Guerre d`Italia del XVI secolo Prima Guerra d`Italia 1494

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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. XX Lezione: Le guerre d’Italia
Guerre d'Italia del XVI secolo
Le Guerre d'Italia furono una serie di otto conflitti, combattuti prevalentemente sul suolo italiano
nella prima metà del secolo XVI (per la precisione durarono dal 1494 al 1559), aventi come
obiettivo finale la supremazia in Europa.
Furono inizialmente scatenate da alcuni sovrani francesi, che inviarono nella penisola italiana le
loro truppe, per far valere i loro diritti ereditari sul Regno di Napoli e poi sul Ducato di Milano. Da
locali le guerre divennero in breve tempo di scala europea, coinvolgendo oltre alla Francia,
soprattutto la Spagna e il Sacro Romano Impero.
Al termine delle guerre la Spagna si affermò come la principale potenza continentale, ponendo
gran parte della penisola italiana sotto la sua dominazione diretta (Ducato di Milano, Regno di
Napoli, Regno di Sicilia, Regno di Sardegna, Stato dei Presidi) o indiretta; gli unici stati italiani che
seppero mantenere una certa autonomia furono il Ducato di Savoia (legato alla Francia) e la
Repubblica di Venezia, mentre il Papato, pur autonomo, risultava perlopiù legato alla Spagna
dalla comune politica di far prevalere in Europa la Controriforma cattolica.
Prima Guerra d'Italia 1494-98. L'impresa di Carlo VIII
Sintesi della guerra
Carlo VIII rivendicava il diritto al trono di Napoli in quanto discendente di Maria d'Angiò (14041463), sua nonna paterna; grazie al supporto di Ludovico Sforza di Milano, Carlo VIII entrò in
Italia nel 1494, scatenando un vero e proprio terremoto politico in tutta la penisola. L'imponente
esercito francese marciò attraverso l'Italia, raggiungendo Napoli il 22 febbraio 1495; infine,
sconfitto nella Battaglia di Fornovo, fu costretto a ritirarsi oltralpe.
Sviluppi di tutta Europa
La discesa del re di Francia Carlo VIII in Italia nel 1494 palesa in maniera definitiva la crisi
politica e militare raggiunta dagli stati italiani e rappresenta la fine di quella politica
dell'equilibrio che aveva avuto inizio con la pace di Lodi del 1454. Da un punto di vista politico
l'impresa è favorita dagli stessi stati italiani, favorevoli per diverse ragioni a un intervento francese
nella penisola. A Milano Ludovico Sforza, detto il Moro, auspica la discesa di Carlo VIII, perché
vede nella sua figura uno strumento per colpire Ferrante I che sostiene il nipote Gian Galeazzo
Sforza. Anche Venezia desidera la rovina del re aragonese che favorisce la Puglia e i suoi porti,
diretti concorrenti della Repubblica di Venezia. A Firenze, invece, sono gli avversari dei Medici a
sostenere un'iniziativa francese, con la speranza che possa portare a un cambiamento di regime
politico. Infine, nello Stato pontificio i cardinali avversi allo spagnolo Alessandro VI sperano che
con la discesa di Carlo VIII si possa deporre il papa ed eleggere al pontificato Giuliano della Rovere
(il futuro Giulio II).
La spedizione di Carlo VIII in Italia è preceduta da un'accurata preparazione diplomatica e si
caratterizza per un ingente impiego di forze militari. Prima di avviare l'impresa, Carlo VIII si
assicura la neutralità delle maggiori potenze europee con una serie di concessioni territoriali e
finanziarie: con il trattato di Senlis del 1493 lascia le regioni dell'Artois e della Franca Contea a
Massimiliano I d'Asburgo; con il trattato di Barcellona cede alla Spagna di Ferdinando d'Aragona la
Cerdagna e il Rossiglione lungo il versante francese dei Pirenei, mentre a Enrico VII Tudor
promette ingenti elargizioni finanziarie in cambio di un non-intervento inglese.
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L'Italia alla vigilia dell'invasione di Carlo VIII di Francia
Da un punto di vista militare le forze dispiegate da Carlo VIII mostrano tutta la potenza francese:
ventimila uomini armati, con un corpo d'artiglieria efficiente e innovativo, destinato a rendere
ancora più evidente la debolezza intrinseca degli apparati militari degli stati italiani, difesi da
eserciti mercenari. Il casus belli è rappresentato dalla rivendicazione degli antichi diritti che il re di
Francia, erede degli Angioini vanta sul Regno di Napoli. Le giustificazioni sono tuttavia più
ambiziose: dalla conquista del Regno di Napoli, il re di Francia intende muovere a un generalizzato
dominio di tutta l'Italia e, in un secondo momento, organizzare una crociata contro i turchi per la
riconquista della Terra Santa.
In cinque mesi, dal settembre 1494 al febbraio 1495, Carlo VIII attraversa l'Italia lungo l'antica via
Francigena, senza incontrare resistenze, e raggiunge il Regno di Napoli. La sua rapida avanzata si
ripercuote sulla fragile politica italiana del tempo: a Milano Ludovico il Moro eredita il Ducato dal
nipote Gian Galeazzo, vincendo le pretese dinastiche avanzate dagli aragonesi; a Firenze i Medici
sono effettivamente cacciati dalla città, dove viene proclamata la Repubblica; a Napoli il ceto
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baronale, per tradizione filofrancese e ostile alla monarchia, accoglie trionfalmente il sovrano,
mentre Venezia si impadronisce di alcuni porti pugliesi. Ma il trionfo stesso di Carlo VIII spaventa
le diverse forze che ne hanno favorito la discesa: lo Stato pontificio, Milano e Venezia si
coalizzano, formando una lega antifrancese che ottiene l'appoggio dell'imperatore Massimiliano e
della Spagna. Carlo VIII si vede costretto a risalire la penisola per evitare di restare isolato
nell'Italia del sud. L'esercito della lega e quello del re francese si scontrano a Fornovo sul Taro, a
una ventina di chilometri dalla città di Parma, nel luglio del 1495. Carlo VIII, seppure non sconfitto,
è costretto a riparare in Francia, dove muore il 7 luglio 1498, mentre medita una seconda spedizione
italica.
Le conseguenze dell'effimera impresa del sovrano francese sono però significative. Infatti viene
definitivamente dimostrata la crisi politica e la debolezza militare degli stati italiani: Carlo VIII si è
inserito tra le crepe della cosiddetta "politica dell'equilibrio", sfruttando a suo favore conflitti
dinastici, politici ed economici, antichi e nuovi tra i diversi stati. La repentina ricomposizione
rappresentata dall'organizzazione della lega antifrancese si dimostra presto illusoria: un ritorno alle
condizioni politiche precedenti la discesa di Carlo VIII non è più possibile. Al contrario
quell'alleanza, per il suo carattere internazionale e il diverso peso politico-militare dei contraenti,
rappresenta una definitiva apertura della penisola italiana alle mire espansionistiche e fra loro
conflittuali della Francia, dell'Impero e della Spagna. A dimostrazione di ciò si pensi che, poco
dopo la battaglia di Fornovo, Ludovico il Moro temendo la posizione di forza acquistata dalla
Serenissima sottoscrisse prima una pace separata a Vercelli (1495) con la Francia, poi ordì una
nuova alleanza (simile a quella con Carlo VIII) con Massimiliano I d'Asburgo (1496) e infine una
alleanza segreta coi Turchi (1499), che coi denari milanesi invasero il Friuli.
Seconda guerra 1499-1504. La discesa di Luigi XII in Italia
Sintesi della guerra
Divenuto re, Luigi XII di Francia (1462-1515), rifacendosi ai diritti ereditati dalla nonna Valentina
Visconti, intraprese la spedizione del 1499-1500 in Italia e conquistò il Ducato di Milano (1500).
Meno fortunata fu la conquista di Napoli, preparata dal Trattato di Granada (novembre 1500), che
prevedeva una spartizione delle conquiste tra Francia e Spagna, garantita dalla neutralità (ottenuta
per via diplomatica) di Venezia e del papa.
Nell'estate del 1501 Napoli era conquistata, ma sopravvenuto il disaccordo tra gli alleati e la
conseguente guerra tra Francia e Spagna, la spedizione finì per i Francesi in un completo disastro;
dopo quasi due anni di resistenza essi furono sconfitti presso il Garigliano nel 1503.
Sviluppi
A Carlo VIII succede il cugino Luigi XII che rinnova i progetti espansionistici del predecessore
avanzando pretese sul Ducato di Milano come discendente dei Visconti. Ancora una volta l'impresa
è preceduta da un'attenta azione diplomatica: con un accordo firmato a Blois nel 1499 il sovrano
francese si assicura l'appoggio di Venezia che mira a estendere i propri domini di terraferma; agli
svizzeri, le cui truppe costituiscono il nerbo dell'esercito francese, promette la Contea di Bellinzona
e al papa offre l'impegno di appoggiare il figlio Cesare Borgia nel suo progetto di conquista della
Romagna.
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La situazione italiana dopo le invasioni di Carlo VIII e Luigi XII di Francia
Milano è espugnata il 2 settembre 1499 e Ludovico il Moro ripara in Germania presso Massimiliano
I d'Asburgo (marito di Bianca Maria Sforza, nipote del Moro). Insieme alle forze asburgiche,
Ludovico riesce a riprendere Milano per un breve periodo, ma nel 1500 viene fatto prigioniero e
trasferito in Francia, dove muore nel 1508. Per ciò che concerne il fronte meridionale della penisola,
dopo il fallimento militare dell'impresa di Carlo VIII, il nuovo re di Francia il 2 novembre 1500
stipula a Granada un trattato di spartizione dell'Italia del sud con Ferdinando il Cattolico. Il re di
Aragona mira a eliminare la dinastia cadetta di Napoli e a riunire al possesso della Sicilia quello
della Calabria e della Puglia, mentre ai francesi vengono riservate Campania e Abruzzo.
Napoli è occupata dai francesi nel 1501, ma al momento della divisione nasce un conflitto tra i due
occupanti e alla fine gli spagnoli, guidati da Consalvo di Cordova, hanno la meglio. Con il trattato
di Lione del 1504 la Francia è costretta a rinunciare al Regno di Napoli che, a partire da
allora, rimarrà per due secoli sotto la sfera di influenza spagnola.
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Terza guerra del 1508-16 o Guerra della Lega di Cambrai
Qualche anno dopo la Lega di Cambrai, conclusa in funzione antiveneziana, portava i francesi
nuovamente in Italia, dove Venezia subì una dura sconfitta ad Agnadello, 1509. A ciò seguì però
una nuova politica antifrancese di papa Giulio II, che costituì la Lega Santa (1511-1513). I Francesi
sconfissero gli spagnoli nella Battaglia di Ravenna (1512), ma in Lombardia, di fronte agli svizzeri,
furono costretti a ritirarsi. Sconfitti a Novara (Battaglia dell'Ariotta) nel 1513, i francesi si ritirarono
dalla penisola.
Nel 1515, anno della morte di Luigi XII di Francia, gli succede il ventenne Francesco I di Francia
che, dopo essersi alleato con Venezia, che non aveva dimenticato l'umiliante sconfitta di Agnadello,
invia l'esercito francese oltre le Alpi e vince le truppe svizzere a Marignano (l'odierna Melegnano).
I francesi in seguito a questo successo ritornano in possesso del Ducato di Milano e con la pace di
Noyon del 1516 stipulano una serie di trattati che, nell'intenzione dei contraenti, avrebbero dovuto
porre fine alle guerre tra potenze europee in territorio italiano e assicurare un periodo di stabilità ed
equilibrio generalizzato. Alla Spagna vengono riconosciuti il Regno di Napoli, la Sicilia e la
Sardegna, mentre la Francia ottiene nuovamente il Ducato di Milano e facoltà di intervento sui
territori delle repubbliche di Genova e Firenze, nonché nei ducati di Savoia e di Ferrara.
Il Valentino
Cesare Borgia, detto il Valentino (Subiaco, 1475– Viana, 1507), è stato un condottiero, cardinale e
politico italiano; figlio illegittimo di papa Alessandro VI, fu una delle figure più controverse del
Rinascimento italiano.
Fin dalla giovane età fu destinato alla carriera ecclesiastica dal padre cardinale. Inizialmente studiò
all'Università degli Studi di Perugia, e poi teologia a Pisa. Quando conseguì il dottorato, suo padre,
divenuto papa, gli conferì il rango di cardinale.
In seguito alla morte di suo fratello Giovanni duca di Gandia, tornò allo stato laicale. Cercò di
sposare in un primo tempo la figlia del Re di Napoli, per continuare la politica filoaragonese del
Papa. Ma in seguito sposò la principessa francese Charlotte d'Albret, ottenendo il titolo di duca di
Valentinois. Grazie a queste nozze, Cesare e Alessandro VI si allearono al re Luigi XII di Francia
sulle sue rivendicazioni in territorio italiano.
Guidò l'esercito francese alla conquista del ducato di Milano e con l'appoggio del Papa iniziò la
riconquista dei territorio della Romagna, battendo i vari signorotti locali, fra cui Caterina Sforza,
ricevendo in seguito dal padre il titolo di duca di Romagna. Successivamente invase il regno di
Napoli guidando le truppe francesi. Nel 1502, raggiunto rapidamente un grande potere politico,
riuscì a difendersi dalla congiura della Magione, traendo in inganno i traditori e facendoli
strangolare a Senigallia. Questa vendetta colpì molto l'opinione pubblica, tanto che Niccolò
Machiavelli la citò ne Il Principe, libro scritto basandosi sulla figura del Valentino.
Dopo la morte di Alessandro VI, Cesare riuscì a far eleggere papa Pio III, che però morì poco dopo.
In seguito, venne eletto papa Giulio II che tolse al Duca il governo della Romagna ordinò il suo
arresto e la reclusione in Castel Sant'Angelo. Dopo essere evaso, si rifugiò a Napoli, dove fu
arrestato e condotto in Spagna, dove fu incarcerato su ordine del Re. Dopo una rocambolesca
evasione si recò dal cognato Giovanni III d'Albret, re di Navarra. Morì nel 1507 a Viana, mentre
assediava l'esercito ribelle del Conte de Lerín.
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Il caso di Venezia
Con la sconfitta di Luigi XII le mire espansionistiche francesi in territorio italiano subiscono una
battuta d'arresto. In questi anni di guerra tra la decadenza e i rivolgimenti dei vari stati regionali,
solo la Repubblica di Venezia con accorte alleanze riesce a rafforzare i propri domini territoriali
interni e marini. Ma la potenza di Venezia in questi anni si fonda più sulla debolezza e la rovina
altrui che non sulla propria forza. Dal crollo aragonese, infatti, ricava alcuni porti della Puglia che
permettono alla Serenissima di controllare e chiudere il mare Adriatico; dalla sconfitta sforzesca
estende il suo dominio nell'entroterra lombardo (Cremona) e dalla rovina di Cesare Borgia, figlio di
Alessandro VI che tra il 1499 e il 1501 costituisce e organizza un proprio ducato in Romagna - le
città di Cervia, Rimini e Faenza. All'interno del desolante panorama offerto dai differenti stati
regionali italiani, Venezia rappresenta quindi un'anomalia: è l'unico Stato forte, indipendente, solido
nelle antichissime strutture istituzionali, e addirittura in grado di resistere e reagire all'invadenza
delle potenze straniere. Persino in un conflitto con l'imperatore, riesce a sconfiggerlo ottenendo
Fiume e Trieste.
Il sovrano asburgico accetta quindi di far parte di una lega, insieme a Luigi XII e alla Spagna, la
lega di Cambrai, promossa dal nuovo papa Giulio II (eletto nel 1503). Tale lega, dopo gli ultimi
successi della repubblica lagunare, ha una funzione eminentemente antiveneziana.
Il conflitto: L'occupazione del Cadore (inverno 1508)
Nel mese di febbraio 1508, Massimiliano, usando come pretesto il viaggio a Roma per
l'incoronazione imperiale, chiese di attraversare il territorio veneziano. Il Senato veneziano rispose
che era favorevole ma che non avrebbe tollerato il passaggio di un esercito sul suo territorio e si
rese disponibile a scortare l'imperatore. L'imperatore, allora, ordinò nel gennaio 1508 l'invasione del
Cadore (la provincia più settentrionale della Repubblica Veneta) con un esercito di 5000 uomini.
Una volta occupatolo senza fatica, vista la stagione fredda e nevosa, fece tornare in patria 3000
soldati lasciando una guarnigione a Pieve di Cadore.
Venezia, senza attendere oltre, inviò un esercito di 2000 uomini sotto la guida di Bartolomeo
d'Alviano, di stanza nelle caserme di Bassano del Grappa, nel Cadore per prendere alle spalle gli
austriaci (in pieno inverno e con la neve alta). Con uno stratagemma tesero una imboscata agli
imperiali facendoli uscire dal Castello di Pieve di Cadore e nella famosa Battaglia di Rusecco (2
marzo 1508) li sterminarono. Un secondo assalto portato avanti da una forza tirolese diverse
settimane più tardi si concluse con un fallimento ancora più ampio; Alviano non solo sconfisse
l'esercito imperiale, ma conquistò anche Trieste e Fiume, costringendo Massimiliano ad una tregua
con Venezia.
La stipula dell'accordo segreto a Cambrai (10 dicembre 1508)
A metà marzo del 1508, la Repubblica di Venezia fornì un pretesto per un attacco a se stessa,
nominando il proprio candidato al vacante vescovado di Vicenza. Anche Luigi XII di Francia
(diventato padrone di Milano dopo la seconda guerra italiana), si mostrò interessato a un'ulteriore
espansione in Italia. Dopo una lunga trattativa che si protrasse per tutto il resto dell'anno, il 10
dicembre 1508 si incontrarono a Cambrai i rappresentanti della Francia, del Sacro Romano Impero
e di Ferdinando II d'Aragona. Nella cittadina francese fondarono la Lega di Cambrai, un accordo
preliminare segreto per la formazione di una grande lega anti-veneziana, a cui invitarono anche
papa Giulio II e il Re di Ungheria.
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I capitoli segreti di tale conferenza prevedevano la spartizione dei territori Veneziani in questo
modo:
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All'Imperatore Massimiliano I tutto il Veneto, il Friuli, l'Istria più Gorizia, Trieste e
Rovereto.
A Luigi XII, Re di Francia e da poco duca di Milano, i territori di Cremona, Crema, Brescia,
Bergamo e la Gera d'Adda.
Al reggente di Castiglia e Re d'Aragona, di Sicilia e di Napoli, Ferdinando II, le città di
Trani, Brindisi, Otranto, Gallipoli e gli altri porti pugliesi occupati dai Veneziani di recente.
A Ladislao II, Re d'Ungheria, la Dalmazia.
A papa Giulio II le città occupate dai veneziani in Romagna: Ravenna, Cervia, Rimini,
Faenza e Forlì.
Ad Alfonso I, duca di Ferrara, il Polesine, che era stato conquistato dai veneziani nel 1481.
A Francesco II, marchese di Mantova, le città di Peschiera, Asola e Lonato lungo i confini
veronesi del ducato.
A Carlo II, duca di Savoia, l'isola di Cipro, occupata da Venezia nel 1489, ma della quale i
Savoia erano i legittimi eredi.
La prima fase
Sebbene, di fronte al pericolo incombente, Venezia si offrisse ancora il 4 aprile 1509 di restituire
Faenza e Rimini agli Stati della Chiesa, il 23 marzo Giulio II aderì pubblicamente alla lega di
Cambrai, lanciando, il 27 aprile, la scomunica sulla Serenissima e nominando il Duca di Ferrara
Alfonso I d'Este Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. Venezia rispose alla scomunica
proibendone, con la minaccia di pesanti pene, la pubblicazione nei propri territori.
Il 15 aprile 1509, Luigi XII lasciò Milano a capo di un esercito francese e si mosse rapidamente in
territorio veneziano. Per opporsi, Venezia assunse un esercito mercenario sotto il comando dei
cugini Orsini, i condottieri Bartolomeo d'Alviano e Niccolò di Pitigliano, ma non riuscì a risolvere
il loro disaccordo sul modo migliore per fermare l'avanzata francese. Di conseguenza, quando Luigi
XII attraversò il fiume Adda, all'inizio di maggio, e Alviano avanzò per andargli incontro,
Pitigliano, credendo che fosse la cosa migliore per evitare una battaglia campale, si allontanò a sud.
Il 14 maggio Alviano, trovandosi in inferiorità numerica davanti ai francesi nella battaglia di
Agnadello, inviò una richiesta di rinforzi a suo cugino, che rispose ordinandogli di interrompere il
combattimento e continuando per la sua strada. Alviano, ignorando i nuovi ordini, proseguì nella
battaglia finché il suo esercito fu circondato e distrutto (4000 morti prevalentemente padovani e
trevigiani, d’Alviano stesso ferito e fatto prigioniero). Pitigliano riuscì ad evitare l'esercito francese,
ma le sue truppe mercenarie, avuta conoscenza della sconfitta di Alviano, la mattina successiva
disertarono in gran numero, costringendolo a ritirarsi a Treviso con i resti dell'esercito veneziano.
Di fronte alla sconfitta e all'impossibilità di fronteggiare la potenza avversaria, la Repubblica decise
l'evacuazione dei suoi Domini di Terraferma per concentrarsi sulla difesa delle lagune, sciogliendo
le provincie dall'obbligo di fedeltà. Il 15 maggio Caravaggio aprì le porte ai francesi e il 16 maggio
cadde anche la sua rocca. Il 17 maggio Bergamo inviò a Luigi le chiavi della città, mentre Brescia
sbarrò le porte ai Veneziani in ritirata, consegnandosi senza alcuna resistenza significativa il 24
maggio ai francesi, assieme a Cremona e Crema. Le principali città non occupate dai francesi, come
Padova, Verona e Vicenza, furono lasciate indifese dal ritiro di Pitigliano e si arresero rapidamente
quando gli emissari imperiali di Massimiliano arrivarono nel Veneto. Giulio II, che nel frattempo
rilasciò l'interdetto contro Venezia, scomunicando ogni cittadino della Repubblica, invase la
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Romagna e prese Ravenna grazie all'aiuto di Alfonso I d'Este, duca di Ferrara. Questi, dopo aver
aderito alla Lega ed essere stato nominato Gonfalone della Chiesa il 19 aprile, annesse ai suoi
territori il Polesine.
Il 31 maggio Venezia diede l'ordine di affondare la flotta del lago di Garda, per impedire che
cadesse in mano ai francesi. In breve le forze della Lega occuparono tutta la Terraferma, giungendo
fino ai margini della laguna, alle porte di Mestre, dove si era asserragliato il Pitigliano. Il 10 giugno
il tentativo di alcuni nobili di offrire agli Imperiali la dedizione di Treviso, venne impedito da una
sollevazione popolare, che le valse l'invio di un contingente di supporto di 700 fanti e l'esenzione
quindicennale della città dai tributi.
Tuttavia nelle città occupate, appena arrivati, i governatori imperiali si dimostrarono presto
impopolari. A metà luglio, i cittadini di Padova, aiutati da distaccamenti di cavalleria
veneziana sotto il comando del provveditore Andrea Gritti, si ribellarono. I lanzichenecchi
stanziati in città si dimostrarono numericamente insufficienti per opporre una resistenza
efficace, e il controllo veneziano fu ristabilito a Padova il 17 luglio 1509. Il successo della rivolta
spinse Massimiliano all'azione. Ai primi di agosto, un enorme esercito imperiale, accompagnato da
corpi di truppe francesi e spagnole, partì da Trento in direzione del Veneto. A causa della mancanza
di cavalli, così come della disorganizzazione generale, le forze imperiali non raggiunsero Padova
fino a settembre, dando il tempo alle truppe, ancora disponibili, di Pitigliano di concentrarsi
all'interno della città. L'assedio di Padova ebbe inizio il 15 settembre 1509, ma i difensori riuscirono
a tenere la città fintanto che Massimiliano levò l'assedio il 30 settembre e si ritirò nel Tirolo, con la
parte principale del suo esercito.
Il bastione della Gatta
E’ durante questo assedio che si verifica il famoso episodio della Gatta sul bastione omonimo. I
difensori avevano appeso in cima a un'asta un drappo che avrebbe dovuto raffigurare il leone di San
Marco, ma che, malriuscito, venne beffardamente additato da tutti come una gatta. Tale drappo
venne rubato una notte da un soldato spagnolo, che ricevette da Massimiliano un dono di cento
scudi e la possibilità per i suoi connazionali di tentare per primi l'attacco (il 26 settembre): cosa
ambita, vista la ricompensa di 10.000 scudi d'oro promessa dal cardinale Ippolito d'Este, per conto
del Papa, alla nazione che per prima si fosse impadronita del bastione. Opera del maestro
dell'arsenale Nicolò Pasqualigo, e realizzato in gran fretta nell'estate che precedette l'assedio,
inizialmente il bastione (con un diametro di 50 m) si innestava su una cortina costituita da un
terrapieno compreso fra due palizzate, rinforzato da un'ulteriore palizzata interna mediana. Di fronte
si trovava un fosso riempito dall'acqua delle risorgive che si manifestavano appena scavato un
metro in profondità, impedendo così agli assedianti lo scavo di gallerie. Contro il bastione furono
orientati sei grossi mortai e un grande cannone a lunga gittata; gli furono sparati contro circa 1500
proiettili nella sola giornata del 26 settembre 1509, che lo demolirono quasi completamente. I
difensori, tutti cittadini padovani, erano comandati dal capitano Citolo da Perugia e dal suo aiutante
Bernardino da Parma. Il 26 settembre gli spagnoli sferrarono l'assalto e riuscirono a occupare la
fortificazione; tuttavia Citolo aveva costruito al centro della piazza d'armi del bastione una
polveriera e l'aveva riempita di esplosivo, così da poterla far saltare in caso di pericolo, proprio
come fece in questo frangente. Moltissimi nemici saltarono in aria e una sortita dei padovani mise
in fuga i restanti assedianti. I giorni 28 e 29 settembre le truppe imperiali attaccarono nuovamente
in massa, con l'ausilio dei contingenti che fino ad allora avevano badato ad accerchiare la città,
sperando che i difensori non potessero più sfruttare il bastione ormai gravemente danneggiato. I
padovani invece resistettero e inflissero pesanti perdite al nemico, riuscendo a distruggere anche gli
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ultimi grandi mortai rimasti. Fallì anche il tentativo di Massimiliano di deviare il Bacchiglione a
Limena: i suoi uomini furono fatti prigionieri e gli ufficiali impiccati sul bastione della Gatta.
A metà novembre, Pitigliano riprese l'offensiva; le truppe veneziane sconfissero facilmente le
rimanenti forze imperiali, riprendendo il controllo di Vicenza, Este, Feltre e Belluno. Anche se
un successivo attacco a Verona fallì, durante l'azione Pitigliano distrusse un esercito pontificio
comandato da Francesco II Gonzaga. Una nuova avanzata francese costrinse Pitigliano a ritirarsi a
Padova ancora una volta.
Di fronte a una carenza di uomini in entrambi i fronti, il Senato veneziano decise di inviare, il 20
giugno, un'ambasciata al Papa al fine di negoziare un accordo e per esporre il pericolo che la
presenza delle armate straniere rappresentava per l'intera Italia. I termini proposti dal Papa furono
duri: la Repubblica perdeva il tradizionale diritto di nomina sul clero nei propri territori, la
restituzione di tutte le città che erano state soggette in precedenza allo Stato della Chiesa ed il
pagamento di un indennizzo. Il Senato provò per oltre due mesi a trattare ma alla fine, il 24 febbraio
1510, dovette accettare le richieste papali. In realtà, il Consiglio dei Dieci veneziano aveva già
deliberato che i termini di questa alleanza, accettati per pura necessità, non erano validi e che
sarebbero stati rigettati alla prima occasione opportuna.
Questa apparente riconciliazione tra Venezia e il Papa non trattenne i francesi da una nuova
invasione del Veneto in marzo. A gennaio, la morte di Pitigliano fece sì che Andrea Gritti rimanesse
solo al comando delle forze veneziane; anche se Massimiliano non riuscì ad aiutare Luigi di
Francia, l'esercito francese fu tuttavia sufficiente per espellere i veneziani da Vicenza entro maggio.
Gritti presidiò Padova in previsione di un possibile attacco combinato dell'esercito franco-imperiale,
ma Luigi, preoccupato per la morte del suo consigliere, il cardinale Georges I d'Amboise,
abbandonò i suoi piani di assedio.
Frattanto, l'11 settembre Venezia era giunta persino ad ordinare al bailo di Costantinopoli e al
console di Alessandria d'Egitto di far pressione rispettivamente sulla Sublime Porta e sul Sultano
mamelucco, storici nemici, ma anche partner commerciali della Repubblica, affinché le
accordassero consistenti prestiti e danneggiassero i commerci degli altri Stati europei, così che
questi non avessero poi l'occasione, una volta sconfitta la Serenissima, di rivolgersi contro le
potenze musulmane.
La situazione sul campo volgeva frattanto sempre più in favore di Venezia. Il 26 novembre Vicenza
aprì le porte al Gritti e dopo tre giorni la guarnigione della Lega cedette la cittadella. Vennero
quindi riconquistate Bassano, Feltre, Belluno, Cividale, Castel Nuovo, Monselice, Montagnana
e il Polesine.
La seconda fase: l'alleanza tra Venezia e il Papa (1510)
I crescenti contrasti tra il papa ed il sovrano francese portarono il 24 febbraio 1510 allo
scioglimento della Lega di Cambrai. Giulio II, alienato dai continui attriti con Alfonso d'Este per
via di una licenza per il monopolio del sale negli stati pontifici e dalle sue continue incursioni in
terre veneziane per mantenere le recenti conquiste del Polesine, formulò l'intenzione di conquistare
il Ducato di Ferrara, un alleato francese, e di aggiungerlo allo Stato della Chiesa. Ritenendo le
proprie forze inadeguate per tale l'impresa, il papa assunse un esercito di mercenari svizzeri,
ordinando loro di attaccare la Francia a Milano. Inoltre, ritirata la scomunica a Venezia e ottenuta
da questa la Romagna, propose ai Veneziani di allearsi con lui contro Luigi. La Repubblica, di
fronte alle minacce di rinnovati attacchi francesi, prontamente accettò l'offerta.
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. XX Lezione: Le guerre d’Italia
I francesi occuparonoVicenza, Marostica, Cittadella, Bassano e infine Legnago. Il 9 agosto il papa
scomunicò Alfonso d'Este, giustificando così l'attacco contro il Ducato stesso, assalendo invano
Genova e la Riviera Ligure e chiamando in Lombardia gli Svizzeri, che però rientrarono presto
nelle loro terre, ripagati dal re francese con un lauto compenso. Il pontefice conquistò però Modena,
Reggio, Parma e Piacenza, mentre Lucio Malvezzi, capitano dell'esercito della Serenissima,
riprendeva Marostica e Bassano, entrando a Vicenza e giungendo sin sotto Verona.
Grazie all'uscita di scena delle truppe svizzere, l'esercito francese fu libero di marciare a sud, nel
cuore d'Italia. Ai primi di ottobre, Carlo II d'Amboise si mosse su Bologna, dividendo le forze
papali, e il 18 ottobre si trovò a pochi chilometri dalla città. Giulio ora si rese conto che i bolognesi
erano apertamente ostili al papato e non avrebbero offerto alcuna resistenza ai francesi. Lasciato
solo con un distaccamento di cavalleria veneziana, fece ricorso alla scomunica di d'Amboise, che
nel frattempo fu convinto dall'ambasciatore inglese ad evitare di attaccare la persona del papa e così
si ritirò a Ferrara.
La Francia rispose alla scomunica di d'Amboise convocando a settembre un concilio di vescovi a
Tours, per affermare l'illegittimità della partecipazione del papa ad una guerra per motivi temporali.
Venne programmata anche la convocazione di un futuro concilio ecumenico per discutere della
questione, ma il 20 settembre la corte pontificia, indifferente al problema, giunse a Bologna per
portare guerra al duca di Ferrara. Il 12 luglio i rinforzi francesi furono costretti alla ritirata,
consentendo al papa di prendere Sassuolo, Concordia e, dopo lungo assedio, Mirandola ai primi
dell'anno successivo.
D'Amboise, in marcia per soccorre quest'ultima città, si ammalò e morì, lasciando brevemente i
francesi nel caos. D'Amboise fu sostituito da Gian Giacomo Trivulzio, che riconquistò nuovamente
Concordia e Castelfranco, mentre l'esercito pontificio si ritirò a Casalecchio. Alfonso d'Este, nel
frattempo, si scontrò e distrusse le forze veneziane lungo il fiume Po, lasciando ancora una volta
Bologna isolata. Giulio, per paura di rimanere intrappolato dai francesi, partì per Ravenna. Il
cardinale Francesco Alidosi, lasciato al comando della difesa della città, non fu gradito dai
bolognesi come non lo fu lo stesso Giulio e quando, il 23 maggio 1511, un esercito francese
comandato da Trivulzio arrivò alle porte della città, essa si arrese in fretta. Giulio incolpò di questa
sconfitta il duca di Urbino, il quale, trovando ciò abbastanza ingiusto, fece assassinare Alidosi
mentre si recava dal papa.
La terza fase: la Lega Santa (1511-1512)
Il 1º settembre gli avversari di Giulio II convocarono a Pisa un concilio di nove cardinali dissidenti
nel tentativo di deporre il pontefice, frattanto rientrato a Roma. Questi, però, convocò il 18 luglio un
altro concilio in Laterano, minacciando i cardinali ribelli della perdita della porpora in caso di
mancata sottomissione di lì a due mesi: il 13 novembre una sollevazione di Pisani mise in fuga i
dissidenti.
Nel giugno 1511, la maggior parte della Romagna era nelle mani dei francesi: l'esercito pontificio,
disorganizzato e sottopagato, non era in condizione di impedire a Trivulzio di avanzare su Ravenna.
In risposta a questa debacle, Giulio proclamò una Lega Santa contro la Francia. La nuova alleanza
crebbe rapidamente fino ad includere non solo la Spagna ed il Sacro Romano Impero, ma anche
Enrico VIII d'Inghilterra che, avendo deciso di cogliere l'occasione come una scusa per espandere la
sua influenza nel nord della Francia, concluse il 17 novembre il trattato di Westminster con
Ferdinando, un pegno di mutuo soccorso contro i francesi.
Nel mese di febbraio 1512, Luigi di Francia nominò suo nipote, Gaston de Foix-Nemours, al
comando delle forze francesi in Italia. Foix dimostrò di essere più energico di quanto non lo fosse
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stato d'Amboise. Dopo aver controllato l'avanzata delle truppe spagnole di Ramon de Cardona su
Bologna, fece ritorno in Lombardia per saccheggiare Brescia, che si era ribellata contro le truppe
francesi. Consapevole che gran parte dell'esercito francese sarebbero state destinato ad evitare
l'imminente invasione inglese, Foix e Alfonso d'Este assediarono Ravenna, l'ultima roccaforte
papale in Romagna, nella speranza di costringere la Lega Santa in un combattimento decisivo.
Cardona marciò verso la città ai primi di aprile, ma fu decisamente sconfitto nella conseguente
battaglia di Ravenna, combattuta la Domenica di Pasqua. La morte di Foix avvenuta durante la
battaglia, tuttavia, lasciò i francesi sotto il comando di Jacques de La Palice, che, restio a continuare
la campagna senza ordini diretti da parte del Re Luigi, si accontentò di saccheggiare accuratamente
Ravenna, per poi ripiegare. L'imperatore Massimiliano I, intanto, ordinò la smobilitazione delle sue
truppe.
Il 3 maggio il Concilio Laterano annullò le decisioni di quello di Pisa e minacciò la scomunica al re
di Francia, se si fosse ostinato a non restituire le terre della Chiesa e a rendere la libertà al cardinale
Giovanni de' Medici, catturato a Ravenna. Il 5 giugno Venezia riprese Cremona, ricevendo
nuovamente la dedizione di Bergamo. Frattanto, Giulio II riprendeva Rimini, Ravenna, Cesena e
l'intera Romagna, mentre il francese de La Palice si rinchiudeva a Pavia. Anche Bologna, Reggio e
Modena ritornarono in mani pontificie, mentre Parma e Piacenza vennero sottomesse in quanto
antichi territori dell'Esarcato bizantino.
Durante il maggio dello stesso anno, la posizione francese andò notevolmente a deteriorarsi. Giulio
assunse un altro esercito di mercenari svizzeri che valicò di nuovo le Alpi, attraverso la Valtellina, e
invase la Lombardia, occupando ben presto la città di Milano, in nome della Lega Santa. Nel
contempo Genova si ribellava, il 29 giugno, acclamando doge Giano Fregoso. Una dieta a Mantova
pose sul trono del Ducato di Milano Massimiliano Sforza, primogenito di Ludovico il Moro,
facendo entrare anche Milano nella Lega. Le guarnigioni francesi abbandonarono la Romagna
(dove il duca di Urbino rapidamente prese Bologna e Parma) e si ritirarono in Lombardia, nel
tentativo di impedire l'invasione. Ad agosto, gli svizzeri si unirono all'esercito veneziano e
costrinsero Trivulzio a lasciare Milano, permettendo allo Sforza di essere nominato Duca grazie al
loro sostegno. In seguito, La Palice fu costretto a ritirarsi attraverso le Alpi.
Alla fine di agosto, i membri della Lega si incontrarono a Mantova per discutere la situazione in
Italia (in particolare la partizione del territorio acquisito dai francesi). Un accordo venne raggiunto
rapidamente per quanto riguardava Firenze, che aveva irritato Giulio in quanto permise a Luigi di
convocare il Concilio Lateranense V nel suo territorio. Su richiesta del Papa, Ramon de Cardona
marciò in Toscana, sconfiggendo la resistenza fiorentina, rovesciando la Repubblica e insediando
Giuliano de' Medici come governante della città. Il 18 settembre Brescia si arrese al viceré di
Napoli e ai Veneziani. Legnago si arrese agli Imperiali, Crema ai Veneziani e Novara allo Sforza,
che il 29 settembre ricevette dagli svizzeri le chiavi di Milano, con l'impegno alla difesa della città.
Alla fine dell'anno una dieta a Roma cercò di ricomporre i dissidi tra Venezia e l'Imperatore. Sui
temi territoriali, tuttavia, sorsero rapidamente disaccordi essenziali. Giulio ed i veneziani insistettero
sul fatto che a Massimiliano Sforza dovesse essere consentito di mantenere il Ducato di Milano,
mentre l'imperatore Massimiliano e Ferdinando cospirarono per insediare al suo posto uno dei loro
cugini. Il Papa chiese l'immediata annessione di Ferrara allo Stato Pontificio; Ferdinando contestò
questa disposizione, desiderando l'esistenza di una Ferrara indipendente al fine di contrastare il
potere papale sempre più in crescita. Più problematico, invece, fu l'atteggiamento di Massimiliano
verso Venezia. L'Imperatore rifiutò di cedere qualsiasi territorio imperiale, compresi in particolare
quelli del Veneto, alla Repubblica. A tal fine, firmò un accordo con il Papa per escludere Venezia
interamente dalla partizione territoriale finale. Quando la Repubblica obiettò, Giulio minacciò di
ricostituire la Lega di Cambrai contro di essa. In risposta, Venezia si rivolse a Luigi: il 23 marzo
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1513, venne siglato a Blois un trattato tra i veneziani e i francesi in cui si impegnavano a dividersi
tutta l'Italia settentrionale.
La quarta fase: l'alleanza tra Venezia e la Francia (1513-1516)
Alla fine di maggio del 1513, un esercito francese comandato da Louis de la Trémoille attraversò le
Alpi e avanzò verso Milano. Allo stesso tempo, Bartolomeo d'Alviano (liberato dai francesi) con
l'esercito veneziano marciò ad ovest da Padova. L'impopolarità di Massimiliano Sforza, che fu
considerato dai milanesi come un burattino dei suoi mercenari svizzeri, permise ai francesi di
muoversi attraverso la Lombardia incontrando poca resistenza; Trémoille, conquistata Milano,
assediò Novara che si trovava sotto il controllo svizzero. Il 6 giugno gli Svizzeri sconfissero
l'armata francese nella battaglia di Novara, costringendo il Trémoille ad abbandonare Milano.
Distaccamenti di Svizzeri giunsero fino ad assediare Digione prima di essere respinti.
La disfatta di Novara iniziò un periodo di continue sconfitte per l'alleanza francese. Le truppe
inglesi di Enrico VIII d'Inghilterra assediarono Thérouanne, La Palice fu sconfitto nella battaglia di
Guinegatte e Tournai fu conquistata. In Navarra, la resistenza all'invasione di Fernando crollò ed
egli rapidamente consolidò il suo potere su tutta la regione e si trasferì a sostenere un'altra offensiva
inglese, a Guienna. Giacomo IV di Scozia invase l'Inghilterra per volere di Luigi, ma fallirono nel
tentativo di distrarre l'attenzione di Enrico VIII dalla campagna francese e vennero disastrosamente
battuti nella battaglia di Flodden Field, il 9 settembre, perciò furono costretti ad abbandonare il
conflitto.
Nel frattempo, Alviano, inaspettatamente lasciato senza sostegno francese, si ritirò nel Veneto,
inseguito da vicino dall'esercito spagnolo condotto da Cardona. Mentre gli spagnoli non furono in
grado di espugnare Padova grazie alla decisa resistenza veneziana, essi penetrarono in profondità
nel territorio veneziano e verso fine settembre furono in vista di Venezia. Cardona provò a
bombardare la città lagunare, operazione che tuttavia si rivelò in gran parte inefficace. Inoltre egli
non possedeva imbarcazioni in grado di attraversare la laguna, e quindi fece ritorno in Lombardia.
L'esercito di Alviano, avendo avuto rinforzi da parte di centinaia volontari della nobiltà veneziana,
inseguì Cardona e lo affrontò fuori Vicenza il 7 ottobre. Nella conseguente battaglia de La Motta,
l'esercito veneziano subì una netta sconfitta.
Tuttavia, la Lega Santa non riuscì ad approfittare di queste vittorie. Cardona e Alviano continuarono
a combattersi in Friuli per il resto del 1513 e per il 1514, affrontando battaglie spesso inconcludenti,
in cui Cardona non fu in grado di fare alcun progresso reale. Enrico VIII, non essendo riuscito a
guadagnare un territorio significativo, concluse una pace separata con la Francia. Infine, nella notte
tra il 20 e il 21 febbraio 1513, Giulio II si spense lasciando la lega senza una guida. Gli succedette
l'11 marzo Giovanni de' Medici, papa Leone X, il quale cercò immediatamente di svincolarsi dalla
guerra.
La morte di Luigi XII, avvenuta il 1º gennaio 1515, portò Francesco I al trono; rivendicato il titolo
di Duca di Milano, mosse immediatamente in Italia per reclamare i propri diritti. A luglio,
Francesco assemblò un esercito nel Delfinato. Un esercito combinato svizzero e pontificio si spostò
a nord di Milano bloccando i passi alpini. L'avanguardia francese sorprese la cavalleria milanese a
Villafranca Piemonte, catturando il condottiero Prospero Colonna. Nel frattempo, Francesco e il
corpo principale delle truppe francesi si scontrarono, il 13 settembre, con gli svizzeri nella battaglia
di Marignano. L'avanzata svizzera inizialmente fece diversi progressi; tuttavia, la superiorità della
cavalleria e dell'artiglieria di Francesco I, insieme all'arrivo tempestivo e decisivo di Alviano (che
aveva evitato con successo l'esercito di Cardona a Verona) la mattina del 14 settembre, portò ad una
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vittoria strategicamente decisiva per i francesi e i veneziani permettendo al re di Francia di
riprendersi tutto il ducato di Milano.
Epilogo
Dopo la sconfitta di Marignano, la Lega non possedette più la capacità o la volontà di continuare la
guerra. Francesco avanzò verso Milano, conquistando la città il 4 ottobre e rimuovendo gli Sforza
dal trono. Nel mese di dicembre, egli incontrò papa Leone X a Bologna. Il papa, che nel frattempo
fu abbandonato dal resto dei suoi mercenari svizzeri, consegnò Parma e Piacenza a Francesco e
Modena al Duca di Ferrara. In cambio, Leone ricevette garanzie di una non interferenza francese
verso il suo attacco contro il Ducato di Urbino. Massimiliano resistette e fece un ulteriore tentativo
di invadere la Lombardia. Il suo esercito riuscì a raggiungere Milano prima di tornare indietro e, a
dicembre 1516, entrò in trattative con Francesco. I trattati di Noyon del 13 agosto 1516 e di
Bruxelles posero fine alla guerra, non solo comportando l'accettazione dell'occupazione francese di
Milano, ma confermando anche le richieste veneziane per il resto dei possedimenti imperiali in
Lombardia (ad eccezione di Cremona), facendo sostanzialmente tornare la mappa dell'Italia allo
status quo precedente il conflitto.
Con il Trattato di Friburgo del 29 novembre 1516, la cosiddetta "Pace perpetua", Francia e
Confederazione Elvetica firmarono un trattato di pace e sostanziale neutralità reciproca che durò per
300 anni. La pace, però, sarebbe durata solo quattro anni: l'elezione di Carlo V come Imperatore del
Sacro Romano nel 1519, portò Francesco, che desiderava l'incoronazione per se stesso, ad iniziare
la quarta guerra d'Italia del 1521-1526.
Quarta guerra del 1521–26
Nel frattempo però Carlo V d'Asburgo, già succeduto al regno di Spagna al nonno Ferdinando
d'Aragona, entra in scena quale erede dell'Impero, alla morte del nonno paterno, l'imperatore
Massimilano I. Carlo V d'Asburgo (che dunque era già dal 1508 Arciduca d'Austria, duca di
Borgogna e signore dei Paesi Bassi e inoltre dal 1516 re di Spagna, Sicilia, Napoli e Sardegna),
comprando la fedeltà dei principi elettori, riesce a farsi elevare nel 1519, a Imperatore del Sacro
Romano Impero; il nuovo imperatore si trova perciò a dominare su un vastissimo territorio,
compresi anche tutti i nuovi possedimenti extraeuropei della Spagna. Una tale concentrazione di
forza nelle mani di un solo sovrano, prodotto, oltre che del caso, soprattutto da un'accurata politica
matrimoniale e dinastica, è la principale ragione che porta alla rottura dell'equilibrio imposto dalla
pace di Noyon. Tra i Valois di Francia e gli Asburgo persistevano infatti motivi di conflitto che la
travolgente ascesa di Carlo V non aveva fatto altro che accrescere. In particolare questa situazione
pone Francesco I in una situazione complicata, ritrovandosi praticamente circondato da territori
detenuti dalla dinastia d'Asburgo. Infatti Francesco I, dopo aver vanamente conteso la corona
imperiale a Carlo V, è preoccupato dall'eccessiva potenza raggiunta dal rivale spagnolo, che con la
sua elezione è quasi riuscito a saldare i domini imperiali con quelli mediterranei, in funzione
antifrancese. Ma, ancora una volta, è l'Italia a rappresentare la maggior causa di conflitto; infatti la
Lombardia, in mano francese, impedisce la realizzazione di una maggiore continuità territoriale dei
domini asburgici a livello europeo, che dal Meridione italiano arrivano alle pianure delle Fiandre e
al cuore della Germania. Nel 1519 l'invasione spagnola della Navarra, un piccolo regno
transpirenaico, detenuto da una dinastia d'origine francese, fa precipitare la situazione. Perciò nel
1521 le armate francesi scendono ancora in Italia, con lo scopo di togliere almeno il Regno di
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Napoli ai domini di Carlo V. Le armate francesi però vengono duramente sconfitte nella battaglia
della Bicocca, di Romagnano Sesia e in quella di Pavia. La rotta fu completa. I francesi persero
circa 10.000 uomini (alcune fonti danno cifre anche superiori); gran parte dei quadri dell'esercito,
tra cui Guillaume Gouffier de Bonnivet, Jacques de La Palice, Louis de la Trémoille Principe di
Talamonte, rimasero uccisi in battaglia. Le sorti della battaglia furono segnate a favore degli
imperiali dall'azione degli archibugieri spagnoli e italici del marchese di Pescara.
Il re francese venne poi trasferito in Spagna, dove restò un anno detenuto in attesa del versamento di
un riscatto da parte della Francia e della firma di un trattato, la pace di Madrid, in cui si impegnò ad
abbandonare le sue rivendicazioni sull'Artois, la Borgogna e le Fiandre, oltre a rinunciare alle sue
pretese sull'Italia.
Quinta guerra del 1526-30 detta della lega di Cognac
Gli stati italiani, nel timore di un'eccessiva egemonia asburgica in seguito alla sconfitta dei francesi,
si avvicinano a Francesco I che, ottenuta la libertà dopo la cattività di Madrid, ha dichiarato nulla la
pace stipulata con Carlo V. Nel 1526 il papa Clemente VII (il secondo papa della famiglia de
Medici nel volgere di pochissimi anni), anch'egli allarmato per la grande ascesa della potenza di
Carlo V, si fa dunque promotore della Lega di Cognac, assieme a Francesco I di Francia, la
Repubblica di Venezia, la Repubblica di Firenze e altri stati italiani minori. Ma anche questo patto,
che non riesce a essere uno strumento di pressione diplomatica e di intervento militare, si dimostra
un'alleanza fragile e precaria.
Prima però che la guerra entri nel vivo, si verifica un episodio clamoroso, destinato a scuotere tutta
l'Europa. Nel maggio del 1527 i Lanzichenecchi, soldati imperiali, per la maggior parte mercenari
tedeschi di fede luterana, rimasti senza paga e poi senza comandante, riescono ad aggirare le truppe
della Lega, nell'Italia del nord, e decidono di attaccare Roma. Circa dodicimila lanzichenecchi
riescono a penetrare nell'Italia centrale, attaccano la città santa, penetrano nelle mura, compiendo il
terribile Sacco di Roma (1527), nel corso del quale, il papa stesso è costretto a rifugiarsi in Castel
Sant'Angelo e infine a fare pace con Carlo V. Di fronte a una tale disfatta il papa ottiene perlomeno
dall'imperatore il restauro del dominio dei Medici a Firenze (dove nel frattempo si era formata una
repubblica antimedicea nel 1527-1530).
Contemporaneamente l'esercito francese apre le ostilità vere e proprie, sotto la guida del generale
Lautrec che, dopo aver occupato per breve tempo la Lombardia, è costretto nuovamente a ritirarsi.
In questo frangente però, le comuni difficoltà finanziarie dei contendenti e il minaccioso incalzare
dei turchi, giunti vittoriosi fino in Ungheria e ormai prossimi ad attaccare i possedimenti asburgici
nel centro Europa, costringono Carlo V a firmare un accordo che per i francesi è meno svantaggioso
del precedente.
A Cambrai, il 5 agosto 1529, viene stabilito che la Francia, pur rinunciando alle pretese sull'Italia,
può rientrare in possesso della Borgogna. La pace di Cambrai è detta anche pace delle due dame,
poiché non viene negoziata direttamente dai due sovrani, ma da Luisa di Savoia, madre di
Francesco I, e da Margherita d'Austria, zia di Carlo V. Con questo patto la Spagna ribadisce
definitivamente il suo dominio sull'Italia, delle cui sorti Carlo V diviene unico e incontrastato
arbitro.
A conferma dell’egemonia spagnola sull’Italia l 24 febbraio del 1530, giorno del suo compleanno,
Carlo V d'Asburgo viene incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero dallo stesso Clemente
VII nella Basilica di San Petronio a Bologna.
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Sesta guerra del 1535-38
Dopo una tregua di alcuni anni, ha inizio una nuova fase dello scontro tra Carlo V e Francesco I. La
causa occasionale della ripresa delle ostilità è una nuova rottura dell'equilibrio concertato a
Cambrai, rappresentata dalla morte nel 1535, dell'ultimo esponente degli Sforza (Francesco II
Sforza), restaurati quali duchi di Milano. L'imperatore Carlo V avocò a sé il territorio del ducato,
investendone il proprio erede (il futuro Filippo II di Spagna).
Ma la causa principale in realtà è da ricercare nella spregiudicata azione diplomatica di Francesco I,
che stabilisce relazioni diplomatiche e alleanze con il sultano turco Solimano I il Magnifico e con i
principi luterani in Germania. Ciò avviene in un momento in cui l'Impero asburgico è minacciato, in
Germania, dall'alleanza formata proprio dai principi luterani (riunitisi nella lega di Smalcalda) e, a
Est, da quei turchi con cui Francesco I si è alleato e che sono giunti ad assediare Vienna.
Le sesta guerra (la terza che vedeva coinvolti Carlo V e Francesco I di Francia) durò dal 1536 al
1538 e venne in pratica aperta dal sovrano francese; Francesco I (alleato con Enrico VIII
d'Inghilterra) rispose all'occupazione asburgica di Milano, inviando truppe in Italia, che
conquistarono Torino a buona parte del Piemonte Sabaudo, ma che non riuscirono a riconquistare la
Lombardia. L'effimera Tregua di Nizza, mediata dal nuovo papa Paolo III (desideroso di riunificare
le forze cristiane contro il nemico turco), mise termine alle ostilità, lasciando in mano francese i
territori piemontesi occupati, ma senza altre significative modifiche tra gli stati Italiani.
Settima guerra del 1542-46
Nel 1542 Francesco I di Francia ruppe la tregua stabilita a Nizza alcuni anni addietro. Infatti il
sovrano francese, alleatosi con il sultano Ottomano Solimano I il Magnifico, riprese le ostilità,
lanciando una flotta franco-ottomana contro la città savoiarda di Nizza (Assedio di Nizza del 1543).
Nel frattempo le truppe francesi, comandate dal conte di Enghien, sbaragliarono quelle imperiali
nella Battaglia di Ceresole, ma non riuscirono a penetrare ulteriormente in Lombardia. Carlo V
rispose a queste azioni alleandosi al re Enrico VIII d'Inghilterra e invadendo la Francia da nord
(Assedio di Boulogne del 1544). Il resto della guerra si svolse quindi nei Paesi Bassi e nelle
province orientali della Francia, ma non riuscì a risolversi in una battaglia conclusiva, per l'una o
per l'altra parte. Inoltre la mancanza di coordinamento tra le truppe inglesi e quelle ispanicoimperiali e il deterioramento della situazione nel Mediterraneo, con l'avanzata dei Turchi, portarono
Carlo V a chiedere la cessazione delle ostilità e la restaurazione della situazione precedente in
Francia e Italia. Nel 1544 i contendenti decisero perciò di firmare la pace di Crépy che, pur
assegnando definitivamente la Lombardia agli Asburgo e i territori dei Savoia alla Francia, lasciò
ancora una volta insolute le principali questioni e la possibilità di nuove guerre.
Ottava guerra del 1551-59
La morte di Francesco I, nel 1547, dopo più di trenta anni di regno, non significò la fine delle
ostilità tra Francia e Asburgo. La politica antimperiale venne infatti proseguita dal nuovo sovrano
francese Enrico II, che nel 1551 riprese le ostilità contro la Casa d'Austria e Spagna. Contrariamente
a suo padre però concentrò le sue mire verso i confini nord orientali della Francia, anziché verso
l'Italia, che comunque restò un teatro importante di operazioni. Inoltre, pur essendo egli il re
cristianissimo, non si fece problemi, come già il padre, ad allearsi con i protestanti tedeschi e i
mussulmani turchi, per logorare gli avversari su più fronti.
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A partire dal 1552 Enrico II invase la Lorena e occupò i vescovadi di Metz, Toul e Verdun,
intrecciando abilmente questa terza e ultima fase delle guerre franco-asburgiche cinquecentesche
con il conflitto che, dal 1546, vedeva impegnato Carlo V contro i principi luterani tedeschi. Dopo
tre anni di sfiancante guerra di logoramento, la sovrapposizione dei conflitti e la simultanea
presenza di due irriducibili nemici, come l'esercito francese e quello dei principi tedeschi, indusse
Carlo V a interrompere i conflitti. Perciò nel 1555, con la pace di Augusta (mediata dal fratello
Ferdinando e molto importante anche dal punto di vista religioso), Carlo V trovò un accordo con i
protestanti, mentre strinse la tregua di Vaucelles con Enrico II.
Ancora più sorprendentemente, l'imperatore decise di abbandonare la scena politica e militare
europea, che lo vedeva indiscusso protagonista da più di un trentennio. Difatti Carlo V, ormai
logorato dai continui impegni, abdicò dai suoi domini in favore del figlio Filippo II in Spagna,
Italia, Paesi Bassi e nei domini extraeuropei e in favore di suo fratello Ferdinando I nel Sacro
Romano Impero, ritirandosi quindi in un convento in Spagna a terminare la sua vita nella preghiera.
Il conflitto continuò comunque con i successori. Infatti tra il 1557 e il 1559 riprese la lotta tra
Enrico II, alleato con il nuovo papa Paolo IV, e Filippo II di Spagna. Emanuele Filiberto di Savoia,
al comando delle truppe spagnole, vinse definitivamente i francesi nella battaglia di San Quintino
nel 1557. Ma gli enormi costi della guerra, acuiti dalle bancarotte subite dai due stati in quegli anni,
costrinsero i contendenti a firmare una pace con contenuti più duraturi delle precedenti. Perciò
nonostante la sconfitta, nella Pace di Cateau-Cambresis i francesi riuscirono a tenere le tre
importanti piazzeforti in Lorena, recuperare Calais (tolta agli inglesi entrati brevemente nel
conflitto) e a mantenere l'occupazione di Saluzzo in Piemonte.
In questo periodo di tempo il conflitto continuò anche in Italia. La Repubblica di Siena,
tradizionalmente alleata dell'impero e degli Asburgo, si ribellò alla sua (esosa e molesta)
guarnigione spagnola. Non fu possibile arrivare a un compromesso, anche perché Siena si appoggiò
alla Francia facendo entrare in città truppe francesi, (poi si alleerà anche all'impero turco ottomano,
che invierà, troppo tardi, una flotta nel mar Tirreno) e agli esuli repubblicani fiorentini, tra cui anzi
scelse il suo comandante militare, il maresciallo di Francia Piero Strozzi. Anche la Spagna cercò di
internazionalizzare il conflitto e si alleò alla tradizionale rivale di Siena, Firenze, ora retta in Ducato
dalla famiglia Medici e molto preoccupata per la presenza di esuli fiorentini filo repubblicani
nell'esercito senese. La città fu rapidamente messa d'assedio (in modo molto duro), dalle truppe
alleate guidate dal mercenario lombardo (e filo-spagnolo) Gian Giacomo de Medici, durante
l'inverno 1554, mentre nell'estate di quel medesimo anno (2 agosto 1554) le truppe franco-senesi
furono travolte nella battaglia di Scannagallo. Siena si arrese alle truppe Fiorentine e alleate, il 21
aprile 1555, anche se una parte dell'aristocrazia cittadina si rifugiò a Montalcino, arrendendosi solo
nel 1559, quando furono abbandonati dai francesi.
La repubblica di Siena fu smembrata tra il Ducato di Firenze (che da lì a poco, 1569, proprio per
questo, fu rinominato Granducato di Toscana) e la corona di Napoli (sottoposta alla Spagna) cui
andò il così detto Stato dei Presidii, ricavato da alcune fortezze, prevalentemente maremmane.
Conclusioni
I delegati delle monarchie francese e spagnola si accordarono definitivamente nella pace di CateauCambrésis nel 1559, dopo più di un sessantennio di guerre ininterrotte per il dominio sull'Italia e
l'egemonia in Europa.
La Francia perse la Savoia e il Piemonte, restituiti al Duca Emanuele Filiberto, ma conservò il
possesso del Marchesato di Saluzzo; inoltre ottenne di mantenere il possesso di Calais, che gli
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. XX Lezione: Le guerre d’Italia
inglesi tenevano come avamposto in terra francese, sin dai tempi della guerra dei Cent'anni e infine
riuscì a conservare i vescovadi di Metz, Toul e Verdun, importanti piazzeforti nella Lorena.
La Spagna rafforzò la sua presenza nella penisola e mantenendo i suoi precedenti domini (Milano,
Napoli, Sicilia, Sardegna e si assicurò inoltre il possesso di un piccolo territorio, ma di grande
importanza strategica, quello dei Presidii, lungo la costa toscana) ottenne inoltre il controllo
indiretto, politico e finanziario, della maggior parte degli stati italiani (solo Venezia mantenne
un'indipendenza totale, mentre i Savoia, Genova e il Papato mantennero un margine di iniziativa
politica autonoma, passando dall'influenza di Spagna o Francia a seconda dei periodi).
Con la pace di Cateau-Cambrésis si conclusero quindi le cosiddette Guerre d'Italia e con
questi accordi vennero regolati gli equilibri europei fino alla pace di Vestfalia del 1648, con la
Spagna quale principale arbitro della politica continentale.
La pace è in particolare importante nella storia d'Italia, poiché segna la vera conclusione di quei
conflitti che in poco meno di settant'anni avevano frantumato l'antica politica dell'equilibrio e fatto
diventare la penisola, da soggetto della politica europea, a un oggetto di essa, un mero campo di
battaglia aperto alle potenze straniere. Al tempo stesso l'accordo rappresenta il definitivo
consolidamento del dominio spagnolo in Italia, che determinò per più di centocinquant'anni la storia
italiana.
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Armi ed eserciti
Le guerre d'Italia hanno visto l'introduzione di molti significativi progressi nella tecnologia e nelle
tattiche militari, tra cui l'artiglieria da campagna, i moschetti e le tattiche combinate.
Fanteria
La fanteria vide profonde evoluzioni durante le guerre italiane, trasformandosi da una forza
prevalentemente armata con picche e alabarde ad una disposizione più flessibile di archibugieri,
picchieri e altre specialità. Mentre la prima parte delle guerre ha visto il prevalere dei mercenari
svizzeri e dei lanzichenecchi, dal 1521 si sono affermati i gruppi dotati di armi da fuoco.
Nel 1503, una schermaglia tra le forze francesi e spagnole rappresentò la prima dimostrazione
dell'utilità degli archibugi in battaglia. Il generale spagnolo, Gonzalo de Codoba, finse una ritirata,
attirando un contingente di uomini d'arme tra due gruppi di suoi archibugieri. Come l'esercito
francese si trovò tra il tiratori, raffiche di proiettili li colpirono duramente su entrambi i fianchi.
Prima che i francese potessero attaccare i vulnerabili archibugieri, una carica di cavalleria spagnola
ruppe le forze francesi e le costrinse alla ritirata. Mentre l'esercito francese era in rotta, i nemici
spagnoli gli inflissero gravi perdite.
Il successo dell'impiego delle armi da fuoco nelle guerre italiane spinse Niccolò Machiavelli, spesso
descritto come un nemico dell'uso del archibugi, a scrivere nel suo trattato Dell'arte della guerra che
tutti i cittadini di una città dovessero sapere come sparare con una pistola.
Cavalleria
La cavalleria pesante - l'ultima evoluzione dei cavalieri medievali corazzati - rimase la protagonista
dei cambi di battagli delle guerre italiane. I gendarmi francesi si dimostrarono generalmente i più
efficaci contro le truppe a cavallo degli altri stati, principalmente per via degli eccellenti cavalli in
loro possesso. Gli spagnoli utilizzarono un tipo di cavalleria chiamata Jinete nelle loro sortite.
Artiglieria
Le guerre italiane videro l'artiglieria, in particolare quella da campo, assumere un ruolo
indispensabile in qualsiasi esercito di prim'ordine. Carlo VIII, durante la sua invasione d'Italia,
portò con se un corteo d'assedio veramente mobile, costituito da colubrine e bombarde montate su
carrelli a ruote, che poteva ebbero essere schierato contro un fortezza nemica subito dopo l'arrivo.
L'arsenale d'assedio francese portò con sé diverse innovazioni tecnologiche. L'esercito di Carlo
utilizzò i cavalli per tirare i cannoni piuttosto che i buoi tipicamente utilizzati fino a quel momento.
Inoltre, i cannoni francesi, forgiati con gli stessi metodi utilizzati per produrre le campane in
bronzo, vantavano una leggerezza e una mobilità in precedenza sconosciute. Il miglioramento, più
importante dei francesi fu tuttavia la creazione delle palle di cannone in ferro. Prima delle guerre
italiane, l'artiglieria sparava palle di pietra che spesso si frantumavano al momento dell'impatto.
Con questa tecnologia, l'armata di Carlo poteva espugnare nel giro di qualche ora, mura e castelli
che in precedenza avevano resistito assedi lunghi mesi e addirittura anni.
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Leadership militare
Gli eserciti delle guerre italiane furono guidati da una grande varietà di comandanti, dai mercenari
ai condottieri nobili fino allo stesso re.
Fortificazioni
La maggior parte dei combattimenti avvenuti durante le guerre italiane ebbe luogo durante gli
assedi. Le successive invasioni costrinsero l'Italia ad adottare crescenti livelli di fortificazione,
adattate ai nuovi sviluppi delle armi, come i bastioni che potevano resistere ad un sostenuto fuoco di
artiglieria.
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