato a Genova nel 1805 da una famiglia
borghese, egli aveva aderito alla Carboneria
nel 1827 e appena tre anni dopo era stato arrestato, processato ed esiliato dal Piemonte. A Marsiglia era entrato in contatto con
l’emigrazione politica italiana e le principali
correnti di pensiero europee dell’epoca;
successivamente, a Ginevra e Londra Mazzini aveva elaborato compiutamente le proprie teorie.
Il pensiero mazziniano aveva solide radici democratiche, unite alla consapevolezza
che l’Italia andava liberata dall’ingerenza
austriaca. Egli intendeva diffondere gli ideali di amore per la patria e la libertà, ma
aveva anche compreso che le rivolte guidate
da società segrete, composte da un numero
ristretto di aderenti e senza scopi chiari a
tutti, erano destinate al fallimento: innanzitutto per la debolezza militare e strategica
di fronte alle forze della Santa Alleanza, ma
anche perché non erano adeguatamente sostenute dal popolo. A
Giuseppe Mazzini.
Fortissimo era inoltre in Mazzini il senso
religioso del suo compito. Il rivoluzionario
e il popolo che egli guidava agivano entrambi perché investiti di una missione divina e
quindi in ottemperanza al disegno di Dio sugli uomini. L’uomo stesso, la famiglia di cui
faceva parte, la nazione di cui era membro
e l’umanità tutta avevano il dovere di operare assieme per il bene comune. Quanto
alle esigenze dei ceti più bisognosi, Mazzini
rifiutava la lotta di classe e affermava che i
lavoratori avrebbero migliorato le loro condizioni di vita attraverso la cooperazione e il
mutuo soccorso.
Mazzini sognava di costruire un’Italia
«una, libera, indipendente e repubblicana».
Un’Italia dalla forte identità nazionale, che a
sua volta si sarebbe messa alla testa della lotta di tutte le nazioni oppresse. Per realizzare
il suo scopo, Mazzini nel 1831 fondò una società e una rivista, alle quali diede lo stesso
nome: La Giovine Italia. Essa si rivolgeva a
tutti i cittadini e rendeva noto apertamente agli iscritti il proprio obiettivo: l’insurrezione popolare, di tutto il popolo, senza
distinzioni di classe e senza l’appoggio dei
sovrani, contro i regimi assolutistici e contro
Vienna. L’Italia finalmente liberata sarebbe
diventata una repubblica unita in un solo
Stato (Mazzini rifiutava il federalismo). [Testimonianze  documento 5, p. 222]
La teoria mazziniana dovette però fare
presto i conti con la realtà. La Giovine Ita-
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1760
Risorgimento:
termine con cui si
cominciò ad indicare
il processo di
liberazione dell’Italia dal
dominio straniero e il
raggiungimento della sua
unità politica. Si trattava,
infatti, di far «risorgere»
il nostro paese dopo
secoli di divisioni e di
dominazioni straniere.
Album p. 212
 Tweet Storia p. 358
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1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore
1800 Volta costruisce la pila elettrica
1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio
1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria
1861
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3
8
L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
Il federalismo dei moderati:
Cattaneo, Gioberti e Balbo
Il primo incontro fra Garibaldi e Mazzini nel 1833.
Carlo Cattaneo durante le cinque giornate di Milano.
lia si affermò e diffuse nell’intera penisola,
ma soprattutto nelle città del Centro-nord,
e raccolse i suoi aderenti tra tutti i ceti urbani, dalla borghesia agli operai. Ne rimasero
però esclusi i contadini. Inoltre, i numerosi
tentativi insurrezionali organizzati in Piemonte negli anni Trenta fallirono miseramente. Altrettanto accadde ai moti organizzati al principio degli anni Quaranta nello
Stato pontificio.
La conferma della debolezza e dell’isolamento dei democratici mazziniani giunse
nell’estate 1844, in Calabria. I due fratelli
veneziani Attilio ed Emilio Bandiera, animati dal sogno di sollevare i poveri contadini di quelle terre e fondare una repubblica,
sbarcarono presso Crotone con soli 19 compagni. Contrariamente a quanto sperato,
i contadini aiutarono i soldati a catturare i
rivoltosi, probabilmente scambiandoli per
briganti: furono tutti condannati a morte.
Giuseppe Garibaldi: un uomo
d’azione
Altro grande protagonista degli eventi di
quest’epoca fu Giuseppe Garibaldi. A differenza dei borghesi che si radunavano nelle
società segrete e progettavano ribellioni
contro il dominio austriaco e le monarchie
assolute italiane, Garibaldi non era un intellettuale, ma un uomo d’azione, abituato a
combattere.
Nato nel 1807 a Nizza (all’epoca città appartenente all’impero francese, ma poi dal
1815 passata sotto l’amministrazione dei
Savoia), animato da idee repubblicane e
amico di Mazzini, dovette fuggire in America Latina nel 1834 dopo un’insurrezione
fallita a Genova, alla quale aveva partecipato come marinaio arruolato sulle navi del
Regno di Sardegna. Negli anni successivi
combatté a fianco dei democratici in Brasile e Uruguay e si fece notare per il coraggio
e la capacità di guidare alla vittoria reparti
armati formati da volontari.
Nel 1843 organizzò una «Legione italiana»
formata da molti esuli italiani, che adottarono come divisa una camicia rossa. Con questo reparto praticò con successo la guerriglia,
cioè la guerra combattuta con azioni rapide,
agguati, piccole vittorie e veloci ritirate.
Nel 1848, alla notizia delle rivoluzioni che
sconvolgevano l’Europa, Garibaldi rientrò
dal Sudamerica accompagnato da una vasta
fama, ormai pronto a diventare una delle figure decisive nella lotta dell’Italia per il raggiungimento dell’indipendenza.
Mentre Mazzini e Garibaldi si misuravano
con il fallimento delle azioni insurrezionali
di stampo democratico, prendeva piede una
corrente di pensiero più moderata, che ebbe
i suoi principali esponenti in Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti e Cesare Balbo.
Lo studioso ed economista milanese
Carlo Cattaneo, creatore della rivista «Il Politecnico», era sfavorevole all’unificazione
della penisola in un solo Stato. Riteneva infatti che le divisioni del nostro paese fossero
durate troppo a lungo e avessero lasciato
un segno troppo profondo sulla vita e sulla cultura delle diverse regioni d’Italia. Egli
confidava in graduali riforme politiche dei
governi locali e nel progresso economico
della penisola, che avrebbero facilitato la
creazione di una federazione tra Stati – sul
modello degli Stati Uniti d’America – in forma di repubblica.
Vincenzo Gioberti, un sacerdote piemontese, pubblicò nel 1843 l’opera Del primato
morale e civile degli italiani, in cui illustrava la superiorità italiana nel consesso delle
nazioni, dovuta alla coesione data dalla fede
cattolica e dalla presenza del papato. Anche
Gioberti era favorevole alla nascita di una
federazione tra gli Stati italiani, ma proponeva che a capo di essa fosse posto proprio
il papa. Egli pensava infatti che, grazie al
legame creato dal cattolicesimo tra le popolazioni italiane, il magistero della Chiesa
avrebbe potuto imporsi con naturale autorevolezza a tutta la penisola. Il progetto di
Gioberti ebbe grande successo tra i borghesi
cattolici liberali che, con palese riferimento
al Medioevo, vennero chiamati «neoguelfi» .
[Testimonianze  documento 6, p. 222]
Per Cesare Balbo, anch’egli piemontese e
autore nel 1844 de Le speranze d’Italia, l’Italia federale doveva essere guidata dai Savo-
Vincenzo Gioberti.
Cesare Balbo.
ia e dal Piemonte, che avrebbero promosso
l’unione doganale e militare con tutti gli Stati della penisola e spinto Vienna a spostare i
suoi interessi egemonici verso i Balcani e le
regioni centro-orientali dell’Europa.
Questi tre pensatori avevano in comune
la convinzione che la libertà dell’Italia non
doveva essere raggiunta con la rivolta popolare o con la guerra all’Austria, ma attraverso accordi tra Stati, cioè per via diplomatica. Inoltre, non cercavano per l’Italia l’unità
a tutti i costi, ma si accontentavano di una
federazione, che a molti abitanti della penisola appariva in effetti una soluzione realistica e raggiungibile. Solo Cattaneo, infine,
propugnava il «pericoloso» ideale repubblicano: Gioberti e Balbo, più rassicuranti per
l’opinione pubblica liberale, rimanevano
ancorati al principio monarchico. Nel complesso, per tutti questi motivi, possiamo
considerare i tre pensatori appena menzionati dei moderati.
Le proposte dei patrioti italiani
Mazzini
Cattaneo
Gioberti
Balbo
Repubblica unitaria
Confederazione
di Stati con forma
repubblicana
Confederazione
di Stati presieduta
dal papa
Confederazione
di Stati presieduta
dal Piemonte
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1760
neoguelfi: i seguaci
della linea di pensiero
e azione politica che
si riallaccia idealmente
al guelfismo medievale,
il quale attribuisce
al papato un’importante
funzione politico-sociale
per il trionfo della causa
nazionale italiana.
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1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore
1800 Volta costruisce la pila elettrica
1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio
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L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
8.2 Le rivolte del 1848
e la Prima guerra
d’indipendenza
1846-1848: due anni di riforme
in Italia
p. 60
amnistia:
provvedimento legislativo
con cui lo Stato rinuncia
ad applicare una pena
nei confronti di persone
che si siano macchiate
di particolari categorie
di reati.
Nel 1848, mentre a Parigi, Berlino, Vienna,
Praga, Budapest le popolazioni in rivolta
contro l’ordine della Restaurazione, contro
le monarchie assolute e contro le dominazioni straniere facevano sentire la propria
voce, anche in Italia si accesero i fuochi della ribellione.
In realtà, tra 1846 e 1848 in alcuni Stati
della penisola erano state concesse importanti riforme. Nel 1846 il nuovo papa Pio IX,
aveva introdotto nello Stato pontificio una
certa libertà di stampa, amnistiato alcuni
prigionieri politici, ridotto i controlli di polizia e affidato ai laici alcune funzioni amministrative. Queste iniziative avevano fatto
pensare, erroneamente, che il nuovo pontefice fosse favorevole ai liberali e ai patrioti,
e avevano suscitato un grande entusiasmo
nell’intera opinione pubblica nazionale. In
particolare, guardavano al papa i «neoguelfi» di ispirazione giobertiana.
Nel 1847, la Toscana aveva istituito una
Consulta di Stato formata da rappresentanti dei territori scelti dalle autorità, mentre il
Piemonte aveva concesso una moderata libertà di stampa e la formazione di consigli
comunali elettivi. In novembre, lo Stato della Chiesa, il granducato di Toscana e il Regno di Sardegna avevano eliminato le imposte doganali che pesavano alle loro frontiere
sulla libera circolazione delle merci. Era un
provvedimento favorevole agli interessi della borghesia imprenditoriale, che mal sopportava che i commerci fossero gravati da
dazi interni al territorio italiano.
Al principio del 1848, poi, gli eventi subirono una decisa accelerazione. A metà gennaio, nel Regno delle Due Sicilie scoppiò
una rivolta a larga partecipazione popolare
che costrinse il re Ferdinando II a concedere
una Costituzione ispirata a quella francese
del 1830. In febbraio, sulla spinta di quanto
accaduto nel Meridione e sotto la pressione
di manifestazioni popolari e opinione pubblica moderata, anche il re di Sardegna Carlo Alberto, il granduca di Toscana Leopoldo
II e infine il papa concessero delle Costituzioni, accettando di istituire dei parlamenti elettivi e di limitare così i propri poteri.
Quando però a metà marzo scoppiarono
le rivoluzioni in tutta Europa, fu chiaro che
queste pur notevoli riforme non erano sufficienti; infatti proprio questi progressi suscitarono la speranza di potersi liberare presto dal dominio degli austriaci e di formare
un’Italia libera e unita.
Daniele Manin proclama la Repubblica di Venezia, 23 marzo 1848, Venezia, Museo del Risorgimento.
Josef Radetzky
Venezia e Milano si ribellano
agli Asburgo
Alle popolazioni dell’Italia settentrionale
sottomesse al controllo austriaco non bastava assistere ai progressi delle idee liberali
nel resto dell’impero. La rivolta di cechi e
magiari rappresentava per gli abitanti del
Lombardo-Veneto uno stimolo potentissimo alla ribellione.
Il 17 marzo 1848 insorse Venezia e gli austriaci furono costretti a liberare i prigionieri
politici. All’insurrezione si unirono gli operai dei cantieri navali e i reparti italiani della
marina asburgica; nel giro di pochi giorni, di
fronte alla crescente ostilità popolare, i soldati di Vienna abbandonarono la città. Dal
18 al 22 marzo, in cinque giornate di furiosi
combattimenti iniziate con l’assalto al palazzo del governo, Milano cacciò le truppe
del generale Josef Radetzky, che decise di
rifugiarsi nel cosiddetto «Quadrilatero», formato dalle fortezze di Mantova, Verona, Legnago e Peschiera. Fondamentale, durante
gli scontri con le truppe austriache per le vie
di Milano, fu l’apporto di tutti i ceti popolari. D5 Borghesi, artigiani, operai, uomini e
donne, adulti e ragazzi si batterono fianco a
fianco sulle barricate, senza più distinzioni
di classe. La rivolta si estese anche a Parma
e Modena, dove i sovrani imposti dagli stranieri furono cacciati.
Nelle città liberate, si formarono governi
provvisori guidati da patrioti e repubblicani. A Milano il governo provvisorio nacque il
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
B. Verazzi, Combattimenti a palazzo Litta, Milano, Museo del Risorgimento.
22 marzo: era guidato dal liberale moderato
Gabrio Casati, filo-piemontese favorevole
all’annessione al Regno di Sardegna. Forte però, soprattutto nel consiglio di guerra
che aveva condotto la rivolta, era la presenza di democratici repubblicani come Carlo
Cattaneo, federalista e contrario all’unione
alla dinastia dei Savoia. A Venezia il governo provvisorio sorse il 23 marzo e fu guidato
dai democratici repubblicani Daniele Manin e Niccolò Tommaseo.
Il successo delle rivolte aveva riempito di
entusiasmo migliaia di italiani, ma le città
liberate non potevano sperare di resistere
a lungo alla forza militare dell’impero austriaco: tutti invocavano l’intervento del re
di Sardegna e del suo esercito.
La Prima guerra
d’indipendenza
Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto dichiarò
guerra all’Austria, spinto principalmente
dalla speranza di espandere il proprio regno. Tra i motivi che lo indussero all’azione
vi erano però anche la pressione a corte dei
liberali piemontesi e il desiderio di impedire che l’agitazione repubblicana si allargasse senza controllo a partire dal LombardoVeneto.
La stessa preoccupazione per le sorti dei
regimi monarchici e il fermento delle rispettive opinioni pubbliche liberali spinsero ad
unirsi alla lotta antiaustriaca anche Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e
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Dossier 5 p. 336
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Genova
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Firenze
1848
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1849
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Insurrezioni
e governi
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Roma
1849
Velletri
Piemontesi
te di durissimi combattimenti. La sconfitta
toccò anche i territori pontifici insorti, da
Bologna a Ferrara, dalla Romagna alle Marche. I patrioti vennero ovunque arrestati o
fuggirono in esilio, mentre le Costituzioni e
le riforme concesse dai sovrani negli ultimi
tre anni furono ritirate.
In breve, alla fine dell’estate 1849 l’Italia
era tornata alla situazione precedente al
1846. Solo in Piemonte la Costituzione, detta
Statuto Albertino  e ispirata alla Carta
francese del 1830, rimase in vigore e lo Stato divenne, a tutti gli effetti, una monarchia
costituzionale, anche se ancora di stampo
piuttosto moderato. Lo Statuto, infatti, prevedeva la creazione di una Camera dei Deputati eletta su base censitaria molto ristretta e di un Senato di nomina regia, composto
soprattutto da aristocratici, membri del clero e personalità eminenti del regno. In più
affermava la stretta dipendenza del governo dal sovrano, che sceglieva i ministri. Con
tutto ciò, lo Statuto Albertino, destinato poi
a diventare la Carta costituzionale dell’Ita-
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Venezia
Repubblica,
marzo 1848agosto 1849
a
Dopo la definitiva sconfitta piemontese a
Novara, nel marzo 1849, Venezia e Firenze
furono attaccate dagli austriaci: la Repubblica toscana si arrese in luglio, mentre
la città lagunare cadde alla fine di agosto,
dopo ben cinque mesi d’assedio. Brescia si
era sollevata in coincidenza con la ripresa
delle operazioni da parte di Carlo Alberto, e
la sua rivolta era stata guidata dai democratici: si arrese agli Asburgo dopo dieci giorna-
R E G NO
DI
SARDEGNA
Verona
Peschiera
Custoza
Goito
Legnago
Mantova QUADRILATERO
Curtatone
Montanara
DUCATO
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Lo Statuto Albertino:
un’eccezione al ritorno
della conservazione
Torino
Vicenza
1848
d
La sconfitta di Custoza aveva deluso profondamente i liberali italiani, che speravano
in una rapida annessione dei loro regni al
Piemonte e nella cacciata dei sovrani legati all’Austria. Il fallimento sabaudo ridiede
anzi fiato alla componente democratica del
movimento patriottico e tra 1848 e 1849 a
Venezia, Firenze e Roma ancora in rivolta fu
proclamata la repubblica.
A Roma, nell’estate del 1848, dopo l’armistizio tra piemontesi e austriaci, Pio IX
aveva cercato di ritirare le concessioni fatte negli ultimi anni e fu invece costretto a
rifugiarsi a Gaeta, presso la corte di Ferdinando II. Nella capitale dello Stato pontificio accorsero Mazzini e Garibaldi, che
nel gennaio 1849 divennero membri della
nuova Assemblea costituente, eletta a suffragio universale maschile. Il 9 febbraio fu
dichiarato decaduto il potere temporale dei
pontefici e nacque la Repubblica Romana,
Boffalora Milano
Brescia Pastrengo
1848 1849
Novara
A
 Tweet Storia p. 358
La breve parabola
della Repubblica Romana
IMPERO AUSTRO-UNGARICO
r
Vittorio Emanuele II.
tentarono di mettersi alla guida dei moti
rivoluzionari che ancora infiammavano la
penisola. Tuttavia, furono sconfitti a Novara il 22-23 marzo 1849. Di conseguenza, lo
stesso re Carlo Alberto rinunciò al trono in
favore del figlio Vittorio Emanuele II, che
firmò un nuovo armistizio.
La Prima guerra d’indipendenza era perduta e gli austriaci ripresero il controllo
dell’Italia.
SVIZZERA
a
pp. 146, 218, 316
Pio IX. La guerra sabauda divenne così inaspettatamente la Prima guerra d’indipendenza d’Italia: una svolta ben simboleggiata
dall’uso in battaglia del tricolore  bianco,
rosso e verde, con al centro lo stemma di
casa Savoia.
Le truppe piemontesi, sostenute dalle
forze regolari dei regni italiani alleati e da
volontari provenienti da ogni parte della
penisola, sconfissero il nemico a Pastrengo
e Goito, mentre nel mese di maggio cadeva
anche l’importante fortezza di Peschiera.
Ma le esitazioni di Carlo Alberto diedero agli
austriaci il tempo di riorganizzarsi, mentre
con un improvviso voltafaccia i sovrani di
Napoli, Firenze e Roma ritirarono le loro
truppe. Accusavano infatti il Piemonte di
perseguire una strategia apertamente annessionista e di mettere così in pericolo gli
equilibri politici della penisola. Oltre a ciò,
il papa si trovava in grande imbarazzo nel
combattere contro una potenza cattolica
come l’Austria.
Ricevuti rinforzi, gli Asburgo sconfissero
tra il 23 e il 25 luglio i piemontesi a Custoza, presso Verona, e li costrinsero alla ritirata. Milano fu rioccupata e il 9 agosto Carlo
Alberto firmò l’armistizio con l’Austria, sospendendo la guerra e rientrando nei confini tra Piemonte e Lombardia, segnati dal
fiume Ticino.
Pochi mesi più tardi i sabaudi attaccarono
di nuovo. Insoddisfatti delle dure condizioni di pace che Vienna voleva imporre loro,
La Prima guerra d’indipendenza (1848-1849)
M
G. Fattori, La battaglia di Custoza, 1876-1880, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
retta da un triumvirato di cui faceva parte
lo stesso Mazzini. Ma la città fu attaccata in
giugno da truppe francesi, inviate in soccorso del papa da Napoleone III, e da truppe
borboniche, provenienti dal Sud.
Mentre Roma era sotto assedio, i patrioti
che animavano la Repubblica annunciarono che avrebbero praticato la «democrazia
pura», incamerarono i beni ecclesiastici utilizzandoli per il sostegno ai ceti più deboli e
progettarono una profonda riforma agraria.
Soprattutto, approvarono una Costituzione basata su principi democratici molto
avanzati che rappresentava un importante
precedente, incarnando un’alternativa alle
Costituzioni di stampo liberale elargite dai
sovrani dell’epoca. In essa si affermava che
tutti i cittadini avevano diritto di voto e che
la Repubblica veniva fondata sulle idee di
sovranità del popolo, di uguaglianza, libertà e fraternità. Altri principi fondamentali:
«La Repubblica con le leggi e con le istituzioni promuove il miglioramento della condizioni morali e materiali di tutti i cittadini»
(terzo principio); «la Repubblica riguarda
tutti i popoli come fratelli; rispetta ogni nazionalità; propugna l’italiana» (quarto principio). Nel settimo principio, infine, si affermava il diritto alla libertà religiosa: «Dalla
credenza religiosa non dipende l’esercizio
dei diritti civili e politici». Così, nella Roma
guidata da Giuseppe Mazzini, si procedette
alla laicizzazione dello Stato. Si assicuravano inoltre le libertà di pensiero, espressione
e riunione.
La Costituzione della Repubblica Romana fu varata il 3 luglio 1849, nello stesso
giorno in cui la città, dopo una valorosa e
sanguinosa resistenza, si sottometteva alle
assai superiori forze di Napoleone III.
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
pp. 60, 314
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L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
8.3 La politica di Cavour
e l’ascesa del Regno di
Sardegna
La situazione politica
dell’Italia all’indomani del 1848
Frontespizio dello Statuto Albertino, promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848.
lia unita, rappresentava una novità radicale
per le vicende politiche della penisola. Basti
ricordare che il cattolicesimo vi era proclamato «religione di Stato», ma che venivano
tollerate anche le altre religioni.
Le sconfitte del 1848-1849 riportarono
il pensiero dei patrioti italiani ai fallimenti
del 1820 e 1830. Ma anche se nel 1849 tutta l’Italia sembrò tornare al passato, un fatto nuovo e importante era avvenuto: per la
prima volta, infatti, le sollevazioni avevano
coinvolto le popolazioni. L’Italia unita e governata da un potere non dispotico non era
più l’ideale di pochi intellettuali, ma cominciava a diventare, almeno nel Settentrione e
nel Centro della penisola, un’aspirazione di
popolo. Si trattava, tuttavia, di quella parte
di popolo che abitava le città; e, nel complesso, l’apporto più schiettamente popolare, sommato a quello borghese, non era
ancora sufficiente a ribaltare i rapporti di
forza a favore di chi combatteva austriaci
e monarchi assoluti. Affinché ciò avvenisse
era necessario l’aiuto delle masse contadine, componenti la stragrande maggioranza
degli abitanti della penisola e ancora lontane dagli ideali risorgimentali.
Dopo le sconfitte del 1848-1849, i patrioti
italiani potevano sperare solo nella protezione del Regno di Sardegna guidato da
Vittorio Emanuele II. Esso era infatti l’unico
Stato in cui veniva concessa una certa libertà di pensiero e di espressione, e i rifugiati
politici in Piemonte provenienti dal resto
della penisola furono non meno di 20.000.
Nella parte rimanente d’Italia fu imposta
una forte repressione di ogni forma di pensiero e di azione politica, e furono in particolare dure le reazioni del potere negli Stati in
cui si tornò all’assolutismo più retrivo. Nel
Regno delle Due Sicilie si verificarono arresti, condanne a morte, esili per molti patrioti e vennero schiacciati i conati autonomistici siciliani. Nello Stato pontificio, Pio IX
revocò ogni riforma e chiuse il dialogo con i
ceti liberali del paese. Nel Lombardo-Veneto, l’Austria tornò a esercitare un controllo
pieno, reprimendo il dissenso politico e gravando di misure fiscali sempre più pesanti
la parte più produttiva della popolazione.
Ovunque – anche in Toscana, che in passato
si era mostrata tollerante – le autorità chiusero le porte all’opposizione politica e il distacco tra regimi al potere e classe borghese
liberale o democratica si ampliò.
Cavour al potere: primo
ministro del Regno di Sardegna
Nonostante la sconfitta patita nella Prima
guerra d’indipendenza, il Piemonte rimaneva l’unica forza realisticamente in grado di
guidare il movimento di liberazione e unificazione d’Italia. Ma gli stessi eventi bellici avevano dimostrato che, per sostenere
validamente le sue pretese, il piccolo regno
governato da Vittorio Emanuele II doveva
molto rafforzarsi, non solo militarmente.
Il compito fu assunto prima dal moderato Massimo d’Azeglio, alla guida di un esecutivo che procedette alla modernizzazione
dello Stato in campo economico e sociale,
per esempio con le famose «leggi Siccardi»,
(dal nome del ministro che le propose) che
limitavano o abolivano i tradizionali privilegi della Chiesa, dai tribunali separati alle
esenzioni fiscali.
A Massimo d’Azeglio subentrò Camillo
Benso conte di Cavour, proprietario terriero ma anche uomo d’affari. Formatosi nel
corso di lunghi viaggi per l’Europa e pieno
di interessi per le innovazioni tecniche, divenne primo ministro del regno nel novembre 1852 e lo guidò fino al 1861, anno della
sua morte.
Cavour era un convinto liberale e sosteneva la necessità di porre l’Italia sotto
la guida di una monarchia costituzionale
e parlamentare sul modello inglese. Essa
avrebbe garantito i diritti civili e politici
fondamentali e la libertà economica di avviare nuove imprese e commerciare senza
barriere doganali tra regione e regione. Lo
sviluppo produttivo avrebbe assicurato più
benessere a tutti, mentre i governi liberali
sarebbero venuti incontro con graduali riforme ai bisogni degli strati più deboli della
popolazione. A parere di Cavour, era questo
l’unico modo per evitare tensioni sociali rivoluzionarie. Proprio a tale fine promosse,
nell’ambito del Parlamento piemontese,
una politica d’intesa tra i liberali più aperti
e i democratici più moderati. Era la cosiddetta «politica del connubio», che permise
a Cavour di contare su un’ampia maggioranza alle Camere e di fare proprie le istanze
sociali più ragionevoli, isolando così le ali
estreme tanto del fronte conservatore quanto del fronte progressista.
In questo quadro politico-istituzionale,
particolare importanza ebbero nell’azione
di governo cavouriana l’economia e i rapporti internazionali. Secondo Cavour, solo
un Piemonte ricco e un’attenta scelta delle
alleanze avrebbero infatti permesso ai Savoia di mettersi alla guida del Risorgimento
d’Italia, anche a costo di giungere a un nuovo scontro con l’Austria.
La politica economica
di Cavour e i rapporti tra
la Chiesa e lo Stato
Cavour si dedicò anzitutto al rafforzamento
dell’economia. Sostenne con leggi efficaci
e con accordi internazionali il libero commercio con diversi paesi europei – Francia,
Inghilterra, Austria e Belgio – e ridusse o
cancellò i dazi che pesavano sulla circola-
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
M. Gordigiani, Il conte Camillo Benso
di Cavour, ritratto ufficiale del 1860.
zione di merci e persone con l’estero, integrando l’economia piemontese con quella
continentale. Di conseguenza, in pochi anni
le attività commerciali del regno triplicarono. L’abolizione del dazio sul grano ebbe poi
anche importanti effetti sociali, perché portò a un abbassamento del prezzo del pane,
genere di prima necessità per i ceti sociali
meno abbienti.
Cavour sviluppò anche l’agricoltura
grazie all’adozione di tecniche innovative,
macchinari agricoli e tramite lo scavo di canali di irrigazione. Le vie di comunicazione
furono potenziate con la messa in opera di
strade e soprattutto delle ferrovie: fu sotto il
suo governo che nel giugno 1857 iniziarono
i lavori per il traforo ferroviario del Frejus,
tra Francia e Italia. D12 Queste misure facilitarono e potenziarono i commerci interni
e con l’estero, oltre a dare un deciso impulso
alle industrie siderurgica e meccanica, sollecitate alla produzione di locomotive, carrozze e materiale rotabile.
Il governo di Cavour stimolò inoltre
l’apertura di nuove banche, in grado di sostenere con i loro prestiti chi volesse creare
nuove imprese: tra esse, la Banca Nazionale
degli Stati sardi svolgeva il ruolo di banca
centrale di Stato.
Il risultato complessivo dell’azione cavouriana fu sostenere lo sviluppo della bor-
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1760
Dossier 12 p. 350
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1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore
1800 Volta costruisce la pila elettrica
1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio
1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria
1861
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L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
possibilità di successo, sbarcò a Sapri, tra
Campania e Basilicata, con circa trecento
compagni. Ma i contadini non compresero
le sue intenzioni e aiutarono le truppe borboniche a sconfiggerlo. Pisacane si uccise
per non cadere prigioniero. Nello stesso
mese di giugno, analoghi tentativi insurrezionali fallirono a Genova e a Livorno.
Cavour e la politica delle
alleanze
G. Induno, La battaglia della Cernaia, 1857, Milano, Fondazione Cariplo.
ghesia imprenditoriale piemontese, portare l’economia sabauda all’avanguardia in
Italia e a ridurre la distanza che ancora la
separava dalle avanzate economie dei più
importanti paesi d’Europa.
Un altro aspetto del rinnovamento messo
in atto da Cavour riguardò i rapporti tra la
Chiesa e lo Stato. Il primo ministro si ispirò
al principio «libera Chiesa in libero Stato»,
coniato dal cattolicesimo liberale francese,
e volle che nel regno di Sardegna fossero
garantiti alla Chiesa i suoi diritti come testimone del Vangelo e promotrice di carità.
La Chiesa, però, non doveva interferire nelle
questioni politiche, lasciando questo compito alle autorità civili. Allo Stato, a sua volta,
Cavour impose la non ingerenza nelle questioni religiose. A tale linea fu ispirata anche
la successiva politica del Regno d’Italia.
I risultati interni ottenuti da Cavour negli
anni del suo governo furono la migliore dimostrazione che un regno costituzionale e liberale poteva fare molto per il benessere dei
suoi sudditi. Fu allora che il Piemonte conquistò definitivamente le simpatie dei patrioti italiani, appuntando su di sé le speranze di
quanti lottavano per liberare la penisola dal
dominio straniero e unirla in un solo Stato.
La ripresa e il fallimento dei
moti democratici mazziniani
 Tweet Storia p. 358
Mentre il Regno di Sardegna si rafforzava, il
Nord dell’Italia subiva il controllo diretto o
indiretto dell’Austria e nel Centro-sud permanevano i regimi conservatori.
In quegli anni fallirono anche gli ultimi
tentativi insurrezionali ispirati dai seguaci di Mazzini, il quale si trovava in esilio a
Londra e rimaneva fedele alla convinzione
che solo un potente fremito rivoluzionario
avrebbe potuto cambiare le sorti dell’Italia.
Il 7 dicembre 1852, cinque patrioti mazziniani furono impiccati a Belfiore, vicino
a Mantova, mentre nel Lombardo-Veneto
vennero arrestati e condannati alla prigionia
molti altri membri della sua organizzazione,
che ne fu gravemente compromessa. Nel
febbraio 1853, un tentativo insurrezionale
scoppiato a Milano fu facilmente represso
dagli austriaci.
Convinto di doversi dare un’organizzazione più capillare, Mazzini in quello stesso
anno fondò a Ginevra il Partito d’Azione.
Contemporaneamente, cercò di allargare
la base dei suoi simpatizzanti agli operai:
creò quindi nel Regno di Sardegna, dove
vigeva la libertà d’associazione, numerose
società di cooperazione e mutuo aiuto tra i
salariati. A causa dei continui insuccessi, la
leadership di Mazzini veniva però messa in
discussione all’interno dello stesso movimento democratico, da parte di chi voleva
allearsi con le forze liberali o di chi, al contrario, premeva per una più forte apertura
alle istanze socialiste.
Il fallimento definitivo del movimento
mazziniano si ebbe nel 1857. Nel giugno di
quell’anno, il napoletano Carlo Pisacane  ,
convinto assertore della necessità di sollevare i contadini per dare alla rivoluzione una
L’unica soluzione restava dunque un Risorgimento d’Italia guidato dal Regno di Sardegna. Ma secondo Cavour il Regno sabaudo
avrebbe potuto agire solo con l’appoggio
delle potenze europee meno legate all’Austria: l’Inghilterra e soprattutto la Francia di
Napoleone III, che voleva conquistare una
posizione egemone in Europa e che, per
raggiungere tale obiettivo, doveva prima ridimensionare la potenza asburgica.
Per stringere un legame con questi paesi, Cavour compì una mossa coraggiosa.
Nel 1853 scoppiò la guerra di Crimea, che
contrapponeva alla Russia un’alleanza composta da Francia, Inghilterra e Turchia. Nel
1855, il regno di Sardegna entrò in guerra
al fianco di Londra, Parigi e Istanbul e inviò
sul teatro dei combattimenti un corpo di
spedizione di 18.000 soldati: comandati dal
generale Alfonso La Marmora, essi si comportarono valorosamente nella battaglia
sul fiume Cernaia e diedero un importante
contributo alla vittoria della coalizione. Nel
1856 la guerra finì e al congresso di pace di
Parigi il ruolo del Regno di Sardegna fu riconosciuto apertamente. Cavour ottenne in
questo modo di portare il Piemonte al rango
di media potenza europea e poté illustrare
al consesso internazionale, con il favore di
Francia e Inghilterra, il problema del dominio straniero sulla penisola. Nei due paesi
europei cominciarono a diffondersi idee favorevoli all’unità d’Italia.
Cavour poté inoltre contare sul grande
timore che le continue iniziative mazziniane suscitavano nelle cancellerie europee. Il
Piemonte, sosteneva il primo ministro, era
un elemento d’equilibrio, mentre l’arretratezza dello Stato della Chiesa e del Regno
delle Due Sicilie costituiva un profondo fattore d’instabilità, che avrebbe potuto generare moti rivoluzionari pericolosi per tutto il
continente. Questa opinione apparve tanto
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
più verosimile quando, nel gennaio 1858,
il repubblicano Felice Orsini attentò senza
successo alla vita di Napoleone III. Il gesto
terroristico, dettato dalla volontà di vendicare l’appoggio francese a Pio IX nel soffocare
la Repubblica Romana, indusse il sovrano a
un’azione più decisa sul fronte italiano.
Si giunse così, nel luglio 1858 e dopo
intense trattative, all’accordo segreto di
Plombières tra Napoleone III e Cavour. Tale
accordo prevedeva alcune condizioni fondamentali:
• la Francia sarebbe intervenuta a sostegno del Regno di Sardegna nel caso in cui
questo fosse stato attaccato dall’Austria;
• la Francia avrebbe riconosciuto al Regno
di Sardegna il diritto di fondare un Regno dell’Alta Italia, libero dal controllo
dell’Austria e comprendente il Lombardo-Veneto e l’Emilia-Romagna;
• sarebbero invece stati rispettati i confini del Regno delle Due Sicilie, che però
sarebbe stato sottratto ai Borboni. Lo
Stato Pontificio si sarebbe ridotto al Lazio, mentre Toscana, Umbria e Marche
si sarebbero unite in un Regno dell’Italia Centrale affidato a un Bonaparte (su
tutti questi territori la Francia sperava di
esercitare il suo controllo, sostituendosi
in tale ruolo all’Austria);
• al papa sarebbe stata offerta la presidenza della confederazione italiana;
• infine, in cambio del suo aiuto, il Regno
di Sardegna avrebbe ceduto alla Francia
Nizza e la Savoia.
Con gli accordi di Plombières tutto era
pronto per riprendere la guerra contro l’Austria e rimettere in moto il processo risorgimentale italiano.
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1760
L. Huard, Grande carica
delle Guardie Reali sulle
alture dell’Alma durante
la guerra di Crimea,
1854, Londra, National
Army Museum.
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1765-1784 Watt inventa e perfeziona la macchina a vapore
1800 Volta costruisce la pila elettrica
1804 Laennec costruisce il primo stetoscopio
1821 Inaugurazione della prima linea ferroviaria
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L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
G. Fattori, Carica di cavalleria a Montebello, 1862
circa, Firenze, Galleria d’Arte Moderna a Palazzo Pitti.
E. Meissonier, Napoleone III e il suo Stato maggiore a Solferino (1859), 1863, Parigi, Musée d’Orsay.
d’indipendenza e l’unità
d’Italia
1859: l’inizio della Seconda
guerra d’indipendenza
Il ripensamento di Napoleone
III e i plebisciti nel Centro-nord
A questo punto Napoleone III si accorse che
la guerra, anche se vittoriosa, stava costando alla Francia molte vittime e che i suoi
esiti non erano esattamente quelli previsti
negli accordi di Plombières. Infatti la Toscana, l’Emilia e i ducati di Parma e di Modena
avevano cacciato i loro sovrani e chiedevano
di unirsi al Regno di Sardegna: questa situazione non era stata prevista da Napoleone
III, che desiderava mettere sui troni dell’Italia centrale sovrani a lui fedeli.
Intanto il papa si sentiva minacciato dalle mire espansionistiche dei Savoia, alleati
della Francia: i cattolici di Francia, di conse-
guenza, entrarono in disaccordo con la politica del loro imperatore, preoccupati per la
sorte dello Stato pontificio. Inoltre, Prussia
e Russia minacciarono di intervenire a favore dell’Austria, temendo un eccessivo rafforzamento della Francia. Così Napoleone
III decise, senza consultare l’alleato italiano,
di porre fine alla guerra e di accordarsi – violando il patto di Plombières – con l’Austria,
con la quale firmò un armistizio a Villafranca, presso Verona, l’11 luglio 1859. L’accordo di Villafranca stabiliva il passaggio della
Lombardia dall’Austria alla Francia, che
l’avrebbe poi ceduta al Piemonte, e il mantenimento della situazione precedente la
guerra sugli altri territori italiani.
La notizia dell’armistizio indignò i patrioti e lo stesso Cavour, che rassegnò le dimissioni. Ma gli eventi avevano intanto preso una piega che sfuggiva alla stessa volontà
dei diplomatici. Infatti tra aprile e giugno
la Toscana, i ducati di Parma e di Modena
e i territori pontifici di Bologna e Romagna
avevano cacciato i loro governanti e chiesto
di unirsi al Regno di Sardegna. Ciò accadde
nel marzo 1860, quando le popolazioni si
espressero favorevolmente con plebisciti.
Dalla Seconda guerra d’indipendenza
nacque dunque un regno diverso da quello
dell’Alta Italia programmato a Plombières:
non vi era compreso il Veneto e ne facevano
parte invece Toscana ed Emilia-Romagna.
Soprattutto, i sabaudi avevano decisamente
rafforzato le loro posizioni, in vista di ulteriori
conflitti e di una nuova espansione territoriale. L’ipotesi di confederazione tra Stati italiani
svaniva definitivamente e tanto più tramontava l’idea che a guidarla fosse il papa. L’unica
ipotesi verosimile era adesso che l’unità d’Italia si facesse sotto la guida dei Savoia.
Cavour tornò al governo e Napoleone III
non poté che accettare la situazione di fatto.
La Seconda guerra d’indipendenza (1859-1860)
“Cacciatori
delle Alpi”
di Garibaldi
Esercito
piemontese
Esercito
francese
Esercito
austriaco
Battaglie
principali
Lago
Maggiore
Como
Varese
Vercelli
Casale
R E G NO DI SA R DE G N A
Lecco
Bergamo
Milano Vaprio
Magenta
Mortara
Alessandria
Lombardo - Veneto
San Fermo
Palestro
AUSTRO-UNGARICO
Lago
di Como
Laveno
Novara
Torino
IMPERO
SVIZZERA
o
Ticin
Nella primavera del 1859, per provocare la
reazione austriaca i piemontesi schierarono le proprie truppe, rafforzate da corpi di
volontari, lungo il confine con il LombardoVeneto. Il 23 aprile gli austriaci mandarono
a Vittorio Emanuele II un ultimatum, chiedendo il ritiro dell’esercito.
Il re rifiutò di cedere alle minacce austriache e dichiarò più volte la sua intenzione di
aiutare le popolazioni dell’Italia, che ormai
non sopportavano più la dominazione straniera. Così, il 29 aprile 1859, gli austriaci attaccarono dando inizio alla Seconda guerra
d’indipendenza.
Poiché era stata l’Austria a mostrarsi
ostile al Piemonte, Napoleone III rispettò
gli accordi di Plombières e guidò le proprie
truppe, insieme a quelle piemontesi, contro
il nemico comune.
Gli austriaci furono sconfitti a Palestro
il 31 maggio e a Magenta il 4 giugno, e l’8
giugno gli alleati entrarono a Milano, riportando in seguito nuove vittorie. La più
importante fu ottenuta a Solferino e a San
Martino il 24 giugno, in una delle più cruente battaglie dai tempi delle campagne napoleoniche all’inizio dell’Ottocento: oltre
100.000 soldati per schieramento si affrontarono senza tregua e alla fine le perdite furono di circa 23.000 tra le truppe asburgiche
e 17.000 tra i franco-piemontesi.
Nel frattempo Garibaldi, a capo di un corpo di volontari detti «Cacciatori delle Alpi»,
respingeva gli austriaci dalla Lombardia,
costringendoli a indietreggiare da Varese a
Como, e poi fino a Bergamo e Brescia.
Po
8.4 La Seconda guerra
F. Faruffini, La battaglia di Varese, 1862, Pavia, Musei Civici.
Melegnano
Pavia
Brescia Treponti
Treviglio
Crema
Lodi
Po
1760
Solferino
Montebello Piacenza
Voghera
San Martino
Peschiera
Verona
Villafranca
Mantova
Cremona
Legnano
Po
DUCATO DI PARMA
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Lago
di Garda
DUCATO DI
MODENA
STATO
DELLA
CHIESA
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L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
La precaria situazione
del Regno delle Due Sicilie
All’inizio del 1860, mentre lo Stato della
Chiesa godeva di una forte protezione internazionale, il Regno delle Due Sicilie era
isolato e debole. Qui, di fronte ai successi
della Seconda guerra d’indipendenza, molti
patrioti attendevano un aiuto per sollevare
una rivolta e unire così il Regno borbonico
al nuovo Stato che si stava formando.
L’Inghilterra era favorevole alla nascita
di un forte Stato italiano, che avrebbe bilanciato sul continente la potenza francese e
quella austriaca e ampliato la zona di liberi
scambi commerciali.
Napoleone III avrebbe reagito a un tentativo sabaudo di conquistare con le armi
l’Italia meridionale (eventualità esplicitamente esclusa dagli accordi di Plombières),
ma non avrebbe potuto opporsi se la stessa
popolazione di quelle regioni si fosse chiaramente espressa a favore dell’unione con il
Regno di Sardegna, come già avvenuto per
la Toscana e l’Emilia-Romagna.
In questa situazione si mosse Garibaldi,
già protagonista della Seconda guerra d’indipendenza, che aveva abbandonato l’originaria intransigenza repubblicana e si era
convinto ormai che solo i Savoia avessero
realisticamente la possibilità di unificare
l’Italia. Garibaldi era inoltre l’uomo d’azione
più in vista e prestigioso di cui disponessero
i patrioti e l’unico capace di unire le diver-
 Tweet Storia p. 358
se componenti, liberali e democratiche, del
movimento indipendentista. Egli era il solo
comandante che potesse tentare l’impresa
con qualche possibilità di successo. Decise
così di forzare gli instabili equilibri politici
della penisola e avviare con un’impresa militare compiuta da volontari la conquista del
Regno delle Due Sicilie, governato dal maggio 1859 dal nuovo re Francesco II.
La spedizione dei Mille guidati
da Garibaldi
Garibaldi si mosse senza alcun aiuto diretto
del governo piemontese e contro il parere
di Cavour: l’uomo politico temeva una ripresa dei moti mazziniani e un possibile intervento avverso di Austria e Francia. Il capo
delle «camicie rosse»  aveva in compenso
il consenso tacito di Vittorio Emanuele II.
Il sovrano riteneva che in caso di successo l’azione garibaldina avrebbe spianato la
strada alla politica annessionistica sabauda,
mentre in caso di fallimento sarebbe stato facile per Torino declinare ogni responsabilità.
Così, nella notte tra il 5 e il 6 maggio
1860, oltre mille volontari partirono con
due navi dal porto di Quarto, presso Genova. Male armati e male equipaggiati, venivano in grande maggioranza dalle regioni
settentrionali ed erano di estrazione sociale per metà borghese e per metà operaia e
artigiana. Tra essi, mancavano del tutto i
contadini.
F. Palizzi, Garibaldini il giorno innanzi la battaglia del Volturno, 1860, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Dopo essere sbarcati a Marsala, i Mille ottennero un primo successo contro le
truppe borboniche il 15 maggio a Calatafimi
e da quel momento furono sostenuti dalla
popolazione locale: sia dai contadini, cui
vennero promesse una riforma agraria e la
divisione del demanio pubblico, sia dall’esigua borghesia meridionale, che aveva compreso come il corso degli eventi fosse ormai
favorevole alla nascita dello Stato italiano
unitario.
La spedizione proseguì rapida e con crescente successo. Dopo aver preso il 6 giugno Palermo e il 20 luglio Milazzo, i Mille
sbarcarono in Calabria il 20 agosto. Ad essi
si erano ormai uniti molti volontari siciliani e un imponente nuovo corpo di spedizione partito dall’Italia settentrionale con
15.000 uomini. Garibaldi entrò a Napoli,
senza combattere, il 7 settembre 1860. Il
1° ottobre l’esercito borbonico fu sconfitto
definitivamente nella battaglia sul fiume
Volturno.
1861: sotto la dinastia dei
Savoia nasce il Regno d’Italia
Appena sbarcato in Sicilia, Garibaldi si era
proclamato dittatore dell’isola in nome di
Vittorio Emanuele II e, impossessatosi di
Palermo, aveva dichiarato decaduta la monarchia borbonica. Nessun conato di rivolta
era stato da lui tollerato nel corso dell’avanzata: tanto che, nonostante le promesse fatte soprattutto ai più poveri, si pose nei fatti
a difesa dei proprietari terrieri, ordinando
la fucilazione dei contadini che avevano
tentato di appropriarsi delle terre dei grandi latifondi. Garibaldi si era insomma reso
garante dell’ordine sociale vigente, in vista
del raggiungimento del suo obiettivo politico-militare.
Caduta anche Napoli, dove subito accorsero Mazzini e Cattaneo, Cavour ebbe però
il timore che i garibaldini potessero proclamare la repubblica nel Meridione d’Italia
e che la Francia intervenisse a difesa dello
Stato pontificio. Convinse così Vittorio Emanuele II a scendere con l’esercito a sud per
fermare l’avanzata delle «camicie rosse».
Alla testa di un corpo di spedizione, Vittorio Emanuele II entrò in Umbria e nelle Marche, sconfisse le truppe pontificie a Castelfidardo il 18 settembre e penetrò nel territorio
napoletano. Il re e Garibaldi si incontrarono
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
a Teano, in Campania, il 25 ottobre 1860,
e qui il comandante cedette ufficialmente
l’Italia meridionale al suo nuovo sovrano. In
tal modo, sfumava il pericolo di una svolta
repubblicana nel Sud della penisola.
Pochi giorni prima, il 21 ottobre, il popolo napoletano e siciliano si era pronunciato
con un plebiscito a favore dell’annessione
al Piemonte. Due settimane dopo vennero
annesse anche Marche e Umbria, sempre
con plebisciti. La partecipazione al voto,
aperto a tutti i maschi maggiorenni, fu massiccia, così come la percentuale di favorevoli alle annessioni: era la prima volta che
la sovranità popolare si esprimeva in Italia
in tale imponente misura. Garibaldi si ritirò
nell’isola sarda di Caprera, mentre Mazzini
partì per un nuovo esilio.
In conclusione, l’indipendenza e l’unità d’Italia erano state fatte da piemontesi
e garibaldini, con l’appoggio delle potenze straniere più favorevoli – Francia e Inghilterra – ed in tempi e modi che nessuno
aveva saputo prevedere. Alla realizzazione
di questi obiettivi concorsero in eguale misura le ambizioni della dinastia sabauda,
SV I ZZ E RA
Savoia
IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Milano
Torino
Trieste
Venezia
R E G NO
D I S A R DE G N A
Genova
Quarto
Nizza
Bologna
IMPERO
OTTOMANO
Firenze
Ancona
Castelfidardo
Perugia
Talamone
Corsica
Mare Adriatico
STATO
PONTIFICIO
Sulmona
Roma
REGNO
1760
Volturno
Teano
Salerno
Napoli
DELLE
Sardegna
Sapri
Mar Tirreno
DUE SICILIE
Cosenza
Mar
Principali battaglie
Itinerario dei Mille
Palermo
Piemontesi
Regno di Sardegna nel 1860
Marsala
Calatafimi
Territori ceduti alla Francia
Regno d’Italia nel 1861
M a re
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Giuseppe Garibaldi.
Le tappe della spedizione dei Mille
FRANCIA
3
Ion i o
Messina
Milazzo
Reggio Calabria
Sicilia
Medit erran eo
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L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
La proclamazione del Regno d’Italia.
le capacità politiche e diplomatiche di Cavour, la volontà dell’opinione pubblica e
in specie della sua componente più desiderosa di novità politica: la borghesia. Si può
dunque ragionevolmente parlare di un processo unitario compiutosi per azione tanto
dall’alto quanto dal basso. [ I NODI DELLA
STORIA p. 210]
Il 17 marzo 1861 il primo parlamento
italiano proclamò Vittorio Emanuele II «re
d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione». Con l’applicazione a tutto il territorio dello Statuto Albertino, il nuovo Stato
era una monarchia costituzionale, guidata
dai Savoia.
L’Italia non comprendeva il Veneto, in
mano all’Austria, e il Lazio, ultimo possedimento della Chiesa, e aveva come capitale
Torino. L’unità di tutto il popolo italiano si
doveva quindi ancora compiere.
1831
Mazzini fonda La Giovine Italia
1843
Gioberti propone una federazione
italiana con a capo il papa
1844
Balbo propone una federazione
italiana con a capo i Savoia
1846-1848
I Borboni, i Lorena, i Savoia
e Pio IX concedono riforme
liberali e costituzioni moderate
1848
Rivolte popolari scacciano
gli austriaci da Milano e Venezia
1848-1849
Prima guerra d’indipendenza
I NODI DELLA STORIA
Qual è la differenza tra democratici e moderati
nel Risorgimento italiano?
Il Risorgimento nazionale italiano fu caratterizzato da uno scontro ideologico e politico tra «moderati» e «democratici» che
terminò, dopo la proclamazione dell’Unità nazionale, con la chiara vittoria dei primi. In un primo tempo, come si è visto, il movimento nazionale italiano era formato dagli eredi della vecchia
tradizione carbonara e giacobina formatasi nei primi anni della
Restaurazione. Il caldo patriottismo dei suoi protagonisti, ideologicamente supportato dagli effetti della cultura romantica, era
però caratterizzato da uno scarso realismo politico e dai limiti intrinseci della natura elitaria e minoritaria del movimento. Grazie
all’azione politica e teorica di Mazzini, i patrioti si diedero obiettivi più chiari e una più compiuta identità politica. I mazziniani
divennero l’embrione di un partito d’azione democratica fieramente repubblicano, indipendentista e diffuso in tutte le classi
sociali. Tuttavia il suo limite restava, oltre che nei numeri, ancora
limitati rispetto alla maggior parte della popolazione, nella sostanziale mancanza di forza militare, nel suo essere ancora troppo legato a un modello insurrezionale facilmente destinato alla
sconfitta. Il fronte dei moderati era formato fondamentalmente
dai quei liberali convinti che solo l’azione del più dinamico degli
Stati italiani dell’epoca, il Piemonte sabaudo, potesse provare
realmente a unificare la nazione. Favorevoli alla monarchia, i moderati trovarono in Cavour il loro interprete più abile e coerente.
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Convinto che solo la modernizzazione del Piemonte avrebbe potuto preparare l’unità nazionale, il ministro di Vittorio Emanuele
II giocò abilmente le sue carte, non senza un certo gusto per la
tattica spregiudicata. Ascrivibili al fronte moderato erano, poi, i
cattolici unitaristi come Gioberti. Fautori di un protagonismo
cattolico su posizioni moderatamente liberali, questi cosiddetti
«neoguelfi», come furono subito ribattezzati, sembrarono per
un momento incarnare una buona mediazione tra le diverse e
inquiete anime del movimento patriottico italiano. In realtà il loro
programma si scontrò violentemente con l’indisponibilità del
nuovo papa Mastai Ferretti, chiamato al soglio pontificio con il
nome di Pio IX, che pure, da cardinale, era sembrato essere uno
dei loro ispiratori. In seguito, specie dopo il 1861 e, soprattutto,
dopo la proclamazione di Roma capitale, la rottura tra il nuovo
Stato italiano e la Chiesa fu totale e destinata a durare per molti
anni. Il generoso velleitarismo dei democratici e le mutate condizioni politiche nei rapporti con il mondo cattolico, lasciarono
quasi come unici protagonisti della vita politica parlamentare i
liberali moderati filo monarchici. Anche molti esponenti di quella
che sarà chiamata Sinistra storica cambieranno posizione. Fu
il caso di Depretis e, in misura ancora maggiore, di Crispi, il
vecchio rivoluzionario garibaldino destinato a trasformarsi in un
fautore della politica d’ordine sul finire del secolo.
1849
Repubblica Romana di Mazzini
e Garibaldi
1852-1861
Cavour primo ministro
del Regno di Sardegna
1858
Accordo di Plombières
fra il Piemonte e la Francia
di Napoleone III
1859-1860
Seconda guerra d’indipendenza
1860
Garibaldi guida la spedizione
dei Mille
1861
Proclamazione di Vittorio
Emanuele II re d’Italia
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
1 Il fallimento dei moti del 1820 e del 1830 evidenzia la necessità di avviare il «Risorgimento» italiano su basi nuove: le idee di Mazzini, Garibaldi,
Cattaneo, Gioberti e Balbo. Dopo il fallimento dei moti liberali del 1820 e 1830, i
patrioti italiani si convinsero della necessità di fondare il «Risorgimento» dell’Italia su
idee e metodi nuovi. Giuseppe Mazzini sosteneva la creazione di un’Italia repubblicana e unita tramite una sollevazione popolare e Giuseppe Garibaldi, uomo d’azione, fu il suo principale sostenitore e alleato. Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti e
Cesare Balbo, moderati, propendevano invece per una federazione tra gli Stati della
penisola, da realizzarsi pacificamente attraverso accordi diplomatici. Gioberti, in particolare, pensava al papa come capo naturale della futura confederazione d’Italia.
2 Nel 1948-1849 la Prima guerra d’indipendenza si risolve in un insuccesso per
i piemontesi. Tra 1846 e 1848, in molti regni italiani i sovrani concessero alcune
riforme ed emanarono Costituzioni liberali moderate. Queste novità stimolarono la
rivolta delle popolazioni del Nord Italia sottomesse agli austriaci. Nei primi mesi del
1848 Venezia, Milano, Parma e Modena si ribellano e proclamarono governi provvisori, invocando l’aiuto del re di Sardegna Carlo Alberto. Tra 1848 e 1849 si combatté dunque la Prima guerra d’indipendenza. Dopo alcuni successi iniziali, Carlo Alberto fu però
sconfitto dall’Austria a Custoza nel 1848 e a Novara nel 1849, e rinunciò al trono. Il figlio
Vittorio Emanuele II confermò la Costituzione (lo «Statuto Albertino») già concessa dal padre. Una dopo l’altra, tutte le città italiane ribelli vennero schiacciate e ricondotte ai regimi
legittimi, compresa Repubblica Romana, che era animata da Garibaldi e Mazzini.
3 Il nuovo primo ministro piemontese Cavour inserisce abilmente il Regno
di Sardegna nell’ambito della diplomazia europea e stringe un importante
accordo con Francia. Il fallimento dei moti liberali e democratici chiarì ai patrioti
italiani che solo sotto la guida dei Savoia sarebbe stato possibile liberare e unificare
la penisola. Anche per questo motivo Cavour, il nuovo primo ministro piemontese,
si dedicò al rafforzamento del proprio Stato dal punto di vista sia economico che
politico. Grazie a Cavour il Piemonte partecipò con vantaggio alla guerra di Crimea
e strinse un’alleanza con la Francia di Napoleone III in funzione antiaustriaca: a suggellarla fu l’accordo segreto di Plombières nel luglio 1858.
4 Nel 1859 la Seconda guerra d’indipendenza termina con l’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna. In seguito anche Toscana ed
Emilia-Romagna si uniscono al Piemonte. Nel 1859 il regno di Sardegna e la
Francia dichiararono guerra all’Austria: iniziava la Seconda guerra d’indipendenza. Gli austriaci vennero sconfitti in numerose battaglie, ma dopo quella di Solferino
e San Martino, particolarmente sanguinosa, Napoleone III violò il patto di Plombières,
accordandosi con Vienna e firmando l’armistizio di Villafranca. La guerra si interruppe dunque senza che gli obiettivi piemontesi venissero pienamente raggiunti. La
Lombardia fu egualmente annessa al Regno di Sardegna, così come, attraverso un
plebiscito, Toscana ed Emilia-Romagna.
5 Con la spedizione dei «Mille» e la conquista di Umbria e Marche si compie
quasi completamente l’unificazione della penisola italiana sotto i Savoia.
Nel maggio del 1860 i «Mille», un corpo di volontari guidato da Giuseppe Garibaldi,
partirono per la Sicilia. In pochi mesi il Regno delle Due Sicilie venne liberato dai
Borboni e la popolazione accettò tramite plebiscito l’unione al regno dei Savoia. Nel
frattempo, le truppe di Vittorio Emanuele II strapparono allo Stato pontificio anche
l’Umbria e le Marche. Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento italiano proclamava
Vittorio Emanuele II «re d’Italia». Con l’applicazione a tutto il territorio dello Statuto
Albertino, il nuovo Stato divenne una monarchia costituzionale guidata dai Savoia. Il
processo di liberazione e unificazione dell’Italia era in gran parte compiuto.
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3
8
L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
La patria del Risorgimento nell’iconografia
La storiografia sul Risorgimento si è a lungo soffermata nella narrazione delle battaglie militari e degli accordi diplomatici, ha ricostruito i profili biografici e politici di Cavour e Garibaldi, ha analizzato e discusso le
teorie politiche di Mazzini e Gioberti. Di recente, ha spostato la sua attenzione sulle immagini e sui linguaggi
della nazione e del patriottismo. In particolare, la pittura e i pittori svolsero un ruolo decisivo nel processo di
costruzione dello Stato unitario e dell’identità nazionale. Questo ruolo fu decisivo soprattutto perché offriva la
possibilità di dare una dimensione emotiva e culturale ai diversi progetti politici nazional-patriottici.
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
La nuova arte nazionale
Alla rappresentazione pittorica del Risorgimento contribuirono gli esponenti della scuola lombarda (quali Francesco Hayez), dell’avanguardia macchiaiola toscana (come Giovanni Fattori) e della scuola napoletana (come Michele Cammarano). Furono le nuove istituzioni unitarie a creare, fin dal 1861, le condizioni per una nuova arte nazionale. In quella fase allora prevalse la raffigurazione di soggetti
legati alle battaglie risorgimentali e celebrati sotto il segno dell’eroismo guerriero e della dedizione alla bandiera nazionale. Era
una forma di ricompensa simbolica per i combattenti delle guerre risorgimentali e una forma di pedagogia per le nuove generazioni di
italiani. Secondo questa prospettiva nazional-patriottica, ogni buon cittadino doveva essere pronto a sacrificarsi per l’Italia.
Allegorie della patria
La pittura consentiva di rappresentare allegorie della patria, immagini simboliche o personificazioni della nazione. Fu il pittore veneziano Francisco Hayez a disegnare l’Italia come una donna colpita da
una struggente tristezza: la sconfitta delle rivoluzioni del 1848 avevano condannato la patria a soggiacere ancora sotto l’occupazione
straniera. Questo tipo di dipinti era in grado di mobilitare una forza
emotiva, prima ancora che politica, a favore del linguaggio nazionalpatriottico.
M. Cammarano, Carica dei bersaglieri a Porta Pia,1871, Napoli, Museo di Capodimonte.
La storia dipinta
Per legittimare le aspirazioni a un glorioso futuro della nazione, spesso
i pittori patriottici cercavano di riscriverne e ridisegnarne il passato.
Furono così scelti soggetti che rappresentassero momenti fondamentali delle vicende storiche della penisola e furono adattati alle successive esigenze del movimento nazionale. Capitava quindi che battaglie
militari, incontri politici o figure storiche del Medioevo o dell’Età moderna fossero descritte con la simbologia tipica del nazionalismo ottocentesco. L’anacronismo di molti quadri, cioè la deliberata proiezione di
elementi appartenenti a una diversa epoca, appariva evidente solo ad
occhi esperti; in generale, però, suggeriva l’idea che la patria risalisse
a un tempo molto lontano.
F. Hayez, La meditazione, 1851, Verona, Civica Galleria d’Arte Moderna.
G. Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta,1862, Firenze, Galleria d’Arte Moderna.
F. Hayez, I Vespri siciliani,1821-1822, Milano, collezione privata.
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G. Induno, L’imbarco dei Mille a Quarto, 1870, Milano, Museo del Risorgimento.
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3
8
L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
2
Osserva la cartina a p. 209 e ricostruisci (eventualmente aiutandoti anche con il testo del capitolo) la cronologia
della nascita del Regno d’Italia.
ATTIVITÀ
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Nel
Mazzini fonda La Giovine Italia
Nel
fallisce la spedizione di Sapri, guidata dal mazziniano Carlo Pisacane
Nel
il regno di Sardegna entra nella guerra di Crimea accanto a Francia, Inghilterra e Turchia
Il 23 marzo
Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria: ha inizio la prima guerra d’indipendenza
Il 5 e 6 maggio
Garibaldi e oltre mille volontari salpano alla volta della Sicilia
Nel marzo
un plebiscito popolare vota a maggioranza l’annessione di Emilia, Romagna e Toscana al Regno
di Sardegna
Il 17 marzo
il primo parlamento italiano proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia: nasce una monarchia
costituzionale guidata dai Savoia
Il 25 ottobre
il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi si incontrano a Teano
Nel luglio
Cavour e Napoleone III si incontrano segretamente a Plombières e stipulano un’alleanza militare
contro l’Austria
Il 9 agosto
Carlo Alberto firma l’armistizio con l’Austria e rinuncia al trono in favore del figlio Vittorio
Emanuele II
L’11 luglio
Napoleone III, violando gli accordi di Plombières, firma con l’Austria un armistizio a Villafranca
Dal
al
Cavour è primo ministro del regno di Sardegna
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo del Risorgimento.
1
2
3
4
5
6
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento.
5
Il Risorgimento e la nascita del Regno d’Italia
Uomo d’azione
Consesso
Magistero
Strategia annessionista
Connubio
Demanio pubblico
Prova a riflettere sul significato dello «Statuto Albertino»: sapresti spiegare le differenze principali con la Costituzione
repubblicana?
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa al Risorgimento italiano. Poi rispondi alle domande.
Le correnti politiche del Risorgimento italiano
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
Negli anni del Risorgimento, la rinascita del sentimento nazionale e dello spirito patriottico stimolati
dalla cultura romantica e dai moti (1)
portano alla formazione del Regno d’Italia.
Protagonista del processo di unificazione è il Regno di (2)
, che dopo il fallimento delle
rivole del 1848 è riuscito a mantenere in vigore la Costituzione, detta «Statuto (3)
»,
e si prefigura come l’unica forza realisticamente in grado di guidare il movimento di liberazione e
unificazione d’Italia. Un ruolo importante è giocato dal primo ministro Camillo Benso conte di
Cavour. Egli, convinto sostenitore dei valori (4)
, si fa promotore di una profoda
opera riformatrice in campo sia economico che politico: infatti solo un Piemonte ricco e un’attenta
scelta delle alleanze avrebbero permesso ai Savoia di mettersi alla guida del Risorgimento d’Italia.
Il pretesto per l’inserimento del Piemonte in un contesto di alleanze internazionali è offerto dalla
guerra di (5)
: l’intervento del Regno di Sardegna accanto a Francia e Inghilterra gli
permette di stringere un’alleanza militare con Parigi (i cosiddetti accordi di Plombières) contro il nemico
(6)
, che porterà alla vittoria della Seconda guerra di indipendenza. Nonostante
l’improvviso ripensamento di Napoleone III, gli avvenimenti prendono una piega che sfugge alla
stessa volontà dei diplomatici: infatti, le popolazioni di Emilia, Romagna e Toscana chiedono
l’(7)
al Regno di Sardegna. Intanto Garibaldi organizza la spedizione dei Mille per
liberare il Mezzogiorno dal dominio borbonico: grazie al sostegno dei (8)
e della
borghesia locali, l’iniziativa consegue uno straordinario successo che porta all’annessione del regno
delle Due Sicilie. Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento italiano proclama Vittorio Emanuele II «re d’Italia
per grazia di Dio e volontà della nazione»; lo Statuto Albertino viene applicato a tutto il territorio e lo
Stato diviene una monarchia (9)
, guidata dai Savoia.
1 Quali figure del Risorgimento sono favorevoli alla Repubblica?
2 La corrente democratica e quella moderata adottano diversi
metodi per il conseguimento dei propri obiettivi: quali?
3 Per quale motivo Mazzini non approva le società segrete?
Mostra quello che sai
7
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Osserva le immagini alle a pp. 195 e 197 e descrivi atteggiamento ed espressione dei personaggi. Per quale motivo
sono stati scelti il primo piano e il mezzo busto per questi ritratti?
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Documenti
Le Costituzioni francesi
Il percorso costituzionale della Francia, la cui rivoluzione del 1789 fu un modello per grande parte dell’Europa, è
stato assai accidentato, tanto che da allora a oggi il paese ha conosciuto molteplici regimi e una pluralità di Costituzioni. Con la Rivoluzione, alla monarchia succedette nel 1792 la Repubblica, che evolse prima nel Direttorio
nel 1795, poi nel Consolato nel 1799 in conseguenza del colpo di Stato del 18 brumaio di Napoleone Bonaparte,
divenuto nel 1804 imperatore dei francesi. Al Primo impero, dopo la sconfitta di Napoleone e il Congresso di
Vienna, succedette la restaurazione della monarchia borbonica, che nel 1830 venne abbattuta. Il rivolgimento
partorì la monarchia costituzionale retta dal re Luigi Filippo, a sua volta crollata con la Rivoluzione del febbraio
nel 1848. Ne conseguì una nuova proclamazione della Repubblica (la Seconda Repubblica), della quale fu presidente eletto Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del primo imperatore. Ripercorrendo il percorso dello zio e con
il ricorso ai plebisciti, Luigi Napoleone provocò il passaggio dalla repubblica al Secondo impero. Assunse il nome
di Napoleone III (stabilendo così una successione dinastica con lo zio).
La sconfitta francese a Sedan a opera della Prussia di Bismarck condusse al crollo del Secondo impero. Dopo
l’esperienza della Comune di Parigi venne proclamata la Repubblica (Terza Repubblica), alle origini fortemente
condizionata dalla forza delle componenti monarchiche, incapaci di prevalere ma sufficientemente forti per indirizzare i contenuti della nuova Costituzione.
La Terza Repubblica si frantumò nella «strana disfatta» del 1940: parte della Francia venne occupata dai tedeschi e parte affidata ai collaborazionisti dei nazisti guidati dal maresciallo Pétain, che formarono la Repubblica il
cui governo aveva sede a Vichy.
A conclusione della Seconda guerra mondiale, si svolse un nuovo processo costituente: la prima Costituzione
venne bocciata da un referendum. Venne elaborata una seconda Costituzione, che fondò la Repubblica parlamentare della Quarta Repubblica, la cui vita incerta, avendo all’opposizione gollisti e comunisti, fu breve.
Infatti, nel 1958, la gravissima crisi innescata dalla guerra d’Algeria condusse al potere il generale Charles De
Gaulle, già capo della Resistenza antinazista, che pose le basi costituzionali della Quinta Repubblica. La repubblica parlamentare veniva sostituita da un sistema semipresidenziale, che fino al 1969 fu contrassegnato
dalla figura carismatica del generale. Si realizzarono in Francia le condizioni di una democrazia dell’alternanza
che ha assunto talvolta la forma della coabitazione, verificatisi più volte tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta,
tra un presidente eletto direttamente e un’assemblea legislativa, anch’essa elettiva, espressione di un governo
di opposto orientamento. La Costituzione del 1958 è stata più volte sottoposta a revisione, l’ultima delle quali è
stata adottata nel luglio 2008.
La Quinta Repubblica riafferma la continuità nella cultura, nei riti, nei simboli con la Rivoluzione del 1789.
Convocati gli Stati Generali nel 1788, il Terzo Stato, che comprendeva i rappresentanti della borghesia, si autoproclamò nel maggio 1789 Assemblea nazionale e il 9 luglio Assemblea costituente. Nei due anni di esistenza
essa stese una Costituzione che si apriva con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, recepiti nella
Costituzione vigente la quale, nel preambolo, afferma: «Il popolo francese proclama solennemente il suo attaccamento ai Diritti dell’Uomo e ai principi della sovranità nazionale quali sono stati definiti dalla Dichiarazione del
1789, confermati e completati dal preambolo della Costituzione del 1946, così come dai diritti e doveri definiti
nella Carta dell’ambiente del 2004».
Il preambolo della Costituzione approvata il 4 settembre 1791 dall’Assemblea nazionale definiva l’Ancien régime come
l’insieme delle «istituzioni che ferivano la libertà e l’uguaglianza dei diritti»: tali erano i titoli nobiliari, i diritti feudali, i privilegi
giudiziari e fiscali, le corporazioni di arti e mestieri e ogni altro vincolo contrario ai diritti naturali. Di tutte queste cose, che
erano il risultato di secoli di storia, la Rivoluzione fece piazza pulita in pochi mesi.
1 Cosa limita l’efficacia delle dichiarazioni universali rispetto all’effettiva salvaguardia dei diritti umani in tutti i paesi del mondo?
2 Nella tua quotidianità ti è capitato di assistere (o di aver subìto) ad episodi di negazione di diritti? Nel caso come ti comporteresti?
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1.Costituzione e Rivoluzione
Che cosa è una Costituzione, che significato assume nel contesto europeo di fine Settecento, quali obiettivi si prefigge, che legame
esiste tra essa e la Rivoluzione? Sono alcuni degli interrogativi su cui riflette lo storico statunitense Keith Michael Baker, celebre
studioso della Rivoluzione francese.
Tra rivoluzione e costituzione all’inizio c’era un legame fondamentale.
L’Assemblea nazionale s’impegnò
con il giuramento della Pallacorda a
restare riunita «fino a quando la costituzione del regno fosse stabilita e
poggiata su solide basi». Dopo aver
osato così sfidare l’autorità regia,
condensando in modo drammatico
parecchi decenni di proteste contro
un governo arbitrario e contro ministri dispotici, l’Assemblea definì
scopo essenziale della sua azione
rivoluzionaria l’instaurazione di
un ordine costituzionale stabile.
Tuttavia, l’opera consistente nello
«stabilire» la costituzione francese
si sarebbe rivelata estremamente
problematica. A differenza della rivoluzione americana nella quale la
creazione di un ordine costituzionale stabile fu l’effettivo risultato
dell’affermazione della volontà rivoluzionaria, la rivoluzione francese si è caratterizzata per l’esistenza
di un crescente fossato tra rivoluzione e costituzione. […] Che cosa
significava «stabilire» la costituzione del regno? Se vi è una costituzione del regno, essa per definizione è
stabilita; se non è stabilita, ne risulta necessariamente che non è una
costituzione. Con quel termine s’intendeva affermare che esisteva una
costituzione che bisognava preservare e difendere, o al contrario che
non vi era costituzione e che bisognava crearla? […] Quale era dunque la definizione di una costituzione? Durante tutto il XVIII secolo
i dizionari avevano oscillato tra due
significati generali. Il primo metteva l’accento sull’attività di istituzione e di fondazione, in accordo con
l’uso originale della parola nel diritto romano e nel diritto canonico. Il
secondo significato insisteva sulla
sistemazione, il modo di esistere o
la disposizione di un’entità qualsiasi (costituzione del mondo o costituzione del corpo umano).
K.M. Baker, Costituzione, in Dizionario critico della rivoluzione francese, a cura di F. Furet e M. Ozouf, Milano, Bompiani, 1988
2.La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
Il testo approvato dopo lunghe discussioni il 26 agosto 1789 sanciva il riconoscimento dei diritti fondamentali, l’uguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge, la separazione dei poteri ed enunciava l’idea della sovranità popolare. Diede quindi inizio a un nuovo
modo di pensare la società come insieme di individui liberi ed eguali.
I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale,
considerando che l’ignoranza, l’oblio
o il disprezzo dei diritti dell’uomo
sono le uniche cause delle sciagure
pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in
una solenne dichiarazione, i diritti
naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione,
costantemente presente a tutti i
membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti
e i loro doveri. […] In conseguenza
l’Assembla Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici
dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:
Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere
fondate che sull’utilità comune.
Art. 2. Il fine di ogni associazione
politica è la conservazione dei diritti
naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la
proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
Art. 3. Il principio di ogni sovranità
risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può
esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.
Art. 4. La libertà consiste nel poter
fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti natu-
rali di ciascun uomo ha come limiti
solo quelli che assicurano ad altri
membri della società il godimento
di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo
dalla Legge. […]
Art. 6. La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini
hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa
dev’essere uguale per tutti, sia che
protegga, sia che punisca. […]
Art. 10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche
religiose, purché la manifestazione
di esse non turbi l’ordine pubblico
stabilito dalla legge.
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Documenti
Suffragio
La parola «suffragio» deriva dal latino suffragium e rimanda ai pezzi di coccio con i quali si esprimeva il voto nei
comitia nell’antica Roma. Fatta eccezione per il peculiare sviluppo dell’Inghilterra, fu soprattutto con la riflessione
dei filosofi illuministi e con la Rivoluzione francese che il suffragio, inteso come espressione della volontà popolare e con l’idea della rappresentanza politica, ritornò a occupare un ruolo centrale.
Se si eccettua una breve fase della Rivoluzione francese che affermò il suffragio universale maschile e femminile, i
paesi organizzati secondo lo Stato di diritto hanno innanzitutto ammesso una rappresentanza fondata sul censo
e sul genere. L’assunto generale era che la capacità di scegliere i propri rappresentanti richiedesse requisiti che
consentissero al rappresentato un interesse effettivo verso la cosa pubblica. Sicché, anche negli Stati Uniti, ove
pure per primo si affermò il suffragio universale dei maschi bianchi, il diritto di voto era appannaggio soltanto dei
possidenti uomini. Soltanto con il Voting Rights Act promosso dal presidente Lyndon Johnson nel 1965 fu data
effettiva attuazione al XV emendamento del 1870, che stabilisce: «Il diritto dei cittadini degli Stati Uniti di votare
non potrà essere negato o discriminato né dagli Stati Uniti né dai singoli Stati in considerazione della razza, del
colore della pelle o di precedenti condizioni di servitù».
Con la Restaurazione conseguente le guerre napoleoniche, il suffragio sopravvisse soltanto nel Regno Unito
e nella Costituzione francese concessa dai restaurati Borbone. Nel Regno Unito, il paese ove la Rivoluzione
industriale mutava profondamente la geografia interna, la riforma elettorale del 1832 non solo allargò il numero
degli elettori, ma riorganizzò anche i collegi elettorali in modo che fossero maggiormente corrispondenti alla nuova distribuzione delle popolazioni. A questa prima riforma elettorale ne seguirono altre nel corso del secolo che
allargarono progressivamente la base elettorale, mentre incominciava a svilupparsi un movimento che reclamava
il voto alle donne. Il primo paese che lo concesse fu nel 1893 il dominion inglese della Nuova Zelanda, ove
quello maschile era stato introdotto nel 1889. La Gran Bretagna dovette attendere la conclusione della Grande
guerra per estendere il diritto di voto alle donne che avessero compiuto i trent’anni e il 1928 per equiparare compiutamente voto maschile e voto femminile.
In Italia, con l’unificazione nazionale, il diritto di voto fu limitato all’1% della popolazione. Fu ampliato nel 1882
dai governi della Sinistra storica e nel 1912 dal governo di Giovanni Giolitti, che introdusse il suffragio universale
maschile. Negli anni della dittatura fascista le cariche elettive furono abolite e si ricorse solo a plebisciti di conferma
di modifiche della rappresentanza stabilite dal regime. Nel 1946, per la prima volta, donne e uomini che avessero
compiuto i 21 anni parteciparono sia al referendum istituzionale che vide prevalere la Repubblica, sia all’elezione
dell’Assemblea costituente. Anche la Francia, al pari dell’Italia, estese il suffragio alle donne soltanto nel 1946.
Nel 1975, al pari di quanto era stato stabilito nelle più avanzate democrazie, durante il governo di Aldo Moro la
maggiore età fu estesa ai diciottenni e, conseguentemente, sulla base dell’articolo 48 della Costituzione, anche
il diritto di voto attivo che, sempre secondo la stessa norma, è «personale ed eguale, libero e segreto».
Nell’età moderna il principio di suffragio universale riapparve nelle teorie del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau.
Nella pratica politica venne introdotto per la prima volta durante le rivoluzioni americana e francese. Negli Stati Uniti quello
maschile nel 1776 e in Francia, maschile e femminile, nel 1792 (salvo essere in parte revocato durante la Restaurazione).
In Italia nel 1860 la riforma elettorale estese il diritto di voto agli uomini con più di 25 anni che pagassero un censo di
imposte dirette non inferiori a 40 lire. Si trattava di 418.696 cittadini, pari all’1,89% della popolazione del regno. Le donne
poterono votare per la prima volta durante la guerra nelle cosiddette «repubbliche partigiane», ovvero nei territori che la
Resistenza aveva liberato da nazisti e fascisti. Per legge il suffragio universale entrò in vigore a guerra finita, nel 1946.
1 Il suffragio universale in Italia è una conquista recente: ripercorri le fasi storiche dell’allargamento del suffragio, dal 1848 al 1946.
2 Il suffragio universale è stato ottenuto in età moderna con rivoluzioni e sofferenze e salutato come una grande conquista. Oggi
spesso sono l’astensionismo e il disinteresse a farla da padroni: credi che esista un rischio di deresponsabilizzazione da parte
dei cittadini? Perché?
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1.La «Charte Octroyée» di Luigi XVIII
Dopo la fine del periodo napoleonico, la carta costituzionale di Luigi XVIII, emanata il 4 giugno 1814, confermò alcuni dei diritti acquisiti dal popolo francese nel corso dei decenni precedenti, ma ne sancì al tempo stesso la natura di concessione ( octroyée, cioè
appunto «concessa»), ponendo un forte accento sul rapporto diretto tra sovrano e sudditi. In Italia l’esempio più celebre di carta
costituzionale octroyée fu lo Statuto Albertino emanato da Carlo Alberto di Savoia l’8 febbraio 1848. Con la Carta del 1814 i francesi
ebbero confermato il diritto di voto.
La Divina Provvidenza, col richiamarci nei nostri Stati dopo una lunga
assenza, ci ha imposto dei grandi obblighi. La pace era il primo bisogno
dei nostri sudditi; ce ne siamo occupati senza indugio. E questa pace
tanto necessaria alla Francia come al
resto dell’Europa è firmata. Una carta costituzionale era richiesta dall’attuale stato del regno; noi l’abbiamo
promessa e la pubblichiamo. […] Noi
abbiamo dovuto, sull’esempio dei Re
nostri predecessori, apprezzare gli
effetti dei progressi sempre crescenti
dei Lumi, i nuovi rapporti che questi progressi hanno introdotto nella
società, la direzione impressa agli
spiriti da un mezzo secolo e le gravi alterazioni che ne sono risultate:
abbiamo riconosciuto che il voto dei
nostri sudditi per una carta costituzionale era l’espressione di un bisogno reale; ma cedendo a questo voto
abbiamo preso tutte le precauzioni
perché questa carta fosse degna di
noi e del popolo che siamo fieri di
comandare. […] Art. 35. La Camera
dei Deputati sarà composta dai deputati eletti dai collegi elettorali la
cui organizzazione sarà determinata
dalle leggi. Art. 36. Ogni dipartimento avrà lo stesso numero di deputati
che ha avuto sino ad oggi. Art. 37. I
deputati sono eletti per cinque anni,
in modo tale che la Camera sia rinnovata ogni anno per un quinto. Art.
38. Nessun deputato può esser ammesso alla Camera se non ha l’età
di quarant’anni e non paga un contributo diretto di mille Franchi. […]
Art. 40. Gli elettori che concorrono
alla nomina dei deputati non possono avere diritto di voto se non pagano un contributo diretto di trecento
Franchi, e se hanno meno di trenta
anni. Art. 41. I presidenti dei collegi
elettorali saranno nominati dal Re e
di diritto membri del collegio. Art.
42. La metà almeno dei deputati sarà
scelta tra gli eleggibili che hanno il
loro domicilio nel dipartimento.
A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Milano, Giuffré, 1975
2.Le proposte di Luigi Sturzo per un nuovo sistema politico basato sul suffragio universale
Primo segretario del Partito popolare italiano (PPI), nel 1919, don Luigi Sturzo si segnalò negli anni Venti per l’opposizione al regime
fascista. Fu costretto ad abbandonare la guida del partito e durante la Seconda guerra mondiale andò in esilio prima a Parigi, poi a
Londra e a New York, dove entrò in contatto con altri antifascisti fuoriusciti dall’Italia. Tornato in patria nel 1946 partecipò al dibattito
per la creazione dell’Assemblea costituente e la preparazione della Costituzione.
Faccio un breve cenno della riforma dello Stato da noi propugnata:
la rappresentanza politica, amministrativa e sindacale, su base proporzionale, deve tendere a dare a tutto il
popolo la maggiore partecipazione
possibile alla vita organica del paese; e mentre il sistema maggioritario
rappresentativo liberale era a base
di suffragio limitato, come espressione della classe borghese dominatrice nelle alterne vicende dei
conservatori e dei progressisti, nella
pura espressione individualista, il sistema della proporzionale corregge
il suffragio universale conquistato
dalla democrazia e fa il primo passo
verso l’organicità parlamentare. Il
suffragio femminile ne dovrà essere
legittima conseguenza. Però riconosciamo che tale rappresentanza
popolare dovrà essere corretta da
un’altra camera, il senato, che non
sia, com’è oggi, attraverso il potere
regio, un’emanazione arbitraria del
potere esecutivo, ma una legittima
e diretta rappresentanza organica
dei corpi accademici, degli organismi statali (magistratura, università,
consiglio di stato e corpi diplomatico e militare), dei corpi amministrativi (regioni, provincie, comuni),
dei corpi sindacali (datori di lavoro
ed operai); con elezione di secondo
grado e sopra liste limitate ed eleggibili. Ma ciò non basta: le camere oggi
danno (o debbono dare) le direttive
legislative e politiche, e debbono costituire il controllo permanente del
potere esecutivo; ma non possono
essere l’unico organo legislativo, che
discuta e approvi tutta la congerie
esasperante di leggi e leggine […].
Occorrono consigli superiori che
presiedano l’amministrazione civile, la sanità e la beneficienza, l’istruzione, l’economia, i lavori pubblici,
il lavoro e la finanza.
L. Sturzo, Crisi e rinnovamento dello Stato, in Opere scelte, vol. V., Roma-Bari, Laterza, 1992
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219
Testimonianze
Documento 1
Testimonianze
Adam Smith dimostra l’utilità della divisione del lavoro (capitolo 6)
In questa pagina, tratta dal libro La ricchezza delle nazioni (1776), Adam Smith sostiene il grande vantaggio che deriva all’economia
dalla divisione del lavoro in piccole fasi, ciascuna svolta da un diverso operaio che non sa fare altro. Egli parla della fabbricazione
degli spilli: un oggetto molto semplice per il quale, tuttavia, sono necessari molti diversi passaggi. Si nota l’insistenza dell’autore sulla
quantità di prodotto per ogni giorno di lavoro.
Dato il modo in cui viene svolto oggi
questo compito, non soltanto tale
lavoro [lo spillettaio, colui che fabbrica spilli] nel suo complesso è diventato un mestiere particolare, ma
è diviso in un certo numero di specialità, la maggior parte delle quali
sono anch’esse mestieri particolari.
Un uomo trafila il metallo, un altro
raddrizza il filo, un terzo lo taglia,
un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia all’estremità dove
deve inserirsi la capocchia; fare la
capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività
distinta, pulire gli spilli è un’altra e
perfino metterli nella carta è un’altra occupazione a sé stante; cosicché l’importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa in tal modo
in circa diciotto distinte operazioni
che, in alcune manifatture, sono tutte compiute da mani diverse.
Ho visto una piccola manifattura
di questo tipo dov’erano impiegati
soltanto dieci uomini e dove alcu-
ni di loro, di conseguenza, compivano due o tre operazioni distinte.
Ma sebbene fossero molto poveri e
perciò solo mediocremente dotati
delle macchine necessarie, erano
in grado, quando ci si mettevano,
di fabbricare, tra tutti, circa dodici
libbre [sei chili] di spilli al giorno. In
una libbra vi sono più di quattromila
spilli di formato medio. Quelle dieci
persone, dunque, riuscivano a fabbricare più di quarantottomila spilli
al giorno.
A. Smith, La ricchezza delle nazioni. Abbozzo, Torino, Boringhieri, 1959
Documento 2
Lo scontento degli operai: la voce di uno di loro (capitolo 6)
Questo documento riproduce il testo di una lettera che il 30 settembre 1818 un operaio inviò a un giornale inglese. L’autore si firmava
soltanto «un filatore di cotone a giornata» e spiegava con grande chiarezza a quali umilianti condizioni di vita e di lavoro era costretto
il salariato delle industrie tessili.
Che cosa possono aspettarsi gli operai dai padroni? Si dice che, per legge, tutti sono liberi, che nessuno, in
Inghilterra, è schiavo, che un operaio
può lasciare il padrone se il salario
non gli aggrada. Vero, lo può; ma dove
andrà? Be’ da un altro! Ci va, infatti, e
si sente chiedere dove lavorava prima: «Ti hanno licenziato?». «No, non
ci siamo messi d’accordo sul salario».
«Allora non assumo né te, né chiunque lasci il padrone in questo modo».
[…] Esiste tra i padroni un patto, sottoscritto nel 1802 a Stockport: nessun
padrone deve assumere un operaio se
il precedente padrone lo ha licenziato. Che cosa farà, dunque, l’infelice?
[…] Egli è costretto a sottomettersi al
padrone. […]
Gli operai, in genere, sono inoffensivi e umili. Sono docili e trattabili,
dall’età di 6 anni sono allenati a lavorare dalle 5 del mattino alle 8 di sera.
Andate al mattino, un po’ prima delle
5, alle porte di una fabbrica, e osservate lo squallido aspetto dei fanciulli
e dei loro padri o madri, tirati giù dal
letto a ora così mattutina con ogni
sorta di tempo; esaminate la razione miserabile di cibo, quasi sempre
composta di zuppa di farina con
pezzi di focaccia d’avena dentro, un
pizzico di sale, a volte uno spruzzo di
latte, qualche patata, e un po’ di lardo
o pancetta, a mezzogiorno.
Se tardano di un minuto, gli detraggono dal salario un quarto di giornata. Stanno tappati fino a sera in locali
più afosi del giorno più caldo che si
sia avuto in questi mesi estivi, senza
un attimo di riposo salvo i tre quarti
d’ora del pasto di mezzodì; qualunque altra cosa mangino in un altro
momento, dev’essere consumata sul
lavoro. […] Imprigionato in fabbriche alte 8 piani, non ha pace prima
che la macchina poderosa si arresti;
allora torna a casa per rinfrescarsi in
vista dell’indomani; per stare con la
famiglia non c’è tempo; sono tutti,
allo stesso grado, stanchi ed esausti.
in E.P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Milano, Il Saggiatore, 1969
Documento 3
Il Patto della Santa Alleanza tra Austria, Russia e Prussia (capitolo 7)
Il 26 settembre 1815 venne firmato il Patto della Santa Alleanza: a siglarlo furono Francesco I d’Austria, Federico Guglielmo III di
Prussia e Alessandro I di Russia. Questo documento è il manifesto ideologico della Restaurazione. I tre sovrani europei si richiamavano alla radice divina del potere monarchico, da cui facevano derivare per sé la prerogativa del potere assoluto e per il popolo il
dovere dell’obbedienza cieca. E si dichiaravano «cristianamente» fratelli nella fede in Gesù, rendendo la religione uno strumento di
governo: un ribaltamento completo delle idee e pratiche politiche affermatesi in epoca illuminista e rivoluzionaria.
In nome della santissima e indivisibile Trinità.
Le Loro Maestà l’Imperatore d’Austria, il Re di Prussia e l’Imperatore
di tutte le Russie […] dichiarano solennemente che il presente atto ha
per solo oggetto di manifestare al
cospetto dell’universo la loro ferma
determinazione di prendere per norma della loro condotta, sia nell’amministrazione dei loro rispettivi Stati,
sia nelle loro relazioni politiche con
qualche altro governo, i precetti di
quella santa religione, precetti di giustizia, di carità e di pace, i quali, lungi
dall’essere unicamente applicabili
alla vita privata, devono al contrario
influire direttamente sulle risoluzioni dei principi, e guidare tutti i loro
Documento 4
passi, essendo questo il solo mezzo
di consolidare le umane istituzioni e
di rimediare alle loro imperfezioni.
Di conseguenza le Loro Maestà hanno convenuto gli articoli seguenti:
Art. 1. Conformemente alle parole
delle Sante Scritture, le quali comandano a tutti gli uomini di riguardarsi
come fratelli, i tre monarchi contraenti rimarranno uniti con legami di
vera ed indissolubile fratellanza, e
considerandosi come compatrioti, in
qualunque occasione ed in qualunque luogo si presteranno assistenza,
aiuto e soccorso; e considerandosi
verso i loro sudditi ed eserciti come
padri di famiglia, li guideranno nello stesso spirito di fratellanza da
cui sono animati per proteggere la
religione, la pace e la giustizia.
Art. 2. […] La nazione cristiana di cui
Essi e i loro popoli fanno parte non
ha realmente altro sovrano se non
quello a cui solo appartiene in proprietà il potere, perché in lui solo si
trovano tutti i tesori dell’amore, della
scienza e della saggezza infinita, cioè
a dire Dio, il nostro Divino Salvatore
Gesù Cristo, il Verbo dell’Altissimo, la
parola di vita. Le Loro Maestà raccomandano in conseguenza con la più
tenera sollecitudine ai loro popoli,
come unico mezzo di godere di quella pace che nasce dalla buona coscienza, […] di fortificarsi ogni giorno di più nei principi e nell’esercizio
dei doveri che il Divino Salvatore ha
insegnato agli uomini.
Pierre-Joseph Proudhon: la «proprietà è un furto» (capitolo 7)
Proudhon era già lontano dai progetti astratti e irrealizzabili dei «socialisti utopisti», ma non ancora immerso nell’analisi razionale
della realtà che caratterizzerà il «socialismo scientifico» di Marx. La sua affermazione più famosa, «la proprietà è un furto», appariva
più un grido di dolore per le terribili condizioni di vita del proletariato che una tesi adeguatamente argomentata. Eppure, quel grido
divenne una parola d’ordine efficace e diffusissima per le battaglie del nascente movimento dei lavoratori.
Il possesso individuale è la condizione della vita sociale. Cinquemila
anni di proprietà lo dimostrano: la
proprietà è il suicidio della società.
Il possesso è nel diritto; la proprietà è contro il diritto. Sopprimete la
proprietà conservando il possesso; e,
con questa sola modifica nel principio, cambierete tutto nelle leggi, nel
governo, nell’economia, nelle istituzioni: caccerete il male dalla terra.
[…]
Ogni lavoro umano essendo necessariamente il prodotto d’una forza collettiva, ogni proprietà diventa per la
stessa ragione collettiva e indivisibile;
più precisamente, il lavoro distrugge
la proprietà. Ogni capacità lavorativa essendo, come ogni strumento di
lavoro, un capitale accumulato, una
proprietà collettiva, l’ineguaglianza
di trattamento e di fortuna, col pretesto dell’ineguaglianza di capacità,
è un’ingiustizia e un furto.
Il commercio ha per condizioni necessarie la libertà dei contraenti e
l’equivalenza dei prodotti scambiati:
ora, poiché il valore è espresso dalla
somma di tempo e denaro che rappresenta il costo di ogni prodotto, e
poiché la libertà è inviolabile, i salari
dei lavoratori devono essere necessa-
riamente eguali, come lo sono i loro
diritti e doveri.
I prodotti si acquistano solo con altri
prodotti; ora, poiché la condizione
d’ogni scambio è l’equivalenza dei
prodotti, il profitto è impossibile e
ingiusto. Osservate questo principio
della più elementare economia, e il
pauperismo, il lusso, l’oppressione, il
vizio, il crimine e la fame, scompariranno tra noi.
La libera associazione, la libertà, che
si limita a mantenere l’eguaglianza
nei mezzi di produzione e l’equivalenza negli scambi, è la sola forma di
società possibile, la sola giusta, la sola
autentica.
P.-J. Proudhon, Che cos’è la proprietà?, Bari, Laterza, 1967
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Interpretazioni
Testimonianze
Documento 5
La Giovine Italia repubblicana di Giuseppe Mazzini (capitolo 8)
Giuseppe Mazzini tra i maggiori protagonisti del Risorgimento, fondò nel 1831 la Giovine Italia, organizzazione segreta cui affidò il
compito di propagandare le proprie idee e combattere per l’indipendenza della penisola. Mazzini era un ardente repubblicano, come
si evince dal testo sottostante: un’«Istruzione Generale» diffusa ai suoi seguaci per spiegare loro le cause e gli obiettivi della lotta. Alla
base del repubblicanesimo mazziniano stavano il bisogno di eguaglianza tra gli uomini e la necessità di buon governo dello Stato.
Oltre alla mancanza, in Italia, di una dinastia reale che meritasse davvero di farsi incoronare guida del paese.
La Giovine Italia è la fratellanza degli
Italiani credenti in una legge di progresso e di dovere; i quali, convinti
che l’Italia è chiamata ad essere nazione, che può con forze proprie crearsi tale, che il mal esito dei tentativi
passati spetta non alla debolezza, ma
alla pessima direzione degli elementi rivoluzionari, che il segreto della
potenza è nella costanza e nell’unità
degli sforzi, consacrano, uniti in associazione, il pensiero e l’azione al
grande intento di restituire l’Italia in
nazione di liberi ed eguali una, indipendente, sovrana. […]
La Giovine Italia è repubblicana […].
Repubblicana: perché, teoricamente, tutti gli uomini d’una nazione
sono chiamati, per la legge di Dio e
dell’umanità, ad esser liberi, eguali e
fratelli; e l’istituzione repubblicana è
la sola che assicuri questo avvenire.
Perché la sovranità risiede essenzialmente nella nazione, sola interprete
progressiva e continua della legge
morale suprema. Perché, dovunque
il privilegio è costituito a sommo
dell’edificio sociale, vizia l’eguaglianza dei cittadini, tende a diramarsi per
le membra e minaccia la libertà del
paese […]. Perché […] è provato che
la monarchia elettiva tende a generar
l’anarchia, la monarchia ereditaria a
generare il dispotismo. Perché, dove
la monarchia non s’appoggia, come
nel medioevo, sulla credenza, oggi
distrutta, del diritto divino, riesce
vincolo mal fermo d’unità e d’autorità nello Stato […]. Perché […] l’Italia
non ha elementi di monarchia: non
aristocrazia venerata e potente che
possa piantarsi fra il trono e la nazione: non dinastia di principi italiani
che comandi, per lunghe glorie e importanti servizi resi allo sviluppo della nazione, gli affetti o le simpatie di
tutti gli Stati che la compongono.
I contadini e la recinzione delle terre in Inghilterra (capitolo 6)
La Rivoluzione industriale prese avvio dalla profonda trasformazione delle campagne inglesi. Fu infatti il processo di recinzione delle
terre a permettere lo sviluppo agricolo che a sua volta fornì il surplus di produzione necessario a sfamare la popolazione in crescita
e il surplus di capitali necessari agli investimenti nell’industria. Le enclosures ebbero però anche un impatto disastroso sulle tradizionali comunità di villaggio, che si sfasciarono e liberarono l’abbondante manodopera di cui proprio le fabbriche avevano bisogno.
Si trattò di un processo inarrestabile, sanzionato dal Parlamento, e al quale i contadini non poterono in alcun modo opporsi.
Gli atti di recinzione non trovavano
praticamente valida resistenza. […]
Talvolta, i contadini si scagliavano
contro il principio stesso dell’enclosure, […] oppure denunciavano i metodi
con cui veniva applicata […]. A volte
la collera contenuta delle campagne
esplose con violenza improvvisa. In
certe parrocchie, l’annuncio della recinzione provocò sollevamenti. Gli
avvisi legali non potevano essere affissi alla porta delle chiese, «a causa
dell’ostruzione fatta, a diverse riprese,
dalla folla tumultuante, che impedisce l’affissione a viva forza». […]
Questa decisa resistenza, in forte con-
Vincenzo Gioberti: solo il papa può unire e salvare l’Italia (capitolo 8)
Il sacerdote torinese Vincenzo Gioberti ebbe profonda influenza sulle vicende intellettuali del Risorgimento. Pubblicò infatti nel 1843
Del primato morale e civile degli italiani, in cui prospettava una penisola federata nei suoi diversi Stati e guidata dal pontefice. Date
le radici cattoliche dell’Italia, a Gioberti sembrava che nessun altro personaggio e nessun’altra idea politica potessero meglio soddisfare le esigenze di unità degli abitanti della penisola. Ecco la pagina in cui illustra ai lettori la sua tesi.
Errano coloro che vogliono fare del
Papa un movitore e un artefice di risse, di tumulti, di violente rivoluzioni;
quasi che un tale uso disordinato di
potenza fosse possibile o desiderabile nel capo supremo del sacerdozio.
[…] L’azione civile del Papa non deve
ripugnare al suo carattere spirituale e pacifico, come supremo pastore
della Chiesa; e vi ripugnerebbe, se il
padre comune dei Cristiani suscitasse
i popoli contro i principi […]. Anche
quando la barbarie dei tempi, la fierezza dei costumi, i modi rotti e scomposti dei dominatori richiedevano un
freno più duro ed espedienti più efficaci, il Papa non fu mai violatore del-
le sovranità nazionali, né esercitò sui
regnanti alcun imperio, che non fosse
da quelle consentito e approvato. […]
Non è dunque col suscitare i sudditi
contro i sovrani, che il Pontefice può
salvare l’Italia; ma sì bene, recando a
pace e a concordia durevole i principi
ed i popoli della penisola, e rendendo
indissolubili i loro nodi, mediante una
lega dei vari stati italici, della quale
egli è destinato dalla Provvidenza ad
esser duce e moderatore.
Che il Papa sia naturalmente e debba essere effettivamente il capo civile
d’Italia, è una verità provata dalla natura delle cose, confermata dalla storia di molti secoli, riconosciuta altre
volte dai popoli e dai principi nostri,
e solo messa in dubbio, da che gli uni
e gli altri bevvero ad estere fonti e ne
derivarono il veleno nella loro patria.
Né per effettuare questa confederazione, è d’uopo che il Papa riceva o
pigli un potere nuovo, ma solo che
rimetta in vigore un diritto antico, interrotto bensì, ma non annullato, inalienabile di sua natura, ed esercitato
più volte solennemente. Il qual diritto
variò nel modo del suo esercizio e nei
mezzi eletti per esercitarlo, secondo i
luoghi e i tempi; ma venne sempre indirizzato ad un fine, cioè a comporre
ed unificare gli stati italiani.
V. Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani, Torino, UTET, 1920
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© Loescher Editore – Torino
vunque un impiego consentisse loro
di sottrarsi alla servitù della legge sui
poveri, che legava l’assistito alla parrocchia. […] Prima del 1760, si constatava già «una continua emigrazione
dalle parrocchie rurali verso i centri
commerciali e, da questi, verso la capitale; infine, una folla di gente nata
in campagna si stabilisce nelle piccole
e grandi città e particolarmente nei
maggiori centri industriali». L’industria era, di fatto, l’unico sbocco possibile per queste migliaia di lavoratori
che avevano perduto del tutto o in
parte le loro risorse tradizionali.
P. Mantoux, La rivoluzione industriale, Roma, Editori Riuniti, 1971
in F. Della Peruta, Scrittori politici dell’Ottocento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969
Documento 6
trasto con l’abituale timidezza dei
contadini, potrebbe anche apparire
il semplice frutto del timore istintivo
del cambiamento, se tutta una serie
di documenti non dimostrasse che
ad alimentarla erano ragioni più serie. Una precisa coscienza, ad esempio, che le recinzioni avevano come
risultato l’acquisto del suolo da parte
dei più ricchi, cui venivano attribuiti
tutti i mali dell’epoca: l’alto prezzo dei
beni di prima necessità, la demoralizzazione delle classi inferiori e l’aggravarsi della miseria. […] Si formava in
tal modo una classe di uomini senza
fissa dimora, pronti ad andare do-
Le innovazioni tecnologiche «leva» dello sviluppo produttivo industriale (capitolo 6)
Prima della Rivoluzione industriale, qualsiasi periodo di prosperità economica ha registrato un inizio, un culmine e una fine. Le innovazioni tecnologiche alla base dello sviluppo produttivo di fine Settecento inaugurarono invece una fase di incremento della ricchezza
che ha conosciuto brevi soste o marce indietro, ma mai un arresto definitivo. La crescita incominciata allora continua tutt’oggi, è
cumulativa ed auto propulsiva. Questo sostiene l’autore del brano, attribuendo il merito di tale fenomeno proprio ai ritrovati di scienza
e tecnologia.
Tra tutti i diversi aspetti del progresso tecnologico l’elemento comune è
l’unità del movimento stesso: i cambiamenti generarono cambiamenti
[…].
La macchina a vapore è un esempio
classico di questa interconnessione;
fu impossibile produrre un efficiente
motore a condensazione sino a quando migliori metodi di lavorazione dei
metalli non permisero di costruire
cilindri accuratamente calibrati. […]
La domanda di carbone fece scendere gli scavi delle miniere sempre più
in basso, finché non divenne grave il
pericolo delle infiltrazioni d’acqua; la
risposta fu la creazione di una pompa
più efficiente, la macchina a vapore
atmosferica […].
L’invenzione e la diffusione delle macchine […] crearono un nuovo fabbisogno di energia, quindi di carbone e di
motori a vapore; e tanto questi motori
quanto le macchine avevano un vorace appetito di ferro, ciò che richiedeva
altro carbone ed altra energia. Il vapore poi rese possibile la città-fabbrica,
che assorbiva inaudite quantità di ferro (quindi di carbone) nei suoi stabilimenti a più piani e nei suoi sistemi di
approvvigionamento idrico e di scarico dei rifiuti.
La lavorazione del flusso crescente dei
manufatti richiese grandi quantità di
sostanze chimiche: alcali, acidi e coloranti, la cui produzione consumava
montagne di combustibile. Tutti questi
prodotti – siderurgici, tessili, chimici –
dipendevano dal trasporto delle merci
su larga scala, per via di mare e di terra, dalle fonti della materia prima alle
fabbriche e nuovamente da queste ai
mercati vicini e lontani. L’opportunità che venne così ad aprirsi […] diede
origine alla ferrovia e al battello a vapore, i quali naturalmente incrementarono la domanda di ferro e di combustibili allargando nel contempo gli
sbocchi di mercato per i prodotti delle
fabbriche. E così via, in cerchi sempre
più ampi.
D.S. Landes, Prometeo liberato, Torino, Einaudi, 1978
© Loescher Editore – Torino
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Interpretazioni
Interpretazioni
Le ragioni dell’insuccesso socialista nella Rivoluzione francese del 1848 (capitolo 7)
La «nazione italiana» nel Risorgimento (capitolo 8)
Con la nascita della Seconda Repubblica, i ceti popolari francesi assunsero inaspettatamente una parte notevole nell’azione di governo. Ma le misure di legge che venivano incontro ai bisogni del proletariato causarono insopportabili tensioni nel tessuto sociale
ed economico del paese. Troppi altri interessi consolidati venivano minacciati, a partire da quelli della borghesia. Ecco perché, dopo
le grandi novità iniziali, il Quarantotto francese imboccò una strada moderata e, con Napoleone III, addirittura conservatrice.
Lo studio storico del Risorgimento in passato si è concentrato per lo più sui suoi aspetti politici, diplomatici e militari. Da diversi anni,
però, gli studiosi indagano anche il concetto di «nazione italiana». Alcuni sono convinti che la «nazione italiana» invocata dal Risorgimento fosse solo una costruzione retorica e propagandistica, altri sostengono che esisteva davvero. Certo è, come rileva Alberto
Mario Banti, che a metà dell’Ottocento la «nazione italiana» era in gran voga, nonostante le molte differenze, in ogni campo, tra i
pensatori e principali autori del Risorgimento.
Fu proclamata la repubblica e, prima
ancora che fosse eletta l’Assemblea
costituente, fu introdotto il suffragio
universale maschile, che portò immediatamente il numero degli elettori da 250.000 a 9 milioni, fu abolita
la pena di morte per i reati politici,
fu soppressa la schiavitù nelle colonie e fu fissata la giornata di 10 ore
lavorative a Parigi e di 11 nelle province. […] Il governo provvisorio si
impegnò «[…] a garantire il lavoro a
tutti i cittadini» e riconobbe agli operai il diritto di «associarsi tra loro per
godere del beneficio del loro lavoro».
[…] Si decise inoltre di creare degli
ateliers nationaux […] con lo scopo
di eliminare la disoccupazione. […]
I provvedimenti presi per alleviare
la disoccupazione […] finirono col
suscitare larghe reazioni negative
contro i socialisti, ai quali si attribuì
il disegno e la responsabilità di voler
sovvenzionare operai improduttivi
[…] a spese delle altre classi della nazione. L’impopolarità di queste misure divenne grandissima, allorché il
governo decise di risolvere le difficoltà finanziarie aumentando di 45 centesimi per franco le imposte dirette,
alle quali era soggetta la grande massa dei contadini proprietari. […]
Il colpo decisivo alle illusioni del
proletariato parigino sulla «organizzazione del lavoro» fu dato dalle
elezioni, che si tennero il 23 aprile e
mandarono all’Assemblea costituente una schiacciante maggioranza di
moderati. Da quel momento, tutti i
tentativi del proletariato parigino di
riaffermare pacificamente o violentemente le proprie esigenze furono
presi a pretesto per sollecitare la liquidazione di tutto ciò che restava
della repubblica «sociale» […]. La
repubblica si era posta su una china
che avrebbe portato in breve alla soppressione delle libertà conquistate.
R. Villari, Mille anni di storia. Dalla città medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2001
La storiografia che si è occupata della letteratura e della saggistica risorgimentale ha – di norma – posto in
evidenza le profonde diversità delle
convinzioni ideologiche, delle sensibilità filosofiche, delle aspirazioni politiche, che animarono intellettuali,
letterati e leader politici risorgimentali. Laici contro neoguelfi, democratici contro moderati, repubblicani
contro monarchici, unitari contro
federalisti: queste sono le contrapposizioni, moltiplicabili a piacere, per il
numero di incroci e sovrapposizioni
che con esse si possono costruire. E
sono, è bene sottolinearlo con forza, un’assoluta realtà. Non può es-
serci alcun dubbio sulla differenza
di intenzioni, obiettivi e programmi
politico-costituzionali che separavano Mazzini da Manzoni, Mameli da
Pellico, Guerrazzi da Giusti, d’Azeglio
da Giannone, e così via.
Ma se lasciamo sullo sfondo le loro
preferenze politiche, e li ascoltiamo
solo ed esclusivamente mentre parlano della nazione italiana, mentre
cercano di descrivere che cos’è questo soggetto, com’è fatto, che storia
ha avuto alle spalle, ebbene, ecco
che le differenze cadono: una lettura ravvicinata dei lavori del «canone
risorgimentale» mostra la ricorrenza
piuttosto sistematica di una serie di
A.M. Banti, La nazione del Risorgimento, Torino, Einaudi, 2000
I liberali tedeschi dalla democrazia al nazionalismo (capitolo 7)
Con la sconfitta del 1848, la borghesia tedesca dimostrò di non essere abbastanza forte da conquistare l’egemonia politica e portare
la Germania sulla strada del liberalismo. Fu la monarchia prussiana a svolgere questo ruolo, dando maggiore spazio alla borghesia
e ottenendone in cambio l’appoggio alle sue mire di potenza e alla conservazione di rapporti sociali di stampo ancora feudale. La
Germania perse allora un’occasione storica, con ripercussioni che sarebbero apparse evidenti nei successivi decenni di guerre,
combattute da Berlino tra Ottocento e Novecento per la supremazia continentale.
La disperazione generale che fa seguito alla sconfitta contribuisce alla
capitolazione ideologica che sta per
compiersi. […] Già nel corso della
rivoluzione, ma soprattutto dopo la
sua sconfitta, il principio dell’unità
trionfò nel loro animo su quello della libertà; cioè aumentò sempre più
il numero di coloro che volevano una
Germania unitaria e potente, e che
diventavano sempre più indifferenti alla questione su fino a che punto
questa unità si appoggiasse a un riassetto interno nel senso della libertà.
[…]
Solo ora comincia la trasformazione della Prussia […] in una «monar-
chia bonapartistica». […] Solo ora
si mostra in tutto il suo splendore la
«missione nazionale» della Prussia e
comincia la vera prussificazione della
Germania. Muta inoltre la funzione
sociale della monarchia, in quanto
il suo potere, praticamente assoluto,
non istituisce più l’equilibrio tra aristocrazia e borghesia, bensì tra «classi elevate», aristocratiche e borghesi,
da una parte, e «classi inferiori» del
basso popolo, dall’altra. Certo, anche
in Francia, dalle tempeste della rivoluzione del 1848 nasce il dominio del
bonapartismo. Ma in primo luogo il
popolo francese ha spazzato via i residui feudali già mezzo secolo prima,
temi e di figure, tra loro connessi,
che delineano una sorta di narrazione coerente della nazione italiana,
qualcosa che potremmo chiamare
la morfologia elementare del discorso
nazionale. Certo, ciascuno di questi
testi si concentra su un tema piuttosto che su un altro; su un’immagine
piuttosto che su un’altra; su una fase
della storia della nazione piuttosto
che su un’altra: eppure, posti l’uno
a fianco all’altro, temi e figure elaborate contribuiscono alla definizione
di un discorso ricco di rimandi e di
coerenze, una sorta di pensiero unico
della nazione.
mentre la «monarchia bonapartistica»
assunse in Germania il compito o di
conservarli […] adattandoli al capitalismo, o di farli trapassare in rapporti
borghesi moderni in modo indolore
[…]. In secondo luogo, il bonapartismo costituiva, nell’evoluzione francese, un evidente regresso, dopo il
quale, qualche decennio più tardi, al
crollo della reazione napoleonica nel
1870, fu ripresa la linea repubblicana,
mentre è sintomatico per il disgraziato cammino della Germania che
Friedrich Engels abbia potuto designare come progresso il trapasso del
vecchio assolutismo prussiano nella
«monarchia bonapartistica».
G. Lukács, Breve storia della letteratura tedesca, Torino, Einaudi, 1971
I Savoia protagonisti dell’unità d’Italia (capitolo 8)
Nell’estate del 1860, Cavour spinse Vittorio Emanuele II a discendere la penisola con l’esercito per scongiurare il rischio della creazione di una repubblica democratica nel Meridione d’Italia. In realtà, lo sguardo retrospettivo dello storico mostra che, se doveva farsi,
l’unità poteva essere guidata solo dai Savoia. Tutto concorreva a tale risultato: la debolezza dei regimi assolutisti, il favore di Francia
e Inghilterra, la capacità della dinastia sabauda di sfruttare il momento storico e, appunto, il fallimento dell’azione democraticorepubblicana. Fu per questo che il Regno d’Italia nacque nel nome dei monarchi piemontesi.
La configurazione dell’Italia come
Stato monarchico-unitario […] era il
logico sbocco delle scelte coraggiose
di Casa Savoia. Il ruolo assunto dal
Piemonte nel movimento nazionale
a partire dal Congresso di Parigi aveva mutato i termini della lotta politica
nella penisola. La fedeltà allo Statuto
aveva mostrato la possibilità di conciliare l’ordine con la libertà […]. Assurto a simbolo della libertà e dell’Unità,
Vittorio Emanuele nel 1859-60, in
quell’autentica rivoluzione che sconvolse il secolare assetto territoriale
della penisola, rappresentò la garanzia dell’ordine di fronte alla diploma-
zia europea e di fronte alle classi dirigenti degli Stati che scomparivano.
Si dimostrò fondata la convinzione
di Mazzini che il crollo dell’Austria
in Lombardia avrebbe messo in crisi
tutti i governi assoluti. […] L’unione
della Lombardia al regno sardo discendeva dagli accordi di Plombières. Le annessioni nell’Italia centrale
furono determinate dall’eterogeneità
dei territori ribellatisi ai governi legittimi e dalla imprevista forza del sentimento nazional-liberale, che escluse
il ritorno dei vecchi sovrani […]. Si
venne così a creare uno Stato esteso, che diventò polo di attrazione nei
confronti delle Due Sicilie nel ’60. […]
La soluzione «sabauda» fu, quindi, favorita dalla scansione dei tempi in cui
si realizzò l’Unità. Quando l’epica impresa dei Mille meravigliò il mondo, i
democratici erano già stati sconfitti
sul terreno ideologico […] e sul terreno politico […]. Mazzini era stato il
profeta dell’unità nazionale […]: ma i
moderati avevano avuto un progetto
politico in grado di sfruttare gli spazi di
manovra permessi dagli avvenimenti
internazionali ed il regno sabaudo in
quanto «Stato» ne aveva reso possibile la realizzazione. Per queste ragioni
l’Italia unita ebbe direzione moderata.
A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 1990
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Unità 3 • L’Ottocento: l’affermazione degli Stati-nazione
Verso la Prima prova: tema di argomento storico
1 Ora che hai studiato le rivoluzioni del 1848 in Europa, completa la tabella in modo sintetico; poi, dopo aver raccolto le
informazioni richieste, scrivi un breve testo, più analitico, che le metta in relazione.
Argomento: Le rivoluzioni del 1848 in Europa (capitolo 7)
5In quale anno Cavour divenne primo ministro del Regno di
Sardegna?
a 1848.
b1852.
c 1857.
d1861.
6Quale aspetto della politica economica di Cavour ebbe
un effetto positivo diretto sui ceti sociali meno abbienti?
a L’abolizione del dazio sul grano.
bLo scavo di canali di irrigazione.
c Il libero commercio.
dL’apertura di nuove banche.
Qual è l’ambito tematico di riferimento del fenomeno: politicoistituzionale, economico-sociale, filosofico-culturale, scientifico
o religioso?
Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta
Quali sono i paesi protagonisti?
3 Costruisci una mappa concettuale sulle caratteristiche fondamentali della Restaurazione (capitolo 7).
Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale
Quali sono le classi sociali protagoniste in ciascun paese?
4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla Rivoluzione industriale
inglese (capitolo 6), che potrai poi esporre oralmente.
Condizioni politiche
Per quanto tempo sono durate le rivoluzioni?
Gloriosa rivoluzione à Monarchia parlamentare
à Nobili, ricchi proprietari terrieri e borghesia
partecipano alla politica fiscale à Innovazioni
tecnologiche:
• Agricoltura à Meccanizzazione à Seminatrice,
aratro in ferro
•M
anifatture à Nuove macchine per meccanizzare
lavorazioni tessili à Riduzione dei tempi di
produzione
Quali sono le cause che le hanno innescate?
Quali sono, invece, le conseguenze?
Condizioni economiche
Supremazia sui mari à Sviluppo commerci
Verso la Terza prova: quesiti a risposta multipla
2 Segna con una crocetta la risposta corretta.
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1 Quale di queste affermazioni è corretta?
a Mazzini fondò la Carboneria.
bMazzini sosteneva la lotta di classe.
c Mazzini fondò La Giovine Italia.
dMazzini aspirava a un’Italia federale.
3 Chi dichiarò guerra all’Austria il 23 marzo 1848?
a Carlo Alberto.
bFerdinando II.
c Leopoldo II.
dPio IX.
2In quale anno e in quale città Mazzini fondò il Partito
d’Azione?
a Nel 1852 a Belfiore.
bNel 1852 a Ginevra.
c Nel 1853 a Milano.
dNel 1853 a Ginevra.
4In quale territorio la libertà di pensiero e di espressione
dei patrioti italiani non veniva repressa?
a Nello Stato pontificio.
bNel Regno di Sardegna.
c Nel Regno delle Due Sicilie.
dNel Lombardo-Veneto.
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Rivoluzione agricola à Enclosures, rotazioni
quadriennali e innovazioni tecnologiche à Massimo
sfruttamento delle terre à Aumento delle pecore
(lana)
Trasformazione del lavoro à
Lavoro manuale à Macchine
à Quantità maggiori e costi
minori à Crisi del lavoro
artigianale e a domicilio
Aumento della produzione à
Mercanti e proprietari fondiari
dispongono di capitali à
Capitalista imprenditore
Artigianato
e lavoro a
domicilio
à Industria
Materie prime e fonti energetiche (ferro e carbone)
lavorate e utilizzate nelle industrie à Macchina a
vapore à Forza motrice per industria e trasporti
à Sviluppo del sistema dei trasporti
Impero coloniale à Materie prime (cotone grezzo)
e domanda esterna
Condizioni sociali
Miglioramento delle condizioni di vita, pace interna,
aumento della produzione agricola à Riduzione del
tasso di mortalità à Incremento demografico
Disponibilità di manodopera
e aumento della domanda
interna
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